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lunedì 18 ottobre 2010

I video degli interventi alla manifestazione Fiom:

“Le cartelle sanitarie, i registri, le relazioni annuali”



Corte di Giustizia UE: permesso di "allattamento" al padre qualunque sia lo status professionale della madre del bambino




Consulta la sentenza

Conclusione

Domanda

Se il cane aggredisce i passanti ne risponde il possessore

SEZIONE IV PENALE
Sentenza 2 luglio - 27 settembre 2010, n. 34813
Svolgimento del processo - Motivi della decisione
Con sentenza del 19 maggio 2009 il Tribunale di Palermo dichiarava ........ colpevole di lesioni colpose in danno di ....... che, in data ****, era stata morsa dal cane appartenente all'imputato, e, concesse le attenuanti generiche, lo condannava alla pena di 100,00 Euro di multa e al risarcimento del danno in favore della costituita parte civile.
L'imputato ha proposto ricorso per cassazione, con il quale deduce violazione di legge e difetto di motivazione per la ritenuta sussistenza di un rapporto di causalità tra la condotta ascrivibile all'imputato e l'evento lesivo.
In sostanza si duole che si sia giunti alla affermazione della sua responsabilità senza tenere conto che il cane era della famiglia, più precisamente era di proprietà della madre o della nonna, e che egli era intervenuto solo quando aveva sentito le urla della ragazza, per riportare il cane nella abitazione.
Il motivo di ricorso è manifestamente infondato.
Il Tribunale ha osservato che l'animale era sicuramente nel possesso del ..... e ciò ha desunto dal fatto che fu proprio il .... a richiamare il cane, a dare spiegazioni ai verbalizzanti e a portare l'animale dai veterinari per i controlli; che egli abitava nella casa della madre e si rapportava quotidianamente con l'animale che gli ubbidiva e che portava a passeggio. Correttamente dunque egli è stato ritenuto responsabile dell'omessa custodia dell'animale, obbligo che ai sensi dell'art. 672 c.p. sorge in capo al possessore, indipendentemente dalla proprietà dell'animale, possesso da intendersi in senso ampio come già chiarito da questa stessa sezione con sentenza del 16.12.1998 n. 599 rv 212404, secondo cui "In tema di custodia di animali, l'obbligo sorge ogni volta che sussista una relazione di possesso o di semplice detenzione tra l'animale e una data persona, posto che l'art. 672 cod. pen. relaziona l'obbligo di non lasciare libero l'animale o di custodirlo con le debite cautele al possesso dell'animale, possesso da intendersi come detenzione anche solo materiale e di fatto senza che sia necessario che sussista una relazione di proprietà in senso civilistico. (Fattispecie in tema di responsabilità per lesioni colpose cagionate dal morso di un cane)".
Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile ai sensi dell'art. 591 c.p.p., lett. D per intervenuta rinuncia.
Segue, come prescritto dall'art. 616 stesso codice, la condanna al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di Euro 1000,00 (mille/00), equitativamente determinata, in favore della cassa delle ammende, non ravvisandosi ragioni, anche alla luce della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 2000, per escludere tale ultima condanna.
P.Q.M.
LA CORTE
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000,00 in favore della Cassa delle ammende

FACEBOOK: APPLICAZIONI NETWORK SPESSO VIOLANO PRIVACY / ANSA

DURE ACCUSE DEL WALL STREET JOURNAL, COINVOLTI MILIONI UTENTI
(di Emanuele Riccardi) (ANSA) - NEW YORK, 18 ott - E' di
nuovo bufera su Facebook, uno dei piu' popolari social network.
Nonostante le ripetute promesse il colosso creato da Marc
Zuckenberg continua a non rispettare appieno la privacy dei suoi
utenti: lo scrive oggi con ampio rilievo il Wall Street Journal.
Secondo il quotidiano newyorchese, diverse applicazioni (o
app) di Facebook, numerose delle quali sono giochi molto
popolari, hanno trasmesso informazioni legate alle identita'
degli utenti: rivelando i loro nomi, e in alcuni casi anche
quelli dei loro amici, a decine di societa' pubblicitarie o che
sorvegliano il traffico sul web, le cosiddette Internet Tracking
Company.
Le persone colpite sarebbero decine di milioni, scrive il
Wsj, tra cui gli utenti che hanno chiesto il massimo di privacy
sul social network e sarebbero teoricamente introvabili.
Tra le app sotto accusa, tra le quali ci sono le dieci piu'
popolari, spiccano alcuni dei giochi di successo pubblicati da
Zynga come FarmVille, Texas HoldEm Poker e FrontierVille.
Ad essere accessibile e' il numero che Facebook assegna ad
ogni membro della rete sociale, chiamato 'Facebook ID', e dal
quale si puo' risalire all'identita' dell'utente con una
semplice ricerca in internet.
Se poi l'utente ha deciso di non limitare l'accesso ai suoi
dati, nelle mani delle societa' esterne finiscono anche
informazioni come l'eta', la citta' di residenza e la
professione.
Non e' noto da quanto tempo esista la falla di sicurezza,
scrive il giornale, ma un portavoce di Facebook ha assicurato di
essere al lavoro per arginarla grazie all'introduzione di una
nuova tecnologia.
''Abbiamo avviato un'azione immediata per disabilitare tutte
le applicazioni che violano le nostre regole'', ha spiegato il
portavoce al quotidiano finanziario.
Diverse applicazioni indicate dal Journal risultano ora
inaccessibili, e le societa' sotto accusa, oltre a Facebook
stessa, hanno indicato che stanno lavorando per risolvere
l'imbarazzante problema al piu' presto.
Alcuni giochi creati dalla LOLapps - che complessivamente
dichiara circa 150 milioni di utenti - come Gift Creator, Quiz
Creator e Critter Island. erano state bloccate del fine
settimana. Secondo la LOLapps i programmi sono tornati ad essere
accessibili online. (ANSA).

RL-Y89
18-OTT-10 18:51 NNNN

Rassegna della Cassazione

  1. Indennità di trasferta e retribuzione imponibile
  2. Licenziamento disciplinare e termini per le controdeduzioni
  3. Rapporti tra contratto nazionale e provinciale
  4. Trasferimento d'azienda e diritti dei lavoratori
  5. Nei contratti a termine vanno indicati i lavoratori da sostituire
  6. Scadenza del termine nullo: nessun risarcimento fino all'fferta di lavorare
  7. Lavoro a progetto: nozione
  8. Apprendistato nullo se stipulato con un dipendente per le stesse prestazioni
  9. Licenziamento e pericolo di perdita di professionalità
  10. Reintegrazione e onere della prova della dimensione occupazionale
  11. Appalto lecito senza ingerenza del committente sul personale 









 

Part-time sentenza contro decreto Brunetta




INPDAP: 1.500 NUOVI POSTI LETTO PER GLI STUDENTI UNIVERSITARI



 =
(AGI) - Roma, 18 ott. - Con la consegna dei primi 950 posti
letto sui 1.500 previsti, Inpdap, l'Universita' degli Studi di
Roma Tor Vergata e Fabrica Immobiliare inaugurano il complesso
di residenze per studenti realizzato all'interno del
comprensorio universitario di Roma Tor Vergata. Il complesso
sara' aperto agli studenti gia' a partire dal prossimo mese di
novembre, mentre la piena operativita' avverra' a marzo 2011,
quando saranno consegnati i restanti 550 posti letto: a regime,
il complesso incrementera' di oltre il 60% l'offerta di posti
letto per gli studenti fuori sede della Capitale.
La struttura offrira' a studenti e ricercatori un moderno
campus che, a soluzioni abitative di varia tipologia e
metratura, affianca servizi di utilita' e per il tempo libero,
quali ristorazione, palestra ed aree per l'attivita' sportiva
all'aperto, auditorium, lavanderia, minimarket, aule studio e
sale prove, parcheggi custoditi. Le unita' abitative sono
dotate di servizi igienici indipendenti, ammobiliate e dotate
di angolo cottura con relativi elettrodomestici. L'intero
progetto e' a costo zero per l'universita' che, avendo concesso
il terreno in diritto di superficie per 90 anni, a scadenza
rientrera' in possesso dell'area e di quanto sopra edificato.
L'investimento, che ammonta a circa 70 milioni di euro, e'
stato sostenuto da Inpdap in via indiretta, ovvero per il
tramite del fondo immobiliare Aristotele, lo strumento scelto
dall'Ente per effettuare investimenti pubblici ex lege 498/92.
Fondo Aristotele e' gestito da Fabrica Immobiliare SGR, la
societa' selezionata da Inpdap tramite procedura competitiva
per la gestione di un fondo immobiliare: Fabrica ha curato
direttamente tutte le fasi della realizzazione, coordinando i
partner di cui si e' avvalsa per le attivita' di progettazione
(Ingenium RE S.p.A.) e costruzione (Donati S.p.A.) e dedicando
particolare attenzione all'applicazione di standard di
eccellenza in materia di sicurezza, accessibilita' per i
disabili, riduzione dell'impatto ambientale e risparmio
energetico.
La cerimonia di inaugurazione si svolgera' mercoledi' 20
ottobre nella sede delle residenze, in via di Passolombardo.
Dopo un saluto introduttivo del Rettore Renato Lauro, si
susseguiranno gli interventi di Paolo Crescimbeni (Presidente
dell'Inpdap), Marco Doglio (Amministratore Delegato Fabrica
Immobiliare Sgr), Giancarlo Cremonesi (Presidente della Camera
di Commercio di Roma), Gianni Alemanno (Sindaco del Comune di
Roma), Nicola Zingaretti (Presidente della Provincia di Roma) e
Renata Polverini (Presidente della Regione Lazio), sotto il
coordinamento dell'avv. Daniela Becchini (Vice Direttore
Generale Inpdap). Concludera' Gianni Letta, Sottosegretario
alla Presidenza del Consiglio. (AGI)

Red
181152 OTT 10

NNNN

SAN.A. è il portale Internet sull′attività prefettizia di applicazione del sistema sanzionatorio amministrativo

 

SAN.A. è il portale Internet sull′attività prefettizia di applicazione del sistema sanzionatorio amministrativo

   

Una breve panoramica

La disciplina generale dell’illecito amministrativamente sanzionato è stata dettata, per la prima volta, con L. 24/11/1981 n. 689.
La maggior parte delle sanzioni amministrative irrogate dal prefetto è disciplinata dal codice della strada (D. Lgs. 30/4/1992 n. 285 e ss.mm.ii.), ma in altri ambiti sono previsti altri illeciti amministrativi, per esempio in materia alimentare, della navigazione, delle leggi finanziarie e tributarie e degli assegni bancari (D.Lgs. 30/12/1999, n. 507).
Alla sanzione amministrativa vengono ricondotte forme di reazione dell’ordinamento alla violazione di norme molteplici, spesso improntate a principi diversi.
In generale, le sanzioni amministrative svolgono, come le sanzioni penali, una funzione sia preventiva sia punitiva. Esse ottengono questo risultato innanzittutto incidendo sul patrimonio, come nel caso di sanzione pecuniaria, confisca e fermo amministrativo. Possono, inoltre, essere previste anche misure personali, normalmente consistenti nella privazione o nella sospensione di un diritto o di una capacità derivante da provvedimenti della pubblica amministrazione: decadenza, revoca sanzionatoria, sospensione dell'esercizio di un'attività ed esclusione da benefici o appalti pubblici.
La finalità delle sanzioni amministrative è quella di punire – per scopi di prevenzione speciale e generale – il responsabile della violazione di un precetto, a prescindere dal danno materiale da questi cagionato.
 

Emissione di nuove carte d'identità in sostituzione di quelle prorogate con postilla



Facebook negato ai dipendenti della Regione Lazio

Nelle scorse ore il Segretario generale della Regione Lazio Salvatore Ronghi ha emesso due direttive interne con cui, sostanzialmente, vieta l’accesso alla rete e quindi a Facebook, ma anche a Messenger ed a YouTube ai dipendenti della Regione Lazio.

Facebook negato ai dipendenti della Regione Lazio
Le due lettere indirizzate a tutti i dipendenti della Regione Lazio non hanno carattere punitivo, come affermato da Renata Polverini, Governatrice della regione Lazio, ma tendono ad ottimizzare sia le risorse che il lavoro degli oltre 3000 dipendenti.

Dall’analisi dei dati dei PC della Regione Lazio collegati in internet nei giorni scorsi, è stato appurato che il 70% era collegato a Facebook, mentre il 20% aveva visitato di recente YouTube ed aveva utilizzato la chat di Messenger.

Salvatore Ronghi ha quindi disposto che venga disabilitato il collegamento ad internet per tutti quei dipendenti che non richiedono, per lo svolgimento delle proprie funzioni, una connessione alla Rete.

fonte:

http://www.pctuner.net/news/14658/Facebook-negato-ai-dipendenti-della-Regione-Lazio-/

Pubblico Impiego. Spetta il compenso per ferie non godute se l’impedimento non è imputabile al dipendente

Consiglio di Stato, Sezione VI, Sentenza n. 7295 del 05/10/2010
 FATTO e DIRITTO
1). Il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio respingeva il ricorso proposto dal Ministero dell’interno in opposizione a decreto ingiuntivo recante la condanna al pagamento in favore del sig. #################, già appartenente ai ruoli della Polizia di Stato, di una somma corrispondente al periodo di congedo ordinario non fruito, perché collocato in aspettativa per malattia che in prosieguo ha comportato la dispensa dal servizio per inidoneità fisica.
Il Tribunale amministrativo regionale , in particolare, riconosceva che il diritto alla maturazione del periodo di congedo ordinario non viene meno in caso di assenza per malattia dal servizio. Al dato obiettivo del mancato godimento delle ferie – indipendentemente da espressa previsione normativa – segue il diritto all’ indennità sostitutiva. L’ obbligo di monetizzazione per equivalente delle ferie non fruite non è in ogni caso eludibile ove al periodo di aspettativa segua la dispensa dal servizio, tanto più quando la malattia stessa sia stata contratta per ragioni o in occasione del servizio.
Avverso detta sentenza ha proposto appello il Ministero dell’ Interno ed ha confutato le conclusioni del primo giudice , sottolineando che nessuna pretesa economica può essere avanzata per di ferie non fruite in costanza di collocamento in aspettativa per infermità.
Il sig. #################, costituitosi in giudizio, ha contraddetto i motivi di appello, insistendo per la conferma della sentenza appellata.
All’ udienza del 15 giugno 2010 il ricorso è stato trattenuto per la decisione.
2) ) L’ appello è infondato.
Si verte qui in sostanza della corretta interpretazione da darsi alle disposizioni in tema di congedo ordinario di cui agli artt. 18 d.P.R. 16 marzo 1999, n. 254 (di recepimento dell’accordo sindacale per le Forze di polizia ad ordinamento civile e del provvedimento di concertazione delle Forze di polizia ad ordinamento militare relativi al quadriennio normativo 1998- 2001 ed al biennio economico 1998-1999) e 14 d.P.R. 31 luglio 1995, n. 395 (di recepimento dell’accordo sindacale del 20 luglio 1995 riguardante il personale delle forze di polizia ad ordinamento civile e del provvedimento di concertazione del 20 luglio 1995 riguardante le forze di polizia ad ordinamento militare). Per l’Amministrazione appellante, infatti, da queste disposizioni si trae la conclusione che il reclamato trattamento non spetta, giacché il diritto al compenso sostitutivo postula che il fatto causativo dell’impedimento al godimento delle ferie sia da imputare all’Amministrazione, il che non avviene nel caso della malattia che ha dato luogo al collocamento in aspettativa.
La Sezione non condivide un siffatto assunto. Vale considerare quanto segue:
2.1). In ordine al diritto dell’appartenente ai ruoli della Polizia di Stato alla monetizzazione, mediante corresponsione dell’indennità per ferie non godute, del periodo di congedo ordinario non fruito in quanto collocato in aspettativa per infermità (vale a dire in assenza di attività di servizio), si è ripetutamente pronunciata questa Sezione con un indirizzo favorevole alle tesi qui sviluppate dalla difesa dell’appellato, che qui si ritiene di confermare (cfr. Cons. Stato, VI, 7 maggio 2001, n. 2520; 21 aprile 2008, n. 1765, specifico riguardo al dipendente della Polizia di Stato; 23 luglio 2008 n. 3636; 24 febbraio 2009, n. 1084; e già v. Cons. Stato, V, 3 marzo 2001, n. 1230; IV, 7 giugno 2005, n. 2964). In tal modo è stato disatteso l’opposto orientamento, a tenore del quale il diritto del dipendente a fruire dell’indennità sostitutiva delle ferie non godute non si configura dato che la mancata fruizione dipende da una situazione soggettiva (lo stato di infermità causante l’aspettativa) che non è non direttamente imputabile all’Amministrazione, la quale può essere chiamata in causa solo nel caso in cui costringa il dipendente ad effettuare la prestazione lavorativa nel periodo feriale (Cons. Stato, IV, 30 maggio 2005, n. 2779; 27 aprile 2005, n. 1956; 27 dicembre 2004, n. 8245).
Con le dette decisioni favorevoli alla corresponsione della indennità, è stato, in particolare, posto in rilievo:
- che il diritto del lavoratore al godimento delle ferie retribuite, che è solennemente affermato dall’ art. 36 della Costituzione, non soffre in via di massima limite per la sospensione del rapporto per malattia del lavoratore (in tema di lavoro privato, è stato affermato – risolvendo un’annosa disputa giurisprudenziale – che la maturazione di tale diritto non può essere impedita dalla sospensione del rapporto per malattia del lavoratore, con la conseguenza della parificazione al servizio effettivo del periodo di assenza per malattia: Cass., SS. UU., 12 novembre 2001, n. 14020);
- che, anche nel settore dell’impiego pubblico non contrattualizzato, il mancato godimento delle ferie,non imputabile all’ interesso non preclude di suo l’ insorgenza del diritto alla percezione del compenso sostitutivo. Si tratta infatti di un diritto che per sua natura prescinde dal sinallagma prestazione lavorativa/retribuzione che governa il rapporto di lavoro subordinato e non riceve, quindi, compressione in presenza di altra causa esonerativa dall’effettività del servizio (nella specie collocamento in aspettativa per malattia);
- che, con specifico riferimento al comparto di pubblico impiego cui appartiene l’odierno appellato, i casi in cui vi è diritto al compenso sostitutivo dei periodi di ferie non fruite – espressamente contemplate agli artt. 14 del d.P.R. n. 395 del 1995 e 18 del d.P.R. n. 254 del 1999, non hanno carattere costitutivo del diritto invocato, ma ricognitivo di singole fattispecie; perciò non esauriscono con carattere di tassatività ogni altra ipotesi riconducibile alla tutela del diritto in questione e, fra queste, la mancata fruizione delle ferie per collocamento in aspettativa per infermità;
- che, in conclusione “nel caso di aspettativa per infermità, il diritto al congedo ordinario e al compenso sostitutivo costituiscono due facce inscindibili di una stessa situazione giuridica, per cui al primo in ogni caso si dovrà sostituire il secondo” (Cons. Stato, VI, n. 1765 del 2008).
La Sezione non ravvisa ragioni per doversi discostare dalla su riferite precedenti conclusioni. Esse non recedono a fronte dell’ordine argomentativo sviluppato in appello, teso a collegare in rapporto di consequenzialità la maturazione del diritto alla ferie all’effettività della prestazione lavorativa de die in diem, con ricaduta quindi anche sulla sua monetizzazione per equivalente. In contrario, come posto in rilievo nella stessa sentenza che si appella, l’esonero dal servizio attivo per riconosciuta malattia (in ipotesi derivante anche da causa di servizio), non determina una deminutio dello stato giuridico del pubblico dipendente quanto alle restanti prerogative ed, in particolare, in ordine alla maturazione del diritto al riposo per ferie.
L’ appello va, quindi, respinto.
In relazione ai profili della controversia, spese ed onorari del giudizio vanno compensati fra le parti.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione VI, respinge l’ appello in epigrafe.
Spese compensate.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 15 giugno 2010 con l’intervento dei Signori:
Giuseppe Severini, Presidente
Paolo Buonvino, Consigliere
Rosanna De Nictolis, Consigliere
Maurizio Meschino, Consigliere
Bruno Rosario Polito, Consigliere, Estensore
DEPOSITATA IN SEGRETERIA Il 05/10/2010
 

Il dipendente che non sta bene può tornare a casa, annunciando l’allontanamento anche solo ai colleghi. L’azienda non lo potrà considerare assente ingiustificato, ne’ tanto meno licenziarlo per giusta causa.

 
Cassazione Civile, Sezione Lavoro, Sentenza n. 21215 del 14/10/2010
La Corte d’appello del L’Aquila, pronunciando su rinvio di questa Corte (Cass. 27 febbraio 2004 n. 4061), ha confermato, con sentenza depositata in data 28 dicembre 2005, la decisione di primo grado del Tribunale del lavoro di Larino del 14 giugno 2001, che aveva annullato il licenziamento intimato da [omissis] al proprio dipendente operaio [omissis] con lettera del 12 novembre 1992 (per assenza ingiustificata dal lavoro dal precedente giorno 6 novembre), con le conseguenze di cui all’art. 18 S.L. e aveva condannato la società a pagare al [omissis] determinati importi, a titolo di risarcimento del danno emergente, del danno biologico e del danno morale.
In particolare, quanto al licenziamento, la Corte territoriale ha anzitutto richiamato il principio affermato da questa Corte suprema in sede di accoglimento del secondo motivo del ricorso per cassazione del [omissis], secondo cui “Per stabilire in concreto l’esistenza di una giusta causa di licenziamento, che deve rivestire il carattere di grave negazione degli elementi essenziali del rapporto di lavoro ed in particolare di quello fiduciario, occorre valutare da un lato la gravità dei fatti addebitati al lavoratore, in relazione alla portata oggettiva e soggettiva dei medesimi, alle circostanze nelle quali sono stati commessi ed all’intensità dell’elemento intenzionale, dall’altro la proporzionalità fra tali fatti e la sanzione inflitta, stabilendo se la lesione dell’elemento fiduciario su cui si basa la collaborazione del prestatore di lavoro sia in concreto tale da giustificare o meno la massima sanzione disciplinare; la valutazione della gravità dell’infrazione e della sua idoneità ad integrare giusta causa di licenziamento si risolve in un apprezzamento di fatto riservato al giudice di merito ed incensurabile in sede di legittimità, se congruamente motivato”.
I giudici di appello, valutando conseguentemente gli atti, hanno quindi espresso seri dubbi sulla effettiva gravità della mancanza che aveva condotto al licenziamento del [omissis], ponendo in evidenza:
a) che la società poteva avere interesse ad approfittare dell’assenza del dipendente per liberarsi di lui, che era reduce da una lunga assenza per un grave infortunio sul lavoro imputabile alla responsabilità della datrice di lavoro;
b) che la stessa non aveva dedotto e provato alcun elemento utile per valutare la gravità del fatto, come sarebbe stato suo onere ai sensi dell’art. 2697 c.c. e L. n. 604 del 1966, art. 5;
c) e non aveva esposto le ragioni per cui le mancanze contestate al lavoratore avrebbero cagionato la perdita di fiducia, alla luce delle mansioni affidate al lavoratore e all’eventuale incidenza della sua assenza sulla funzionalità aziendale;
d) che, comunque, il comportamento tenuto nella circostanza dal lavoratore poteva ritenersi giustificato, su di un piano di buona fede, dal fatto che questi era reduce da un grave infortunio e aveva denunciato disturbi in atto, tanto che alcuni colleghi (sia pure non autorizzati a concedergli permessi) gli avevano consigliato di ritornare a casa, sicché egli aveva potuto ritenere di essere in permesso o comunque assente giustificato quel giorno e nei giorni immediatamente successivi, non essendo stato poi avvisato dalla società del fatto che essa lo ritenesse viceversa assente ingiustificato.
Avverso la sentenza propone ricorso per cassazione la società [omissis], con cinque motivi.
Resiste alle domande [omissis] con rituale controricorso.
Motivi della decisione
1 – Col primo motivo di ricorso, la società deduce la violazione dell’art. 132 c.p.c., con conseguente nullità della sentenza impugnata.
La ricorrente lamenta infatti l’assenza in quest’ultima della indicazione delle conclusioni rese dalle parti in tale sede di riassunzione nonché della data di deliberazione della sentenza stessa.
2 – Col secondo motivo di ricorso, viene denunciata la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. nonché dell’art. 2697 c.c. e L. n. 604 del 1966, art. 5.
Censurando il fatto che la società non avrebbe dedotto e provato elementi utili per la valutazione della gravità del fatto, la Corte territoriale avrebbe infatti anzitutto violato l’art. 112 c.p.c., in quanto nei precedenti gradi di giudizio mai il lavoratore avrebbe eccepito il mancato assolvimento di un tale onere probatorio.
La censura sarebbe altresì errata in quanto sarebbe stato onere della datrice di lavoro in un caso come il presente, di assenza ingiustificata del lavoratore, dedurre e provare unicamente questa nella sua obiettività, mentre costituirebbe onere del lavoratore dimostrane la possibile giustificazione.
3 – Col terzo motivo, la ricorrente lamenta il vizio della motivazione della sentenza, la quale illogicamente, senza riscontro negli atti di causa e senza indicare le fonti del proprio convincimento, aveva ritenuto, in maniera stringata e meramente assertiva, come di buona fede il comportamento del [omissis] che aveva dato luogo al licenziamento dello stesso.
4 – Col quarto motivo, la società denuncia l’omessa motivazione della sentenza in ordine alla mancata indicazione del titolo, contrattuale o extra contrattuale fatto valere in giudizio per il risarcimento danni, necessaria in ragione della diversa regola relativa alla ripartizione dell’onere probatorio.
Inoltre nella sentenza mancherebbe ogni motivazione in ordine alla mancanza di prova relativamente al danno biologico e morale liquidato dalla sentenza di primo grado, confermata da quella impugnata.
5 – Col quinto motivo, condizionato al rigetto di quelli che investono la ritenuta legittimità del licenziamento, la ricorrente censura l’omessa motivazione della sentenza relativamente all’ordine di reintegra nel posto di lavoro, al risarcimento del danno e al versamento dei contributi assistenziali e previdenziali.
La società deduce inoltre che la Corte territoriale non avrebbe fornito alcuna risposta alla deduzione di inidoneità del lavoratore, per ragioni di salute, a riprendere il lavoro, formulata dalla società con una richiesta di C.T.U. disattesa dal giudice di prime cure, al fine di dedurne l’impossibilità della reintegrazione (con conseguente incidenza anche sull’ammontare del risarcimento danni).
Infine la Corte, secondo la ricorrente, avrebbe omesso di accertare l’aliunde perceptum e percipiendum da sottrarre dall’ammontare del risarcimento.
Il ricorso conclude pertanto con la richiesta di annullamento della sentenza impugnata.
6 – Nel controricorso, il [omissis] deduce l’inammissibilità del ricorso per violazione dell’art. 366-bis c.p.c..
Nel merito deduce l’infondatezza del ricorso di cui chiede il rigetto.
7 – Preliminarmente va disattesa la deduzione di inammissibilità del ricorso per violazione dell’art. 366-bis c.p.c..
Tale norma (oggi abrogata dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 47, comma 1, lett. d), con effetto sui ricorsi per cassazione proposti avverso sentenze pubblicate successivamente alla data del 3 luglio 2009, ai sensi dell’art. 58, comma 5 della medesima legge) era infatti applicabile ai ricorsi per cassazione proposti avverso le sentenze pubblicate successivamente alla data del 1 marzo 2006, ai sensi del D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, artt. 6 e 27, comma 2.
Poiché nel caso in esame il ricorso è stato proposto avverso una sentenza pubblicata il 28 dicembre 2005, la norma processuale invocata non era ad esso applicabile ratione temporis.
8 – Nel merito, il ricorso è infondato.
Con riguardo al primo motivo di ricorso, costituisce infatti orientamento costante di questa Corte l’affermazione secondo cui “la mancata o incompleta trascrizione nella sentenza delle conclusioni delle parti costituisce, di norma, una semplice irregolarità formale irrilevante ai fini della sua validità, occorrendo, perchè siffatta omissione od incompletezza possa tradirsi in vizio tale da determinare un effetto invalidante della sentenza stessa, che l’omissione abbia in concreto inciso sull’attività del giudice, nel senso di averne comportato o una omissione di pronuncia sulle domande o sulle eccezioni delle parti, oppure un difetto di motivazione in ordine a punti decisivi prospettati” (cfr., per tutte, Cass. 23 febbraio 2007 n. 4208).
Poiché nel caso in esame, come risulterà altresì dall’esame degli ultimi due motivi di ricorso, è esclusa una tale incidenza sull’attività della Corte d’appello, la censura in esame non ha pregio.
Costituisce inoltre orientamento altrettanto uniforme di questa Corte il rilievo secondo cui “Anche nelle controversie di lavoro, l’indicazione della data di deliberazione della sentenza non è (a differenza dell’indicazione della data di pubblicazione, che ne segna il momento di acquisto della rilevanza giuridica) elemento essenziale dell’atto processuale, e la sua mancanza non integra, pertanto, gli estremi di alcuna ipotesi di nullità deducibile con l’impugnazione” (cfr., ad es. Cass. 12 maggio 2005 n. 9968).
Il secondo e il terzo motivo di ricorso vanno esaminati congiuntamente. Le relative censure investono infatti alternative, autonome motivazioni di sostegno alla decisione della Corte territoriale di conferma della valutazione di illegittimità del licenziamento del [omissis] e pertanto il rigetto anche di una sola di esse, rende superfluo l’esame delle altre.
Di tali censure sicuramente infondata è quella di cui al terzo motivo di ricorso, che investe la motivazione della sentenza in ordine alla valutazione dei fatti che avevano condotto al licenziamento e alla loro rilevanza sul piano del rapporto fiduciario in base alla loro rappresentazione in giudizio.
In proposito, va qui ribadito che il vizio di omessa od insufficiente motivazione, denunciabile con ricorso per Cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, sussiste solo quando nel ragionamento del giudice di merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile una obiettiva deficienza del criterio logico che lo ha condotto alla formazione del proprio convincimento, mentre il vizio di contraddittoria motivazione presuppone che le ragioni poste a fondamento della decisione risultino sostanzialmente contrastanti in guisa da elidersi a vicenda e da non consentire l’individuazione della “ratio decidendi”, e cioè l’identificazione del procedimento logico – giuridico posto a base della decisione adottata.
Il vizio di motivazione non può viceversa consistere nella difformità dell’apprezzamento dei fatti e delle prove operato dal giudice del merito rispetto a quello preteso dalla parte, spettando solo a detto giudice individuare le fonti del proprio convincimento, valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, dare prevalenza all’uno o all’altro mezzo di prova, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge in cui un valore legale è assegnato alla prova (cfr., per tutte, recentemente Cass. 26 marzo 2010 n. 7394 e 6 marzo 2008 n. 6064).
Nel caso in esame, la Corte territoriale ha ritenuto, sia pure con motivazione stringata, sulla base delle prove acquisite in ordine ai fatti di causa, che il comportamento del lavoratore di abbandono del lavoro per motivi di salute il venerdì alle ore 14,00 e di prolungamento dell’assenza dal lavoro per i primi tre giorni della settimana successiva poteva ritenersi giustificato su di un piano di buona fede dal fatto che il [omissis] era reduce da un grave infortunio e aveva denunciato al momento dell’abbandono disturbi in atto, tanto che alcuni colleghi (sia pure non autorizzati a concedergli permessi) gli avevano consigliato di ritornare a casa, sicché egli aveva potuto ritenere di essere in permesso o comunque assente giustificato quel giorno e nei giorni immediatamente successivi, non essendo stato poi avvisato dalla società, a conoscenza dell’allontanamento, del fatto che essa lo riteneva viceversa assente ingiustificato.
Un tale accertamento è investito dalla cesura di arbitrarietà, in quanto senza riscontro negli atti di causa e di illogicità, ma tale censura è in realtà svolta enucleando dal materiale istruttorio acquisito elementi che non incidono sulla valutazione dei giudici di merito interrompendone la consequenzialità logica o determinandone una interna contraddittorietà, quali l’aver trascurato o completamente travisato un fatto controverso avente il carattere della decisività in senso opposto a quello ritenuto dalla Corte.
Ne consegue che la censura in esame si risolve nel tentativo di sovrapporre alle valutazioni dei giudici di merito proprie opposte valutazioni, fondate sul medesimo materiale probatorio, in quanto ritenute in grado di spiegare meglio il reale andamento dei fatti e stabilirne la effettiva rilevanza sul piano considerato.
Il che, come già rilevato, non appare consentito proporre al controllo di legittimità delle sentenze, risolvendosi in un diverso apprezzamento dei fatti e delle prove, riservato al giudizio di merito.
Anche gli ultimi due motivi di ricorso sono manifestamente infondati.
In violazione della regola della autosufficienza del ricorso per cassazione (su cui cfr., anche recentemente, Cass. nn. 5043/09, 4823/09 e 338/09), la ricorrente omette infatti, in alcuni casi, di riferire se ha ritualmente svolto le censure in esame in sede di giudizio di riassunzione e comunque non ne riproduce mai in maniera specifica il contenuto, necessario per consentire a questa Corte di valutare la rilevanza e decisività dei vizi denunciati.
Concludendo, alla stregua delle considerazioni svolte il ricorso va respinto.
L’alternanza di decisioni nelle fasi precedenti al giudizio di cassazione consiglia l’integrale compensazione tra le parti delle spese di questo giudizio.
P.Q.M.
La Corte respinge il ricorso, compensando integralmente tra le parti le spese di questo giudizio.
Depositata in Cancelleria il 14.10.2010
 

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Cassazione Civile, Sezione Seconda, Sentenza n. 21091 del 12/10/2010
FATTO E DIRITTO
Con la sentenza impugnata il Tribunale dl Locri Sezione distaccata di Siderno, respingendo l’appello del Comune di Stignano avverso la sentenza di primo grado di accoglimento dell’opposizione proposta dal sig. [omissis] a verbale di accertamento di violazione dell’art. 142, comma 8, codice della strada (eccesso di velocità) rilevata il 16 dicembre 2005 mediante apparecchiatura “Velomatic 512″ direttamente gestita dalla Polizia Municipale, ha statuito l’illegittimità dell’atto per due ragioni:
- difetto della contestazione immediata pur essendo stato l’accertamento eseguito su tratto di strada statale non menzionato in decreto prefettizio ai sensi dell’art. 4 D.L. 20 giugno 2002, n. 121 (conv., con modif., in legge_168_2002);
- omessa produzione del certificato di omologazione dell’ apparecchiatura ‘Velomatic 512 matr. 1590″ utilizzata per l’accertamento, che doveva quindi ritenersi inidonea.
Il Comune ha impugnato la sentenza di appello con ricorso per cassazione per quattro motivi, cui l’ intimato non ha resistito.
Nella relazione ai sensi dall’ art. 380 bis c. p. c. il Consigliere relatore ha espresso l’avviso che il ricorso sia fondato.
Detta relazione è stata ritualmente comunicata al P.M. e notificata all’avvocato della parte
ricorrente, i quali non hanno presentato conclusioni o memorie.
Con il primo motivo di ricorso, denunciando violazione di norme di diritto, si critica la tesi del giudice di appello secondo cui, pur essendo nel verbale indicata la ragione di impossibilità della contestazione immediata prevista dall’art. 201, comma 1 bis lett. e), c.d.s. (”accertamento della violazione per mezzo di appositi apparecchi di rilevamento direttamente gestiti dagli organi di Polizia stradale e nella loro disponibilità che consentono la determinazione dell’illecito in tempo successivo poiché il veicolo oggetto del rilievo è a distanza dal posto di accertamento o comunque nell’impossibilità di essere fermato in tempo utile o nei modi regolamentari”), tuttavia l’utilizzo di apparecchiature elettroniche per l’accertamento delle violazioni dell’art. 142 c.d.s. è consentito soltanto nei tratti stradali inseriti in decreti prefettizi ai sensi dell’art. 4 d.l. cit.
Con il secondo motivo di ricorso, denunciando nuovamente violazione di norme di diritto, si osserva che non è necessaria la contestazione immediata nell’ipotesi di cui alla lett. e) del comma 1 bis dell’art, 201 c.d.s.
I due motivi, da esaminare congiuntamente in quanto connessi, sono fondati.
La tesi del Tribunale, infatti, è smentita dal rilievo che l’accertamento eseguito ai sensi dell’art, 4 dl. n. 121/2002, cit., è invece oggetto di espressa, distinta previsione alla lett. f) dell’ art. 201, comma 1 bis, c.d.s., e che la distinzione tra le due ipotesi di cui, rispettivamente, alle lett. e) ed i) del comma in questione consiste in ciò, che nella prima l’apparecchiatura utilizzata per l’accertamento è – a differenza che nella seconda ipotesi e come è concretamente avvenuto nel caso in esame – “direttamente gestita” dall’organo di polizia operante. In definitiva, cioè, l’ inserimento del tratto stradale in un decreto prefettizio ai sensi dell’art. 4 d.l. cit. è condizione di legittimità dell’utilizzo delle sole apparecchiature di rilevamento “a distanza” delle infrazioni (art. 4, comma 1, d.l. cit. non anche di quelle “direttamente gestite” – come nella specie – dagli organi di polizia (sulla legittimità dell’utilizzo di siffatte apparecchiature su tratti stradali non compresi in decreti prefettizi cfr. anche Cass. nn. 376 e 17905 del 2008),
Con il terzo motivo di ricorso, sempre denunciando violazione di norme di diritto, si osserva che l’omologazione si riferisce al tipo di apparecchiatura destinata all’accertamento delle infrazioni stradali, non a ciascun esemplare di essa, per cui la certificazione richiesta dal Tribunale non era necessaria.
Con il quarto motivo, infine, denunciando vizio di motivazione, si deduce che l’efficienza dell’apparecchiatura doveva presumersi sino alla prova, da fornirsi dall’opponente, del difetto di costruzione, installazione o funzionamento.
Anche questi motivi possono essere esaminati congiuntamente, attesa la loro connessione, ed accolti per l’assorbente considerazione che, come questa Corte ha già avuto plurime occasioni di osservare, la necessità di omologazione delle apparecchiature di rilevazione automatica della velocità, ai fini della validità del relativo accertamento, va riferita al singolo modello e non al singolo esemplare, come si desume, sul piano logico e letterale, dall’art. 345, comma 2, d.P.R. 16 dicembre 1992, n. 495, come modificato dall’art. 197 d.P.R. 16 settembre 1996, n. 610, secondo cui non ciascun esemplare ma “le singole apparecchiature” devono essere approvate dal Ministero dei lavori pubblici (cfr. Cass. 29333/2008 ed ivi ulteriori riferimenti).
Il ricorso va in conclusione accolto e la sentenza impugnata va cassata.
Non essendo, peraltro, necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384, primo comma ult. parte, c.p.c., con il rigetto dell’opposizione proposta al Giudice di pace.
Le spese dell’intero giudizio, sia di merito che di legittimità, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta l’originaria opposizione e condanna l’opponente alle spese processuali, liquidate in € 50,00 per esborsi, 150,00 per diritti e 200,00 per onorari, quanto al giudizio di rimo grado, € 50,00 per esborsi, 100,00 per diritti e € 500 per onorari, quanto al giudizio di appello, e in € 200,00 per esborsi e 400,00 per onorari, quanto al giudizio di cassazione, oltre spese generali ed accessori di legge.

[Report, l'inchiesta sulle ville di Berlusconi ad Antigua - 18 video tratti da Youtube






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  21. BERLUSCONI: REPORT; GABANELLI, TRASPARENZA COME PER FINI
    SE GHEDINI DICE VERITA'SU CASE,GARANTISCO INVITO IN TRASMISSIONE
    (ANSA) - ROMA, 18 OTT - Se Niccolo' Ghedini ''ci dice sul
    serio chi sono i proprietari di quei terreni, garantisco che
    sara' immediatamente invitato, in quel caso gli sara' dedicato
    tutto lo spazio che merita, il piu' ampio possibile''. Lo
    assicura Milena Gabanelli, in una intervista alla Stampa in cui
    spiega che non serviva ''un contraddittorio'' nella puntata di
    Report che ha trasmesso l'inchiesta sui presunti immobili del
    premier Silvio Berlusconi ad Antigua.
    ''Report come tutti sanno - dice la giornalista - non e' un
    talk show televisivo. Noi non andiamo in cerca di opinioni
    diverse'', ''noi facciamo inchieste, e le inchieste raccontano
    fatti''.
    Gabanelli sottolinea che l'inchiesta vuole chiarire ''chi e'
    il reale proprietario da cui Silvio Berlusconi ha acquistato i
    terreni'' in quanto ''e' impossibile ricostruirlo, le societa'
    offshore sono una cosa seria''.
    La giornalista, in un'altra intervista a Repubblica, ricorda
    la vicenda dell'appartamento di Montecarlo che riguarda invece
    il presidente della Camera Gianfranco Fini. ''E' stata
    giustamente chiesta trasparenza nel caso di Montecarlo - afferma
    - penso sia giusto richiederla anche per Antigua''.
    Gabanelli chiede al premier di chiarire ''da chi ha comprato
    i terreni e a chi ha versato i soldi per i lavori. A noi risulta
    che non sia noto il proprietario della societa' in questione''.
    (ANSA).

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