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sabato 12 maggio 2018

TAR maggio 2018: "per l'annullamento -del provvedimento del Ministero dell’Interno del 30 dicembre 2011, not. in data 2 aprile 2012, con il quale è stato disposto il rigetto del ricorso gerarchico proposto avverso il provvedimento di revoca della licenza di porto d'armi per difesa personale a tariffa ridotta ed il divieto di detenzione di armi e munizioni."





Pubblicato il 08/05/2018
N. 05068/2018 REG.PROV.COLL.

N. 05143/2012 REG.RIC.

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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Prima Ter)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 5143 del 2012, proposto da
xxx xxx, rappresentato e difeso dagli avvocati Laura Furno, Luca Santini, con domicilio eletto presso lo studio Luca Santini in Roma, viale Carso, 23;
contro

Ministero dell'Interno, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
per l'annullamento

-del provvedimento del Ministero dell’Interno del 30 dicembre 2011, not. in data 2 aprile 2012, con il quale è stato disposto il rigetto del ricorso gerarchico proposto avverso il provvedimento di revoca della licenza di porto d'armi per difesa personale a tariffa ridotta ed il divieto di detenzione di armi e munizioni.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero dell'Interno;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 24 aprile 2018 il dott. Alessandro Tomassetti e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

Con il ricorso in epigrafe, l’odierno ricorrente impugna il provvedimento del Ministero dell’Interno del 30 dicembre 2011, notificato in data 2 aprile 2012, con il quale è stato disposto il rigetto del ricorso gerarchico proposto avverso il provvedimento di revoca della licenza di porto d'armi per difesa personale a tariffa ridotta ed il divieto di detenzione di armi e munizioni.

Deduce il ricorrente i seguenti fatti.

Il sig. xxx xxx è stato titolare di licenzia di porto di pistola dal 1996 e, durante il periodo che va dal 1996 al 2010, ha svolto volontariamente attività di guardia giurata venatoria nel Nucleo Provinciale di Torino.

Il ricorrente è incensurato non essendo mai incorso in pregiudizi di carattere penale; nel 1995 egli veniva sottoposto a procedimento penale per il reato di cui all’art. 588 c.p. La posizione del ricorrente, tuttavia, veniva stralciata ed archiviata per mancanza dei presupposti per l’esercizio dell’azione penale nei suoi confronti in data 17 aprile 1996.

Dal 1995 al 2010, il ricorrente ha svolto attività lavorativa come addetto alla sicurezza industriale e, in particolare, ha lavorato presso la Sirio – Sicurezza industriale s.r.l dal 1999 al 2010.

A fine giugno del 2010, il ricorrente vedeva interrompersi il rapporto di lavoro con la predetta azienda. Il licenziamento avveniva poiché l’azienda contestava al lavoratore di aver tenuto, in orario di lavoro, una “condotta di estrema gravità”, lesiva della “dignità della lavoratrice destinataria”. Tale condotta veniva ritenuta “tale da determinare una situazione di rilevante disagio alla persona e lesione alla integrità della sfera sessuale”.

Sul punto, il ricorrente ritiene che tale situazione sia da riferirsi al fatto che egli aveva spontaneamente riferito ai propri superiori di aver compiuto un atto di autoerotismo all’interno dello spogliatoio femminile in orario notturno.

Il racconto di tale fatto, che il ricorrente assume non essere corrispondente al vero, risulta motivato dalla volontà dello stesso ricorrente di ottenere il trasferimento presso altra sede ove non avrebbe più dovuto svolgere il turno di notte.

Contrariamente a quanto atteso dal sottoscritto, tuttavia, il racconto del fatto conduceva al licenziamento del lavoratore.

A seguito dell’avvenuto licenziamento, il ricorrente adiva il competente Giudice del Lavoro contestando la legittimità del suo allontanamento.

In data 5 agosto 2010, l’esponente e la Società datrice di lavoro siglavano avanti al Tribunale di Torino un verbale di conciliazione e transazione mettendo così fine alla vertenza. Nonostante la chiusura della vicenda con l’azienda in relazione al tale supposto episodio, in data 4.8.10, il personale della Questura di Torino, Commissariato di P.S. “Madonna di Campagna” si recava presso l’abitazione del ricorrente ove provvedeva all’acquisizione delle armi da questi legalmente detenute, nonché del porto d’armi n. 780084 e n. 746177-M (uso sportivo).

In data 20 settembre 2010, il ricorrente riceveva la comunicazione del Prefetto di Torino del 9 settembre 2010, emessa ai sensi degli art. 7 e 8 L. 241/90, ove si dava comunicazione dell’avvio del procedimento di revoca della licenza di porto di pistola uso difesa personale con conseguente divieto di detenzione di armi e munizioni, ciò in quanto il titolare “ha messo in atto comportamenti non consoni sia alla qualifica di guardia particolare giurata volontaria che alla autorizzazioni in materia di porto e detenzione di armi”.

A seguito di tale notifica l’esponente faceva pervenire memoria difensiva. Nonostante ciò, in data 15 novembre 2010, gli veniva notificato provvedimento adottato dal Prefetto di Torino n. 4264/g Area I ter del 2 novembre 2010, con il quale il Prefetto disponeva la revoca della licenza di porto di pistola ad uso difesa personale a tariffa ridotta, rilasciata per lo svolgimento dell’attività volontaria di guardia venatoria ed ittica ed altresì vietava la detenzione di qualsiasi tipo di arma e di munizione.

Avverso tale provvedimento, l’esponente proponeva ricorso gerarchico avanti al Ministero dell’Interno che con provvedimento Prot. n. 557/ PAS. 635.10171.81 del 30 dicembre 2011, notificato il 2 aprile 2012, disponeva il rigetto del ricorso gerarchico presentato dal ricorrente in data 13.12.10.

Si è costituita in giudizio l’Amministrazione resistente.

Alla udienza del 24 aprile 2018, il ricorso è stato trattenuto in decisione dal Collegio.

Il ricorso è infondato.

L'art. 39, R.D. n. 773/1931 dispone che “Il Prefetto ha facoltà di vietare la detenzione delle armi, munizioni e materie esplodenti, denunciate ai termini dell'articolo precedente, alle persone ritenute capaci di abusarne”. L'art. 43, R.D. n. 773/1931 dispone che “oltre a quanto è stabilito dall'art. 11 non può essere conceduta la licenza di portare armi: a) a chi ha riportato condanna alla reclusione per delitti non colposi contro le persone commessi con violenza, ovvero per furto, rapina, estorsione, sequestro di persona a scopo di rapina o di estorsione; b) a chi ha riportato condanna a pena restrittiva della libertà personale per violenza o resistenza all'autorità o per delitti contro la personalità dello Stato o contro l'ordine pubblico; c) a chi ha riportato condanna per diserzione in tempo di guerra, anche se amnistiato, o per porto abusivo di armi. La licenza può essere ricusata ai condannati per delitto diverso da quelli sopra menzionati e a chi non può provare la sua buona condotta o non dà affidamento di non abusare delle armi”.

Osserva il Collegio, in particolare, che il potere riconosciuto all’Amministrazione in materia di armi, è connotato da elevata discrezionalità, in considerazione dei rischi di commissione di illeciti connessi al possesso delle stesse. Ne consegue che il rinnovo della licenza di porto di fucile, così come il diniego di detenere armi o munizioni, non richiede un oggettivo ed accertato abuso delle armi, essendo sufficiente che il soggetto non dia affidamento di non abusarne, sulla base del prudente apprezzamento di tutte le circostanze di fatto rilevanti nella concreta fattispecie da parte dell'Autorità amministrativa (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 10 maggio 2006, n. 2576; sez. III, 10 ottobre 2014, n. 5039 e 31 marzo 2014, n. 1521).

Si tratta, dunque, di un giudizio prognostico che ben può essere basato su elementi anche soltanto di carattere indiziario, stante il potenziale pericolo per la sicurezza pubblica rappresentato dalla possibilità di utilizzo delle armi possedute (cfr. Cons. Stato sez. VI, 11 dicembre 2009, n. 7774 e 29 gennaio 2010, n. 379).

Nel caso di specie, non appare sussistente alcun vizio di istruttoria o di motivazione considerato che, come riportato nei provvedimenti impugnati, dagli atti di istruttoria effettuati è emerso un comportamento anomalo del ricorrente durante svolgimento dell’attività lavorativa.

Sotto tale profilo, dunque, appare corretta la motivazione del provvedimento relativamente alla assenza delle condizioni, in capo al ricorrente, per la detenzione di armi, munizioni e materia esplodente.

Del resto, occorre anche sottolineare che l'orientamento della giurisprudenza appare consolidato nell'affermare che “anche un comportamento non penalmente sanzionabile può costituire espressione di una capacità di abuso dell'arma e, quindi, venire assunto a sintomo di pericolosità sociale” (Cons. Stato, sez. I, n. 3010 del 22.10.2003) e che “la valutazione discrezionale attraverso la quale l'Autorità di P.S previene il verificarsi di situazioni di pericolo o di danno nei confronti della collettività, ove congruamente motivata non è sindacabile in sede di legittimità a meno che non risulti improntata a criteri illogici o arbitrari” (Cons. Stato, sez. I, n. 2840 del 20.11.2002; Cons. Stato, sez. I, n. 3803 del 15.1.2003).

La valutazione compiuta dall'Amministrazione, tenuto conto dell'ampia discrezionalità di cui gode a tal riguardo, riposa, dunque, sufficientemente sulla situazione del ricorrente che evidenzia la presenza di elementi suscettibili di incidere sul requisito della affidabilità nell’uso delle armi.

Sotto tale profilo, dunque, il Collegio rileva la legittimità della motivazione e dell’istruttoria posta a fondamento del provvedimento impugnato che ha dato rilievo preminente al menzionato comportamento anomalo del ricorrente nello svolgimento dell’attività lavorativa.

Appare, peraltro, evidente che, in sede di eventuale presentazione di una nuova istanza volta alla autorizzazione al possesso di armi, le eventuali circostanze fattuali modificate potranno essere valutate dalla competente Autorità amministrativa, che dovrà verificarle alla luce della complessiva condotta del richiedente, al fine di valutare se ricorrano o meno le condizioni di legge ai fini del rilascio della autorizzazione.

Conseguentemente e per i motivi esposti, il ricorso è infondato e, pertanto, deve essere respinto.

Le spese, in considerazione della sussistenza di giusti motivi, possono essere compensate per intero tra le parti.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Ter), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 24 aprile 2018 con l'intervento dei magistrati:

Germana Panzironi, Presidente

Alessandro Tomassetti, Consigliere, Estensore

Francesca Romano, Referendario

L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Alessandro Tomassetti Germana Panzironi
IL SEGRETARIO

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