Translate

giovedì 3 aprile 2014

Cassazione: Ordine pubblico e manifestazioni sportive: è legittimo il divieto di accesso agli impianti sportivi con obbligo della "doppia firma" per il tifoso razzista.



Corte di cassazione
Sezione III penale
Sentenza 2 ottobre 2013, n. 12351

RITENUTO IN FATTO

1.1. Con ordinanza del 9 gennaio 2013 il G.I.P. del Tribunale di Busto Arsizio ha convalidato il provvedimento del Questore di detta città reso il 5 gennaio 2013 e notificato in pari data con il quale veniva imposto nei confronti di A. Lorenzo, B. Davide, M. Tommaso, A. Nicolò, B. Stefano e G. Riccardo - tutti indagati per il reato di cui agli artt. 110 c.p. e 2 della l. 205/1993 - il divieto di accedere a tutti gli impianti sportivi del territorio nazionale e degli Stati membri della U.E. sedi di competizioni agonistiche, per la durata di anni cinque, oltre all'obbligo di presentazione agli Uffici di Polizia in orari determinati in coincidenza con le partite in campo interno ed esterno, anche di carattere amichevole, disputate dalla squadra della Pro Patria nei campionati nazionali e nelle coppe e trofei nazionali ed internazionali.

1.2. Avverso la detta ordinanza propongono ricorso, a mezzo dei rispettivi difensori, tutti gli indagati. Lamenta la difesa del B., quale primo motivo, il mancato esame da parte del G.I.P. della memoria difensiva data 8 gennaio 2013, vizio ancor più evidente in relazione alla circostanza che nelle premesse del provvedimento il G.I.P. faceva invece menzione delle memorie presentate da altri ricorrenti (A., G. e B.). Lamenta, con un secondo motivo, carenza di motivazione in ordine ai presupposti legittimanti la misura amministrativa, tra i quali, segnatamente, la riconducibilità della condotta al B. E, con riferimento a tale profilo evidenzia l'ulteriore violazione di legge in cui sarebbe incorso il G.I.P. nell'avere ritenuto utilizzabili le dichiarazioni di A. Lorenzo, in spregio all'art. 64 c.p.p., peraltro rese non spontaneamente, come menzionato nel provvedimento, ma su esplicite domande della P.G. nonostante l'A. fosse soggetto già potenzialmente indagato per il reato di cui all'art. 2 della l. 205/1993. Con un terzo motivo la difesa del ricorrente deduce il difetto di motivazione e la sua manifesta illogicità con riferimento alla ritenuta portata razzista delle espressioni pronunciate, in realtà dirette nei confronti di tutti indistintamente i giocatori della squadra ospite non appena entravano in possesso della palla ed in particolare rilevava l'illogicità della motivazione nella parte relativa alla qualificazione come di tipo razzista consistita in segni di disapprovazione gutturale espressi rumorosamente da uno sparuto gruppo di tifosi della squadra locale. Analogo vizio denuncia la difesa del B. con riferimento alla parte della ordinanza nella quale con richiamo per relationem al provvedimento del questore impone al B. l'obbligo di presentazione periodica agli Uffici di P.S. in orari prestabiliti e la cd. "doppia firma". Lamenta, a tale proposito, la mancanza di motivazione in ordine alla pericolosità del B.

1.3. Il difensore di A. Lorenzo denuncia con un primo motivo, contraddittorietà della motivazione e/o sua manifesta illogicità con specifico riferimento alla condotta antirazziale ritenuta nel provvedimento impugnato, evidenziando come i segni di disapprovazione rivolti al calciatore della squadra ospite Boateng avessero attinenza ad attriti personali tra l'atleta e la tifoseria per questioni calcistiche, senza alcun riferimento alla sua razza o al colore della sua pelle. Lamenta ancora che il G.I.P. ha ritenuto erroneamente di stampo razzista l'espressione fonetica "buuuuu", piuttosto che segno di disapprovazione solitamente espresso dai tifosi di una squadra verso i giocatori della squadra avversaria e sempre e solo per questioni sportive. Con un secondo motivo il difensore lamenta contraddittorietà della motivazione e/o sua manifesta illogicità in ordine alla attribuibilità della condotta incriminata all'A.; alla gravità e pericolosità di tale condotta; alla valutazione dei presupposti di necessità ed urgenza, con specifico riferimento all'ulteriore obbligo della "doppia firma", nonché violazione di legge per erronea applicazione dell'art. 6, comma 2, della l. 401/1989. Con un terzo motivo la difesa lamenta violazione di legge, relativamente a quella parte dell'ordinanza che ha convalidato il divieto di accesso ad impianti sede di gare amichevoli, per inosservanza del principio della determinatezza.

1.4. Il difensore dei ricorrenti B., G., A. e M. denuncia quale primo motivo l'inosservanza ed erronea applicazione dell'art. 6, commi 1 e 2, della l. 401/1989. Con un secondo motivo lamenta violazione delle norme processuali (artt. 350, commi 2, 3 5 e 6; 63 e 64 c.p.p.) nella parte dell'ordinanza nella quale si ritengono utilizzabili le dichiarazioni rese dai detti soggetti alla P.G. erroneamente qualificate come spontanee e rese da soggetti potenzialmente indagati in assenza del difensore. Con un terzo motivo si censura la mancanza, o contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione con riguardo alla qualificazione della condotta non rientrante - contrariamente a quanto ritenuto dal Giudice - nel paradigma normativo dell'art. 2, comma 2, della l. 205/1093. Con un quarto motivo la difesa lamenta mancanza di motivazione in ordine alla durata della misura, alla gradualità e proporzionalità di essa e infine in ordine alle modalità di presentazione agli Uffici di P.S., evidenziando, in particolare, l'assenza di motivazione da parte del giudice con riferimento al requisito della pericolosità.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Nessuno dei ricorsi è fondato.

2. Si ritiene utile riepilogare per estrema sintesi i fatti che hanno caratterizzato la vicenda in esame. Il 3 gennaio 2013 in occasione di una partita amichevole disputata alla stadio comunale Speroni di Busto Arsizio tra la squadra locale "Pro Patria" militante nel campionato della Lega Professionisti di serie "C" e la squadra del Milan militante nel campionato di serie "A" (fermo per ricorrenze natalizie), alcuni spettatori posizionati nel settore "popolari scoperti" indirizzavano segni di disapprovazione caratterizzati dal suono gutturale "Buuuuuu" all'indirizzo dei giocatori di colore della squadra meneghina, non appena essi entravano in possesso della palla. Uno dei calciatori fatti segno a questi gesti, esasperato, arrestava il gioco mentre era in possesso della palla, lanciava la stessa all'indirizzo degli spettatori che lo insultavano e abbandonava il terreno di gioco seguito immediatamente dagli altri compagni di squadra: la gara veniva quindi sospesa.

3. Tanto precisato, prima di esaminare i motivi comuni a tutti i ricorrenti relativa ai vizi di motivazione del provvedimento, si ritiene indispensabile affrontare due punti più strettamente riguardanti la violazione di norme processuali in tema di rispetto del principio del contraddittorio (ricorrente B.) e di utilizzabilità processuale degli atti (dedotto dai difensori dei ricorrenti A., B., M., A. e G.).

3.1. Il primo profilo riguarda - come detto - esclusivamente la posizione del ricorrente B. Davide il quale lamenta il mancato esame da parte del G.I.P. della memoria difensiva presentata l'8 gennaio 2013, a fronte della presa in considerazione delle memorie di altri coindagati presentate prima dell'adozione del provvedimento di convalida.

3.2. Rileva il Collegio che la censura, in quanto generica in ordine alla indicazione del contenuto della memoria e, in particolare alle specifiche deduzioni difensive enunciate nell'atto ed alla loro potenziale incidenza sulla valutazione del giudice, è inammissibile.

3.3. Quanto al motivo afferente alla inosservanza da parte del G.I.P. delle regole in tema di utilizzabilità degli atti le relative censure difensive sono indirizzate, per un verso, alla indebita qualificazione delle dichiarazioni rese dai soggetti indagati alla P.G. come "spontanee" laddove esse risulterebbero inframmezzate da domande rivolte dagli organi di polizia ai singoli indagati che tolgono valenza di spontaneità a tali dichiarazioni; per altro verso, alla indebita utilizzazione di dichiarazioni rese da soggetti che, potenzialmente indagati, avrebbero reso tali dichiarazioni, tutt'altro che spontanee, in assenza del difensore. Tali violazioni processuali riverberano i loro effetti sulla attribuibilità delle condotte agli odierni ricorrenti, affermata solo grazie alle indicazioni fornite da uno di costoro, A. Lorenzo, che avrebbe poi fatto i nomi degli altri componenti il gruppo dei supporters che intonavano quei cori di disapprovazione.

3.4. Nessuno di tali profili è condivisibile: l'errore di fondo in cui incorrono i ricorrenti è quello di considerare inutilizzabili nella fase delle indagini preliminari le dichiarazioni spontanee rese da soggetti indagati. Invero tutta la giurisprudenza di questa Corte è assolutamente concorde nell'affermare che il divieto di utilizzazione di dichiarazioni spontanee rese da un indagato ex art. 350, comma 7, c.p.p. vige solo per la fase dibattimentale e non per la fase delle indagini preliminari, in cui tali dichiarazioni possono ben essere rese ed utilizzate anche contro terzi (v. tra le tante oltre SS.UU., 25 settembre 2008, n. 1150, Correnti, Rv. 241884, v. Sez. 6, 11 luglio 2006, n. 24679, P.M. in proc. Adamo e altro, Rv. 235136; idem, 2 dicembre 2004, n. 4152, Bertoldi e altro, Rv. 231304; più di recente Sez. 5, 20 febbraio 2013, n. 18519, P.G. in proc. Ballone e altri, Rv. 256236).

3.5. Nel caso di specie le dichiarazioni sono state rese dai soggetti sopramenzionati nella quasi immediatezza del fatto e peraltro quando ancora la situazione che li riguardava non era ben definita occorrendo in effetti chiarire chi si fosse effettivamente reso protagonista di determinati fatti.

3.6. Ma a ben vedere anche l'aspetto della asserita non spontaneità delle dichiarazioni è in realtà privo di consistenza: è infatti inimmaginabile che una persona invitata dalla polizia giudiziaria a raccontare quanto sia accaduto sotto i suoi occhi sia assimilabile a una persona interrogata dagli inquirenti. È stato infatti precisato che le dichiarazioni spontanee rese dall'indagato nell'immediatezza del fatto e riferite nell'informativa confermata dal verbalizzante, seppure sollecitate dalla polizia giudiziaria, non sono assimilabili all'interrogatorio in senso tecnico (Sez. 3, 13 novembre 2008, n. 46040, Bamba, Rv. 241776). Ne consegue che per l'assunzione di tali dichiarazioni non è necessario il previo invito alla nomina del difensore né l'avvertimento circa la facoltà di non rispondere. In sintesi, come chiarito dalla ricordata sentenza delle SS.UU. 1150/2008, alle dichiarazioni spontanee, rese alla polizia giudiziaria non è applicabile la disciplina dell'art. 63 c.p.p. comma 2, ma esclusivamente quella di cui all'art. 350 c.p.p. comma 7.

3.7. In ogni caso, come affermato in altra occasione dalla giurisprudenza di questa Corte, fermo restando il fatto che per dichiarazioni spontanee vanno intese quelle rese al di fuori di sollecitazioni contestazioni o domande rivolte dalla Polizia giudiziaria (in questo senso, Sez. 4, 25 febbraio 2011, n. 15018, Amata, Rv. 250228; Sez. 3, 46040/2008 cit.), compete al giudice il compito di valutare, nell'ottica di garanzia della genuinità e legalità delle prove poste a fondamento della sua decisione, la spontaneità di quelle dichiarazioni le quali potranno definirsi tali, al di là della denominazione attribuita dalla Polizia che le ha ricevute, solo quando il giudice le abbia valutate sulla base degli elementi, anche di tipo logico, a sua disposizione in modo da verificare in concreto se fosse ravvisabile la spontaneità ovvero se si fosse in presenza di dichiarazioni indotte (Sez. 3, 7 giugno 2012, n. 36596, Osmanovic, Rv. 253575).

3.8. Peraltro nel caso in esame non è nemmeno possibile esprimere qualsivoglia giudizio in merito alla presunta non spontaneità delle dichiarazioni in quanto nessuno dei difensori, pur accennando al fatto che le notizie riferite dai ricorrenti non erano spontanee bensì sollecitate, ha chiarito in che modo fossero avvenute o formulate tali sollecitazioni, sicché il rilievo difensivo pecca anche di genericità che rende del tutto infondata la censura.

3.9. Se così è, appare corretta la conclusione cui è pervenuto il giudice nell'attribuire agli odierni ricorrenti la commissione del gesto incriminato per le ragioni specificamente indicate a pag. 3 del provvedimento impugnato).

4. Possono adesso esaminarsi le altre censure afferenti a vizio di motivazione ed erronea applicazione della legge penale, in ordine alle quali osserva il Collegio quanto appresso.

4.1. Il testo originario della l. 401/1989 nella parte relativa alla sicurezza nelle competizioni sportive, nel tempo ha poi subito importanti modifiche in coincidenza con l'accentuarsi e la progressiva degenerazione del fenomeno della violenza in ambito di manifestazioni sportive.

Infatti al d.l. 22 dicembre 1994 convertito nella l. 24 febbraio 1995, n. 45, è seguito altro d.l. 20 agosto 2001, n. 336 convertito nella l. 19 ottobre 2001, n. 377; ancora, il d.l. 24 febbraio 2003, n. 28, convertito nella l. 24 aprile 2003, n. 88; successivamente il d.l. 17 agosto 2005, n. 162, convertito nella l. 17 ottobre 2005, n. 210 (cd. legge Pisanu) e, in ultimo, il d.l. 8 febbraio 2007, n. 8, convertito nella l. 4 aprile 2007, n. 41 (cd. legge Amato), all'indomani dei violenti scontri tra tifosi e Polizia in occasione dell'incontro di calcio Catania vs. Palermo del 2 febbraio 2007 culminati con la morte dell'ispettore di Polizia Filippo Raciti ed il ferimento di numerosi agenti e tifosi della squadra etnea.

4.2. L'attuale testo dell'art. 6, comma 1, della l. 401/1989 come integrato dalle modifiche successive, prevede la possibilità per il Questore ("Il questore può") di disporre il divieto di accesso ai luoghi in cui si svolgono manifestazioni sportive specificamente indicate, nonché a quelli, specificamente indicati, interessati alla sosta, al transito o al trasporto di coloro che partecipano o assistono alle manifestazioni medesime alle persone "denunciate o condannate con sentenza anche non definitiva nel corso degli ultimi cinque anni per uno dei reati di cui all'articolo 4, primo e secondo comma, della legge 18 aprile 1975, n. 110, all'articolo 5 della legge 22 maggio 1975, n. 152, all'articolo 2, comma 2, del decreto-legge 26 aprile 1993, n. 122, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 giugno 1993, n. 205, e all'articolo 6-bis, commi 1 e 2, della presente legge, ovvero per aver preso parte attiva ad episodi di violenza su persone o cose in occasione o a causa di manifestazioni sportive, o che nelle medesime circostanze abbiano incitato, inneggiato o indotto alla violenza".

4.3. A propria volta il comma 2 dell'art. 6 citato recita "Alle persone alle quali è notificato il divieto previsto dal comma 1, il questore può prescrivere di comparire personalmente una o più volte negli orari indicati, nell'ufficio o comando di polizia competente in relazione al luogo di residenza dell'obbligato o in quello specificamente indicato, nel corso della giornata in cui si svolgono le manifestazioni per le quali opera il divieto di cui al comma 1".

4.4. Quanto al tenore dell'art. 2 della l. 205/2005, richiamato dall'art. 6 come uno dei presupposti per l'applicazione della misura amministrativa di polizia, lo stesso dispone al primo comma che "Chiunque, in pubbliche riunioni, compia manifestazioni esteriori od ostenti emblemi o simboli propri o usuali delle organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi di cui all'art. 3 della legge 13 ottobre 1975 n. 654, è punito con la pena della reclusione fino a tre anni e con la multa da lire duecentomila a lire cinquecentomila", mentre il successivo comma prevede che "è vietato l'accesso ai luoghi dove si svolgono competizioni agonistiche alle persone che vi si recano con emblemi o simboli di cui al comma 1. Il contravventore è punito con l'arresto da tre mesi ad un anno".

4.5. Tale norma ha innovato il precedente testo costituito dall'art. 3 della l. 654/1975 il quale disponeva al comma 2 che "È vietata ogni organizzazione o associazione avente tra i suoi scopi di incitare all'odio o alla discriminazione razziale. Chi partecipi ad organizzazioni o associazioni di tal genere, o presti assistenza alla loro attività, è punito per il solo fatto della partecipazione o dell'assistenza, con la reclusione da uno a cinque anni".

4.6. Rispetto a quest'ultimo testo, quello della legge "Mancino" si connota per una condotta che non richiede necessariamente la formazione di una organizzazione o associazione avente quale scopo quello dell'incitamento all'odio o alla discriminazione razziale, ma, molto più semplicemente, una condotta caratterizzata da manifestazioni percepibili ab externo o, in alternativa o aggiunta, l'ostentazione di simboli o emblemi propri delle organizzazioni contemplate dall'art. 3 della l. 654/1975: dunque è sufficiente anche una manifestazione, anche da parte di un singolo non necessariamente facente parte di un gruppo, che, in qualche modo, riconduca all'odio o discriminazione razziale perché possa trovare applicazione tale norma e conseguentemente l'art. 6 della l. 401/1989 che espressamente la richiama.

4.7. Quanto al significato da attribuire al termine "manifestazioni esteriori", è ovvio che si deve trattare di condotte non necessariamente teatrali, ravvisabili non solo "quando l'azione, per le sue intrinseche caratteristiche e per il contesto in cui si colloca, risulta intenzionalmente diretta a rendere percepibile all'esterno e a suscitare in altri analogo sentimento di odio e comunque a dar luogo, in futuro o nell'immediato, al concreto pericolo di comportamenti discriminatori, ma anche quando essa si rapporti, nell'accezione corrente, al pregiudizio manifesto di inferiorità di una sola razza, non avendo rilievo la mozione soggettiva dell'agente.". (Sez. 5, 9 luglio 2009, n. 38597, P.C. in proc. Finterwlad, Rv. 244822; cfr. anche Sez. 5, 28 gennaio 2010, n. 11590, P.G. in proc. Singh, Rv, 246892, secondo la quale l'azione si deve manifestare come "consapevole esteriorizzazione, immediatamente percepibile, nel contesto in cui è maturata, avuto anche riguardo al comune sentire di un sentimento di avversione o di discriminazione fondato sulla razza, l'origine etnica o il colore e cioè di un sentimento immediatamente percepibile come connaturato alla esclusione di condizioni di parità").

4.8. Per completezza va detto che il quadro sanzionatorio penale come sopra citato ha poi indotto il legislatore sportivo, nell'ambito della riconosciuta autonomia dell'ordinamento sportivo nella materia disciplinare in forza della l. 280/2003, ad emanare, a tutela delle tranquillità delle manifestazioni sportive, apposite norme contenute nel codice di giustizia sportivo della F.I.G.C. in vigore dall'1 luglio 2007 (art. 11).

4.9. Detto questo, occorre allora verificare se il vizio denunciato - assenza di motivazione, sua contraddittorietà ed illogicità manifesta quanto al significato da attribuire alla manifestazione di ostilità dimostrata dai ricorrenti - ricorra o meno nel caso di specie.

4.10. Con detto motivo, infatti, le difese dei ricorrenti intendono contestare la ricostruzione del fatto compiuta dal G.I.P. e segnatamente la circostanza che la "manifestazione esteriore" che gli indagati hanno posto in essere - il suono "buuuuuu" all'indirizzo del calciatore milanista Boateng - avesse un significato di tipo discriminatorio a sfondo razzista.

4.11. In linea generale il vizio di cui sopra, per costante indirizzo di questa Corte, sussiste quando il giudice, nel compiere l'esame degli elementi probatori sottoposti alla sua analisi e nell'esplicitare nel suo provvedimento l'iter logico seguito, si esprima attraverso una motivazione incoerente, incompiuta, monca e parziale. Più in particolare il concetto di illogicità manifesta presuppone una incoerenza palese percepibile ictu oculi, dovendo il sindacato di legittimità, al riguardo, essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purché siano spiegate in modo logico ed adeguato le ragioni del convincimento senza vizi di diritto (cfr. Cass., Sez. Un., 21 settembre 2003, n. 47289, Petrella, Rv. 226074; Sez. 3, 12 ottobre 2007, n. 40542, Marrazzo e altro, Rv. 238016). La nozione di contraddittorietà implica una affermazione o un ragionamento uguale e contrario rispetto ad altro vertente sul medesimo punto: tale vizio, introdotto dalla l. 46/2006, si manifesta sotto forma di incongruenza interna tra lo svolgimento del processo e la decisione, atteggiandosi, quindi, come una sorta di contraddittorietà "processuale" in contrapposizione alla contraddittorietà "logica" che è intrinseca al testo del provvedimento. Più in generale si parla di contraddittorietà della motivazione quando essa non sia adeguata in quanto non permette un agevole riscontro delle scansioni e degli sviluppi critici che connotano la decisione in relazione a ciò che è stato oggetto di prova (così Sez. 6, 14 gennaio 2010, n. 7651 P.G. in proc. Mannino, Rv. 246172). In ultima analisi il vizio in questione si sostanzia "nell'incompatibilità tra l'informazione posta alla base del provvedimento impugnato e l'informazione sul medesimo punto esistente in atti (si afferma ciò che si nega e si nega ciò che è affermato" (in termini Sez. 3, 21 novembre 2010, n. 12110, Campanella e altro, Rv. 243247) deve anche in questo caso trattarsi di vizio che deve (al pari della manifesta illogicità) risultare dal testo del provvedimento impugnato.

4.12. Tanto detto, nessun profilo di illegittimità è dato cogliere nel caso in esame in quanto la indicata ricostruzione del fatto si ricollega, nel percorso argomentativo sviluppato dal G.I.P., non già ad illazioni indimostrate ed illogiche, ma ai contenuti della comunicazione di notizia di reato a firma del Questore ed alle dichiarazioni del verbalizzante Di Dio Paolo, Assistente della Polizia di Sato presente ai fatti il quale - si legge nell'ordinanza impugnata - "dava conto che i cori erano stati intonati sin dall'inizio dell'azione di giuoco dagli ultras locali all'indirizzo dei giocatori di colore ad ogni tocco di palla da parte degli stessi" (pag. 3 dell'ordinanza in esame). Prosegue poi il giudice ricordando che così come argomentato dal Questore nel provvedimento a sua firma "i cori indirizzati ai calciatori della squadra ospitata avevano chiaro intento razzista e non semplicemente goliardico" (pag. 3 cit.).

4.13. Il giudice ha etichettato i versi di disapprovazione accompagnati dal suono gutturale "buuuuuu" come tipico riferimento all'ululato delle scimmie che portava alla identificazione del nero come appartenente alla famiglia dei primati, con evidenti connotati di carattere razzista.

4.14. Si tratta di una valutazione, rectius di una interpretazione, contrariamente a questo prospettato dalle difese dei ricorrenti, nient'affatto illogica o apodittica o frutto di mere illazioni, perché contestualizzata in uno scenario particolare che vedeva contrapposti tifosi locali e calciatori stranieri di pelle nera. Una contrapposizione non interpretabile come critica limitata all'ambito calcistico e diretta contro gli avversari, ma che trova la sua radice soltanto nello spirito di odio che porta determinati soggetti a discriminare persone da loro diverse per le ragioni più disparate legate a differenze etniche o di religione o di razza o (come in questo caso) per ragioni di colore.

4.15. Ne consegue che le conclusioni prospettate da tutti i ricorrenti circa il diverso significato - rispetto a quello individuato dal giudice - da attribuire al suono "buuuuuuu", nel senso di mero, ancorché plateale, gesto di disapprovazione connotato da elevata dose di maleducazione, non sono da condividere, perché non tengono conto di alcuni dati fattuali inoppugnabili presi a base dal giudice per giustificare il proprio convincimento.

4.16. Né quei suoni possono definirsi di significato neutro come preteso dal difensore del ricorrente B., laddove si pensi alla reazione, magari scomposta dal punto di vista sportivo, del calciatore fatto segno a tali attacchi, consistita nell'arrestare il gioco, prendere la palla con le mani e calciarla violentemente contro il punto in cui si trovavano gli spettatori ululanti in segno di reazione.

4.17. Così come l'analisi quasi anatomica del significato del suono gutturale compiuta dalla difesa del ricorrente A., oltre a non cogliere nel segno per la sua intrinseca inconsistenza, si profila come una vera e propria censura in fatto, nella misura in cui prospetta una alternativa interpretazione del verso previa distinzione tra il suono "buuuuuuu", da intendersi solo quale gesto di disapprovazione ed il suono "uh, uh, uh, uh, uh" accostabile, invece, secondo la prospettazione difensiva al verso delle scimmie ma, nel caso in esame, non pronunciato, né percepito all'esterno.

4.18. Ancora una volta va sottolineato che il giudice è pervenuto alla conclusione della natura razzista del verso sulla base di una serie di dati oggettivi segnalati nella comunicazione della notizia di reato e raccolti da parte di soggetti che si trovano suoi luoghi vivendo in diretta quelle scene: segnalazioni che chiariscono come quei versi rievocanti il suono gutturale animalesco venivano adoperati indistintamente nei confronti di tutti i giocatori di colore del Milan non appena toccavano la sfera di gioco e non nei confronti di un determinato giocatore.

4.19. Perde quindi consistenza il rilievo difensivo secondo il quale l'unico calciatore ad essere preso di mira fosse il giocatore Boateng, ma per questioni diverse dall'appartenenza ad una determinata etnia o razza o per il suo colore della pelle; così come non risulta emergere dagli atti che anche giocatori non di colore militanti nella squadra del Milan fossero stati fatti oggetto dei medesimi cori (l'accenno è al giocatore El Shaarawy - pag. 4 ricorso A.).

4.20. E non è superfluo ricordare - per come segnalano di frequente le cronache sportive - che il verso "buuuuuuu" viene intonato solitamente da determinate frange accanite della tifoseria organizzata nei confronti di calciatori di colore appartenenti alle varie squadre militanti nel campionato di calcio, o come segno di discriminazione verso il colore nero o come segno di accostamento al verso delle scimmie, tanto da aver indotto gli stessi organi della Federazione Italiana Giuoco Calcio ad intervenire per stroncare sul nascere simili intemperanze proponendo la sospensione delle gare in corso in occasione delle quali dovessero accadere simili eventi.

4.21. Quanto sin qui detto vale a confermare il dato che suoni gutturali come quelli pronunciati dai sostenitori della Pro Patria, lungi dal costituire manifestazioni di dissenso o di critica o disapprovazione simili a quelle che normalmente si sentono a teatro o in manifestazioni politiche o anche allo stadio (così, testualmente, pag. 3 del ricorso A.), avevano quale unico connotato quello di ghettizzare determinati giocatori per questioni razziali ed offenderne la loro dignità. Tanto permette allora di ricondurre la fattispecie in esame nell'orbita dell'art. 6, comma 1, della l. 401/1989.

5. Proseguendo nella disamina degli altri requisiti richiesti dall'art. 6, comma 2, della l. 401/1989 per l'adozione della misura amministrativa e della successiva convalida, requisiti che i ricorrenti ritengono insussistenti, censurando sul punto la decisione del G.I.P. che li ha, invece, ritenuti tali, si osserva quanto segue.

5.1. La regola generale elaborata dalla giurisprudenza di questa Corte prevede che siano ricorrenti oltre alla attribuibilità al destinatario del provvedimento delle condotte addebitate e la loro riconducibilità ad una delle ipotesi previste dall'art. 6 della l. 401/1989, le seguenti ulteriori condizioni: a) le ragioni di necessità ed urgenza che hanno indotto il Questore ad adottare il provvedimento; b) la pericolosità concreta ed attuale del soggetto; c) la congruità della durata della misura (per tutte, Sez. 3, 15 aprile 2010, n. 20789, Beani, Rv. 247186). Peraltro questa Corte ha avuto modo di precisare che, laddove la motivazione in ordine alla ricorrenza di tali requisiti, o anche di uno di essi, risulti carente o manifestamente illogica, ricorre il vizio di violazione di legge ricorribile in sede di legittimità (Sez. 4, 18 settembre 2012, n. 43118, Iannini, Rv. 253642).

5.2. In particolare, con riferimento agli aspetti della necessità ed urgenza, è stato affermato quanto al primo, che la relativa motivazione non richiede necessariamente l'uso di formule esplicite "ben potendo la sussistenza di detto requisito desumersi anche dalla gravità del fatto e dalla pericolosità del soggetto, essendo palese, in tali casi, l'esigenza di garantire, con l'obbligo di presentazione, l'osservanza del divieto" e quanto, al secondo, che l'omessa motivazione determina l'invalidità della misura amministrativa solo nel caso in cui, "tra la notifica all'interessato e l'adozione dell'ordinanza di convalida si collochi una manifestazione sportiva in coincidenza della quale l'interessato abbia dovuto ottemperare all'obbligo di presentazione, secondo quanto stabilito dal terzo comma, prima parte, del citato art. 6 della legge n. 401/1989" (Sez. 7, Ord. 26 ottobre 2006, Licciardello, Rv. 234961).

5.3. È stato, ancora, affermato che l'"urgenza" non va rapportata al tempo dei fatti ascritti al ricorrente, cioè agli episodi di violenza che hanno fatto scattare la "necessità" della misura, ma va parametrata all'imminente profilarsi di un'occasione di reiterazione delle condotte violente: dunque, all'attualità o comunque prossimità temporale di competizioni sportive" (così Sez. 3, 5 maggio 2009, n. 33532, Brodosi, Rv. 244779). Ciò in quanto il criterio informatore della norma speciale che autorizza il Questore a limitare - salvo il successivo tempestivo controllo giurisdizionale - la libertà di movimento del cittadino, è costituito dalla necessità di intervenire in situazioni potenzialmente pericolose per la sicurezza della collettività di imminente verificazione sì da rendere impossibile attendere una preventiva autorizzazione dell'autorità giudiziaria.

5.4. Con riferimento al requisito della pericolosità essa va commisurata, per un verso, alla gravità dei fatti e, per altro verso, alle modalità con le quali essi siano stati posti in essere, senza che possa costituire ostacolo un eventuale stato di incensuratezza: naturalmente il giudizio va espresso in termini oltre che di concretezza anche di attualità, seguendo un criterio probabilistico proiettato nel futuro.

Va premesso che la misura in esame ha natura spiccatamente restrittiva in quanto incide direttamente sulla libertà personale perché impone al sottoposto un comportamento positivo che riguarda la sua persona e che ne limita inevitabilmente, sia pure in modo meno invasivo delle misure detentive, la libertà personale, va anche detto che lo scopo cui mira la disposizione di cui all'art. 6 della l. 401/1989 è quello di evitare la consumazione di reati attinenti alla tutela dell'ordine pubblico in occasione di manifestazioni di carattere sportivo da parte di soggetti che, per precedenti condotte, siano ritenuti socialmente pericolosi.

Ma la pericolosità, proprio perché particolare nel senso che talvolta può riguardare persone che hanno una normale vita di relazione estranea ai circuiti criminali, deve essere riguardata anche alla luce delle condotte in concreto poste in essere ed alla loro gravità e modalità di attuazione, sicché ai fini della convalida del provvedimento del Questore adottato ai sensi dell'art. 6 citato, deve essere necessariamente formulato un giudizio prognostico circa la pericolosità (intesa nel senso sopra precisato) del soggetto colpito dalla misura "de qua", al pari della valutazione che deve essere espressa in relazione all'applicazione di qualsiasi misura di prevenzione, finalizzata, appunto, a prevenire condotte valutate dal legislatore come pericolose (nel caso dell'art. 6 della l. n. 401/1989, condotte idonee a turbare l'ordine pubblico in occasione di manifestazioni sportive) (vds. Sez. 4, 29 gennaio 2009, n. 7094, Verrillo e altro non massimata).

Sarà ovviamente compito del giudice della convalida verificare se i fatti indicati dal Questore possano costituire indice sicuro della pericolosità intesa nella particolare accezione che risulta dal testo dell'art. 6.

5.5. Quanto alla congruità e durata della misura, questa va valutata in modo da poter garantire per il futuro il non ripetersi di determinate condotte antigiuridiche vietate dalla norma speciale, secondo un giudizio prognostico che abbia quale dato di riferimento la gravità e modalità di commissione del fatto.

5.6. Sul punto le Sezioni Unite di questa Corte hanno avuto modo di precisare che l'obbligo di controllo e di motivazione che incombe sul giudice della convalida deve investire tutti i presupposti di legittimità della misura di prevenzione ivi compresa la durata che, se ritenuta eccessiva, può anche essere congruamente ridotta (Sez. Un., n. 44273 del 12 novembre 2004, Labbia, Rv. 229110).

5.7. Quanto alla questione della cd. "doppia firma", più volte la giurisprudenza di questa Corte Suprema, pronunciandosi sull'opportunità e congruità di una doppia presentazione (la cd. "doppia firma") del sottoposto in occasione di gare di campionato, ha riconosciuto la legittimità di tale misura intesa a reprimere e prevenire in modo stringente qualsiasi episodio di violenza connesso a competizioni agonistiche: esigenza cui non si sottrae anche la circostanza - come quella prospettata dalla difesa - che tale obbligo venga previsto anche nel caso in cui la squadra di calcio per la quale l'obbligo venga predisposto, disputi la gara in trasferta.

5.8. Tale misura non può considerarsi in sé inutilmente vessatoria, profilandosi, al contrario, come strettamente funzionale all'esigenza prevenzionale perseguita. Si è infatti osservato che la "trasferta" in senso sportivo non sempre comporta spostamenti rilevanti o fra città diverse, soprattutto laddove si pensi ai campionati di rango inferiore alla serie A in cui le squadre partecipanti appartengono ad un contesto territoriale assai ristretto che consente spostamenti brevissimi con i mezzi più disparati ai tifosi per dare sfogo alla loro aggressività mentre la competizione è ancora in corso o è appena terminata (v. Sez. 3, 25 ottobre 2007, n. 43968, Bonomi, non massimata; in senso analogo Sez. 3, 17 dicembre 2008, n. 11151, Marchesini ed altro, Rv. 242989).

5.9. Ovvio, però, che anche in sede di legittimità, laddove la motivazione in merito al duplice obbligo - di per sé particolarmente limitativo della sfera di libertà - sia carente in punto di congruità, ovvero illogica rispetto a dati fattuali che rendano gratuitamente ed irragionevolmente odiosa la misura, è possibile in sede di legittimità una riduzione di ufficio ad una sola volta nel corso della stessa manifestazione previo annullamento senza rinvio dell'ordinanza di convalida (in termini Cass. Sez. 3, 15 aprile 2010, n. 20775, Porcile, Rv. 247181).

5.10. Anche con riferimento al divieto esteso alle gare amichevoli l'indirizzo sostanzialmente uniforme di questa Corte è nel senso di includere tale genere di gare tra quelle oggetto di divieto nei confronti di chi si sia reso responsabile di fatti di violenza ovvero, in altro modo, abbia violato il disposto dell'art. 6, commi 1 e 2, della l. 401/1989 (Sez. 3, 11151/2008 cit.; idem 16 febbraio 2011, Fratea, Rv. 249363; idem n. 43968/2007 cit.).

5.11. Va premesso che quando la norma di legge fa riferimento alle manifestazioni sportive "specificamente indicate" intende quelle gare determinabili dal destinatario in modo certo sulla base degli elementi di identificazione forniti nel provvedimento del Questore e di elementi di fatto esterni al provvedimento, ma generalmente noti attraverso i calendari ufficiali dei campionati e dei tornei o le notizie pubblicate nei mass-media. Ciò consente di individuare le partite amichevoli da parte soggetto intimato, anche perché, quale sostenitore della squadra si tiene solitamente al corrente di tutti gli impegni della sua squadra del cuore, a meno che si tratti di partite amichevoli minori escluse dalla normale pubblicità come nel caso degli incontri precampionato.

5.12. Alla stregua di quanto fin qui considerato è del tutto immune da vizi il provvedimento impugnato che si connota per una puntuale motivazione, esente da vizi logici manifesti, su ciascuno dei requisiti occorrenti per l'adozione e convalida sia della misura preventiva che dell'obbligo di presentazione periodica agli Uffici di Polizia in orari e giorni predeterminati.

5.13. Risulta in particolare analizzato il profilo della pericolosità desunto dal giudice dalle particolari modalità della condotta che, oltre a concretizzare un reato di una certa gravità giudicabile con il rito speciale direttissimo, ha riferimento ad un incontro amichevole che per definizione, come ricorda il provvedimento impugnato, non ha la stessa valenza emotiva tipica di una gara ufficiale in cui la violenza o l'esasperazione del tifo può avere una qualche giustificazione in relazione ad esigenze di classifica. Ciò a ribadire che una manifestazione di razzismo in occasione di una gara amichevole appare davvero un controsenso e dunque costituisce un indice sintomatico di una maggiore e ancor più ingiustificata virulenza di determinate manifestazioni esteriori del tifo.

5.14. Anche l'aspetto della necessità è affrontato in modo specifico e logico, in quanto il provvedimento viene ricollegato alla gravità dell'azione tale da costringere anche i giocatori non oggetto di cori a solidarizzare con il destinatario di quei versi ed abbandonare il terreno di gioco con intuibili rischi di possibili disordini tra le opposte tifoserie e ulteriori reazioni verso i giocanti della squadra del Milan rei di aver motu proprio sospeso la partita.

5.15. Il profilo della durata e congruità della [misura - n.d.r.] viene affrontato con cognizione di causa avendo come parametro di riferimento, ancora una volta, la gravità intrinseca della condotta e le conseguenze generate non solo sul giocatore Boateng ma sull'intera squadra, indotta a ritirarsi dal campo per la ricordata solidarietà con il calciatore. L'elevata durata trova quindi giustificazione da parte del Tribunale nell'ottica di stroncare sul nascere qualsiasi velleità di ripetizione di condotte similari in vista di incontri c.d. "a rischio", anche se non prossimi al luogo di residenza.

5.16. E considerazioni dello stesso tenore ritiene di dover svolgere il Collegio anche con riferimento alla estensione dei divieti ad incontri amichevoli, avendo, anche in questo caso, il G.I.P. evidenziato il rischio concreto di una vanificazione della misura laddove la non conoscibilità in anticipo delle manifestazioni sportive di carattere amichevole potrebbe costituire un facile alibi per il sottoposto onde eludere le disposizioni limitative a suo carico.

6. I ricorsi vanno, pertanto, rigettati. Segue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Depositata il 17 marzo 2014.

Nessun commento: