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mercoledì 21 novembre 2018

N. 198 SENTENZA 19 giugno - 14 novembre 2018 Giudizio di legittimita' costituzionale in via principale. Ambiente - Delega legislativa per l'attuazione di direttive comunitarie - Modifiche alla disciplina delle procedure di valutazione di impatto ambientale (VIA) e di verifica di assoggettabilita' a VIA contenuta nel codice dell'ambiente, introdotte con d.lgs. 104 del 2017. - Decreto legislativo 16 giugno 2017, n. 104 (Attuazione della direttiva 2014/52/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 aprile 2014, che modifica la direttiva 2011/92/UE, concernente la valutazione dell'impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati, ai sensi degli articoli 1 e 14 della legge 9 luglio 2015, n. 114), intero testo, nonche' artt. 3, comma 1, lettere g) e h); 4; 5; 8; 9; 12; 13, comma 1; 14; 16, commi 1 e 2; 17; 18, comma 3; 21; 22, commi 1, 2, 3 e 4; 23, commi 1, 2, 3 e 4; 24; 26, comma 1, lettera a), e 27. - (T-180198) (GU 1a Serie Speciale - Corte Costituzionale n.46 del 21-11-2018)

N. 198 SENTENZA 19 giugno - 14 novembre 2018

Giudizio di legittimita' costituzionale in via principale.

Ambiente  -  Delega  legislativa  per   l'attuazione   di   direttive
  comunitarie  -  Modifiche  alla  disciplina  delle   procedure   di
  valutazione  di  impatto  ambientale  (VIA)  e   di   verifica   di
  assoggettabilita'  a  VIA  contenuta  nel   codice   dell'ambiente,
  introdotte con d.lgs. 104 del 2017.
- Decreto legislativo  16  giugno  2017,  n.  104  (Attuazione  della
  direttiva 2014/52/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16
  aprile 2014, che modifica la direttiva 2011/92/UE,  concernente  la
  valutazione  dell'impatto  ambientale   di   determinati   progetti
  pubblici e privati, ai sensi degli articoli 1 e 14  della  legge  9
  luglio 2015, n. 114), intero  testo,  nonche'  artt.  3,  comma  1,
  lettere g) e h); 4; 5; 8; 9; 12; 13, comma 1; 14; 16, commi 1 e  2;
  17; 18, comma 3; 21; 22, commi 1, 2, 3 e 4; 23, commi 1, 2, 3 e  4;
  24; 26, comma 1, lettera a), e 27.

(GU n.46 del 21-11-2018 )
 

                       LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:
Presidente:Giorgio LATTANZI;
Giudici  :Aldo  CAROSI,  Marta  CARTABIA,  Mario   Rosario   MORELLI,
  Giancarlo CORAGGIO,  Giuliano  AMATO,  Silvana  SCIARRA,  Daria  de
  PRETIS, Nicolo' ZANON, Franco  MODUGNO,  Augusto  Antonio  BARBERA,
  Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANO',
     
    ha pronunciato la seguente

                              SENTENZA

    nei giudizi di legittimita' costituzionale  dell'intero  testo  e
degli artt. 3, comma 1, lettere g) e h); 4; 5; 8; 9; 12; 13, comma 1;
14; 16, commi 1 e 2; 17; 18, comma 3; 21; 22, commi 1, 2, 3 e 4;  23,
commi 1, 2, 3 e 4; 24; 26, comma 1, lettera  a),  e  27  del  decreto
legislativo 16  giugno  2017,  n.  104  (Attuazione  della  direttiva
2014/52/UE del Parlamento europeo e  del  Consiglio,  del  16  aprile
2014,  che  modifica  la   direttiva   2011/92/UE,   concernente   la
valutazione dell'impatto ambientale di determinati progetti  pubblici
e privati, ai sensi degli articoli 1 e 14 della legge 9 luglio  2015,
n.  114),  promossi  dalla  Regione  autonoma  Valle   d'Aosta/Vallee
d'Aoste, dalla Regione Lombardia, dalla Regione Puglia, dalla Regione
Abruzzo, dalla Regione Veneto, dalla Provincia  autonoma  di  Trento,
dalla Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, dalla Regione  autonoma
Sardegna, dalla  Regione  Calabria  e  dalla  Provincia  autonoma  di
Bolzano, con ricorsi,  il  primo,  spedito  per  la  notifica  il  1°
settembre, gli altri notificati il 30 agosto, il 1°-6  settembre,  il
4-6 settembre, il 4 settembre, il 4-7 settembre, il  1°-6  settembre,
il 4-7 settembre e il 4-11 settembre 2017, depositati in  cancelleria
il 5, 6, 7, 8, 13 e 14 settembre 2017, iscritti, rispettivamente,  ai
numeri da 63 a 71 e 73 del registro ricorsi 2017 e  pubblicati  nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica numeri da 41 a  45,  prima  serie
speciale, dell'anno 2017.
    Visti gli atti di costituzione del Presidente del  Consiglio  dei
ministri;
    uditi nell'udienza pubblica del 19 giugno 2018 i Giudici relatori
Franco Modugno e Augusto Antonio Barbera;
    uditi gli  avvocati  Francesco  Saverio  Marini  per  la  Regione
autonoma Valle d'Aosta/Vallee d'Aoste, Piera Pujatti per  la  Regione
Lombardia, Stelio Mangiameli per la Regione Puglia, Fabio Franco  per
la Regione Abruzzo, Andrea Manzi per la Regione Veneto,  Giandomenico
Falcon e Andrea Manzi per la Provincia autonoma  di  Trento,  Massimo
Luciani per la  Regione  autonoma  Friuli-Venezia  Giulia  e  per  la
Regione autonoma Sardegna, Aristide Police  e  Nicola  Greco  per  la
Regione Calabria, Renate von Guggenberg per la Provincia autonoma  di
Bolzano e l'avvocato dello Stato Gabriella Palmieri per il Presidente
del Consiglio dei ministri.

                          Ritenuto in fatto

    1.- Con ricorso notificato il 1° settembre 2017 e depositato il 5
settembre 2017 (reg. ric. n. 63 del 2017), la Regione autonoma  Valle
d'Aosta/Vallee  d'Aoste  ha  promosso   questioni   di   legittimita'
costituzionale, in riferimento agli artt. 3, 5, 76, 97,  117,  primo,
terzo e quinto comma, 118 e  120  della  Costituzione,  nonche'  agli
artt. 2, primo comma, lettere a), d), f), m), 3, 4 e 10  della  legge
costituzionale 26 febbraio 1948, n. 4 (Statuto speciale per la  Valle
d'Aosta), di alcune disposizioni del decreto  legislativo  16  giugno
2017, n. 104 (Attuazione della direttiva  2014/52/UE  del  Parlamento
europeo e  del  Consiglio,  del  16  aprile  2014,  che  modifica  la
direttiva  2011/92/UE,  concernente   la   valutazione   dell'impatto
ambientale di determinati progetti pubblici e privati, ai sensi degli
articoli 1 e 14 della legge 9 luglio 2015, n. 114), pubblicato  nella
Gazzetta Ufficiale n. 156 del 6 luglio 2017.
    1.1.- La ricorrente premette che il d.lgs. n.  104  del  2017  e'
stato adottato sulla base della delega  legislativa  conferita  dagli
artt. 1 e 14 della legge 9 luglio 2015, n. 114 (Delega al Governo per
il recepimento delle direttive europee e l'attuazione di  altri  atti
dell'Unione europea - Legge di delegazione europea 2014), al fine  di
dare attuazione alla direttiva 2014/52/UE del  Parlamento  europeo  e
del  Consiglio  del  16  aprile  2014,  che  modifica  la   direttiva
2011/92/UE del Parlamento europeo e del  Consiglio  del  13  dicembre
2011,  concernente  la   valutazione   dell'impatto   ambientale   di
determinati progetti pubblici e privati.
    Ad avviso della ricorrente,  l'atto  normativo  realizzerebbe  un
pervasivo riassetto del riparto delle competenze fra Stato e  Regioni
in materia di valutazione di impatto ambientale (VIA),  lesivo  delle
sue competenze costituzionali.
    La Regione censura, anzitutto, l'art. 5 del  d.lgs.  n.  104  del
2017, denunciando la violazione degli artt. 2, primo  comma,  lettere
a), d), f) e m), 3 e 4 del proprio statuto, nonche' degli artt. 3, 5,
76, 117, primo e  terzo  comma,  e  120  Cost.,  anche  in  relazione
all'art.  10  della  legge  costituzionale  18  ottobre  2001,  n.  3
(Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione).
    La norma impugnata aggiunge al decreto legislativo 3 aprile 2006,
n. 152, recante «Norme in materia ambientale» (da ora in poi,  anche:
cod. ambiente), l'art. 7-bis, recante «Competenze in materia di VIA e
di verifica di assoggettabilita' a VIA».
    La nuova disposizione, ai commi 2 e 3, ridisegna la distribuzione
delle competenze fra Stato e Regioni  in  relazione  ai  progetti  da
sottoporre a VIA e a verifica di assoggettabilita' a VIA,  assegnando
allo Stato i progetti di cui agli Allegati II e II-bis e alle Regioni
quelli di cui agli Allegati III e IV, Parte II, del d.lgs. n. 152 del
2006.  Stabilisce,  inoltre,  al  comma  4,  che  in   sede   statale
l'autorita' competente e' il Ministero dell'ambiente e  della  tutela
del territorio e del mare, che  esercita  le  proprie  competenze  in
collaborazione con il Ministero dei beni e delle attivita'  culturali
e del turismo per le attivita' istruttorie relative  al  procedimento
di  VIA,  soggiungendo  che   il   provvedimento   di   verifica   di
assoggettabilita' a VIA e' adottato  dal  Ministero  dell'ambiente  e
della tutela del territorio e del mare, mentre  il  provvedimento  di
VIA e' adottato nelle forme e con le modalita' di cui al  nuovo  art.
25, comma  2,  e  all'art.  27,  comma  8,  cod.  ambiente,  che  non
contemplano piu' - diversamente dal passato - il parere delle Regioni
interessate.
    La  nuova  disposizione  prevede,  ancora,  al   comma   7,   che
nell'ipotesi  in  cui  un  progetto  sia  sottoposto  a  verifica  di
assoggettabilita' a VIA o a VIA di competenza regionale, le Regioni e
le Province autonome di Trento e di Bolzano debbano assicurare che le
procedure siano svolte in conformita' agli articoli da 19 a 26  e  da
27-bis a 29 del d.lgs. n. 152 del 2006, stabilendo, altresi', che  il
procedimento di VIA si svolge con le modalita' di cui al citato  art.
27-bis:  con  la  conseguenza   che   tale   procedura   risulterebbe
disciplinata «integralmente dal centro».
    Il comma 8 circoscrive, poi, la potesta' normativa, legislativa e
regolamentare,  delle  Regioni  e  delle   Province   autonome   alla
disciplina dell'organizzazione e delle modalita' di  esercizio  delle
funzioni amministrative ad esse attribuite in materia di VIA, nonche'
all'eventuale conferimento di tali funzioni o  di  compiti  specifici
agli altri enti territoriali sub-regionali. La potesta' normativa  in
parola viene vincolata al rispetto della legislazione  europea  e  di
quanto previsto dal d.lgs. n. 152  del  2006,  fatto  salvo  solo  il
potere  di  stabilire  regole  particolari   e   ulteriori   per   la
semplificazione   dei   procedimenti,   per   le   modalita'    della
consultazione  del  pubblico  e  di   tutti   i   soggetti   pubblici
potenzialmente interessati, per il coordinamento dei provvedimenti  e
delle autorizzazioni di competenza regionale e locale, nonche' per la
destinazione alle finalita' di cui all'art. 29, comma 8, dei proventi
derivanti dall'applicazione delle sanzioni amministrative pecuniarie,
con   espressa   esclusione   della   derogabilita'    dei    termini
procedimentali massimi di cui agli artt. 19 e 27-bis.
    Il comma 9  sottopone,  da  ultimo,  le  Regioni  e  le  Province
autonome a penetranti controlli e  obblighi  informativi,  stabilendo
che, a decorrere dal 31 dicembre 2017 e con  cadenza  biennale,  esse
debbano informare il  Ministero  dell'ambiente  e  della  tutela  del
territorio e del mare circa i provvedimenti adottati e i procedimenti
di verifica di assoggettabilita' a VIA e di VIA, fornendo  una  serie
di dati.
    Tale  «pervasiva  interferenza»  con  le   competenze   regionali
risulterebbe costituzionalmente illegittima, tanto in  rapporto  allo
strumento attraverso il quale e' stata attuata, quanto nei contenuti.
    1.1.1.- Sotto il primo profilo, il censurato art. 5 del d.lgs. n.
104 del 2017, violerebbe anzitutto l'art. 76  Cost.  per  eccesso  di
delega. Il profondo riassetto delle competenze fra  Stato  e  Regioni
operato con  la  norma  impugnata  risulterebbe,  infatti,  privo  di
qualsiasi  fondamento  esplicito   nelle   norme   della   legge   di
delegazione.
    In base all'art. 1 della legge n. 114 del  2015,  il  legislatore
delegato, nell'attuare le direttive elencate negli Allegati  A  e  B,
avrebbe dovuto attenersi, in primo luogo, ai principi  e  ai  criteri
direttivi generali sanciti  dagli  artt.  31  e  32  della  legge  24
dicembre  2012,  n.  234   (Norme   generali   sulla   partecipazione
dell'Italia alla formazione e all'attuazione della normativa e  delle
politiche dell'Unione europea). Nessuno di tali  principi  e  criteri
direttivi  autorizzerebbe,  peraltro,  la  modifica  del  riparto  di
competenze tra Stato e Regioni. Da essi emergerebbe, al contrario, la
«massima attenzione»  per  la  salvaguardia  delle  attribuzioni  dei
singoli livelli di governo, essendo previsto nell'art. 32,  comma  1,
lettera g), che,  nei  casi  di  sovrapposizione  di  competenze  tra
amministrazioni  diverse,   «i   decreti   legislativi   individuano,
attraverso le piu' opportune forme di  coordinamento,  rispettando  i
principi di sussidiarieta',  differenziazione,  adeguatezza  e  leale
collaborazione e le competenze  delle  regioni  e  degli  altri  enti
territoriali,  le  procedure  per  salvaguardare  l'unitarieta'   dei
processi decisionali, la trasparenza,  la  celerita',  l'efficacia  e
l'economicita' nell'azione amministrativa e la chiara  individuazione
dei soggetti responsabili».
    Ancora piu' significativo risulterebbe, peraltro, il silenzio sul
punto, considerati i principi e criteri direttivi specifici enunciati
dall'art. 14 della legge n. 114 del 2015,  alla  luce  dei  quali  la
normativa delegata avrebbe dovuto perseguire  i  seguenti  obiettivi:
«a)  semplificazione,  armonizzazione   e   razionalizzazione   delle
procedure di valutazione di impatto ambientale anche in relazione  al
coordinamento  e  all'integrazione  con  altre  procedure  volte   al
rilascio di  pareri  e  autorizzazioni  a  carattere  ambientale;  b)
rafforzamento  della  qualita'  della  procedura  di  valutazione  di
impatto ambientale,  allineando  tale  procedura  ai  principi  della
regolamentazione intelligente (smart regulation) e della  coerenza  e
delle sinergie con altre normative e politiche europee  e  nazionali;
c)  revisione  e  razionalizzazione  del  sistema  sanzionatorio   da
adottare ai sensi della direttiva 2014/52/UE,  al  fine  di  definire
sanzioni efficaci, proporzionate e dissuasive  e  di  consentire  una
maggiore   efficacia   nella   prevenzione   delle   violazioni;   d)
destinazione dei proventi derivanti dalle sanzioni amministrative per
finalita' connesse al potenziamento  delle  attivita'  di  vigilanza,
prevenzione e monitoraggio ambientale,  alla  verifica  del  rispetto
delle condizioni previste nel procedimento di valutazione ambientale,
nonche' alla  protezione  sanitaria  della  popolazione  in  caso  di
incidenti o calamita' naturali, senza nuovi o maggiori oneri a carico
della finanza pubblica».
    Il  combinato  disposto  degli  artt.  1  e  14  di  tale   legge
lascerebbe, quindi, chiaramente  intendere  come  le  Camere  abbiano
conferito al  Governo  una  mera  delega  di  revisione,  riordino  e
semplificazione   delle   norme   preesistenti,   senza   autorizzare
l'introduzione di soluzioni sostanzialmente  innovative  rispetto  al
sistema legislativo previgente. Secondo  la  costante  giurisprudenza
costituzionale, infatti, un simile intervento e' ammissibile solo nel
caso in cui siano stabiliti principi e  criteri  direttivi  idonei  a
circoscrivere  la  discrezionalita'  del  legislatore  delegato:   in
mancanza di essi, la delega deve essere intesa, di contro,  in  senso
"minimale", tale,  cioe',  da  non  consentire  l'adozione  di  norme
delegate sostanzialmente innovative.
    A comprova del fatto che il silenzio della legge n. 114 del  2015
assurga a indice  della  volonta'  delle  Camere  di  non  consentire
interventi  innovativi  del  legislatore  delegato  sul  piano  della
disciplina dei rapporti tra Stato e  Regioni,  militerebbe  anche  la
considerazione che tale legge, nel disciplinare  il  procedimento  di
formazione del decreto  delegato,  ha  prescritto  il  coinvolgimento
delle Regioni nella forma del mero parere, e  non  gia'  dell'intesa.
Tale soluzione si giustificherebbe, infatti, solo sul presupposto che
le Camere abbiano abilitato il Governo a una "blanda"  operazione  di
riordino e semplificazione  della  materia,  che  intacca  in  misura
minima o non intacca affatto le competenze regionali,  cosi'  da  non
richiedere   l'attivazione   di   piu'   penetranti   strumenti    di
collaborazione.
    Ove si ritenesse, al contrario,  che  le  Camere  abbiano  voluto
implicitamente consentire  al  Governo  di  riformare  le  competenze
statali e regionali in materia di VIA, lo strumento del  mero  parere
si  rivelerebbe  del  tutto   inidoneo   a   consentire   una   seria
interlocuzione  fra  i  livelli  di  governo  coinvolti,  stante   la
quantita' e l'intensita' delle competenze regionali  sacrificate.  In
questa prospettiva, gli artt. 1 e 14 della  legge  n.  114  del  2015
risulterebbero illegittimi per  violazione  del  principio  di  leale
collaborazione (artt. 5 e 120 Cost.), nella parte in cui prevedono il
mero parere e non l'intesa, conformemente a quanto gia' deciso  dalla
Corte costituzionale, in situazione analoga, con la sentenza  n.  251
del  2016.  Proprio  la  prescrizione  del  mero   parere,   anziche'
dell'intesa, avrebbe del resto consentito al Governo di  disattendere
del tutto sette delle nove condizioni che le Regioni avevano indicato
come irrinunciabili nel parere 17/52/SR8/C5 (Parere sullo  schema  di
decreto legislativo della direttiva 2014/52/UE del Parlamento europeo
e del Consiglio  del  16  aprile  2014,  che  modifica  la  direttiva
2011/92/UE concernente  la  valutazione  dell'impatto  ambientale  di
determinati progetti pubblici e privati, ai sensi degli articoli 1  e
14 della legge 9 luglio 2015, n. 114), reso  in  sede  di  Conferenza
permanente per i rapporti tra lo Stato,  le  Regioni  e  le  Province
autonome di Trento e di Bolzano sullo schema di decreto delegato.
    La  Regione  ricorrente  chiede  pertanto  che  la  Corte  -  ove
ritenesse che gli artt. 1 e 14 della legge n. 114 del 2015  abilitino
il Governo al  riassetto  delle  competenze  statali  e  regionali  -
sollevi avanti a se' stessa questione di legittimita'  costituzionale
delle    citate    disposizioni,     dichiarando     l'illegittimita'
costituzionale in via derivata dell'art. 5  del  d.lgs.  n.  104  del
2017.
    1.1.2.-  Dal  punto  di  vista  contenutistico,  la  disposizione
impugnata si porrebbe in contrasto con l'art. 2, primo comma, lettere
a), d), f) e m), nonche' con gli artt. 3 e 4 dello statuto reg. Valle
d'Aosta/Vallee d'Aoste, in combinato disposto con l'art. 117, primo e
terzo comma, Cost., anche in  relazione  alla  "clausola  di  maggior
favore" di cui all'art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001.
    L'art. 2 dello  statuto  attribuisce  alla  Regione  autonoma  la
competenza legislativa piena in materia di ordinamento degli uffici e
degli enti dipendenti dalla Regione e stato  giuridico  ed  economico
del personale; agricoltura  e  foreste,  zootecnia,  flora  e  fauna;
strade e lavori pubblici  di  interesse  regionale;  acque  pubbliche
destinate ad irrigazione ed a uso domestico. Tale competenza incontra
il  solo  limite  degli  obblighi  internazionali,  degli   interessi
nazionali,   nonche'   delle   norme   fondamentali   delle   riforme
economico-sociali della Repubblica.
    L'art. 3 riconosce, poi, alla Regione  autonoma  la  potesta'  di
emanare - sempre entro i limiti dianzi indicati -  norme  legislative
di integrazione e di attuazione delle  leggi  della  Repubblica,  per
adattarle alle condizioni regionali, in tutta una  serie  di  materie
che si intrecciano con quelle implicate nella valutazione di  impatto
ambientale:  industria  e  commercio,  disciplina  dell'utilizzazione
delle   acque   pubbliche   ad    uso    idroelettrico,    disciplina
dell'utilizzazione delle miniere,  igiene  e  sanita',  antichita'  e
belle arti.
    Infine, l'art.  4  demanda  alla  Regione  autonoma  le  funzioni
amministrative sulle materie nelle quali ha  potesta'  legislativa  a
norma degli artt. 2 e 3, salve quelle attribuite  ai  Comuni  e  agli
altri enti locali dalle leggi della Repubblica.
    A  fronte  di  questo  ampio  elenco  di  competenze   regionali,
l'operazione effettuata dallo Stato, con l'art. 5 del d.lgs.  n.  104
del 2017, apparirebbe evidentemente illegittima e  sproporzionata.  A
seguito dell'intervento  normativo  censurato,  infatti,  la  Regione
Valle d'Aosta/Vallee d'Aoste:
    a) si troverebbe confinata - nei casi di  progetto  sottoposto  a
verifica di assoggettabilita' a VIA o a VIA di competenza regionale -
al ruolo di mero "custode" delle norme e delle  procedure  prescritte
dallo Stato (comma 7): ruolo ulteriormente gravato da un  obbligo  di
informazione periodica (comma 9);
    b)  vedrebbe  limitata  la  propria  potesta'  normativa,   tanto
legislativa quanto regolamentare, alla disciplina dell'organizzazione
e delle modalita' di esercizio delle funzioni amministrative ad  esse
attribuite in materia di VIA, salva la sola facolta' di dettare norme
particolari e ulteriori per la  semplificazione  dei  procedimenti  e
altre specifiche finalita' (comma 8);
    c) subirebbe l'integrale «regolazione dal centro» della procedura
di VIA regionale - cristallizzata nella disciplina  dell'art.  27-bis
del d.lgs. n. 152 del  2006  -  e  perderebbe  ogni  possibilita'  di
interlocuzione  nel  procedimento  di  VIA  statale,  essendo   stato
eliminato il parere regionale  precedentemente  prescritto  dall'art.
25, comma 2, del citato decreto legislativo.
    In pratica, la Regione speciale  sarebbe  stata  «"declassata"  a
ufficio territoriale dello Stato», peraltro in palese violazione  del
principio di leale collaborazione, essendo state disattese  tutte  le
proposte di emendamento formulate dalla Conferenza Stato-Regioni.
    Tale "declassamento" non troverebbe  alcuna  giustificazione  nel
diritto europeo. La direttiva 2014/52/UE apparirebbe,  al  contrario,
«attenta alle specificita' territoriali,  ed  incline  a  valorizzare
[...] le competenze degli enti sub-statali», come attesterebbero, tra
l'altro, le indicazioni del considerando n. 9 (nel quale si  pone  in
evidenza  «l'importanza  economica  e   sociale   di   una   corretta
pianificazione territoriale» e la rilevanza di  «opportuni  piani  di
utilizzo del suolo e  politiche  a  livello  nazionale,  regionale  e
locale») e  del  novellato  art.  6,  paragrafo  1,  della  direttiva
2011/92/UE (in forza del quale «[g]li Stati membri adottano le misure
necessarie affinche' le autorita' che possono essere  interessate  al
progetto,  per  la  loro  specifica  responsabilita'  in  materia  di
ambiente o in  virtu'  delle  loro  competenze  locali  o  regionali,
abbiano  la  possibilita'  di  esprimere   il   loro   parere   sulle
informazioni   fornite   dal   committente   e   sulla   domanda   di
autorizzazione»).
    L'impugnato "declassamento" risulterebbe, altresi', incompatibile
con il riparto costituzionale delle  competenze  delineato  dall'art.
117  Cost.  Alla  luce  di  quanto  affermato  dalla   giurisprudenza
costituzionale, benche' la disciplina della VIA sia  in  larga  parte
riconducibile alla competenza legislativa esclusiva  dello  Stato  in
materia di tutela dell'ambiente, cio' non sarebbe  incompatibile  con
interventi specifici del legislatore  regionale  che  attengano  alle
proprie competenze, specie in materia di governo del territorio e  di
tutela della salute. La competenza statale in questione, se  pure  di
natura "trasversale", rimarrebbe soggetta, comunque  sia,  ai  limiti
della ragionevolezza e della proporzionalita', non valendo di per se'
ad escludere ogni margine di competenza delle Regioni, alle quali  e'
consentito,  ad  esempio,  incrementare  gli   standard   di   tutela
dell'ambiente prefigurati dalla legge statale.
    La conclusione varrebbe a fortiori per la  ricorrente,  in  forza
delle ulteriori competenze  attribuite  dallo  statuto  speciale.  La
consapevolezza  dell'esistenza  di  incomprimibili  competenze  delle
Regioni  speciali  emergerebbe,  peraltro,  anche  dal  parere  della
commissione ambiente  del  Senato  della  Repubblica,  nel  quale  si
raccomandava di adottare gli emendamenti al riguardo suggeriti  dalla
Conferenza Stato-Regioni (parere espresso il  16  maggio  2017  dalla
XIII Commissione permanente del Senato della Repubblica), nonche' dal
parere della Commissione affari costituzionali, della Presidenza  del
Consiglio dei ministri e Interni, nel quale si auspicavano  modifiche
proprio per salvaguardare  le  condizioni  delle  autonomie  speciali
(parere espresso il 10 maggio 2017  dalla  I  Commissione  permanente
Affari costituzionali, della Presidenza del Consiglio dei ministri  e
Interni della Camera dei deputati).
    1.2.- Vengono altresi' censurati l'art. 16, comma 2, e l'art.  24
del  d.lgs.  n.  104  del  2017.  L'art.   16   stabilisce   che   il
«provvedimento  unico  regionale»  sostituisce  ogni   tipologia   di
autorizzazioni, intese, concessioni, licenze, pareri, concerti, nulla
osta   comunque   denominati,   necessari   alla   realizzazione    e
all'esercizio del progetto sottoposto  a  VIA  regionale.  Tali  atti
vengono acquisiti - ai sensi dell'art. 24 del d.lgs. n. 104 del 2017,
che sostituisce l'art. 14, comma 4, della legge 7 agosto 1990, n. 241
(Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e  di  diritto
di  accesso  ai  documenti  amministrativi)  -  nell'ambito  di   una
conferenza di servizi, convocata in  «modalita'  sincrona»  ai  sensi
dell'art. 14-ter della legge n. 241 del 1990.
    La  nuova  normativa  statale  disciplinerebbe  «in  ogni  minuto
dettaglio» il procedimento  per  il  rilascio  della  VIA  regionale,
privando il legislatore regionale di ogni spazio di autonomia.
    1.2.1.- La ricorrente lamenta  la  lesione  dell'art.  76  Cost.,
poiche',  secondo  quanto  gia'  posto  in  evidenza,  dal  combinato
disposto dei principi e criteri direttivi desunti dagli artt. 1 e  14
della legge n. 114 del 2015 emergerebbe l'intenzione delle Camere  di
conferire al Governo una delega «minimale», con «meri»  obiettivi  di
«semplificazione, armonizzazione e razionalizzazione» delle procedure
di VIA (art. 14, comma 1, lettera a), mentre il Governo avrebbe fatto
«tabula  rasa»  delle  previgenti  discipline  regionali  e   avrebbe
uniformato tutte le procedure «in maniera pervasiva e vincolante».
    1.2.2.-  Gli  articoli  impugnati  sarebbero  illegittimi   anche
rispetto all'art. 2, primo comma, lettere a),  d),  f),  m),  nonche'
agli artt. 3 e 4 dello statuto reg. Valle d'Aosta/Vallee d'Aoste,  in
combinato disposto con l'art. 117, primo e  terzo  comma,  Cost.,  in
riferimento alla «clausola di maggior favore»,  di  cui  all'art.  10
della legge cost. n. 3 del 2001.
    La titolarita' in capo alla Regione autonoma di una pluralita' di
potesta'  legislative  piene  e  integrative-attuative   in   materie
strettamente connesse alla VIA, nonche' delle corrispondenti funzioni
amministrative,  impedirebbe  allo  Stato   di   dettare   «in   modo
unilaterale e vincolante» il procedimento per la VIA, in lesione  del
principio di leale collaborazione; la pretesa del legislatore statale
di disciplinare dal centro e in modo uniforme la VIA regionale, senza
considerare   le   specificita'   locali,    apparirebbe,    inoltre,
«manifestamente  irragionevole»  e  contraria  ai  principi  di  buon
andamento (art. 97 Cost.), sussidiarieta'  e  differenziazione  (art.
118 Cost.).
    Anche a voler ritenere che lo Stato abbia avocato a se',  tramite
«chiamata  in  sussidiarieta'»,  la  disciplina   del   procedimento,
«l'integrale  regolazione  apprestata  dal   legislatore   nazionale»
violerebbe  i  principi  di  ragionevolezza  e  proporzionalita'  (e'
richiamata la sentenza n. 303 del 2003).
    1.3.- La ricorrente impugna, altresi', l'art. 22, commi 1, 2, 3 e
4 del d.lgs. n. 104 del 2017 per  violazione  degli  artt.  2,  primo
comma, lettere a), d), f) e m),  3  e  4  dello  statuto  reg.  Valle
d'Aosta/Vallee d'Aoste, nonche' degli artt. 3, 5, 76,  117,  primo  e
terzo comma, 118 e 120 Cost., anche in relazione  all'art.  10  della
legge cost. n. 3 del 2001.
    La ricorrente rileva come la  norma  impugnata  abbia  ampiamente
novellato gli Allegati alla Parte II del d.lgs. n. 152  del  2006,  i
quali contengono  gli  elenchi  dei  procedimenti  sottoposti  a  VIA
statale (Allegato II), a verifica di assoggettabilita' a VIA  statale
(Allegato II-bis), a VIA regionale (Allegato III)  e  a  verifica  di
assoggettabilita' a VIA regionale (Allegato IV).
    Rispetto al testo previgente, risultano drasticamente  ridotti  i
procedimenti di competenza regionale, con  corrispondente  incremento
di quelli di competenza statale.
    Anche tale intervento esulerebbe dal circoscritto perimetro della
delega di armonizzazione e semplificazione conferita dalle Camere con
gli artt. 1 e  14  della  legge  n.  114  del  2015,  salvo  a  voler
considerare  quest'ultima  costituzionalmente  illegittima   per   la
previsione di insufficienti strumenti di leale collaborazione.
    L'«impoverimento» degli elenchi regionali lederebbe, altresi', le
competenze legislative  piene  e  integrative-attuative  riconosciute
alla ricorrente dai citati artt. 2, primo comma, lettere a), d), f) e
m), e 3 dello statuto  reg.  Valle  d'Aosta/Vallee  d'Aoste,  nonche'
delle parallele competenze amministrative ad  essa  riconosciute  dal
successivo art. 4.  Risulterebbero  violate,  inoltre,  le  ulteriori
competenze di cui la Regione gode ai sensi dell'art.  117  Cost.,  in
virtu' della "clausola di maggior favore" di cui  all'art.  10  della
legge cost. n. 3 del 2001, a  cominciare  da  quelle  in  materia  di
tutela della salute e governo del territorio.
    La riscrittura degli Allegati suindicati sarebbe  stata  operata,
ancora - in violazione degli artt. 5 e 120 Cost. -  al  di  fuori  di
meccanismi di leale collaborazione: l'acquisizione  del  mero  parere
della Conferenza Stato-Regioni, peraltro in  larga  parte  disatteso,
costituirebbe, infatti,  uno  strumento  del  tutto  insufficiente  a
compensare il sacrificio delle attribuzioni regionali.
    La nuova sistematica degli elenchi non risponderebbe,  per  altro
verso, ad alcun canone di razionalita', ma soltanto a «un'ispirazione
tutoria e centralistica fine a se' stessa». Nella distribuzione delle
competenze fra Stato e Regioni,  infatti,  sarebbero  stati  adottati
criteri del tutto scollegati dal dato territoriale - ad  esempio,  la
potenza termica o la dimensione dello  specchio  acqueo  -  privi  di
valore   sintomatico   riguardo   alla   dimensione    regionale    o
sovraregionale dell'intervento, assegnando  alla  competenza  statale
anche progetti che pacificamente interessano una sola Regione.
    Risulterebbero in tal modo violati, oltre all'art. 3 Cost., anche
gli artt. 97 e 118 Cost., essendo  stati  completamente  disattesi  i
principi di buon andamento e sussidiarieta'.
    1.4.- Sarebbe illegittimo anche l'art. 23, comma 4, del d.lgs. n.
104 del 2017, per asserita violazione degli  artt.  2,  primo  comma,
lettere  a),  d),  f)  e  m),  3  e  4  dello  statuto   reg.   Valle
d'Aosta/Vallee d'Aoste, dell'art. 8 del d.P.R. 19 novembre  1987,  n.
526 (Estensione alla regione Trentino  Alto-Adige  ed  alle  province
autonome di Trento e  Bolzano  delle  disposizioni  del  decreto  del
Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n.  616),  nonche'  degli
artt. 3, 5, 76, 117, primo, terzo e quinto comma, 118  e  120  Cost.,
anche in relazione art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001.
    La norma censurata stabilisce che «[l]e  Regioni  e  le  Province
autonome di  Trento  e  di  Bolzano  adeguano  i  propri  ordinamenti
esercitando le potesta' normative di cui all'articolo 7-bis, comma 8,
del d.lgs. n. 152 del  2006,  come  introdotto  dall'articolo  5  del
presente decreto, entro il termine perentorio  di  centoventi  giorni
dall'entrata in vigore dello stesso decreto. Decorso  inutilmente  il
suddetto termine, in assenza di disposizioni regionali o  provinciali
vigenti idonee allo scopo, si applicano i poteri sostitutivi  di  cui
all'articolo 117, quinto comma, Cost., secondo quanto previsto  dagli
articoli 41 e 43 della legge n. 234 del 2012».
    La disposizione si porrebbe in contrasto con i parametri evocati,
stante l'assoluta genericita' e vaghezza del presupposto al quale  e'
connessa l'attivazione del potere sostitutivo  dello  Stato:  vale  a
dire, il difetto di "idoneita' allo scopo" delle  norme  regionali  e
provinciali adottate in forza del nuovo  art.  7-bis,  comma  8,  del
d.lgs. n. 152 del 2006. In mancanza  di  qualsiasi  criterio  atto  a
delimitare la discrezionalita' dello  Stato,  il  potere  sostitutivo
potrebbe essere esercitato sulla base  di  valutazioni  squisitamente
politiche, che troverebbero un unico contrappeso - «tenue e anch'esso
tutto politico» - nella  sottoposizione  dell'atto  sostitutivo  alla
Conferenza Stato-Regioni, ai sensi dell'art. 41 della  legge  n.  234
del 2012: con la conseguenza che il legislatore statale sarebbe posto
«nella condizione di rimodulare a piacere  i  confini  costituzionali
delle competenze».
    Sfuggente e indefinito risulterebbe, peraltro, lo stesso  «scopo»
cui  le  norme  regionali  devono  tendere,  individuato  tramite  il
richiamo alle potesta' normative  previste  dal  citato  art.  7-bis,
comma 8, del d.lgs. n. 152 del 2006, concernenti  l'organizzazione  e
le modalita' di esercizio delle  funzioni  amministrative  attribuite
alle Regioni e alle Province autonome  in  materia  di  VIA,  nonche'
l'eventuale conferimento di tali funzioni o di compiti specifici agli
altri enti territoriali sub-regionali.
    Le  funzioni  cosi'  delineate  sarebbero,  peraltro,   tutte   a
esercizio eventuale  e  facoltativo,  sicche'  rispetto  a  esse  non
potrebbe configurarsi alcun potere sostitutivo dello Stato, il quale,
secondo la pacifica giurisprudenza  costituzionale,  e'  esercitabile
solo in relazione  ad  atti  e  attivita'  vincolati  nell'an.  Nella
specie, solo la competenza normativa  relativa  all'organizzazione  e
alle modalita' di esercizio delle  funzioni  amministrative  potrebbe
ritenersi ad esercizio obbligatorio: senonche', da un  lato,  non  si
comprenderebbe quale sia rispetto a essa lo scopo, posto che la nuova
disciplina statale gia' determina  in  modo  esaustivo  ogni  aspetto
delle funzioni in questione, soprattutto con il nuovo art. 27-bis del
d.lgs.  n.  152  del  2006;  dall'altro,  risulterebbe  ancora   piu'
difficile valutare l'idoneita' allo scopo di norme regionali di cosi'
scarso rilievo, una volta che il successo della riforma dipende tutto
dall'efficacia della «pervasiva disciplina dello Stato».
    Tali criticita' risulterebbero acuite dall'autonomia speciale  di
cui gode la ricorrente, che dovrebbe garantirle  un  presidio  ancora
maggiore rispetto a interventi unilaterali dello Stato: non  a  caso,
in sede di Conferenza Stato-Regioni erano stati  proposti  correttivi
finalizzati  a  garantire  una  maggiore  compatibilita'  tra  potere
sostitutivo e competenze delle Regioni speciali (punto 53 del  citato
parere).
    2.- Si e' costituito, con atto depositato il 10 ottobre 2017,  il
Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e   difeso
dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  chiedendo  il  rigetto  del
ricorso.
    2.1.- Con riguardo alle questioni  che  investono  l'art.  5  del
d.lgs. n. 104 del 2017 e, in via subordinata, gli artt. 1 e 14  della
legge n. 114 del 2015, il resistente  eccepisce  in  via  preliminare
l'inammissibilita' del ricorso, in ragione del fatto che non  e'  mai
stata promossa dalla Regione  ricorrente  questione  di  legittimita'
costituzionale della legge delega.
    Al riguardo, l'Avvocatura  generale  dello  Stato  ricorda  come,
secondo la giurisprudenza costituzionale,  la  legge  di  delegazione
legislativa possa essere autonomamente impugnata  allorche'  contenga
un  principio  di  disciplina  sostanziale  della   materia   o   una
regolamentazione  parziale  della  stessa,  ovvero  stabilisca  norme
attributive di competenze che incidano in modo  diretto  e  immediato
sulle attribuzioni costituzionalmente garantite delle Regioni e delle
Province autonome.
    Ne deriva che ogni qualvolta i contenuti della legge  di  delega,
per il loro grado di  determinatezza  e  inequivocita',  possano  dar
luogo a effettive lesioni delle competenze regionali  o  provinciali,
tale legge deve  essere  impugnata  tempestivamente  nel  termine  di
sessanta giorni stabilito dall'art. 39 della legge 11 marzo 1953,  n.
87  (Norme  sulla  costituzione  e  sul  funzionamento  della   Corte
costituzionale). Qualora, infatti, si riconoscesse la possibilita' di
impugnare il decreto legislativo senza aver preventivamente impugnato
la legge delega che risulti immediatamente lesiva  si  consentirebbe,
da un lato, l'elusione del  predetto  termine  stabilito  a  pena  di
decadenza; dall'altro, la sopravvivenza, «ancorche' formale», di  una
normativa (quella della legge  delega)  i  cui  effetti  immediati  e
diretti (stabiliti dal decreto legislativo)  siano  stati  dichiarati
costituzionalmente illegittimi.
    Di qui anche l'inammissibilita'  della  richiesta  della  Regione
ricorrente di autorimessione, da parte  della  Corte  costituzionale,
della questione di legittimita' costituzionale degli  artt.  1  e  14
della legge n. 114 del 2015, nella parte in  cui  prevedono  il  mero
parere e non l'intesa:  richiesta  che  assumerebbe,  per  l'appunto,
carattere elusivo del termine per l'impugnazione della legge delega.
    2.1.1.- Nel merito, le censure della  ricorrente  risulterebbero,
in ogni caso, infondate.
    Quanto  alla  pretesa  esorbitanza  dell'intervento  dai   limiti
tracciati dalla legge di delegazione, risulterebbe evidente come, nel
caso in esame, l'oggetto, i principi e criteri direttivi della delega
debbano essere desunti non soltanto dalla legge n. 114 del  2015,  ma
anche dalla direttiva 2014/52/UE che il Governo e' stato chiamato  ad
attuare. Tale direttiva reca una disciplina puntuale delle  fasi  del
procedimento di VIA (art. 1, paragrafo 1, numero 1, lettera  a),  che
vincola rigorosamente gli Stati membri e, dunque, il Governo italiano
nella sua qualita' di legislatore delegato,  riducendo  fortemente  i
margini  di  discrezionalita'  di  quest'ultimo   e,   pertanto,   la
possibilita' di differenziare su base  regionale  tale  procedimento.
Non vi sarebbe, quindi, alcuna ragione per  intendere  la  delega  al
riassetto  in  senso  minimale  e  formale,  dovendosi  ritenere,  al
contrario, che essa giustifichi anche  interventi  sostanziali  quale
quello che il ricorso regionale contesta.
    La  norma  censurata  rende,  infatti,  omogenea  su   tutto   il
territorio  nazionale  l'applicazione  delle  nuove  regole   per   i
procedimenti di VIA e di assoggettabilita' a VIA proprio al  fine  di
recepire fedelmente la nuova direttiva, che  impone  di  superare  la
pregressa  situazione  di  frammentazione  e  contraddittorieta'  del
quadro regolamentare, dovuta alle diversificate discipline regionali,
e di assicurare l'efficace applicazione per tutti gli operatori delle
semplificazioni introdotte. La previgente disciplina  attribuiva,  in
effetti, alle Regioni e alle Province autonome la  potesta'  generale
di disciplinare il procedimento di VIA (art. 7, comma 7, lettera  e),
del d.lgs. n. 152 del 2006, nel testo anteriore):  potesta'  che  non
avrebbe piu' ragione di essere mantenuta, una volta che la  direttiva
2014/52/UE prevede  regole  dettagliate  insuscettibili  di  varianti
negli  ordinamenti  nazionali,  pena  il  rischio  di  procedure   di
infrazione. Peraltro, la disposizione impugnata,  oltre  a  prevedere
che  le  Regioni  e  le  Province   autonome   possano   disciplinare
l'organizzazione  e  le  modalita'  di   esercizio   delle   funzioni
amministrative loro attribuite in materia di VIA, in conformita' alla
normativa europea e nel  rispetto  di  quanto  previsto  dalla  nuova
disciplina, fa salvo il potere  di  tali  enti  di  stabilire  regole
particolari e ulteriori per la semplificazione dei procedimenti,  per
la  consultazione  del  pubblico  e  di  tutti  i  soggetti  pubblici
potenzialmente  interessati,  nonche'  per   il   coordinamento   dei
provvedimenti  e  delle  autorizzazioni  di  competenza  regionale  e
locale.
    In tale quadro, sarebbe stato  razionalizzato  anche  il  riparto
delle competenze amministrative tra Stato e Regioni,  prevedendo  che
siano  sottoposti  alla  procedura  di  VIA  e   alla   verifica   di
assoggettabilita' a VIA in  sede  statale  i  progetti  di  cui  agli
Allegati II e II-bis, Parte II, del d.lgs. n. 152 del  2006,  e  alla
procedura di VIA e alla verifica di assoggettabilita' a VIA  in  sede
regionale i progetti di cui agli Allegati III e IV.
    2.1.2.-  Con  riguardo,  poi,   alla   censura   di   illegittima
compressione  delle   potesta'   legislative   e   delle   competenze
amministrative regionali connesse  alla  VIA,  il  resistente  rileva
come,  anche  alla  luce  della  definizione  offerta  dall'art.   1,
paragrafo 1, numero 1), lettera a), della  direttiva  2014/52/UE,  la
VIA  consista  in  un  procedimento   mediante   il   quale   vengono
preventivamente individuati gli effetti  significativi  sull'ambiente
di determinate attivita' antropiche (progetti, opere,  infrastrutture
e impianti produttivi). Al riguardo, l'art. 4, comma 4,  lettera  b),
del d.lgs. n. 152 del 2006  elenca  dettagliatamente  i  fattori  sui
quali   possono   ricadere   gli   impatti    ambientali    negativi,
individuandoli segnatamente nella popolazione e salute  umana;  nella
biodiversita', con particolare attenzione alle specie e agli  habitat
protetti; nel territorio,  suolo,  acqua,  aria  e  clima;  nei  beni
materiali, patrimonio culturale  e  paesaggio;  nell'interazione  tra
tali fattori.
    Sarebbe,  quindi,  evidente  come  la  disciplina  della  VIA  si
collochi nell'ambito della materia, di competenza esclusiva  statale,
«tutela  dell'ambiente  e  dell'ecosistema»,  di  cui  all'art.  117,
secondo comma, lettera s),  Cost.  Si  tratta  di  materia  che,  per
costante giurisprudenza della Corte costituzionale, si  connota  come
«trasversale» e  «prevalente»,  in  maniera  tale  che  la  normativa
statale ad essa relativa si impone integralmente nei confronti  delle
Regioni: conclusione che si imporrebbe anche in rapporto alle Regioni
ad autonomia speciale.
    I   ripetuti   riferimenti   della   Regione   ricorrente    alla
giurisprudenza costituzionale  in  tema  di  "intreccio"  di  materie
sarebbero, pertanto, non  pertinenti.  Nel  caso  della  VIA  non  vi
sarebbe, infatti, alcun "intreccio" di materie. Come gia'  ampiamente
riconosciuto   dalla   Corte   costituzionale,   l'esercizio    della
valutazione ambientale puo'  certamente  incidere  sull'esercizio  di
funzioni  regionali,  ma  cio'  non  escluderebbe  che  la   relativa
regolamentazione vada  ascritta  in  via  esclusiva  alla  competenza
statale  in  materia  ambientale,  salva  l'esigenza  -  quando  tale
incidenza sia particolarmente significativa  -  che  la  legislazione
statale preveda passaggi collaborativi con la Regione interessata (e'
citata, in specie,  la  sentenza  n.  232  del  2009).  Cio'  sarebbe
puntualmente avvenuto con il d.lgs. n. 104 del 2017, il cui art.  12,
novellando l'art. 23 del d.lgs. n.  152  del  2006,  ha  previsto  il
necessario coinvolgimento, non soltanto della Regione, ma di tutte le
amministrazioni anche solo potenzialmente interessate.
    Con riguardo alla  VIA  di  competenza  statale,  d'altro  canto,
l'art. 6 del d.lgs. n. 104 del 2017 prevede, nei procedimenti  per  i
quali sia riconosciuto un concorrente  interesse  regionale,  che  un
esperto designato dalle Regioni e dalle Province autonome interessate
partecipi all'attivita'  istruttoria  della  Commissione  tecnica  di
verifica dell'impatto ambientale (VIA) e della valutazione ambientale
strategica (VAS).
    Non conferente risulterebbe, quindi, il  richiamo  della  Regione
ricorrente alla sentenza n. 251 del 2016, la quale ha ritenuto che la
decretazione  legislativa  statale  debba  essere  in   taluni   casi
assistita da passaggi collaborativi "forti" con il sistema regionale:
ma cio' esclusivamente qualora la medesima si muova nell'ambito di un
"intreccio inestricabile" di competenze, e non gia' quando si sia  di
fronte ad un fenomeno di semplice «incidenza» delle norme statali  in
materia di competenza esclusiva su funzioni regionali;  fenomeno  che
caratterizza naturalmente le materie "trasversali", quali  la  tutela
dell'ambiente  o  la  fissazione   dei   livelli   essenziali   delle
prestazioni (art. 117, secondo comma, lettera m, Cost.).
    Le  norme  del  d.lgs.  n.  104  del  2017  volte   a   garantire
l'omogeneita' procedimentale delle valutazioni di impatto  ambientale
su  tutto  il  territorio  nazionale  risulterebbero,   in   effetti,
ascrivibili proprio a quest'ultima materia, avendo la  giurisprudenza
costituzionale  chiarito  che  norme   procedimentali   a   carattere
semplificatorio  possono   costituire   «livelli   essenziali   delle
prestazioni» ai sensi del citato art. 117, secondo comma, lettera m),
Cost., in grado di vincolare i legislatori regionali.
    2.1.3.- Il Presidente del Consiglio dei  ministri  eccepisce,  in
ogni  caso,  l'inammissibilita',  per  genericita'   e   carenza   di
motivazione, della censura relativa alla  presunta  violazione  delle
norme dello statuto reg. Valle d'Aosta/Vallee d'Aoste, congiuntamente
a quella dell'art. 117, terzo comma, Cost.
    Per un verso, infatti, la Regione non avrebbe indicato le ragioni
per le quali la disciplina della VIA dettata dallo Stato  inciderebbe
sulle richiamate competenze  statutarie;  per  altro  verso,  avrebbe
invocato  simultaneamente   la   disciplina   statutaria   e   quella
costituzionale, senza  motivare  circa  l'applicabilita'  dell'una  o
dell'altra  al  caso  di  specie,  alla  stregua  della  clausola  di
adeguamento automatico di cui all'art. 10 della legge cost. n. 3  del
2001. Ai fini dell'ammissibilita' della censura, la  Regione  avrebbe
dovuto, in particolare, individuare - fornendone adeguata motivazione
- per quali materie la Costituzione pone un regime  competenziale  di
maggior favore per  la  Regione  speciale  rispetto  alla  disciplina
statutaria, e per  quali  materie  accade  l'opposto,  invocando,  di
conseguenza, il parametro adeguato per ciascuna materia.
    2.1.4.- Con riferimento, infine, al mancato recepimento da  parte
del Governo delle proposte emendative avanzate dalle Regioni e  dalle
Province  autonome  in  sede  di  Conferenza  Stato-Regioni,  per  il
resistente,  l'istituto   del   mero   parere,   oltretutto   neppure
obbligatorio, non impedisce al procedente  di  determinarsi  in  modo
differente dalle risultanze dell'attivita' consultiva.
    Tutte  le  proposte  delle  Regioni  sarebbero  state,  peraltro,
dettagliatamente analizzate nella relazione illustrativa dello schema
di decreto legislativo, con l'indicazione, per  quelle  non  accolte,
delle ragioni del mancato accoglimento.
    2.2.- Sulla presunta violazione  dell'art.  76  Cost.,  da  parte
dell'art. 16, comma 2 e dell'art. 24 del  d.lgs.  n.  104  del  2017,
l'infondatezza della censura sarebbe palese ove si consideri  che  la
delega era volta  all'attuazione  della  direttiva  2014/52/UE.  Essa
avrebbe richiesto agli Stati membri di  individuare  il  grado  e  le
modalita'  dell'integrazione  del  procedimento  di  VIA   in   altri
procedimenti a carattere  autorizzatorio,  prevedendo  che  in  detto
provvedimento  autorizzatorio  fosse  necessariamente  contenuta   la
decisione motivata di valutazione di impatto ambientale. Alla luce di
cio', sarebbe intervenuta la modifica del contestato art. 27-bis  del
d.lgs. n. 152 del 2006; i principi e criteri  direttivi  della  legge
delega, volti ad  attuare  la  direttiva  europea,  avrebbero  dovuto
integrarsi con le previsioni di questa, da cui si  dovrebbe  evincere
l'esistenza di «norme ben  precise  che  orientavano  il  legislatore
delegato e ne vincolavano l'operato».
    L'Avvocatura nota  che  l'integrazione  procedimentale  richiesta
dalla  direttiva  2014/52/UE  si  sarebbe  potuta  raggiungere   solo
attraverso un procedimento unico o  comunque  tramite  l'integrazione
con gli altri procedimenti di settore.
    Dall'art.  2,  paragrafo  2,  della  richiamata   direttiva,   si
dedurrebbe che «gli Stati membri dispongono di varie possibilita' per
dare attuazione alla direttiva relativamente  all'integrazione  delle
valutazioni  dell'impatto  ambientale  nelle  procedure   nazionali».
Considerando che gli elementi di  tali  procedure  nazionali  possono
variare, appare conseguente la previsione di cui all'art.  16,  comma
2, del d.lgs. n. 104 del  2017,  che  ha  introdotto  una  disciplina
specifica per  le  procedure  di  VIA  incardinate  nel  procedimento
autorizzatorio unico regionale, confermando la  scelta  gia'  operata
con il decreto legislativo 30 giugno  2016,  n.  127  (Norme  per  il
riordino della disciplina in materia  di  conferenza  di  servizi  in
attuazione dell'art. 2 della legge 7 agosto 2015, n. 124), di riforma
della legge n. 241 del 1990.
    2.3.- L'impugnato art. 24, inoltre, razionalizzerebbe un istituto
gia' esistente e  non  innoverebbe  la  disciplina  previgente,  come
modificata dall'art. l, comma 4, del citato d.lgs. n. 127  del  2016.
Esso, infine, rappresenterebbe una disposizione di coordinamento  con
il d.lgs. n. 152 del 2006, al fine di adeguare il procedimento  unico
regionale alla norma europea.
    2.4.-  Egualmente  infondate  risulterebbero  le  questioni   che
investono le modifiche degli allegati disposte dall'art. 22, commi  1
e 4, del d.lgs. n. 104  del  2017  e  la  correlata  riduzione  degli
elenchi dei procedimenti di competenza regionale.
    2.4.1.- Quanto, infatti,  al  ventilato  eccesso  di  delega,  la
revisione del quadro allocativo delle competenze a livello statale  o
regionale  dovrebbe  ritenersi,  in  realta',  pienamente  ricompresa
nell'ambito  dei  principi  e  criteri  direttivi  specifici  di  cui
all'art. 14, comma 1, lettere a) e b), della legge n. 114  del  2015,
che demandavano al Governo il compito di armonizzare e razionalizzare
le procedure di VIA, nonche' di rafforzarne la qualita', allineandole
ai principi della coerenza e delle sinergie  con  altre  normative  e
politiche  europee  e   nazionali   (quali   quelle   energetiche   e
infrastrutturali).
    Ma,  soprattutto,  la  nuova  ripartizione  delle  competenze  in
materia di VIA risponderebbe pienamente al piu' generale principio  e
criterio direttivo - richiamato dalla  stessa  ricorrente  -  di  cui
all'art. 32, comma 1, lettera  g),  della  legge  n.  234  del  2012,
relativo  all'ipotesi  in  cui  si  verifichino  «sovrapposizioni  di
competenze  tra  amministrazioni  diverse»:  principio   e   criterio
direttivo che, lungi dal "cristallizzare" il quadro previgente  delle
competenze, avrebbe imposto al legislatore delegato di verificare  il
puntuale rispetto, da parte del precedente assetto, dei  principi  di
sussidiarieta', differenziazione, adeguatezza e leale collaborazione,
alla  luce  dell'esperienza  maturata,  procedendo,   nel   caso   di
riscontrata non conformita', ai necessari adeguamenti.
    Con la modifica degli Allegati da II a IV, Parte II,  del  d.lgs.
n.  152  del  2006,  il  Governo  avrebbe  inteso,   per   l'appunto,
razionalizzare il riparto delle competenze amministrative tra Stato e
Regioni, attraendo al livello statale le  procedure  per  i  progetti
relativi alle infrastrutture e agli impianti energetici, tenuto conto
delle esigenze di uniformita', efficienza e  del  dirimente  criterio
della dimensione sovraregionale degli impianti da valutare (che rende
ontologicamente inadeguato  il  livello  di  valutazione  regionale),
fatte salve puntuali e limitate eccezioni. Cio', con la  precisazione
che la valutazione di adeguatezza, o non, del livello  regionale  non
potrebbe che essere effettuata ex ante e per «classi di casi»,  senza
che rilevi l'eventualita' che, in concreto, un singolo progetto resti
privo di impatti extraregionali.
    Se pure e' vero, d'altro  canto,  che  il  criterio  dimensionale
degli impianti da valutare non trova un  ancoraggio  nella  direttiva
europea da attuare, esso troverebbe, pero', fondamento nell'art. 118,
primo comma, Cost., ai fini della corretta allocazione delle funzioni
amministrative  ai  diversi  livelli  territoriali  di  governo.   Al
riguardo, occorrerebbe considerare che, prima dell'entrata in  vigore
del d.lgs. n. 104 del 2017, la ripartizione delle competenze relative
alle varie categorie progettuali  di  VIA  risaliva  al  decreto  del
Presidente della Repubblica 12  aprile  1996  (Atto  di  indirizzo  e
coordinamento per l'attuazione dell'art. 40, comma 1, della legge  22
febbraio  1994,  n.  146,  concernente  disposizioni  in  materia  di
valutazione di impatto ambientale): dunque, ad epoca  anteriore  alla
riforma del Titolo V, Parte II della Costituzione, che  ha  riscritto
in modo profondamente innovativo il citato art. 118 Cost., ponendo  a
fondamento dell'allocazione di funzioni amministrative i principi  di
sussidiarieta', adeguatezza e differenziazione.  Di  conseguenza,  la
precedente  ripartizione  delle  funzioni  non  soltanto  era   molto
risalente  nel  tempo,  ma  rispondeva  a  un  quadro  costituzionale
sensibilmente diverso dall'attuale: sicche' il legislatore  delegato,
anche alla luce dell'esperienza maturata medio tempore, ben poteva  -
e anzi doveva - rivisitare profondamente tale ripartizione alla  luce
dei principi dianzi richiamati.
    2.4.2.- Quanto, poi,  all'asserita  violazione  delle  competenze
legislative e amministrative regionali, non  potrebbe  che  ribadirsi
come non ricorra, in materia di VIA, un  "intreccio"  di  competenze,
ma, trattandosi di materia di competenza esclusiva  dello  Stato,  si
debba parlare di mera incidenza sull'esercizio di funzioni regionali.
    2.4.3.-  Tale  considerazione  varrebbe  anche  ad  escludere  la
violazione del principio di  leale  collaborazione,  ventilata  dalla
Regione ricorrente sull'assunto dell'insufficienza  del  mero  parere
della  Conferenza  Stato-Regioni,  previsto  dalla  legge  delega,  a
compensare il sacrificio delle attribuzioni regionali.
    2.4.4.- Per quel che concerne, poi, la dedotta  violazione  degli
artt.  3,  97  e  118  Cost.,  il  criterio  dimensionale,   per   la
determinazione della competenza in  materia  di  VIA,  sarebbe  stato
adottato dal legislatore nazionale quale discrimine per individuare i
progetti che "potenzialmente" assumano una rilevanza sovraregionale.
    Sebbene, infatti, la procedura di VIA  implichi  una  valutazione
"sito  specifica",  e  nonostante  la  locazione  delle  opere  possa
ricadere  in  un  ambito  territoriale  ristretto  (anche   meramente
comunale),  i  potenziali  impatti  ambientali  travalicano  l'ambito
territoriale direttamente  interessato,  richiedendo  valutazioni  di
area vasta  (sovraregionale)  per  la  natura  stessa  dei  complessi
fenomeni di inquinamento o, comunque, di  impatto  quali-quantitativo
sulle risorse ambientali coinvolte.
    2.5.- Con  riferimento,  infine,  alle  questioni  che  investono
l'art. 23, comma 4, del d.lgs. n. 104 del  2017,  il  Presidente  del
Consiglio dei ministri rileva come l'art. 7-bis, comma 8, del  d.lgs.
n. 152 del 2006, introdotto dall'art. 5 del d.lgs. n. 104  del  2017,
attribuisca alle Regioni e  alle  Province  autonome  il  compito  di
dettare, in via  legislativa  o  regolamentare,  misure  a  carattere
strettamente organizzativo  in  ordine  ai  procedimenti  di  VIA  di
propria  competenza.  Si  tratterebbe  di  adempimento  a   carattere
sicuramente obbligatorio («disciplinano»), giustificato dall'esigenza
di  evitare  che  la  carenza  di  adeguate  soluzioni  organizzative
pregiudichi, a livello regionale, lo svolgimento dei procedimenti  di
VIA nel rispetto delle innovative regole  stabilite  dal  legislatore
delegato e - quel che piu' conta - comprometta  la  piena  attuazione
della direttiva europea nella quale siffatte regole si radicano.
    Gli ulteriori contenuti, a carattere facoltativo, delle normative
regionali e provinciali, previsti dal citato art. 7-bis, comma 8, non
ne esaurirebbero il perimetro, e  neppure  ne  rappresenterebbero  la
parte principale. In questa  prospettiva  "l'idoneita'  allo  scopo",
della quale la ricorrente denuncia la vaghezza, si colorerebbe di ben
precisi significati, consistenti segnatamente nella sussistenza delle
condizioni organizzative  indispensabili  per  garantire  l'integrale
attuazione della direttiva europea.
    Il censurato potere  sostitutivo  statale  troverebbe,  pertanto,
sicuro fondamento nell'art. 117, quinto comma, Cost.,  in  forza  del
quale le Regioni e  le  Province  autonome,  nelle  materie  di  loro
competenza, provvedono all'attuazione e all'esecuzione degli  accordi
internazionali e degli atti dell'Unione europea, «nel rispetto  delle
norme di procedura stabilite da legge dello Stato, che disciplina  le
modalita'  di  esercizio  del   potere   sostitutivo   in   caso   di
inadempienza». Tale  disposizione  sarebbe  direttamente  applicabile
anche alle autonomie speciali, senza la mediazione della clausola  di
cui all'art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001.
    La rigorosa delimitazione dei presupposti di esercizio del potere
sostitutivo sarebbe confermata dalla previsione della norma censurata
in base alla quale, per l'attivazione della sostituzione statale, non
e' sufficiente il mancato rispetto del termine di centoventi  giorni,
ma e' necessario accertare,  altresi',  l'assenza  all'interno  degli
ordinamenti  regionali  di  disposizioni  idonee,  comunque  sia,   a
raggiungere gli scopi sopra indicati.
    3.-  La  Regione  autonoma  Valle   d'Aosta/Vallee   d'Aoste   ha
depositato una memoria, insistendo per l'accoglimento del ricorso.
    3.1.- In replica alle difese svolte dal Presidente del  Consiglio
dei ministri, la ricorrente reitera l'argomentazione secondo la quale
la drastica ridistribuzione di competenze in materia di  VIA  operata
dal d.lgs. n. 104 del 2017  avrebbe  inciso  su  numerosi  ambiti  di
competenza della Regione, sia in forza del suo statuto di  autonomia,
sia in forza dell'art. 117, terzo e quarto comma, Cost., in relazione
all'art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001.
    3.2.- Insiste la ricorrente che l'inestricabile  intreccio  delle
competenze determinato dalla disciplina impugnata, legittimerebbe  la
Regione a dedurne l'incostituzionalita' per eccesso  di  delega,  dal
momento che il riassetto delle competenze  operato  dal  Governo  non
troverebbe alcuna base di legittimazione ne'  nei  criteri  direttivi
enunciati dalla legge di delegazione, ne' - contrariamente  a  quanto
asserito dall'Avvocatura  generale  dello  Stato  -  nella  direttiva
europea che il Governo era chiamato ad attuare.
    3.3.- L'illegittimita' costituzionale della disciplina  impugnata
discenderebbe, peraltro, anche  dalla  violazione  del  principio  di
leale collaborazione, posto che il riassetto di competenze  e'  stato
operato all'infuori di  qualsiasi  meccanismo  partecipativo  "forte"
delle Regioni.
    3.4.-   Egualmente   infondato   sarebbe   l'ulteriore    assunto
dell'Avvocatura, secondo il quale la disciplina  in  materia  di  VIA
afferirebbe in via prevalente alla materia «tutela dell'ambiente», di
competenza  esclusiva  statale:  circostanza  che  legittimerebbe  la
mancata previsione  di  strumenti  concertativi  ed  escluderebbe  la
configurazione della "chiamata in sussidiarieta'".
    Per un verso, infatti, la Corte  costituzionale  ha  riconosciuto
l'obbligo del legislatore  statale  di  assicurare  il  rispetto  del
principio di leale collaborazione in senso "forte" anche nel caso  in
cui la disciplina, pur ascrivendosi prevalentemente a una materia  di
competenza legislativa esclusiva statale, coinvolga una pluralita' di
interessi e competenze regionali (sono citate le sentenze n. 230  del
2013 e n. 33 del 2011).
    Per altro verso, poi, la dedotta incostituzionalita' risulterebbe
avvalorata  in  ragione  dell'autonomia  della  Regione   ricorrente.
Secondo  la  giurisprudenza  costituzionale,  infatti,  la  normativa
riconducibile alla materia trasversale di cui all'art.  117,  secondo
comma, lettera s), Cost. e' applicabile solo laddove non  entrino  in
gioco le competenze riconosciute dalla normativa statutaria agli enti
ad autonomia differenziata. La Corte costituzionale ha affermato,  in
particolare, che, a seguito della riforma  del  Titolo  V,  Parte  II
della Costituzione, il legislatore  statale  conserva  il  potere  di
vincolare la potesta' legislativa primaria della  Regione  a  statuto
speciale attraverso l'emanazione di leggi qualificabili come «riforme
economico-sociali»: e cio' anche sulla base del titolo di  competenza
legislativa nella materia «tutela dell'ambiente». Di conseguenza, non
e' invocabile  il  solo  limite  dell'ambiente,  in  se'  e  per  se'
considerato, il quale va congiunto con  il  limite  statutario  delle
riforme  economico-sociali,  sia   pure   riferite   alle   tematiche
ambientali (sono citate le sentenze n. 212 del 2017, n. 51 del 2006 e
n.  536  del  2002).  Limite  non  invocato  e,  comunque  sia,   non
sussistente nel caso in esame.
    Il d.lgs. n. 152 del 2006 reca, d'altra parte, tuttora,  all'art.
35, comma 2-bis - a chiusura della Parte II, dedicata alle  procedure
per la VAS, la VIA e l'autorizzazione integrata  ambientale  (AIA)  -
una specifica  clausola  di  salvaguardia,  secondo  la  quale  «[l]e
Regioni a statuto speciale e le Province  autonome  di  Trento  e  di
Bolzano provvedono alle finalita' del presente decreto ai  sensi  dei
relativi statuti». Senonche', le disposizioni contestate si rivolgono
senza alcuna clausola di salvaguardia -  pur  richiesta  in  sede  di
parere -  e  senza  adeguato  coordinamento  anche  alle  regioni  ad
autonomia  speciale  e  alle  province  autonome,   con   conseguente
violazione di tutti i parametri statutari evocati.
    4.- Con ricorso notificato il 30 agosto 2017 e  depositato  il  5
settembre 2017, la Regione Lombardia (reg. ric. n. 64  del  2017)  ha
promosso questioni di  legittimita'  costituzionale  degli  artt.  3,
comma 1, lettera g), 5, 16, comma 2, 21, 22, commi  da  1  a  4,  26,
comma 1, lettera a), e 27 del d.lgs. n. 104 del 2017.
    4.1.- L'impugnato art. 3, comma 1, lettera g), sostituisce l'art.
6, comma 10, del d.lgs. n. 152 del 2006. La norma dispone che  «[p]er
i progetti o parti di progetti aventi quale unico obiettivo la difesa
nazionale e per i progetti aventi quali unico obiettivo  la  risposta
alle emergenze che  riguardano  la  protezione  civile,  il  Ministro
dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare,  di  concerto
con il Ministro dei beni e delle attivita' culturali e  del  turismo,
dopo una valutazione caso  per  caso,  puo'  disporre,  con  decreto,
l'esclusione di tali progetti dal campo di applicazione  delle  norme
di cui al Titolo III, Parte II del presente decreto, qualora  ritenga
che tale applicazione possa pregiudicare i suddetti obiettivi».
    4.1.1.- Secondo la ricorrente, la norma, in precedenza diretta  a
regolare i progetti di difesa nazionale, estende ora la  possibilita'
di deroga, con una valutazione caso per caso, ai progetti aventi come
unico obiettivo la risposta ad emergenze che riguardino la protezione
civile. Verrebbe incisa cosi'  la  materia  «protezione  civile»,  di
competenza concorrente, di cui all'art. 117, terzo comma, Cost., dato
che il decreto ministeriale che porterebbe all'esclusione  di  alcuni
progetti  dal  campo  di  applicazione  delle  norme  sulla  VIA  non
prevedrebbe  alcun  coinvolgimento  della  Regione  interessata,   in
violazione degli artt. 5 e 120 Cost., sotto il  profilo  della  leale
collaborazione.
    4.1.2.- Nella specie  sussisterebbe  un  concorso  di  competenze
statali e regionali (ambiente, salute e protezione civile), senza che
le Regioni siano coinvolte nel  processo  decisionale.  Si  prefigura
altresi' un dubbio  sulla  ragionevolezza  della  compressione  della
leale collaborazione, in violazione dell'art. 3 Cost., «per  mancanza
di proporzionalita' e di rispondenza logica rispetto  alle  finalita'
dichiarate». La norma determinerebbe una disamina  "caso  per  caso",
senza alcun riferimento all'ente territorialmente prossimo  e  quindi
maggiormente idoneo  alla  valutazione;  si  genererebbero,  inoltre,
«inefficienze e disfunzioni sull'ordine delle competenze».
    4.2.-  Quanto  alla  seconda  delle  disposizioni  censurate,  la
ricorrente  rileva  come  l'art.  5  del  d.lgs.  n.  104  del  2017,
introducendo l'art. 7-bis  del  d.lgs.  n.  152  del  2006,  riscriva
sostanzialmente  le  competenze  regionali   in   materia   di   VIA,
circoscrivendole a profili organizzativi e a modalita'  di  esercizio
delle funzioni amministrative conferite.
    4.2.1.- In questo modo, la norma impugnata violerebbe la potesta'
legislativa concorrente della Regione in  materia  di  «tutela  della
salute», prevista dall'art. 117, terzo comma, Cost.
    Le norme in materia di VIA, di derivazione comunitaria,  se  pure
certamente  riferibili  alla  materia  della  tutela   dell'ambiente,
sarebbero tuttavia ascrivibili anche ad alcune materie di  competenza
concorrente regionale, e segnatamente, per l'appunto, a quella  della
tutela della  salute.  Lo  stretto  collegamento  fra  la  disciplina
ambientale, in particolare quella dei  rifiuti,  e  la  tutela  della
salute e'  considerato,  del  resto,  pacifico  dalla  giurisprudenza
costituzionale (e' citata, in specie, la sentenza n. 75 del 2017).
    L'attinenza della disciplina della VIA a tale ambito  di  materia
e'  reso,  d'altronde,  palese   dalle   premesse   della   direttiva
2014/52/UE, che, al considerando n.  41,  afferma  espressamente  che
l'obiettivo da essa perseguito e'  quello  di  garantire  un  elevato
livello di protezione dell'ambiente e della salute umana, grazie alla
definizione dei requisiti  minimi  per  la  valutazione  dell'impatto
ambientale dei progetti. Lo stesso art. 4, comma 4, lettera  b),  del
d.lgs. n. 152 del 2006 conferma che  la  VIA  mira  a  proteggere  la
salute umana.
    Per altro verso, la Corte costituzionale  ha  posto  in  evidenza
come l'attribuzione allo Stato della competenza legislativa esclusiva
in  materia  di  tutela  dell'ambiente  non  escluda  interventi  del
legislatore regionale diretti a soddisfare, nell'ambito delle proprie
competenze,  ulteriori  esigenze  rispetto  a  quelle  di   carattere
unitario definite dallo Stato (viene citata la sentenza  n.  407  del
2002). Inoltre, pur  riconoscendo  specificamente  che  le  norme  in
materia di VIA rientrano nel perimetro dell'art. 117, secondo  comma,
lettera s), Cost., la Corte  ha  anche  riscontrato  la  presenza  di
ambiti materiali di spettanza regionale, soprattutto nel campo  della
tutela della salute (sono citate le sentenze n. 234 del 2009 e n. 398
del 2006).
    4.2.2.-  Nel  caso  di  specie,  la  violazione  della   potesta'
legislativa regionale sarebbe resa ancora  piu'  evidente  dal  nuovo
testo dell'art. 7  del  d.lgs.  n.  152  del  2006,  come  modificato
dall'art. 4 del d.lgs. n. 104 del 2017,  nel  quale  si  conferma  la
competenza  legislativa  e  amministrativa  delle  Regioni  e   delle
Province autonome in materia di VAS e di AIA.
    La diversa disciplina a  fronte  di  materie  che  presentano  un
analogo riparto della potesta' legislativa tra Stato e Regioni (VIA e
VAS)  non  potrebbe  essere  giustificata  sulla  base  del  generico
richiamo,   contenuto   nella   legge   delega,   ai   principi    di
«semplificazione, armonizzazione e razionalizzazione» delle procedure
di VIA, «anche in relazione al coordinamento e  all'integrazione  con
altre procedure volte al  rilascio  di  pareri  e  autorizzazioni  di
carattere ambientale».
    In nessun caso, d'altra parte, l'attuazione di tali condivisibili
principi potrebbe legittimare un intervento, quale quello operato dal
decreto legislativo censurato, inteso a ridisegnare ex novo l'assetto
dei rapporti tra Stato e Regioni. Al contrario,  la  semplificazione,
l'armonizzazione e la razionalizzazione non  potrebbe  «che  fondarsi
sul riparto di competenze».  Di  qui,  dunque,  la  violazione  anche
dell'art. 76 Cost.
    4.2.3.- La diversa disciplina  prevista  per  la  VAS  e  la  VIA
comporterebbe,  altresi',  la  violazione  dell'art.  3  Cost.,  «per
mancanza di proporzionalita' in  ragione  delle  identiche  finalita'
dichiarate», di «proteggere  la  salute  umana,  contribuire  con  un
migliore  ambiente  alla   qualita'   della   vita,   provvedere   al
mantenimento della specie e conservare la capacita'  di  riproduzione
degli ecosistemi» (art. 4 del d.lgs. n. 152 del 2006, come modificato
dall'art. 1 del d.lgs. n. 104 del 2017).
    L'art. 3 Cost. risulterebbe violato anche sotto il profilo  della
irragionevole  compromissione  della  potesta'  normativa   regionale
conseguente, in particolare, alla previsione di cui  all'art.  7-bis,
commi  7  e  8,  del  d.lgs.  n.  152  del  2006.  La  giurisprudenza
costituzionale ha,  infatti,  riconosciuto  che  le  Regioni  possono
stabilire, in materia ambientale,  livelli  di  tutela  piu'  elevati
rispetto  alla  disciplina  statale:   intervento   che   rimarrebbe,
tuttavia,  precluso  dalla  limitazione  della  potesta'  legislativa
regionale ai soli profili organizzativi.
    4.3.- L'impugnato art. 16, comma 2, del d.lgs. n. 104  del  2017,
che  disciplina  il  provvedimento  autorizzatorio  unico  regionale,
obbligatorio in caso di VIA regionale, prevedrebbe  una  «dettagliata
regolazione» del provvedimento stesso, quale modalita'  «esclusiva  e
obbligatoria di procedimento».
    4.3.1.- Per la ricorrente la disposizione  sarebbe  illogica  dal
momento che l'art. 16, comma 1, dispone per i progetti soggetti a VIA
statale che il provvedimento  non  sia  unico,  salvo  richiesta  del
proponente, mentre «in caso di VIA regionale vige la  obbligatorieta'
del procedimento unico», gravando l'interessato di  preventivi  oneri
istruttori.
    Il provvedimento  unico  statale,  inoltre,  considererebbe  solo
alcuni atti abilitativi,  indicati  dal  citato  art.  16,  comma  2,
lettere da a) ad h); la finalita'  di  integrare  le  valutazioni  di
impatto ambientale,  inoltre,  sarebbe  rimessa  agli  Stati  membri,
secondo quanto previsto dal considerando n. 21 della  direttiva  (UE)
n. 2014/52, nonche' dall'art. 2, comma 2, della direttiva 2011/92/UE.
    4.3.2.- La ricorrente lamenta altresi'  che  la  norma  censurata
riunirebbe nell'autorizzazione unica procedimenti relativi a  materie
diverse rispetto a quella ambientale, in  contrasto  con  i  principi
costituzionali sulla delega legislativa, di cui all'art. 76 Cost.
    4.3.3.- Ad avviso  della  ricorrente,  con  l'introduzione  della
norma impugnata l'autorita' competente in  materia  di  VIA  «diviene
sportello unico» quale «luogo, fisico o virtuale» cui rivolgersi  per
ottenere  quanto  necessario  all'autorizzazione  dei  progetti.   La
disposizione si porrebbe in contrasto con il d.lgs. n. 127 del  2016,
che poneva in capo all'autorita'  competente  l'onere  procedimentale
dell'apertura della fase istruttoria. La previsione impugnata sarebbe
difforme anche rispetto alla legge delega n. 114 del 2015,  la  quale
richiedeva   un   riordino   attraverso   l'integrazione   dei   soli
procedimenti in materia ambientale (sono richiamate  le  sentenze  n.
293 del 2010 e n. 199 del 2003). Siffatta norma, infine,  inciderebbe
su procedimenti non attinenti all'ambiente (governo  del  territorio,
tutela  della  salute,  ovvero  la   protezione   civile   nel   caso
dell'autorizzazione antisismica).
    4.3.4.- Fa presente la  ricorrente  che,  secondo  questa  Corte,
soluzioni innovative del  sistema  legislativo  previgente  sarebbero
ammissibili solo in presenza di principi e criteri direttivi  «idonei
a  circoscrivere  la  discrezionalita'  del   legislatore   delegato»
(sentenza n. 293 del 2010).
    4.3.5.- Esulerebbe, inoltre, dalla delega, «il riassetto generale
dei rapporti tra  Stato  e  Regioni  in  materie  non  di  competenza
esclusiva statale ai sensi dell'art. 117, secondo comma,  Cost.»,  in
quanto la disciplina per operare tale riassetto dovrebbe  coinvolgere
le Regioni, sia nel rapporto tra principi fondamentali e legislazione
di  dettaglio,  nelle  materie  di  competenza  concorrente,  sia,  a
fortiori, nell'esercizio del potere  di  avocazione  da  parte  dello
Stato di funzioni amministrative e legislative sulla  base  dell'art.
118, primo  comma,  Cost.,  nelle  materie  di  competenza  regionale
residuale (richiamata la sentenza n. 80 del 2012).
    La Regione ricorrente ritiene che l'autorizzazione unica,  «solo»
regionale, non determini una piu' penetrante difesa dell'ambiente, in
quanto la  finalita'  della  norma  non  sarebbe  quella  di  fissare
standard uniformi sul territorio nazionale;  il  provvedimento  unico
regionale delineato dall'impugnato art. 16, comma 2, (in  difformita'
alla  delega  legislativa),  imporrebbe  altresi'  termini  perentori
all'autorita' competente in materia di VIA regionale e determinerebbe
in capo alla stessa delle responsabilita' «significative» al di fuori
delle normative e dei  procedimenti  in  materia  ambientale»,  senza
l'attribuzione di adeguati strumenti operativi, violando  «il  canone
costituzionale del buon andamento» (sono richiamate le sentenze n. 40
e n. 135 del 1998).
    4.3.6.- Il procedimento delineato, infine, non prevedrebbe  forme
di coordinamento  con  altri  procedimenti,  generando  un'incertezza
applicativa  con  possibile  pregiudizio  della  garanzia   di   buon
andamento dell'amministrazione pubblica, di cui all'art. 97 Cost.; la
ricorrente dubita della ragionevolezza di tale scelta  in  violazione
dell'art. 3 Cost., e  del  principio  di  leale  collaborazione,  per
mancanza di proporzionalita' e di rispondenza  logica  rispetto  alle
finalita' dichiarate.
    4.4.- La Regione Lombardia impugna, inoltre, l'art. 21 del d.lgs.
n. 104 del 2017, che, sostituendo l'art. 33 del  d.lgs.  n.  152  del
2006, stabilisce  che  «[l]e  tariffe  da  applicare  ai  proponenti,
determinate sulla base del  costo  effettivo  del  servizio,  per  la
copertura  dei  costi  sopportati   dall'autorita'   competente   per
l'organizzazione e lo svolgimento  delle  attivita'  istruttorie,  di
monitoraggio   e   controllo   delle   procedure   di   verifica   di
assoggettabilita' a VIA, di VIA e di VAS sono  definite  con  decreto
del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del  mare,
di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze».
    La ricorrente lamenta il  mancato  coinvolgimento  delle  Regioni
nella determinazione delle  tariffe,  essendo  questa  basata  su  un
elemento - il «costo effettivo del servizio» - la cui quantificazione
non  puo'  prescindere  da  un  confronto  con  tutte  le   autorita'
competenti in materia di VIA (e dunque anche le  Regioni).  L'assenza
di  tale  confronto  comporterebbe   una   lesione   della   potesta'
organizzativa  delle  Regioni,  considerato  anche   il   fatto   che
l'introduzione,  con  l'art.  16  del  d.lgs.  n.   104   del   2017,
dell'autorizzazione unica  regionale  implica  che  il  provvedimento
finale  sia  connesso  a  competenze   che   esulano   dalla   tutela
dell'ambiente e ricadono nelle materie di competenza regionale.
    L'irragionevolezza della scelta legislativa risulterebbe esaltata
dalla previsione dell'art. 33, comma 2, del d.lgs. n.  152  del  2006
(non modificato), secondo la quale «[p]er  le  finalita'  di  cui  al
comma 1, le Regioni e le Province autonome di  Trento  e  di  Bolzano
possono   definire   proprie   modalita'   di    quantificazione    e
corresponsione degli oneri  da  porre  in  capo  ai  proponenti».  In
sostanza, dunque, il legislatore, da un  lato,  avrebbe  riconosciuto
alle  Regioni  la  potesta'  di  attuare  una   propria   definizione
tariffaria; dall'altro, avrebbe obliterato del  tutto  l'esigenza  di
consultarle.
    La disposizione censurata risulterebbe, quindi, incompatibile con
il principio di leale collaborazione, in violazione degli artt.  5  e
120 Cost., e comprimerebbe il potere della Regione di individuare  le
migliori  condizioni  di  esercizio   delle   funzioni   di   propria
competenza, secondo i principi di sussidiarieta', differenziazione  e
adeguatezza (riaffermati anche dall'art. 3-quinquies  del  d.lgs.  n.
152 del 2006), in violazione degli artt. 117, terzo e quarto comma, e
118 Cost.
    4.5.- La ricorrente rileva, ancora, che gli artt. 22, commi da  1
a 4, e l'art. 26, comma 1, lettera a), del d.lgs. n.  104  del  2017,
modificano gli Allegati alla Parte II del d.lgs.  n.  152  del  2006,
sottraendo  alle  Regioni  un  considerevole  numero   di   tipologie
progettuali soggette a VIA o a verifica di assoggettabilita'  a  VIA,
riguardanti materie di  potesta'  legislativa  anche  regionale,  per
attribuirle alla competenza amministrativa dello  Stato.  L'art.  26,
comma 1, lettera a), dispone poi le conseguenti abrogazioni.
    La giurisprudenza costituzionale  ha  chiarito  che,  in  materia
ambientale, il  legislatore  statale  puo'  emanare  anche  norme  di
dettaglio, purche' finalizzate alla tutela dell'ambiente:  condizione
non  riscontrabile  nella  specie.  Le  disposizioni  censurate   non
ampliano, infatti, i casi di sottoposizione a valutazione o  verifica
ambientale  e,  dunque,  non  pongono  ulteriori  garanzie  a  difesa
dell'ambiente, ma si limitano a disporre  uno  spostamento  verso  il
centro delle competenze, senza che cio' sia richiesto dalla direttiva
europea e dalla  legge  delega,  la  quale  si  limita  a  richiamare
l'esigenza di regolare aspetti procedurali in  materia  di  VIA,  con
conseguente violazione degli artt. 117, terzo comma, e 76 Cost.
    Le norme censurate  violerebbero,  altresi',  l'art.  118  Cost.,
ridimensionando le competenze amministrative regionali e quelle a suo
tempo conferite, per categorie di progetti, dalla stessa Regione agli
enti  locali:  e  cio'  a  prescindere  da  valutazioni   in   ordine
all'adeguatezza, o non, del  livello  costituzionale  coinvolto,  con
ulteriore violazione del principio di leale collaborazione (artt. 5 e
120 Cost.), per mancata previa intesa  tra  lo  Stato  e  le  Regioni
interessate.
    Ne', d'altra parte,  potrebbe  ravvisarsi  la  necessita'  di  un
esercizio unitario delle funzioni, poiche' i progetti indicati  dalla
norma sono attribuiti allo Stato a prescindere  dal  fatto  che  essi
ricadano nel territorio di piu' Regioni.
    4.6.- La Regione Lombardia impugna,  da  ultimo,  l'art.  27  del
d.lgs. n. 104 del 2017, il quale  reca  una  clausola  di  invarianza
finanziaria, stabilendo,  al  comma  1,  che  «[d]all'attuazione  del
presente decreto non devono derivare nuovi o maggiori oneri a  carico
della finanza pubblica», e, al comma 2, che «[f]ermo il  disposto  di
cui all'articolo 21, le attivita' di cui  al  presente  decreto  sono
svolte con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili  a
legislazione vigente».
    In sostanza, quindi, si  sarebbero  imposti  alle  Regioni  nuovi
adempimenti, con  conseguenti  nuovi  oneri,  intervenendo  anche  su
materie  di   competenza   concorrente,   senza   alcuna   previsione
finanziaria e imponendo, anzi, il «blocco delle risorse».
    Ad avviso della ricorrente, la disposizione violerebbe gli  artt.
76, 117, terzo comma, e 118 Cost.
    Essa si porrebbe in contrasto con la legge di delega n.  114  del
2015, che all'art. 1, comma 4, prevede la possibilita' di riconoscere
risorse in relazione a spese non contemplate dalle  leggi  vigenti  e
che non riguardino l'attivita' ordinaria delle  amministrazioni,  nei
limiti occorrenti per l'adeguamento alla direttiva.
    L'irrazionalita' della scelta operata dal legislatore delegato  e
la sua incoerenza rispetto agli scopi perseguiti dalla legge  n.  114
del 2015 risulterebbero, d'altra  parte,  palesi,  specie  alla  luce
dell'introduzione, con il menzionato art. 16, comma 2, del d.lgs.  n.
104 del 2017 (pure impugnato  dalla  ricorrente),  del  provvedimento
autorizzatorio  unico,   che   implicherebbe   una   modifica   dello
svolgimento delle funzioni regionali. La norma censurata non avrebbe,
peraltro, alcuna attinenza con la  tutela  dell'ambiente,  rimanendo,
dunque, estranea al perimetro della legislazione statale esclusiva.
    4.7.- In rapporto a tutte le disposizioni censurate,  la  Regione
sottolinea di essere legittimata a denunciare la violazione anche dei
parametri di cui agli artt. 3 e 76 Cost., non  attinenti  al  riparto
delle competenze tra Stato  e  Regioni,  in  quanto  tale  violazione
implica, per le ragioni esposte, la compromissione delle attribuzioni
regionali, ridondando quindi sul riparto delle competenze.
    5.- Si e' costituito, con atto depositato il 6 ottobre  2017,  il
Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e   difeso
dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  chiedendo  il  rigetto  del
ricorso.
    5.1.- La difesa statale eccepisce  l'infondatezza  della  censura
relativa all'art. 3, comma 1, lettera g), del d.lgs. n. 104 del 2017.
    La scelta del  legislatore  troverebbe  fondamento  nel  corretto
recepimento della «Direttiva VIA»  che  pone  in  evidenza  come,  in
alcuni casi riguardanti  la  protezione  civile,  l'osservanza  della
direttiva 2011/92/UE potrebbe avere effetti  negativi  sull'ambiente,
«ed e' dunque opportuno, ove del caso, autorizzare gli Stati membri a
non applicare la direttiva». L'art. 1, paragrafo 3,  della  direttiva
rimette inoltre agli Stati membri di  decidere  con  una  valutazione
"caso per caso" e, ove disposto dalla  normativa  nazionale,  di  non
applicare la direttiva a progetti o parti di essi aventi quale  unico
obiettivo la difesa o la protezione  civile,  qualora  l'applicazione
possa pregiudicare tali obiettivi.
    I commi 10 e 11 del nuovo art. 6 del  d.lgs.  n.  152  del  2006,
sostituiti dall'art. 3 del d.lgs. n. 104 del 2017, allineerebbero  la
disciplina nazionale alla direttiva, distinguendo i progetti relativi
a difesa e protezione civile (comma 10)  dalle  altre  condizioni  di
esenzione (comma 11).
    La disciplina si rivelerebbe garantista, grazie alla riserva  del
potere di esenzione dalla VIA in capo  al  Ministro  dell'ambiente  e
della tutela del  territorio  e  del  mare,  che  ne  assumerebbe  la
responsabilita' politicoamministrativa sul territorio nazionale e nei
confronti dell'Unione europea.  Non  si  ravviserebbero  ragioni  per
ridurre  lo  standard  di  tutela  ambientale,  consentendo  che   le
esclusioni citate possano essere disposte dalla singola Regione.
    5.2.- Con riferimento alla violazione delle norme  costituzionali
in tema di riparto delle competenze legislative, la disciplina  della
VIA   sarebbe   considerata   dalla   giurisprudenza   costituzionale
espressione della competenza esclusiva statale in materia di  «tutela
dell'ambiente e dell'ecosistema» di cui all'art. 117, secondo  comma,
lettera s), Cost.: l'esclusivita' della competenza  statale,  pur  in
presenza di un'incidenza sull'esercizio di  competenze  afferenti  ad
«ambiti  materiali  di  spettanza   regionale»,   determinerebbe   la
«prevalenza» della normativa statale (sentenza n. 234 del 2009).
    5.3.-  Neppure  si   ritiene   leso   il   principio   di   leale
collaborazione, poiche' l'impugnato art.  3,  comma  1,  lettera  g),
riferendosi «ai progetti aventi quale  unico  obiettivo  la  risposta
alle emergenze che riguardano la protezione civile  (oltre  a  quelli
riferibili  alla  difesa  nazionale)»,  rientrerebbe  nel  campo   di
applicazione della legge 24 febbraio 1992, n.  225  (Istituzione  del
Servizio  nazionale  della  protezione  civile),   che   all'art.   5
disciplinerebbe gli interventi da operarsi «durante la (e  a  seguito
della)  "dichiarazione  dello  stato  di  emergenza"»;   il   decreto
ministeriale, adottato per escludere taluni  progetti  dal  campo  di
applicazione delle  norme  in  materia  di  VIA,  sarebbe  successivo
rispetto alla valutazione - operata dal Dipartimento della protezione
civile «d'intesa con la Regione interessata» - degli interventi sulla
protezione civile.
    A norma dell'art. 5, comma 2, della citata legge n. 225 del 1992,
per l'attuazione degli interventi di protezione civile da effettuarsi
durante lo stato di emergenza, secondo l'Avvocatura, «si provvede con
apposita  ordinanza  di  protezione  civile  da  emanarsi  una  volta
"acquisita l'intesa delle regioni territorialmente interessate"».
    5.3.1.- La partecipazione regionale sarebbe  assicurata,  infine,
per i  progetti  di  protezione  civile,  successivi  allo  stato  di
emergenza.
    5.4.- L'Avvocatura contesta la fondatezza delle questioni  aventi
ad oggetto l'art. 5 del d.lgs.  n.  104  del  2017  sulla  scorta  di
considerazioni analoghe a quelle svolte in relazione al ricorso della
Regione autonoma Valle d'Aosta/Vallee d'Aoste (reg. ric.  n.  63  del
2017).
    5.5.- L'Avvocatura dello Stato eccepisce altresi'  l'infondatezza
della censura dell'impugnato art. 16, comma  2  del  d.lgs.  104  del
2017, poiche' il coordinamento del  procedimento  di  VIA  con  altri
procedimenti sarebbe  «implicitamente,  ma  chiaramente»,  necessario
dallo  stesso  oggetto  della  delega.   Quest'ultimo   consisterebbe
nell'attuazione della direttiva 2014/52/UE,  la  quale,  all'art.  2,
prevede che  «la  valutazione  dell'impatto  ambientale  puo'  essere
integrata nelle procedure esistenti di  autorizzazione  dei  progetti
negli Stati membri ovvero, in mancanza di queste, in altre  procedure
o nelle procedure da stabilire per  rispettare  gli  obiettivi  della
presente direttiva».
    5.5.1.- Per il Presidente  del  Consiglio  dei  ministri  sarebbe
stato  possibile  giungere  a  tale  risultato  solo  attraverso   la
previsione di un procedimento unico o comunque tramite l'integrazione
e il coordinamento con gli altri procedimenti di settore. Poiche'  la
direttiva  prevede  che  «gli  Stati  membri  dispongono   di   varie
possibilita'  per  dare  attuazione  alla   direttiva   relativamente
all'integrazione  delle  valutazioni  dell'impatto  ambientale  nelle
procedure nazionali», ritiene che  gli  elementi  di  tali  procedure
nazionali possano variare. In simile contesto, l'art.  16,  comma  2,
avrebbe previsto una disciplina per le procedure di  VIA  incardinate
nel  procedimento  autorizzatorio  unico  regionale,  confermando  la
scelta operata con la riforma della legge n. 241 del 1990, cosi' come
modificata dal d.lgs. n. 127 del 2016.
    5.6.- Prive di fondamento risulterebbero,  altresi',  le  censure
mosse all'art. 21 del d.lgs. n. 104 del 2017.
    Tale disposizione sostituisce, infatti, esclusivamente l'art. 33,
comma 1, del d.lgs. n. 152  del  2006,  lasciando  impregiudicate  le
competenze regionali stabilite dal successivo art. 33, comma 2.
    Dalla lettura coordinata delle due previsioni emergerebbe come il
comma 1 contenga  una  norma  di  principio,  che  indica  i  criteri
generali per la determinazione delle tariffe, destinata ad applicarsi
sia alla  VIA  statale,  sia  alla  VIA  regionale.  In  pari  tempo,
tuttavia, il medesimo comma 1 reca una previsione concernente solo la
VIA statale: ossia la delega a un decreto del Ministro  dell'ambiente
per la definizione in concreto delle  tariffe.  Che  tale  previsione
riguardi solo le tariffe statali lo si  desumerebbe  chiaramente  dal
comma 2, che affida alle  Regioni  l'attuazione  del  comma  1  nella
concreta definizione dei profili  tariffari.  Di  qui  l'infondatezza
delle  doglianze  della   ricorrente:   le   Regioni   non   soltanto
risulterebbero   "coinvolte"   nella   definizione   delle    tariffe
concernenti la VIA regionale, ma ne sarebbero,  anzi,  le  principali
protagoniste, dovendo semplicemente rispettare la norma di  principio
statale.
    5.7.- Per quanto attiene, poi, alle questioni che  investono  gli
artt. 22, commi da 1 a 4, e 26, comma 1, lettera a),  del  d.lgs.  n.
104 del 2017, con le quali si lamenta la sottrazione alle  competenze
regionali di un rilevante numero di tipologie progettuali, la  difesa
dello Stato ne eccepisce l'inammissibilita' per genericita' e carenza
di motivazione. Mancherebbe del tutto la specifica individuazione dei
progetti  la  cui  sottrazione  alla  VIA   regionale   comporterebbe
l'asserita lesione dell'art. 118 Cost. e, conseguentemente, qualunque
argomento a sostegno  dell'adeguatezza  del  livello  regionale  allo
svolgimento della relativa funzione amministrativa: elementi, questi,
imprescindibili per poter apprezzare una denuncia di  violazione  del
principio di sussidiarieta'.
    Quanto al merito, l'Avvocatura ribadisce le  considerazioni  gia'
svolte in relazione al ricorso  della  Regione  Valle  d'Aosta/Vallee
d'Aoste (reg. ric. n. 63 del 2017) circa  la  piena  riconducibilita'
dell'intervento modificativo censurato tanto ai  principi  e  criteri
direttivi specifici enunciati dall'art. 14, comma 1, della  legge  n.
114 del 2015, quanto al principio e criterio  direttivo  generale  di
cui all'art. 32, comma 1, lettera g) della legge  n.  234  del  2012.
Ribadisce, altresi', come la modifica degli allegati al d.lgs. n. 152
del 2006 risponda all'obiettivo di razionalizzare  il  riparto  delle
competenze  amministrative  tra  Stato  e  Regioni,  sulla  base  del
dirimente criterio della dimensione  sovraregionale  degli  impianti:
criterio che troverebbe fondamento nell'art. 118, primo comma, Cost.,
per la corretta allocazione di dette funzioni.
    5.8.- Inammissibili per genericita' e difetto di  motivazione  in
punto di violazione dei parametri costituzionali evocati sarebbero  -
secondo l'Avvocatura - anche le censure che investono l'art.  27  del
d.lgs. n. 104 del 2017.
    Nel merito, le censure sarebbero basate sull'erroneo assunto  che
la disciplina di  riferimento  avrebbe  posto  non  meglio  precisati
«nuovi e maggiori oneri procedimentali in capo  alle  amministrazioni
regionali»,   riconducibili,    in    specie,    al    «provvedimento
autorizzatorio unico» introdotto dall'art. 16, comma 2, del d.lgs. n.
104 del 2017. Tale ultimo intervento sarebbe, peraltro,  confermativo
e  speculare  rispetto  alle  scelte  gia'  operate  con  la  riforma
dell'art. 14, comma 4, della n. 241 del 1990, di cui al d.lgs. n. 127
del 2016.
    La doglianza della Regione risulterebbe inoltre  illogica,  posto
che la stessa ricorrente, per  un  verso,  lamenta  di  essere  stata
spogliata delle proprie precedenti competenze e, per  l'altro,  della
impossibilita' di adottare  misure  di  implementazione  finanziaria,
strumentale e di personale.
    La Regione avrebbe omesso,  infine,  di  tener  conto  di  quanto
disposto dall'art. 33, commi 1 e 2, del d.lgs. n. 152 del  2006,  ove
si  prevede  la  totale  copertura  di  tutti  i   costi   sopportati
dall'autorita' competente a valere  sulle  tariffe  da  applicare  ai
proponenti, nonche' la possibilita'  per  gli  enti  territoriali  di
definire proprie modalita' di  quantificazione  e  corresponsione  di
tali tariffe.
    6.- Con ricorso notificato il 1° settembre 2017, depositato il  6
settembre 2017 (reg. ric. n. 65  del  2017),  la  Regione  Puglia  ha
promosso le seguenti questioni di legittimita' costituzionale:
    a) in via principale, dell'intero d.lgs. n.  104  del  2017,  per
violazione dell'art. 76 Cost., sotto il profilo del tardivo esercizio
della  delega   legislativa,   nonche'   del   principio   di   leale
collaborazione;
    b) in via subordinata, degli artt. 3, 4, 5 e 22 del d.lgs. n. 104
del 2017,  per  violazione  dell'art.  76  Cost.,  sotto  il  profilo
dell'eccesso di delega; degli artt. 3, comma 1, lettera g), 14 e  18,
comma 3, per violazione  degli  artt.  3,  9,  24  (evocato  solo  in
relazione all'art. 18, comma 3), 76 e 97 Cost.
    6.1.- Con riferimento alla prima censura la ricorrente rileva che
il decreto legislativo impugnato e' stato adottato sulla  base  della
delega conferita dalla legge n. 114 del 2015. L'art. 1, comma  2,  di
tale legge individua il termine per l'esercizio della delega mediante
rinvio all'art. 31, comma 1, della legge n. 234 del  2012,  in  forza
del quale, relativamente alle deleghe legislative  conferite  con  la
legge di delegazione europea per il recepimento delle direttive,  «il
Governo adotta i decreti legislativi entro il termine di quattro mesi
antecedenti a  quello  di  recepimento  indicato  in  ciascuna  delle
direttive».
    La  direttiva  2014/52/UE,  che  il  Governo  era  chiamato   nel
frangente ad attuare, all'art. 2, paragrafo 1, prevede  come  termine
di recepimento il 16 maggio 2017: di conseguenza, la  delega  avrebbe
dovuto essere esercitata entro il 16  gennaio  2017.  Ai  fini  della
verifica del rispetto di tale termine, dovrebbe aversi riguardo  alla
data di emanazione del decreto legislativo da  parte  del  Presidente
della Repubblica, a norma dell'art. 87 Cost.: adempimento che vale ad
immettere l'atto nell'ordinamento giuridico della Repubblica.
    Nella specie, il decreto legislativo impugnato e'  stato  emanato
dal Presidente della Repubblica solo il 16 giugno 2017. Risulterebbe,
pertanto,  evidente  che  il  termine  della  delega  non  e'   stato
rispettato dal Governo, con  conseguente  illegittimita'  dell'intero
decreto per violazione dell'art. 76 Cost., che prevede tra i  vincoli
della delegazione legislativa il «tempo limitato».
    La conclusione non muterebbe  neppure  qualora  si  volesse  fare
riferimento alla data di deliberazione del Consiglio dei ministri  (9
giugno 2017), o addirittura a quella della deliberazione  preliminare
(10 marzo 2017, come si desume dal preambolo del decreto  impugnato).
Anche tali date risultano, infatti, entrambe posteriori al termine di
esercizio della delega.
    6.2.- L'intero d.lgs. n. 104  del  2017  risulterebbe,  altresi',
illegittimo per violazione del principio di leale collaborazione.
    Le materie sulle quali incide la direttiva andrebbero individuate
non soltanto - e certamente - nell'ambiente, ma  anche  nella  tutela
della salute, nella pianificazione territoriale e, piu' in  generale,
nell'uso del territorio, nella protezione del  patrimonio  culturale,
nella  difesa  e  nella  protezione  civile,  tutte   di   competenza
regionale.
    Nel  settore  preso  in   considerazione   dalla   direttiva   si
determinerebbe, quindi, un intreccio di campi materiali dello Stato e
delle  Regioni,  che,  se  pure  abilita  lo  Stato  ad  assumere  la
competenza  legislativa,  lo   obbliga,   tuttavia   -   secondo   la
giurisprudenza costituzionale - ad instaurare procedure collaborative
nell'esercizio della medesima.
    Con la sentenza n. 251 del  2016,  la  Corte  costituzionale  ha,
infatti, esteso l'ambito applicativo della leale collaborazione anche
al sistema delle  fonti  normative  e,  in  particolare,  ai  decreti
legislativi. Secondo la citata pronuncia, in presenza di un  concorso
di competenze, inestricabilmente connesse,  nessuna  delle  quali  si
riveli prevalente, non e' costituzionalmente illegittimo l'intervento
del legislatore statale, se  necessario  a  garantire  l'esigenza  di
unitarieta' sottesa alla riforma del  settore.  Tuttavia,  esso  deve
muoversi  nel  rispetto  del  principio  di   leale   collaborazione:
principio  che  trova  il  suo  luogo  idoneo  di  espressione  nella
Conferenza Stato-Regioni.
    Nella specie, il d.lgs. n. 104 del 2017  e'  stato  deliberato  -
come risulta dal suo preambolo - dopo l'acquisizione del parere della
Conferenza Stato-Regioni, espresso nella seduta del  4  maggio  2017.
Tenuto conto, tuttavia, del fatto che la  disciplina  di  recepimento
della  direttiva  europea  incide  profondamente  sul  riparto  delle
competenze tra lo Stato e le  Regioni,  l'acquisizione  del  semplice
parere  di  detta  Conferenza  non  sarebbe  sufficiente  a   rendere
legittimo  il  decreto  legislativo,  dovendosi  ritenere  necessario
l'avvio di procedure collaborative nella  fase  di  attuazione  della
delega volte al conseguimento dell'intesa.
    Al riguardo, la Regione Puglia lascia alla  Corte  costituzionale
la valutazione «se sollevare davanti a se'  stessa  la  questione  di
legittimita' costituzionale  della  legge  di  delega»,  che  non  ha
espressamente previsto l'intesa  per  la  deliberazione  del  decreto
legislativo, oppure se censurare direttamente il  vizio  in  capo  al
decreto legislativo.
    A cio' va aggiunto che il parere della Conferenza sarebbe  stato,
nella specie, negativo,  avendo  le  Regioni  posto  nove  condizioni
irrinunciabili  per  il  superamento  di  tale  giudizio:  condizioni
totalmente disattese dal legislatore delegato.
    6.3.- In via subordinata, la ricorrente censura in modo specifico
le disposizioni di cui agli artt. 3, 4, 5 e 22 del d.lgs. n. 104  del
2017, che rispettivamente modificano gli artt.  6  e  7,  introducono
l'art. 7-bis del d.lgs. n. 152 del 2006  e  modificano  gli  Allegati
alla parte seconda di tale ultimo decreto.
    Con  tali  disposizioni,  il  d.lgs.  n.  104  del  2017  avrebbe
ampiamente inciso sul  riparto  delle  competenze  amministrative  di
Stato e Regioni in materia di VIA, attribuendo alla competenza  dello
Stato una serie di procedimenti in precedenza di spettanza regionale.
    Al riguardo, verrebbero in particolare rilievo  non  soltanto  le
ipotesi che l'impugnato art. 22, comma 1, lettere a), c), i) e l), ha
aggiunto all'Allegato II (il quale, ai sensi dell'art.  7-bis,  comma
2, del d.lgs. n.  152  del  2006,  inserito  dal  decreto  impugnato,
individua i progetti sottoposti a VIA  in  sede  statale),  ma  anche
quelle abrogazioni che, elidendo parole che circoscrivevano  l'ambito
di applicazione della fattispecie, ne hanno esteso la  portata  (art.
22, comma l, lettera b). Peraltro, anche laddove il medesimo art. 22,
comma l, ha operato sostituzioni, cio'  ha  comportato  un'estensione
della competenza statale, come nel caso della lettera  d),  che,  nel
sostituire  il  punto  7-quater,  ha  inserito  nell'Allegato   anche
l'attivita' di ricerca e coltivazione di risorse geotermiche in mare.
    L'Allegato  II-bis,  nell'individuare  ex  novo   i   «[p]rogetti
sottoposti alla verifica di assoggettabilita' di competenza statale»,
estenderebbe la competenza statale (ad esempio, con le previsioni  di
cui al punto 1,  lettere  a)  e  d)  a  detrimento  della  precedente
competenza regionale).
    Tutto cio', per tacere dei casi nei quali il decreto  legislativo
ricorre «alla tecnica della "sostituzione" delle  ipotesi»,  rendendo
poco agevole il riscontro di una estensione della  competenza  (come,
ad esempio, nel caso di cui all'art. 22, comma 1, lettera f, relativo
allo «stoccaggio», per il quale le soglie sono state tutte dimezzate,
con  ampliamento  della  competenza,  tranne  l'ultima,  che   rimane
immutata).
    Ad   avviso   della   ricorrente,   le   disposizioni   censurate
violerebbero l'art. 76 Cost. per eccesso di delega, posto che ne'  la
legge di delegazione, ne' la direttiva europea  che  il  Governo  era
chiamato  ad  attuare,  avrebbero  richiesto  una   revisione   delle
competenze interne o fornito una base adeguata per legittimarla.
    6.4.- Vengono impugnati altresi' gli artt. 3,  comma  1,  lettera
g), l'art. 14 e l'art. 18, comma 3.
    6.4.1.- La prima disposizione  prevedrebbe  l'esonero  di  alcuni
progetti dalla valutazione ambientale.  Premette  la  ricorrente  che
l'art. 1 della direttiva 2014/52/UE stabilisce che «gli Stati membri,
in casi eccezionali, possono esentare in tutto o in parte un progetto
specifico  dalle  disposizioni  della  presente  direttiva,   qualora
l'applicazione  di  tali  disposizioni  incida  negativamente   sulla
finalita'  del  progetto,  a  condizione  che  siano  rispettati  gli
obiettivi della presente direttiva».
    La direttiva farebbe riferimento «a una mera facolta' e non a  un
obbligo» e il  legislatore  delegato  avrebbe  imposto  il  principio
direttivo  del  «rafforzamento  della  qualita'  della  procedura  di
valutazione di impatto ambientale»; in assenza di un obbligo  per  il
legislatore di  prevedere  questa  facolta',  «nulla  autorizzava  il
legislatore delegato nello stesso senso».
    L'impugnato art. 3, comma 1, lettera g), prevedrebbe una  duplice
possibilita' di esonero dalla VIA; per un verso, «per  i  progetti  o
parti di progetti aventi quale unico obiettivo la difesa nazionale  e
per  i  progetti  aventi  quali  unico  obiettivo  la  risposta  alle
emergenze che riguardano la protezione civile»; per altro  verso,  in
altri « casi eccezionali, previo parere del Ministro dei beni e delle
attivita' culturali e del turismo», qualora  l'applicazione  di  tali
disposizioni incida negativamente sulla finalita' del progetto.
    6.4.2.- L'art. 14, nel riformulare l'art. 25 del  d.lgs.  n.  152
del 2006, non contemplerebbe piu' il parere della Regione interessata
nell'ambito delle valutazioni ambientali di competenza statale;  cio'
rileverebbe sotto un duplice profilo.
    Per  un  verso,  nessuna  norma  di  delega  legislativa  avrebbe
previsto, fra i propri principi e criteri direttivi, la modifica  del
coinvolgimento  regionale  nelle  procedure  amministrative,  ne'  il
depotenziamento della partecipazione. Nella  formulazione  pregressa,
la disposizione muoveva dalla considerazione  che  le  attivita'  sul
territorio sottoposte a VIA, anche  se  di  competenza  dello  Stato,
riguardavano anche le Regioni, per il loro rilievo  sulle  competenze
di queste ultime.
    Appare alla ricorrente irragionevole ravvedere in un mero  parere
«per sua natura non  vincolante»  un  ostacolo  alla  semplificazione
normativa. Le amministrazioni interessate, al  contrario,  potrebbero
fornire utili elementi all'esame del Ministero  dell'ambiente.  Nulla
avrebbe autorizzato il legislatore delegato «a irrompere nell'assetto
del riparto delle competenze in materia  di  VIA»  eliminando  simile
forma di compensazione del  coinvolgimento  regionale  attraverso  il
parere; allo stato attuale le Regioni verrebbero  deprivate  di  ogni
forma di partecipazione, in  modo  irragionevole  e  senza  una  base
legislativa di riferimento. In ragione del rilevato  intreccio  delle
competenze in materia, la rimozione di questa forma di partecipazione
sarebbe  altresi'  in   contrasto   con   il   principio   di   leale
collaborazione.
    Tale previsione normativa si porrebbe in contrasto con l'art.  76
Cost., per mancanza di un criterio direttivo nella legge  di  delega;
essa, inoltre, in combinato disposto con l'impugnato art.  18,  comma
3,  violerebbe  altresi'  gli  artt.   3,   9   e   97   Cost.,   per
irragionevolezza, in quanto potrebbe non essere realizzato «un  serio
sindacato giurisdizionale sulla decisione ministeriale»,  in  assenza
di particolari oneri motivazionali per agire in deroga alla normativa
stessa. Neppure vi sarebbero elementi per compensare «la recessivita'
del  bene-ambiente  tutelato  dall'art.  9  Cost.»  e  la  deroga  al
principio  di  buon  andamento   e   imparzialita'   della   pubblica
amministrazione;  tale   esenzione,   infatti,   non   contemplerebbe
valutazioni successive «in grado di "sanare" la deroga iniziale».
    Con riferimento all'esenzione motivata da esigenze di  protezione
civile, la decisione sottesa  verrebbe  adottata  in  violazione  del
principio  di  leale  collaborazione.  Infatti,  la  ponderazione  di
interessi che dovrebbero condurre  alla  rinuncia  del  perseguimento
della tutela ambientale, in vista del raggiungimento  dei  richiamati
obiettivi di protezione civile (di competenza concorrente),  dovrebbe
contemplare meccanismi cooperativi. Ove  il  giudizio  di  prevalenza
previsto  dalla  norma  fosse  conforme  al  quadro   costituzionale,
l'esercizio della  competenza  concorrente,  che  prevale  su  quella
esclusiva in materia ambientale, necessiterebbe della  previa  intesa
regionale.
    6.4.3.- L'impugnato art. 18, comma 3, infine, prevede che  «[n]el
caso di progetti a cui si  applicano  le  disposizioni  del  presente
decreto realizzati senza la previa sottoposizione al procedimento  di
verifica di assoggettabilita' a VIA, al procedimento di VIA ovvero al
procedimento unico di cui  all'articolo  27  o  di  cui  all'articolo
27-bis, in violazione delle disposizioni di cui  al  presente  Titolo
III, ovvero in caso di annullamento  in  sede  giurisdizionale  o  in
autotutela dei provvedimenti di verifica di assoggettabilita' a VIA o
dei provvedimenti di VIA relativi a un progetto gia' realizzato o  in
corso di realizzazione, l'autorita'  competente  assegna  un  termine
all'interessato entro il quale avviare un nuovo procedimento  e  puo'
consentire la prosecuzione dei lavori o delle attivita' a  condizione
che tale prosecuzione avvenga in termini di  sicurezza  con  riguardo
agli eventuali  rischi  sanitari,  ambientali  o  per  il  patrimonio
culturale [...]».
    Per la ricorrente,  la  disposizione  non  corrisponde  ad  alcun
criterio direttivo e si porrebbe in contrasto anche con il  principio
di ragionevolezza, il perseguimento della tutela ambientale  (art.  9
Cost.), il principio di legalita' (art. 97 Cost.)  e  di  difesa  dei
propri diritti e interessi legittimi in giudizio (art. 24 Cost.).  Il
decreto consentirebbe,  infatti,  che  nonostante  la  violazione  in
termini di  valutazioni  ambientali  (per  erroneo  esonero  o  altra
illegittimita'), «possano continuare a essere assentite le  attivita'
di riferimento, entro un termine non specificato in via legislativa».
    7.- Si e' costituito, con atto depositato il 10 ottobre 2017,  il
Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e   difeso
dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  chiedendo  il  rigetto  del
ricorso.
    7.1.- Infondata,  secondo  la  difesa  dello  Stato,  sarebbe  la
censura, riferita all'intero d.lgs. n. 104 del  2017,  in  violazione
dell'art.  76  Cost.,  per  tardivita'  dell'esercizio  della  delega
legislativa.
    La ricorrente avrebbe, infatti, richiamato il  testo  attualmente
vigente  dell'art.  32,  comma  1,  della  legge  n.  234  del  2012,
trascurando il fatto che esso e' stato oggetto di modifica  ad  opera
dell'art. 29, comma 1, lettera b), della legge 29 luglio 2015, n. 115
(Disposizioni   per   l'adempimento    degli    obblighi    derivanti
dall'appartenenza dell'Italia  all'Unione  europea  -  Legge  europea
2014), entrata in vigore il 18 agosto 2015.
    La legge delega per l'attuazione della direttiva  2014/52/UE  (la
richiamata legge n. 114 del 2015) e' entrata invece in vigore  il  15
agosto 2015, quando era ancora vigente il precedente testo  dell'art.
31, comma 1, della legge n. 234 del 2012, il quale prevedeva  che  il
Governo dovesse adottare i decreti legislativi entro  il  termine  di
due mesi (e non gia' di quattro mesi, come nella versione  novellata)
antecedenti  quello  di  recepimento  indicato  in   ciascuna   delle
direttive.
    Alla  luce  del  principio  di  irretroattivita'   delle   leggi,
stabilito dall'art. 11, comma 1, delle  disposizioni  preliminari  al
codice civile, la modifica del termine generale per l'esercizio delle
deleghe legislative per l'attuazione delle direttive europee, operata
dalla legge n. 115 del 2015, senza alcuna previsione che  ne  affermi
la  portata  retroattiva,  potrebbe  riguardare   solo   le   deleghe
legislative ad essa successive: non, dunque, quella di cui alla legge
n. 114 del 2015, entrata in vigore in data antecedente.
    Il termine che il Governo doveva  rispettare  nella  specie  era,
pertanto - secondo il resistente - quello dei  due  mesi  antecedenti
alla data di scadenza della direttiva (16 maggio 2017): ossia  il  16
marzo 2017, termine poi prorogato al 16 giugno 2017  in  applicazione
di quanto espressamente previsto dall'art. 31, comma 3,  della  legge
n. 234 del 2012.
    7.2.- Quanto alla dedotta illegittimita'  dell'intero  d.lgs.  n.
104 del 2017, per violazione del principio di leale collaborazione in
relazione al procedimento di adozione del decreto, il Presidente  del
Consiglio dei ministri eccepisce l'inammissibilita' della censura, in
ragione del fatto che non e' mai stata promossa dalla Regione  Puglia
questione  di  legittimita'  costituzionale   della   legge   delega,
allegando,  a  sostegno  dell'eccezione,  considerazioni  analoghe  a
quelle svolte in relazione alla similare  doglianza  prospettata  nel
ricorso della Regione Valle d'Aosta/Vallee d'Aoste (reg. ric.  n.  63
del 2017).
    Nel merito, la censura risulterebbe,  ad  ogni  modo,  infondata,
anche in  questo  caso  per  ragioni  analoghe  a  quelle  svolte  in
relazione al ricorso ora  indicato.  In  particolare,  posto  che  la
normativa sulla VIA rientra nelle materie - "traversali" e prevalenti
-  della  tutela  dell'ambiente  e  della  fissazione   dei   livelli
essenziali delle prestazioni, di  competenza  esclusiva  statale,  la
Regione ricorrente avrebbe  confuso  il  paradigma  giurisprudenziale
dell'«intreccio» di materie - al quale  si  riferisce  la  richiamata
sentenza n. 251 del 2016, di questa Corte - con quello della semplice
«incidenza» delle norme dettate dello Stato in materie di  competenza
esclusiva su funzioni regionali: fenomeno, questo,  che  caratterizza
naturalmente  le  materie  «trasversali».   In   tale   ipotesi,   e'
sufficiente che la legislazione statale disciplini l'esercizio  della
funzione   prevedendo   passaggi   collaborativi   con   la   Regione
interessata: onere che sarebbe stato assolto con  la  previsione  del
nuovo art. 23 del d.lgs. n. 152 del 2006.
    7.3.- Con riguardo, infine, alla questione che investe gli  artt.
3, 4, 5 e 22 del d.lgs. n. 104 del 2017, l'Avvocatura generale  dello
Stato ne eccepisce del pari  l'inammissibilita',  avendo  la  Regione
evocato  il  solo  parametro  dell'art.  76   Cost.,   senza   alcuna
motivazione   sulla   «ridondanza»   del   vizio   sulle   competenze
costituzionalmente riconosciute alla Regione.
    La questione sarebbe, in ogni caso, infondata.
    L'Avvocatura ribadisce, anche a questo riguardo,  quanto  dedotto
in rapporto al ricorso della  Regione  Valle  d'Aosta/Vallee  d'Aoste
(reg. ric. n. 63 del 2017),  e  cioe'  che  la  modifica  del  quadro
allocativo delle competenze sarebbe ricompresa  nel  «potere/dovere»,
conferito al Governo dall'art. 14, comma 1, lettere a)  e  b),  della
legge n. 114 del  2015,  di  «armonizzazione»  e  «razionalizzazione»
delle  procedure  di  VIA,  nonche'  di  «rafforzamento»  della  loro
qualita', allineandole ai principi della coerenza  e  della  sinergia
con altre normative e politiche europee e nazionali, e  risulterebbe,
anzi, imposta dal principio e criterio  direttivo  generale,  di  cui
all'art. 32, comma 1, lettera  g),  della  legge  n.  234  del  2012,
relativo  all'ipotesi  in  cui  si  verifichino  «sovrapposizioni  di
competenze».
    7.4.- Secondo il Presidente del Consiglio dei ministri la censura
dell'art. 14 sarebbe  manifestamente  inammissibile  per  difetto  di
motivazione circa la  presunta  «ridondanza»  del  vizio  prospettato
sulla lesione  di  competenze  costituzionalmente  riconosciute  alle
Regioni dagli artt. 117, 118 e  119  Cost.,  ovvero  di  altre  norme
costituzionali poste a presidio di prerogative regionali.
    7.5.- Le censure sull'art. 3, comma l, lettera g),  in  relazione
all'art. 76 Cost.,  sarebbero  inammissibili  in  assenza  di  alcuna
motivazione circa la presunta «ridondanza» dei vizi prospettati sulla
lesione di competenze costituzionalmente riconosciute  alle  Regioni.
La censura, in ogni caso,  sarebbe  generica,  dal  momento  che  non
sarebbe dato  comprendere  se  la  Regione  Puglia  ha  censurato  la
disciplina contenuta  effettivamente  nella  disposizione  richiamata
(che ha sostituito l'art. 6, comma 10, del d.lgs. n. 152 del 2006,  e
che e' riferita alle sole esenzioni dei progetti aventi  quale  unico
obiettivo  la  difesa  nazionale  e  la  risposta  ad  emergenze   di
protezione civile), ovvero quella contenuta nella successiva  lettera
h) (che ha sostituito l'art. 6, comma 11, del d.lgs. n. 152 del 2006,
riferita ai soli "casi eccezionali").
    7.6.- Le doglianze regionali sarebbero poi infondate nel  merito.
La procedura di VIA di competenza statale, di  cui  all'art.  23  del
d.lgs. n. 152 del 2006, prevedrebbe per tutto l'iter  procedurale  un
adeguato   coinvolgimento    delle    amministrazioni    interessate,
introducendo obblighi informativi  e  di  pubblicita';  alla  Regione
inoltre non sarebbe sottratto alcun potere di  esprimere  il  proprio
parere  e  le  proprie  osservazioni  nei  procedimenti  di  VIA   di
competenza statale, poiche' l'art. 6  del  d.lgs.  n.  104  del  2017
prevedrebbe  la  partecipazione,  all'attivita'   istruttoria   della
Commissione  tecnica  di   verifica   dell'impatto   ambientale   del
Ministero,  di  un  esperto   designato   dagli   enti   territoriali
interessati.
    7.7.- Anche le residue censure sarebbero non fondate.
    7.7.1.- Quanto alla censura mossa in relazione alle esenzioni dei
progetti aventi quale  unico  obiettivo  la  difesa  nazionale  e  la
risposta ad emergenze di protezione civile, la scelta del legislatore
troverebbe  il  suo  fondamento  nel   corretto   recepimento   della
«Direttiva VIA».
    I commi 10  e  11  dell'art.  6  del  d.lgs.  n.  152  del  2006,
introdotti dall'art. 3 del d.lgs. n. 104 del 2017, avrebbero lo scopo
di allineare la disciplina nazionale alle  novita'  introdotte  dalla
richiamata   direttiva.   La   disciplina   sarebbe   particolarmente
garantista in termini di potenziale  esclusione  dei  progetti  dalla
disciplina recata dal Titolo III, della Parte II del  d.lgs.  n.  152
del 2006, grazie alla riserva del potere di esenzione  dalla  VIA  in
capo al Ministro dell'ambiente e della tutela del  territorio  e  del
mare, che ne assumerebbe la responsabilita' politicoamministrativa su
valere per tutto il territorio nazionale e nei confronti  dell'Unione
Europea. Non sarebbe ridotto lo standard di tutela ambientale.
    7.8.- L'impugnato art. 18, comma  3,  ricalcherebbe  quanto  gia'
previsto nel previgente art. 29  del  d.lgs.  n.  152  del  2006;  la
possibilita' di consentire la prosecuzione  delle  attivita'  sarebbe
solo eventuale e rimessa ad una specifica  decisione  della  medesima
autorita' misurata sulle peculiarita' del caso concreto,  in  assenza
della quale dovra' arrestarsi, risultando  sospesa  in  attesa  dello
svolgimento del nuovo procedimento di VIA.
    7.9.- In relazione alla cosiddetta «VIA postuma», l'Avvocatura fa
presente che la sentenza della Corte di giustizia dell'Unione europea
del 26 luglio 2017, nelle cause riunite da C-196/16  a  C-197/16,  ha
stabilito che in caso di omissione  di  una  valutazione  di  impatto
ambientale di un progetto «il diritto dell'Unione, da un lato, impone
agli Stati membri  di  rimuovere  le  conseguenze  illecite  di  tale
omissione e, dall'altro, non osta  a  che  una  valutazione  di  tale
impatto  sia  effettuata  a  titolo  di  regolarizzazione,  dopo   la
costruzione e la messa in servizio dell'impianto interessato, purche'
le norme nazionali che consentono tale regolarizzazione  non  offrano
agli  interessati  l'occasione  di  eludere  le  norme   di   diritto
dell'Unione o di disapplicarle e la valutazione effettuata  a  titolo
di regolarizzazione non si limiti alle ripercussioni future  di  tale
impianto sull'ambiente».
    In maniera coerente, il legislatore delegato avrebbe previsto che
l'autorita' competente assegna un termine all'interessato,  entro  il
quale  avviare  un  nuovo  procedimento,   e   puo'   consentire   la
prosecuzione dei lavori o  delle  attivita'  a  condizione  che  essa
avvenga in  termini  di  sicurezza  riguardo  agli  eventuali  rischi
sanitari, ambientali o per il patrimonio culturale;  ove  il  termine
fosse scaduto, ovvero nel caso in cui il nuovo provvedimento di  VIA,
adottato ai sensi degli artt. 25, 27 o 27-bis del d.lgs. n.  152  del
2006, abbia  contenuto  negativo,  l'autorita'  competente,  inoltre,
dispone la demolizione delle opere realizzate e il  ripristino  dello
stato dei luoghi e della situazione ambientale a cura e a  spese  del
responsabile, definendone i  termini  e  le  modalita'.  In  caso  di
inottemperanza, l'autorita' competente  provvede  d'ufficio  a  spese
dell'inadempiente.
    7.10.- Con  riferimento  all'ipotizzato  eccesso  di  delega,  il
d.lgs. n. 104 del 2017 sarebbe coerente con  la  norma  nazionale  di
delega e con le norme di diritto UE, le quali assumerebbero valore di
parametro interposto, potendo autonomamente giustificare l'intervento
del legislatore delegato (sentenze n. 131 del 2013, n. 272 del  2012,
n. 230 del 2010, n. 98 del 2008, n. 163 del 2000, n. 134 del  2013  e
n. 32 del 2005).
    8.- La Regione ha depositato una memoria illustrativa, insistendo
nelle conclusioni gia' formulate.
    8.1.- Relativamente alla censura dell'intero d.lgs.  n.  104  del
2017, per tardivo esercizio della delega, la ricorrente osserva -  in
replica alle difese dell'Avvocatura generale dello  Stato  -  che  il
principio  di  irretroattivita'  della  legge,  da  questa  invocato,
riguarda  le  norme  che  descrivono  fattispecie,  non  quelle   che
disciplinano termini e procedimenti (salvo che l'effetto  retroattivo
risulti espressamente escluso).
    Risulterebbe ad ogni modo dirimente il rilievo che, anche qualora
si ritenesse operante il termine dei due mesi (anziche'  dei  quattro
mesi) antecedenti il termine di recepimento della direttiva, previsto
dal testo originario dell'art. 32, comma 1, della legge  n.  234  del
2012, l'esercizio della delega  rimarrebbe  tardivo.  Per  ammissione
della stessa Avvocatura, infatti, in tale ipotesi il termine  sarebbe
scaduto il 16 marzo 2017 e, dunque, in data  anteriore  a  quella  di
emanazione del decreto delegato.
    Solo in applicazione della proroga prevista dall'art.  31,  comma
3, della legge n. 234 del 2012,  sarebbe  possibile  arrivare  al  16
giugno  2017.  Tale  disposizione  non  sarebbe,  tuttavia,   affatto
richiamata dalla legge n. 114 del 2015, la  quale,  con  riguardo  ai
termini di esercizio della delega, fa riferimento  al  solo  comma  1
dell'art. 31.
    In presenza di una legge delega che faccia  espresso  riferimento
al solo termine  "ordinario"  di  esercizio,  non  sarebbe  possibile
applicare analogicamente la  proroga  automatica  prevista  da  altra
disposizione non oggetto di richiamo. Diversamente opinando, uno  dei
requisiti previsti dall'art. 76 Cost. per la delegazione  legislativa
(il limite temporale di  esercizio)  risulterebbe  stabilito  in  via
generale e per sempre dalla legge n. 234 del 2012, rispetto a tutti i
casi di recepimento del diritto europeo: conclusione, questa, non  in
linea con il dettato costituzionale, in base al  quale  la  legge  di
delegazione dovrebbe soddisfare i  previsti  requisiti  di  validita'
«con un atto di volonta', che, volta per volta, sia [...]  diretto  a
disciplinare  la  rimessione  al  Governo  della  disciplina  di  uno
specifico settore».
    8.2.- Con riguardo, poi, alla censura dell'intero d.lgs.  n.  104
del 2017, per  violazione  del  principio  di  leale  collaborazione,
infondata apparirebbe l'eccezione  di  inammissibilita'  per  mancata
impugnazione della legge delega, formulata  dall'Avvocatura  generale
dello Stato.
    La  mancata  partecipazione  regionale  nella  forma  dell'intesa
rileverebbe, infatti, non solo come vizio  in  procedendo,  ma  anche
come vizio  sostanziale  di  lesione  del  riparto  delle  competenze
costituzionalmente stabilito, il quale non  e'  nella  disponibilita'
dello Stato e delle Regioni. Di conseguenza, non si potrebbe ritenere
che la mancata impugnazione della legge delega comporti  la  rinuncia
alla competenza: anzi, proprio la circostanza che la concreta lesione
delle  competenze  regionali  si  sia   verificata   solo   all'esito
dell'adozione  del  decreto  legislativo  lascerebbe   impregiudicata
l'impugnabilita' di quest'ultimo.
    Stante, inoltre, l'intima connessione tra legge delega e  decreto
delegato, resterebbe sempre  offerta  alla  Corte  costituzionale  la
possibilita' di sollevare davanti a se' la questione di  legittimita'
costituzionale della disposizione delegante.
    Nel merito, la tesi della difesa dello Stato - secondo  la  quale
la disciplina statale accentratrice sarebbe  giustificata  dal  fatto
che  la  direttiva  2014/52/UE,  prevede  regole  dettagliate   delle
procedure di valutazione ambientale, che non ammettono varianti negli
ordinamenti  nazionali  -   non   potrebbe   essere   condivisa.   La
giurisprudenza costituzionale avrebbe, infatti, superato l'originario
assunto secondo il  quale  la  competenza  a  recepire  le  direttive
spetterebbe sempre allo  Stato,  pena  il  rischio  di  procedure  di
infrazione nel caso di inerzia regionale: problema che  risulterebbe,
peraltro, integralmente superato con  l'introduzione  dei  meccanismi
sostitutivi, di cui agli artt. 117,  quinto  comma,  e  120,  secondo
comma, Cost.
    Il diritto europeo non  potrebbe,  pertanto,  legittimare  alcuna
deroga del riparto costituzionale delle  competenze,  il  quale,  nel
caso considerato, avrebbe postulato l'utilizzo di adeguati  strumenti
cooperativi, visto il concorrente interesse regionale e statale nella
disciplina della materia.
    9.- Con ricorso notificato il 4-6 settembre 2017 e depositato  il
7 settembre 2017 (reg. ric. n. 66 del 2017), la  Regione  Abruzzo  ha
promosso questioni di  legittimita'  costituzionale  degli  artt.  3,
comma 1, lettera g), 5, 16, comma 2, 21, 22, commi  da  1  a  4,  26,
comma 1, lettera a), e 27 del d.lgs. n. 104  del  2017,  identiche  a
quelle formulate dalla Regione Lombardia (reg. ric. n. 64 del 2017) e
sorrette dai medesimi argomenti.
    10.- Costituitosi in giudizio a  mezzo  dell'Avvocatura  generale
dello Stato, con atto depositato il 13 ottobre  2017,  il  Presidente
del Consiglio dei ministri ha chiesto che il ricorso  venga  respinto
sulla base di considerazioni analoghe a quelle svolte in  riferimento
al richiamato ricorso della Regione Lombardia.
    11.- Con ricorso notificato il 4 settembre 2017 e depositato  l'8
settembre 2017 (reg. ric. n. 67  del  2017),  la  Regione  Veneto  ha
impugnato:
    a) l'art. 3, comma 1, lettere g) e h),  del  d.lgs.  n.  104  del
2017, per violazione degli artt.  3,  76,  97,  117,  commi  terzo  e
quarto, 118 e 120 Cost.;
    b) gli artt. 5, comma 1, 22, commi da 1  a  4,  e  26,  comma  1,
lettera a), del d.lgs. n. 104 del 2017, per  violazione  degli  artt.
76, 117, terzo e quarto comma, 118 e 120 Cost.;
    c) l'art. 21 del d.lgs. n. 104 del  2017,  per  violazione  degli
artt. artt. 3, 97, 117, quarto comma, 118, 119 e 120 Cost.
    11.1.- L'art. 3, comma 1,  lettera  g),  sarebbe  invasivo  della
competenza regionale in materia di «protezione civile» e  lesivo  del
principio di leale collaborazione, poiche' non prevede  alcuna  forma
di  partecipazione  delle  Regioni   nell'ambito   del   procedimento
derogatorio, in un ambito di competenza legislativa ripartita. Per la
ricorrente  i  progetti  afferenti  a  situazioni   emergenziali   di
protezione civile sarebbero inevitabilmente collegati  al  territorio
ove  la  situazione  si  e'  verificata,  ritenendo   necessaria   la
partecipazione «istruttoria e/o codecisoria» degli enti  territoriali
«al fine di salvaguardare la stessa ragionevolezza della disposizione
di legge», che altrimenti si porrebbe in contraddizione con l'art.  3
Cost. e con il canone del buon andamento.
    11.1.1.- La Regione Veneto dubita che la  disposizione  afferisca
alla «tutela dell'ambiente», di  competenza  esclusiva  dello  Stato,
poiche'  essa  farebbe  prevalere  «gli  interessi   afferenti   alla
protezione civile rispetto a quelli  ambientali».  Sul  punto  questa
Corte avrebbe statuito che in presenza di  una  competenza  esclusiva
dello Stato, ove siano  coinvolti  interessi  e  funzioni  regionali,
s'impone una «fisiologica dialettica» tra Stato e Regioni  improntata
alla leale collaborazione (sentenza n. 169 del 2017).
    La Regione  sarebbe  esautorata  dalla  mancata  distinzione  dei
progetti assoggettati a VIA regionale ovvero  statale  con  l'effetto
che il Ministero dell'ambiente  potrebbe  sottrarre  alla  competenza
delle Regioni la VIA  di  progetti  affidati  alla  propria  potesta'
decisoria,  in  violazione  dell'art.  118  Cost.,  comprimendo   una
competenza amministrativa regionale.
    11.1.2.- La  disposizione  censurata  modificherebbe  il  riparto
delle competenze in materia di VIA, in contrasto  con  i  principi  e
criteri direttivi di cui all'art. 14 della legge n. 114 del 2015, che
vincolerebbe il  legislatore  delegato  a  introdurre  esclusivamente
regole di «semplificazione, armonizzazione e razionalizzazione  delle
procedure di valutazione di impatto ambientale.
    Secondo la Regione  Veneto,  l'ambito  della  delega  legislativa
escluderebbe la disciplina del riparto delle competenze decisorie  in
materia di valutazione di impatto ambientale, contemplando unicamente
gli aspetti procedurali, da modificare  in  ragione  della  rinnovata
disciplina comunitaria. Si configurerebbe un eccesso di  delega,  che
ridonda in  una  lesione  dell'art.  117,  comma  terzo,  Cost.,  con
riguardo  alla  competenza  legislativa  regionale  in   materia   di
«protezione civile», e, al contempo, in  una  lesione  dell'art.  118
Cost.,  in  quanto  opera   una   espropriazione   delle   competenze
amministrative   regionali   in    materia    di    VIA,    delineate
dall'ordinamento.
    11.2.- E' impugnato anche l'art. 3,  comma  1,  lettera  h),  del
d.lgs. n. 104 del 2017, che ha modificato l'art.  6,  comma  11,  del
d.lgs. n. 152 del  2006.  La  disposizione  prevede:  «[f]atto  salvo
quanto previsto dall'art.  32,  il  Ministro  dell'ambiente  e  della
tutela del territorio e del mare puo', in  casi  eccezionali,  previo
parere del Ministro dei  beni  e  delle  attivita'  culturali  e  del
turismo, esentare in tutto o in parte  un  progetto  specifico  dalle
disposizioni di cui al titolo III della parte  seconda  del  presente
decreto,  qualora  l'applicazione   di   tali   disposizioni   incida
negativamente sulla finalita' del progetto, a  condizione  che  siano
rispettati gli obiettivi della  normativa  nazionale  ed  europea  in
materia di  valutazione  di  impatto  ambientale.  In  tali  casi  il
Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare:
    a) esamina se sia opportuna un'altra forma di valutazione;
    b) mette a disposizione del pubblico  coinvolto  le  informazioni
raccolte con le altre forme di valutazione di cui alla lettera a), le
informazioni relative alla decisione di esenzione e  le  ragioni  per
cui e' stata concessa;
    c)  informa  la   Commissione   europea,   prima   del   rilascio
dell'autorizzazione,  dei   motivi   che   giustificano   l'esenzione
accordata fornendo tutte le informazioni acquisite».
    La  norma  introdurrebbe  un'ulteriore  ipotesi  di  deroga  alla
disciplina generale, senza prevedere  alcun  criterio  direttivo  che
guidi l'autorita' amministrativa in ordine all'an dell'esercizio  del
relativo potere. Il che attesterebbe l'irragionevolezza della norma e
la sua contrarieta' al principio di  legalita'.  Ne'  a  giustificare
tale genericita' si potrebbe addurre il fatto di avere riprodotto una
previsione della direttiva europea, la quale  non  contiene  per  sua
natura, «salvo le rare ipotesi di norme self executing», disposizioni
immediatamente precettive. La disposizione impugnata  altererebbe  il
riparto delle competenze in materia di VIA, senza  che  sia  prevista
alcuna forma di partecipazione, decisoria  o  istruttoria,  da  parte
delle Regioni, in lesione del principio di leale collaborazione.
    11.2.1.- La violazione degli artt. 76 e 97  Cost.,  alterando  il
riparto di competenze esistente tra Stato e Regioni, ridonderebbe  in
una lesione degli artt. 117, commi  terzo  e  quarto,  e  118  Cost.,
oltreche' del  principio  di  leale  collaborazione,  in  quanto  non
contemplerebbe la partecipazione delle Regioni, nelle ipotesi in  cui
il progetto afferisca ad una materia di competenza  regionale  ovvero
sia assoggettato a VIA regionale.
    11.3.- Per effetto dell'impugnato art. 5 del d.lgs.  n.  104  del
2017, osserva la ricorrente, il riparto di  competenze  tra  Stato  e
Regioni in materia di VIA e' demandato a quattro allegati che, a loro
volta, sono stati ampiamente modificati dall'art. 22, commi da 1 a 4,
del  medesimo  decreto,  nonche'   dalla   disposizione   abrogatrice
contenuta  nell'art.  26,  comma  1,   lettera   a),   dello   stesso
provvedimento. A seguito di tali disposizioni, si e'  realizzata  una
complessiva redistribuzione delle competenze tra Stato e Regioni,  le
quali non sono piu' competenti in materia di VIA  ed  in  materia  di
verifica di assoggettabilita' a VIA  per  una  consistente  serie  di
tipologie progettuali che vengono analiticamente passate in rassegna.
Il legislatore delegato, dunque, avrebbe provveduto a modificare, non
soltanto  le  procedure  inerenti   alla   valutazione   di   impatto
ambientale, al fine di dare attuazione alla direttiva 2014/52/UE,  ma
avrebbe anche disposto una complessiva  ristrutturazione  del  quadro
delle competenze decisorie in materia.
    Una simile operazione normativa  -  deduce  la  ricorrente  -  si
porrebbe in contrasto con i  principi  e  criteri  direttivi  dettati
dall'art. 14 della legge delega n.  114  del  2015,  riguardando  gli
stessi   solo   aspetti   di   armonizzazione,   semplificazione    e
razionalizzazione  delle  procedure,  senza  che  il  Governo   fosse
autorizzato ad alterare il riparto di competenze esistenti tra  Stato
e Regioni.
    Il denunciato vizio di eccesso di delega si riverbererebbe  anche
in una lesione delle  competenze  amministrative  della  Regione,  in
violazione dell'art. 118 Cost., essendo state sottratte alle  Regioni
le potesta' decisorie di cui godevano in materia.
    Ancorche' la  tutela  dell'ambiente  sia  materia  di  competenza
esclusiva  dello  Stato,  le  modifiche  apportate   alla   normativa
previgente avrebbero richiesto l'ordinario procedimento legislativo o
specifiche direttive in tal senso: il che avrebbe  salvaguardato,  in
sede parlamentare, la normale dialettica democratica tra  maggioranza
e opposizione. L'utilizzo "improprio" del potere legislativo  avrebbe
dunque integrato una violazione degli artt. 76 Cost., in uno con  gli
artt. 117, terzo e quarto comma, e 118 Cost.
    Per  altro  verso,  coinvolgendo  la   riforma   anche   numerose
competenze regionali (energia, trasporto, viabilita'  e,  in  genere,
salute) sarebbe stato necessario prevedere  un  coinvolgimento  delle
autonomie  locali  attraverso  «un'intesa  in  sede   di   conferenza
intergovernativa», secondo  quanto  avrebbe  affermato  questa  Corte
nella sentenza n.  251  del  2016,  con  conseguente  violazione  del
principio di leale collaborazione, di cui all'art. 120  Cost.  Vizio,
questo, che non resterebbe confinato solo all'interno della legge  di
delega, ma si proietterebbe anche sul  decreto  delegato,  in  quanto
lesivo delle attribuzioni regionali.
    11.4.- L'art. 21 del d.lgs. n.  104  del  2017,  nello  stabilire
disposizioni in tema  di  tariffe  da  applicare  ai  proponenti,  si
porrebbe in contrasto con gli artt. 3, 97, 117, quarto comma,  118  e
119 Cost., nonche' con il principio di leale  collaborazione  di  cui
all'art. 120 Cost.,  in  quanto  non  e'  prevista  alcuna  forma  di
partecipazione, neppure  consultiva,  delle  autonomie  territoriali,
malgrado il novellato art. 7-bis del d.lgs. n. 152 del 2006  consenta
alle Regioni ed alle Province autonome di  disciplinare  con  proprie
leggi o regolamenti l'organizzazione  e  le  modalita'  di  esercizio
delle funzioni amministrative ad esse attribuite in materia  di  VIA.
Le  peculiarita'  procedurali  derivanti  dalla  normativa  regionale
renderebbero,  per  converso,  necessaria  una  consultazione   delle
Regioni stesse  nella  determinazione  delle  tariffe  concernenti  i
procedimenti VIA di loro competenza.
    Da  cio'  deriverebbe  la  lesione   del   principio   di   leale
collaborazione  e  la  irragionevolezza   di   una   disciplina   che
«attribuisce una competenza decisoria ad un soggetto senza  prevedere
adeguati apporti istruttori da parte delle altre autorita' competenti
a  disciplinare  il  relativo   procedimento   e   i   suoi   aspetti
organizzatori». Irragionevolezza, soggiunge  la  Regione  ricorrente,
che ridonderebbe in una lesione dell'autonomia legislativa in materia
di organizzazione  amministrativa,  prevista  dall'art.  117,  quarto
comma, Cost., nonche' in una lesione dell'autonomia amministrativa di
cui all'art. 118 Cost., e dell'autonomia finanziaria di cui  all'art.
119 Cost., posto che le valutazioni amministrative e  finanziarie  in
materia di VIA vengono ad essere condizionate  dalla  remunerativita'
delle tariffe stabilite unilateralmente dallo Stato.
    Si osserva,  infine,  che  la  partecipazione  delle  Regioni  al
processo decisionale, potendo comportare semplificazioni procedurali,
potrebbe determinare risparmi di spesa, con  la  conseguenza  che  la
mancanza di tale partecipazione finirebbe per tradursi  anche  in  un
inutile aggravio di  spese  con  violazione  del  principio  di  buon
andamento dell'agire pubblico.
    12.- Il Presidente del Consiglio dei  ministri,  rappresentato  e
difeso dalla Avvocatura generale dello Stato, si e' costituito il  13
ottobre 2017 chiedendo il rigetto del ricorso.
    12.1.- La difesa statale eccepisce l'infondatezza  della  censura
di cui all'impugnato art. 3,  comma  l,  lettera  g),  reiterando  le
medesime argomentazioni fatte proprie per avversare i  ricorsi  delle
Regioni Lombardia e Abruzzo, quanto alla violazione del riparto delle
competenze e del principio di leale collaborazione.
    12.2.- Eccepisce altresi' la non fondatezza della censura di  cui
all'art. 3,  comma  l,  lettera  h),  che  conferirebbe  al  Ministro
dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare il potere,  in
casi eccezionali, di esentare un progetto specifico dall'applicazione
delle disposizioni di cui al Titolo III della Parte II del d.lgs.  n.
152 del 2016.
    L'infondatezza  si   evincerebbe   dalla   richiamata   direttiva
2014/52/UE, in base alla quale  «puo'  risultare  opportuno  in  casi
eccezionali  esonerare  un  progetto  specifico  dalle  procedure  di
valutazione  previste  dalla  presente  direttiva,  a  condizione  di
informare adeguatamente la Commissione e  il  pubblico  interessato»;
l'art. 2, paragrafo 4, della direttiva disporrebbe che «[f]atto salvo
l'articolo 7, gli Stati membri, in casi eccezionali, possono esentare
in tutto o in parte un progetto specifico  dalle  disposizioni  della
presente  direttiva,  qualora  l'applicazione  di  tali  disposizioni
incida negativamente sulla finalita' del progetto, a  condizione  che
siano rispettati gli obiettivi della presente direttiva. In tali casi
gli Stati membri: a) esaminano se sia  opportuna  un'altra  forma  di
valutazione; b) mettono a  disposizione  del  pubblico  coinvolto  le
informazioni raccolte con le altre forme di valutazione di  cui  alla
lettera a), le informazioni relative alla decisione di esenzione e le
ragioni per cui e' stata concessa; c) informano la Commissione, prima
del  rilascio  dell'autorizzazione,  dei  motivi   che   giustificano
l'esenzione accordata e le forniscono  le  informazioni  che  mettono
eventualmente a disposizione, ove necessario, dei  propri  cittadini.
[...]».
    A parere del  resistente,  il  legislatore  delegato  si  sarebbe
avvalso di una facolta' concessa dalla norma europea. La  fattispecie
di esenzione atterrebbe «alla  disciplina  giuridica  della  VIA»,  e
rientrerebbe in modo univoco «nella competenza esclusiva dello  Stato
sulla tutela dell'ambiente e dell'ecosistema».
    12.2.1.-  Non  fondati  sarebbero  anche  i  rilievi  che   fanno
riferimento ai principi di ragionevolezza e di legalita'.
    Il  potere  ministeriale  di  esenzione  sarebbe  circondato   da
rigorose garanzie, sia di tipo sostanziale sia di  tipo  procedurale.
Sul piano sostanziale la  norma  non  si  limiterebbe  a  legittimare
l'esercizio in casi eccezionali,  ma  richiederebbe  una  valutazione
circa gli effetti negativi che potrebbero discendere in  ordine  alle
finalita' del progetto, esigendo che siano rispettati  gli  obiettivi
della direttiva. Sotto il profilo  procedurale  il  Ministro  sarebbe
chiamato ad esaminare l'opportunita' di un'altra forma di valutazione
e si prefigurerebbero obblighi informativi nei confronti del pubblico
coinvolto  e   (prima   del   rilascio   dell'autorizzazione)   della
Commissione europea. La scelta del legislatore delegato di riprodurre
la previsione europea senza ulteriori aggiunte, dunque, discenderebbe
dalla constatazione che  essa  gia'  circostanzia  a  sufficienza  il
potere di esenzione.
    12.3.- Con riguardo agli impugnati artt. 5, comma 1, 22, commi da
1 a 4, e 26, comma 1, lettera a), infondata risulterebbe  la  censura
di eccesso di delega,  in  quanto  la  revisione  dell'assetto  delle
competenze amministrative e la riallocazione delle stesse ai  diversi
livelli territoriali di governo risponderebbero appieno ai criteri di
semplificazione, armonizzazione e razionalizzazione delle procedure e
di rafforzamento della qualita' della procedura di VIA,  in  sinergia
con altre normative e  politiche  nazionali  ed  europee,  quali,  in
particolare, quelle energetiche ed infrastrutturali.
    Non sarebbe poi fondato il rilievo secondo il quale, in base alla
sentenza n. 251 del 2016, la  legge  di  delegazione  avrebbe  dovuto
prevedere  l'intesa  con  le  Regioni,  in  quanto  -  a   differenza
dell'ipotesi allora scrutinata da questa Corte - nella specie non  e'
dato intravedere un «intreccio inestricabile» con materie  regionali,
dal momento che le  norme  che  riguardano  la  VIA  rientrano  nella
competenza esclusiva statale  in  tema  di  «tutela  dell'ambiente  e
dell'ecosistema». D'altra parte, l'art. 12 del d.lgs. n. 104 del 2017
ha previsto, novellando l'art. 23 del d.lgs.  n.  152  del  2006,  il
necessario coinvolgimento della Regione e di tutte le amministrazioni
potenzialmente interessate, mentre l'art.  6  del  decreto  impugnato
prevede che all'attivita' istruttoria della  Commissione  tecnica  di
verifica dell'impatto ambientale partecipi un esperto designato dalle
Regioni e dalle Province autonome interessate alla realizzazione  del
progetto oggetto di procedura VIA. Previsioni, quelle citate, con  le
quali   il   legislatore   statale   avrebbe   adempiuto    all'onere
collaborativo in considerazione  della  "incidenza"  che  l'esercizio
delle  funzioni  di  valutazione  di  impatto  ambientale  presentano
rispetto all'esercizio di funzioni regionali.
    12.4.- Sarebbero infondate anche le censure riguardanti l'art. 21
del d.lgs. n. 104 del 2017.
    Tale norma, infatti, si e' limitata  a  sostituire,  in  tema  di
tariffe applicabili  nei  confronti  dei  proponenti,  esclusivamente
l'art. 33, comma 1, del d.lgs. n. 152  del  2006,  mentre  lascerebbe
inalterate le competenze regionali dettate dal comma 2  dello  stesso
articolo. Il comma 1 novellato, quindi, introdurrebbe solo una  norma
di principio, relativa ai criteri da applicare per la  determinazione
delle  tariffe,  valida  sia  per  la  VIA  statale  che  per  quella
regionale, mentre il rinvio ad un decreto del Ministro  dell'ambiente
per  la  definizione  in   concreto   delle   tariffe   riguarderebbe
esclusivamente  la  VIA  statale.  Cio'  emergerebbe  con  chiarezza,
sostiene l'Avvocatura generale dello Stato, proprio dal citato  comma
2 dell'art. 33 del d.lgs. n. 152 del 2006, che affida alle Regioni  e
alle Province autonome la possibilita' di  definire  concretamente  i
profili tariffari.
    13.- La Regione  Veneto  ha  depositato  memoria,  con  la  quale
insiste nelle censure, contestando la fondatezza dei  rilievi  svolti
dalla  Avvocatura  generale  dello  Stato,  sia  a  proposito   della
conformita' del decreto legislativo all'art. 76 Cost., sia in  merito
al  fatto  che  la  competenza  esclusiva  dello  Stato  in   materia
ambientale renderebbe prive di fondamento doglianze regionali.
    14.- La Provincia autonoma di Trento, con ricorso notificato il 4
settembre 2017 e depositato l'8 settembre 2017 (reg. ric. n.  68  del
2017), ha  promosso  questioni  di  legittimita'  costituzionale  del
d.lgs. n. 104 del 2017, nella sua interezza,  e  in  subordine  degli
artt. 5, comma 1, 8, 16, commi 1 e 2, 22, commi da 1 a 4,  23,  comma
4, 24 e 26, comma 1, lettera a),  in  quanto  riferibili  anche  alle
Province  autonome,  deducendo  la  violazione  di   vari   parametri
costituzionali e statutari.
    14.1.- Un primo gruppo di tre censure coinvolge l'intero decreto,
per eccesso di delega prospettato sotto vari profili.
    Si deduce, anzitutto, che il decreto delegato sarebbe illegittimo
perche'  adottato  oltre  il  termine  prescritto  dalla   legge   di
delegazione e, quindi, in  violazione  dell'art.  76  Cost.,  nonche'
dell'art. 77 Cost.  L'adozione  del  decreto  legislativo  a  termine
scaduto, infatti, costituirebbe violazione del divieto per il Governo
di adottare atti  aventi  forza  di  legge  senza  delegazione  delle
Camere, salvi i casi di straordinaria necessita' ed urgenza.
    Si osserva, al riguardo, che il decreto legislativo impugnato  e'
stato emanato il 16 giugno 2017, ed e' quindi con riferimento a  tale
data che deve essere valutata - a norma dell'art. 14, comma 2,  della
legge n.  400  del  1988  (Disciplina  dell'attivita'  di  Governo  e
ordinamento  della  Presidenza  del  Consiglio  dei  Ministri)  -  la
tempestivita' dell'atto rispetto al termine fissato  dalla  legge  di
delegazione. Tale termine, individuato dall'art. 1,  comma  2,  della
legge n. 114 del 2015, deve infatti ritenersi scaduto il  16  gennaio
2017. Cio' in quanto quel termine risulta fissato con rinvio all'art.
31, comma 1, della legge n. 234 del 2012,  il  quale,  a  sua  volta,
dispone che «in relazione alle deleghe legislative conferite  con  la
legge di delegazione europea per il recepimento delle  direttive,  il
Governo adotta i decreti legislativi entro il termine di quattro mesi
antecedenti a  quello  di  recepimento  indicato  in  ciascuna  delle
direttive». Considerato che l'art. 2 della direttiva 2014/52/UE fissa
il termine per il proprio recepimento al 16 maggio  2017,  la  delega
sarebbe scaduta quattro mesi prima e cioe' il 16 gennaio 2017.
    E' ben vero, si osserva, che l'art. 31, comma 1, della  legge  n.
234 del 2012 fissava il termine in origine in «due mesi antecedenti a
quello di recepimento indicato in ciascuna  delle  direttive»  e  che
tale disposizione e' stata modificata, portando il termine a  quattro
mesi, con l'art. 29, comma 1, lettera b), della legge 29 luglio 2015,
n. 115, successiva all'entrata in vigore della legge  delega  n.  114
del 2015. Ma il rinvio non puo' che intendersi operato alla fonte nel
suo  complesso,  risultando  comprensivo,  quindi,  delle   eventuali
modifiche successivamente apportate alla stessa. Cio'  in  linea  con
quanto affermato da questa Corte, nella sentenza n. 258 del 2014, ove
si afferma che il  rinvio  si  presume  formale  e  mobile,  anziche'
materiale o recettizio, salvo che risulti una contraria volonta'  del
legislatore o il rinvio recettizio sia desumibile da elementi univoci
e concludenti. Si richiama,  a  proposito  della  necessita'  che  il
legislatore delegato tenga conto dei mutamenti del  quadro  normativo
entro cui si colloca la legislazione delegata, anche la  sentenza  n.
219 del 2013.
    Tuttavia, soggiunge il ricorrente, anche a voler considerare come
recettizio il rinvio, il termine sarebbe comunque scaduto il 16 marzo
2017, in quanto il rinvio "secco" e recettizio al comma  1  dell'art.
31 della legge n.  234  del  2012  escluderebbe  la  possibilita'  di
proroga prevista dal comma 3 dello stesso articolo. Il fatto  che  il
Governo abbia preteso di giovarsi della proroga starebbe  peraltro  a
significare che lo stesso Consiglio dei ministri ha  interpretato  il
rinvio come di tipo dinamico, «cioe' come rinvio  alla  fonte  e  non
come rinvio alla norma fissata una volta per  tutte  nel  tempo».  La
conseguenza  sarebbe,  in  ogni   caso,   quella   della   tardivita'
dell'esercizio della delega.
    Poiche' il decreto impugnato  e'  riduttivo  delle  competenze  e
delle prerogative  della  Provincia  autonoma,  la  violazione  degli
indicati  parametri   ridonderebbe   in   lesione   della   autonomia
provinciale (si richiamano, al riguardo, la gia' citata  sentenza  n.
219 del 2013 e la sentenza n. 303 del 2003).
    14.2.-  In  subordine,  la   Provincia   ricorrente   deduce   la
illegittimita'  dell'intero   decreto   legislativo   impugnato   per
violazione delle procedure stabilite dall'art. 1, commi 1 e 3,  della
legge delega n. 114 del 2015, nonche' dall'art. 31,  comma  3,  della
legge n. 234 del  2012,  lamentando  conseguentemente  la  violazione
degli artt. 76 e 117, primo comma, Cost., e, in  linea  ulteriormente
subordinata, del principio di leale collaborazione.
    Anche, infatti, a voler ritenere -  contro  il  tenore  letterale
della disposizione di delega e il supposto carattere  recettizio  del
rinvio da essa operato - che possa trovare applicazione nella  specie
la proroga prevista dal comma 3 dell'art. 31 della legge n.  234  del
2012, l'emanazione del decreto impugnato sarebbe affetta da un  vizio
di procedura sub specie di "abuso del procedimento".
    Interpretando il rinvio contenuto nell'art.  1,  comma  2,  della
legge n. 114 del 2015 come rinvio fisso, il termine  per  l'esercizio
della delega doveva ritenersi scaduto nei  due  mesi  antecedenti  il
termine previsto per il recepimento della direttiva, e  cioe'  il  16
marzo 2017. L'ultimo giorno utile per l'esercizio  della  delega,  il
Governo ha trasmesso lo schema di decreto alle competenti commissioni
parlamentari all'evidente  fine  di  far  operare  il  meccanismo  di
proroga di cui all'art. 31, comma 3, terzo periodo,  della  legge  n.
234 del 2012,  ove  si  stabilisce  che  «[q]ualora  il  termine  per
l'espressione del parere parlamentare di cui al presente comma ovvero
i diversi termini previsti dai commi 4 e 9 scadano nei trenta  giorni
che precedono la scadenza dei termini di delega previsti ai commi 1 o
5 o successivamente, questi ultimi sono prorogati di tre mesi».
    In questo modo, il Governo avrebbe violato  la  delega  sotto  un
diverso profilo. L'art. 1, comma 3,  della  legge  n.  114  del  2015
prevedeva, infatti,  che  gli  schemi  dei  decreti  attuativi  delle
direttive comprese nell'Allegato B, e dunque  anche  della  direttiva
2014/52/UE, dovessero essere trasmessi,  «dopo  l'acquisizione  degli
altri pareri previsti dalla legge», alle Camere per l'espressione del
parere dei  competenti  organi  parlamentari.  Disposizione,  questa,
peraltro analoga a quella dettata dall'art. 31, comma 3, della  legge
n. 234 del 2012. Dunque,  il  Governo  avrebbe  dovuto  acquisire  il
previo parere della Conferenza Stato-Regioni, obbligatorio in  ordine
agli schemi di decreto legislativo nelle materie di competenza  delle
Regioni o delle Province autonome, in ragione dell'art. 2,  comma  3,
del decreto legislativo  28  agosto  1997,  n.  281  (Definizione  ed
ampliamento delle attribuzioni  della  Conferenza  permanente  per  i
rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento  e
Bolzano ed unificazione, per le materie ed  i  compiti  di  interesse
comune delle regioni, delle province e dei comuni, con la  Conferenza
Stato - citta' ed autonomie locali).
    Alla Conferenza Stato-Regioni lo schema di decreto legislativo e'
stato peraltro trasmesso,  per  il  prescritto  parere,  soltanto  lo
stesso giorno (16 marzo 2017). In quella data, dunque, lo  schema  di
decreto  non  avrebbe  potuto  essere  trasmesso   alle   Commissioni
parlamentari, proprio perche' non preceduto dai pareri previsti dalla
legge, fra i quali va annoverato  quello  della  indicata  Conferenza
Stato-Regioni.
    Tale inversione dell'ordine dei pareri costituirebbe,  anzitutto,
violazione della previsione a tal proposito dettata  dalla  legge  di
delega e, al tempo stesso, rimedio strumentale al fine  di  ottenere,
in violazione della stessa legge di delega, la proroga del termine di
esercizio della delega legislativa, eludendo anche il termine per  il
recepimento della direttiva comunitaria, fissato al 16  maggio  2017,
con correlativa violazione,  sotto  questo  profilo,  dell'art.  117,
primo comma,  Cost.,  oltre  che  dell'art.  76  della  stessa  Carta
costituzionale.
    In ulteriore subordine, la ricorrente denuncia che attraverso  la
censurata inversione dell'ordine dei pareri si sarebbe realizzata una
violazione del principio di leale  collaborazione  sancito  dall'art.
120, secondo comma, Cost.
    Tutte le segnalate violazioni  ridonderebbero  in  lesioni  delle
prerogative  costituzionali  della  Provincia  autonoma,  in   quanto
l'omessa   previa   acquisizione   del   parere   della    Conferenza
Stato-Regioni  avrebbe  impedito  alle  Commissioni  parlamentari  di
prendere cognizione delle posizioni delle Regioni e Province autonome
ed esprimersi sulle relative osservazioni.
    14.3.- Viene poi denunciata l'illegittimita' costituzionale degli
artt. 5, comma 1, 22, commi da 1 a 4, e 26, comma 1, lettera a),  del
d.lgs. n. 104 del 2017, se ed in  quanto  applicabili  alle  Province
autonome.
    Per effetto di tali disposizioni una lunga serie di  funzioni  di
competenza provinciale,  anche  per  disposto  statutario,  sarebbero
state avocate alla competenza dello Stato.
    Il d.lgs. n. 104 del 2017 non  contiene,  d'altra  parte,  alcuna
clausola di salvaguardia delle competenze delle  autonomie  speciali,
nonostante la stessa fosse stata  richiesta  tanto  dalla  Conferenza
Stato-Regioni  nel  parere  reso  il  4  maggio  2017,  quanto  dalle
Commissioni  affari  costituzionali  e  ambiente  della  Camera   dei
deputati e dalle Commissioni del Senato.
    Le disposizioni impugnate hanno inoltre operato  con  la  tecnica
della novella, modificando la disciplina del d.lgs. n. 152 del 2006 e
gli Allegati alla Parte II, rispettivamente intitolati  «Progetti  di
competenza delle regioni e delle province autonome  di  Trento  e  di
Bolzano» e «Progetti sottoposti alla verifica di assoggettabilita' di
competenza delle regioni e delle province autonome  di  Trento  e  di
Bolzano». Le Province risultano,  inoltre,  espressamente  menzionate
nei commi 5, 7, 8 e 9 del nuovo art. 7-bis  del  d.lgs.  n.  152  del
2006, introdotto dall'art. 5, comma 1, del d.lgs. n.  104  del  2017.
Tutto lascerebbe supporre, dunque, che le norme censurate  pretendano
di applicarsi anche alla Provincia autonoma ricorrente.
    Cio' posto, la Provincia autonoma di Trento osserva che l'effetto
combinato degli artt. 5, comma 1, che ridefinisce  le  competenze  in
materia di VIA e di verifica di assoggettabilita'  a  VIA,  dell'art.
22, che modifica gli Allegati alla Parte II del  d.lgs.  n.  152  del
2006, e dell'art. 26, comma 1, lettera a),  del  d.lgs.  n.  104  del
2017, il quale dispone le correlative abrogazioni delle  disposizioni
anteriormente vigenti in materia, e' quello  di  avocare  allo  Stato
competenze relative a  progetti  -  dei  quali  il  ricorso  fornisce
analitica indicazione - che rientrerebbero sicuramente in materie  di
competenza legislativa, e conseguentemente  amministrativa  (art.  16
dello Statuto), della Provincia autonoma.
    Le materie interessate sarebbero, in specie:
    - la  produzione,  trasporto  e  distribuzione  dell'energia,  di
competenza concorrente ai sensi dell'art. 117,  terzo  comma,  Cost.,
combinato con l'art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001;
    - i porti lacuali, di competenza primaria (art. 8, n.  11,  dello
statuto  speciale),  e  piu'  in  generale  i  porti,  di  competenza
concorrente (art. 117, terzo comma, Cost. e art. 10 della legge cost.
n. 3 del 200l);
    - il turismo, di  competenza  primaria  (art.  8,  n.  20,  dello
statuto speciale), o se piu' favorevole di competenza residuale (art.
117, quarto comma, Cost. e art. 10, legge cost. n. 3 del 2001);
    - la «viabilita',  acquedotti  e  lavori  pubblici  di  interesse
provinciale»  e  le   «comunicazioni   e   trasporti   di   interesse
provinciale», di potesta' primaria  (art.  8,  numeri  17  e  18  del
richiamato statuto speciale);
    - le miniere e cave (art. 8, n. 14, dello statuto speciale);
    - gli aeroporti,  di  competenza  concorrente  (art.  117,  terzo
comma, Cost. e art. 10, legge cost. n. 3 del 2001).
    Tali   progetti   intersecherebbero,   inoltre,   le   competenze
provinciali in materia di urbanistica e piani regolatori (art. 8,  n.
5, dello statuto speciale) e di tutela del paesaggio (art. 8,  n.  6,
dello statuto speciale), e -  in  rapporto  proprio  ai  profili  che
attengono alla VIA e alla verifica di assoggettabilita'  a  VIA  -  i
titoli su cui si radica  la  competenza  provinciale  in  materia  di
ambiente, e dunque, oltre alle materie appena citate, quelle in punto
di prevenzione e di pronto soccorso per calamita' naturali  (art.  8,
n. 13, dello  statuto  speciale),  protezione  civile,  apicultura  e
parchi (art. 8, n. 16, dello statuto speciale), agricoltura (art.  8,
n. 21, dello statuto speciale), igiene e  sanita'  (art.  9,  n.  10,
dello statuto speciale), ora tutela della  salute  (art.  117,  terzo
comma, Cost. e art. 10, legge cost. n. 3 del  2001)  e  utilizzazione
delle acque  pubbliche  (art.  9,  n.  9,  dello  statuto  speciale).
Nell'ambito di queste materie, le competenze amministrative anche  in
tema  di  VIA  e  di  verifica  di  assoggettabilita',  sarebbero  di
spettanza provinciale, a norma dell'art. 16  dello  statuto  speciale
regionale.
    14.3.1.- La ricorrente denuncia, al riguardo, anzitutto il  vizio
di eccesso di delega (art. 76 Cost.), sotto  i  profili  dell'assenza
nella legge delega di un principio che  autorizzi  l'avocazione  allo
Stato di una serie di funzioni gia' esercitate dalle Regioni e  dalle
Province autonome, e della violazione dei principi dettati  dall'art.
32 della legge n. 234 del 2012.
    Viene sottolineato come il d.lgs. n. 152 del 2006, oggetto  della
novella legislativa censurata, fosse stato emanato sulla base di  una
legge  delega  che  prevedeva   espressamente   il   rispetto   delle
attribuzioni delle Regioni e degli enti  locali  e  faceva  salvo  il
rispetto degli statuti e delle relative  disposizioni  di  attuazione
delle regioni a statuto speciale e delle province autonome di  Trento
e di Bolzano (art. 1, comma 8, della legge 15 dicembre 2004, n.  308,
recante «Delega al  Governo  per  il  riordino,  il  coordinamento  e
l'integrazione della legislazione in materia ambientale e  misure  di
diretta applicazione»).
    Il riparto delle competenze tra  Stato  e  autonomie  locali  non
avrebbe potuto, dunque, essere  toccato  in  assenza  di  un  diverso
indirizzo parlamentare che, nella specie, ha fatto difetto.
    Nel caso di specie, inoltre, la delega  era  stata  conferita  al
limitato fine di attuare una direttiva  europea  che,  a  sua  volta,
nulla dice in punto di competenze, posto che il  considerando  n.  37
prende atto  delle  diverse  «strutture  istituzionali»  degli  Stati
membri, autorizzandoli a «designare piu'  autorita'»  in  materia  di
VIA.
    L'intervento sui rapporti di competenza tra Stato e  Regioni  non
poteva ritenersi ricompreso, ancora, in alcuno dei principi e criteri
direttivi enunciati dall'art. 14 della legge n. 114 del 2015, che non
coinvolgevano il riparto delle competenze istituzionali. Dovevano  al
contrario osservarsi i criteri generali fissati dall'art.  32,  comma
1, lettera g), della legge n. 234 del 2012, che impongono, quando  si
verifichino sovrapposizioni di  competenze  tra  amministrazioni  «il
rispetto   dei   principi   di   sussidiarieta',    differenziazione,
adeguatezza e leale collaborazione e le competenze  delle  regioni  e
degli altri enti territoriali».
    14.3.2.- Viene dedotta anche la  violazione  degli  artt.  8  (in
particolare, numeri 1, 3, 5, 6, 11, 13, 14, 16, 17, 18, 20 e  21),  9
(in particolare, numeri  3,  9,  e  10)  e  16  dello  statuto  della
Provincia autonoma e degli artt. 117, terzo e quarto  comma,  e  118,
primo comma, Cost., nonche', ulteriormente, l'eccesso di  delega  per
mancanza di intesa costituzionalmente necessaria.
    La ricorrente rileva, in ordine alla  denunciata  sottrazione  di
competenze amministrative, che quelle  conferite  dallo  statuto  non
possono formare oggetto di chiamata in  sussidiarieta',  vigendo  per
esse il principio del parallelismo di cui all'art. 16  dello  statuto
speciale regionale, mentre per quelle  derivanti  dalla  Costituzione
mancherebbero i presupposti ai quali la giurisprudenza costituzionale
subordina la chiamata in sussidiarieta'.
    L'apprezzamento delle  esigenze  unitarie  compiuto  dal  decreto
delegato non sarebbe, infatti, ne'  ragionevole,  ne'  proporzionato,
essendo state allocate presso lo  Stato  un  numero  elevatissimo  di
funzioni gia' esercitate dalle Regioni  e  dalle  Province  autonome.
Mancherebbe,  poi,  il  requisito  dell'accordo  con   le   autonomie
regionali, essendo stata operata detta allocazione, senza una  previa
intesa ed anzi col dissenso della Provincia autonoma di Trento.
    Il che, oltre a violare il  principio  di  leale  collaborazione,
implicherebbe anche un vizio di eccesso di delega, dal  momento  che,
nel caso di specie, la legge di delega doveva ritenersi integrata  da
un limite implicito che imponeva l'acquisizione  della  intesa,  alla
luce di quanto affermato dalla Corte costituzionale nella sentenza n.
251 del 2016, con riguardo al caso di  intreccio  di  competenze  non
risolubile con il criterio della  prevalenza,  e  ancor  prima  dalla
sentenza n. 303 del 2003, per la chiamata in sussidiarieta'.
    14.4.- Si denuncia, poi, l'illegittimita' costituzionale del solo
art. 5, comma 1, del d.lgs. n. 104  del  2017,  nella  parte  in  cui
introduce i commi 7, 8 e 9 dell'art. 7-bis  del  d.lgs.  n.  152  del
2006.
    In particolare, il comma 7  impone  alla  Provincia  autonoma  di
regolare le proprie procedure in materia di  VIA  o  di  verifica  di
assoggettabilita' a VIA in conformita' a varie disposizioni novellate
del  d.lgs.  n.  152  del  2006,  tutte  di   estremo   dettaglio   e
autoapplicative; il comma 8 ribadisce tali obblighi di conformazione,
vincolando la potesta' delle Regioni e  delle  Province  autonome  di
regolare l'organizzazione e le modalita' di esercizio delle  funzioni
in materia di  VIA  al  rispetto  di  quanto  previsto  nel  medesimo
decreto, con la sola possibilita' di  introdurre  regole  particolari
per specifici aspetti; il comma 9 viene contestato in  quanto,  nello
stabilire  obblighi  informativi,  fa   riferimento   alle   Province
autonome, confermando cosi' che la disciplina in questione si rivolge
anche ad esse.
    Si tratta  di  oggetti  -  sottolinea  la  ricorrente  -  che  la
Provincia  autonoma  di  Trento  ha   gia'   organicamente   regolato
nell'ambito della propria autonomia legislativa,  mediante  la  legge
provinciale 17 settembre 2013, n. 19, recante «Disciplina provinciale
della  valutazione  dell'impatto  ambientale.   Modificazioni   della
legislazione in materia  di  ambiente  e  territorio  e  della  legge
provinciale 15 maggio 2013, n. 9 (Ulteriori interventi a sostegno del
sistema economico e delle famiglie)», con la quale ha dato esecuzione
alla direttiva 2011/92/UE, concernente la  VIA.  Competenza,  questa,
mai contestata dallo Stato, che aveva, anzi, introdotto una specifica
clausola di salvaguardia per le  Regioni  a  statuto  speciale  e  le
Province autonome nell'art. 35, comma 2-bis, del d.lgs.  n.  152  del
2006, conformemente, come gia' osservato, a  quanto  stabilito  dalla
relativa legge delega. Clausola che, secondo la ricorrente,  dovrebbe
ritenersi ancora operante, in quanto le norme oggetto di censura sono
state inserite, con la tecnica della novellazione, proprio nel  corpo
dello stesso d.lgs. n. 152 del 2006, mentre, al contrario,  le  norme
qui  contestate  sono  state  espressamente  rivolte  alle   Province
autonome.
    Risulterebbe pertanto violato l'art. 8  dello  statuto  speciale,
relativo alla potesta' primaria di autoorganizzazione comprensiva del
procedimento di VIA, competenza da tempo esercitata,  in  conformita'
all'art. 19-bis del d.P.R. 22 marzo 1974, n. 381 (Norme di attuazione
dello statuto speciale per la regione Trentino-Alto Adige in  materia
di urbanistica ed opere pubbliche), ove e'  espressamente  menzionata
la VIA, anche per le opere soltanto delegate. E' ovvio,  sostiene  la
ricorrente, che, a maggior ragione, quelle  funzioni  sono  riservate
alla Provincia autonoma nell'ambito delle materie che statutariamente
sono attribuite alla competenza legislativa provinciale. Non potrebbe
al riguardo venire in discorso la  competenza  esclusiva  statale  in
tema di ambiente, a norma dell'art. 117, secondo  comma,  lettera  s)
Cost., in quanto l'incisione delle  materie  statutarie  e'  preclusa
dalla clausola di maggior favore prevista dall'art.  10  della  legge
cost. n. 3 del 2001.
    Si deduce, inoltre, la violazione dell'art.  117,  quinto  comma,
Cost., che sancisce, in generale, il potere delle  Province  autonome
di  dare  immediata  attuazione  alle  raccomandazioni  e   direttive
comunitarie nelle materie di competenza esclusiva,  salvo  adeguarsi,
nei limiti statutari, alle leggi statali  di  attuazione  degli  atti
comunitari. Tale potere e' ribadito dalla legge di attuazione n.  234
del 2012, che fa salve, per le Regioni a statuto speciale  e  per  le
Province autonome,  le  previsioni  dettate  dai  rispettivi  statuti
speciali e le relative norme di attuazione. Sicche'  le  disposizioni
censurate verrebbero a sovrapporsi alla disciplina provinciale, senza
che ricorrano le ipotesi sostitutive previste dall'art. 41, comma  1,
della stessa legge n. 234 del 2012.
    Sarebbero  violati  anche   gli   artt.   3   e   97   Cost.   La
dettagliatissima disciplina statale, infatti, sarebbe  sproporzionata
nell'assicurare uniformita' all'attuazione della  direttiva  europea;
mentre la prescrizione di un modello unitario coinvolgerebbe anche il
principio di buon andamento della amministrazione,  che  risulterebbe
leso  anche  perche'  appare  irrazionale  -  e  fonte   di   cattiva
amministrazione - consentire una legislazione locale se  questa  deve
essere meramente riproduttiva di quella nazionale. Violazioni, quelle
denunciate,  che  ridonderebbero  sulle  competenze  provinciali,  in
quanto atte a comprimere le competenze statutarie  nelle  materie  di
competenza provinciale, gia' passate in rassegna.
    14.4.1.- In ulteriore subordine, la ricorrente  fa  presente  che
ove la Corte costituzionale accogliesse le censure relative  all'art.
5, essa non sarebbe tenuta ad adeguarsi agli artt. da 19 a  26  e  da
27-bis a 29 del d.lgs. n. 152 del 2006, se non nei limiti di cui allo
statuto speciale.
    In caso contrario, la Provincia autonoma impugna l'art. 8,  nella
parte in cui introduce l'art. 19 nel d.lgs. n. 152 del 2006, e l'art.
16, comma 2, nella parte in cui introduce l'art. 27-bis nel  medesimo
decreto.
    14.4.1.1.- L'art. 8 disciplinerebbe analiticamente lo svolgimento
del procedimento  di  verifica  di  assoggettabilita'  a  VIA  (dalle
modalita' di trasmissione dello studio preliminare alle modalita'  di
pubblicazione, alla istruttoria,  ai  termini  del  procedimento,  ai
modi, ai tempi e ai limiti delle possibilita' di  interlocuzione  con
gli interessati).
    14.4.1.2.- L'art. 16, comma 2, e' impugnato nell'ipotesi  che  la
disposizione da esso introdotta sia vincolante e/o applicabile  anche
alle Province autonome,  come  sembrerebbe  indicare  il  nuovo  art.
7-bis, commi 7, primo periodo, 8 e 9 (in senso  contrario  potrebbero
deporre  l'art.  7-bis,  comma  7,  secondo  periodo,  per  cui   «il
procedimento  di  VIA  di  competenza  regionale  si  svolge  con  le
modalita' di cui  all'art.  27-bis»,  e  lo  stesso  testo  dell'art.
27-bis, a partire dalla sua intitolazione, che non cita  le  province
autonome). Esso recherebbe una  disciplina  «ugualmente  analitica  e
minuziosa» del procedimento di VIA di competenza regionale.
    Le disposizioni sarebbero invasive delle competenze primarie,  di
cui agli artt. 8, 9 e 16 dello statuto speciale, in base ai quali  la
Provincia  autonoma  ricorrente  avrebbe  una  potesta'  primaria  di
auto-organizzazione, comprensiva della disciplina del procedimento di
VIA;  tali  disposizioni,  inoltre,  stabilirebbero   le   competenze
legislative e le funzioni amministrative provinciali,  le  quali,  in
virtu' della clausola di cui all'art. 10 della legge cost. n.  3  del
2001, non dovrebbero essere incise dalla competenza esclusiva statale
in materia di ambiente.
    Attraverso le norme censurate si produrrebbe altresi' la  lesione
della competenza provinciale a dare attuazione al diritto dell'Unione
europea, riconosciuta dall'art.  117,  quinto  comma,  Cost.  Sarebbe
violato anche il principio  direttivo  che  limita  l'intervento  del
legislatore delegato alla «armonizzazione»  delle  procedure,  e  non
consentiva, pertanto, la loro totale uniformita'.
    14.4.1.3.- Per corrispondenti  ragioni  risulterebbe  illegittimo
(ove  applicabile  anche  alla  Provincia  ricorrente),  l'art.   24,
sostitutivo dell'art. 14, comma 4, della richiamata legge n. 241  del
1990.
    Secondo  la  ricorrente,   solo   formalmente   il   procedimento
atterrebbe alla VIA, dal momento che interviene su ogni profilo di un
progetto, costretto nelle modalita' specifiche  della  conferenza  di
servizi  disciplinata  dalla  legislazione  statale  anziche'   dalla
disciplina provinciale, con interi ambiti di materia  sottratti  alla
disciplina regionale. In altre parole, la  disciplina  statale  della
conferenza  di  servizi  non   opererebbe   come   limite   verticale
all'interno  della  materia,  ma  come   diretta   disciplina   della
fattispecie, sottratta alla disciplina provinciale.
    Evidente sarebbe altresi' la violazione dell'art. 2  del  decreto
legislativo 16 marzo 1992 n. 266 (Norme di attuazione  dello  statuto
speciale per il Trentino-Alto Adige concernenti il rapporto  tra  gli
atti legislativi statali e leggi regionali e provinciali, nonche'  la
potesta' statale di indirizzo e  coordinamento),  che  vieterebbe  la
sostituzione  di  discipline  statali  alle  discipline  provinciali,
ponendo invece il rispettivo rapporto nei termini  di  un  dovere  di
adeguamento, limitato dalle regole statutarie e presidiato da  questa
Corte.  Anche  questa  censura  e'  formulata  dalla  ricorrente  per
l'ipotesi che tale disposizione si dovesse ritenere applicabile  alle
Province  autonome,  nonostante  essa  menzioni  solo   progetti   di
competenza regionale (e non provinciale), sia perche'  essa  verrebbe
immessa nella legge n. 241 del 1990, che contiene, all'art. 29, comma
2-quinquies, la clausola di garanzia per cui «le  regioni  a  statuto
speciale e le province autonome di Trento e di  Bolzano  adeguano  la
propria legislazione alle disposizioni del presente articolo  secondo
i rispettivi statuti e le relative  norme  di  attuazione».  Dovrebbe
prevalere l'interpretazione  costituzionalmente  conforme,  anche  in
forza  del  citato  art.  2  del  d.lgs.  n.  266,  che  risulterebbe
altrimenti violato.
    14.5.- Viene  denunciata  l'illegittimita'  costituzionale  anche
dell'art. 23, comma 4, del d.lgs. n. 104  del  2017,  per  violazione
dell'art. 2 del d.lgs. n.  266  del  1992,  recante  disposizioni  di
attuazione dello statuto di autonomia, e per violazione degli artt. 8
e 9 dello statuto medesimo, nonche' degli artt. 117, quinto comma,  e
120 Cost. Si lamenta, altresi', la violazione dell'art. 8 del  d.P.R.
n. 526 del 1987.
    La norma censurata,  dedicata  alle  disposizioni  transitorie  e
finali, impone alla ricorrente obblighi di adeguamento che  sarebbero
in contrasto con l'art. 2 del d.lgs.  n.  266  del  1992,  il  quale,
dettando disposizioni di attuazione dello  Statuto,  prevede  che  la
Provincia autonoma di Trento adegui la propria legislazione a  quella
statale entro sei mesi dalla pubblicazione della legge sulla Gazzetta
ufficiale o entro il maggior termine  previsto  dalla  stessa  legge,
restando nel frattempo applicabili le  disposizioni  provinciali.  La
immediata applicabilita' e' prevista solo per le  "norme  comunitarie
direttamente applicabili" e non - sottolinea la ricorrente -  per  la
disciplina statale attuativa del diritto dell'UE. La norma  censurata
risulterebbe pertanto in contrasto con la  disciplina  di  attuazione
dello statuto, in quanto essa riduce a centoventi giorni  il  termine
di  adeguamento  della  disciplina  provinciale  a  quella   statale.
Inoltre, stabilendo la perentorieta' di tale termine, alla  Provincia
sarebbe  inibito  procedere  ad  emanare  norme  di  adeguamento,  in
violazione degli artt. 117, quinto comma, come attuato  dall'art.  41
della legge n. 234 del 2012, e 120,  quinto  comma,  Cost.,  i  quali
impongono che i poteri sostitutivi siano esercitati nel rispetto  dei
principi  di  leale  collaborazione  e   sussidiarieta'.   La   norma
censurata, inoltre, sarebbe illegittima  anche  nella  parte  in  cui
stabilisce che, decorso il termine previsto, si  applicano  i  poteri
sostitutivi di cui all'art.  117,  quinto  comma,  Cost.  secondo  le
previsioni dettate dagli artt. 41 e 43 della legge n. 234  del  2012,
in quanto in contrasto con l'art. 8 del richiamato d.P.R. n. 526  del
1987, di attuazione dello  statuto  speciale,  il  quale  prevede  un
potere sostitutivo solo in caso di accertata inattivita' degli organi
regionali e provinciali  che  comporti  inadempimento  agli  obblighi
comunitari e,  comunque  sia,  previa  concessione  di  un  ulteriore
termine alla Provincia autonoma. La norma sarebbe  illegittima  anche
se interpretata come disposizione direttamente sostitutiva, ai  sensi
dell'art. 41 della legge n.  234  del  2012,  e  quindi  direttamente
operante  nell'ordinamento  provinciale,  in  quanto  sprovvista  del
necessario carattere della cedevolezza, e comunque in  contrasto  con
l'art. 2, commi 1, 2 e 4 del d.lgs. n. 266 del 1992.
    14.6.- Con un ultimo gruppo di censure la ricorrente  lamenta  la
violazione della propria  autonomia  amministrativa  (art.  16  dello
statuto speciale, in relazione agli artt. 8 e 9; art. 4 del d.lgs. n.
266 del 1992) oltre che dei principi di  sussidiarieta'  e  di  leale
collaborazione (art. 118 e 120  Cost.),  derivanti  dall'introduzione
del provvedimento unico in materia ambientale.
    14.6.1.- Sarebbe illegittimo l'art. 16, comma 1, il quale novella
l'art. 27 del d.lgs. n. 152 del 2006, introducendo  il  provvedimento
unico in materia ambientale per i procedimenti di VIA  di  competenza
statale. Il nuovo art. 27 stabilisce «[n]el caso di  procedimenti  di
VIA  di   competenza   statale,   il   proponente   puo'   richiedere
all'autorita' competente che il provvedimento di VIA  sia  rilasciato
nell'ambito  di  un   provvedimento   unico   comprensivo   di   ogni
autorizzazione, intesa, parere,  concerto,  nulla  osta,  o  atto  di
assenso in materia ambientale, richiesto dalla normativa vigente  per
la realizzazione e l'esercizio del progetto (comma 1, primo periodo).
Il comma 2 dispone che «[i]l provvedimento unico di cui  al  comma  1
comprende il rilascio dei  seguenti  titoli  laddove  necessario:  a)
autorizzazione integrata ambientale ai sensi del titolo III-bis della
parte II del presente decreto;
    b) autorizzazione riguardante la disciplina  degli  scarichi  nel
sottosuolo e nelle acque sotterranee di cui all'art. 104 del presente
decreto;
    c) autorizzazione riguardante la  disciplina  dell'immersione  in
mare di materiale derivante da attivita' di  escavo  e  attivita'  di
posa in mare di cavi e condotte di  cui  all'art.  109  del  presente
decreto;
    d) autorizzazione paesaggistica di cui all'art.  146  del  Codice
dei beni culturali e del paesaggio di cui al decreto  legislativo  22
gennaio 2004, n. 42;
    e) autorizzazione culturale di cui all'art.  21  del  Codice  dei
beni culturali e del paesaggio  di  cui  al  decreto  legislativo  22
gennaio 2004, n. 42;
    f) autorizzazione riguardante il vincolo idrogeologico di cui  al
regio decreto 30 dicembre 1923, n. 3267, e al decreto del  Presidente
della Repubblica 24 luglio 1977, n 616;
    g) nulla osta di fattibilita' di cui all'art. 17,  comma  2,  del
decreto legislativo 26 giugno 2015, n. 105;
    h) autorizzazione antisismica di cui all'art. 94 del decreto  del
Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380».
    14.6.2.- I commi successivi dell'impugnato art.  27  regolano  le
fasi del procedimento che seguono alla iniziativa;  al  comma  8,  la
disposizione stabilisce che «[...]l'autorita' competente convoca  una
conferenza di servizi», alla quale partecipano il proponente e  tutte
le Amministrazioni competenti «o comunque potenzialmente  interessate
al rilascio del provvedimento di VIA  e  dei  titoli  abilitativi  in
materia ambientale richiesti dal proponente».
    La medesima disposizione precisa che «la conferenza di servizi si
svolge secondo le modalita' di cui all'art. 14-ter, commi 1, 3, 4, 5,
6 e 7, della legge 7 agosto 1990,  n.  241»;  che  «[i]l  termine  di
conclusione  dei  lavori  della   conferenza   di   servizi   e'   di
duecentodieci  giorni»;  che   «[l]a   determinazione   motivata   di
conclusione  della  conferenza  di  servizi,   che   costituisce   il
provvedimento  unico  in  materia  ambientale,   reca   l'indicazione
espressa del provvedimento di  VIA  ed  elenca,  altresi',  i  titoli
abilitativi compresi nel provvedimento unico»; che «la  decisione  di
rilasciare i titoli di cui al comma  2  e'  assunta  sulla  base  del
provvedimento di VIA, adottato dal  Ministro  dell'ambiente  e  della
tutela del territorio e del mare, di concerto  con  il  Ministro  dei
beni e delle attivita' culturali e del turismo,  ai  sensi  dell'art.
25»; che «[i] termini previsti dall'art. 25, comma 2, quarto periodo,
sono ridotti alla meta' e, in caso di rimessione  alla  deliberazione
del Consiglio dei ministri, la conferenza di servizi e'  sospesa  per
il termine di cui all'art. 25, comma 2, quinto periodo»; che «[t]utti
i termini del procedimento si considerano perentori ai  sensi  e  per
gli effetti di cui agli articoli 2, commi da 9 a  9-quater,  e  2-bis
della legge 7 agosto 1990, n. 241». Il successivo comma 9 prevede che
«[l]e    condizioni    e    le    misure    supplementari    relative
all'autorizzazione integrata ambientale di cui al  comma  2,  lettera
a),  e  contenute  nel  provvedimento   unico,   sono   rinnovate   e
riesaminate, controllate e sanzionate con le modalita'  di  cui  agli
articoli  29-octies,  29-decies  e  29-quattuordecies»  e   che   «le
condizioni e le  misure  supplementari  relative  agli  altri  titoli
abilitativi in materia ambientale di cui al comma 2, sono rinnovate e
riesaminate, controllate e sanzionate con le modalita' previste dalle
relative disposizioni  di  settore  da  parte  delle  amministrazioni
competenti per materia». Infine, il comma  10  stabilisce  che  «[l]e
disposizioni contenute nel presente articolo si applicano  in  deroga
alle disposizioni che disciplinano i procedimenti riguardanti il solo
primo rilascio dei titoli abilitativi in materia ambientale di cui al
comma 2».
    14.6.3.-  La  Provincia  ricorrente  osserva  che   le   funzioni
coinvolte «sono state incrementate in misura esorbitante», tanto  che
l'intera  disposizione  sembrerebbe  scritta   come   se   tutte   le
amministrazioni  coinvolte  fossero   amministrazioni   statali.   Fa
presente la ricorrente che taluni provvedimenti indicati (come quelli
relativi  agli   scarichi   nel   sottosuolo,   alla   autorizzazione
paesaggistica, alla autorizzazione culturale  e  alla  autorizzazione
riguardante il vincolo idrogeologico) sarebbero di  competenza  della
Provincia autonoma, che ha potesta' legislativa ed amministrativa  in
materia di acque, di tutela e conservazione del  patrimonio  storico,
artistico e culturale e di tutela del paesaggio (art. 8, numeri 3, 6,
17 e 24, e art. 9, comma 9,  in  combinazione  con  l'art.  16  dello
statuto di  autonomia).  Essa  lamenta,  dunque,  che,  nel  regolare
proprie  funzioni,  lo  Stato  l'abbia  espropriata  della   potesta'
decisoria.
    Cosi' facendo, lo Stato  finirebbe  per  esercitare,  mediante  i
meccanismi di decisione finale della conferenza di  servizi  statale,
le funzioni amministrative proprie della  ricorrente,  in  violazione
dell'art. 16 dello statuto speciale, nonche' dell'art. 4  del  d.lgs.
n. 266 del 1992. Inoltre, osserva che il legislatore statale  avrebbe
scelto il modulo procedimentale  della  conferenza  di  servizi  «con
modalita' sincrona», prevista dall'art. 14-ter della legge n. 241 del
1990 (richiamato nei commi 1, 3, 4, 5, 6 e  7);  la  norma  impugnata
richiama soltanto la disposizione (art. 14-ter, comma 7) che  prevede
la possibilita' per la conferenza di servizi di deliberare sulla base
delle   posizioni   prevalenti   espresse    dalle    amministrazioni
partecipanti alla conferenza, mentre non richiama l'art. 14-quinquies
che regola i rimedi per le amministrazioni dissenzienti.
    Ove il rinvio contenuto nell'art.  27,  comma  8,  al  solo  art.
14-ter della legge n.  241  del  1990  (anziche'  all'art.  14-ter  e
seguenti) e la mancata menzione dell'art.  14-quinquies,  fossero  da
intendere come una volonta' legislativa di escludere l'applicabilita'
della  disciplina  dettata  dall'art.  14-quinquies  per  i  dissensi
qualificati, e in particolare per quelli manifestati  dalle  Province
autonome,   la   disposizione   impugnata    sarebbe    ulteriormente
illegittima: (i) per violazione  dell'autonoma  amministrativa  della
Provincia autonoma  in  relazione  a  tutte  le  competenze  da  essa
esercitate in materia ambientale (acque, paesaggio, opere idrauliche,
viabilita'), che verrebbero scavalcate da una decisione deliberata da
organi  di  altro  ente;  (ii)  per  violazione  anche  la   potesta'
legislativa della Provincia autonoma, visto che secondo il comma  10,
il procedimento unico  comporta  una  deroga  alle  disposizioni  che
disciplinano  i  procedimenti  dei  titoli  abilitativi  in   materia
ambientale di cui al comma 2, in relazione al primo  rilascio;  (iii)
per  violazione   del   principio   di   sussidiarieta'   e   perche'
l'assorbimento della funzione dell'ente autonomo  non  avverrebbe  in
una cornice di leale collaborazione.
    L'istituto del rimedio per le amministrazioni dissenzienti, nella
sua conformazione  rispettosa  della  leale  collaborazione,  sarebbe
infatti una condizione necessaria per la legittimita'  costituzionale
delle previsioni  di  conferenze  di  servizi  decisorie,  ove  siano
coinvolti enti di livello regionale (e' richiamata la sentenza n. 179
del 2012).
    Questa ulteriore censura non avrebbe ragione di essere, a  parere
della ricorrente, ove il richiamo all'art. 14-quater (e attraverso di
questo al 14-quinquies), contenuto nell'art. 14-ter, comma 7, potesse
assicurare comunque l'applicazione della disciplina di  garanzia  per
il dissenso della ricorrente Provincia autonoma.
    15.- Il Presidente del Consiglio dei  ministri,  rappresentato  e
difeso dall'Avvocatura generale dello  Stato,  ha  depositato  il  13
ottobre 2017, memoria di costituzione, chiedendo che il ricorso venga
rigettato.
    15.1.- In merito alla pretesa violazione  degli  artt.  76  e  77
Cost.,  l'Avvocatura  generale  dello  Stato  deduce  preliminarmente
l'inammissibilita' del motivo di  ricorso,  in  quanto  la  legge  di
delega non  ha  formato  oggetto  di  impugnazione.  Si  osserva,  al
riguardo, che ove i contenuti della delega diano luogo  ad  effettiva
lesione delle competenze regionali o provinciali, gli  stessi  devono
formare oggetto di tempestiva impugnazione a norma dell'art. 39 della
legge n. 87 del 1953: cio' a fine di consentire  a  questa  Corte  di
eliminare gli eventuali profili di illegittimita' senza aspettare che
tali vizi vengano  riprodotti  o  addirittura  ampliati  nei  decreti
delegati.
    Il motivo  relativo  alla  denunciata  tardivita'  dell'esercizio
della delega legislativa, con conseguente violazione degli artt. 76 e
77  Cost.,  sarebbe  comunque  infondato.  L'Avvocatura  dello  Stato
osserva che il rinvio operato dalla legge di delega n. 114 del  2015,
ai termini di cui all'art. 31, comma 1, della legge n. 234 del  2012,
poi modificato ad opera della legge  n.  115  del  2015,  entrata  in
vigore il 18  agosto  2015,  ha  natura  recettizia.  Innanzi  tutto,
perche' la legge non puo' avere portata  retroattiva  e,  dunque,  la
legge  novellatrice  del  termine,  non  puo'   che   riguardare   le
fattispecie di delegazione legislativa successive, e non certo quelle
di cui alla legge n. 114 del  2015,  entrata  in  vigore  tre  giorni
prima. In secondo luogo, ove la legge n. 115 del 2015 fosse  ritenuta
di portata retroattiva, la stessa avrebbe potuto  generare  l'effetto
di produrre la scadenza di  una  delega  ancora  in  corso,  come  si
sarebbe verificato almeno in un caso (si cita, al riguardo, la delega
per l'attuazione della direttiva 2012/29/UE, non ancora esercitata al
momento della entrata in vigore della legge n. 115 del 2015, e per la
quale, ove i nuovi  e  ridotti  termini  -  da  quattro  a  due  mesi
antecedenti al termine di recepimento della direttiva - fossero stati
ritenuti di immediata  applicabilita',  il  termine  per  l'esercizio
della delega sarebbe  addirittura  decorso  prima  della  entrata  in
vigore  della  stessa  legge  n.  115  del  2015).   Simili   approdi
risulterebbero ulteriormente  evidenziati  dalla  incoerenza  che  si
determinerebbe  nel  disporre  la  abbreviazione   dei   termini   di
recepimento di direttive, allo  scopo  verosimile  di  favorirne  una
celere attuazione, con il contrario effetto di precludere  il  potere
delegato di attuazione.
    Quanto all'ulteriore rilievo della  ricorrente,  secondo  cui  il
rinvio "secco" all'art. 31, comma 1, della legge  n.  234  del  2012,
avrebbe comportato l'impossibilita' di avvalersi  del  meccanismo  di
proroga del termine previsto in via generale dall'art.  31,  comma  3
della stessa  legge,  la  censura  risulterebbe  infondata  per  piu'
ragioni. La legge di delega n. 114  del  2015,  infatti,  rievoca  le
"procedure" nonche' gli artt. 31 e 32 della legge n.  234  del  2012,
nella loro interezza, richiamando, cosi', anche le regole relative ai
pareri delle Commissioni parlamentari e i loro riflessi  sui  termini
di esercizio della delega legislativa.
    Inoltre, si osserva, l'art. 31, comma 3, della legge n.  234  del
2012 contiene una norma di carattere generale destinata ad applicarsi
a tutte le leggi di  delegazione  europea,  a  meno  che  queste  non
dispongano diversamente. Pertanto, una volta che la legge n. 114  del
2015  ha  previso  come  obbligatorio  il  parere  delle  Commissioni
parlamentari, senza ulteriori puntualizzazioni, ne deriva l'integrale
applicabilita' della disciplina dettata dalla stessa legge n. 234 del
2012, in dipendenza di tale opzione. Pertanto, la  natura  recettizia
del rinvio operato all'art. 31, comma 1, della legge n. 234 del 2012,
non impediva al Governo di usufruire della proroga  di  cui  all'art.
31, comma 3, della medesima legge.
    15.2.-  Sarebbero   infondati   pure   i   rilievi   subordinati,
concernenti la pretesa  illegittimita'  della  procedura  in  ragione
della scelta del Governo di trasmettere contestualmente lo schema  di
decreto delegato alle Commissioni  parlamentari  ed  alla  Conferenza
Stato-Regioni, in violazione di quanto stabilito dall'art.  1,  comma
3, della richiamata legge di delega n. 114 del 2015 e  dall'art.  31,
comma 3, della legge n. 234 del 2012,  in  merito  al  fatto  che  la
trasmissione alla Camera dei deputati ed al Senato  della  Repubblica
dello  schema  di  decreto  delegato  debba   avvenire   solo   «dopo
l'acquisizione degli altri pareri previsti dalla legge». Ma, sostiene
l'Avvocatura, e' proprio la pretesa obbligatorieta' del parere  della
Conferenza  Stato-Regioni  ad  essere  non  fondata,  in  quanto   la
disciplina della valutazione di impatto ambientale  non  rientrerebbe
fra le "materie" di competenza regionale,  essendo  ascrivibile,  per
consolidata giurisprudenza costituzionale, alla «tutela dell'ambiente
e  dell'ecosistema»,  di  competenza  statale  esclusiva,   a   norma
dell'art. 117, secondo comma, lettera s),  Cost.  e  non  vi  sarebbe
alcun  "intreccio"  con  diversi  ambiti   materiali,   ma   soltanto
"incidenza" rispetto a funzioni regionali.
    Deriverebbe da  cio'  che  il  Governo  non  aveva  l'obbligo  di
consultare la detta Conferenza, in  ordine  allo  schema  di  decreto
legislativo per l'attuazione della «direttiva VIA»: dunque, il parere
richiesto avrebbe natura facoltativa  e  sfuggirebbe,  pertanto,  dal
campo di applicazione delle norme la cui violazione  viene  censurata
dalla ricorrente; esso poteva di conseguenza essere  richiesto  anche
contestualmente  alla  trasmissione  alle  Camere  dello  schema   di
decreto. Risulterebbe correlativamente rispettato anche il  principio
di leale collaborazione.
    15.3.- Non fondate sarebbero anche le censure rivolte  verso  gli
artt. 5, comma 1, 22, commi da 1 a 4, e 26, comma 1, lettera a),  del
d.lgs.  n.  104  del  2017,  in  ragione  del  profondo  riassetto  e
allocazione presso lo Stato di numerose funzioni gia' provinciali  in
tema di VIA. Si ribadisce, infatti, che  la  valutazione  di  impatto
ambientale rientra nella tutela dell'ambiente di esclusiva competenza
statale, imponendosi dunque alle Regioni  ed  alle  stesse  autonomie
speciali. Le funzioni amministrative statutariamente  garantite  alle
Province autonome sono dunque, in  base  all'art.  16  dello  statuto
speciale, solo quelle relative alle materie per le quali la Provincia
autonoma puo' adottare norme legislative.
    15.4.- A proposito, poi, della lamentata violazione  degli  artt.
8, 9 e 16 delle disposizioni statutarie, e degli artt. 117,  terzo  e
quarto comma, Cost, in riferimento all'art. 10 della legge cost. n. 3
del 2001, nonche' al prospettato eccesso di delega  per  mancanza  di
intesa costituzionalmente  necessaria,  l'Avvocatura  generale  dello
Stato ne deduce la infondatezza,  anzitutto  ribadendo  il  principio
che, in tema di VIA,  sussisterebbe  la  competenza  esclusiva  dello
Stato,   vertendosi   in   materia   di   tutela   dell'ambiente    e
dell'ecosistema. Pertanto, sulla base del principio del  parallelismo
amministrativo di cui all'art. 16  dello  statuto  di  autonomia,  le
funzioni amministrative in materia  di  VIA  non  rientrerebbero  fra
quelle statutariamente garantite alla Provincia autonoma  ricorrente.
Nella specie sarebbe dunque inconferente il richiamo alla chiamata in
sussidiarieta', applicandosi questa soltanto nella ipotesi in cui  lo
Stato  si  appropri  di  funzioni  amministrative   in   materie   di
legislazione regionale: il che non si verifica nel  caso  di  specie.
Conseguentemente, non si richiedeva alcuna  intesa  con  le  Regioni,
posto  che  tale  modulo  procedurale   riguarda   la   chiamata   in
sussidiarieta' in relazione all'esercizio di funzioni amministrative,
ma non per il procedimento di formazione legislativa.
    Inconferente sarebbe la pretesa irragionevolezza per sproporzione
dell'intervento  di  riallocazione  delle  funzioni   amministrative,
tenuto  conto  della  gia'  rilevata  applicazione  dei  principi  di
sussidiarieta', adeguatezza e differenziazione, mentre  improprio  si
rivela il richiamo alla sentenza n. 251 del 2016, in quanto  l'intesa
si impone come contenuto obbligatorio della legge di delegazione solo
nel caso di intreccio inestricabile tra ambiti competenziali  statali
e regionali: il che non avviene in materia di VIA.
    15.5.- L'Avvocatura ribadisce la  esclusivita'  della  competenza
statale in materia, la quale non presenterebbe alcun intreccio con le
materie legislative rimesse alla Provincia  autonoma,  rievocando  la
giurisprudenza costituzionale formatasi  al  riguardo.  Quanto,  poi,
alla  disciplina  del  procedimento  amministrativo,  il  legislatore
statale disporrebbe di un ulteriore titolo  di  competenza  esclusiva
nel dettare i livelli  essenziali  delle  prestazioni  concernenti  i
diritti civili e sociali,  a  norma  dell'art.  117,  secondo  comma,
lettera m), Cost.
    Pertanto, la circostanza che  in  materia  di  VIA  la  Provincia
autonoma avesse dettato una  propria  disciplina,  non  inibiva  allo
Stato di intervenire nuovamente per dettare regole tese a  consentire
l'uniforme svolgimento del procedimento di VIA su tutto il territorio
nazionale. D'altra parte, sia pure  ridimensionato,  residua  per  le
Regioni e le Province autonome il potere di disciplinare con  proprie
norme (art. 7-bis¸comma 8, del d.lgs.  n.  152  del  206,  introdotto
dall'art.  5  del  d.lgs.  n.  104  del  2017)   l'organizzazione   e
l'esercizio delle funzioni amministrative loro conferite  in  materia
di VIA, anche  con  regole  intese  a  semplificare  i  procedimenti,
l'accesso del pubblico e degli altri soggetti pubblici interessati  e
il coordinamento dei provvedimenti di competenza regionale e  locale.
A sua volta, la clausola di salvaguardia dettata dall'art. 35-bis del
d.lgs. n. 152 del 2006, non opera per  la  VIA,  essendo  materia  di
competenza esclusiva statale, ma si riferisce a profili che  ricadano
nelle materie previste dagli statuti speciali.
    15.6.-  Le   disposizioni   impugnate,   prosegue   l'Avvocatura,
sarebbero illegittime,  in  quanto  invasive,  secondo  la  Provincia
ricorrente, di numerose competenze legislative provinciali, derivanti
dalle disposizioni statutarie (artt. 8,  9  e  16)  e  costituzionali
(art. 117, terzo  e  quarto  comma,  Cost,  in  combinazione  con  la
clausola di equiparazione di cui all'art. 3 della legge  cost.  n.  3
del  2001).  Le  stesse  disposizioni  sarebbero,  ad  avviso   della
ricorrente, lesive della norma di attuazione dello  statuto  speciale
recata dall'art. 19-bis del d.P.R. n. 381  del  1974,  in  base  alla
quale "[a]i  fini  dell'esercizio  delle  funzioni  delegate  con  il
presente decreto le Province autonome di Trento e di Bolzano, per  il
rispettivo territorio, applicano la normativa provinciale in  materia
di  organizzazione  degli  uffici,  di  contabilita',  di   attivita'
contrattuale,  di  lavori  pubblici  e  di  valutazione  di   impatto
ambientale".
    Anche  queste  censure  sarebbero  infondate.  Si  ribadisce,  al
riguardo,  che  la  pretesa   lesione   di   competenze   legislative
provinciali non sussisterebbe, in quanto la materia della VIA rientra
nell'ambito della legislazione statale esclusiva in  tema  di  tutela
dell'ambiente,  senza  che  sia   registrabile   alcun   riflesso   o
"frazionabilita'" del regime competenziale in questo  o  quell'ambito
materiale di spettanza provinciale. A proposito, poi,  della  pretesa
violazione  dell'art.  19-bis  del  d.P.R.  n.  381  del   1974,   si
tratterebbe di disposizione  relativa  alle  sole  funzioni  delegate
dallo  Stato,  diverse  ed  ulteriori  rispetto  a  quelle  garantite
statutariamente alla Provincia  autonoma;  disposizione  che  sarebbe
nella  specie  rispettata  in  ragione  del  fatto  che,  come   gia'
osservato, le competenze  provinciali  in  tema  di  VIA  sono  state
ridotte ma non azzerate.
    15.7.- Le censure degli artt. 8 e 16, comma 2, del d.lgs. n.  104
del 2017 sarebbero  prive  di  fondamento,  essendo  le  disposizioni
impugnate necessarie a garantire l'omogenea applicazione delle  norme
sulla VIA sul territorio nazionale, a seguito dell'entrata in  vigore
delle regole piu' stringenti, di cui alla direttiva 2014/52/UE.
    15.8.- Infondata anche la doglianza di cui all'impugnato art.  24
(ove  applicabile  alle  Province  autonome).  Per  l'Avvocatura   la
disciplina rientrerebbe nella competenza esclusiva dello Stato  sulla
tutela dell'ambiente e, per quanto concerne il  procedimento  di  VIA
regionale,  nella  competenza  esclusiva  in   materia   di   livelli
essenziali delle prestazioni; la possibilita'  di  ricondurre  alcuni
istituti del procedimento amministrativo - compresa la conferenza  di
servizi -  alla  competenza  statale  sui  livelli  essenziali  delle
prestazioni sarebbe affermata all'art. 29, commi 2-bis e 2-ter, della
legge n. 241 del 1990, che dunque si colloca, sotto  questo  aspetto,
in linea di continuita' con le pronunce del giudice costituzionale.
    Di conseguenza, l'impugnato  art.  24  non  realizzerebbe  alcuna
espropriazione delle competenze provinciali, ne' alcun contrasto  con
l'art. 2 del d.lgs. n.  266  del  1992,  atteso  che  tale  norma  di
attuazione  dello  statuto  speciale  si  riferirebbe  alla   diversa
fattispecie delle materie statutariamente  spettanti  alla  Provincia
autonoma, rispetto  alle  quali  essa  regolerebbe  le  modalita'  di
adeguamento della legislazione provinciale  ai  limiti  recati  dalla
legislazione statale.
    15.9.- L'Avvocatura dello Stato passa poi ad esaminare la pretesa
violazione della competenza provinciale a dare  immediata  attuazione
alle direttive europee nelle materie provinciali; competenza, questa,
gia' prevista dall'art. 7 del d.P.R. n. 526 del 1987 ed  ora  sancita
dall'art. 117, quinto comma, Cost.  e  ribadita  dall'art.  59  della
legge n. 234 del 2012, che mantiene ferme, per le autonomie speciali,
le disposizioni contenute negli statuti di autonomia e nelle relative
norme di attuazione.
    Pure tali doglianze risulterebbero infondate,  ancora  una  volta
partendo dalla premessa che la VIA rientra nella competenza esclusiva
statale in tema di tutela dell'ambiente e di previsione  dei  livelli
essenziali  delle  prestazioni.  L'art.  117,  quinto  comma,   Cost.
consente,  infatti,  alle  Regioni  e  alle  Province   autonome   di
provvedere  all'attuazione  ed  esecuzione  degli  atti   dell'Unione
europea soltanto nelle materie  di  loro  competenza.  Nella  specie,
pertanto, non sarebbe  stato  esercitato  alcun  potere  sostitutivo,
venendo dunque meno la pertinenza del richiamo all'art. 41, comma  1,
della legge n. 234 del 2012 e la pretesa  violazione  dell'art.  117,
quinto comma Cost.
    15.10.- Le censure  di  violazione  degli  artt.  3  e  97  Cost.
sarebbero, invece, anzitutto inammissibili per genericita', in quanto
la ricorrente avrebbe  speso  argomenti  apodittici  per  dedurre  la
violazione dei principi di ragionevolezza,  proporzionalita'  e  buon
andamento della pubblica amministrazione. Non sarebbero stati infatti
chiariti i profili  di  peculiarita'  organizzative  e  istituzionali
incisi dalla disciplina statale, ne' spiegate le ragioni per le quali
le  limitazioni  degli  spazi  rimessi   alla   legislazione   locale
comprometterebbero  la  buona   amministrazione.   Nel   merito,   si
tratterebbe comunque di doglianze infondate, in quanto la  disciplina
impugnata mira ad attuare la direttiva europea in modo  uniforme,  in
linea con il carattere di particolarmente dettaglio  delle  procedure
stabilite  in  sede  comunitaria  e  non  drogabili  da  parte  degli
ordinamenti nazionali, pena il rischio di  procedure  di  infrazione.
Infine, nessuna  lesione  sarebbe  riscontrabile  in  riferimento  ai
principi e criteri direttivi di cui all'art. 14 della legge delega n.
114 del 2015, in quanto l'intervento  legislativo  censurato  avrebbe
pienamente realizzato l'obiettivo della "armonizzazione" e gli  altri
principi di semplificazione e razionalizzazione tracciati dalla legge
di delega.
    15.11.- In relazione all'impugnato art. 23,  comma  4,  sarebbero
non fondate le doglianze correlate agli obblighi di adeguamento della
legislazione provinciale  ai  limiti  introdotti  dalla  legislazione
statale, in  base  alle  disposizioni  di  attuazione  dello  statuto
speciale previste dal d.lgs. n. 266 del 1992,  dal  momento  che  gli
obblighi di adeguamento di cui all'art. 23, comma 4,  del  d.lgs.  n.
104 del  2017,  riguardando  la  tutela  dell'ambiente  e  i  livelli
essenziali, di competenza esclusiva dello Stato, esulano  dal  citato
d.lgs. n. 266 del 1992. A proposito poi del termine  "perentorio"  di
adeguamento, lo stesso non equivale ad escludere  definitivamente  il
potere  di  adeguamento  della  Provincia  autonoma,   ma   legittima
esclusivamente  l'intervento  sostitutivo  dello   Stato.   Cio'   e'
dimostrato dal rinvio all'art. 41 della legge n. 234 del 2012, ove si
stabilisce il carattere cedevole  dell'intervento  sostitutivo  dello
Stato stesso.
    15.12.- Parimenti infondate si rivelerebbero le  censure  rivolte
al  potere  sostitutivo  di  cui  alla  norma  censurata,  laddove  -
richiamando l'art. 7-bis, comma  8,  del  d.lgs.  n.  152  del  2006,
introdotto dall'art. 5 del  d.lgs.  n.  104  del  2017  -  stabilisce
l'obbligo per le Regioni e Province  autonome  di  dettare  norme  di
organizzazione  e  disciplina  delle  modalita'  di  esercizio  delle
funzioni ammnistrative loro attribuite in materia di VIA, trattandosi
di un obbligo connesso alle esigenze di funzionamento unitario  delle
procedure in materia. Il potere sostitutivo di cui all'art. 23, comma
4,  del   decreto   impugnato   rinverrebbe,   dunque,   la   propria
legittimazione  direttamente  nell'art.  117,  quinto  comma,   Cost,
applicabile alle autonomie speciali, senza la mediazione dell'art. 10
della legge cost. n. 3 del 2001,  e  della  clausola  di  adeguamento
automatico ivi prevista. A proposito, poi, dell'esigenza -  lamentata
nel ricorso - di un  ulteriore  termine  di  diffida,  lo  stesso  e'
assicurato dall'art. 43, comma 2, della legge n. 234  del  2012,  che
rinvia all'art. 8 della legge cost. n. 3 del  2001,  ove  appunto  si
prevede che la procedura sostitutiva sia preceduta da diffida.
    16.- La Provincia autonoma di Trento ha depositato, il 29  maggio
2018, una diffusa memoria, nella quale  ha  formulato  deduzioni  per
contrastare la fondatezza dei rilievi svolti dall'Avvocatura generale
dello Stato nell'atto di costituzione in giudizio.
    16.1.-   A   proposito    della    preliminare    eccezione    di
inammissibilita', per mancata impugnazione  della  legge  delega,  la
Provincia ricorrente rammenta che l'istituto della  acquiescenza  non
e' applicabile nel giudizio di  legittimita'  costituzionale  in  via
principale, dal momento che anche la mera riproduzione di  una  norma
reitera la  lesione,  legittimando  il  ricorso,  sottolineando  come
argomenti contrari non siano desumibili dalla  sentenza  n.  261  del
2017, riferendosi questa non  alla  riproduzione,  ma  alla  semplice
applicazione della legge di delega.
    16.2.- Quanto al rinvio operato dall'art. 1, comma 2, della legge
delega n. 114 del 2015, all'art. 31, comma 1, della legge n. 234  del
2012,   la   Provincia   autonoma   ricorrente   contesta   la   tesi
dell'Avvocatura che invoca il  principio  di  irretroattivita'  della
legge, in quanto trattandosi di successione temporale connessa ad  un
procedimento vale  il  principio  tempus  regit  actum.  Sicche'  gli
inconvenienti   esemplificati   dall'Avvocatura   potevano    trovare
altrimenti rimedio, considerato, fra l'altro, che residuava intatto -
decaduto il potere normativo del Governo - il  potere  normativo  del
Parlamento.
    16.3.- A proposito del meccanismo di proroga di cui all'art.  31,
comma 3, della legge n. 234 del 2012, la  lettura  estensiva  offerta
dall'Avvocatura non sarebbe praticabile, in quanto la fissazione  del
termine e' contenuta in una norma speciale,  rappresentata  dal  solo
art. 31, comma 1,  della  citata  legge.  Interpretazione  estensiva,
d'altra  parte,  contraddittoria  rispetto   alla   ritenuta   natura
recettizia del richiamo operato dall'art. 1, comma 2, della legge  di
delega, giacche' allo stesso rinvio  verrebbe  attribuito  un  valore
diverso a due effetti: recettizio, nella misura de termine, e  mobile
quanto alla "procedura" di proroga.
    16.4.-  Sul  tema  della  acquisizione  dei   pareri,   la   tesi
dell'Avvocatura,  secondo  la  quale  in  tema  di  VIA,  attesa   la
competenza  esclusiva  dello  Stato,  il  parere   della   Conferenza
Stato-Regioni sarebbe non  "obbligatorio  per  legge",  la  Provincia
ricorrente osserva che nella specie non viene in discorso la sentenza
n. 251 del 2016 (ipotesi di intreccio di competenze  non  risolvibile
sul piano della prevalenza, la quale darebbe luogo,  piuttosto,  alla
necessita' della intesa e non del parere), ma la  previsione  dettata
dall'art. 2, comma 3, del d.lgs. n. 281 del 1997,  per  il  quale  il
parere della Conferenza e' obbligatorio nelle materie  di  competenza
delle Regioni o delle Province autonome, conformemente  al  principio
di leale collaborazione, di cui all'art. 120, secondo comma, Cost. La
disposizione indicata si riferirebbe, infatti,  a  tutti  i  casi  di
interferenza tra ambiti competenziali,  come,  dopo  la  riforma  del
Titolo V, della Parte seconda della Costituzione, avviene in tutte le
materie trasversali, quali la disciplina ambientale: in  particolare,
con riferimento alla VIA e alla Valutazione di  incidenza  ambientale
(VINCA), «che condiziona direttamente la regolazione dei procedimenti
amministrativi  regionali  (e  provinciali)  e  le  stesse   funzioni
amministrative esercitate da Regione e Province autonome, nei termini
gia' compiutamente  esposti  nel  ricorso».  Si  conclude  sul  punto
osservando  che  se  il  legislatore  fosse  intervenuto  con   legge
ordinaria non sarebbe stato  necessario  acquisire  il  parere  della
Conferenza per i profili di prevalente competenza statale:  nel  caso
di decreto delegato, il Governo era obbligato ad acquisire il parere.
    16.5.-  A  proposito  dell'applicazione  della  disciplina  della
proroga del termine per l'esercizio della delega, si ribadisce che la
doglianza si e' concentrata sull'abuso del procedimento, che  avrebbe
ingenerato una proroga artificiosa, e sulla  violazione  dell'obbligo
costituzionale - desumibile dall'art. 117, primo comma,  Cost.  -  di
tempestivo recepimento della direttiva. Ragione per la quale il  caso
di specie sarebbe diverso da quello che e' stato  scrutinato  con  la
sentenza n. 261 del 2017. La disciplina dettata dall'art. 1, comma 3,
della legge  di  delega,  riflettendosi  nei  rapporti  con  l'Unione
europea, prevedeva una  scansione  precisa  che  faceva  scattare  la
proroga solo nel momento in cui mancasse l'ultimo parere  che  veniva
riservato alle Commissioni parlamentari.
    16.6.- A proposito delle censure relative agli artt. 5, comma  1,
22, commi da 1 a 4, e 26, comma 1, lettera a), del d.lgs. n. 104  del
2017, connesse  al  massiccio  spostamento  in  capo  allo  Stato  di
funzioni provinciali, si contesta l'assunto dell'Avvocatura  relativo
alla  competenza  statale   esclusiva   in   materia,   evocando   la
giurisprudenza costituzionale che avrebbe sempre riconosciuto che  la
Provincia autonoma dispone di funzioni regolatorie  ed  esecutive  in
materia, mentre il dovere di  rispettare  i  limiti  derivanti  dalla
legislazione statale non contrasta con tale competenza,  dal  momento
che anche le potesta' statutarie si imbattono  nei  limiti  tracciati
dagli artt. 4 e 5 dello statuto speciale. Si ribadisce,  al  riguardo
la pertinenza del richiamo al gia' citato art. 19-bis del  d.P.R.  n.
381 del 1974, di attuazione  dello  Statuto  in  tema  di  competenza
provinciale in tema di VIA, circa le funzioni delegate dallo Stato in
materia di opere pubbliche e, quindi, "anche" alle funzioni delegate,
presupponendo che la legislazione provinciale riguardi la VIA,  anche
per cio' che attiene alle materie "proprie" della Provincia autonoma.
Il tutto - afferma la Provincia ricorrente -  sarebbe  asseverato  da
quanto previsto dal novellato art. 13 dello  statuto  speciale,  ove,
nella determinazione delle concessioni in materia di demanio  idrico,
siano  valutati  anche  "gli  aspetti  paesaggistici  e  di   impatto
ambientale".
    16.7.- Errato sarebbe anche l'assunto secondo il quale  la  nuova
allocazione delle competenze era necessario in  ragione  dell'assetto
delle competenze derivante dalla riforma del Titolo V  della  seconda
parte della Costituzione, dal momento che, per un verso, l'originaria
ripartizione era stata gia' rivista dal d.lgs. n. 152 de 2006 e,  per
altro, simile  linea  sarebbe  stata  «giocata  contro»  le  Province
autonome e dunque contro l'art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001.
    16.8.-  In  merito  agli  obblighi  di   adeguamento,   stabiliti
dall'impugnato art. 23, comma  4  -  in  contrasto  con  le  garanzie
contenute nell'art. 2 del d.lgs. n. 266 del 1992, e con la disciplina
del potere sostitutivo di cui  all'art.  117,  quinto  comma,  e  con
l'art. 120, secondo comma, Cost.,  nonche'  rispetto  alle  norme  di
attuazione dello statuto speciale contenute nell'art. 8 del d.P.R. n.
526 del 1987 - si osserva, a fronte dei rilievi della Avvocatura, che
lo Stato nell'esercitare la propria competenza a norma dell'art. 117,
secondo  coma,  Cost.,  non  puo'  cancellare  i   poteri   normativi
provinciali  previsti  dallo  statuto  e  dalle  relative  norme   di
attuazione; ribadendosi, per il resto,  i  rilievi  gia'  svolti  nel
ricorso.
    17.- Con ricorso notificato il 4-7 settembre  2017  e  depositato
l'8 settembre 2017 (reg. ric.  69  del  2017),  la  Regione  autonoma
Friuli-Venezia  Giulia  ha   promosso   questioni   di   legittimita'
costituzionale degli artt. 5, comma 1 - nella parte in cui  introduce
i commi 2 e 3 dell'art. 7-bis del d.lgs. n. 152 del 2006  -  12,  13,
comma 1, 14, 22, commi da 1 a 4, e  26,  comma  1,  lettera  a),  del
d.lgs. n. 104 del 2017, deducendo la violazione degli artt. 3, 5, 76,
97, 117, primo, secondo e terzo comma, e  118  Cost.,  nonche'  degli
artt. 4 e 5 della legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1 (Statuto
speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia) e  dell'art.  10  della
legge cost. n. 3 del 2001.
    17.1.- L'impugnato art. 5, introducendo i commi 2 e  3  dell'art.
7-bis del d.lgs. n. 152 del  2006,  opera  un  rinvio  agli  appositi
allegati, ripartiti per progetti sottoposti a VIA  statale,  progetti
sottoposti a verifica  di  assoggettabilita'  VIA  in  sede  statale,
progetti sottoposti a VIA e a verifica di  assoggettabilita'  VIA  in
sede regionale.
    17.2.- Ad avviso della ricorrente, l'impugnato  art.  22,  a  sua
volta, opera una  modifica  del  contenuto  degli  elenchi  in  senso
"unidirezionale", giacche', attraverso le nuove  classificazioni,  si
determina un sensibile depotenziamento  delle  competenze  regionali,
con contestuale incremento della competenza statale. Gli  spostamenti
all'ambito  rimesso   all'attivita'   amministrativa   statale   sono
completati attraverso l'abrogazione della  precedente  disciplina  da
parte del censurato art. 26 del d.lgs. n. 104 del 2017.
    La contestata  riduzione  delle  competenze  dell'amministrazione
regionale determinerebbe un'ulteriore  limitazione  delle  competenze
regionali, definite dagli artt. 4 e 5 dello statuto  di  autonomia  e
dall'art. 117, terzo comma,  Cost.,  venendo  queste  in  rilievo  in
procedimenti  complessi  come  quello  di  valutazione   dell'impatto
ambientale.
    17.3.- Il censurato art.  12  sostituisce  l'art.  23,  comma  4,
secondo periodo, del d.lgs. n. 152 del 2006, ove si  prevede  che,  a
seguito  della  presentazione  dell'istanza  e  della  sua  eventuale
integrazione, «l'autorita' competente  comunica  contestualmente  per
via telematica  a  tutte  le  Amministrazioni  e  a  tutti  gli  enti
territoriali potenzialmente  interessati  e  comunque  competenti  ad
esprimersi sulla realizzazione del progetto, l'avvenuta pubblicazione
della documentazione nel proprio sito web»; l'art. 13,  comma  1,  ha
riformato l'art. 24, comma 3, secondo periodo, del d.lgs. n. 152  del
2006, ove si prevede  che  «Entro  il  medesimo  termine  [60  giorni
dall'avviso pubblico di presentazione dell'istanza di VIA,  ai  sensi
del novellato art. 24, comma 1, del decreto legislativo  n.  152  del
2006]  sono   acquisiti   per   via   telematica   i   pareri   delle
Amministrazioni  e  degli  enti  pubblici  che  hanno   ricevuto   la
comunicazione di cui all'art. 23,  comma  4»;  l'impugnato  art.  13,
comma 1, ha riformato l'art. 24, comma 5, secondo periodo, del d.lgs.
n. 152 del 2006,  ove  si  prevede  che,  in  caso  di  richiesta  di
modifiche o integrazioni della documentazione da parte  dell'istante,
«in relazione alle  sole  modifiche  o  integrazioni  apportate  agli
elaborati progettuali e alla documentazione si applica il termine  di
trenta  giorni  per  la  presentazione  delle   osservazioni   e   la
trasmissione dei pareri delle Amministrazioni e degli  enti  pubblici
che hanno ricevuto la comunicazione di cui  all'art.  23,  comma  4»;
ancora, l'impugnato art. 14 ha modificato l'art. 25, comma  1,  primo
periodo, del d.lgs. n. 152 del 2006, in base al quale  «[l]'autorita'
competente valuta la  documentazione  acquisita  tenendo  debitamente
conto  dello  studio   di   impatto   ambientale,   delle   eventuali
informazioni  supplementari  fornite  dal  proponente,  nonche',  dei
risultati delle consultazioni svolte, delle informazioni  raccolte  e
delle osservazioni e dei pareri ricevuti a norma degli articoli 24  e
32».
    17.3.1.- Il profilo di lesione emergerebbe dal raffronto  con  la
precedente formulazione dell'art. 25, comma 2, del d.lgs. n. 152  del
2006:  «l'autorita'  competente  acquisisce   e   valuta   tutta   la
documentazione presentata, le osservazioni, obiezioni e  suggerimenti
inoltrati ai sensi dell'art. 24, nonche', nel caso  dei  progetti  di
competenza dello Stato,  il  parere  delle  regioni  interessate  che
dovra' essere reso entro novanta giorni dalla  presentazione  di  cui
all'art. 23, comma l».
    Nella precedente  formulazione  il  ruolo  regionale  nella  «VIA
statale» sarebbe  stabilito  «in  maniera  esplicita»,  fugando  ogni
dubbio sulla necessaria consultazione delle Regioni nel  procedimento
stesso; la nuova formulazione, invece, ridurrebbe simile garanzia  di
partecipazione procedimentale, atteso che le  disposizioni  impugnate
farebbero riferimento soltanto alle «Amministrazioni»  e  agli  «enti
territoriali  potenzialmente  interessati»  alla  realizzazione   del
progetto.
    Per la ricorrente,  l'amministrazione  statale  competente,  alla
quale  verrebbe  affidato,  senza  la   determinazione   di   criteri
valutativi, l'apprezzamento di quali siano tali «Amministrazioni»  ed
«enti», potrebbe opinare  la  mancata  competenza  della  Regione  in
proposito, con la conseguenza che la essa sarebbe «messa di fronte al
fatto compiuto», anche dopo la scadenza dei  termini  utili  per  far
valere le proprie ragioni in sede giurisdizionale.
    Ad avviso della Regione autonoma, le menzionate disposizioni  non
avrebbero  adeguatamente  recepito  la   direttiva   2014/52/UE;   al
contrario, ne avrebbero violato l'art. 6, paragrafo 1, lettera a).
    Il d.lgs. n. 104 del 2017 non avrebbe rispettato i criteri  della
legge di delega n. 114 del 2015, espressi dagli artt. 1 e 14 e  dagli
artt. 31 e 32 della legge n.  234  del  2012,  in  quanto  richiamati
dall'art. 1 della legge delega stessa,  nonche'  dalla  direttiva  da
recepire (atteso che,  per  costante  giurisprudenza  costituzionale,
«nel caso di delega per l'attuazione di una direttiva comunitaria,  i
principi che quest'ultima esprime si aggiungono a quelli dettati  dal
legislatore nazionale e assumono valore di parametro  interposto»  in
riferimento all'art. 76 Cost.; sono richiamate le sentenze n. 250 del
2016 e n. 210 del 2015).
    Per la ricorrente il dato normativo di riferimento, rappresentato
dal richiamato art.  6,  paragrafo  1,  della  direttiva  2014/52/UE,
imporrebbe  la  consultazione  delle   amministrazioni   territoriali
competenti sul  territorio  sul  quale  si  riverberano  gli  effetti
ambientali dell'intervento sottoposto a VIA. Per la Regione  autonoma
la disposizione della direttiva  richiederebbe  la  consultazione  di
ogni  amministrazione  che  risponda  al   criterio   di   competenza
«funzionale» (responsabilita' in materia di ambiente) o  territoriale
(«competenze locali o regionali»). Sarebbe pertanto  sufficiente  che
un'amministrazione avesse una  sola  di  queste  caratteristiche  per
entrare nell'ambito d'applicazione della norma, sicche' l'istruttoria
non potrebbe considerarsi  completa  se  l'autorita'  statale  avesse
consultato  solamente  un'amministrazione  che   ha   responsabilita'
ambientali «o» una che ne ha di territoriali.
    Per recepire adeguatamente la direttiva, lo Stato avrebbe  dovuto
garantire   la   partecipazione   al   procedimento   di   tutte   le
amministrazioni territoriali (vengono citati gli artt. 7  e  seguenti
della Convenzione sull'accesso alle informazioni,  la  partecipazione
del pubblico ai processi decisionali e l'accesso  alla  giustizia  in
materia ambientale, con due allegati, fatta ad Aahrus  il  25  giugno
1998 e ratificata con legge 16 marzo 2001, n. 108, e  richiamata  nel
considerando  n.  18  della  direttiva  2011/92/UE);   le   impugnate
disposizioni  pertanto  non  avrebbero  adeguatamente   recepito   la
direttiva richiamata, prevedendo genericamente la consultazione degli
enti territoriali interessati.
    17.3.2.- Risulterebbe evidente  anche  il  vizio  di  eccesso  di
delega, per violazione degli artt. 1 e 14  della  legge  n.  114  del
2015, con conseguente violazione  dell'art.  76  Cost.,  nonche',  la
lesione dei principi di ragionevolezza  e  di  buon  andamento  della
pubblica amministrazione ex  artt.  3  e  97  Cost.,  atteso  che  il
legislatore statale, invece di «designare» in astratto  gli  enti  da
consultare  avrebbe  lasciato  l'amministrazione  statale  procedente
«arbitra dell'intero procedimento»  nel  coinvolgimento  degli  enti,
determinando un  «irragionevole  malfunzionamento»  del  procedimento
stesso.
    Il vizio di eccesso di delega emergerebbe anche dalla  violazione
dei principi  e  criteri  direttivi  per  l'esercizio  della  delega,
sanciti dall'art. 32, comma 1, lettera g), della  legge  n.  234  del
2012, richiamato dall'art. 1 della citata legge  delega  n.  114  del
2015,  che  indicano  l'individuazione  delle  «opportune  forme   di
coordinamento» procedimentale per  i  casi  di  coinvolgimento  delle
competenze di piu' amministrazioni.
    Nella  specie  il  procedimento   di   VIA   determinerebbe   una
«sovrapposizione  di  competenze»  tra  amministrazione   statale   e
regionale; ciononostante, in violazione dell'art. 117, secondo comma,
Cost., sarebbe stato negato il  necessario  coinvolgimento  regionale
derivante dall'intreccio delle competenze.
    Il procedimento di VIA avrebbe ad oggetto la  localizzazione,  la
realizzazione e la successiva gestione di interventi di  rilievo  per
l'ambiente, le  comunita'  locali,  il  loro  sviluppo  e  la  salute
pubblica. Si tratterebbe di procedimenti che concernono  la  gestione
tanto dei beni ambientali quanto delle altre risorse socio-economiche
di un territorio. In simile contesto, il procedimento inciderebbe  su
numerose competenze che lo statuto di autonomia e l'art.  117,  comma
3, Cost., attribuiscono alla Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia e
in particolare: le materie di competenza primaria regionale ex art. 4
dello statuto, quali «industria e commercio»; «viabilita', acquedotti
e lavori pubblici  di  interesse  locale  e  regionale»;  «turismo  e
industria   alberghiera»;   «trasporti    su    funivie    e    linee
automobilistiche, tranviarie e filoviarie, di  interesse  regionale»;
«urbanistica»; «acque minerali e termali»; le materie  di  competenza
concorrente ex art. 5 dello statuto «disciplina dei servizi  pubblici
di interesse regionale ed assunzione di tali servizi»; «miniere, cave
e torbiere»; «linee marittime  di  cabotaggio  tra  gli  scali  della
Regione»; «utilizzazione delle acque  pubbliche,  escluse  le  grandi
derivazioni: opere idrauliche  di  4ª  e  5ª  categoria»;  «igiene  e
sanita'»; «servizi antincendi»; «opere di prevenzione e soccorso  per
calamita' naturali»; le materie di  competenza  concorrente  ex  art.
117, comma 3, Cost. (applicabile alle Regioni speciali secondo l'art.
10 della legge cost. n. 3 del 2001) «tutela e sicurezza del  lavoro»;
«ricerca scientifica e tecnologica e sostegno all'innovazione  per  i
settori produttivi»;  «tutela  della  salute»;  «protezione  civile»;
«porti  e  aeroporti  civili»;  «grandi  reti  di  trasporto   e   di
navigazione»;  «produzione,  trasporto  e   distribuzione   nazionale
dell'energia»; «valorizzazione dei beni culturali e ambientali.
    Emergerebbe la competenza  della  Regione  autonoma,  quale  ente
esponenziale della comunita' territoriale (e' richiamata la  sentenza
n. 81 del 2013, oltre alle sentenze n. 303 del 2003, n. 407 e n.  536
del  2002).  La  ricorrente   valorizza   anche   la   giurisprudenza
amministrativa che  avrebbe  sottolineato  il  «carattere  ampiamente
discrezionale che  connota  la  valutazione  di  impatto  ambientale»
(sentenze del Consiglio di Stato, sezione quinta, 23 marzo  2015,  n.
1564; 31 maggio 2012, n. 3254;  22  giugno  2009,  n.  4206;  sezione
quarta, 5 luglio 2010, n. 4246; sezione sesta,  17  maggio  2006,  n.
2851).
    Conseguentemente, nel disciplinare il  procedimento  di  adozione
della  VIA  statale,  il  d.lgs.  n.  104  del  2017  avrebbe  dovuto
espressamente  prevedere  la  partecipazione  al  procedimento  della
Regione  ricorrente  per  gli  interventi  che   ricadono   nel   suo
territorio,   e   non   genericamente    la    consultazione    delle
amministrazioni «potenzialmente interessate», in lesione dei principi
e criteri direttivi della legge delega e di conseguenza dell'art.  76
Cost.,  che  determinerebbe   un'irragionevole   compressione   delle
competenze della ricorrente, di cui agli artt. 4 e  5  dello  statuto
speciale e dell'art.117 Cost.
    17.3.3.- Per  la  ricorrente,  inoltre,  l'inespressa  previsione
dell'obbligo di richiedere il parere regionale  nel  procedimento  di
VIA statale, per contrasto con l'art. 32, comma 1, lettera g),  della
legge n.  234  del  2012,  determinerebbe  anche  la  violazione  del
principio di leale  collaborazione.  Ricorda  la  ricorrente  che  la
giurisprudenza costituzionale imporrebbe l'adozione di meccanismi  di
partecipazione procedimentale delle Regioni, sia quando  la  funzione
pubblica regolata si pone all'incrocio di varie materie  regionali  e
statali, legate «in un nodo inestricabile» (e' richiamata la sentenza
n. 21 del 2016), sia quando un giudizio di  prevalenza  e'  possibile
(sentenza n. 230 del 2013). Ancorche' la disciplina della VIA sarebbe
riconducibile alla materia della «tutela dell'ambiente»,  l'incidenza
sugli  ambiti  competenziali  regionali  imporrebbe  «una   reale   e
significativa  partecipazione   della   Regione»   al   procedimento,
assicurata solo attraverso la garanzia della consultazione regionale.
Anche per  questo  profilo  la  violazione  del  principio  di  leale
collaborazione   determinerebbe   un'irragionevole   e    illegittima
compressione dell'autonomia della ricorrente negli  ambiti  materiali
sopra elencati, ai sensi degli artt. 4 e 5 dello statuto e  dell'art.
117, terzo comma, Cost.
    17.3.4.-  La  Regione  autonoma  Friuli-Venezia  Giulia   ritiene
altresi' illegittimo l'art. 13, comma 1, del d.lgs. n. 104 del  2017,
nella parte in cui sostituisce l'art. 24, comma 5, del d.lgs. n.  152
del 2006. La disposizione sarebbe illegittima nella parte in cui,  in
caso di VIA statale, rimetterebbe alla discrezionalita'  dello  Stato
la richiesta di  un  supplemento  di  parere  da  parte  delle  altre
amministrazioni consultate, in caso di modifiche o integrazioni  agli
elaborati progettuali, anziche' prevedere  che  ad  esse  sia  sempre
consentito di formulare ulteriori osservazioni e pareri.
    Il  mancato  riconoscimento  di  tale   garanzia   procedimentale
determinerebbe la violazione dell'art. 76 Cost., per  violazione  dei
principi direttivi espressi dall'art. 1, paragrafo 6, della direttiva
2014/52/UE, nonche' dall'art. 32, comma 1, lettera g), della legge n.
234 del 2012, richiamato dall'art. 1 della legge  n.  114  del  2015;
l'illegittimo  esercizio  della  competenza  legislativa  statale  in
materia di «tutela dell'ambiente», ex art. 117, comma 2, lettera  s),
Cost.; la violazione dei principi di ragionevolezza,  buon  andamento
della pubblica amministrazione e leale collaborazione, ex artt. 3, 5,
97, 117 e 118,  Cost.  Tali  vizi  determinerebbero  un'irragionevole
compressione dell'autonomia regionale,  negli  ambiti  di  competenza
legislativa, ai sensi degli artt. 4 e  5  dello  statuto  speciale  e
dell'art. 117, comma terzo, Cost.
    17.3.5.- La ricorrente censura altresi' gli artt. 5, 12, 13,  14,
22 e 26 del d.lgs. n. 104 del 2017, per violazione del  principio  di
leale collaborazione di cui agli artt. 5, 117 e  118  Cost.  (per  un
ulteriore profilo), oltre che per violazione degli artt. 4 e 5  dello
statuto speciale e dell'art. 117 Cost.
    Ribadisce la Regione autonoma di  non  contestare  la  competenza
statale nel  regolare  il  procedimento  di  VIA;  lamenta  pero'  la
violazione del principio  di  leale  collaborazione  per  il  profilo
relativo al procedimento di adozione del decreto delegato n. 104,  in
conformita' ai dettami della sentenza n. 251 del 2016 (e'  richiamata
anche la sentenza n. 81 del 2013).
    Anche  ove  si  configurasse  la  «prevalenza»  della  competenza
esclusiva statale  in  materia  di  «tutela  dell'ambiente»,  sarebbe
comunque necessario il  ricorso  all'intesa  con  la  ricorrente  per
l'adozione  del  decreto  delegato  qui  impugnato  (si  richiama  la
sentenza n. 230 del 2013); anche in  questo  caso  la  partecipazione
regionale non sarebbe garantita dalla  formula  «sentite  le  regioni
interessate».
    Nella definizione del  decreto  delegato,  lo  Stato,  dopo  aver
acquisito  il  «parere  favorevole  condizionato»  della   Conferenza
Stato-Regioni (richiamato l'atto rep. n. 61/ESR del 4  maggio  2017),
non  avrebbe  ritenuto  di  attivare  le  ulteriori   «procedure   di
consultazione» tese al «superamento delle  divergenze,  basate  sulla
reiterazione delle trattative o su specifici strumenti di mediazione»
(sono richiamate le sentenze n. 1 e n. 251 del 2016; n. 121 del 2010)
e avrebbe confermato il testo  dello  schema  di  decreto  sottoposto
all'esame  della  Conferenza,  senza  recepire   alcuna   indicazione
formulata nel parere.
    Non sarebbero state recepite le proposte emendative  relative  al
ruolo delle Regioni nel procedimento di VIA in  sede  statale  (artt.
12, 13 e 14 del d. lgs. n. 104 del 2017; sono  richiamate  le  pagine
«5,  12,  17  del  parere  della  Conferenza  Stato-Regioni»);   alla
riduzione delle competenze regionali sugli interventi sottoposti alla
valutazione d'impatto ambientale e alla verifica di assoggettabilita'
alla VIA (artt. 5 e 22 del d.lgs. n. 104 del 2017; «cfr. p. 5, 6,  7,
12, 22 e 27 del parere della Conferenza Stato-Regioni»); alla  deroga
per i progetti concernenti interventi di protezione  civile  (art.  3
del d.lgs. n. 104 del 2017; «cfr. p. 15 del parere  della  Conferenza
Stato-Regioni»),  determinando  cosi'  una  condotta   «di   blocco»,
estranea al principio di leale collaborazione.
    17.3.6.-  Premessi  tali  rilievi,  la   ricorrente   deduce   la
insussistenza, nella legge di delega, di principi e criteri direttivi
che legittimassero una simile operazione di  riparto  di  competenze.
D'altra parte, la Corte  di  giustizia  dell'Unione  europea  avrebbe
rimesso agli Stati la liberta' di regolare  le  competenze  normative
sul  piano  interno.  Nel  caso  di  specie  dovrebbe  applicarsi  la
giurisprudenza costituzionale che, in tema di delega per il riassetto
di complessi normativi,  permette  di  modificare  il  riparto  delle
competenze tra Stato e Regioni solo nel  caso  in  cui  la  legge  di
delega lo abbia espressamente consentito. Non ricorrendo tale  ultima
condizione, risulterebbe violato l'art. 76 Cost. ed  illegittimamente
esercitata la competenza statale in materia di  tutela  dell'ambiente
(art.  117,  secondo  comma,  lettera  s,  Cost.),  con   correlativa
illegittima compressione della competenza della ricorrente, garantita
dagli artt. 4 e 5 dello  statuto  speciale  e  dall'art.  117,  terzo
comma, Cost.
    18.- Il Presidente del Consiglio dei  ministri,  rappresentato  e
difeso dalla Avvocatura generale dello Stato,  ha  depositato  il  13
ottobre 2017, memoria  di  costituzione,  chiedendo  il  rigetto  del
ricorso.
    18.1.-  A  proposito  della  dedotta   violazione   delle   norme
statutarie, congiuntamente a quella dell'art. 117,  secondo  e  terzo
comma, Cost., il relativo motivo di ricorso sarebbe inammissibile per
genericita' e carenza di motivazione.
    La ricorrente avrebbe infatti lamentato la violazione degli artt.
4 e 5 dello statuto speciale, senza indicare le ragioni per le  quali
la disciplina statale sulla VIA inciderebbe  sulle  materie  previste
dalle indicate disposizioni statutarie, ne' quali progetti attribuiti
alla competenza statale ricadrebbero fra  quelle  materie.  Sarebbero
state poi cumulativamente evocate le disposizioni statutarie e quelle
costituzionali senza operare differenziazioni fra le  stesse,  tenuto
conto della clausola di adeguamento automatico prevista dall'art.  10
della legge costituzionale n. 3 del 2001.
    18.2.- La censura sarebbe comunque infondata, in quanto la  nuova
allocazione   di   funzioni   si   inquadrerebbe   nei   criteri   di
semplificazione, armonizzazione e razionalizzazione delle procedure e
di rafforzamento delle procedure di valutazione di impatto ambientale
e di rafforzamento della qualita' delle stesse,  enunciati  nell'art.
14, comma 1, della legge delega n. 114 del 2015. Infatti,  sottolinea
l'Avvocatura, armonizzare, razionalizzare e rafforzare  le  procedure
comporta anche la possibilita' di  modificare  il  quadro  allocativo
delle competenze, non senza sottolineare come tale nuova ripartizione
risulti  rispondente  al  generale  criterio  di   delega   contenuto
nell'art. 32, comma 1, lettera g), della legge n. 234  del  2012,  in
tema  di  ripartizione  delle  funzioni   fra   enti   in   caso   di
sovrapposizioni di competenze o coinvolgimento di competenze fra piu'
amministrazioni, in vista della unitarieta' dei processi  decisionali
e  della  ottimizzazione  dell'azione  amministrativa.   Dunque,   il
legislatore delegato  era  chiamato  a  verificare  il  rispetto  dei
principi di sussidiarieta',  differenziazione,  adeguatezza  e  leale
collaborazione, anche alla luce dell'esperienza maturata nel tempo, e
ad  adeguare  tale  assetto  al  quadro  delle  competenze   che   la
Costituzione «riconosce e garantisce alle  Regioni  tanto  sul  piano
della  potesta'   normativa   quanto   sul   piano   della   potesta'
amministrativa, ove il primo non fosse conforme al secondo».
    Il  che  sarebbe  puntualmente  avvenuto  nel  caso  di   specie.
Attraverso  le  modifiche  apportate  con  le  norme  impugnate,   il
legislatore   delegato   avrebbe   infatti   conseguito   l'obiettivo
strategico - sottolinea l'Avvocatura - di razionalizzare  il  riparto
di competenze amministrative tra Stato e regioni, attraendo a livello
statale le procedure per i progetti relativi alle  infrastrutture  ed
agli impianti energetici sulla base della dimensione  sovra-regionale
degli impatti da valutare, fatte salve le valutazioni di progetti  ad
impatto endo-regionale. Valutazioni che, agli effetti dello scrutinio
di adeguatezza o inadeguatezza del livello regionale,  devono  essere
effettuate ex ante e per classi di casi,  presentandosi  il  criterio
"dimensionale" degli impianti come espressivo del  principio  sancito
dall'art. 118, primo comma, Cost., per la corretta allocazione  delle
funzioni amministrative ai diversi livelli territoriali di governo.
    18.3.- A proposito del motivo di ricorso nel quale si lamenta  la
violazione del principio di leale collaborazione ex artt.  5,  117  e
118 Cost., per mancata richiesta della  intesa  nell'esercizio  della
delega legislativa, nonche' la violazione degli artt.  4  e  5  dello
statuto  di  autonomia,  si  osserva  che,  versandosi   in   materia
«trasversale» e «prevalente», la normativa statale in tema di  tutela
dell'ambiente si imporrebbe integralmente nei confronti delle Regioni
che non possono contraddirla. Il che vale anche nei  confronti  delle
Regioni ad  autonomia  speciale.  La  giurisprudenza  costituzionale,
d'altra parte, ha in varie occasioni puntualizzato come  la  tematica
della VIA debba ascriversi esclusivamente alla competenza statale  in
materia  ambientale,  malgrado  la   possibile   incidenza   rispetto
all'esercizio  delle  funzioni  regionali.   Il   che   assevera   la
legittimita' delle disposizioni censurate, non trascurando  il  fatto
che, nel novellare l'art. 23 del d.lgs. n. 152 del 2006,  il  decreto
impugnato ha previsto il necessario coinvolgimento non soltanto della
Regione, ma di tutte le amministrazioni  potenzialmente  interessate.
La difesa  regionale,  dunque,  avrebbe  confuso  fra  loro  i  piani
dell'«intreccio inestricabile» tra materie,  che  avrebbe  comportato
l'intesa, rispetto alla  semplice  «incidenza»  rispetto  a  funzioni
regionali, che e' quanto normalmente accade per materie  trasversali,
come la tutela dell'ambiente o la fissazione dei  livelli  essenziali
delle prestazioni.
    In merito, poi, alle doglianze relative  al  mancato  recepimento
delle  proposte   emendative   avanzate   in   sede   di   Conferenza
Stato-Regioni, si segnala come nella relazione  illustrativa  che  ha
accompagnato lo schema  di  decreto,  siano  state  «dettagliatamente
analizzate tutte le condizioni e proposte emendative formulate  dalle
Regioni,  fornendo  per  tutte  quelle  non  accolte   una   puntuale
descrizione delle motivazioni alla base del mancato accoglimento».
    18.4.-  L'Avvocatura  generale  dello   Stato   eccepisce   anche
l'infondatezza delle censure di cui agli artt. 12, 13 e 14, in quanto
secondo il Presidente del Consiglio dei ministri, nella procedura  di
VIA  ascrivibile  alla  competenza  statale,  come  disciplinata  dal
novellato art. 23 del d.lgs. n.  152  del  2006,  dette  disposizioni
assicurerebbero  la  piena  e  completa  attuazione  della  normativa
europea e la partecipazione «e la tempestiva informazione di tutte le
Amministrazioni  e  di  tutti  gli  enti   territoriali   che   siano
interessati» e comunque competenti ad esprimersi sulla  realizzazione
del progetto.
    18.5.- Infondata  sarebbe  la  censura,  sempre  riferibile  agli
impugnati artt. 12, 13 e 14,  con  riferimento  alla  violazione  dei
principi  di  ragionevolezza  e  buon  andamento,   in   quanto   non
esisterebbe alcuna discrezionalita' in  capo  allo  Stato  quanto  al
coinvolgimento degli enti territoriali interessati.
    18.6.-    L'Avvocatura    dello    Stato    eccepisce,    infine,
l'inammissibilita' della censura riferita all'eccesso di  delega,  in
violazione  dell'art.  76  Cost.,  perche'  non  sarebbe  mai   stata
sollevata la questione di costituzionalita' della legge delega.
    18.6.1.- La censura sarebbe comunque infondata per le motivazioni
gia'   illustrate,   riferite    all'ampia    partecipazione    delle
amministrazioni interessate alla realizzazione del  progetto  su  cui
interviene la VIA.  Ritiene  erronea  la  ricostruzione  dell'assetto
competenziale in  materia  di  VIA,  con  particolare  riguardo  alla
sussistenza di un «intreccio di competenze», ribadendo che l'istituto
della VIA ricadrebbe  nell'ambito  materiale  di  cui  all'art.  117,
secondo comma, lettera s), Cost., da cui si ricaverebbe l'inesistenza
di alcuna violazione del principio di leale collaborazione.
    19.- La Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia ha depositato,  il
29 maggio 2018, memoria con la quale ha insistito  nelle  conclusioni
gia' rassegnate.
    19.1.- A  proposito  della  eccezione  di  inammissibilita',  per
genericita' e difetto di  motivazione,  delle  censure  rivolte  agli
artt. 5, 22 e 26 del decreto impugnato, si osserva  che  nel  ricorso
sono stati analiticamente indicati i progetti  gia'  attribuiti  alla
competenza regionale trasferiti a quella statale.
    In merito, poi,  all'eccezione  di  inammissibilita'  perche'  la
ricorrente  avrebbe  cumulativamente  dedotto   la   violazione   dei
parametri statutari e di quelli costituzionali, dal momento che  solo
uno tra i due e' destinato ad applicarsi, alla stregua della clausola
di adeguamento automatico di cui all'art. 10 della legge cost.  n.  3
del 2001, si osserva che - a differenza di quanto accade nel caso  di
ricorso dello Stato contro una legge  di  una  Regione  ad  autonomia
speciale  -  la  Regione   ad   autonomia   speciale   puo'   evocare
congiuntamente il parametro statutario e quello  costituzionale,  dal
momento  che  le  garanzie  costituzionali  si  aggiungono  a  quelle
statutarie.
    Nel merito, le deduzioni svolte dall'Avvocatura per contestare la
fondatezza della questione relativa all'eccesso di delega,  sarebbero
non fondate.  Si  osserva,  infatti,  che  tanto  per  i  profili  di
«semplificazione,   armonizzazione    e    razionalizzazione    delle
procedure», che per quelli di  «rafforzamento  della  qualita'  della
procedura» e di «smart regulation», l'identificazione  dell'autorita'
procedente sarebbe del tutto irrilevante.
    20.- Con ricorso notificato il 1°-6 settembre 2017  e  depositato
il 13 settembre 2017 (reg. ric. n. 70 del 2017), la Regione  autonoma
Sardegna ha promosso questioni di legittimita'  costituzionale  degli
artt. 5, comma 1, 12, 13 e 14, 22, commi da 1 a 4, e 26, identiche  a
quelle sollevate dalla Regione autonoma Friuli-Venezia  Giulia  (reg.
ric. n. 69 del 2017), salvo il  riferimento  -  quanto  ai  parametri
statutari che si assumono violati - agli artt.  3  e  4  della  legge
costituzionale 26 febbraio  1948,  n.  3  (Statuto  speciale  per  la
Sardegna).
    20.1.- Le restanti censure di cui agli artt. 3, comma 1,  lettere
g) e h), 8, 16 e 17, riguardano la partecipazione al procedimento  di
VIA (e/o ai procedimenti connessi) da parte del Ministero dei beni  e
delle   attivita'   culturali   e   del   turismo   (MIBACT),    come
amministrazione incaricata della protezione del paesaggio.
    20.1.1.- L'art. 3, comma 1, lettera  g),  viene  censurato  nella
parte in cui rimette al Ministro dell'ambiente, dopo una  valutazione
caso per caso, l'esclusione di  progetti  aventi  come  obiettivo  la
difesa nazionale e la protezione civile  dal  campo  di  applicazione
delle norme di cui al Titolo III della Parte II dello  stesso  d.lgs.
n.  104  del  2017,  qualora  ritenga  che  tale  applicazione  possa
pregiudicare i suddetti obiettivi.
    20.1.1.1.- Per la ricorrente, la «protezione civile» rientrerebbe
tra le materie di competenza concorrente,  ai  sensi  dell'art.  117,
terzo comma, Cost. (ad essa applicabile, ai sensi dell'art. 10  della
legge cost. n. 3 del 2001). Ne conseguirebbe  l'illegittimita'  della
disposizione, in violazione dell'art. 117, terzo comma, Cost., e  dei
parametri gia' richiamati, nella parte in  cui  non  prevede  che  la
decisione di  deroga  sia  assunta  anche  d'intesa  con  la  Regione
autonoma, in virtu' della sua specifica  competenza  in  materia.  La
Regione autonoma  Sardegna  reitera  le  proprie  argomentazioni  per
dimostrare che le disposizioni impugnate sono illegittime nella parte
in cui non prevedono un  coinvolgimento  delle  Regioni  al  medesimo
livello di intensita' e di efficacia giuridica assicurato al MIBACT.
    Ove questa  Corte  non  dovesse  ritenere  di  dover  sancire  il
parallelismo tra le attribuzioni del MIBACT e quelle della ricorrente
nei procedimenti indicati, la ricorrente chiede che sia garantita  la
partecipazione  procedimentale  almeno   nella   forma   del   parere
obbligatorio.
    20.1.2.- L'art. 3, comma 1, lettera h), prevede che: «Fatto salvo
quanto previsto dall'art.  32  [ovverosia  i  casi  di  consultazione
transfrontaliera], il  Ministro  dell'ambiente  e  della  tutela  del
territorio e del mare puo', in casi eccezionali,  previo  parere  del
Ministro dei beni e delle attivita' culturali e del turismo, esentare
in tutto o in parte un progetto specifico dalle disposizioni  di  cui
al titolo III della  parte  seconda  del  presente  decreto,  qualora
l'applicazione  di  tali  disposizioni  incida  negativamente   sulla
finalita'  del  progetto,  a  condizione  che  siano  rispettati  gli
obiettivi  della  normativa  nazionale  ed  europea  in  materia   di
valutazione di impatto ambientale».
    20.1.3.- L'art. 8, nella parte in cui modifica l'art.  19,  comma
8, del d.lgs. n.  152  del  2006,  stabilisce:  «qualora  l'autorita'
competente stabilisca di non assoggettare il progetto al procedimento
di VIA,  specifica  i  motivi  principali  alla  base  della  mancata
richiesta di tale valutazione  in  relazione  ai  criteri  pertinenti
elencati nell'allegato V, e, ove richiesto  dal  proponente,  tenendo
conto delle eventuali osservazioni del Ministero  dei  beni  e  delle
attivita' culturali e  del  turismo  per  i  profili  di  competenza,
specifica le condizioni ambientali necessarie per evitare o prevenire
quelli che potrebbero  altrimenti  rappresentare  impatti  ambientali
significativi e negativi».
    20.1.4.- L'art. 16, nella parte in cui modifica l'art. 27,  comma
8, del d.lgs. n.  152  del  2006,  prescrive  che:  «fatto  salvo  il
rispetto dei termini previsti dall'art. 32, comma 2, per il  caso  di
consultazioni transfrontaliere, entro dieci giorni dalla scadenza del
termine di conclusione  della  consultazione  ovvero  dalla  data  di
ricevimento delle  eventuali  integrazioni  documentali,  l'autorita'
competente convoca una conferenza di servizi alla  quale  partecipano
il proponente  e  tutte  le  amministrazioni  competenti  o  comunque
potenzialmente interessate al rilascio del provvedimento di VIA e dei
titoli abilitativi in materia ambientale richiesti dal proponente. La
conferenza  di  servizi  si  svolge  secondo  le  modalita'  di   cui
all'articolo 14-ter, commi 1, 3, 4, 5, 6 e 7, della  legge  7  agosto
1990, n. 241. Il termine di conclusione dei lavori  della  conferenza
di servizi e' di duecentodieci giorni. La determinazione motivata  di
conclusione  della  conferenza  di  servizi,   che   costituisce   il
provvedimento  unico  in  materia  ambientale,   reca   l'indicazione
espressa del provvedimento di  VIA  ed  elenca,  altresi',  i  titoli
abilitativi  compresi  nel  provvedimento  unico.  La  decisione   di
rilasciare i titoli di cui al comma  2  e'  assunta  sulla  base  del
provvedimento di VIA, adottato dal  Ministro  dell'ambiente  e  della
tutela del territorio e del mare, di concerto  con  il  Ministro  dei
beni e delle attivita' culturali e del turismo,  ai  sensi  dell'art.
25».
    20.1.5.- L'art. 17 modifica l'art. 28, comma 2, del d.lgs. n. 152
del 2006, statuendo che l'autorita' competente, in collaborazione con
il Ministero dei beni e delle attivita' culturali e del turismo per i
profili di  competenza,  «verifica  l'ottemperanza  delle  condizioni
ambientali di cui al comma 1 al fine di identificare  tempestivamente
gli impatti ambientali  significativi  e  negativi  imprevisti  e  di
adottare le opportune misure correttive».
    20.1.6.- Le disposizioni richiamate sarebbero  illegittime  nella
parte in cui, per i procedimenti concernenti interventi da realizzare
nel territorio sardo, o che  su  di  esso  possono  produrre  impatti
ambientali, non  prevedono  la  partecipazione  procedimentale  della
Regione autonoma Sardegna.
    La ricorrente rammenta di essere titolare di  una  competenza  in
materia di tutela del paesaggio, ai sensi degli artt. 3 dello statuto
e 6 del d.P.R. 22 maggio 1975, n.  480  (Nuove  norme  di  attuazione
dello statuto speciale della Regione autonoma della  Sardegna).  Tale
ultima disposizione darebbe attuazione  allo  statuto  d'autonomia  e
avrebbe trasferito all'amministrazione regionale le attribuzioni  del
Ministero  per  i  beni  e  le  attivita'  culturali  in  materia  di
«redazione» e «approvazione dei piani territoriali paesistici».
    In virtu' di tale competenza, la ricorrente, nell'esercizio della
propria competenza legislativa primaria, potrebbe  intervenire  sulla
regolamentazione dei beni  di  pregio  paesaggistico,  ancorche'  nel
rispetto delle disposizioni di tutela fissate dal legislatore statale
(e' citata la sentenza n. 308  del  2013).  Tale  competenza  sarebbe
rilevante nel procedimento di VIA, atteso che uno dei  suoi  elementi
fondamentali   sarebbe   la   localizzazione   dell'intervento    che
inciderebbe nell'esercizio della competenza legislativa in materia di
«edilizia e urbanistica» (art. 3, comma 1, lettera f,  dello  statuto
speciale), la quale si estenderebbe alla tutela paesaggistica.
    Per i procedimenti concernenti gli interventi  che  ricadono  nel
territorio sardo, il  legislatore  statale  dovrebbe  garantire  alla
ricorrente una partecipazione avente la medesima efficacia  giuridica
assicurata  al  MIBACT;   tale   partecipazione   procedimentale   si
imporrebbe in ossequio al principio di  leale  collaborazione,  anche
nel caso  di  «prevalenza»  della  materia  di  competenza  esclusiva
statale, anche sulla base di quanto indicato dall'art. 32,  comma  1,
lettera g), della legge n. 234 del 2012, richiamato dall'art. 1 della
legge delega n. 114 del 2015.
    21.- Costituitosi in giudizio a  mezzo  dell'Avvocatura  generale
dello Stato, con atto depositato l'11 ottobre 2017, il Presidente del
Consiglio dei ministri ha chiesto il rigetto del  ricorso,  svolgendo
difese del tutto analoghe a quelle prospettate in rapporto al ricorso
della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, per quanto attiene alle
censure coincidenti con detto ricorso.
    21.1.- Ad avviso dell'Avvocatura, risulterebbero infondate  anche
le censure degli artt. 3, 8, 14, 16 e 17, in riferimento  all'art.  3
dello statuto speciale, all'art. 6 del d.P.R. n.  480  del  1975,  al
principio di leale collaborazione e all'art. 76 Cost.,  in  relazione
all'art. l della legge  delega  n.  114  del  2015,  e  in  relazione
all'art. 32 della legge n. 234 del 2012, nonche'  in  violazione  dei
principi  di  ragionevolezza  e   buon   andamento   della   pubblica
amministrazione.
    L'art. 3 dello statuto  speciale,  infatti,  tra  le  materie  di
competenza legislativa esclusiva della Regione autonoma Sardegna  non
contemplerebbe ne' la tutela del paesaggio, ne' quella dell'ambiente.
    Pur  riconoscendo  la  titolarita'   regionale   della   potesta'
legislativa primaria in materia di «edilizia ed urbanistica» ai sensi
dell'art. 3, comma  l,  lettera  f),  dello  statuto  speciale  e  la
competenza esclusiva in materia di «piani  territoriali  paesistici»,
ai sensi dell'art. 6, comma 2,  del  d.P.R.  n.  480  del  1975,  per
l'Avvocatura  esse  devono  essere  esercitate  in  armonia  con   la
Costituzione e con i principi dell'ordinamento giuridico, rispettando
gli obblighi internazionali,  gli  interessi  nazionali,  nonche'  le
norme fondamentali delle riforme economico-sociali,  quali  sarebbero
quelle in tema di «tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e  dei  beni
culturali», adottate dallo Stato  in  base  alla  competenza  di  cui
all'art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.  (sono  richiamate  le
sentenze n. 51 del 2006 e n. 536 del 2002).
    21.2.-   Priva   di   fondamento   sarebbe   anche   la   censura
dell'impugnato art. 3, comma 1, lettera  g),  sulla  possibilita'  di
sottrarre alla VIA gli interventi aventi  quali  unico  obiettivo  la
risposta alle emergenze che riguardano la protezione civile.
    I commi 10 e 11 del nuovo art. 6 del  d.lgs.  n.  152  del  2006,
introdotti dall'art. 3 del d.lgs. n. 104 del 2017, avrebbero lo scopo
di allineare  la  disciplina  nazionale  alla  richiamata  direttiva,
distinguendo, da un lato, i progetti aventi quale unico obiettivo  la
difesa e la risposta alle  emergenze  che  riguardano  la  protezione
civile (comma 10);  dall'altro,  le  piu'  stringenti  condizioni  di
esenzione nei casi eccezionali (comma 11). La  disciplina  introdotta
si rivelerebbe garantista con riferimento alla potenziale  esclusione
dei progetti dalla disciplina recata dal Titolo III  della  Parte  II
del d.lgs. n. 152  del  2006,  grazie  alla  riserva  del  potere  di
esenzione dalla VIA in capo al Ministro dell'ambiente e della  tutela
del  territorio  e  del  mare,  che  ne  assume  la   responsabilita'
politicoamministrativa  sul  territorio  nazionale  e  nei  confronti
dell'Unione europea. Non si ravviserebbero  ragioni  per  ridurre  lo
standard di tutela ambientale, consentendo che le  esclusioni  citate
possano essere disposte dalla singola Regione.
    Sulla violazione del  riparto  costituzionale  delle  competenze,
ricorda l'Avvocatura come questa Corte comprenda la disciplina  della
VIA  nella  competenza  esclusiva  statale  in  materia  di   «tutela
dell'ambiente e dell'ecosistema», di cui all'art. 117, secondo comma,
lettera s), Cost.» (sono richiamate le sentenze n. 186 del  2010,  n.
225 del 2009 e n. 117  del  2015);  l'esclusivita'  della  competenza
statale  in  materia,  pur  incidendo  sull'esercizio  di  competenze
regionali, determinerebbe la «prevalenza» della normativa statale (e'
richiamata la sentenza n. 234 del 2009).
    21.3.- Infondata sarebbe anche la censura del richiamato art.  3,
comma  l,  lettera  g),  per  violazione  del  principio   di   leale
collaborazione.
    La disposizione sarebbe  riconducibile  alla  legge  24  febbraio
1992, n. 225, (Istituzione del Servizio  nazionale  della  protezione
civile), che, all'art. 5, contiene la disciplina degli interventi  da
operarsi durante la «dichiarazione dello stato di emergenza». In tale
contesto,  il  decreto  del  Ministro  dell'ambiente,  per   disporre
l'esclusione di taluni progetti dal campo di applicazione delle norme
in materia  di  VIA,  sarebbe  consequenziale  rispetto  alla  previa
valutazione - effettuata in  via  esclusiva  dal  Dipartimento  della
protezione  civile  d'intesa  con  la  Regione  interessata  -  degli
interventi aventi quale  obiettivo  la  risposta  alle  emergenze  di
protezione civile. L'art. 5, comma 2, della legge n.  225  del  1992,
stabilirebbe che per  l'attuazione  degli  interventi  di  protezione
civile da effettuarsi durante lo stato di emergenza si  provvede  con
apposita ordinanza da  emanarsi  «acquisita  l'intesa  delle  regioni
territorialmente interessate».
    22.- Alle difese statali ha replicato la ricorrente  con  memoria
illustrativa,  anche  in  questo   caso   di   contenuto   pienamente
corrispondente  a  quello  della  memoria  della   Regione   autonoma
Friuli-Venezia Giulia, per quanto riguarda le censure coincidenti  in
essa contenute.
    23.- Con ricorso notificato il 4-7 settembre 2017 e depositato il
13 settembre 2017 (reg. ric. n. 71 del 2017), la Regione Calabria  ha
promosso questioni di  legittimita'  costituzionale  degli  artt.  3,
comma 1, lettera g), 5, 16, commi 1 e 2, 21, 22, commi da 1 a 4,  26,
comma 1, lettera a), e 27 del d.lgs. n. 104 del  2017,  deducendo  la
violazione degli artt. 3, 5, 32, 76, 81, 117, 118 e 120 Cost.
    23.1.-  La   ricorrente,   dopo   aver   rievocato   l'articolato
procedimento di approvazione  del  decreto  impugnato,  sottolineando
come le Regioni e le Province autonome avessero espresso in  sede  di
Conferenza Stato-Regioni una posizione nettamente divergente rispetto
al contenuto  dello  schema  di  decreto,  considerato  che  l'ambito
materiale  attinto  dal   provvedimento,   che   sottraeva   numerose
competenze alle Regioni, si inseriva nell'ambito di  materie  oggetto
di potesta' legislativa  concorrente.  Poiche'  tali  divergenze  non
sarebbero state prese  in  adeguata  considerazione,  e  poiche'  non
sarebbe stato nella specie assicurato un adeguato coinvolgimento  dei
vari  livelli  di  governo  coinvolti,  si  sarebbe  di   conseguenza
determinata una lesione del principio di leale collaborazione.
    23.2.- L'art.  3,  comma  1,  lettera  g),  viene  censurato  con
argomentazioni coincidenti  con  quelle  dei  ricorsi  delle  Regioni
Lombardia,  Abruzzo,  Puglia  e  Veneto:  la   disposizione   avrebbe
introdotto la possibilita' di attribuire alla  «autorita'  competente
in sede statale» la valutazione caso per caso  dell'esclusione  della
VIA per  i  «progetti  relativi  ad  opere  ed  interventi  destinati
esclusivamente a scopo di difesa nazionale» e avrebbe inserito tra  i
progetti che possono essere esclusi anche quelli  che  riguardano  le
«emergenze  di  protezione  civile».  Si   prevedrebbe,   cosi',   un
procedimento  identico  per  progetti  che  riguardano  due   materie
diverse.
    Lo Stato avrebbe avocato a se' la possibilita' di  valutare  caso
per caso i progetti per far fronte ad emergenze di protezione civile,
incidendo su materie di competenza concorrente,  senza  prevedere  un
coinvolgimento  regionale,  in  lesione  del   principio   di   leale
collaborazione, comprimendo le prerogative regionali anche in materia
di tutela della salute delle persone e dell'ambiente,  in  violazione
degli artt. 32 e 3 Cost. In particolare, la tutela del  diritto  alla
salute, di cui  all'art.  32  Cost.,  nella  sua  dimensione  sociale
esprimerebbe un diritto alla salubrita' dell'ambiente,  nel  rispetto
del principio della liberta' di iniziativa economica privata, che non
puo' svolgersi in modo dannoso per la  sicurezza  delle  persone.  Il
contenuto  di  tale  diritto  si  tradurrebbe  anche  «nella   tutela
costituzionale  dell'integrita'  psico-fisica,  del  diritto  ad   un
ambiente salubre» e sarebbe connesso al valore della dignita'  umana,
di cui all'art. 3 Cost.
    23.3.- L'impugnato art. 5 ha introdotto l'art. 7-bis  nel  d.lgs.
n.  152  del  2006,  ove   vengono   definite,   con   un   sensibile
ridimensionamento di quelle regionali, le competenze  in  materia  di
VIA  e  di  assoggettabilita'  a  VIA,  con  correlativa   violazione
dell'art.  117,  terzo  comma,  Cost.,  in   quanto   sarebbe   stato
compromesso  l'esercizio  della  potesta'  legislativa  regionale  in
materie  concorrenti,  (tra  le  altre,  porti  e  aeroporti  civili,
produzione,  governo  del  territorio,  trasporto   e   distribuzione
dell'energia), e, in particolare, in tema  di  tutela  della  salute,
attese le finalita' della valutazione  di  impatto  ambientale,  come
emergerebbe dal punto 41 delle premesse della direttiva  da  attuare,
nonche' dall'art. 4 del d.lgs. n. 152 del 2006.
    La necessita' di scomporre tra i vari  ambiti  di  competenza  le
diverse funzioni che  la  direttiva  comunitaria  coinvolge  in  modo
unitario, comporta che le diverse materie concorrono fra  loro  senza
alcun rapporto di prevalenza; cosicche' - osserva la ricorrente -  la
complessita' del settore oggetto di recepimento evocava la necessita'
di un coinvolgimento piu' intenso dei  vari  livelli  di  governo  e,
dunque,  il  ricorso  allo  strumento  della  intesa,  in  seno  alla
Conferenza Stato-Regioni.
    Si rileva, poi, con riferimento  all'art.  76  Cost.,  che  nella
specie la legge delega non avrebbe previsto  una  compressione  della
potesta' normativa regionale nella materia,  sicche',  non  essendovi
proporzionalita' ne' rispondenza logica di tale compressione rispetto
alle finalita' perseguite, sussisterebbe  un  eccesso  di  delega  in
relazione ai principi e criteri direttivi posti dagli artt.  1  e  14
della legge delega n. 114 del 2015.
    23.4.- E'  impugnato  altresi'  l'art.  16,  commi  1  e  2,  per
violazione degli artt. 5, 76, 117, 118 e 120 Cost.
    La   disposizione   introduce   il    cosiddetto    provvedimento
autorizzatorio unico regionale. Fa  presente  la  ricorrente  che  la
disposizione non era  prevista  nella  bozza  di  schema  di  decreto
inviato dal  Governo  alla  Conferenza  permanente;  la  disposizione
sarebbe stata introdotta «senza che fosse  concessa  la  possibilita'
alle regioni e alle province autonome di  esaminare  il  testo  della
disposizione e presentare le proprie osservazioni»,  in  lesione  del
principio di leale collaborazione.
    Sotto  altro  profilo,  la  ricorrente   sottolinea   l'eccessivo
dettaglio  delle  disposizioni  che  introducono   il   provvedimento
autorizzatorio unico regionale. Esso comprenderebbe non solo la  VIA,
ma anche i titoli abilitativi  necessari  per  la  realizzazione  dei
relativi  progetti  e  per  l'esercizio  delle  attivita'   da   essi
derivanti.  Viene   richiamata   la   giurisprudenza   costituzionale
contraria a «normative eccessivamente puntuali» (sentenze n. 189  del
2015, n. 278 del 2010).
    23.5.- Si impugna, poi, l'art. 21, nel quale sono  dettate  norme
in tema di tariffe da applicare ai proponenti, nella parte in cui non
prevede un  adeguato  coinvolgimento  delle  Regioni  nella  fase  di
approvazione del decreto ministeriale, con il quale si dispongono  le
modalita' di determinazione delle tariffe per la copertura dei  costi
istruttori, con  correlativa  lesione  delle  potesta'  organizzative
delle Regioni e in violazione degli artt. 5, 117 e 120 Cost.
    23.6.- Gli artt. 22, commi da 1 a 4, e 26, comma 1,  lettera  a),
vengono censurati nella parte in cui, modificando gli  Allegati  alla
Parte II del d.lgs. n. 152 del 2006, determinano una sottrazione alle
Regioni  di  un  considerevole  numero   di   tipologie   progettuali
(riguardanti materie di competenza legislativa anche regionale),  che
vengono attribuite alla competenza statale. Il tutto, si osserva,  in
controtendenza  rispetto  ai   precedenti   interventi   sul   codice
dell'ambiente, ove era stato invece incrementato l'ambito applicativo
della VIA regionale, e neppure  in  linea  con  i  criteri  stabiliti
dall'art. 31, comma 1, lettera g), della legge n. 234 del 2012.
    Deriverebbe da cio' la violazione  dell'art.  117,  terzo  comma,
Cost., in quanto viene compromessa la potesta' legislativa  regionale
in  collegate  materie  a  legislazione  concorrente;  la  violazione
dell'art. 118 Cost., in quanto vengono ridimensionate  le  competenze
amministrative regionali e quelle conferite dalla stessa Regione agli
enti  locali,  prescindendo  da  valutazioni  sulla  adeguatezza  del
livello  istituzionale  coinvolto,  con  correlativa  violazione  del
principio di leale collaborazione e, dunque,  degli  artt.  5  e  120
Cost., anche perche' la compressione del potere legislativo regionale
si sarebbe realizzato senza lo strumento della intesa.
    Violato sarebbe infine anche l'art. 76 Cost., in quanto la  legge
delega non contempla espressamente la  revisione  del  riparto  delle
potesta' legislative ed amministrative tra Stato e Regioni.
    24.- Si impugna infine l'art. 27 del d.lgs. n. 104 del  2017,  il
quale  introduce  una  clausola  di   invarianza   finanziaria,   per
violazione degli artt. 76 e 81 Cost.
    Si osserva che tale clausola  sarebbe  del  tutto  aleatoria,  in
quanto le procedure  VIA  implicano  nuovi  oneri  per  le  autorita'
competenti  in  ragione  dei  nuovi  adempimenti  procedurali,  e  in
contrasto con quanto previsto in tema di spese per l'attuazione delle
direttive da parte dell'art. 1, comma 4, della legge delega.
    25.- Il Presidente del Consiglio dei  ministri,  rappresentato  e
difeso dalla Avvocatura generale dello Stato,  ha  depositato  il  13
ottobre 2017 memoria di costituzione chiedendo il rigetto del ricorso
in quanto infondato.
    25.1.-  Vengono  utilizzate  le   medesime   argomentazioni   per
confutare la censura dell'impugnato art. 3, comma 1, lettera  g),  da
parte delle Regioni Abruzzo, Lombardia e Veneto.
    25.2.- A  proposito  delle  doglianze  relative  all'art.  5  del
decreto impugnato, l'Avvocatura osserva che la disciplina  contestata
ha inteso rendere omogenea  per  tutto  il  territorio  nazionale  la
disciplina in materia di VIA,  al  fine  di  recepire  fedelmente  la
direttiva comunitaria, che ha previsto al riguardo regole dettagliate
sul procedimento, non trascurando peraltro lo  spazio  che  e'  stato
mantenuto in capo agli enti locali. Dalla  analisi  delle  variazioni
intervenute in  materia  risulterebbe  evidente  che  il  legislatore
avrebbe  correttamente  ritenuto  la  materia  della  valutazione  di
impatto ambientale  come  afferente  alla  tutela  dell'ambiente,  di
esclusiva  competenza  statale,  pur  se  con  incidenza  su   ambiti
materiali di competenza regionale.
    25.3.- Viene eccepita altresi' l'infondatezza  delle  censure  di
cui all'art. 16 commi 1  e  2,  del  d.lgs.  n.  104  del  2017,  sul
provvedimento autorizzatorio unico  regionale,  con  argomenti  spesi
nelle altre memorie difensive.
    25.4.- Non fondate sarebbero anche le censure rivolte all'art. 21
del decreto impugnato, con le  quali  la  Regione  Calabria  lamenta,
nella sostanza, il mancato coinvolgimento delle Regioni nel  processo
decisionale per definire le  risorse  destinate  a  coprire  i  costi
istruttori dei  procedimenti  VIA,  nonche'  la  lesione  dei  poteri
organizzativi  in  violazione   dei   principi   di   sussidiarieta',
differenziazione e  adeguatezza,  nonche'  leale  collaborazione.  Si
osserva, al riguardo, che la norma censurata si limita  a  sostituire
il comma 1 dell'art. 33 del d.lgs. n. 152  del  2006,  mentre  lascia
inalterato il comma 2 dello stesso articolo  ove  sono  stabilite  le
competenze regionali in tema di tariffe da  stabilire  a  carico  dei
proponenti. Dunque, la norma impugnata contiene un principio generale
per determinare le tariffe da applicare tanto per la VIA statale  che
per quella regionale. Nella parte in cui la norma  impugnata  rimette
ad  un  decreto  del  ministro  dell'ambiente  la  determinazione  in
concreto delle tariffe, essa si  riferisce  esclusivamente  alla  VIA
statale;  pertanto,  le  Regioni  sono  dunque   «protagoniste»   del
procedimento di determinazione delle  tariffe  per  le  procedure  di
propria competenza, dovendo solo rispettare  la  norma  di  principio
circa i criteri di commisurazione.
    Va poi rammentato, soggiunge l'Avvocatura, che  le  modalita'  di
svolgimento del procedimento VIA  vanno  ricondotte  alla  competenza
esclusiva di cui all'art.  117,  secondo  comma,  lettera  m),  Cost.
inerente la determinazione dei livelli essenziali delle  prestazioni,
in  quanto  la  individuazione  delle  norme  generali  inerenti   la
determinazione delle tariffe da  applicare  su  tutto  il  territorio
nazionale deve ritenersi  aspetto  centrale  del  livello  essenziale
della prestazione amministrativa fissata in materia dal legislatore.
    25.5.- In merito, poi, alle censure relative agli artt. 22, commi
da 1 a 4, e 26  del  decreto  impugnato,  l'Avvocatura  eccepisce  la
inammissibilita' del ricorso, in quanto non sarebbe  stata  sollevata
mai questione di legittimita' costituzionale della legge di delega.
    La  censura  sarebbe  inammissibile  anche  perche'  generica   e
immotivata,  in  quanto  non  sono  individuati   progetti   la   cui
sottrazione  alla  competenza  regionale  comporterebbe  la   lesione
dell'art. 118 Cost. e non viene svolto alcun argomento per  sostenere
l'adeguatezza del livello regionale a svolgere la  relativa  funzione
amministrativa.
    La censura sarebbe comunque  infondata  in  quanto  la  revisione
dell'assetto delle competenze si inquadrerebbe nei principi e criteri
direttivi tracciati dall'art. 14, comma 1, della legge delega n.  114
del 2015, tanto sul versante della armonizzazione e razionalizzazione
delle procedure che su quello del rafforzamento della qualita'  delle
procedure, in  vista  delle  sinergie  con  le  politiche  europee  e
nazionali,   specie   in   tema   di    politiche    energetiche    e
infrastrutturali. Non  sarebbe  neppure  pertinente  il  richiamo  al
criterio di cui all'art. 32, comma 1, lettera g), della legge n.  234
del  2012  per  le  ipotesi  di  sovrapposizioni  di  competenze  tra
amministrazioni diverse, in quanto tale criterio direttivo si  limita
a   sancire   il   rispetto   dei   principi    di    sussidiarieta',
differenziazione, adeguatezza e leale collaborazione in  ordine  alle
competenze regionali sul piano  normativo  e  amministrativo.  Ed  e'
quanto il legislatore avrebbe fatto, sul presupposto della dimensione
"sovra-regionale" delle procedure VIA in  tema  di  infrastrutture  e
impianti energetici attratti nella competenza statale, in  linea  con
quanto previsto dall'art. 118, primo comma,  Cost.  per  la  corretta
allocazione   delle   funzioni   amministrative   ai   vari   livelli
territoriali di governo.
    25.6.-  A  proposito,  infine,  della  clausola   di   invarianza
finanziaria  di  cui  all'impugnato  art.  27,  l'Avvocatura   deduce
l'inammissibilita' del motivo di ricorso perche' del tutto generica e
immotivata,  e  comunque  infondata  in  quanto  nessun  nuovo  onere
procedimentale sarebbe stato posto a carico delle Regioni. La pretesa
violazione dell'art. 1, comma 4, della  legge  delega  sarebbe,  poi,
oltre che non perspicua, comunque infondata,  in  quanto  residua  in
capo agli enti territoriali la possibilita' di definire, con  proprie
modalita' di  quantificazione,  gli  oneri  da  porre  a  carico  dei
proponenti  a  copertura  dei  costi   sopportati   dalla   autorita'
competente.
    26.- La Regione Calabria ha depositato il 29 maggio 2018  memoria
con la quale ha insistito nelle conclusioni gia' rassegnate.
    A proposito del motivo di ricorso riguardante l'art. 5 del d.lgs.
n. 104  del  2017,  si  ribadisce  che,  in  mancanza  di  specifiche
direttive della legge di delega, non poteva ritenersi  consentito  al
legislatore delegato  operare  una  cosi'  profonda  revisione  della
ripartizione delle competenze in materia  di  VIA,  ribadendosi  che,
nella specie,  il  Governo  avrebbe  disatteso  anche  le  previsioni
dettate dall'art. 32, comma 1, lettera g), della  legge  n.  234  del
2012.
    In merito, poi, alle doglianze formulate in ordine agli artt. 22,
commi da 1 a 4, e 26, comma 1, lettera a),  del  d.lgs.  n.  104  del
2017,  si  osserva  che,  analizzando  i  progetti  per  i  quali  la
competenza  e'  passata  dalle  Regioni  allo   Stato,   la   materia
dell'ambiente si incrocia con diversi ambiti materiali di  competenza
concorrente,  e  si  attrae  nella  competenza   statale   anche   la
valutazione su modifiche o estensioni di progetti anche se oggetto di
autorizzazioni regionali gia' intervenute.
    Si  insiste,  ugualmente,  sull'accoglimento  anche  degli  altri
motivi di ricorso.
    27.- Con ricorso notificato il 4-11 settembre 2017  e  depositato
il 14 settembre 2017  (reg.  ric.  n.  73  del  2017),  la  Provincia
autonoma  di  Bolzano   ha   promosso   questioni   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 5, comma 1, «se ed in quanto  riferito  alle
Province autonome» - nella parte in cui introduce l'art. 7-bis, commi
2, 3, 7, 8 e 9, nel d.lgs. n. 152 del 2006 - dell'art. 8, «se  ed  in
quanto riferito alle Province autonome»; dell'art. 16, commi  1,  «in
quanto non prevede un coinvolgimento delle Province  autonome»,  e  2
«se ed in quanto riferito  alle  Province  autonome»;  dell'art.  22,
commi 1, 2, 3 e 4, «se riferito alle Province autonome», e  dell'art.
23, commi 1 e 4, del d.lgs. n. 104 del 2017.
    27.1.- In via  preliminare,  la  Provincia  ricorrente  passa  in
rassegna i contenuti delle norme censurate, rilevando come i commi  2
e 3 dell'art. 7-bis del d.lgs. n. 152 del 2006, aggiunto dall'art. 5,
comma 1, del d.lgs. n. 104 del  2017,  individuino  nel  dettaglio  i
progetti sottoposti a VIA o a verifica di assoggettabilita' a VIA  in
sede statale (allegati II e II-bis alla Parte seconda del  d.lgs.  n.
152 del 2006) e quelli sottoposti alle  predette  procedure  in  sede
regionale (Allegati III e IV).
    In forza del  comma  8  del  medesimo  art.  7-bis,  le  Province
autonome,  al  pari  delle  Regioni,  nell'esercizio  delle   proprie
potesta' legislative debbono conformarsi alla legislazione europea  e
a quanto previsto dal d.lgs. n. 152 del 2006, fatto salvo  il  potere
di  stabilire   ulteriori   regole   per   la   semplificazione   dei
procedimenti,  per  la  consultazione  del  pubblico  e  degli  altri
soggetti pubblici interessati, per il coordinamento dei  procedimenti
di competenza regionale e locale, nonche'  per  la  destinazione  dei
proventi  derivanti  dalle  sanzioni  amministrative  alle  finalita'
indicate  dallo  stesso  d.lgs.  n.  152  del  2006,  ferma  restando
l'inderogabilita' dei termini procedimentali massimi.
    Alla stregua di quanto previsto dall'art. 23, comma 4, del d.lgs.
n. 104 del 2017, le potesta' normative delle Province autonome (cosi'
come delle Regioni) si limitano, in pratica, al semplice  adeguamento
dei rispettivi ordinamenti entro il termine perentorio di  centoventi
giorni dall'entrata in vigore dello stesso decreto, con la previsione
che, decorso inutilmente detto termine, in  assenza  di  disposizioni
regionali o provinciali vigenti idonee allo  scopo,  si  applicano  i
poteri sostitutivi di cui all'art. 117, quinto comma, Cost.,  secondo
quanto previsto dagli artt. 41 e 43 della legge n. 234 del 2012.
    Il decreto delegato interviene in modo egualmente puntuale  sulle
funzioni amministrative delle Province  autonome  (cosi'  come  delle
Regioni), imponendo loro, tra l'altro, di assicurare che le procedure
di VIA e verifica di assoggettabilita' a VIA di competenza  regionale
siano svolte in conformita' agli artt. da 19 a 26 e da  27-bis  a  29
del d.lgs. n. 152 del 2006 (comma 7 dell'art. 7-bis del d.lgs. n. 152
del 2006), nonche' di informare il Ministero  dell'ambiente  e  della
tutela del territorio e del mare, a partire dal 31  dicembre  2017  e
con cadenza biennale, circa i provvedimenti adottati e i procedimenti
di verifica di assoggettabilita' a VIA e di VIA, fornendo  una  serie
di atti (comma 9 dell'art. 7-bis).
    Con  il  decreto  legislativo  in  questione   viene,   altresi',
sensibilmente modificato il riparto delle competenze  amministrative,
attribuendo alla  competenza  dello  Stato  un  rilevante  numero  di
progetti  e  interventi  che  nel  regime  previgenti  erano   invece
attribuiti alla competenza delle Regioni (art. 22 del d.lgs.  n.  104
del 2017 e correlative abrogazioni disposte dall'art. 26).  A  questo
riguardo, il ricorso reca, «a titolo di esempio», un lungo elenco  di
progetti attualmente inseriti negli Allegati II e  II-bis,  e  dunque
tra quelli di competenza statale e non piu' regionale.
    27.2.- Cio' premesso, la Provincia autonoma ricorrente assume che
il decreto legislativo in questione violerebbe  anzitutto  l'art.  76
Cost., per tardivita'  dell'esercizio  della  delega  legislativa  da
parte del Governo. L'art. 1, comma 2, della legge  n.  114  del  2015
individuava,  infatti,  il  termine  per  l'esercizio  della   delega
mediante rinvio all'art. 31, comma 1, della legge n.  234  del  2012,
recependo,  in  tal  modo,  le  successive  modifiche   della   norma
richiamata.
    A seguito della modifica operata dall'art. 29, comma  1,  lettera
b), della legge n. 115 del 2015, il richiamato art. 1 della legge  n.
234 del 2012 stabilisce che, in relazione  alle  deleghe  legislative
conferite con la legge di  delegazione  europea  per  il  recepimento
delle direttive, il Governo  debba  adottare  i  decreti  legislativi
entro il termine di quattro mesi antecedenti a quello di  recepimento
indicato in ciascuna delle direttive. Nella  specie,  il  recepimento
della  direttiva  2014/52/UE  sarebbe  dovuto  avvenire,   ai   sensi
dell'art. 2, paragrafo 1, entro il 16 maggio 2017. Di conseguenza, il
Governo avrebbe dovuto esercitare la delega entro il 16 gennaio 2017:
termine che non e' stato rispettato, essendo il decreto stato emanato
soltanto il 16 giugno 2017.
    Irrilevante sarebbe la circostanza che nelle note  del  16  marzo
2017, con  le  quali  lo  schema  di  decreto  legislativo  e'  stato
trasmesso  alla  Conferenza   Stato-Regioni   e   alle   Camere   per
l'espressione dei rispettivi pareri, venga indicato come termine  per
l'esercizio della delega lo stesso 16 marzo 2017, sull'assunto che la
legge delega avrebbe fatto rinvio al testo originario  dell'art.  31,
comma 1, della legge n. 234 del 2014, che  prevedeva  il  termine  di
scadenza  di  due  mesi,  anziche'  quattro  mesi,  dal  termine   di
recepimento fissato nella direttiva.
    Secondo  la  giurisprudenza  costituzionale,  infatti,  si   deve
presumere che  i  rinvii  contenuti  nelle  leggi  abbiano  carattere
mobile, anziche' fisso, sicche' la natura recettizia del rinvio  deve
essere espressa, oppure desumibile da elementi univoci e  concludenti
(e'  citata  la  sentenza  n.  258  del  2014):  evenienze  che   non
ricorrerebbero nel caso di specie.
    La ricorrente rileva, per altro verso, che - in  assenza  di  una
chiara previsione di  "cedevolezza"  della  normativa  statale  -  le
disposizioni  contenute  nel  decreto  legislativo  impugnato   hanno
indubbie  ripercussioni  sulla  legislazione   gia'   vigente   nella
Provincia  autonoma  di  Bolzano  nelle  materie  di  sua  competenza
indicate piu' avanti nel ricorso, incidendo, quindi, sulla disciplina
di rango costituzionale e statutario del riparto di competenze tra lo
Stato e la  Provincia:  con  la  conseguenza  che  quest'ultima  deve
ritenersi legittimata a far valere il  vizio  di  eccesso  di  delega
legislativa, che pure esula dalla disciplina del riparto.
    27.3.- Il decreto legislativo violerebbe l'art. 76  Cost.,  anche
sotto  il  profilo  del  mancato  rispetto  dei  principi  e  criteri
stabiliti nella legge di delega.
    Non sarebbero stati rispettati, infatti, ne' i principi  generali
per  l'attuazione  delle  direttive  dell'Unione  europea,  tra  cui,
principalmente, il divieto di  aggravare  i  livelli  di  regolazione
rispetto a quelli minimi richiesti dalle direttive stesse  (art.  32,
comma l, lettera c, della legge n. 234  del  2012),  ne'  i  principi
specifici  indicati  dall'art.  14  della  legge  n.  114  del  2015,
riconducibili  essenzialmente  ai  concetti  di   semplificazione   e
coordinamento con altre procedure del settore dell'ambiente,  nonche'
di miglioramento della qualita' del  procedimento  («regolamentazione
intelligente»), e, in ultima analisi, di maggiore efficienza.
    Il decreto legislativo censurato avrebbe  spostato,  in  effetti,
pressoche' in blocco le competenze dalle Regioni allo Stato,  andando
cosi' ben oltre non solo i principi della delega, ma anche la  stessa
direttiva 2014/52/UE,  la  quale  non  potrebbe  disporre  un  simile
spostamento di competenze nell'ordinamento interno degli Stati membri
e che neppure, peraltro, lo imporrebbe.
    Risulterebbe violato, inoltre, il disposto dell'art. 32, comma 1,
lettera g), della legge n. 234  del  2012  (richiamato  dall'art.  1,
comma 1, della legge delega n. 114 del 2015),  in  forza  del  quale,
quando   si   verifichino   sovrapposizioni   di    competenze    tra
amministrazioni diverse, i decreti legislativi  debbono  individuare,
«attraverso le piu' opportune forme di coordinamento,  rispettando  i
principi di sussidiarieta',  differenziazione,  adeguatezza  e  leale
collaborazione e le competenze  delle  regioni  e  degli  altri  enti
territoriali,  le  procedure  per  salvaguardare  l'unitarieta'   dei
processi decisionali, la trasparenza,  la  celerita',  l'efficacia  e
l'economicita' nell'azione amministrativa e la chiara  individuazione
dei soggetti responsabili».
    Nel  procedimento  di  adozione  del  decreto   legislativo,   il
principio  di  leale  collaborazione  non  e'  stato,  per  converso,
rispettato. Il Governo non si e', infatti, adeguato ai rilievi ne' ha
cercato un'intesa, benche' vi fosse tenuto in forza dell'intreccio di
materie di competenza dello Stato e delle Province autonome: cio', in
conformita'   alla   piu'   recente   giurisprudenza   della    Corte
costituzionale,  che  in  simile  situazione  subordina  alle  intese
l'esercizio da parte del Governo della funzione legislativa delegata,
diversamente dalla funzione legislativa esercitata dal Parlamento (e'
citata la sentenza n. 251 del 2016).
    Non  sarebbe  stato  rispettato,  per  altro  verso,  neppure  il
principio di sussidiarieta', con conseguente violazione dell'art. 118
Cost., cosi' come sarebbero state violate le regole che  disciplinano
la chiamata in sussidiarieta'.
    27.4.- La  nuova  normativa  statale  inciderebbe,  altresi',  in
ambiti di materia che, in forza del d.P.R. 31  agosto  1972,  n.  670
(Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali  concernenti
lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige), sono attribuiti alla
potesta'   legislativa,   nonche'   alla   corrispondente    potesta'
regolamentare ed amministrativa delle Province autonome: potesta' che
da tempo sono state anche effettivamente esercitate.
    Lo statuto speciale - in combinato disposto con l'art. 117  Cost.
e con l'art. 10 della legge  cost.  n.  3  del  2001  -  attribuisce,
infatti,  alle  Province  autonome  in  via  esclusiva  la   potesta'
legislativa  in  un'ampia  gamma  di   materie,   quali   «tutela   e
conservazione  del  patrimonio  storico,   artistico   e   popolare»,
«urbanistica e piani  regolatori»,  «tutela  del  paesaggio»,  «porti
lacuali», «opere di prevenzione e di pronto  soccorso  per  calamita'
naturali» e, in altri termini, «protezione  civile»,  «alpicoltura  e
parchi per la protezione della flora  e  della  fauna»,  «viabilita',
acquedotti   e   lavori   pubblici   di    interesse    provinciale»,
«comunicazioni e trasporti  di  interesse  provinciale»,  «turismo  e
industria alberghiera», «agricoltura,  foreste  e  corpo  forestale»,
«artigianato», «opere idrauliche» (art. 8, numeri 3, 5, 6, 9, 11, 13,
16, 17, 18, 20, 21, 24) e «commercio» (art. 9,  n.  3).  Attribuisce,
altresi', alle Province autonome la potesta' legislativa  concorrente
nella materia «igiene e sanita'»  -  riqualificata  come  piu'  ampia
«tutela della salute» alla luce dell'art. 117, terzo comma, Cost., in
combinato disposto con l'art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001 -  e
nella materia «utilizzazione delle acque pubbliche» (art. 9, numeri 9
e 10). In tutte tali materie le Province autonome esercitano anche le
correlate potesta' amministrative (art. 16).
    Sul piano organizzativo - e, dunque, in  un  ambito  comune  alle
varie materie  ora  elencate  -  alle  Province  autonome  competono,
altresi', per statuto la funzione normativa e  quella  amministrativa
in materia di «ordinamento degli uffici e del  personale»  (artt.  8,
numero 1, e 16), nell'esercizio della quale sono  stati  disciplinati
anche i procedimenti amministrativi.
    L'assegnazione  delle  predette   potesta'   e'   operata   dalle
rispettive norme di attuazione statutaria. Al  riguardo,  assumerebbe
particolare rilievo il  d.P.R.  22  marzo  1974,  n.  381  (Norme  di
attuazione dello statuto speciale per la Regione Trentino-Alto  Adige
in materia di urbanistica ed  opere  pubbliche),  che  trasferisce  e
delega  alle  Province  le  funzioni  dello  Stato  in   materia   di
utilizzazione delle acque pubbliche, di opere idrauliche, di opere di
prevenzione e pronto soccorso per calamita' pubbliche, di viabilita',
acquedotti e lavori pubblici. L'art.  19-bis  del  citato  decreto  -
aggiunto dall'art. 8 del decreto legislativo 11 novembre 1999, n. 463
-  riconosce,  infatti,  espressamente  alle  Province  autonome   la
competenza in materia di VIA nell'esercizio delle funzioni  delegate:
dal che si desumerebbe che a  maggior  ragione  le  Province  debbono
ritenersi titolari di tale competenza nelle materie proprie.
    Inoltre, gia' secondo la normativa di attuazione  statutaria  del
1987 (d.P.R. 19 novembre 1987, n. 526),  alle  Province  autonome  e'
attribuito il  potere  di  dare  diretta  attuazione  alle  direttive
europee nelle materie di  competenza  esclusiva:  potere  esteso  nel
1989,  con  legge  ordinaria,  anche  alle  materie   di   competenza
concorrente (art. 9, commi 1 e 2, della legge 9 marzo  1989,  n.  86,
recante «Norme generali sulla partecipazione dell'Italia al  processo
normativo comunitario e sulle procedure di esecuzione degli  obblighi
comunitari»)  e  indi  elevato,  nel  2001,  con   norma   di   rango
costituzionale,  a  principio  fondamentale  dell'ordinamento   della
Repubblica (art. 117, quinto  comma,  Cost.,  come  modificato  dalla
legge cost. n. 3 del 2001).
    Sarebbe  assodato,  d'altro  canto  -  alla  luce  del   disposto
dell'art. 10 della legge cost.  n.  3  del  2001  -  che  il  sistema
normativo e organizzativo fondato sullo statuto speciale continui  ad
operare anche dopo la riforma del Titolo V della Parte seconda  della
Costituzione, trattandosi di riforma che non restringe  la  sfera  di
autonomia  gia'  spettante  alle  Province  autonome,  ma  puo'  solo
ampliarla.
    In questa prospettiva, questa Corte ha recente  affermato  -  con
particolare riguardo al  servizio  idrico  -  che  il  sistema  delle
attribuzioni provinciali «non e' stato  sostituito  dalla  competenza
esclusiva dello Stato in materia di tutela  della  concorrenza  e  di
tutela dell'ambiente» (sentenza n. 51 del 2016).
    27.5.- Analogamente,  per  quanto  attiene  alla  disciplina  del
potere sostitutivo, non vi potrebbero essere disposizioni, specie  di
legge ordinaria, peggiorative rispetto all'assetto  costituzionale  e
statutario anteriore alla riforma del 2001.  Questa  Corte  ha  avuto
modo, in particolare, di chiarire che solo per le  materie  di  nuova
acquisizione da parte  delle  Province  autonome  la  disciplina  del
potere  sostitutivo  statale  e'  demandata  a  nuova  normativa   di
attuazione statutaria, mentre per le materie  gia'  attribuite  dallo
statuto rimangono ferme le previgenti norme di attuazione,  e  dunque
anche l'art. 8 del d.P.R. n. 526 del 1987 (e' citata la  sentenza  n.
236 del 2004).
    Specifiche norme di attuazione statutaria -  e,  in  particolare,
l'art. 2 del d.lgs. 16 marzo 1992, n. 266 (Norme di attuazione  dello
statuto speciale per il Trentino-Alto Adige concernenti  il  rapporto
tra atti legislativi statali e leggi regionali e provinciali, nonche'
la potesta'  statale  di  indirizzo  e  coordinamento)  -  prevedono,
inoltre, che la legislazione  regionale  e  provinciale  deve  essere
adeguata unicamente ai principi e norme costituenti, limiti  indicati
dagli artt. 4 e 5 dello statuto, recati  da  atto  legislativo  dello
Stato, entro i  sei  mesi  successivi  alla  pubblicazione  dell'atto
medesimo nella Gazzetta Ufficiale o nel piu' ampio  termine  da  esso
stabilito e che, nel frattempo, restano applicabili  le  disposizioni
legislative  regionali  e  provinciali  preesistenti.  Si  tratta  di
previsione di «rango parastatutario» e, comunque  sia,  sovraordinato
alla   legislazione   ordinaria,   alla   quale   la   giurisprudenza
costituzionale ha  costantemente  riconosciuto  valore  di  parametro
costituzionale  nel  giudizio  in  via  principale  (sono  citate  le
sentenze n. 191 del 2017, n. 380 del 1997 e n. 356 del 1994).
    Secondo quanto chiarito dalla Corte costituzionale (e' citata  la
sentenza n. 380 del 1997), la citata disposizione statutaria vieta al
legislatore statale - salvo che negli ambiti in cui il  comma  4  del
medesimo art. 2  fa  salva  l'immediata  applicabilita'  delle  leggi
statali (leggi costituzionali e atti legislativi nelle materie in cui
alla Provincia e' attribuita delega di funzioni  statali  o  potesta'
legislativa integrativa) - di riconoscere alle norme da esso  dettate
nelle  materie  di  competenza  provinciale   immediata   e   diretta
applicabilita', prevalente su quella della  legislazione  provinciale
preesistente. Le norme di attuazione garantiscono, in tal modo,  alla
Provincia uno spazio temporale per  procedere  all'adeguamento  della
propria  legislazione  ai  vincoli  che,  in  forza  dello   statuto,
discendano dalle nuove leggi statali.
    Cio' comporterebbe l'illegittimita' dell'art. 23,  comma  4,  del
d.lgs. n. 104 del 2017, in  forza  del  quale  le  Province  autonome
debbono adeguare la loro  disciplina  in  materia  di  VIA  entro  il
termine perentorio di centoventi giorni dall'entrata  in  vigore  del
medesimo decreto.
    Nell'esercizio delle potesta' statutarie, la  Provincia  autonoma
di  Bolzano  ha  provveduto  a  disciplinare  con  proprie  leggi   e
regolamenti anche la procedura di VIA (legge della Provincia autonoma
di Bolzano 5 aprile 2007, n. 2, recante «Valutazione  ambientale  per
piani e progetti»; decreto del Presidente della Giunta provinciale 26
marzo 1999, n. 15, recante  «Regolamento  relativo  alla  valutazione
dell'impatto ambientale»; decreto del Presidente  della  Provincia  7
agosto 2002, n. 27, recante «Modifica dell'Allegato  II  della  legge
provinciale  24  luglio  1998,  n.   7,   "Valutazione   dell'impatto
ambientale"»). E', inoltre,  attualmente  in  trattazione  presso  il
Consiglio provinciali il disegno di legge provinciale  n.  135/17-XV,
recante «Valutazione ambientale per piani e progetti», finalizzato  a
dare attuazione a plurime direttive europee.
    Sarebbe,  pertanto,  evidente  come  la  disciplina  statale   in
questione leda  l'assetto  statutario,  costituendo  esercizio  della
funzione legislativa dello Stato nelle materie  di  loro  competenza.
Cio',  anche  perche'  essa  non  prevede  una  adeguata  formula  di
"cedevolezza", come e'  richiesto  per  i  provvedimenti  sostitutivi
(art. 41, in relazione all'art. 40, comma 3, della legge n.  234  del
2012), limitandosi ad operare solo  «un  blando  rinvio  al  predetto
articolo 41, in relazione ai poteri sostitutivi dello Stato».
    La  normativa  recata  dal  decreto  legislativo  censurato   non
potrebbe determinare neppure l'abrogazione, decorso un certo termine,
della preesistente normativa  della  Provincia  autonoma  ricorrente,
dovendo quest'ultima essere, nel caso di mancato adeguamento ai nuovi
vincoli, eventualmente  impugnata  dal  Governo  davanti  alla  Corte
costituzionale, secondo quanto previsto dall'art.  2,  comma  2,  del
d.lgs. n. 266 del 1992: laddove invece, ai sensi dell'art. 23,  comma
4, del d.lgs. n. 104 del 2017, la  "inidoneita'"  delle  disposizioni
previgenti  della  Provincia  autonoma  legittimerebbe   tout   court
l'esercizio  dei  poteri   sostitutivi   statali,   con   conseguente
abrogazione delle norme preesistenti.
    27.6.- Nel confronto con  la  direttiva  2014/52/UE,  il  decreto
legislativo in  questione  violerebbe  anche  con  il  «principio  di
legalita', in relazione  ai  vincoli  derivanti  dall'Unione  europea
(art. 117, primo comma, Cost.)». Il decreto legislativo e',  infatti,
«un atto governativo ed incontra i limiti  imposti  dalla  legge,  in
senso formale, come atto parlamentare che lo autorizza, nonche' dalla
direttiva che attua»: sicche' «non puo' legittimamente  vincolare  le
autonomie territoriali al di la' di quanto  discende  dagli  obblighi
derivanti dall'ordinamento dell'Unione europea».
    27.7.-  Le  disposizioni  censurate  violerebbero,  altresi',  il
principio di ragionevolezza, e quindi gli artt. 3  e  97  Cost.,  non
essendo giustificato uno spostamento cosi'  massiccio  di  competenze
dalle Regioni allo  Stato  in  funzione  di  un  miglioramento  della
qualita' del procedimento, della  semplificazione  e  della  maggiore
efficienza.  Non  si  comprenderebbe,  infatti,  come  una   gestione
accentrata e unitaria a livello statale possa essere piu'  efficiente
di una decentrata e diversificate nelle varie autonomie territoriali.
    Anche la violazione del principio di ragionevolezza  verrebbe  ad
incidere sulla preesistente normativa di attuazione  delle  direttive
europee adottata dalla Provincia ricorrente, di cui il d.lgs. n.  266
del  1992  garantisce  la  continuita',  riflettendosi  quindi  sulla
disciplina costituzionale e statutaria di  riparto  delle  competenze
tra lo Stato e le Province autonome.
    Da ultimo, risulterebbe violato anche l'art. 4 del d.lgs. n.  266
del 1992, che esclude, in via generale, che la legge possa attribuire
ad  organi  statali  l'esercizio  di  funzioni  amministrative  nelle
materie di competenza statutaria.
    27.8.- Per la ricorrente  sarebbero  illegittime,  in  subordine,
alcune disposizioni del d.lgs. n. 104 del 2017, ove applicabili  alle
province autonome: l'art. 8 che sostituisce l'art. 19 del  d.lgs.  n.
152 del 2006; l'art. 16, comma  l,  che  sostituisce  l'art.  27  del
d.lgs. n. 152 del 2006, in quanto non prevede un coinvolgimento delle
province autonome; l'art. 16, comma 2, che  introduce  l'art.  27-bis
nel d.lgs. n. 152 del 2006; l'art. 24 che modifica  l'art.  14  della
legge n. 241 del 1990.
    Per effetto del richiamo agli artt. da «19 a 26  e  da  27-bis  a
29», contenuto nel comma 7 dell'art. 7-bis  del  d.lgs.  n.  152  del
2006, sarebbero lesive delle  competenze  provinciali  le  norme  che
definiscono regole di procedimento «di estremo  dettaglio  e  termini
perentori», sia per il procedimento di verifica di  assoggettabilita'
a VIA di competenza regionale (art. 19 del d.lgs. n.  152  del  2006,
come introdotto dall'art. 8 del d.lgs. n. 104 del 2017), sia  per  il
procedimento finalizzato al rilascio del provvedimento autorizzatorio
unico regionale (art.  27-bis  del  d.lgs.  n.  152  del  2006,  come
introdotto dall'art. 16, comma 2, del d.lgs. n.  104  del  2017).  Il
carattere di estremo dettaglio  delle  disposizioni  statali  sarebbe
irragionevole e sproporzionato, in contrasto con gli  artt.  3  e  97
Cost., rispetto allo scopo della semplificazione procedimentale.
    Le disposizioni sul provvedimento autorizzatorio unico  regionale
ed il relativo procedimento di VIA di competenza regionale, lasciando
alle Province autonome soltanto la disciplina  delle  forme  e  delle
modalita' di consultazione del pubblico (art. 27-bis  del  d.lgs.  n.
152 del 2006, come introdotto dall'art. 16, comma 2,  del  d.lgs.  n.
104 del  2017),  nonche'  la  definizione  a  livello  statale  della
disciplina procedimentale con norme di dettaglio,  si  porrebbero  in
contrasto  con  norme  statutarie  sulla   potesta'   legislativa   e
amministrativa in materia di ordinamento degli uffici e del personale
(art. 8, n. 1, e art. 16 dello statuto speciale).
    27.9.-  La  ricorrente  dubita,   inoltre,   della   legittimita'
costituzionale  dell'art.  24  del  d.lgs.  n.  104  del  2017,  che,
nell'ambito della disciplina del procedimento amministrativo  per  la
VIA di competenza regionale, prevedrebbe il ricorso  alla  Conferenza
di servizi con modalita' sincrona. Tale disposto, se  riferito  anche
alle Province autonome, sarebbe  costituzionalmente  illegittimo  per
contrasto con la competenza in materia di ordinamento  degli  uffici,
considerato che la  disposizione  statale  modificherebbe  l'art.  29
della legge n. 241 del 1990, la quale conterrebbe una disposizione di
salvaguardia dell'autonomia speciale.
    La disciplina del procedimento per l'adozione  del  provvedimento
unico in materia ambientale di competenza statale (art. 27 del d.lgs.
n. 152 del 2006, come introdotto dall'art. 16, comma 1, del d.lgs. n.
104 del 2017) sarebbe  illegittima  perche'  non  prevedrebbe  alcuna
forma di collaborazione  con  le  Regioni  e  le  Province  autonome,
contrastando con quanto  richiesto  dalla  giurisprudenza  di  questa
Corte (richiamata la sentenza n.  303  del  2003),  quando  lo  Stato
attragga in sussidiarieta' funzioni amministrative anche  in  materie
che ricadono negli ambiti di competenza concorrente o residuale delle
Regioni e delle Province autonome  (ai  sensi  dell'art.  117,  commi
terzo e quarto, Cost., in combinato con l'art. 10 legge  cost.  n.  3
del 2001 e dello statuto speciale).
    27.10.- La forma di partecipazione prevista (nuovo art. 27, commi
4 e 5) sarebbe «debole», in  quanto  la  posizione  della  ricorrente
resterebbe assorbita da quella prevalente della Conferenza di servizi
(art. 14-ter della legge n. 241 del 1990, richiamato nel comma 8  del
nuovo art. 27), in assenza di rimedi specifici per le amministrazioni
dissenzienti   nella   stessa   legge   organica   sul   procedimento
amministrativo (art. 14-quinquies della legge n. 241 del 1990).
    La ricorrente censura le predette disposizioni, anche considerato
che non risultano accolte  le  richieste  formulate  dalla  Provincia
autonoma di Bolzano in sede  di  espressione  del  preventivo  parere
prescritto della Conferenza Stato-Regioni, nella seduta del 4  maggio
2017, con cui si chiedeva di sopprimere i riferimenti  espressi  alle
Province autonome contenuti nello schema di decreto legislativo e  di
integrarlo con una apposita disposizione di salvaguardia delle  norme
statutarie e di  attuazione  statutaria,  anche  con  riferimento  al
previsto potere sostitutivo statale per il caso  di  inattivita'  nel
recepimento  delle   direttive   UE.   Le   disposizioni   impugnate,
introducendo, verosimilmente anche  con  riferimento  alla  Provincia
autonoma di Bolzano, una disciplina vincolante in materie in  cui  la
stessa  ha  potesta'  legislativa,  regolamentare  ed  amministrativa
proprie, che la ricorrente avrebbe gia'  esercitato,  comprimerebbero
illegittimamente le prerogative riconosciute alla stessa.
    28.- Si e' costituito, con atto depositato il 20 ottobre 2017, il
Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e   difeso
dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che  il  ricorso  sia
dichiarato infondato.
    28.1.- Quanto alla censura di violazione dell'art. 76 Cost.,  per
tardivita' dell'esercizio della delega legislativa, essa risulterebbe
inammissibile,  stante  la  mancata  corrispondenza  tra  il  rilievo
formulato (che varrebbe a travolgere l'intero decreto legislativo)  e
il petitum, limitandosi  la  Provincia  ricorrente  a  richiedere  la
declaratoria di illegittimita' costituzionale di  singole  previsioni
del decreto stesso.
    Nel merito, la censura risulterebbe, comunque sia, infondata.
    La legge di delega n. 114 del  2015  (entrata  in  vigore  il  15
agosto 2015) individua il termine per  l'attuazione  della  direttiva
sulla VIA per relationem, ossia mediante rinvio all'art. 31, comma 1,
della legge n. 234 del  2012.  Tale  ultima  disposizione  e'  stata,
pero', oggetto di modifica ad opera  della  legge  n.  115  del  2015
(entrata in vigore il 18 agosto 2015, e  dunque  in  data  successiva
alla legge di delega di cui si discute), per effetto della  quale  il
Governo adotta i decreti legislativi entro il termine di quattro mesi
- e non piu' due mesi, come nella versione originaria - antecedenti a
quello di recepimento indicato in ciascuna delle direttive.
    La tesi della ricorrente, secondo la quale quello contenuto nella
legge n. 114 del 2015 sarebbe un rinvio mobile,  esteso  a  tutte  le
modifiche  subite  dalla  fonte  richiamata,  non   potrebbe   essere
condiviso.  Secondo  la  giurisprudenza  costituzionale,  infatti,  i
rinvii assumono carattere recettizio non solo ove la norma  rinviante
li qualifichi espressamente come tali, ma anche  quando  tale  natura
sia  deducibile  da  elementi   univoci   e   concludenti:   elementi
riscontrabili nel caso di specie.
    In secondo luogo, vi sarebbe almeno un caso nel quale la  pretesa
di  applicare  retroattivamente  la   modifica   in   discorso,   con
conseguente abbreviazione del termine, avrebbe prodotto  la  scadenza
di una delega ancora in corso. Cio' sarebbe avvenuto, in specie,  con
riferimento alla delega per l'attuazione della direttiva  2012/29/UE,
non ancora esercitata al momento dell'entrata in vigore  della  legge
n. 115 del 2015. Posto che il termine di recepimento della  direttiva
era fissato al 16 novembre 2015, opinando nel senso prospettato dalla
ricorrente il termine per l'esercizio della  delega  sarebbe  passato
dal 16 settembre al 16 luglio 2015, e,  dunque,  a  data  addirittura
antecedente alla novella di cui alla stessa legge n.  115  del  2015.
Effetto, questo, paradossale e illogico, in quanto atto a determinare
il venir meno  dello  stesso  potere  delegato  di  attuazione  della
direttiva,  con  grave  pregiudizio  per  la  tempestivita'  che   e'
richiesta nell'adempimento  degli  obblighi  sovranazionali.  Sarebbe
palese l'assoluta irragionevolezza di un tale  esito,  per  il  quale
l'abbreviazione  dei  termini  per  l'attuazione  delle  direttive  -
verosimilmente  disposta  per  favorirne  il  pronto  recepimento   -
conseguirebbe un effetto esattamente opposto.
    Una volta, peraltro, che si sia stabilito il carattere recettizio
del rinvio operato dalla  delega  per  l'attuazione  della  direttiva
2012/29/UE, alla medesima conclusione dovrebbe ovviamente  pervenirsi
per tutte le deleghe antecedenti all'entrata in vigore della legge n.
115 del 2015, compresa quella di cui si  discute,  la  quale  sarebbe
stata, pertanto, esercitata entro i termini previsti dalla  legge  di
delegazione.
    28.2.- La seconda censura di violazione dell'art. 76  Cost.,  per
mancato rispetto dei principi e criteri direttivi dettati dalla legge
di  delegazione  in  tema   di   semplificazione   e   coordinamento,
risulterebbe  parimente  inammissibile  per  la   genericita'   delle
deduzioni   della   ricorrente,   riferite   in   modo   unitario   e
indifferenziato  all'intero  decreto  legislativo,  senza   che   sia
consentito individuare  le  specifiche  legislative  della  Provincia
autonoma che risulterebbero lese.
    Nel merito, la censura sarebbe infondata per ragioni  analoghe  a
quelle esposte in relazione alla similare  questione  promossa  dalla
Regione Puglia (reg. ric. n. 65 del 2017).
    28.3.- Anche la terza censura generale, concernente la violazione
del principio di leale collaborazione nel  procedimento  di  adozione
del decreto  legislativo,  risulterebbe  inammissibile,  non  essendo
indicate le norme del  decreto  che  si  assumerebbero  lesive  delle
prerogative statutarie.
    Nel merito, la censura sarebbe infondata. Premesso che, in quanto
"trasversale" e "prevalente", la  normativa  statale  in  materia  di
tutela dell'ambiente si  impone  integralmente  nei  confronti  delle
amministrazioni  territoriali,  l'Avvocatura  generale  dello   Stato
formula considerazioni analoghe  a  quelle  svolte  in  relazione  al
ricorso della Regione Valle d'Aosta/Vallee d'Aoste (reg. ric.  n.  63
del 2017), riguardo al fatto che la ricorrente -  nel  richiamare  la
sentenza n. 251 del 2016 della Corte costituzionale - avrebbe confuso
il paradigma giurisprudenziale dell'«intreccio»  di  competenze,  non
pertinente al caso di specie, con quello della  semplice  «incidenza»
delle norme dello Stato su funzioni delle amministrazioni locali, che
naturalmente caratterizza le materie "trasversali".
    Quanto al mancato recepimento delle proposte emendative  avanzate
dalle Regioni e dalle Province autonome in sede  di  espressione  del
parere - peraltro non obbligatorio - della Conferenza  Stato-Regioni,
l'Avvocatura ribadisce come nella relazione illustrativa dello schema
di decreto delegato si dia puntuale  conto  delle  ragioni  del  loro
mancato accoglimento.
    28.4.- La quarta censura generale, relativa all'asserito  mancato
rispetto  del  principio  di  sussidiarieta'  e  delle   regole   che
disciplinano  la  chiamata  in  sussidiarieta',  sarebbe   di   nuovo
inammissibile  per  genericita',   risultando   priva   di   supporto
argomentativo.
    Nel  merito,  anche  tale  censura  si   baserebbe   sull'erroneo
presupposto che la disciplina in materia di VIA sia  riconducibile  a
una pluralita' di materie, anche di  competenza  provinciale,  quando
essa invece si colloca nella competenza esclusiva dello  Stato  sulla
tutela dell'ambiente e dell'ecosistema.
    Andrebbe, dunque,  escluso  che  il  legislatore  delegato  fosse
tenuto all'intesa con le Regioni e le Province  autonome,  in  quanto
tale   modulo   procedurale   e'   richiesto   dalla   giurisprudenza
costituzionale in relazione alla chiamata in sussidiarieta', peraltro
con  riferimento  alle  modalita'   di   esercizio   della   funzione
amministrativa  e  non  al  procedimento  di   formazione   dell'atto
legislativo.
    28.5.- Priva di ogni  fondamento  sarebbe,  poi,  la  censura  di
violazione dell'art. 19-bis del d.P.R. n. 381 del 1974.
    Tale disposizione prevede che le Province autonome di Trento e di
Bolzano applichino la normativa provinciale  in  materia  di  VIA  in
riferimento alle  sole  funzioni  delegate  dallo  Stato,  diverse  e
ulteriori  rispetto   a   quelle   statutariamente   garantite,   con
l'obiettivo di ammettere anche in relazione ad esse  la  legislazione
provinciale. Trattandosi, dunque, di previsione  che  fonda  in  capo
alla Provincia una competenza legislativa praeter statutum, essa  non
puo' valere in rapporto a funzioni diverse da quelle  alle  quali  si
riferisce.
    D'altra parte, il d.lgs. n. 104 del 2017  circoscrive  gli  spazi
disponibili al legislatore provinciale in materia di VIA, ma  non  li
azzera, con la conseguenza che l'invocata norma di attuazione risulta
comunque sia rispettata.
    28.6.- Quanto all'assunto della Provincia ricorrente, secondo  il
quale le disposizioni impugnate violerebbero la propria competenza  a
dare  immediata  attuazione  alle  direttive  europee  nelle  materie
provinciali, sarebbe decisivo, in senso contrario, ancora una  volta,
il rilievo della sicura riconducibilita' della disciplina  della  VIA
alla competenza legislativa esclusiva statale in  materia  di  tutela
dell'ambiente e - con riguardo alla regolamentazione del procedimento
amministrativo - anche a quella  in  materia  di  livelli  essenziali
delle prestazioni (art. 117, secondo comma, lettera m, Cost.)
    Affatto inconferente risulterebbe, di  conseguenza,  il  richiamo
all'art. 41 della legge n. 234  del  2012,  in  forza  del  quale  la
disciplina statale deve caratterizzarsi come cedevole solo qualora lo
Stato abbia esercitato il potere sostitutivo previsto dall'art.  117,
quinto comma, Cost.: laddove, invece, nel caso in esame, lo Stato  ha
inteso attuare la direttiva europea in un ambito di propria esclusiva
spettanza.
    28.7.- Con riguardo alla questione che investe l'art.  23,  comma
4, del d.lgs. n. 104 del 2017, censurato sul rilievo che la normativa
statale non potrebbe  determinare  l'abrogazione  della  preesistente
normativa  della  Provincia  autonoma,  il  resistente  osserva,   in
contrario,  come  la  circostanza  che  la   Provincia   abbia   gia'
disciplinato la  materia  della  VIA  non  impedisca  allo  Stato  di
intervenire  nuovamente,  dettando,  in  attuazione  della  direttiva
europea e  nell'esercizio  delle  sue  competenze  esclusive,  regole
procedimentali vincolanti che consentano l'uniforme  svolgimento  del
procedimento di VIA su tutto il territorio nazionale.
    Anche a questo proposito, varrebbe altresi' il  rilievo  che  gli
spazi rimessi al legislatore provinciale, se pure ridimensionati, non
vengono pero' azzerati, potendo le Regioni  e  le  Province  autonome
intervenire con proprie leggi e regolamenti al fine  di  disciplinare
gli aspetti indicati dall'art. 7-bis, comma 8, del d.lgs. n. 152  del
2006, come introdotto dall'art. 5 del d.lgs. n. 104 del 2017.
    Improprio sarebbe, inoltre, il  richiamo  della  ricorrente  alla
clausola di salvaguardia prevista dall'art. 35-bis del d.lgs. n.  152
del 2006, la quale, da un lato, ha ad oggetto tutte le previsioni del
codice dell'ambiente, e non solo quelle relative ai  procedimenti  di
VIA; dall'altro, mira a  far  salve  le  competenze  delle  autonomie
speciali  statutariamente  fondate.   Essa   non   sarebbe,   dunque,
riferibile alla disciplina della VIA, riconducibile  alla  competenza
esclusiva dello Stato.
    28.8.- Quanto alla denunciata violazione,  con  riferimento  alla
direttiva 2014/52/UE, del principio di  legalita'  «in  relazione  ai
vincoli derivanti dall'Unione europea (art. 117, primo comma, Cost.),
la censura sarebbe  inammissibile,  non  essendo  stati  puntualmente
individuati  ne'  il  parametro  della  direttiva  violato,  ne'   la
disposizione  del   decreto   legislativo   che   determinerebbe   la
violazione.
    Nel merito, il d.lgs. n. 104 del 2017 risulterebbe, in ogni caso,
pienamente   conforme   alla   direttiva   e   alla   legge   delega,
caratterizzata da principi  e  criteri  direttivi  che  circoscrivono
adeguatamente la  materia  e  gli  obiettivi  del  decreto  delegato,
dovendosi  comunque  sia  riconoscere  al  Governo  un   margine   di
discrezionalita' tecnica, in difetto del quale  non  sarebbe  neppure
piu' utile il ricorso allo schema della delegazione legislativa.
    28.9.- Le ulteriori censure generali della Provincia autonoma  di
Bolzano, intese a denunciare la violazione degli artt. 3 e 97  Cost.,
e dell'art. 4 del d.lgs. n. 266 del  1992,  sarebbero  inammissibili,
non essendo state puntualmente individuate le norme  statali  oggetto
di impugnazione.
    Le censure riferite agli artt. 3 e 97 Cost.,  sarebbero  altresi'
inammissibili per la  loro  genericita',  non  avendo  la  ricorrente
precisato quali siano le funzioni  amministrative  nelle  materie  di
competenza statutaria compresse dalla legislazione  statale,  ne'  le
motivazioni che renderebbero  irragionevole  la  riallocazione  delle
competenze legislative in materia di VIA.
    Nel  merito,  le  censure   risulterebbero   infondate   per   le
considerazioni gia'  addotte  in  relazione  alla  censura  intesa  a
lamentare  l'indebito  spostamento  di  competenze  dalle  Regione  e
Province autonome allo Stato.
    Egualmente infondata sarebbe la censura di violazione dell'art. 4
del d.lgs. n. 266 del 1992, nella parte in cui vieta di attribuire ad
organi statali l'esercizio di funzioni amministrative  nelle  materie
di competenza della Regione o delle Province  autonome:  ipotesi  che
non ricorrerebbe nella specie, dal momento  che  -  come  piu'  volte
osservato  -  la  disciplina  della  VIA  ricade  nell'ambito   della
competenza esclusiva dello Stato.
    28.10.- Le considerazioni dinanzi esposte varrebbero a dimostrare
l'infondatezza anche delle censure riferite singolarmente agli  artt.
5, comma 1, 22, commi 1, 2, 3 e 4, e 23, commi 1 e 4, del  d.lgs.  n.
104 del 2017.
    Tali censure sarebbero, prima ancora, inammissibili per  la  loro
genericita', non  essendo  esattamente  individuate  le  norme  dello
statuto speciale che sarebbero lese.
    28.11.- L'Avvocatura eccepisce altresi' l'inammissibilita'  della
censura dell'art. 27-bis del  d.lgs.  n.  152  del  2006,  introdotto
dall'art. 16, comma 2, del d.lgs. n. 104 del 2017,  che  contesta  la
disciplina statale sul provvedimento unico regionale  in  materia  di
VIA, nella parte in cui si riferisce genericamente a  parametri  gia'
evocati, senza  chiarire  con  esattezza  quali  sarebbero  le  norme
statutarie violate in relazione al vizio specifico.
    Essa  sarebbe  infondata,  anche  per  la  parte  riferita   alle
disposizioni  dello  statuto  speciale   relative   alla   competenza
provinciale sulla propria organizzazione interna.
    Ribadisce  l'Avvocatura  che  la  disciplina  in  tema   di   VIA
rientrerebbe nella competenza  esclusiva  dello  Stato  sulla  tutela
dell'ambiente  e,  per  quanto  concerne  il  procedimento   di   VIA
regionale, in quella, parimenti  esclusiva,  sui  livelli  essenziali
delle  prestazioni.  Di  conseguenza,  non  si  realizzerebbe  alcuna
espropriazione delle competenze provinciali.
    28.12.- Infondata sarebbe anche la censura dell'art. 16, comma l,
che ha modificato l'art. 27 del d.lgs. n. 152 del 2006,  introducendo
il  provvedimento  autorizzatorio  unico  statale,   il   quale   non
consentirebbe un idoneo coinvolgimento delle Regioni e delle Province
autonome.
    Non  si  verificherebbe  nel  caso  di  specie  una  chiamata  in
sussidiarieta', venendo in considerazione, in materia  di  VIA,  solo
competenze statali di tipo esclusivo. Del  pari,  nessuna  violazione
del principio di leale collaborazione  discenderebbe  dal  meccanismo
delle posizioni prevalenti, previsto come criterio decisionale  della
conferenza  di  servizi  in  modalita'  asincrona  nel   quadro   del
procedimento autorizzatorio unico statale. Tale  modalita',  infatti,
rappresenterebbe un ragionevole punto di equilibrio tra l'esigenza di
garantire la posizione delle  amministrazioni  che  partecipano  alla
conferenza e quella di assicurare  la  conclusione  entro  i  termini
perentori di un procedimento di competenza dello Stato.
    28.12.1.-  Infondati  sarebbero  poi  i  dubbi  formulati   dalla
Provincia ricorrente  a  proposito  dell'applicabilita'  dei  rimedi,
previsti  dalla  legge  n.  241  del  1990,  per  le  amministrazioni
dissenzienti.
    Osserva la difesa statale che il rinvio dell'art. 27  del  d.lgs.
n. 152 del 2006 all'art. 14-ter della legge  n.  241  del  1990,  non
escluderebbe  il  richiamo  e  il  rinvio  agli  artt.  14-quater   e
14-quinquies, che sarebbe implicito.
    Non si riscontrerebbe alcuna violazione del  principio  di  leale
collaborazione  nel  procedimento  unico  ambientale  di   competenza
statale,  che  determinerebbe  «un  efficiente  coordinamento   delle
amministrazioni statali e  locali  coinvolte  a  vario  titolo  nella
realizzazione del progetto»,  anche  attraverso  l'applicazione,  ove
necessario, del rimedio per  le  amministrazioni  dissenzienti  (art.
14-quinques).
    28.13.-  Inammissibile,  infine,  sarebbe  la  censura   relativa
all'art. 24 del d.lgs. n. 104 del  2017,  per  mancanza  assoluta  di
argomentazioni a sostegno.
    29.- La Provincia autonoma  di  Bolzano  ha  depositato  memoria,
insistendo per l'accoglimento del ricorso.
    29.1.-  La  Provincia   ritiene   infondate   le   eccezioni   di
inammissibilita'   delle   censure   di   incostituzionalita',    per
genericita'   e   carenza   di   adeguata   motivazione,    formulate
dall'Avvocatura generale dello  Stato,  rilevando  come  nel  ricorso
introduttivo siano stati individuati specificamente  i  trasferimenti
di competenze operati per effetto del decreto legislativo impugnato e
le singole norme che  si  hanno  disposti,  indicando  altresi',  con
argomentazioni  tutt'altro  che  sintetiche,  i  diversi  profili  di
illegittimita' in rapporto a una specifica serie di norme  sia  della
Costituzione,  sia  dello  statuto  di  autonomia  e  delle  relative
disposizioni di attuazione.
    In  particolare,  nel  ricorso   introduttivo   sarebbero   stati
individuati specificamente i trasferimenti di competenza operati  per
effetto del decreto legislativo impugnato
    29.2.- Per  quanto  attiene,  poi,  alla  censura  di  violazione
dell'art.  76  Cost.,  per  tardivita'  dell'esercizio  della  delega
legislativa, la censura non sarebbe affatto inammissibile, posto  che
l'interesse  della  Provincia  e'  di  quello  di  far  caducare   le
disposizioni del d.lgs.  n.  104  del  2017  invasive  delle  proprie
competenze legislative e amministrative.
    Nel merito, la Provincia ribadisce che  il  rinvio  all'art.  31,
comma 1, della legge n. 234 del 2012, operato dall'art. 1,  comma  2,
della legge n. 114 del 2015 al fine di  individuare  il  termine  per
l'esercizio della delega,  deve  ritenersi  di  carattere  mobile,  e
dunque  comprensivo  anche  delle  modifiche  apportate  alla   norma
richiamata dall'art. 29, comma 1, lettera b), della successiva  legge
n. 115 del 2015.
    29.3.- In relazione, poi, alla dedotta  violazione  dell'art.  76
Cost., per mancato rispetto dei principi di delega, contrariamente  a
quanto sostenuto dall'Avvocatura generale dello Stato,  il  massiccio
spostamento delle competenze dalle Regioni e Province  autonome  allo
Stato, disposto dal  legislatore  delegato,  non  potrebbe  ritenersi
compreso in alcuno dei criteri fissati dall'art. 14  della  legge  n.
114 del 2015.
    Tali   competenze   statutarie   non   potrebbero    considerarsi
circoscritte dalla competenza in materia di ambiente attribuita  allo
Stato con la legge cost. n. 3 del 2001, la quale, in virtu'  del  suo
art. 10, non ha ristretto lo spazio di autonomia spettanti agli  enti
ad autonomia differenziata in virtu'  dello  statuto  speciale,  come
chiarito anche dalla giurisprudenza costituzionale (e'  riportata  la
sentenza n. 212 del 2017). Proprio per questo, la nuova  ripartizione
delle competenze in materia di VIA, anziche' rispondere  al  generale
principio di delega di cui all'art. 32, comma l,  lettera  g),  della
legge n. 234 del 2012, come vorrebbe l'Avvocatura, lo  violerebbe  in
modo evidente.
    29.4.- Stante, quindi, la configurabilita'  di  un  intreccio  di
materie, e non  di  una  semplice  «incidenza»,  sarebbe  altrettanto
evidente come nel procedimento di adozione  del  decreto  legislativo
siano stati violati sia il principio di leale  collaborazione  -  non
essendosi  il  Governo  adeguato  ai  rilievi,  ne'  avendo   cercato
un'intesa,  benche'  vi  fosse  tenuto  -   sia   il   principio   di
sussidiarieta'.
    29.5.- In tale prospettiva, sussisterebbe indubbiamente anche  la
violazione  della  norma  di  attuazione  allo  Statuto  speciale  di
autonomia di  cui  all'art.  7  del  d.P.R.  n.  526  del  1987,  ora
«consacrata» dall'art. 117, quinto comma, Cost., che  riconosce  alla
ricorrente Provincia il potere  di  dare  immediata  attuazione  alle
direttive dell'Unione europea nelle materie  di  propria  competenza,
salvo adeguarsi,  nei  limiti  previsti  dallo  Statuto  speciale  di
autonomia,  alle  leggi  statali  di  attuazione  dei  predetti  atti
dell'Unione europea.
    Sarebbe,  pertanto,  tutt'altro  che  inconferente  il   richiamo
all'art. 41 della legge n. 234 del 2012,  ove  si  consideri  che  le
disposizioni impugnate vengono a  sovrapporsi  e  a  condizionare  la
disciplina provinciale, recando una disciplina che non ha i caratteri
della suppletivita' e della cedevolezza richiesti  per  la  finalita'
sostitutiva di cui al predetto articolo.
    29.6.-   La   normativa   statale   non   potrebbe    determinare
l'abrogazione, neppure tacitamente e in via di fatto, della normativa
provinciale preesistente, stante la  specifica  norma  di  attuazione
statutaria di cui al citato art. 2 del d.lgs. n. 266 del 1992.
    A questo riguardo, la  Provincia  segnala  che,  nelle  more,  e'
entrata in vigore  la  legge  provinciale  13  ottobre  2017,  n.  17
(Valutazione ambientale per piani,  programmi  e  progetti),  con  la
quale e' stata data attuazione a tre direttive  dell'Unione  europea,
tra  cui  la  direttiva  2011/92/UE,   modificata   dalla   direttiva
2014/52/UE, concernente la  valutazione  dell'impatto  ambientale  di
determinati progetti pubblici e privati, nonche' alla  Parte  seconda
del  d.lgs.  n.  152  del  2006.  Tale  legge  disciplina  i  diversi
procedimenti di valutazione ambientale a livello provinciale, tenendo
conto anche delle modifiche apportate dal d.lgs. n. 104 del 2017,  in
discussione, entro i limiti prescritti dall'art. 2 del d.lgs. n.  266
del 1992. La ricorrente da', peraltro, atto  che  il  Presidente  del
Consiglio  dei  ministri  ha  proposto  questioni   di   legittimita'
costituzionale di alcune disposizioni della citata legge provinciale.

                       Considerato in diritto

    1.- Con i ricorsi indicati in  epigrafe,  le  Regioni  a  statuto
ordinario Lombardia, Puglia, Abruzzo, Veneto e Calabria, le Regioni a
statuto speciale Valle d'Aosta/Vallee d'Aoste, Friuli-Venezia  Giulia
e Sardegna, e le due Province autonome di Trento e di  Bolzano  hanno
promosso,  in  riferimento  a  plurimi  parametri  costituzionali   e
statutari,  questioni  di  legittimita'  costituzionale   dell'intero
decreto  legislativo  16  giugno  2017,  n.  104  (Attuazione   della
direttiva 2014/52/UE del Parlamento europeo e del Consiglio,  del  16
aprile 2014, che modifica la  direttiva  2011/92/UE,  concernente  la
valutazione dell'impatto ambientale di determinati progetti  pubblici
e privati, ai sensi degli artt. 1 e 14 della legge 9 luglio 2015,  n.
114), o di sue singole disposizioni.
    Il decreto legislativo impugnato e'  stato  adottato  sulla  base
della delega legislativa conferita dagli artt. 1 e 14 della  legge  9
luglio 2015, n. 114 (Delega  al  Governo  per  il  recepimento  delle
direttive europee e l'attuazione di altri atti dell'Unione europea  -
Legge di delegazione europea 2014), al fine di dare  attuazione  alla
direttiva 2014/52/UE del Parlamento europeo e del  Consiglio  del  16
aprile 2014, che modifica  la  direttiva  2011/92/UE  concernente  la
valutazione dell'impatto ambientale di determinati progetti  pubblici
e privati.  Nel  conferire  al  Governo  la  delega  legislativa  per
l'attuazione della direttiva, il legislatore delegante, per un verso,
ha fatto rinvio a talune disposizioni della legge 24  dicembre  2012,
n. 234, recante «Norme generali sulla partecipazione dell'Italia alla
formazione  e  all'attuazione  della  normativa  e  delle   politiche
dell'Unione europea» (da ora in poi, anche: legge quadro europea), e,
per altro verso, ha stabilito specifici principi e criteri direttivi.
    Sulla  base  delle  norme  di  delega,  il  decreto   legislativo
impugnato ha  realizzato  un'ampia  riforma  della  disciplina  delle
procedure di valutazione di impatto ambientale (VIA) e di verifica di
assoggettabilita' a VIA contenuta nel decreto  legislativo  3  aprile
2006, n. 152, recante «Norme in materia ambientale» (da ora  in  poi,
anche: cod. ambiente). Le doglianze delle ricorrenti traggono origine
dal rilievo che le modifiche operate hanno comportato un riassetto  -
nel segno di una marcata e, in assunto, illegittima  centralizzazione
- delle competenze,  tanto  normative  quanto  amministrative,  dello
Stato e delle Regioni nella materia considerata.
    2.- In considerazione della identita', anche solo parziale, delle
norme impugnate e delle censure proposte,  i  giudizi  devono  essere
riuniti per essere trattati  congiuntamente  e  decisi  con  un'unica
pronuncia.
    3.- Devono essere prioritariamente  scrutinate,  per  ragioni  di
pregiudizialita'  logico-giuridica,  le  questioni  di   legittimita'
costituzionale dell'intero decreto legislativo,  promosse  da  alcune
delle ricorrenti. Queste ultime hanno chiaramente  ed  esaustivamente
indicato le competenze regionali o provinciali  asseritamente  incise
dall'atto impugnato, con cio' assolvendo l'onere di motivare circa la
ridondanza del vizio di eccesso di  delega  sulle  loro  attribuzioni
costituzionalmente garantite.
    3.1.- La  Regione  Puglia  e  la  Provincia  autonoma  di  Trento
assumono  che  il  decreto  legislativo  sarebbe  stato  adottato  in
violazione dell'art. 76 della Costituzione  (e  anche  dell'art.  77,
secondo la Provincia autonoma di Trento), per tardivo esercizio della
delega.
    Analoga censura, pur se formalmente  rivolta  ai  soli  artt.  5,
comma 1 - nella parte in cui introduce l'art. 7-bis, commi 2, 3, 7, 8
e 9, nel d.lgs. n. 152 del 2006 -, 22, commi 1, 2, 3 e 4, e 23, commi
1 e 4, del d.lgs.  n.  104  del  2017,  e'  altresi'  proposta  dalla
Provincia autonoma di Bolzano.
    Le ricorrenti osservano che l'art. 1, comma 2, della legge n. 114
del 2015 ha individuato  il  termine  per  l'esercizio  della  delega
mediante rinvio all'art. 31, comma 1, della legge n.  234  del  2012.
Tale disposizione, nel  testo  vigente  al  momento  dell'entrata  in
vigore della legge di delega, prevedeva che i decreti legislativi per
l'attuazione delle direttive europee dovessero essere adottati  entro
i due mesi antecedenti il termine di recepimento della  direttiva  da
attuare. La direttiva 2014/52/UE doveva essere recepita entro  il  16
maggio 2017 e, pertanto, il  termine  per  l'esercizio  della  delega
sarebbe scaduto il 16 marzo 2017.
    Successivamente all'entrata in vigore della legge delega,  l'art.
29 della legge 29 luglio 2015, n. 115 (Disposizioni per l'adempimento
degli obblighi  derivanti  dall'appartenenza  dell'Italia  all'Unione
europea - Legge europea 2014), ha modificato la disposizione  oggetto
del rinvio (l'art. 31,  comma  1,  della  legge  n.  234  del  2012),
prevedendo che i decreti legislativi di  attuazione  delle  direttive
devono essere adottati entro i quattro mesi antecedenti il termine di
recepimento della direttiva.
    Secondo le ricorrenti, il  Governo  era  tenuto  al  rispetto  di
questo diverso e piu' ristretto  termine.  Il  rinvio  operato  dalla
legge delega andrebbe inteso, infatti, come rinvio mobile, e non gia'
come rinvio fisso o  recettizio.  Il  rinvio  fisso  potrebbe  essere
ravvisato - per ripetuta affermazione di questa Corte (e' richiamata,
in particolare, la sentenza n. 258 del 2014) - solo  in  presenza  di
una volonta' espressa del legislatore, ovvero di elementi «univoci  e
concludenti», non riscontrabili nella specie.
    Il termine di esercizio della delega sarebbe scaduto, percio', il
16 gennaio 2017, con conseguente  tardivita'  del  decreto  delegato,
emanato invece il 16 giugno 2017.
    3.1.1.- Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e
difeso   dall'Avvocatura   generale   dello   Stato,   ha    eccepito
l'inammissibilita' delle questioni promosse dalla Provincia  autonoma
di Bolzano, stante la mancata  corrispondenza  tra  le  censure  (che
varrebbero a travolgere l'intero decreto legislativo) e  il  petitum,
limitandosi la Provincia ricorrente a richiedere la  declaratoria  di
illegittimita' costituzionale di singole disposizioni del decreto.
    L'eccezione non e' fondata.
    La ricorrente ha ritenuto di impugnare le sole  disposizioni  che
reputa lesive delle proprie competenze costituzionalmente  garantite.
La circostanza  che  il  vizio  lamentato  potrebbe  determinare,  in
ipotesi, l'illegittimita' costituzionale non solo delle  disposizioni
censurate, ma del decreto legislativo nella sua interezza, non vale -
contrariamente a quanto sostenuto dal resistente - a rendere  dovuta,
pena  la  sua  inammissibilita',  l'impugnazione   dell'intero   atto
normativo.
    3.1.2.- Nel merito, le questioni non sono fondate.
    L'Avvocatura dello Stato ha correttamente rilevato, infatti,  che
interpretare quale rinvio mobile il  rinvio  all'art.  31,  comma  1,
della legge n. 234 del 2012, operato dalla legge delega, si  porrebbe
in contrasto con il  principio  generale  di  irretroattivita'  delle
leggi di cui all'art. 11 delle  disposizioni  preliminari  al  codice
civile, il quale impone  di  ritenere  che  il  "nuovo"  termine  per
l'esercizio delle deleghe di attuazione della  normativa  europea  si
applica alle sole deleghe legislative conferite successivamente  alla
modifica del richiamato art. 31, comma 1.
    Non giova opporre,  come  fanno  invece  le  ricorrenti,  che  il
principio di irretroattivita' vale solo  per  le  norme  sostanziali,
mentre nella specie  si  tratterebbe  di  una  norma  procedimentale,
soggetta  al  principio  tempus  regit  actum.   Di   la'   da   ogni
considerazione sul fatto che la norma che fissa il termine entro  cui
esercitare  la  delega  non  e'  meramente  procedimentale,   perche'
determina quel «tempo limitato» (art. 76 Cost.) durante il  quale  il
Governo ha il potere di esercitare in via eccezionale  una  funzione,
quella legislativa,  che  ordinariamente  spetta  alle  Camere,  deve
escludersi, salvo espressa indicazione di  segno  contrario,  che  la
modifica - in senso abbreviativo - del termine per l'esercizio di  un
potere o di una facolta' possa applicarsi in  confronto  a  poteri  e
facolta' gia' insorti e rispetto ai quali sta decorrendo  il  termine
originario: il che e' precisamente la situazione del caso di  specie,
essendo la legge  delega  entrata  in  vigore  prima  della  modifica
all'art. 31, comma 1, della  legge  n.  234  del  2012.  Una  diversa
soluzione  rischierebbe  di  produrre,   d'altra   parte,   risultati
illogicamente penalizzanti,  potendo  determinare  -  in  assenza  di
un'univoca manifestazione in tal senso da parte  del  titolare  della
funzione  legislativa  -  il  radicale  azzeramento  del  potere  del
delegato.
    L'interpretazione  del  rinvio  in  esame  quale  rinvio   fisso,
d'altronde, e' quella che risponde all'esigenza  che  il  legislatore
delegante  determini  il  «tempo  limitato»  entro  cui  puo'  essere
esercitata la delega «in uno qualunque dei  modi  che  consentano  di
individuare, in via diretta, o anche indirettamente con l'indicazione
di un evento futuro ma certo, il momento iniziale e quello finale del
termine» (sentenza n. 163 del  1963).  Se,  infatti,  il  potere  del
Governo di esercizio della funzione legislativa ex art. 76 Cost. deve
essere temporalmente delimitato dalla legge delega,  l'individuazione
certa del termine ottenuta attraverso il rinvio ad  una  disposizione
di carattere generale (quale il procedimento, ed i relativi  termini,
delineato  dalla  legge  n.  234  del  2012)  non  puo'  considerarsi
modificata, in mancanza di  una  espressa  volonta'  del  legislatore
delegante, in caso di intervento normativo sulla disposizione oggetto
del rinvio. La necessita' che il termine per l'esercizio della delega
sia definito, pur se  indirettamente  determinato,  rende  obbligata,
dunque, l'opzione ermeneutica secondo cui l'art. 1,  comma  2,  della
legge n. 114 del 2015 e' disposizione recante un rinvio fisso:  cosi'
interpretata la norma di delega, infatti, il delegante ha individuato
con certezza il «tempo limitato» di cui  all'art.  76  Cost.,  senza,
peraltro, che cio'  gli  impedisca,  in  un  momento  successivo,  di
intervenire espressamente, a delega aperta,  per  rideterminare,  con
altrettanta certezza, il momento finale del termine.
    3.2.- La Provincia autonoma di Trento (e la  Regione  Puglia,  ma
soltanto nella memoria illustrativa, il che  rende  inammissibile  la
questione da questa promossa) ritiene che, anche a voler  considerare
fisso il rinvio di cui all'art. 1, comma 2, della legge  n.  114  del
2015,  il  decreto  legislativo  sarebbe  stato  del  pari   adottato
tardivamente.
    Come si e' gia' visto, infatti, il termine per l'esercizio  della
delega sarebbe scaduto il 16 marzo 2017.  In  tale  stessa  data,  il
Governo ha trasmesso lo schema di decreto  legislativo  alle  Camere,
perche', secondo quanto prescritto dall'art. 1, comma 3, della  legge
delega,  venisse   espresso   il   parere   dei   competenti   organi
parlamentari: parere, questo, che doveva essere reso  entro  quaranta
giorni dalla trasmissione (art. 31, comma 3, della legge n.  234  del
2012). A opinione del Governo, si sarebbe in tal modo determinata  la
condizione prevista dal medesimo art. 31, comma 3, per la proroga  di
tre mesi (id est: dal 16 marzo 2017 al 16 giugno  2017)  del  termine
per l'esercizio della delega: ai sensi del citato art. 31,  comma  3,
infatti, se il termine per rendere il parere parlamentare cade  entro
i trenta giorni antecedenti la scadenza dei termini di delega o, come
nel caso di specie, successivamente a tale scadenza, quest'ultima e',
per l'appunto, prorogata di tre mesi. In ragione di tale  slittamento
del  termine,  pertanto,   la   delega   sarebbe   stata   esercitata
tempestivamente, dal momento che il d.lgs n. 104 del  2017  e'  stato
emanato il 16 giugno 2017 (ed e' alla  data  di  emanazione  che,  ai
sensi dell'art. 14, comma 2, della legge  23  agosto  1988,  n.  400,
recante «Disciplina dell'attivita' di  Governo  e  ordinamento  della
Presidenza del Consiglio dei Ministri», deve  farsi  riferimento  per
verificare il rispetto del requisito del «tempo limitato»).
    La Provincia autonoma di Trento, tuttavia, sostiene che nel  caso
di specie non poteva trovare applicazione l'art. 31, comma  3,  della
legge n. 234 del 2012, poiche' l'art. 1, comma 2, della legge delega,
nell'individuare i termini per il  suo  esercizio,  fa  espressamente
rinvio al solo comma 1 di tale art. 31, e  non  anche  al  successivo
comma 3,  il  quale  appunto  prevede  l'ipotesi  della  proroga.  Il
Governo,   pertanto,   avrebbe   potuto   esercitare    la    delega,
invariabilmente,  entro  il  16  marzo  2017   e,   conseguentemente,
l'emanazione del decreto legislativo sarebbe avvenuta fuori termine.
    3.2.1.- La questione non e' fondata.
    Come  e'  correttamente  rilevato  dall'Avvocatura  dello  Stato,
l'art. 1, comma 1, della legge n. 114 del 2015 testualmente  delegava
il  Governo  ad  esercitare  la  funzione  legislativa  «secondo   le
procedure, i principi e i criteri direttivi di cui agli articoli 31 e
32» della legge n. 234 del 2012. L'espresso richiamo  alle  procedure
non  puo'  che  riferirsi  all'intero  art.  31  -  la  cui   rubrica
precisamente  recita  «Procedure  per   l'esercizio   delle   deleghe
legislative conferite al Governo con la legge di delegazione europea»
- e, dunque, anche al comma 3, il quale, d'altro canto, non fa  altro
che prescrivere  la  procedura  da  seguire  per  l'acquisizione  dei
previsti pareri sullo schema di decreto legislativo.
    Nella memoria illustrativa, la Provincia autonoma  di  Trento  ha
escluso la praticabilita' di tale opzione ermeneutica, sostenendo che
la fissazione  del  termine  per  l'esercizio  della  delega  sarebbe
contenuta in una norma speciale, quale sarebbe l'art.  31,  comma  1,
della legge n. 234  del  2012.  E'  sufficiente  rilevare,  in  senso
contrario a quanto affermato dalla ricorrente,  che  la  disposizione
pone, invece, una  norma  generale  relativa  all'individuazione  del
termine  per  l'attuazione,  tramite   decreto   legislativo,   della
normativa europea, come del pari e' generale la norma che prevede, al
ricorrere di determinati sviluppi procedimentali  nell'esercizio  del
potere delegato, lo slittamento di detto termine.
    Ne' varrebbe sostenere -  come  pure  la  Provincia  autonoma  di
Trento fa nella memoria illustrativa -  che  sarebbe  contraddittorio
attribuire all'art.  1,  comma  2,  della  legge  delega  ora  valore
recettizio, nella determinazione  del  termine  per  l'esercizio  del
potere delegato, ora valore mobile, quanto al meccanismo per  la  sua
eventuale   proroga.   Tale   disposizione   di   delega   viene   in
considerazione, infatti, per la sola individuazione del  termine  per
l'adozione del decreto legislativo, tramite il rinvio fisso  all'art.
31, comma 1, della legge n.  234  del  2012;  l'applicabilita'  delle
procedure complessivamente  previste  dal  medesimo  art.  31  -  ivi
compresa,   ove   ne   ricorrano   i   presupposti    procedimentali,
l'operativita' della proroga del termine - e' prodotta,  invece,  dal
comma 1 dell'art. 1 della legge delega, a nulla rilevando, dunque, la
qualifica di rinvio recettizio da riconoscere al successivo comma  2.
E cio', a tacer del fatto che l'art. 31, comma 3, della legge n.  234
del 2012, comunque sia, e' ancora oggi vigente nella sua formulazione
originaria.
    3.3.- La Provincia autonoma di Trento  impugna  l'intero  decreto
legislativo anche sotto altro profilo.
    La ricorrente osserva che l'art. 1, comma 3, della  legge  delega
prevedeva che lo schema di decreto fosse trasmesso  alle  Commissioni
parlamentari «dopo l'acquisizione degli altri pareri  previsti  dalla
legge». Nella specie, quindi, il Governo avrebbe dovuto provvedere  a
tale trasmissione solo dopo aver acquisito il parere della Conferenza
Stato-Regioni,  prescritto  dall'art.  2,  comma   3,   del   decreto
legislativo 28 agosto 1997, n. 281 (Definizione ed ampliamento  delle
attribuzioni della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato,
le  regioni  e  le  province  autonome  di  Trento   e   Bolzano   ed
unificazione, per le materie ed i compiti di interesse  comune  delle
regioni, delle province e dei comuni, con la Conferenza  Stato-citta'
ed autonomie locali), per gli schemi di  decreto  legislativo  «nelle
materie di competenza  delle  regioni  o  delle  province  autonome»:
materie sicuramente incise dalla nuova disciplina della VIA.
    Il Governo,  invece,  ha  trasmesso  lo  schema  alla  Conferenza
Stato-Regioni e  alle  Commissioni  parlamentari,  per  i  rispettivi
pareri, lo stesso giorno (16 marzo  2017).  Tale  espediente  sarebbe
servito a "lucrare" indebitamente la proroga del termine di esercizio
della delega di cui si e' detto, dando luogo, percio', ad  un  «abuso
di  procedimento»  in  violazione  dell'art.  76  Cost.  e,  inoltre,
eludendo il termine di recepimento previsto dalla direttiva  europea,
con conseguente violazione anche dell'art. 117, primo comma, Cost. In
subordine, la  ricorrente  ritiene  sia  stato  altresi'  violato  il
principio di leale collaborazione di cui all'art. 120, secondo comma,
Cost., poiche' l'inversione dell'ordine dei pareri  avrebbe  impedito
alle Commissioni parlamentari di prendere cognizione delle  posizioni
delle Regioni e Province autonome  e  di  esprimersi  sulle  relative
osservazioni.
    3.3.1.- Deve  essere  disattesa,  anzitutto,  la  tesi  difensiva
dell'Avvocatura dello Stato, secondo  la  quale,  nella  specie,  non
sarebbe stato  obbligatorio  acquisire  il  parere  della  Conferenza
Stato-Regioni, posto che - per costante giurisprudenza costituzionale
-  la  disciplina  della  VIA  non  rientrerebbe   nelle   competenze
regionali, ma nella materia della tutela dell'ambiente, di competenza
statale  esclusiva,  con  conseguente  difetto  del  presupposto   di
operativita' del citato art. 2, comma 3, del d.lgs. n. 281 del 1997.
    Va osservato, infatti, che  tale  ultima  disposizione  non  puo'
essere  riferita  ai  decreti  legislativi  che  intendano   invadere
competenze regionali esclusive, i quali, ovviamente, sarebbero di per
se' costituzionalmente illegittimi. Come ha  correttamente  osservato
la   ricorrente,   la   necessita'   di    acquisire    il    parere,
obbligatoriamente previsto dall'appena  citato  decreto  legislativo,
sussiste, invece, ogni qualvolta  lo  Stato,  esercitando  competenze
normative proprie in materie di  cui  all'art.  117,  secondo  comma,
Cost., oppure stabilendo principi  fondamentali  in  materie  di  cui
all'art.  117,  terzo  comma,  Cost.,  interferisce  con  ambiti   di
competenza regionale.
    E  non  puo'  esservi  dubbio  che,  a  fronte  di  una   materia
trasversale quale la «tutela dell'ambiente», per di piu' allorche' si
detti la disciplina della VIA, possa  determinarsi  una  interferenza
con ambiti di  competenza  regionale.  D'altronde,  come  attesta  la
relazione allo schema di decreto legislativo, lo  stesso  Governo  ha
inteso come obbligatorio il parere della Conferenza Stato-Regioni.  E
cio' appare evidentemente assorbire qualsiasi diversa tesi  avanzata,
in astratto, dall'Avvocatura dello Stato.
    3.3.2.- Le questioni sono, comunque sia, non fondate.
    3.3.3.- Movendo dalla questione proposta in riferimento  all'art.
76 Cost., deve rilevarsi che questa Corte ne ha gia'  scrutinato  una
analoga, del  pari  promossa  in  base  all'assunto  che  il  decreto
legislativo  impugnato  fosse  stato  adottato  in  violazione  della
scansione  procedimentale,  in  ordine  alla  richiesta  dei  pareri,
prescritta dalla disposizione di delega, con cio' facendo scattare lo
slittamento del termine per l'esercizio  della  delega,  pure  allora
normativamente previsto.
    Si e' affermato, in quella occasione, per un verso, che, al  fine
di  rispettare  la  norma  di  delega,  «[l]'adempimento  procedurale
imprescindibile» era  che  le  Commissioni  parlamentari  «rendessero
parere dopo avere avuto contezza  di  quelli  espressi»  dagli  altri
organi coinvolti nel procedimento; per un altro, che,  le  condizioni
per l'operativita' della proroga del termine  per  l'esercizio  della
delega erano costituite dalla trasmissione della richiesta di  parere
alle Commissioni parlamentari, dalla circostanza che il  termine  per
rendere tale parere sarebbe scaduto entro il lasso di tempo  indicato
dalla norma  di  delega  e,  infine,  dall'essere  stato  avviato  il
procedimento anche in  relazione  agli  altri  organi  coinvolti  per
volonta' del legislatore delegante, «in modo da permettere  a  questi
ultimi di rendere il parere e di garantirne l'acquisizione  da  parte
delle Commissioni parlamentari entro un tempo in grado di  assicurare
l'esaurimento del procedimento» (sentenza n. 261 del 2017).
    L'art. 1, comma 3, della legge n. 114 del 2015, norma  interposta
nel presente giudizio di  legittimita'  costituzionale,  e'  ispirato
alla  medesima  ratio.  L'odierna  disposizione  delegante,  infatti,
prescrivendo che la trasmissione alle Commissioni parlamentari  dello
schema di decreto avvenisse una  volta  acquisiti  gli  altri  pareri
previsti dalla legge, ha imposto che tali Commissioni,  articolazione
interna del soggetto titolare  della  funzione  legislativa,  fossero
sentite e si esprimessero per ultime sullo schema di decreto, in modo
da rendere il proprio parere  potendo  tenere  in  considerazione  le
osservazioni contenute negli «altri pareri previsti dalla legge».
    Emerge  chiaramente,  dall'esame  degli  sviluppi  procedimentali
successivi alla trasmissione dello schema di  decreto  legislativo  a
tutti gli organi chiamati a esprimere parere (avvenuta  il  16  marzo
2017, come attestato dagli atti parlamentari),  che  la  ratio  della
norma  di  delega  e'  stata  rispettata,  poiche'   le   Commissioni
parlamentari hanno reso il proprio parere avendo contezza  di  quello
precedentemente espresso dalla Conferenza Stato-Regioni. Difatti:  il
4 maggio 2017 quest'ultima ha reso parere favorevole, con condizioni;
le Commissioni VIII (Ambiente) e XIV (Politiche dell'Unione  europea)
della Camera dei deputati, successivamente alla formale  trasmissione
del parere della Conferenza Stato-Regioni, hanno espresso il  proprio
parere, rispettivamente, il 10 maggio e il 17 maggio 2017; infine, la
XIII Commissione del Senato della Repubblica  (Territorio,  ambiente,
beni ambientali) ha espresso il proprio parere  il  16  maggio  2017,
dopo aver ricevuto il parere della Conferenza Stato-Regioni,  e,  per
di piu', aver sentito, nel corso di  una  audizione  informale  il  9
maggio 2017, i rappresentanti di detta Conferenza.
    Va rilevato, a conferma della piena «interlocuzione sullo  schema
di decreto delegato  degli  organi  chiamati  a  rendere  il  parere»
(sentenza n. 261  del  2017),  come  questi  ultimi  si  siano  tutti
espressi  oltre  i  termini  indirettamente  prescritti  dalla  legge
delega: la Conferenza Stato-Regioni, ai sensi dell'art. 2,  comma  3,
del d.lgs. n. 281 del 1997, avrebbe dovuto rendere  il  parere  entro
venti giorni dalla trasmissione dello schema di  decreto  e,  dunque,
non oltre il 5 aprile 2017; le Commissioni  parlamentari,  dal  canto
loro, disponevano, ai sensi dell'art. 31, comma 3, della legge n. 234
del 2012, richiamato dall'art. 1, comma 1,  della  legge  delega,  di
quaranta giorni, sempre a far data dalla trasmissione,  e,  pertanto,
si sarebbero dovute esprimere non oltre il 25 aprile 2017. Nonostante
l'avvenuta decorrenza dei termini, del resto ordinatori, il  Governo,
invece di procedere con l'adozione del decreto legislativo e  con  la
trasmissione del medesimo al Presidente della Repubblica per  la  sua
emanazione, secondo quanto  consentitogli  dal  richiamato  art.  31,
comma 3, ha opportunamente  deciso  di  attendere  l'espressione  dei
pareri.
    Il complessivo procedimento, pertanto, si e' svolto con modalita'
che  hanno  consentito  alle  Commissioni   parlamentari   di   avere
conoscenza - condizione ineludibile, questa, per la legittimita'  del
procedimento  di  adozione  del  decreto  legislativo  -  del  parere
espresso dalla  Conferenza  Stato-Regioni.  Cio'  che,  peraltro,  e'
sufficiente per considerare non fondata la questione, promossa in via
subordinata e  basata  su  un'asserita  inversione  dei  pareri,  per
violazione del principio di leale collaborazione.
    La circostanza  che  il  procedimento  di  adozione  del  decreto
legislativo sia avvenuto nel rispetto  della  ratio  della  norma  di
delega, dunque  senza  l'«abuso  di  procedimento»  denunciato  dalla
ricorrente, esclude altresi' che la  contestuale  trasmissione  dello
schema a Commissioni  parlamentari  e  Conferenza  Stato-Regioni  sia
valsa soltanto a ottenere indebitamente lo  slittamento  del  termine
per l'esercizio della delega. Tale  slittamento,  che  ha  consentito
l'emanazione del  decreto  legislativo  il  16  giugno  2017,  si  e'
verificato, difatti, in ragione della  sussistenza  delle  condizioni
previste dalla delega: trasmissione  dello  schema  di  decreto  alle
Commissioni parlamentari entro il termine per l'esercizio del  potere
delegato; coinvolgimento, entro quel medesimo  termine,  anche  della
Conferenza Stato-Regioni; infine, scadenza del termine per rendere il
parere da parte degli organi parlamentari in data successiva a quella
entro cui si sarebbe  dovuto  procedere  all'emanazione  del  decreto
legislativo.
    3.3.4.- Non fondata e', poi, la questione in riferimento all'art.
117, primo comma, Cost., la cui violazione sarebbe stata  in  ipotesi
determinata dall'emanazione del decreto legislativo oltre il  termine
per il recepimento  della  direttiva.  E'  sufficiente  rilevare,  in
proposito,  come  il  suo  accoglimento  aggraverebbe  il  vulnus  al
parametro costituzionale evocato, poiche' l'annullamento  dell'intero
decreto legislativo renderebbe lo Stato italiano responsabile per  il
mancato recepimento della direttiva 2014/52/UE.
    3.4.- La Regione Puglia  impugna  l'intero  decreto  legislativo,
lamentando sia stato adottato in contrasto con il principio di  leale
collaborazione, in quanto, incidendo la disciplina da esso recata  su
un intreccio di materie di competenza statale  e  regionale,  la  sua
adozione avrebbe dovuto essere preceduta dall'intesa con le  Regioni,
conformemente a quanto affermato da questa Corte con la  sentenza  n.
251 del 2016.
    Censure  di  identico  tenore  sono  svolte  da  tutte  le  altre
ricorrenti in rapporto  non  all'intero  decreto  legislativo,  ma  a
singole disposizioni del decreto impugnato.
    3.4.1.- Le ricorrenti ritengono che  il  principio  della  previa
intesa derivi direttamente  dalla  Costituzione  e  debba,  pertanto,
trovare applicazione anche in assenza di  espresse  previsioni  della
legge delega.
    La Regione Valle d'Aosta/Vallee  d'Aoste  e  la  Regione  Puglia,
inoltre, chiedono a questa Corte - qualora ritenga che l'intesa debba
essere prevista a monte dal  legislatore  delegante  -  di  sollevare
innanzi a se' stessa questione di legittimita'  costituzionale  della
legge delega n. 114 del 2015.
    3.4.2.- In relazione ad alcuni dei  ricorsi,  il  Presidente  del
Consiglio   dei   ministri   ha   eccepito   in    via    preliminare
l'inammissibilita' delle  censure,  in  quanto  non  precedute  dalla
tempestiva  impugnazione,  in  parte   qua,   della   legge   delega.
Impugnazione la cui  esperibilita'  e',  peraltro,  contestata  dalle
ricorrenti nelle memorie illustrative, sull'assunto che i principi  e
criteri direttivi della legge n. 114  del  2015  non  presenterebbero
quel  tasso  di   specificita'   e   concretezza   atto   a   rendere
immediatamente percepibile l'invasione delle competenze regionali.
    3.4.3.- L'eccezione di inammissibilita' e' fondata.
    Questa Corte ha  gia'  affermato  che,  alla  luce  dei  principi
desumibili dalla sentenza n. 251 del 2016, la norma  di  delega  puo'
essere impugnata «allo scopo di censurare le modalita' di  attuazione
della leale collaborazione  dalla  stessa  prevista  ed  al  fine  di
ottenere che il decreto delegato sia emanato previa intesa» (sentenza
n. 261  del  2017).  Dall'immediata  impugnabilita'  della  norma  di
delega, per violazione del principio di leale collaborazione, deriva,
per  un  verso,  che  «la  lesione  costituisce  effetto  diretto  ed
immediato di un vizio della stessa, non del decreto delegato» e,  per
un altro, che l'eventuale vizio  del  decreto  delegato  e',  dunque,
meramente riflesso, con la conseguenza che la censura  di  violazione
del principio di leale collaborazione «denuncia in realta'  un  vizio
che concerne direttamente  ed  immediatamente  la  norma  di  delega»
(sentenza n. 261 del 2017).
    La mancata  impugnazione  della  legge  delega  non  puo'  essere
impropriamente surrogata, per le ragioni anzidette,  dalle  questioni
di legittimita' proposte negli odierni giudizi, le  quali,  pertanto,
vanno dichiarate inammissibili. Tali  ultime  argomentazioni  valgono
altresi'  a  escludere   che   questa   Corte   possa   prendere   in
considerazione  l'istanza  di  autorimessione  sulla  legge   delega,
proposta dalla Regione Valle d'Aosta/Vallee d'Aoste e  dalla  Regione
Puglia (sentenza n. 261 del 2017).
    4.- Al fine  di  procedere  allo  scrutinio  delle  questioni  di
legittimita' costituzionale promosse avverso le singole  disposizioni
del decreto legislativo impugnato, e' necessario premettere un  esame
del contenuto normativo della  direttiva  2014/52/UE  e  della  legge
delega  n.  114  del  2015,  nonche'  una  ricostruzione  dell'ambito
materiale sul quale interviene il d.lgs. n. 104 del 2017.
    5.- Come gia' anticipato, il d.lgs. n. 104 del 2017 ha realizzato
un ampio intervento di riforma  delle  procedure  di  valutazione  di
impatto ambientale, gia' puntualmente disciplinate dal cod.  ambiente
sulla scorta degli impulsi derivanti dal diritto  sovranazionale  sin
dalla  direttiva  85/337/CEE  del  Consiglio  del  27  giugno   1985,
concernente la valutazione  dell'impatto  ambientale  di  determinati
progetti pubblici e privati.
    5.1.- Si tratta di un settore  ove  l'intervento  europeo  si  e'
manifestato in  tutta  la  sua  evidenza,  in  nome  di  finalita'  e
obiettivi che hanno sviluppato in senso progressivo le  stesse  norme
costituzionali, prive, sino alla riforma del Titolo V della Parte  II
della  Costituzione,   di   significativi   riferimenti   al   valore
ambientale, se si esclude il cenno al paesaggio  di  cui  all'art.  9
Cost.
    Come questa Corte ha avuto modo di  affermare  in  una  risalente
decisione riguardante il "prototipo" della VIA, la normativa  interna
di recepimento della direttiva  85/337/CEE  ha  dato,  per  la  prima
volta, «riconoscimento specifico alla salvaguardia dell'ambiente come
diritto fondamentale della persona ed  interesse  fondamentale  della
collettivita'» (sentenza n. 210 del 1987). L'emersione  dell'ambiente
quale bene  giuridico  complesso,  insieme  situazione  soggettiva  e
interesse  obiettivo  della  collettivita',  ha  reso  necessaria  la
creazione di «istituti giuridici per la sua protezione»,  nell'ottica
di «una concezione unitaria [...] comprensiva  di  tutte  le  risorse
naturali e culturali» del Paese. In altri termini, l'ambiente esprime
valori che «la Costituzione  prevede  e  garantisce  (artt.  9  e  32
Cost.), alla stregua dei quali, le  [relative]  norme  di  previsione
abbisognano di una sempre piu' moderna interpretazione» (sentenza  n.
210 del 1987).
    5.2.-  La  VIA  ha,  dunque,  una   duplice   valenza:   istituto
comunitariamente necessitato, essa ha rappresentato,  sin  dalle  sue
origini, uno strumento per individuare,  descrivere  e  valutare  gli
effetti di un'attivita' antropica sulle componenti ambientali  e,  di
conseguenza,  sulla  stessa  salute  umana,  in  una  prospettiva  di
sviluppo e garanzia dei valori costituzionali. Descritta dall'art.  5
cod. ambiente, la VIA ha giuridicamente una struttura anfibia: per un
verso, conserva una dimensione partecipativa e informativa,  volta  a
coinvolgere e a  fare  emergere  nel  procedimento  amministrativo  i
diversi interessi sottesi alla realizzazione di un'opera  ad  impatto
ambientale;  per  un  altro,  possiede  una  funzione  autorizzatoria
rispetto al singolo progetto esaminato.
    5.3.- Il d.lgs. n. 104 del 2017 si inserisce  in  tale  contesto.
Esso declina nell'ordinamento italiano le innovazioni apportate dalla
direttiva 2014/52/UE che modifica la direttiva 2011/92/UE.
    5.3.1.-  La  novella  sovranazionale  e'  incentrata,  anzitutto,
sull'obiettivo  di  migliorare  la  qualita'   della   procedura   di
valutazione dell'impatto ambientale, allineandola ai  principi  della
regolamentazione intelligente, e cioe' della  regolazione  diretta  a
semplificare le  procedure  e  a  ridurre  gli  oneri  amministrativi
implicati nella realizzazione  dell'opera.  In  coerenza  con  questi
obiettivi, la direttiva si propone di promuovere l'integrazione delle
valutazioni  dell'impatto  ambientale   nelle   procedure   nazionali
(considerando n. 21), realizzando procedure coordinate e/o comuni nel
caso in cui la valutazione risulti contemporaneamente dalla direttiva
in oggetto  e  da  altre  direttive  europee  in  materia  ambientale
(considerando n. 37). Essa si preoccupa di potenziare  l'accesso  del
pubblico alle informazioni ambientali anche mediante la pubblicazione
del  progetto   e   delle   osservazioni   in   formato   elettronico
(considerando  n.  18)  e  di  prevedere  l'eventuale  esonero  dalle
procedure per progetti, o parti di progetti,  destinati  a  scopo  di
difesa nazionale oppure aventi quale unica finalita' la risposta alle
emergenze che riguardano la protezione civile (considerando n.  19  e
n. 20).
    La direttiva, inoltre, impone agli  Stati  membri  di  assicurare
trasparenza e responsabilita', documentando le  proprie  decisioni  e
considerando i  risultati  delle  consultazioni  effettuate  e  delle
pertinenti informazioni raccolte, adattando e chiarendo i criteri  di
selezione per stabilire quali progetti sottoporre a VIA,  richiedendo
altresi' di precisare il contenuto  della  determinazione  successiva
alla verifica di assoggettabilita' a VIA, in particolare in caso  non
sia richiesta una valutazione dell'impatto (considerando n. 29).
    Infine, la direttiva invita gli Stati membri a garantire  che  il
processo decisionale si svolga «entro un lasso di tempo ragionevole»,
in funzione della natura,  complessita'  e  ubicazione  del  progetto
nonche' delle sue dimensioni (considerando n. 36) e a determinare, in
piena autonomia, sanzioni efficaci,  proporzionate  e  dissuasive  da
applicare in caso di violazione delle disposizioni nazionali adottate
ai sensi della direttiva (considerando n. 38).
    5.3.2.- Questi principi sono  stati  in  parte  riprodotti  dalla
legge delega n. 114 del 2015, la quale ha stabilito, all'art. 14, che
il   Governo   avrebbe   dovuto   realizzare   la   «semplificazione,
armonizzazione e razionalizzazione delle procedure di valutazione  di
impatto  ambientale   anche   in   relazione   al   coordinamento   e
all'integrazione con altre procedure volte al rilascio  di  pareri  e
autorizzazioni a carattere ambientale»; rafforzare la «qualita' della
procedura di  valutazione  di  impatto  ambientale,  allineando  tale
procedura ai  principi  della  regolamentazione  intelligente  (smart
regulation) e della coerenza e delle sinergie con altre  normative  e
politiche  europee   e   nazionali»,   e   revisionare   il   sistema
sanzionatorio «al fine di definire sanzioni efficaci, proporzionate e
dissuasive e di consentire una maggiore efficacia  nella  prevenzione
delle violazioni». Nell'intervento di  riforma,  infine,  l'esecutivo
avrebbe dovuto prevedere  «la  destinazione  dei  proventi  derivanti
dalle sanzioni amministrative per finalita' connesse al potenziamento
delle attivita' di vigilanza, prevenzione e monitoraggio  ambientale,
alla verifica del rispetto delle condizioni previste nel procedimento
di valutazione ambientale, nonche' alla  protezione  sanitaria  della
popolazione in caso di incidenti o calamita' naturali».
    5.3.3.- In attuazione della delega, e' stato emanato il d.lgs. n.
104 del 2017, impugnato dalle ricorrenti. Tale atto ha riallocato  in
capo allo Stato alcuni procedimenti in materia di VIA  in  precedenza
assegnati alle  Regioni  e  ha  disciplinato  nuovamente,  nella  sua
interezza, la procedura di verifica di assoggettabilita' a VIA  e  la
VIA,  introducendo  altresi'  significative  innovazioni,  quali   il
provvedimento  unico  in  materia  ambientale  (facoltativo   per   i
procedimenti di competenza statale, obbligatorio per le Regioni).
    6.- Alla luce di tali premesse, emerge ictu oculi come la materia
su cui insiste il decreto legislativo impugnato sia riconducibile, in
via prevalente, alla competenza esclusiva  dello  Stato  in  tema  di
tutela dell'ambiente e  dell'ecosistema  (art.  117,  secondo  comma,
lettera s, Cost.). Questa Corte ha in piu'  occasioni  affermato  che
«[l]'obbligo di sottoporre il progetto alla procedura di VIA  o,  nei
casi previsti, alla preliminare verifica di assoggettabilita' a  VIA,
rientra nella materia della "tutela ambientale"» altresi'  precisando
che esso rappresenta «nella disciplina statale, anche  in  attuazione
degli obblighi comunitari, un livello di protezione uniforme  che  si
impone sull'intero territorio nazionale,  pur  nella  concorrenza  di
altre materie di competenza regionale» (sentenze n. 232 del 2017 e n.
215 del 2015; nello stesso senso, le sentenze n. 234  e  n.  225  del
2009).
    6.1.- La VIA,  dunque,  rappresenta  lo  strumento  necessario  a
garantire una tutela unitaria e non frazionata del bene ambiente. Per
costante giurisprudenza di questa Corte, la tutela dell'ambiente  non
e' configurabile «come  sfera  di  competenza  statale  rigorosamente
circoscritta e delimitata, giacche', al contrario, essa investe e  si
intreccia  inestricabilmente  con  altri  interessi  e   competenze».
L'ambiente e' un valore «costituzionalmente protetto, che, in  quanto
tale, delinea una sorta di  materia  "trasversale",  in  ordine  alla
quale si manifestano  competenze  diverse,  che  ben  possono  essere
regionali,  spettando  [pero']  allo  Stato  le  determinazioni   che
rispondono ad esigenze meritevoli di disciplina uniforme  sull'intero
territorio nazionale» (sentenza n. 407 del 2002; nello stesso  senso,
piu' recentemente, le sentenze n. 66 del 2018, n. 218 e  n.  212  del
2017, n. 210 del 2016). In tal  caso,  la  disciplina  statale  nella
materia della tutela  dell'ambiente  «"viene  a  funzionare  come  un
limite alla disciplina che le Regioni e le Province autonome  dettano
in altre materie di loro competenza", salva  la  facolta'  di  queste
ultime  di  adottare  norme  di  tutela   ambientale   piu'   elevata
nell'esercizio  di  competenze,  previste  dalla  Costituzione,   che
concorrano con quella dell'ambiente» (sentenza n. 199 del 2014; nello
stesso senso, le sentenze n. 246 e n. 145 del 2013, n. 67  del  2010,
n. 104 del 2008 e n. 378 del 2007).
    La trasversalita' della tutela ambientale implica una connaturale
intersezione delle  competenze  regionali,  attraversate,  per  cosi'
dire, dalle finalita' di salvaguardia insite nella materia-obiettivo.
    6.2.- Quanto appena detto, utile a inquadrare l'ambito  materiale
interessato dalla disciplina, deve essere  ulteriormente  specificato
con riferimento agli enti ad autonomia differenziata: in relazione  a
questi  ultimi,  la  competenza  esclusiva  dello  Stato  in  materia
ambientale deve essere necessariamente contemperata con lo spazio  di
autonomia spettante in virtu' dello statuto speciale (sentenze n. 212
del 2017, n. 51 del 2016, n. 233 del 2013 e n. 357 del 2010).
    6.2.1.- Non puo' escludersi che, nel caso  di  specie,  vista  la
molteplicita' di ambiti materiali  toccati  dall'intervento  statale,
comunque funzionalizzato, nel suo insieme, ad offrire  una  efficace,
territorialmente non frazionabile, tutela ambientale, possano  venire
in  rilievo  alcune  delle  competenze  disciplinate  dagli   statuti
speciali. Cio' nonostante, va rilevato che tutti gli statuti speciali
delle  ricorrenti  annoverano,   tra   i   limiti   alle   competenze
statutariamente   previste,   le    norme    statali    di    riforma
economico-sociale e gli obblighi internazionali  (artt.  4  e  8  del
d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670, recante «Approvazione del testo  unico
delle leggi costituzionali concernenti lo  statuto  speciale  per  il
Trentino-Alto Adige»; art. 2 della legge costituzionale  26  febbraio
1948, n. 4, recante «Statuto speciale per la Valle d'Aosta»;  art.  4
della legge costituzionale 31 gennaio 1963, n.  1,  recante  «Statuto
speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia»;  art.  3  della  legge
costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3, recante «Statuto speciale  per
la Sardegna»).
    Con   riferimento   alle   norme    fondamentali    di    riforma
economico-sociale, anche recentemente questa Corte ha preteso  «dalle
regioni speciali (e dalle  due  province  autonome)  il  rispetto  di
prescrizioni legislative statali di carattere generale  incidenti  su
materie  assoggettate  dagli  statuti  al  regime  della   competenza
legislativa  piena  o  primaria»  (sentenza  n.  229  del  2017).  In
particolare, il legislatore statale conserva il potere  di  vincolare
la potesta' legislativa primaria della  Regione  speciale  attraverso
leggi qualificabili come "riforme economico-sociali": «e  cio'  anche
sulla base [...] del titolo di competenza legislativa  nella  materia
"tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali", di  cui
all'art.  117,  secondo  comma,  lettera  s),   della   Costituzione,
comprensiva tanto della tutela del paesaggio quanto della tutela  dei
beni  ambientali  o  culturali;  con  la  conseguenza  che  le  norme
fondamentali contenute negli atti legislativi statali emanati in tale
materia potranno continuare ad imporsi al necessario  rispetto  [...]
degli enti ad autonomia differenziata  nell'esercizio  delle  proprie
competenze» (sentenza  n.  229  del  2017;  nello  stesso  senso,  le
sentenze n. 212 del 2017, n. 233 del 2010, n. 164 del 2009, n. 51 del
2006 e n. 536 del 2002).
    6.2.2.- Non vi e' dubbio che la normativa censurata  puo'  essere
ascritta  a  tale  categoria:  le  norme  fondamentali   di   riforma
economico-sociale  sono  tali,  infatti,  per  il   loro   «contenuto
riformatore» e per la loro «attinenza a settori  o  beni  della  vita
economico-sociale di  rilevante  importanza»  (sentenza  n.  229  del
2017). Gli interessi  sottesi  alla  disciplina,  che  postulano  una
uniformita' di trattamento sull'intero territorio nazionale (sentenze
n. 170 del 2001, n. 477 del 2000 e n. 323 del 1998; da ultimo,  anche
sentenza  n.  229  del  2017),  assieme  allo  stretto  rapporto   di
strumentalita' che, nel caso de quo,  le  disposizioni  intrattengono
con il valore ambientale, bene  di  rango  costituzionale  che  trova
proprio nella valutazione di impatto  ambientale  un  imprescindibile
strumento  di  salvaguardia,  concorrono  a  qualificare  come  norme
fondamentali di riforma economico-sociale quelle recate  dal  decreto
legislativo censurato. Con l'ovvia precisazione che  quest'ultima  e'
qualificazione che non  puo'  essere  attribuita,  immediatamente  ed
indistintamente, a tutte le disposizioni di tale decreto legislativo,
ma deve essere valutata di volta  in  volta,  alla  luce  della  loro
ratio, potendo  risultare  censurabili  «qualora  siano  eccedenti  o
comunque  incongruenti  rispetto  alla  finalita'  complessiva  della
legge» (sentenza n. 212 del 2017).
    6.2.3.- Peraltro, in forza della sua diretta derivazione europea,
la normativa censurata deve  rispettare  anche  i  relativi  vincoli,
riconducibili al limite degli obblighi internazionali previsto  dagli
statuti speciali.
    7.- Tutto cio' premesso, possono essere scrutinate  le  questioni
di legittimita' costituzionale  promosse  nei  confronti  di  singole
disposizioni del decreto legislativo.
    8.- Per  ragioni  di  pregiudizialita'  logico-giuridica,  devono
essere prioritariamente prese in  esame  le  questioni,  promosse  in
riferimento all'art.  76  Cost.,  fondate  su  censure  dall'analogo,
quando non del tutto identico, tenore argomentativo.
    Le dieci ricorrenti, infatti, impugnano plurime disposizioni  del
d.lgs. n. 104 del 2017 lamentando che sono state adottate in  eccesso
di delega, posto che  il  profondo  riassetto  delle  competenze,  in
materia  di  VIA,  tra  Stato  e  Regioni,  operato  dal  legislatore
delegato, non troverebbe alcuna base  di  legittimazione,  ne'  nella
legge di delegazione, ne' nella direttiva europea che il Governo  era
chiamato ad attuare.
    In particolare, e' impugnato l'art. 3, che modifica l'art. 6 cod.
ambiente, il quale definisce l'oggetto delle procedure di valutazione
ambientale strategica (VAS), di VIA, di verifica di assoggettabilita'
a  VIA  e  di  autorizzazione  integrata  ambientale  (AIA).   Alcune
ricorrenti  (Regione  Lombardia,  Regione  Puglia,  Regione  Abruzzo,
Regione Veneto, Regione autonoma  Sardegna  e  Regione  Calabria)  si
concentrano, piu' nel dettaglio, sull'art. 3, comma 1, lettera g), il
quale  consente  al  Ministro  dell'ambiente  e  della   tutela   del
territorio e del mare, di concerto con il Ministro dei beni  e  delle
attivita' culturali e del turismo, di esonerare  dalla  procedura  di
impatto ambientale progetti o parti di progetti  aventi  quale  unico
obiettivo la difesa  nazionale  o  la  risposta  alle  emergenze  che
riguardano la protezione civile, qualora ritenga  che  l'applicazione
della disciplina  possa  pregiudicare  i  suddetti  obiettivi.  Viene
censurato anche l'art. 3, comma 1, lettera h), il quale  dispone  che
il Ministro dell'ambiente, in casi eccezionali e  previo  parere  del
Ministro dei beni culturali, possa esentare in tutto o  in  parte  un
progetto specifico dalla procedura di VIA.
    Oggetto di ricorso e' anche l'art. 4, il quale novella  l'art.  7
cod. ambiente, che  -  a  seguito  dello  "scorporo"  da  esso  delle
disposizioni relative alla VIA (ora allocate nel nuovo art. 7-bis)  -
regola le competenze in materia di VAS e di AIA.
    Censurato e' altresi' l'art. 5,  il  quale,  inserendo  nel  cod.
ambiente il sopra richiamato art. 7-bis, ridisegna  la  distribuzione
delle competenze tra Stato e Regioni in materia di VIA e di  verifica
di  assoggettabilita'  a  VIA,  sul  piano  tanto  normativo   quanto
amministrativo. In particolare,  la  nuova  disciplina  ripartisce  i
progetti tra lo Stato e le Regioni tramite rinvio agli Allegati (II e
II-bis, per la competenza statale, e III  e  IV,  per  la  competenza
regionale), alla Parte seconda cod. ambiente (commi 2 e 3  del  nuovo
art. 7-bis), imponendo alle  Regioni  e  alle  Province  autonome  di
assicurare che le  procedure  di  loro  competenza  siano  svolte  in
conformita' al medesimo cod. ambiente (come modificato dal d.lgs.  n.
104 del 2017), oltre che alla normativa europea.
    Le ricorrenti considerano  poi  viziati  per  eccesso  di  delega
l'art. 12, nella parte in cui sostituisce l'art. 23, comma 4, secondo
periodo, cod. ambiente (trasmissione, a tutti gli enti potenzialmente
interessati, della documentazione richiesta  al  proponente  ai  fini
della VIA); l'art. 13, nella parte  in  cui  sostituisce  l'art.  24,
comma 3, secondo periodo, del medesimo decreto (il  quale  stabilisce
il termine di sessanta giorni per la presentazione di osservazioni  e
pareri da parte della amministrazioni  potenzialmente  interessate  a
fronte di modifiche o integrazioni apportate al progetto ad opera del
proponente); l'art. 14, sia nella parte in cui sostituisce l'art. 25,
comma 1, primo periodo, cod. ambiente (concernente la valutazione  di
impatto ambientale compiuta  tenendo  conto  dei  pareri  degli  enti
potenzialmente interessati), sia nella parte in cui,  sostituendo  il
contenuto normativo dell'art. 25 del d.lgs.  n.  152  del  2006,  nei
provvedimenti di VIA di  competenza  statale  non  richiede  piu'  il
previo parere della Regione interessata. Inoltre, sono censurati  gli
artt. 8, 14, 16 e 17 del d.lgs. n. 104 del 2017, laddove prevedono il
coinvolgimento del Ministro dei beni culturali e  non  della  Regione
interessata per gli interventi  di  VIA  statale  da  realizzare  nel
territorio regionale.
    E' impugnato anche l'art. 16, comma 2,  del  d.lgs.  n.  104  del
2017,  introduttivo  dell'art.  27-bis  cod.   ambiente,   il   quale
disciplina  il  provvedimento  unico  regionale.  Ai  sensi  di  tale
disposizione, nei procedimenti di VIA per i quali  e'  competente  la
Regione, il relativo provvedimento, finalizzato al rilascio di  tutti
i provvedimenti altrimenti denominati, viene rilasciato a seguito  di
apposita conferenza di servizi convocata  in  modalita'  sincrona  ai
sensi dell'art. 14-ter della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme
in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso  ai
documenti amministrativi).
    Impugnati, infine, sono l'art. 22, commi 1, 2, 3 e 4, del  d.lgs.
n. 104 del 2017, che modifica gli Allegati al cod.  ambiente  recanti
gli  elenchi  dei  progetti  di  competenza  statale   o   regionale,
riallocando  in  capo  allo  Stato  una  significativa  aliquota   di
tipologie progettuali, e l'art. 26, comma 1, lettera a), del medesimo
decreto, il quale si limita a disporre le correlative abrogazioni.
    8.1.- Ad avviso delle ricorrenti, le disposizioni censurate,  che
rendono  manifesta  l'innovativita'  del  complessivo  intervento  di
riforma, non sarebbero consentite dai principi  e  criteri  direttivi
dettati   dall'art.   14   della   legge   delega,   inerenti    alla
«semplificazione, armonizzazione e razionalizzazione» delle procedure
di VIA, al  rafforzamento  della  loro  qualita',  alla  revisione  e
razionalizzazione del sistema sanzionatorio e alla  destinazione  dei
proventi delle sanzioni  amministrative.  Nessuno  di  tali  criteri,
sostengono le ricorrenti, avrebbe autorizzato il legislatore delegato
ad intervenire sul riparto delle attribuzioni tra i  diversi  livelli
istituzionali, segnatamente nella direzione di una marcata attrazione
delle competenze verso il centro. D'altra parte, a fronte di  deleghe
al riassetto o al riordino, l'esercizio di poteri innovativi potrebbe
ritenersi ammissibile  soltanto  nel  caso  in  cui  siano  stabiliti
principi   e   criteri   direttivi   idonei   a   circoscrivere    la
discrezionalita'  del  legislatore  delegato  (sono   richiamate   le
sentenze di questa Corte n. 50 del 2014, n. 162 e n. 80 del 2012 e n.
293 del 2010).
    Tanto meno,  poi,  l'intervento  in  questione  potrebbe  trovare
fondamento nei principi e  criteri  direttivi  generali  della  legge
quadro europea, richiamati dall'art. 1, comma 1, della  legge  delega
n. 114 del 2015. L'art. 32, comma 1, lettera g), della suddetta legge
quadro  prevede,   al   contrario,   che,   quando   si   verifichino
sovrapposizioni di competenze tra  amministrazioni  diverse,  debbano
essere rispettati i «principi  di  sussidiarieta',  differenziazione,
adeguatezza e leale collaborazione e le competenze  delle  regioni  e
degli altri enti territoriali».
    La direttiva 2014/52/UE, dal canto suo, non  esprimerebbe  alcuna
opzione in punto di competenza accentrata o decentrata,  riconoscendo
che  gli  Stati  membri  dispongono   di   varie   possibilita'   per
l'attuazione dei relativi obiettivi.
    8.2.-  In   via   preliminare,   va   respinta   l'eccezione   di
inammissibilita', sollevata dalla difesa statale con  riferimento  al
ricorso della Provincia autonoma di Bolzano,  per  genericita'  delle
censure  e   mancata   indicazione   delle   competenze   legislative
asseritamente lese dall'intervento normativo in oggetto.
    I  termini  delle  questioni   di   legittimita'   costituzionale
prospettate sono infatti  identificati  con  sufficiente  precisione,
risultando  soddisfatto  l'onere,  gravante  sulla   ricorrente,   di
individuazione delle disposizioni impugnate, dei parametri evocati  e
delle   ragioni   delle   violazioni   lamentate,   secondo    quanto
costantemente richiesto da questa Corte (ex plurimis, sentenza n. 103
del 2018, sentenze n. 247, n. 245 e n. 231 del 2017).
    8.3.- Tutte le ricorrenti hanno adeguatamente motivato in  ordine
alla ridondanza del vizio di eccesso di delega sulle loro competenze,
emergendo indiscutibilmente,  dai  loro  ricorsi,  quali  tra  queste
sarebbero illegittimamente incise dalle disposizioni impugnate.
    8.4.- Le questioni, tuttavia, non sono fondate.
    8.4.1.- Deve escludersi, innanzitutto, che la legge  n.  114  del
2015 rientri nel novero delle deleghe di mero riassetto  o  riordino,
in ragione delle quali, per costante giurisprudenza di questa  Corte,
i poteri  del  legislatore  delegato  di  introduzione  di  soluzioni
sostanzialmente  innovative  rispetto  alla   previgente   disciplina
normativa devono considerarsi circoscritti entro limiti puntuali.
    Va rilevato, infatti, che i principi e  criteri  direttivi  della
odierna delega, di cui si e' gia'  detto  e  sui  quali  a  breve  si
tornera', necessariamente integrati con le indicazioni  recate  dalla
direttiva  europea  da  attuare,  prefiguravano,  al  contrario,  una
complessiva riforma - ben oltre, dunque, il mero riassetto  privo  di
innovazioni - di un settore strategico per la tutela ambientale quale
e' la VIA. D'altronde,  l'attuazione  di  una  direttiva  dell'Unione
europea, per di piu' modificativa di una  precedente,  non  puo'  non
implicare  l'adozione  di  misure  normative  innovative,   volte   a
realizzare, nell'ordinamento interno, le finalita' e  agli  obiettivi
posti a livello europeo.
    8.4.2.- Per quel che concerne lo scrutinio del supposto contrasto
con i principi e criteri direttivi della  delega  o  con  i  principi
espressi dalla direttiva europea, va ricordato che la  giurisprudenza
di questa Corte e' costante  nell'affermare  che  «la  legge  delega,
fondamento  e  limite  del  potere  legislativo  delegato,  non  deve
contenere  enunciazioni  troppo  generali  o  comunque   inidonee   a
indirizzare l'attivita' normativa del legislatore  delegato,  ma  ben
puo'  essere  abbastanza  ampia   da   preservare   un   margine   di
discrezionalita', e un  corrispondente  spazio,  entro  il  quale  il
Governo  possa  agevolmente  svolgere   la   propria   attivita'   di
"riempimento" normativo, la quale e' pur sempre esercizio delegato di
una funzione "legislativa"» (sentenza n. 104  del  2017).  In  questo
quadro, la valutazione di conformita' del  decreto  legislativo  alla
sua legge delega «richiede un confronto tra gli esiti di due processi
ermeneutici paralleli: l'uno, relativo  alle  norme  che  determinano
l'oggetto, i principi ed i criteri direttivi indicati  dalla  delega,
da  svolgere  tenendo  conto  del  complessivo  contesto  in  cui  si
collocano  ed  individuando  le  ragioni  e  le  finalita'  poste   a
fondamento della legge di delegazione; l'altro, relativo  alle  norme
poste dal legislatore  delegato,  da  interpretarsi  nel  significato
compatibile con i principi  ed  i  criteri  direttivi  della  delega»
(sentenza n. 250 del 2016).
    Quando si tratti, poi, di  dare  attuazione,  per  il  mezzo  del
binomio legge di delega-decreto legislativo, alla normativa  europea,
si e' affermato,  altrettanto  costantemente,  che  «i  principi  che
quest'ultima esprime si aggiungono a quelli dettati  dal  legislatore
nazionale  e  assumono  valore  di  parametro   interposto,   potendo
autonomamente giustificare  l'intervento  del  legislatore  delegato»
(sentenze n. 210 del 2015 e n. 134 del 2013; nello stesso  senso,  la
sentenza n. 32 del 2005).
    8.4.3.- Nella specie, obiettivo della  direttiva  -  come  si  e'
ampiamente gia' visto - e' quello di  migliorare  la  qualita'  della
procedura di VIA, allineandola ai  principi  della  «regolamentazione
intelligente», diretta a semplificare le procedure e  a  ridurre  gli
oneri  amministrativi  (considerando  n.  6),  facendo  si'  che   le
procedure  stesse  possano  svolgersi  entro  un   lasso   di   tempo
ragionevole (considerando n. 36).
    La legge delega, in conformita' alla direttiva, ha  indicato,  in
particolare, la semplificazione, armonizzazione  e  razionalizzazione
delle procedure di VIA, nonche' il rafforzamento della loro qualita',
quali principi e criteri direttivi cui doveva dar seguito il Governo.
    La modifica, posta in essere dalle disposizioni impugnate,  della
distribuzione delle competenze tra Stato e Regioni in materia di  VIA
e dei relativi procedimenti non e' certo estranea  alla  ratio  della
delega. Come si spiega nella relazione di accompagnamento allo schema
di decreto legislativo trasmesso alle Camere, la  strategia  adottata
si  giustifica  con  l'esigenza  di  rendere  omogenea  su  tutto  il
territorio nazionale l'applicazione delle nuove regole,  in  modo  da
recepire fedelmente la direttiva, che reca una  disciplina  piuttosto
dettagliata, superando la pregressa situazione  di  frammentazione  e
contraddittorieta' della regolamentazione, dovuta alle  diversificate
discipline  regionali:  frammentazione  cui   erano   imputabili   le
criticita' riscontrate nella gestione  delle  procedure,  generatrice
anche di una preoccupante dilatazione dei loro tempi di definizione.
    Vero e'  che  la  "centralizzazione"  delle  competenze  non  era
specificamente imposta ne' dalla legge delega ne' dalla  direttiva  -
la quale si riferisce  genericamente  all'«autorita'  competente»  in
materia di VIA, prendendo atto delle  diverse  possibilita'  che  gli
Stati membri hanno per la sua attuazione - ma la soluzione  prescelta
dal legislatore delegato e' frutto legittimo dell'esercizio  di  quel
margine di discrezionalita' riconosciuto al Governo  per  raggiungere
gli obiettivi posti dalla direttiva e dalla legge  delega.  Cio'  non
significa - ovviamente - che l'odierna conformazione della disciplina
in tema di VIA, per il solo fatto di non  essere  stata  adottata  in
eccesso di delega, sia per  cio'  solo  rispettosa  delle  competenze
regionali   costituzionalmente   garantite:   questa,   infatti,   e'
valutazione di tutt'altro tenore, che va  condotta  alla  stregua  di
parametri  diversi  da  quelli  concernenti  la   conformita'   delle
disposizioni impugnate alla delega legislativa.
    8.4.4.- Neppure colgono nel segno alcune delle ricorrenti  quando
sostengono che la  disciplina  impugnata  sarebbe  in  contrasto,  in
particolare, con il principio e criterio direttivo  di  cui  all'art.
32, comma 1, lettera g), della legge  n.  234  del  2012,  richiamato
dalla legge delega: principio che avrebbe  imposto  al  Governo,  nei
casi  in  cui  si  verifichino  «sovrapposizioni  di  competenze  tra
amministrazioni diverse», di  individuare  procedure  rispettose  dei
«principi di sussidiarieta', differenziazione,  adeguatezza  e  leale
collaborazione» e delle «competenze delle regioni e degli altri  enti
territoriali».
    Come rilevato dall'Avvocatura generale dello  Stato,  proprio  il
richiamo del delegante ai principi di sussidiarieta'  e  adeguatezza,
lungi dal cristallizzare e  rendere  immodificabile  dal  legislatore
delegato il pregresso assetto di competenze, imponeva al  Governo  di
verificare, alla luce dell'esperienza maturata, se  l'assetto  stesso
fosse conforme ai principi evocati  e  di  eventualmente  apportarvi,
all'esito,   le   opportune   modificazioni,   in   quell'ottica   di
semplificazione e razionalizzazione complessivamente richiesta  dalla
legge delega.
    Al riguardo, va anzi  osservato  come,  alla  luce  dei  puntuali
rilievi posti in luce nella relazione di accompagnamento dello schema
di decreto delegato, fosse evidente che era  proprio  la  consistente
varieta' di  discipline  e  sovrapposizioni  di  competenze  ad  aver
determinato in misura rilevante, oltre ad una incongrua  varieta'  di
disposizioni  procedimentali,   una   consistente   e   intollerabile
dilatazione dei tempi di definizione delle procedure, specie nei casi
di maggior complessita' sul versante dell'impatto ambientale. Il che,
evidentemente, oltre a compromettere gli opposti obiettivi perseguiti
dalla nuova  direttiva  europea,  poneva  in  discussione  anche  gli
interessi dei vari soggetti coinvolti nelle procedure.
    8.4.5.- Infine, sono inammissibili le questioni di  legittimita',
prospettate dalla sola Provincia autonoma di Bolzano, concernenti  la
violazione del principio e criterio direttivo dettato  dall'art.  32,
comma 1, lettera c), della legge n. 234 del 2012.
    Tale norma, infatti, prevede che gli atti  di  recepimento  delle
direttive UE non possono prevedere l'introduzione o  il  mantenimento
di livelli di regolazione superiori a quelli minimi  richiesti  dalle
direttive stesse. La ricorrente, pero', si  limita  a  richiamare  il
divieto imposto dal legislatore delegante, senza indicare  ne'  quali
sarebbero i livelli minimi di regolazione stabiliti dalla  direttiva,
ne' per quali ragioni le  disposizioni  impugnate  li  avrebbero,  in
ipotesi, resi piu' gravosi.
    9.- Per quanto concerne lo scrutinio delle ulteriori questioni di
legittimita' costituzionale, promosse con  riferimento  ai  parametri
relativi alla distribuzione  costituzionale  delle  competenze,  esso
verra' condotto, in ragione delle  diverse  condizioni  di  autonomia
costituzionalmente garantite,  esaminando  dapprima  quelle  promosse
dalle Regioni a statuto ordinario e, successivamente, quelle proposte
dalle Regioni a statuto speciale.
    10.- Le Regioni Lombardia, Puglia,  Abruzzo,  Veneto  e  Calabria
hanno impugnato l'art. 3, comma 1, lettera g), del d.lgs. n. 104  del
2017, nella parte  in  cui  consente  al  Ministro  dell'ambiente  di
esonerare dalle procedure di VIA,  in  tutto  o  in  parte,  progetti
predisposti per rispondere ad emergenze di protezione civile.
    Sarebbero violati gli artt. 3, 5, 32, 97, 117, terzo comma, 118 e
120 Cost., con censure in larga parte sovrapponibili. In particolare,
le ricorrenti lamentano una compressione delle competenze concorrenti
in materia di protezione civile e di tutela  della  salute.  Data  la
concorrenza di competenze, vi sarebbe una lesione  del  principio  di
leale collaborazione, perche' la norma impugnata non avrebbe previsto
la necessaria intesa con  la  Regione  sul  cui  territorio  dovrebbe
essere realizzato il progetto. Sarebbe violato, poi, l'art. 3 Cost. -
in alcuni ricorsi evocato in combinato disposto con l'art. 97 Cost. -
per mancanza di proporzionalita' e rispondenza logica  rispetto  alle
finalita' dichiarate dell'intervento normativo.  Infine,  vi  sarebbe
violazione  dell'art.  118   Cost.,   sub   specie   di   illegittima
compressione delle competenze amministrative affidate alle cure degli
enti regionali.
    La sola Regione Puglia censura anche, in combinato  disposto  con
l'art. 3, comma 1, lettera g),  l'art.  18,  comma  3,  dello  stesso
decreto legislativo, il quale disciplina la cosiddetta  VIA  postuma,
nella  parte  in  cui  autorizza  la   continuazione   dell'attivita'
nonostante  l'acclarata  violazione  dei   termini   di   valutazione
ambientale, per violazione degli artt. 3, 9, 24 e 97 Cost.  In  parte
qua, il decreto consentirebbe attivita',  potenzialmente  lesive  per
l'ambiente, entro un termine non specificato in via legislativa.
    10.1.- In via preliminare, va dichiarata l'inammissibilita' delle
questioni promosse dalla Regione Puglia, sul  combinato  disposto  di
cui sopra, per difetto di motivazione in ordine alla  ridondanza  dei
vizi  evocati  su  proprie  competenze,   accogliendo,   sul   punto,
l'eccezione avanzata dalla difesa statale.
    Questa Corte ha costantemente affermato (da ultimo,  sentenze  n.
78 del 2018, n. 13 del 2017, n. 287, n. 251 e n. 244 del 2016) che le
Regioni possono  evocare  parametri  di  legittimita'  costituzionale
diversi da quelli che sovrintendono  al  riparto  di  competenze  fra
Stato  e  Regioni  solo  a  due  condizioni:  quando  la   violazione
denunciata   sia   potenzialmente   idonea   a   riverberarsi   sulle
attribuzioni regionali costituzionalmente garantite  (sentenze  n.  8
del 2013 e n. 199 del 2012) e quando le  Regioni  ricorrenti  abbiano
sufficientemente motivato in ordine alla ridondanza  della  lamentata
illegittimita' costituzionale sul riparto di competenze, indicando la
specifica  competenza  che   risulterebbe   offesa   e   argomentando
adeguatamente in proposito (sentenze n. 65 e n. 29 del 2016, n.  251,
n. 189, n. 153, n. 140, n.  89  e  n.  13  del  2015).  Le  questioni
prospettate con riferimento all'impugnazione dell'art. 18,  comma  3,
del  d.lgs.  n.  104  del  2017  non  soddisfano  nessuna  delle  due
condizioni, prive come sono di qualsiasi riferimento  alla  specifica
competenza  legislativa  che   si   assume   violata   e   risultando
impossibile,  dunque,  individuare  la   potenziale   lesione   delle
attribuzioni regionali costituzionalmente garantite.
    Di qui l'inammissibilita' delle questioni.
    10.2.- Le restanti questioni, sollevate  sull'art.  3,  comma  1,
lettera g), del d.lgs. n. 104 del 2017, non sono fondate.
    La norma impugnata riproduce quanto  stabilito  dalla  disciplina
europea,  la  quale,  all'art.  1,  paragrafo  3,   della   direttiva
2011/92/UE,  modificata  dalla  piu'  recente  direttiva  2014/52/UE,
stabilisce  che  «[g]li  Stati  membri  possono  decidere,  dopo  una
valutazione caso  per  caso  e  se  cosi'  disposto  dalla  normativa
nazionale, di non applicare la presente direttiva a progetti, o parti
di progetti, aventi quale unico obiettivo  la  difesa  o  a  progetti
aventi  quali  unico  obiettivo  la  risposta  alle   emergenze   che
riguardano  la  protezione  civile,  qualora  ritengano  che  la  sua
applicazione possa pregiudicare tali obiettivi».
    Inserendosi nel margine di discrezionalita' lasciato aperto dalla
direttiva, la normativa nazionale ha previsto  che  sia  lo  Stato  a
decidere, di volta in volta, se  abbassare  gli  standard  di  tutela
ambientale, laddove necessario a fronteggiare un fatto  emergenziale.
Non a caso, questa Corte ha gia' affermato che «non e'  inibito  allo
Stato, nell'esercizio di una scelta libera del legislatore nazionale,
prevedere in  modo  non  irragionevole  l'esclusione  della  suddetta
valutazione di impatto ambientale per opere  di  particolare  rilievo
quali quelle destinate alla protezione civile» (sentenza n.  234  del
2009).
    Di qui la non fondatezza delle censure promosse in relazione agli
artt. 3 e 97 Cost.
    10.2.1.- L'attribuzione allo Stato del potere di esonero  non  e'
incongruente con  la  necessita'  di  garantire  l'uniformita'  della
protezione ambientale. La disposizione impugnata interseca senz'altro
la materia della protezione civile, ma prevale, nel caso  di  specie,
la competenza esclusiva di cui all'art. 117, secondo  comma,  lettera
s),  Cost.,  stante  l'esigenza  di   garantire   uniformemente   sul
territorio nazionale, pur in  ragione  di  particolari  emergenze,  i
livelli di protezione ambientale.
    10.2.2.- Priva di fondamento e' altresi' la censura di violazione
del principio di leale  collaborazione,  principio  salvaguardato,  a
monte, attraverso il coinvolgimento della  Conferenza  Stato-Regioni,
chiamata ad esprimere il parere sullo schema di  decreto  legislativo
che annoverava tale norma. Deve essere sottolineato,  poi,  in  linea
con quanto sostenuto dall'Avvocatura generale  dello  Stato,  che  la
leale  collaborazione  e'   salvaguardata   anche   a   "valle"   del
procedimento amministrativo. La delibera dello  stato  di  emergenza,
infatti, viene decisa, dal Consiglio dei ministri previa  intesa  con
la Regione interessata, secondo  quanto  previsto  dall'art.  24  del
decreto legislativo 2 gennaio 2018, n.  1  (Codice  della  protezione
civile), che riproduce sul punto  quanto  stabiliva  l'art.  5  della
legge 24 febbraio 1992, n. 225 (Istituzione  del  Servizio  nazionale
della protezione civile). Alla luce di un  inquadramento  sistematico
della norma, ben puo' dirsi che la decisione  di  esonero  dalla  VIA
dovra'  succedere  alla  decisione  di   realizzare   interventi   di
protezione civile concertati con gli enti territoriali interessati.
    11.- La Regione Veneto ha impugnato  anche  l'art.  3,  comma  1,
lettera h), il quale ha sostituito il comma 11 dell'art. 6 del d.lgs.
n. 152 del 2006, prevedendo, come si e' gia' visto, che  il  Ministro
dell'ambiente, in casi eccezionali e previo parere del  Ministro  dei
beni e delle attivita' culturali e del  turismo,  possa  esentare  in
tutto o in parte un progetto specifico dalla  procedura  di  VIA.  In
tali casi, il Ministero deve  esaminare  se  sia  opportuna  un'altra
forma di valutazione; mette a  disposizione  del  pubblico  coinvolto
tutte le informazioni  raccolte  con  le  eventuali  altre  forme  di
valutazione e le ragioni  per  cui  e'  stata  concessa  l'esenzione;
informa  la  Commissione  europea   dei   motivi   che   giustificano
l'esenzione fornendo le informazioni acquisite.
    Ad avviso della ricorrente sarebbero violati  gli  artt.  3,  97,
117, terzo comma, 118 Cost. e il principio di  leale  collaborazione.
La disposizione sarebbe  irragionevole  e  porterebbe  un  vulnus  al
principio di legalita', perche'  consentirebbe  al  Ministro,  a  sua
discrezione, di privare un  progetto  della  valutazione  di  impatto
ambientale. Essa rappresenterebbe un grimaldello in grado di alterare
il sistema di riparto delle competenze esistenti tra Stato e  Regione
in  materia  di  VIA,  senza  che  sia  prevista  alcuna   forma   di
partecipazione, decisoria o istruttoria, da parte delle Regioni,  con
conseguente violazione degli artt. 118 e 120 Cost.
    11.1.- Le questioni di legittimita' costituzionale promosse dalla
Regione Veneto non sono fondate.
    La censurata  disposizione  ricalca  il  tenore  letterale  della
normativa europea (art. 2, paragrafo 4,  direttiva  2011/92/UE,  come
rivista dalla direttiva  2014/52/UE),  ponendo  in  capo  al  vertice
dell'amministrazione centrale la scelta di  derogare  ai  livelli  di
tutela ambientale e attribuendo,  in  modo  non  irragionevole,  allo
Stato  la  responsabilita'   politico-amministrativa   di   esonerare
specifici progetti di fronte alla Commissione europea.
    D'altronde, dal punto di  vista  interno,  questa  opzione  trova
coerente   giustificazione   nella   necessaria   uniformita'   della
protezione ambientale, cosi' evitando un esiziale frazionamento delle
esigenze  di  tutela.  La  prevalenza  della   finalita'   ambientale
consente, anche in questo caso, di  respingere  le  censure  relative
alla asserita violazione delle competenze regionali.
    12.- Le Regioni Lombardia, Abruzzo, Calabria e Veneto  impugnano,
in forma sostanzialmente cumulativa, gli artt. 5, 22, commi da 1 a 4,
e 26 del d.lgs. n. 104 del 2017. I primi due articoli -  come  si  e'
gia' visto - riguardano i criteri di  riparto  delle  competenze  tra
Stato e Regioni in tema di VIA e  di  assoggettabilita'  a  VIA,  con
rimodulazione  contenutistica  degli  appositi  Allegati  alla  Parte
seconda cod. ambiente, e dai quali, in buona sostanza,  si  desume  -
rispetto al previgente regime - l'allocazione in capo allo  Stato  di
una non trascurabile quantita' di tipologie progettuali per le  quali
la VIA e la verifica  di  relativa  assoggettabilita'  passano  dalla
competenza normativa e amministrativa delle Regioni  a  quella  dello
Stato.  L'art.  26  dispone  le   corrispondenti   e   conseguenziali
abrogazioni delle  previgenti  disposizioni,  espressamente  reputate
incompatibili con la nuova disciplina in tema  di  allocazione  delle
competenze.
    12.1.- Le Regioni ricorrenti lamentano che  la  nuova  disciplina
recata dalle disposizioni impugnate violi l'art. 117, terzo e  quarto
comma, Cost., in quanto sarebbero  illegittimamente  incise  le  loro
competenze ivi previste. Altresi' violato sarebbe l'art.  118  Cost.,
in quanto risulterebbero ridimensionate le competenze  amministrative
regionali e quelle gia' conferite dalla  Regione  agli  enti  locali,
prescindendo  da  ogni  valutazione  sull'adeguatezza,  o  meno,  del
livello istituzionale coinvolto, con conseguente violazione anche del
principio di leale collaborazione di cui agli artt. 5 e 120 Cost.
    Le sole Regioni Lombardia e Abruzzo  sostengono  che  l'impugnato
art. 5 sia in contrasto anche con l'art. 3 Cost. in  quanto,  per  un
verso, sarebbe irragionevole la diversita' di disciplina prevista per
la VAS e la VIA, dal momento che per la prima l'art. 7 cod. ambiente,
come modificato dall'art. 7 del d.lgs. n. 104 del 2017, ha confermato
la competenza legislativa ed amministrativa  delle  Regioni  e  delle
Province  autonome;  per  un  altro  verso,  risulterebbe  del   pari
irragionevole che, in particolare attraverso i commi 7 e 8 del  nuovo
art. 7-bis del medesimo codice, risulti preclusa la possibilita'  per
le Regioni di stabilire livelli di tutela dell'ambiente piu'  elevati
rispetto alla disciplina statale.
    12.2.- Preliminarmente,  deve  essere  rigettata  l'eccezione  di
inammissibilita', per genericita' e  carenza  di  motivazione,  delle
questioni di legittimita' costituzionale aventi per oggetto gli artt.
22 e 26 del d.lgs.  n.  104  del  2017.  Secondo  il  Presidente  del
Consiglio dei ministri, le ricorrenti avrebbero dovuto individuare  i
progetti  la  cui  sottrazione  alla  VIA  regionale   determinerebbe
violazione  dell'art.  118  Cost.,  cosi'   come   avrebbero   dovuto
adeguatamente motivare circa l'adeguatezza del livello regionale allo
svolgimento della relativa funzione amministrativa.
    I ricorsi passano in analitica rassegna le  previsioni  novellate
dalle quali emerge l'allocazione di funzioni in capo allo  Stato:  la
violazione  dell'art.  118  Cost.  risiederebbe   proprio   in   tale
circostanza,  ovverosia  nel  fatto  che  vengono  ridimensionate  le
competenze amministrative regionali e quelle a suo  tempo  conferite,
prescindendo da valutazioni sulla  adeguatezza  o  meno  del  livello
istituzionale  coinvolto,  violando  anche  il  principio  di   leale
collaborazione.  Le  Regioni,  dunque,   si   assumono   lese   dalla
sottrazione di  competenze  a  lungo  esercitate,  e  tanto  basta  a
ritenere sufficientemente motivate le censure di costituzionalita' in
relazione agli evocati parametri costituzionali.
    12.3.- Nel merito, le questioni  di  legittimita'  costituzionale
proposte in riferimento all'art. 117, terzo e quarto comma, Cost. non
sono fondate.
    Non puo' esservi dubbio, infatti,  sulla  riconducibilita'  delle
disposizioni impugnate alla potesta' esclusiva statale in materia  di
«tutela dell'ambiente» e «dell'ecosistema». Esse modificano, come  si
e' visto, i criteri di riparto delle competenze tra Stato  e  Regioni
in tema di VIA e  di  assoggettabilita'  a  VIA  (artt.  5  e  22)  e
determinano espressamente l'abrogazione delle previgenti disposizioni
reputate incompatibili (art. 26). Si tratta,  detto  altrimenti,  del
"cuore"  della  disciplina,  poiche'  sono  precisamente   le   norme
impugnate quelle che - in attuazione  degli  obiettivi,  posti  dalla
direttiva e  dalla  delega,  di  «semplificazione,  armonizzazione  e
razionalizzazione  delle  procedure   di   valutazione   di   impatto
ambientale» e di «rafforzamento della  qualita'  della  procedura  di
valutazione di  impatto  ambientale»  -  determinano  un  tendenziale
allineamento dei diversi schemi e modelli procedimentali,  assegnando
allo Stato l'apprezzamento dell'impatto  sulla  tutela  dell'ambiente
dei progetti  reputati  piu'  significativi  e,  cosi',  evitando  la
polverizzazione   e    differenziazione    delle    competenze    che
caratterizzava il  previgente  sistema.  Fattore,  quest'ultimo,  che
aveva originato  sovrapposizione  e  moltiplicazione  di  interventi,
oltre che normative differenziate  le  quali,  accanto  a  diluizioni
temporali reputate inaccettabili (puntualmente poste in evidenza  dal
Governo nella relazione illustrativa dello  schema  di  decreto  oggi
all'esame di questa Corte),  inducevano  a  deprecabili  fenomeni  di
«delocalizzazione dei progetti verso aree geografiche a basso livello
di regolazione ambientale».
    La unitarieta' e allocazione  presso  lo  Stato  delle  procedure
coinvolgenti progetti a maggior impatto ha, dunque, risposto  ad  una
esigenza  di   razionalizzazione   e   standardizzazione   funzionale
all'incremento della qualita' della  risposta  ai  diversi  interessi
coinvolti, con  il  correlato  obiettivo  di  realizzare  un  elevato
livello di protezione del bene ambientale.
    Gli argomenti sinora esposti valgono, altresi', a considerare non
fondate le censure proposte in riferimento agli artt. 5,  118  e  120
Cost.
    12.4.- In relazione alle questioni di legittimita' costituzionale
aventi per oggetto il solo art. 5 del d.lgs.  n.  104  del  2017,  le
Regioni  ricorrenti  hanno  adeguatamente  motivato  in  ordine  alla
ridondanza su loro competenze della lamentata violazione dell'art.  3
Cost.
    12.4.1. - Nel merito, tuttavia, le censure non sono fondate.
    Non puo' considerarsi irragionevole  la  scelta  del  legislatore
statale, titolare della competenza esclusiva  nella  materia  «tutela
dell'ambiente  e  dell'ecosistema»,  di  predisporre  due  discipline
differenziate per istituti, quali la VIA e la VAS, che,  pur  essendo
entrambi istituti «che valutano  in  concreto  e  preventivamente  la
"sostenibilita' ambientale"» (sentenza n. 225 del 2009),  presentano,
ad ogni modo,  peculiarita'  che  li  mantengono  distinti:  la  VIA,
difatti, svolge  una  funzione  autorizzatoria  rispetto  al  singolo
progetto ad impatto ambientale, mentre  la  VAS  si  inserisce  nella
funzione di pianificazione, proponendo un  esame  degli  effetti  che
puo' avere sull'ambiente  l'attuazione  di  previsioni  contenute  in
piani e programmi.
    La disposizione censurata, a dispetto di quanto  sostenuto  dalle
ricorrenti, non esclude,  inoltre,  che  le  Regioni  e  le  Province
autonome di Trento e di Bolzano possano, nell'esercizio delle proprie
competenze legislative, stabilire  livelli  di  tutela  dell'ambiente
piu'  elevati  di  quelli  previsti  dalla  normativa   statale.   Le
previsioni di cui ai commi 7 e 8 del nuovo art. 7-bis cod.  ambiente,
le quali dispongono che le competenze regionali siano esercitate  «in
conformita'» alla normativa europea e alle disposizioni del  medesimo
decreto, non sono tali da impedire  una  normativa  regionale  che  -
salva  l'inderogabilita',  espressamente   stabilita,   dei   termini
procedimentali massimi di cui agli artt. 19  e  27-bis  dello  stesso
cod.   ambiente   -   garantisca   maggiormente    la    salvaguardia
dell'ambiente. Di qui, pertanto, l'infondatezza, anche  sotto  questo
profilo, delle questioni di legittimita' costituzionale sollevate  in
riferimento all'art. 3 Cost.
    13.- Le Regioni Lombardia, Abruzzo e  Calabria  impugnano  l'art.
16, comma 2, del d.lgs.  n.  104  del  2017,  introduttivo  dell'art.
27-bis cod. ambiente, il  quale  disciplina  il  provvedimento  unico
regionale, per violazione degli artt. 3, 97 e 117, terzo comma, Cost.
e  del  principio  di  leale  collaborazione.  Ai   sensi   di   tale
disposizione, come gia' messo in evidenza, nei  procedimenti  di  VIA
per i quali e' competente la Regione, il relativo provvedimento,  che
comprende tutti i provvedimenti altrimenti denominati necessari  alla
realizzazione del progetto, viene rilasciato a  seguito  di  apposita
conferenza di  servizi  convocata  in  modalita'  sincrona  ai  sensi
dell'art. 14-ter della legge n. 241 del 1990.
    Ad  avviso  delle  ricorrenti  (in  particolare,  della   Regione
Calabria), sarebbe violato  il  principio  di  leale  collaborazione,
perche' lo schema di  decreto  legislativo  inviato  alla  Conferenza
Stato-Regioni sarebbe stato privo della disposizione in esame,  cosi'
da non rendere edotte  le  Regioni  circa  la  rilevante  innovazione
normativa. Sarebbe altresi' violato l'art. 3 Cost.: l'obbligatorieta'
del provvedimento unico  regionale  sarebbe  causa  di  irragionevole
disparita'  di  trattamento  rispetto  alle  procedure  di   VIA   di
competenza statale, per le quali non  e'  previsto  il  provvedimento
unico,  salvo  specifica  richiesta  del  proponente.   Inoltre,   il
provvedimento unico regionale sarebbe disciplinato da  una  normativa
eccessivamente dettagliata,  che  non  lascerebbe  alcuno  spazio  al
legislatore regionale.
    Secondo  la  Regione   Abruzzo,   poi,   l'introduzione   di   un
provvedimento   unico   regionale   sarebbe   illogica,   anche    in
considerazione del fatto che a livello statale il provvedimento unico
non opera d'ufficio, ma su richiesta del proponente.
    Il procedimento delineato sarebbe altresi' lesivo  del  principio
di buon andamento ex art. 97 Cost.,  perche'  non  vi  sarebbe  alcun
coordinamento con altri procedimenti, essendo attribuito ad  un'unica
autorita',  priva  di  competenze  tecniche,   il   relativo   potere
amministrativo.
    Nella sola rubrica del motivo di  ricorso,  la  Regione  Calabria
indica, quale disposizione impugnata, anche l'art. 16, comma  1,  del
d.lgs. n.  104  del  2017,  che  disciplina  il  provvedimento  unico
ambientale nei procedimenti di  competenza  statale,  senza  tuttavia
dedicarvi alcuna argomentazione.
    La   Regione   Puglia,   infine,   contesta    la    legittimita'
costituzionale dell'art. 14 del d.lgs. n. 104 del 2017,  nella  parte
in cui, sostituendo l'art. 25 cod. ambiente, nei provvedimenti di VIA
statale non richiede piu' il previo parere della Regione  interessata
(comma 2). Sarebbe di  conseguenza  violato  il  principio  di  leale
collaborazione.
    13.1.- In via preliminare, va dichiarata l'inammissibilita' delle
questioni, sollevate dalla Regione Calabria,  relative  all'art.  16,
comma 1, del  d.lgs.  n.  104  del  2017,  perche'  le  censure  sono
assolutamente prive di supporto argomentativo.
    13.2.- Tutte le ricorrenti, invece, hanno adeguatamente  motivato
in  relazione  alla  ridondanza  del  vizio  di  irragionevolezza   e
dell'asserita lesione del principio del buon andamento in relazione a
loro competenze legislative potenzialmente  lese  dalla  disposizione
impugnata.
    13.3.- Nel merito, tuttavia, le questioni non sono fondate.
    L'impugnato art. 16, comma 2, del  d.lgs.  n.  104  del  2017  e'
perfettamente coerente con la normativa sovranazionale, la quale  non
solo prevede la semplificazione delle procedure in materia di VIA, ma
dispone anche che gli Stati membri prevedano procedure  coordinate  e
comuni, nel caso in cui  la  valutazione  risulti  contemporaneamente
dalla  direttiva  2011/92/UE,   come   modificata   dalla   direttiva
2014/52/UE, e dalle altre direttive europee in materia ambientale  ad
essa collegate. Inoltre, l'art.  1,  paragrafo  1),  della  direttiva
2014/52/UE stabilisce nel dettaglio un  iter  procedurale  che  trova
sostanziale riproduzione nella disposizione censurata.
    La disciplina del provvedimento unico regionale, in coerenza  con
la delega conferita dal Parlamento, e'  finalizzata  a  semplificare,
razionalizzare e velocizzare la VIA regionale, nella  prospettiva  di
migliorare l'efficacia dell'azione delle  amministrazioni  a  diverso
titolo coinvolte nella realizzazione del progetto.
    E' appena il caso di notare, peraltro, come  la  norma  censurata
non comporti alcun  assorbimento  dei  singoli  titoli  autorizzatori
necessari alla realizzazione dell'opera. Il provvedimento  unico  non
sostituisce i diversi provvedimenti emessi all'esito dei procedimenti
amministrativi, di  competenza  eventualmente  anche  regionale,  che
possono interessare la realizzazione del progetto, ma li  ricomprende
nella determinazione che conclude la conferenza di servizi (comma  7,
del nuovo art. 27-bis cod. ambiente, introdotto dall'art.  16,  comma
2, del d.lgs. n. 104 del 2017). Esso ha, dunque, una natura per cosi'
dire  unitaria,  includendo  in  un  unico  atto  i  singoli   titoli
abilitativi emessi a seguito della conferenza di  servizi  che,  come
noto, riunisce in unica sede  decisoria  le  diverse  amministrazioni
competenti. Secondo una ipotesi gia' prevista dal decreto legislativo
30 giugno 2016, n. 127 (Norme per il  riordino  della  disciplina  in
materia di conferenze di servizi, in attuazione dell'articolo 2 della
legge 7 agosto 2015, n. 124) e  ora  disciplinata  dall'art.  24  del
decreto legislativo censurato, il provvedimento unico  regionale  non
e'  quindi  un  atto  sostitutivo,  bensi'  comprensivo  delle  altre
autorizzazioni necessarie alla realizzazione del progetto.
    Evidente, allora, la  riconducibilita'  della  disposizione  alla
competenza esclusiva in materia ambientale, ai sensi  dell'art.  117,
secondo comma, lettera s), Cost. Per  le  medesime  ragioni,  non  e'
fondata la questione relativa all'art. 97 Cost.
    Ne' puo' sostenersi che il decreto  legislativo  censurato  abbia
realizzato una disparita' di trattamento tra Stato  e  Regioni,  come
lamentato  dalla  Regione  Calabria,  avendo  previsto  solo  per   i
procedimenti regionali l'obbligo del provvedimento unico, mentre  per
i procedimenti di competenza statale spetta al proponente  la  scelta
di  avvalersi  di   tale   strumento.   Appartiene,   infatti,   alla
discrezionalita' del legislatore statale,  nell'esercizio  della  sua
competenza  esclusiva,  anche  in  considerazione  delle  particolari
dimensioni e del rilievo dei progetti da autorizzare a se' riservati,
la modulazione dell'innovativo procedimento di VIA.
    La  pretesa  violazione  della  leale  collaborazione,  anch'essa
lamentata  dalla  Regione  Calabria,  e',  di  la'  da   ogni   altra
considerazione, priva di riscontro fattuale: il  provvedimento  unico
era gia' contenuto nell'art. 24 dello schema di decreto  legislativo,
che andava a sostituire il comma 4 dell'art. 14 della  legge  n.  241
del  1990.  Su  sollecitazione  della  Conferenza  Stato-Regioni,  il
Governo ha solo provveduto ad inserire  un'autonoma  disposizione  su
procedimento  e  provvedimento  unico,   lasciando,   nell'art.   24,
l'individuazione della  conferenza  di  servizi  come  sede  deputata
all'acquisizione   degli   altri   provvedimenti    necessari    alla
realizzazione del progetto.
    13.4.- Del pari non fondata  e'  la  questione,  sollevata  dalla
Regione Puglia, in ordine all'art. 14 del d.lgs. n. 104 del 2017. Non
sussiste,   infatti,   la   violazione   del   principio   di   leale
collaborazione, perche', coinvolta la Regione  a  monte  in  sede  di
Conferenza Stato-Regioni, la riconducibilita' della  disciplina  alla
tutela   ambientale   rende   non   doverose   ulteriori   forme   di
coinvolgimento delle Regioni a valle,  nell'ambito  del  procedimento
amministrativo che ricade nella competenza esclusiva dello Stato.
    14.- Le Regioni Lombardia, Abruzzo, Veneto e  Calabria  impugnano
l'art. 21 del d.lgs. n. 104 del 2017,  che  sostituisce  il  comma  1
dell'art. 33  cod.  ambiente,  concernente  la  determinazione  delle
tariffe a carico di coloro che propongono progetti, piani o programmi
da sottoporre a verifica.
    In via generale, la disciplina contenuta nel citato  art.  33  e'
finalizzata a porre a carico del proponente gli oneri complessivi per
lo svolgimento di tutte le  attivita'  e  di  tutti  gli  adempimenti
necessari ai  fini  della  valutazione  dei  progetti  oggetto  delle
domande di autorizzazione.
    Nella versione antecedente alla novella del 2017, la disposizione
demandava, al comma 1, a un  decreto  del  Ministro  dell'ambiente  e
della tutela del territorio e del mare, di concerto con  il  Ministro
dello sviluppo economico e con  il  Ministro  dell'economia  e  delle
finanze, la determinazione - sulla base di quanto previsto  dall'art.
9 del d.P.R. 14 maggio 2007, n. 90 (Regolamento per il riordino degli
organismi operanti presso il Ministero dell'ambiente e  della  tutela
del territorio e del mare, a norma dell'articolo 29 del decreto-legge
4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla  legge  4
agosto 2006, n. 248) - delle «tariffe da applicare ai proponenti  per
la copertura  dei  costi  sopportati  dall'autorita'  competente  per
l'organizzazione e lo svolgimento  delle  attivita'  istruttorie,  di
monitoraggio e controllo previste dal presente decreto». Il  comma  2
dell'art.  33  del  d.lgs.  n.  152  del  2006,  invece,  e'  rimasto
inalterato e riconosce alle  Regioni  e  alle  Province  autonome  di
Trento e di Bolzano la possibilita' di determinare «proprie modalita'
di quantificazione e corresponsione degli oneri da porre in  capo  ai
proponenti».
    L'art. 21 del d.lgs. n. 104 del 2017 ha sostituito,  come  detto,
unicamente il comma 1 del  citato  art.  33.  Di  la'  dalla  diversa
articolazione sintattica, la nuova disposizione continua a  demandare
la determinazione  delle  tariffe  -  peraltro,  con  piu'  specifico
riferimento   alla   copertura   dei   costi   delle   procedure   di
assoggettabilita' a VIA, di VIA e di VAS (anziche' genericamente alle
procedure previste dal cod. ambiente) - a  un  decreto  del  Ministro
dell'ambiente, di concerto con  il  Ministro  dell'economia  e  delle
finanze. In luogo del pregresso richiamo all'art. 9 del d.P.R. n.  90
del 2017, si stabilisce che la determinazione debba aver luogo «sulla
base del costo effettivo del servizio».
    14.1.- Le censure delle  quattro  ricorrenti  si  incentrano  sul
mancato  coinvolgimento  delle  Regioni  nella  determinazione  delle
tariffe: coinvolgimento da ritenere necessario, essendo  quest'ultima
basata su un elemento - il «costo effettivo del servizio»  -  la  cui
quantificazione non potrebbe prescindere da un confronto con tutte le
autorita' competenti in  materia  di  VIA  (e  dunque  anche  con  le
Regioni).
    Tale mancato coinvolgimento renderebbe la disposizione  impugnata
in contrasto con il principio di leale collaborazione e con gli artt.
117, terzo e quarto comma, e 118 Cost., in quanto le norme  censurate
comprimerebbero il potere della Regione di  individuare  le  migliori
condizioni di esercizio delle funzioni di propria competenza, secondo
i principi di sussidiarieta', differenziazione e adeguatezza, nonche'
lederebbero l'autonomia  legislativa  della  Regione  in  materia  di
organizzazione e la sua autonomia amministrativa.
    La  sola  Regione  Veneto,  infine,  lamenta  la  violazione   di
ulteriori tre parametri: l'art. 119 Cost., per lesione dell'autonomia
finanziaria delle Regioni, posto che le valutazioni amministrative  e
finanziarie in materia di VIA verrebbero ad essere condizionate dalla
remunerativita' delle tariffe stabilite unilateralmente dallo  Stato;
l'art. 3 Cost.,  stante  l'irragionevolezza  di  una  disciplina  che
«attribuisce una competenza decisoria ad un soggetto, senza prevedere
adeguati apporti istruttori da parte delle altre autorita' competenti
a  disciplinare  il  relativo   procedimento   e   i   suoi   aspetti
organizzatori»; infine, l'art. 97 Cost., in quanto la  partecipazione
delle   Regioni   al   processo   decisionale,   potendo   comportare
semplificazioni procedurali, potrebbe determinare risparmi di  spesa,
con la conseguenza che la mancanza di tale  partecipazione  finirebbe
per tradursi anche in un inutile aggravio di spese in violazione  del
principio di buon andamento della pubblica amministrazione.
    14.2.- Anche  in  relazione  alle  questioni  ora  in  esame,  le
ricorrenti hanno adeguatamente motivato in punto  di  ridondanza,  su
loro attribuzioni, della violazione di  parametri  non  attinenti  al
riparto delle competenze.
    14.3.- Nel merito, tuttavia, le questioni non sono  fondate,  nei
limiti e nei termini che seguono.
    La norma censurata, incidendo sul solo comma 1 dell'art.  33  del
d.lgs. n. 152 del 2006, ha inteso modificare  la  disciplina  per  la
determinazione  delle  tariffe  per  le  procedure  di  verifica   di
assoggettabilita' a VIA, di VIA e di VAS di competenza statale.  Come
ha rilevato l'Avvocatura generale dello Stato, la circostanza che sia
stata lasciata inalterata, invece, la previsione del successivo comma
2, non puo' avere altra valenza che quella di mantenere in capo  alle
Regioni e alle Province autonome il potere di  stabilire  un  proprio
regime tariffario, relativamente  alle  medesime  procedure  di  loro
competenza.
    E'  soltanto  necessario  che  le  Regioni,  nel  determinare  le
tariffe, rispettino il criterio generale, introdotto dal  legislatore
delegato, della commisurazione degli oneri al  «costo  effettivo  del
servizio»: criterio che, sebbene enunciato al comma  1,  ha  tuttavia
portata generale, anche  perche'  sintonico  alla  ratio  complessiva
dell'art. 33 cod. ambiente, la quale, come gia' accennato, e'  quella
di porre a carico dei proponenti gli oneri  economici  connessi  allo
svolgimento  delle   valutazioni   e   delle   verifiche   a   tutela
dell'ambiente.
    Le doglianze relative al  mancato  coinvolgimento  delle  Regioni
nella quantificazione di tale onere non ha, dunque, ragion  d'essere,
poiche' l'opzione  ermeneutica  costituzionalmente  imposta  comporta
che, per le procedure di loro competenza, le Regioni  e  le  Province
autonome, non solo sono coinvolte, ma sono titolari della potesta' di
determinazione delle tariffe.
    15.- Le Regioni Lombardia, Abruzzo e Calabria impugnano l'art. 27
del d.lgs. n.  104  del  2017,  recante  la  clausola  di  invarianza
finanziaria.  Il  comma  1  di  tale  disposizione   stabilisce   che
«[d]all'attuazione del presente decreto non devono derivare  nuovi  o
maggiori oneri a carico della finanza pubblica»; il comma 2 prescrive
che «[f]ermo il disposto di cui all'articolo 21» - relativo, come  si
e' appena visto, alle tariffe  da  applicare  ai  proponenti  per  la
copertura dei costi delle procedure di verifica di  assoggettabilita'
a VIA, di VIA e di VAS - «le attivita' di  cui  al  presente  decreto
sono  svolte  con  le  risorse  umane,  strumentali   e   finanziarie
disponibili a legislazione vigente».
    15.1.-  Tutte  e  tre  le  ricorrenti  denunciano  la  violazione
dell'art. 76 Cost., assumendo che la disposizione impugnata  si  pone
in contrasto con l'art. 1, comma 4, della legge  delega  n.  114  del
2015, che prevede la possibilita' di riconoscere risorse in relazione
a spese non contemplate dalle leggi  vigenti  e  che  non  riguardino
l'attivita' ordinaria delle amministrazioni,  nei  limiti  occorrenti
per l'adeguamento alla direttiva europea.
    La  sola  Regione  Calabria  denuncia,  altresi',  la  violazione
dell'art. 81 Cost., assumendo  che,  nella  specie,  la  clausola  di
invarianza finanziaria risulterebbe  «palesemente  aleatoria»,  posto
che le modifiche alle procedure di VIA implicherebbero nuovi oneri  a
carico  dell'autorita'  competente  per   effetto   degli   ulteriori
adempimenti  procedurali  previsti,  «con  presumibili  esigenze   di
risorse aggiuntive».
    Le Regioni Lombardia e Abruzzo lamentano  ulteriormente,  a  loro
volta, la violazione degli artt. 117, terzo comma,  e  118  Cost.  Il
d.lgs. n. 104 del 2017 avrebbe, infatti, imposto alle  Regioni  nuovi
adempimenti, con  conseguenti  nuovi  oneri,  intervenendo  anche  su
materie  di   competenza   concorrente,   senza   alcuna   previsione
finanziaria e imponendo, anzi, il «blocco delle risorse».
    15.2.-   L'Avvocatura   generale   dello   Stato   ha    eccepito
l'inammissibilita' di tutte le questioni, per genericita'  e  difetto
di motivazione in punto di violazione  dei  parametri  costituzionali
evocati.
    L'eccezione e' fondata.
    Le ricorrenti sostengono che la nuova disciplina posta dal d.lgs.
n.  104  del  2017  ha  determinato  un  incremento  di   adempimenti
procedimentali a  loro  carico,  ma,  oltre  a  non  precisare  quali
sarebbero tali nuovi adempimenti, neppure identificano puntualmente i
maggiori oneri economici che ne deriverebbero.
    Le evocate  censure,  peraltro,  finiscono  per  rivelarsi  anche
contraddittorie  rispetto  alla  doglianza  principale  delle  stesse
ricorrenti, ovvero  l'avvenuta  contrazione,  ad  opera  del  decreto
legislativo impugnato, delle competenze regionali in materia di  VIA.
A una tale contrazione, infatti, dovrebbe logicamente  conseguire  un
decremento, e non gia'  un  incremento,  delle  esigenze  finanziarie
delle  Regioni,  sicche'  tanto  piu'  sarebbe  stata  necessaria  la
specifica indicazione dei lamentati maggiori oneri economici.
    16.- Scrutinate e decise le questioni sollevate dalle  Regioni  a
statuto ordinario, e' ora possibile affrontare  le  censure  proposte
dagli enti ad autonomia differenziata.
    17.-  Le   Regioni   autonome   Valle   d'Aosta/Vallee   d'Aoste,
Friuli-Venezia Giulia e Sardegna, e le Province autonome di Trento  e
di Bolzano impugnano, sotto vari profili, gli artt. 5, 22  e  26  del
d.lgs. n. 104 del 2017, i quali, come si e' gia' visto, modificano le
competenze in tema di VIA e di assoggettabilita' a VIA.
    17.1.-  Le  Regioni  Friuli-Venezia  Giulia   e   Sardegna,   con
argomentazioni pressoche'  identiche,  lamentano  la  violazione,  da
parte delle disposizioni censurate, di norme dei  rispettivi  statuti
speciali attributive di competenze, nonche' dell'art. 117, secondo  e
terzo comma, Cost.
    La Regione Valle d'Aosta/Vallee d'Aoste censura i soli artt. 5  e
22, commi 1, 2, 3 e 4, del d.lgs. n. 104 del 2017, in  riferimento  a
diversi parametri del proprio statuto speciale, in combinato disposto
con l'art. 117, primo e terzo comma, Cost., in quanto sarebbero state
sottratte competenze ad essa spettanti, nonche' in  riferimento  agli
artt. 3, 97 e 118 Cost., poiche' la nuova disciplina, avendo adottato
criteri  privi  di  valore  sintomatico  riguardo   alla   dimensione
regionale o  sovraregionale  dell'intervento,  non  risponderebbe  ad
alcun canone di razionalita', ma soltanto a «un'ispirazione tutoria e
centralistica  fine  a  se'  stessa»,  cosi'  disattendendo  anche  i
principi di buon andamento e sussidiarieta'.
    17.1.1.- Le questioni non sono fondate.
    Si e' gia' posto in luce come, in linea di principio e  salva  la
valutazione da condurre sulle singole norme, il  decreto  legislativo
impugnato,  adottato   nella   materia   «tutela   dell'ambiente»   e
«dell'ecosistema», debba essere ascritto alla categoria  delle  norme
fondamentali di riforma economico-sociale, in quanto tale  capace  di
condizionare  e  limitare   anche   le   competenze   statutariamente
attribuite alle Regioni speciali e alle Province autonome.
    Tale  qualificazione  indubbiamente  deve  essere  attribuita  al
censurato  art.  5,  che,  lo  si  e'  gia'  diffusamente   rilevato,
costituisce  il  nucleo  essenziale  della  riforma,  realizzata  dal
legislatore statale, in tema di VIA e  di  assoggettabilita'  a  VIA,
istituti chiave per la tutela dell'ambiente, la quale necessita di un
livello di protezione uniforme sul territorio nazionale. L'art. 22 e'
strettamente connesso con la disciplina posta  dall'art.  5,  poiche'
detta le modifiche agli Allegati alla  Parte  seconda  cod.  ambiente
conseguenti alla rivisitazione delle competenze di cui  al  novellato
art. 7-bis del medesimo codice. L'art. 26,  per  conto  suo,  dispone
l'espressa abrogazione della previgente disciplina.
    Inoltre, come pure si e' gia'  posto  in  evidenza,  la  profonda
rivisitazione delle competenze  in  materia  e'  diretta  conseguenza
dell'attuazione degli obiettivi  posti  dalla  direttiva  dell'Unione
europea, sicche' la normativa impugnata e' altresi' da ricondurre  al
limite degli obblighi europei,  che  pure  condiziona  le  competenze
statutarie.
    Quanto,  invece,  alle  censure,  proposte  dalla  Regione  Valle
d'Aosta/Vallee d'Aoste, per violazione degli artt. 3, 97 e 118 Cost.,
va rilevato che le opzioni del legislatore  statale  in  materia  non
necessariamente  devono  rimanere  ancorate   a   criteri   meramente
territoriali, potendo ritenersi preferibile ripartire le  competenze,
nel perseguimento degli obiettivi di salvaguardia ambientale, in base
all'intensita' di impatto sull'ambiente che un  determinato  progetto
puo' presentare.
    17.2.- La Provincia autonoma di Trento impugna gli artt.  5,  22,
commi 1, 2, 3 e 4, e 26, comma 1, lettera a), del d.lgs. n.  104  del
2017 in riferimento a diversi parametri dello statuto speciale  della
Regione Trentino-Alto Adige/Südtirol e relative norme di  attuazione,
in quanto sarebbero state sottratte  competenze  ad  essa  spettanti,
nonche' in riferimento: a) agli artt. 117,  terzo,  quarto  e  quinto
comma, e 120, secondo comma, Cost., per come attuato dalla  legge  n.
234 del 2012,  nonche'  in  riferimento  all'art.  7  del  d.P.R.  19
novembre 1987, n. 526 (Estensione alla regione Trentino Alto-Adige ed
alle province autonome di Trento e  Bolzano  delle  disposizioni  del
decreto del Presidente della Repubblica  24  luglio  1977,  n.  616),
disponendo  la  Provincia  autonoma  del  potere  di   dare   diretta
attuazione alle  direttive  dell'Unione  europea,  nelle  materie  di
propria  competenza,  con  la  conseguenza  che  le  norme  censurate
verrebbero a sovrapporsi e condizionare  la  disciplina  provinciale,
senza presentare i caratteri di suppletivita' e cedevolezza richiesti
per la funzione sostitutiva di cui all'art. 41, comma 1, della  legge
n. 234 del 2012; b) in riferimento agli  artt.  3  e  97  Cost.,  per
violazione   dei   principi   di   ragionevolezza   e   difetto    di
proporzionalita', in quanto verrebbero introdotte norme di  dettaglio
che  costringono  la  legislazione  provinciale  ad   un   grado   di
uniformita' eccessivo  rispetto  al  fine  di  attuare  la  direttiva
europea e che non consentono alle autonomie speciali di tenere  conto
delle proprie peculiarita' istituzionali,  in  tal  modo  rivelandosi
fonte di cattiva amministrazione.
    La Provincia autonoma di Bolzano impugna soltanto  gli  artt.  5,
comma 1, e 22, commi 1, 2, 3 e 4, del d.lgs.  n.  104  del  2017,  in
riferimento a diversi parametri dello statuto speciale della  Regione
Trentino-Alto Adige/Südtirol  e  relative  norme  di  attuazione,  in
quanto  sarebbero  state  sottratte  competenze  ad  essa  spettanti,
nonche' in riferimento: a) all'art. 118  Cost.,  per  violazione  del
principio di  sussidiarieta'  e  delle  regole  che  disciplinano  la
chiamata in sussidiarieta'; b) all'art. 117, quinto  comma,  Cost.  e
agli artt. 7 e 8 del d.P.R. n. 526 del  1987,  che  riconoscono  alle
Province autonome il potere di dare diretta attuazione alle direttive
dell'Unione europea nelle materie di  loro  competenza;  c)  all'art.
117, primo comma, Cost., in correlazione alla  direttiva  2014/52/UE,
non  potendo  il  decreto   legislativo   «vincolare   le   autonomie
territoriali al di la' di quanto discende  dagli  obblighi  derivanti
dall'ordinamento dell'Unione europea»; d) agli artt. 3  e  97  Cost.,
per  contrasto  con  il  principio  di  ragionevolezza,  non  essendo
giustificato uno spostamento  cosi'  massiccio  di  competenze  dalle
Regioni allo Stato in funzione di un miglioramento della qualita' del
procedimento, della semplificazione e della maggiore efficienza,  non
comprendendosi come una gestione  accentrata  e  unitaria  a  livello
statale  possa  essere  piu'   efficiente   di   una   decentrata   e
diversificata nelle varie autonomie territoriali; e) all'art.  4  del
d.lgs. n. 266 del 1992, che esclude, in via generale,  che  la  legge
possa  attribuire  ad  organi   statali   l'esercizio   di   funzioni
amministrative nelle  materie  statutariamente  di  competenza  delle
Province autonome.
    17.2.1.- In via preliminare,  il  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri  ha   eccepito   l'inammissibilita'   delle   questioni   di
legittimita'  proposte,  dalla  Provincia  autonoma  di  Trento,   in
riferimento agli artt. 3 e 97 Cost., per genericita' e  apoditticita'
degli argomenti addotti.
    L'eccezione e' fondata.
    La ricorrente non ha adeguatamente chiarito  quali  sarebbero  le
proprie  peculiarita'   istituzionali   limitate   dalla   disciplina
impugnata, la  quale  avrebbe  l'effetto  di  compromettere  il  buon
andamento dell'attivita' amministrativa. Le argomentazioni spese  sul
punto, inoltre, non sono sufficienti neppure a motivare la ridondanza
su competenze provinciali della  supposta  violazione  dei  parametri
costituzionali evocati.
    17.2.2.- Nel merito, le residue questioni non sono fondate.
    Le disposizioni impugnate, come si e' gia' posto  in  luce,  sono
state adottate nella materia di competenza esclusiva statale  «tutela
dell'ambiente» e «dell'ecosistema» e devono essere qualificate  quali
norme di riforma economico-sociale, capaci di limitare le  competenze
statutariamente attribuite alle Province autonome.  Ne  consegue  che
non viene in considerazione la potesta'  di  queste  ultime  di  dare
diretta attuazione, nelle materie di loro competenza, alle  direttive
dell'Unione  europea,  ne'  si  verte  in  un  caso  di  chiamata  in
sussidiarieta', ne', ancora, trova applicazione l'art. 4  del  d.lgs.
n. 266 del 1992.
    Non sussiste, poi, la  violazione  dell'art.  117,  primo  comma,
Cost., lamentata dalla Provincia autonoma di Bolzano,  in  quanto  le
disposizioni impugnate, lo si e' gia' rilevato, sono attuative  degli
obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione europea e
non pongono a carico delle autonomie alcun vincolo ulteriore rispetto
a tali obblighi.
    Neppure fondata e', infine, la questione proposta dalla  medesima
Provincia autonoma di Bolzano in relazione agli artt. 3 e 97 Cost.  A
prescindere da  ogni  valutazione  circa  la  corretta  evocazione  a
parametro di quest'ultima disposizione costituzionale, insistendo  la
censura soltanto sulla ragionevolezza della scelta  di  accentramento
delle competenze, deve ribadirsi quanto  si  e'  gia'  osservato:  il
legislatore statale, nel rivisitare le competenze in materia di VIA e
di assoggettabilita' a VIA, non  doveva  prendere  in  considerazione
criteri  meramente  territoriali,  in   quanto   gli   obiettivi   di
salvaguardia ambientale, che ha ritenuto di perseguire attraverso una
migliore qualita' ed efficienza dei procedimenti, ben  giustificavano
l'adozione di un criterio orientato alla valutazione  dell'intensita'
di impatto ambientale che i singoli progetti, di la' dall'allocazione
geografica, possono presentare.
    18.- Le Province autonome di Trento e Bolzano censurano gli artt.
8, 16, commi 1 e 2, e 24 del d.lgs. n. 104 del 2017, nella  parte  in
cui siano da considerarsi ad esse applicabili.
    18.1.- L'art. 8, sostitutivo dell'art. 19 cod. ambiente, pone una
nuova disciplina delle modalita' di svolgimento del  procedimento  di
verifica di assoggettabilita' a VIA, secondo una serie di  articolati
passaggi procedurali.
    Nel caso in cui venga stabilito di non sottoporre il  progetto  a
VIA,  l'autorita'  deve  motivare  tenendo  conto   delle   eventuali
osservazioni del Ministro dei beni e delle attivita' culturali e  del
turismo.
    Secondo  le  Province  autonome,  detto  art.  8   porrebbe   una
disciplina estremamente dettagliata del procedimento di  verifica  di
assoggettabilita' a VIA, dalle modalita' di trasmissione dello studio
preliminare alle modalita' di  pubblicazione,  alla  istruttoria,  ai
termini del procedimento,  ai  modi,  ai  tempi  e  ai  limiti  delle
possibilita' di interlocuzione con gli interessati.  Stesso  discorso
varrebbe per il comma 2 dell'art. 16 del  d.lgs.  n.  104  del  2017,
introduttivo, come si e' visto, del provvedimento unico regionale, il
quale recherebbe una disciplina - ugualmente analitica e minuziosa  -
del procedimento di VIA di competenza regionale. Secondo la Provincia
autonoma di Bolzano, tali disposizioni si porrebbero in irrimediabile
contrasto con la normativa  comunitaria,  cosi'  violando  i  vincoli
derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione europea.
    18.2.- Analoghe censure  sono  riferite  anche  all'art.  24  del
decreto legislativo impugnato, che sostituisce il comma  4  dell'art.
14 della legge n. 241 del 1990, affidando alla conferenza di servizi,
convocata in modalita'  sincrona  ai  sensi  dell'art.  14-ter  della
medesima  legge,  l'adozione  di  tutti  provvedimenti  legati   alla
procedura di VIA.
    Tali disposizioni si porrebbero in contrasto  con  una  serie  di
competenze legislative proprie (primarie e concorrenti)  riconosciute
alle Province autonome dallo statuto reg. Trentino-Alto Adige.
    In particolare, la disciplina statale contrasterebbe  con  l'art.
8, comma 1, dello statuto, che assegna una generale potesta' primaria
di  auto-organizzazione  alla  Provincia  autonoma,  comprensiva  del
procedimento di valutazione di impatto ambientale, e con l'art. 16 di
detto  statuto,  che  affida  alle  Province  autonome  le   funzioni
amministrative corrispondenti alle competenze legislative, oltre  che
con la «tutela della salute», spettante alle ricorrenti in virtu' del
combinato disposto dell'art. 117, terzo comma, Cost. e  dell'art.  10
della legge cost. n. 3 del 2001.
    Inoltre, la competenza delle  Province  autonome  in  materia  di
disciplina del procedimento di VIA sarebbe espressamente riconosciuta
dalla normativa di attuazione dello statuto speciale (art. 19-bis del
d.P.R. 22 marzo 1974, n. 381,  recante  «Norme  di  attuazione  dello
statuto speciale per la regione Trentino  Alto-Adige  in  materia  di
urbanistica ed opere pubbliche»). Ai sensi  di  tale  norma,  per  le
opere soltanto delegate dallo Stato, le Province autonome di Trento e
di Bolzano,  per  il  rispettivo  territorio,  possono  applicare  la
normativa provinciale in materia di organizzazione degli  uffici,  di
contabilita', di attivita' contrattuale,  di  lavori  pubblici  e  di
valutazione di impatto ambientale.
    Le competenze statutarie non  potrebbero  essere  limitate  dalla
competenza statale in materia di tutela dell'ambiente  ex  art.  117,
secondo comma, lettera s), Cost., essendo un  tale  effetto  precluso
dalla clausola di maggior favore sancita  dall'art.  10  della  legge
cost. n. 3 del 2001.
    Sarebbero violati, inoltre, gli artt. 117, quinto comma,  e  120,
secondo comma, Cost. Le Province autonome disporrebbero, infatti, del
potere di dare immediata attuazione alle direttive comunitarie  nelle
materie di propria competenza fin dall'entrata in vigore dell'art.  7
del d.P.R. n. 526 del 1987, di attuazione dello statuto,  potere  che
e' stato esteso alle materie di competenza concorrente  dall'art.  9,
commi 1 e 2, della legge 9 marzo 1989, n. 86  (Norme  generali  sulla
partecipazione dell'Italia al processo normativo comunitario e  sulle
procedure di  esecuzione  degli  obblighi  comunitari).  Tale  potere
sarebbe ora previsto, in via generale, dall'art. 117,  quinto  comma,
Cost., la cui legge di attuazione - la n. 234 del 2012 - tiene fermo,
per le Regioni a statuto speciale e per le Province autonome, «quanto
previsto nei rispettivi statuti speciali e nelle  relative  norme  di
attuazione» (art. 59).
    Sarebbe  leso,  inoltre,  il  principio   di   ragionevolezza   e
proporzionalita', ex artt. 3 e 97  Cost.,  in  quanto  la  disciplina
impugnata vincolerebbe le Province autonome ad  uniformarsi  a  norme
dettagliate  che  costringerebbero  la   legislazione   regionale   e
provinciale ad un grado di uniformita'  eccessiva  rispetto  al  fine
attuare la direttiva europea.  Vi  sarebbe,  inoltre,  la  violazione
dell'art. 2 del d.lgs. n. 266 del 1992, che vieta la sostituzione  di
discipline statali alle discipline provinciali, prevedendo invece  un
dovere  di  adeguamento  di  queste  ultime,  limitato  dalle  regole
statutarie e presidiato dalla Corte costituzionale.
    18.3.- Le Province autonome  hanno  impugnato  anche  l'art.  16,
comma 1, del d.lgs. n. 104 del 2017, il quale ha sostituito l'art. 27
cod. ambiente.
    Tale disposizione introduce il  provvedimento  unico  statale  in
materia ambientale. Viene  cioe'  previsto  che,  su  iniziativa  del
proponente, per i procedimenti di cui e' competente l'amministrazione
statale sia adottato un  provvedimento  autorizzatorio  inclusivo  di
ulteriori titoli abilitativi, specificamente individuati dal  decreto
stesso.
    18.4.-  La  Provincia  autonoma  di   Trento   ritiene   che   il
provvedimento unico statale, che  comprende  il  rilascio  di  alcuni
titoli tra i  quali  l'autorizzazione  in  materia  di  scarichi  nel
sottosuolo,  l'autorizzazione  paesaggistica,  culturale   e   quella
riguardante  il  vincolo  idrogeologico,  invaderebbe  le  competenze
legislative  e   amministrative   della   ricorrente.   Inoltre,   la
disposizione sarebbe illegittima nella parte in cui  richiama  l'art.
14-ter della legge n.  241  del  1990,  scegliendo  cosi'  il  modulo
procedimentale della conferenza di servizi  con  modalita'  sincrona,
senza rinviare anche all'art. 14-quinquies, che regola  i  rimedi  in
caso di dissenso tra amministrazioni procedenti. Anche  la  Provincia
autonoma di Bolzano censura la disposizione, nella parte in  cui  non
consentirebbe un idoneo coinvolgimento delle Regioni e delle Province
autonome,   secondo   quanto    prescritto    dalla    giurisprudenza
costituzionale in tema di chiamata in sussidiarieta'.
    18.5.-  La  Regione  autonoma  Valle  d'Aosta/Vallee  d'Aoste  ha
impugnato, a sua volta, gli artt. 16, comma 2, e 24 del d.lgs. n. 104
del 2017. Secondo la ricorrente, tali  disposizioni  contrasterebbero
con le competenze legislative riconosciute dallo statuto  valdostano,
oltre che con gli artt. 3, 5, 97, 117, primo e terzo comma, 118 e 120
Cost., anche in relazione all'art. 10 della  legge  cost.  n.  3  del
2001.
    La pretesa del legislatore statale di disciplinare dal  centro  e
in modo uguale per tutto il suolo nazionale la VIA  regionale,  senza
tenere in  alcuna  considerazione  le  specificita'  locali,  sarebbe
manifestamente  irragionevole  e  contraria  ai  principi   di   buon
andamento (art. 97 Cost.), sussidiarieta'  e  differenziazione  (art.
118 Cost.).
    18.6.- Devono essere rigettate, preliminarmente, alcune eccezioni
avanzate dalla difesa statale. In particolare, raggiungono la  soglia
minima di chiarezza e completezza argomentativa le  censure  proposte
dalla Provincia autonoma di  Bolzano  relative  alla  violazione  del
principio di sussidiarieta' e alla lesione del principio di legalita'
in  relazione  ai  vincoli  derivanti  dall'appartenenza  dell'Italia
all'Unione europea.
    Analogamente,   devono   essere   respinte   le   eccezioni    di
inammissibilita' avanzate dalla difesa statale in merito alle censure
delle Province autonome relative  ai  principi  di  ragionevolezza  e
proporzionalita' ex artt. 3 e 97 Cost. Le ricorrenti,  al  contrario,
hanno posto in evidenza con sufficiente precisione i prospettati vizi
di illegittimita' costituzionale e hanno adeguatamente dimostrato  la
ridondanza delle violazioni di disposizioni  costituzionali  estranee
al Titolo V  della  Parte  II  della  Costituzione  sulle  competenze
costituzionalmente garantite.
    18.7.- Le  questioni  di  legittimita'  costituzionale,  promosse
dalle Province autonome, riguardanti l'art. 8 del d.lgs. n.  104  del
2017, che disciplina il procedimento di verifica di assoggettabilita'
a VIA, non sono fondate.
    La norma impugnata non risulta incongruente o eccedente  rispetto
alla ratio complessiva della riforma. Per alcuni  aspetti,  peraltro,
essa  e'  direttamente  riproduttiva  della   direttiva   2014/52/UE,
normativa  che  fa  riferimento  alla  necessita'  che  la   domanda,
adeguatamente pubblicizzata, del proponente evidenzi i  punti  chiave
del progetto (considerando n. 26; art. 1, paragrafo  4),  ai  criteri
che l'autorita'  competente  deve  seguire  per  l'esclusione  di  un
progetto dalla VIA (considerando n. 28 e n. 29; art. 1, paragrafo  4,
Allegato III) e alla necessita' di concludere il  procedimento  entro
un termine  complessivo  di  90  giorni.  Anche  la  possibilita'  di
sospendere i  termini  per  ragioni  eccezionali  trova  una  diretta
copertura sovranazionale (art. 1, paragrafo 4).
    Come questa Corte ha  gia'  affermato  in  relazione  alla  prima
attuazione nazionale della disciplina comunitaria sulla VIA (legge  8
luglio 1986, n. 349, recante «Istituzione del Ministero dell'ambiente
e norme in materia di danno ambientale»), con riferimento  proprio  a
un ricorso presentato dalla Provincia autonoma di Bolzano, la mancata
attuazione   della   direttiva   sull'intero   territorio   nazionale
esporrebbe  lo  Stato  italiano  al  rischio  di  una  procedura   di
infrazione per violazione del diritto sovranazionale.
    La nuova procedura relativa alla verifica di assoggettabilita'  a
VIA si inserisce nel complessivo intervento di riforma realizzato dal
legislatore statale in attuazione  degli  obblighi  europei,  che  le
Province autonome sono tenute a rispettare.
    D'altro canto,  l'eventuale  accoglimento  delle  questioni,  con
conseguente effetto di ritenere non applicabile  la  norma  (o  anche
solo parti di  essa),  rischierebbe  non  solo  di  minare  la  ratio
complessiva della riforma, ma anche la sua organicita',  causando  un
inammissibile frazionamento di una disciplina  strettamente  connessa
alla tutela ambientale. Per tale ragione, questa Corte ha  attribuito
il  rango  di  norma  di  riforma  economico-sociale   non   solo   a
norme-principio, cioe' a precetti vaghi e indeterminati, ma anche,  e
piu' in generale, a tutte le norme «che  rispondano  complessivamente
ad un interesse unitario ed esigano, pertanto, un'attuazione su tutto
il territorio nazionale» (sentenza  n.  1033  del  1988;  in  termini
analoghi, piu' recentemente, sentenze n. 229 e n. 212  del  2017,  n.
170 del 2001, n. 477 del 2000 e n. 323 del 1998). In altri termini, a
rilevare e' che i principi fondamentali di  riforma,  ancorche'  «non
espressamente  enunciati,  poss[a]no  anche  essere   desunti   dalla
disciplina di dettaglio, che ad essi si ispira o che  necessariamente
li implica e presuppone. Nel contesto di  una  incisiva  riforma,  la
qualifica di  fondamentale  da  attribuire  alle  norme  della  nuova
disciplina puo' derivare dal costituire esse un elemento coessenziale
alla riforma economico-sociale, in quanto la caratterizzano o formano
la base del suo sviluppo normativo» (sentenza n. 482 del 1995).
    La nozione di norma fondamentale rifugge, infatti, da  operazioni
ontologiche di catalogazione, legate  al  grado  di  indeterminatezza
lessicale  della  disposizione  per  accogliere,  di  converso,   una
qualificazione funzionale e  teleologica,  connessa  al  rapporto  di
strumentalita' con la ratio complessiva della riforma.
    La disposizione censurata non  produce,  dunque,  alcuna  lesione
delle competenze legislative delle Province autonome, costituendo, al
tempo  stesso,  attuazione  degli  obblighi  sovranazionali  e  norma
fondamentale  di  riforma  economico-sociale  nella  materia  «tutela
dell'ambiente» e «dell'ecosistema».
    Conseguentemente, non vi e'  violazione  del  potere,  attribuito
alle Province autonome, di dare  attuazione  alla  normativa  europea
nelle materie di loro competenza.
    Non sono  fondate,  poi,  le  censure  relative  alla  violazione
dell'art. 2 del d.lgs. n. 266 del 1992, posto che la norma  impugnata
rientra a pieno titolo tra le norme cui  le  Province  autonome  sono
tenute a conformarsi.
    18.8.- Alla luce di  tali  considerazioni,  anche  le  questioni,
promosse dalla Regione autonoma Valle d'Aosta/Vallee d'Aoste e  dalle
Province autonome sugli artt. 16, comma 2, e 24 del d.lgs. n. 104 del
2017, devono dichiararsi non  fondate.  Come  gia'  visto,  la  prima
disposizione disciplina il procedimento unico regionale,  finalizzato
all'adozione  del  provvedimento  unico;  la   seconda,   sostitutiva
dell'art. 14, comma 4, della legge n. 241 del  1990,  stabilisce  che
«tutte  le  autorizzazioni,  intese,  concessioni,  licenze,  pareri,
concerti, nulla osta e assensi comunque  denominati,  necessari  alla
realizzazione  e  all'esercizio  del   medesimo   progetto,   vengono
acquisiti nell'ambito di apposita conferenza di servizi, convocata in
modalita' sincrona ai  sensi  dell'articolo  14-ter,  secondo  quanto
previsto dall'articolo 27-bis del decreto legislativo 3 aprile  2006,
n. 152».
    Le norme impugnate attengono al nucleo centrale  di  una  riforma
volta a semplificare, razionalizzare e velocizzare la valutazione  di
impatto ambientale regionale, inserendo in  un  provvedimento  unico,
adottato in conferenza di servizi, tutte le autorizzazioni necessarie
alla realizzazione dell'opera. Come  gia'  visto,  la  determinazione
della  conferenza  di  servizi   non   assorbe   i   singoli   titoli
autorizzatori,  ma  li  ricomprende,  elencandoli.  La  decisione  di
concedere  i  titoli  abilitativi   e'   assunta   sulla   base   del
provvedimento di VIA successivo alla determinazione della  conferenza
di servizi (comma 7, del nuovo art. 27-bis, introdotto dall'art.  16,
comma 2, del censurato d.lgs. n. 104 del 2017), e non sostituisce  le
altre autorizzazioni necessarie alla realizzazione del progetto.
    Da cio' deriva, quindi, la non fondatezza delle censure  avanzate
dalle Province autonome e dalla Regione autonoma Valle d'Aosta/Vallee
d'Aoste con riferimento alle competenze  legislative  statutariamente
previste. Queste, infatti, devono essere esercitate nei limiti  degli
obblighi  internazionali  e  delle  norme  fondamentali  di   riforma
economico-sociale, come previsto dall'art. 2 dello statuto reg. Valle
d'Aosta/Vallee d'Aoste e dagli artt. 4, 5, 8 e 9 dello  statuto  reg.
Trentino-Alto Adige. Peraltro, il procedimento di VIA e  le  funzioni
amministrative  ad  esso  connesse  non  sono  riconducibili  sic  et
simpliciter ad alcuna specifica attribuzione degli enti ad  autonomia
differenziata,  ma  sono   strumentali   all'inveramento   del   bene
ambientale, valore  di  rango  costituzionale  tutelato  anche  dalla
normativa europea.
    Per le medesime ragioni, il complessivo intervento di riforma non
e'  in  contrasto  con  gli  artt.  3  e  97  Cost.,  stante  la  non
frazionabilita' della  tutela  dell'ambiente  sull'intero  territorio
nazionale. A tale riguardo, non puo' dirsi, come invece sostengono le
ricorrenti, che le norme impugnate siano eccessivamente  dettagliate.
Osta a tale conclusione quanto si e' gia' detto sulla  portata  delle
norme fondamentali di  riforma  economico-sociale.  In  tale  ambito,
infatti, cio' che rileva e' il nesso che  la  prescrizione  normativa
intrattiene con la ratio complessiva della riforma.
    In ogni caso, non  potrebbe  essere  evocata,  a  supporto  della
fondatezza delle questioni, la sentenza n.  212  del  2017,  con  cui
questa Corte ha disposto l'inapplicabilita' alle Province autonome di
alcune norme della legge 28 giugno  2016,  n.  132  (Istituzione  del
Sistema nazionale a rete per la protezione dell'ambiente e disciplina
dell'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale) in
materia di agenzie regionali e provinciali per l'ambiente,  pronuncia
richiamata a piu' riprese nelle memorie illustrative depositate dalle
ricorrenti.
    La   menzionata   decisione   ha   dichiarato    l'illegittimita'
costituzionale  di  disposizioni  statali  volte  a  disciplinare   i
requisiti di selezione dei direttori  generali  delle  agenzie  e  le
modalita' di organizzazione del personale e  delle  funzioni  interne
delle agenzie provinciali, norme eccedenti  la  finalita'  ambientale
del complessivo disegno  predisposto  dallo  Stato.  Le  disposizioni
invadevano, infatti, la competenza primaria delle  Province  autonome
in materia di ordinamento degli uffici e del personale (art. 8, n. 1,
statuto reg. Trentino-Alto Adige).
    Nulla di tutto questo avviene, invece, nel caso di specie, ove le
norme  censurate  disciplinano  il   procedimento   e   le   funzioni
amministrative preordinate alla miglior tutela del bene ambientale  e
al contemperamento degli interessi pubblici e privati che vengono  in
gioco nella procedura di VIA.
    Di qui, la non fondatezza delle questioni concernenti  gli  artt.
16, comma 2, e 24 del d.lgs. n. 104 del 2017.
    18.9.-  Le   questioni,   promosse   dalle   Province   autonome,
riguardanti l'art. 16, comma 1, del d.lgs. n. 104 del 2017, non  sono
fondate.
    La  disposizione  impugnata,  che  sostituisce  l'art.  27   cod.
ambiente, rappresenta diretta attuazione della direttiva  2014/52/UE,
la quale sollecita procedure coordinate e comuni nel caso in  cui  la
procedura di VIA incroci altri provvedimenti  autorizzatori  previsti
dalla normativa europea (art. 2, paragrafo 3), richiedendo agli Stati
di adoperarsi perche', in  tali  frangenti,  sia  adottato  un  unico
provvedimento.
    Anche il provvedimento unico in materia di VIA statale  fa  parte
del nucleo della  complessiva  riforma  delle  procedure  di  impatto
ambientale,  in  coerenza  con  le  esigenze  di  semplificazione   e
razionalizzazione poste dalla normativa sovranazionale.
    Inoltre, come posto in evidenza dall'Avvocatura dello  Stato,  il
provvedimento  unico  ambientale  non  realizza  alcuna   surroga   o
espropriazione delle competenze  delle  amministrazioni  provinciali.
Rinviando l'assunzione del provvedimento alla conferenza  di  servizi
in forma simultanea con modalita' sincrona, la  disciplina  individua
un  modulo  procedimentale  che  coinvolge  al   massimo   grado   le
amministrazioni  interessate.  Queste,  infatti,  sono   chiamate   a
presentare la propria posizione  in  relazione  ai  procedimenti  sui
quali decide la conferenza,  organo  che  delibera  all'unanimita'  o
sulla   base   delle   cosiddette    posizioni    prevalenti    delle
amministrazioni partecipanti (art. 14-ter, comma 7, e art. 14-quater,
comma 4, della legge  n.  241  del  1990).  Nel  provvedimento  unico
confluiscono i «titoli abilitativi» indicati dal decreto  legislativo
(comma 8 dell'art. 27 cod. ambiente,  come  novellato  dall'art.  16,
comma 1, del d.lgs.  n.  104  del  2017),  a  conferma  della  natura
comprensiva, e non meramente sostituiva, del provvedimento in esame.
    D'altronde, come riconosciuto dalla difesa  statale,  asseverando
l'auspicio della difesa trentina, il richiamo all'art.  14-ter  della
legge n. 241 del 1990 richiede che si  applichino  i  rimedi  per  le
amministrazioni dissenzienti. Il rinvio a tale  disposizione  implica
necessariamente l'applicazione degli artt. 14-quater  e  14-quinquies
della medesima legge, in base alla concatenazione di rinvii normativi
presupposta e avallata dalla disposizione censurata.
    In tal senso, nel caso in cui non si raggiungesse l'unanimita' in
conferenza di servizi, la decisione conclusiva del procedimento unico
sarebbe presa sulla base delle posizioni prevalenti,  in  virtu'  del
peso specifico, valutato e ponderato dall'amministrazione procedente,
che ciascuna amministrazione partecipante possiede in relazione  agli
interessi pubblici di cui e' portatrice.  Tale  procedura,  se  evita
stasi ed eccessivi rallentamenti nei processi  decisionali,  consente
altresi' alle amministrazioni in disaccordo di manifestare il proprio
dissenso, sospendendo  l'efficacia  della  decisione  e  attivando  i
rimedi previsti dall'art. 14-quinquies della legge n. 241 del 1990.
    La disposizione da ultimo menzionata prevede, in caso di  mancato
accordo, una reiterazione delle riunioni della conferenza di servizi,
in   vista   del   raggiungimento   di    una    posizione    comune.
Nell'eventualita' in cui i dissensi permangano, la questione e' posta
all'ordine del giorno della prima riunione del Consiglio dei ministri
successiva  alla  scadenza  del  termine  previsto  per   raggiungere
l'intesa. Alla riunione del Consiglio dei ministri partecipano  anche
i Presidenti delle Regioni o delle Province autonome interessate.
    E' appena il caso di precisare come non vi sia alcuna chiamata in
sussidiarieta', come  pure  sostenuto  dalla  Provincia  autonoma  di
Bolzano. Tale istituto, come correttamente messo in luce dalla difesa
statale, presuppone che l'intervento legislativo attragga funzioni in
materie di competenze regionali o provinciali. Nulla di tutto cio' e'
avvenuto nel caso di  specie,  poiche'  lo  Stato  ha  esercitato  la
propria  competenza  esclusiva  in  materia  di  ambiente,   la   cui
disciplina condiziona  gli  ordinamenti  provinciali  in  virtu'  dei
limiti degli obblighi internazionali e delle  norme  fondamentali  di
riforma.
    19.- La sola Provincia autonoma di Bolzano  impugna  il  comma  1
dell'art. 23 del d.lgs. n. 104 del 2017, recante  le  «[d]isposizioni
transitorie e finali».
    La norma in questione stabilisce che le disposizioni del medesimo
d.lgs. n. 104 del 2017 «si applicano ai procedimenti di  verifica  di
assoggettabilita' a VIA e ai  procedimenti  di  VIA  avviati  dal  16
maggio 2017»: dunque, a partire da una data  anteriore  a  quella  di
entrata in vigore del decreto (21 luglio 2017).
    Secondo   la   ricorrente,   essa,   prevedendo   un'applicazione
retroattiva delle disposizioni del decreto,  si  porrebbe  in  palese
contrasto con l'art. 2 del d.lgs. n. 266 del 1992, il  quale,  da  un
lato, stabilisce che «la legislazione regionale  e  provinciale  deve
essere adeguata ai principi e norme costituenti limiti indicati dagli
articoli 4 e 5 dello statuto speciale e recati  da  atto  legislativo
dello Stato entro i sei mesi successivi alla pubblicazione  dell'atto
medesimo nella Gazzetta Ufficiale» e, dall'altro,  nell'escludere  la
diretta applicabilita' della nuova disciplina statale,  prevede,  una
volta decorso tale termine, la possibilita' d'impugnazione davanti  a
questa Corte della legislazione che non sia stata adeguata.
    19.1.- La questione e' fondata.
    Si e' gia' piu' volte rilevato che la nuova disciplina posta  dal
d.lgs. n. 104 del 2017 comporta un limite alle competenze legislative
degli enti  ad  autonomia  differenziata,  in  quanto  recante  norme
fondamentali di riforma  economico-sociale  oltre  che  derivanti  da
obblighi europei.
    Il richiamato art. 2 del d.lgs. n. 266 del 1992 prevede,  per  la
Regione Trentino-Alto Adige e le due Province autonome di Trento e di
Bolzano, uno speciale meccanismo di  adeguamento  della  legislazione
regionale  e  provinciale  alle  nuove  norme,  introdotte  con  atto
legislativo   statale,   che   dettino   limiti    alle    competenze
statutariamente previste. In particolare,  come  si  e'  visto,  tale
norma di attuazione statutaria  prevede  che  gli  enti  territoriali
adeguino la propria legislazione entro sei mesi  dalla  pubblicazione
sulla Gazzetta  Ufficiale  dell'atto  legislativo  statale,  restando
applicabili le disposizioni preesistenti fino al loro adeguamento  o,
in mancanza di quest'ultimo, sino al loro annullamento  da  parte  di
questa Corte, su ricorso del Governo.
    La norma censurata,  nel  prevedere  l'applicabilita',  non  solo
immediata, ma addirittura a ritroso, della nuova  disciplina  statale
in materia  di  VIA  e  di  assoggettabilita'  a  VIA,  senza  alcuna
eccezione, si pone dunque in  contrasto  con  le  garanzie  accordate
dalla norma di  attuazione,  correttamente  evocata  a  parametro  di
legittimita' costituzionale (sentenze n. 212 e n. 191  del  2017,  n.
121 e n. 28 del 2014).
    Non vale opporre, come ha fatto il Presidente del  Consiglio  dei
ministri, che l'applicazione retroattiva del d.lgs. n. 104  del  2017
risponde all'esigenza di garantire una piena e tempestiva  attuazione
della direttiva 2014/52/UE, collegandosi quindi al dovere, incombente
sul legislatore nazionale, di  adempiere  prontamente  agli  obblighi
sovranazionali.  In  caso  di  mancato  adeguamento  della  normativa
regionale e provinciale alla direttiva europea, lo Stato -  oltre  al
potere d'impugnativa previsto  dalla  norma  di  attuazione  -  puo',
infatti, esercitare il potere  sostitutivo  previsto  dall'art.  117,
quinto comma, Cost.
    L'art. 23, comma 1, del d.lgs. n.  104  del  2017,  dunque,  deve
essere dichiarato costituzionalmente illegittimo, nella parte in  cui
non contempla una clausola di salvaguardia che consenta alle Province
autonome di Trento e Bolzano di adeguare la propria legislazione alle
norme in esso contenute, secondo la procedura di cui all'art.  2  del
d.lgs. n. 266 del 1992.
    20.- La  Regione  Valle  d'Aosta/Vallee  d'Aoste  e  le  Province
autonome di Trento e di Bolzano impugnano anche il comma 4  dell'art.
23 del d.lgs. n. 104 del 2017,  che  regola  l'esercizio  del  potere
sostitutivo dello Stato in ordine all'adeguamento  degli  ordinamenti
delle Regioni e delle Province autonome prefigurato dall'art.  7-bis,
comma 8, del d.lgs. n. 152 del 2006, aggiunto dall'art. 5,  comma  1,
del medesimo d.lgs. n. 104 del 2017.
    La norma impugnata prevede che le Regioni e le Province  autonome
adeguino i propri ordinamenti, esercitando le potesta'  normative  di
cui al citato art. 7-bis, comma 8, «entro il  termine  perentorio  di
centoventi giorni dall'entrata in vigore» del d.lgs. n. 104 del 2017.
Essa altresi' prevede che,  decorso  tale  termine,  «in  assenza  di
disposizioni regionali o provinciali vigenti idonee  allo  scopo,  si
applicano i poteri sostitutivi di cui all'articolo 117, quinto comma,
della Costituzione, secondo quanto previsto dagli articoli  41  e  43
della legge 24 dicembre 2012, n. 234».
    20.1.- La Regione Valle d'Aosta/Vallee d'Aoste reputa la norma de
qua in contrasto con plurime  norme  del  proprio  statuto  speciale,
oltre che con gli artt. 3, 5, 117, primo, terzo e quinto comma, 118 e
120 Cost., anche in relazione all'art. 10 della legge cost. n. 3  del
2001.
    Secondo  la  ricorrente,  la  disposizione  violerebbe  tutti   i
parametri costituzionali evocati in ragione dell'assoluta genericita'
e vaghezza del presupposto al quale  e'  connessa  l'attivazione  del
potere sostitutivo dello Stato: vale a dire, il difetto di "idoneita'
allo scopo" delle norme regionali e provinciali adottate in forza del
nuovo art. 7-bis, comma 8, cod. ambiente.
    Inoltre, tale ultima disposizione si riferirebbe a funzioni tutte
a esercizio eventuale e facoltativo, di modo che in relazione ad esse
non potrebbe essere esercitato il potere sostitutivo dello Stato,  il
quale secondo la giurisprudenza costituzionale puo'  essere  attivato
solo in caso di mancata adozione di atti vincolati nell'an.
    20.1.1.- Le questioni non sono fondate.
    L'art.  23,  comma  4,  del  d.lgs.  n.  104  del  2017  richiama
espressamente l'art. 117, quinto comma, Cost., che prevede il  potere
sostitutivo dello Stato nei casi  di  inadempienza  delle  Regioni  e
delle  Province  autonome  nell'attuazione  del  diritto  dell'Unione
europea nelle materie di loro competenza. Sulla  base  di  una  piana
interpretazione letterale e sistematica della disposizione impugnata,
l'obiettivo dell'intervento sostitutivo - in caso di inidoneita' allo
scopo delle norme regionali e  provinciali  -  puo'  pertanto  essere
individuato,  conformemente  a  quanto  sostiene  l'Avvocatura  dello
Stato, nell'esigenza di evitare che carenze organizzative  a  livello
regionale o  provinciale  compromettano  la  piena  attuazione  della
direttiva 2014/52/UE.
    L'art. 7-bis, comma 8, cod. ambiente prevede espressamente che le
Regioni e le Province autonome disciplinino  «l'organizzazione  e  le
modalita'  di  esercizio  delle  funzioni  amministrative   ad   esse
attribuite in materia di VIA».  Per  questa  parte,  la  disposizione
chiama  gli  enti  territoriali  allo  svolgimento   d'una   funzione
vincolata nell'an, sicche' il potere sostitutivo previsto dalla norma
impugnata non va incontro alle  censure  di  costituzionalita'  mosse
dalla ricorrente.
    20.2.- La Provincia autonoma  di  Trento  lamenta  che  la  norma
impugnata, qualificando il termine di adeguamento come  «perentorio»,
precluda definitivamente alla Provincia  l'esercizio  della  potesta'
normativa una volta che il termine sia spirato:  il  che  sarebbe  in
contrasto con gli artt. 8 e 9 dello statuto speciale, con l'art. 117,
quinto comma, Cost., come attuato dall'art. 41 della legge n. 234 del
2012, e con l'art.  120,  secondo  comma,  Cost.,  i  quali,  invece,
pongono il principio per cui la  sostituzione  deve  avere  carattere
suppletivo.
    20.2.1.- Le questioni non sono fondate.
    L'art. 41 della legge n. 234 del 2012 -  richiamato  dalla  norma
censurata e dunque, com'e' naturale che  sia  in  ragione  della  sua
natura di disposizione a carattere generale, applicabile in  caso  di
esercizio  del  potere  sostitutivo  ora  in   discorso   -   prevede
espressamente che i provvedimenti statali di  attuazione  degli  atti
dell'Unione europea, da un lato, «perdono  comunque  efficacia  dalla
data di entrata in vigore dei provvedimenti di attuazione di ciascuna
regione  e  provincia  autonoma»  e,   dall'altro,   debbono   recare
«l'esplicita  indicazione  della  natura   sostitutiva   del   potere
esercitato e  del  carattere  cedevole  delle  disposizioni  in  essi
contenute». Cio' tanto basta a escludere il risultato ermeneutico cui
giunge la ricorrente.
    20.3.- La Provincia autonoma di Trento ritiene illegittimo l'art.
23, comma 4, del d.lgs n. 104 del  2017  anche  nella  parte  in  cui
stabilisce che, decorso  il  termine  «perentorio»,  si  applicano  i
poteri sostitutivi di cui all'art. 117, quinto comma, Cost. Ove  tale
disposizione fosse intesa come diretta a  consentire  l'utilizzo  del
potere sostitutivo per introdurre una disciplina  di  adeguamento  al
decreto legislativo,  e  non  soltanto  alla  direttiva  europea,  la
previsione considerata verrebbe a collidere, infatti,  con  l'art.  8
del d.P.R. n. 526 del 1987, il quale prevede l'esercizio  del  potere
in discorso solo nel caso  di  «accertata  inattivita'  degli  organi
regionali e provinciali  che  comporti  inadempimento  agli  obblighi
comunitari» e, comunque  sia,  previa  concessione  di  un  ulteriore
termine alla Regione o alla Provincia autonoma.
    20.3.1.- La questione non e' fondata.
    Come gia' ricordato, la disposizione impugnata regola l'esercizio
del  potere  sostitutivo  dello  Stato  in  confronto  alle  potesta'
normative delle Regioni e delle Province  autonome  di  cui  all'art.
7-bis, comma 8, cod. ambiente (aggiunto dall'art.  5,  comma  1,  del
d.lgs. n. 104 del 2017).
    Vero e' che, ai sensi dell'art. 7-bis, comma 8, del d.lgs. n. 152
del 2006, le potesta'  legislative  devono  essere  esercitate  dalle
Regioni e dalle Province autonome «in conformita'  alla  legislazione
europea  e  nel  rispetto  di  quanto  previsto  nel  [...]  decreto»
medesimo. Tuttavia, poiche' il potere sostitutivo, come gia' messo in
luce,  puo'  essere  esercitato  nel  solo  caso   in   cui   carenze
organizzative a livello  regionale  o  provinciale  compromettano  la
piena attuazione della direttiva 2014/52/UE,  la  mancata  osservanza
della  normativa  statale  potra'  si'  rilevare  quale   presupposto
legittimante l'intervento sostitutivo, ma solo e soltanto qualora  si
traduca in un difetto di conformita' alla direttiva europea.
    Quanto alla necessita' che il Governo,  prima  di  esercitare  il
potere sostitutivo, assegni alla Regione o alla Provincia «un congruo
termine per provvedere», coglie  nel  segno  la  difesa  dello  Stato
quando osserva che il censurato art. 23, comma 4, richiamando  l'art.
43 della legge n. 234 del  2012,  rende  operante  il  meccanismo  di
"diffida" previsto dal comma 2 di tale articolo tramite  il  richiamo
all'art. 8 della legge  5  giugno  2003,  n.  131  (Disposizioni  per
l'adeguamento   dell'ordinamento   della   Repubblica   alla    legge
costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3).
    20.4.- Le Province autonome  di  Trento  e  di  Bolzano,  infine,
denunciano il contrasto della norma impugnata con il  gia'  ricordato
meccanismo di  adeguamento  della  legislazione  provinciale  di  cui
all'art. 2 del d.lgs. n. 266 del 1992. Si  censura,  in  particolare,
che il termine previsto dalla norma impugnata, pari a 120 giorni, sia
piu' breve di quello  stabilito  dalla  citata  norma  di  attuazione
statutaria, pari invece a sei mesi.
    20.4.1.- La questione e' fondata.
    Come si e' gia' rilevato, l'art. 23, comma 4, del d.lgs.  n.  104
del 2017  prescrive  il  necessario  adeguamento  delle  legislazioni
regionali  e  provinciali  alla  nuova  disciplina  introdotta  dalla
direttiva 2014/52/UE e dal medesimo decreto per mezzo  dell'esercizio
della potesta' normativa di cui al citato art. 7-bis  cod.  ambiente.
Disposizione, quest'ultima, che, come si e' gia' visto, richiede agli
enti territoriali di disciplinare, in particolare,  «l'organizzazione
e le modalita' di esercizio delle  funzioni  amministrative  ad  esse
attribuite in materia di VIA».
    Si tratta, pertanto, di un onere  di  adeguamento  della  propria
legislazione che, per quel  che  riguarda  le  Province  autonome  di
Trento e di Bolzano, puo' essere assolto secondo  i  termini  dettati
dall'art. 2 del d.lgs. n. 266 del 1992. La disposizione  impugnata  -
li'  dove  invece  prevede,  anche  in  riferimento   a   tali   enti
territoriali, che l'adeguamento deve avvenire entro centoventi giorni
dall'entrata in vigore del d.lgs. n. 104 del 2017 - si pone dunque in
contrasto con la  richiamata  norma  di  attuazione  statutaria,  che
prevede  il  diverso  e  piu'  ampio  termine  di  sei  mesi,  e   va
conseguentemente dichiarata illegittima limitatamente a tale parte.
    21.-  Le  Regioni  autonome  Friuli-Venezia  Giulia  e   Sardegna
impugnano l'art. 12, nella parte in cui sostituisce l'art. 23,  comma
4, secondo periodo, cod. ambiente (ai sensi  del  quale  deve  essere
data comunicazione, a  tutti  gli  enti  potenzialmente  interessati,
dell'avvenuta pubblicazione, sul sito web dell'autorita'  competente,
della documentazione richiesta al  proponente  ai  fini  della  VIA);
l'art. 13, nella parte in cui sostituisce l'art. 24, comma 3, secondo
periodo, del medesimo cod. ambiente (il quale stabilisce  il  termine
di sessanta giorni per la presentazione di osservazioni e  pareri  da
parte delle amministrazioni potenzialmente interessate  a  fronte  di
modifiche  o  integrazioni  apportate  al  progetto  ad   opera   del
proponente); l'art. 14, nella parte in  cui  sostituisce  l'art.  25,
comma 1, primo periodo (valutazione di  impatto  ambientale  compiuta
tenendo conto dei pareri degli enti potenzialmente interessati), cod.
ambiente.
    In via generale, le ricorrenti ritengono che, stando alla lettera
delle disposizioni, nella procedura di VIA statale  l'amministrazione
centrale potra' escludere, a sua arbitraria discrezione,  la  Regione
interessata, coinvolgendo esclusivamente gli enti locali o  ritenendo
irrilevante la partecipazione regionale.
    Sotto  tale  profilo,  le  ricorrenti  lamentano   anzitutto   la
violazione  dell'art.  117,  primo  comma,  Cost.,  atteso   che   il
legislatore statale ha  disatteso  un  obbligo  sancito  dal  diritto
europeo,  al  quale  e'   vincolato   dalla   predetta   disposizione
costituzionale.
    Vi sarebbe poi la violazione dei principi di ragionevolezza e  di
buon andamento della pubblica amministrazione, ex artt. 3 e 97 Cost.,
atteso che il legislatore statale, lungi dall'individuare in astratto
gli enti da consultare, avrebbe  lasciato  l'amministrazione  statale
domina dell'intero procedimento e arbitra del coinvolgimento  o  meno
degli enti da informare.
    Infine, la disciplina della VIA  realizzerebbe  un  intreccio  di
competenze  statali  e  regionali,  riconosciute  dagli  statuti   di
autonomia e dall'art.  117,  terzo  comma,  Cost.,  applicabile  alle
Regioni a statuto speciale ai sensi dell'art. 10 della legge cost. n.
3 del 2001, con conseguente compressione  della  sfera  di  autonomia
riconosciute alle ricorrenti.
    Per le medesime ragioni, sarebbe poi illegittimo l'art. 24, comma
5, cod. ambiente, come novellato dall'art. 13 del d.lgs. n.  104  del
2017,   nella   parte   in   cui   rimette   alla    discrezionalita'
dell'amministrazione dello Stato la richiesta di  un  supplemento  di
parere da parte delle altre amministrazioni consultate. Vi sarebbe un
illegittimo esercizio della competenza legislativa statale in materia
di «tutela dell'ambiente», ex art. 117, secondo  comma,  lettera  s),
Cost., e la violazione dei principi di ragionevolezza, buon andamento
e leale collaborazione tra Stato e Regione (artt. 3, 5, 97, 117 e 118
Cost.). Tali violazioni determinerebbero un'illegittima  compressione
dell'autonomia  regionale,  nei  gia'  citati  ambiti  materiali   di
competenza legislativa primaria e concorrente delle Regioni.
    21.1.- Le censure non sono fondate.
    In primo luogo, deve essere smentito l'assunto  delle  ricorrenti
secondo cui  la  disciplina  della  VIA  realizzerebbe  un  intreccio
inestricabile di materie. Se e' vero, infatti, che  sono  sicuramente
incise competenze regionali, come e' insito nella natura  trasversale
della   materia   «tutela   dell'ambiente»    e    «dell'ecosistema»,
l'intervento statale  ha  un  complessivo  e  prevalente  intento  di
riforma di un procedimento funzionale alla  salvaguardia  ambientale.
Se a questo  si  aggiunge  l'origine  sovranazionale  della  relativa
disciplina, e' allora evidente come anche con riguardo  alle  Regioni
autonome Friuli-Venezia Giulia e Sardegna la normativa  possa  essere
pienamente ricondotta alle clausole limitative previste dagli statuti
speciali degli obblighi internazionali e delle norme fondamentali  di
riforma economico-sociale.
    Lo stesso criterio dell'interesse potenziale, fatto proprio dalla
disciplina  impugnata  ai  fini  dell'individuazione  degli  enti  da
coinvolgere  nel  procedimento  di  VIA  statale,  e'  mutuato  dalla
disciplina sovranazionale. L'art. 6,  paragrafo  1,  della  direttiva
2011/92/UE, come modificato dalla direttiva  2014/52/UE,  stabilisce:
«[g]li Stati  membri  adottano  le  misure  necessarie  affinche'  le
autorita' che possono essere interessate al  progetto,  per  la  loro
specifica responsabilita' in materia di ambiente o  in  virtu'  delle
loro competenze  locali  o  regionali,  abbiano  la  possibilita'  di
esprimere il loro parere sulle informazioni fornite dal committente e
sulla domanda di autorizzazione, tenendo conto,  ove  opportuno,  dei
casi di cui all'articolo 8 bis, paragrafo 3. A tal  fine,  gli  Stati
membri designano le autorita' da consultare, in generale o  caso  per
caso. Queste autorita' ricevono  le  informazioni  raccolte  a  norma
dell'articolo 5. Le modalita' della consultazione sono fissate  dagli
Stati membri».
    Tale disposizione concorre a realizzare uno degli obiettivi della
nuova disciplina di VIA, e cioe' la piu' ampia  partecipazione  delle
istituzioni e del pubblico al processo decisionale. In tal  senso,  i
censurati artt. 12, 13 e 14,  laddove  fanno  riferimento  agli  enti
territoriali potenzialmente interessati e alle altre  amministrazioni
competenti,  mirano  a  declinare,   nell'ordinamento   interno,   il
principio della piu' ampia partecipazione possibile  richiesto  dalla
normativa sovranazionale (sugli obblighi di  trasmissione  agli  enti
territoriali della domanda e della documentazione del procedimento di
VIA come obbligo comunitariamente necessario,  sentenza  n.  234  del
2009). Nell'ottica di valorizzare gli obblighi informativi in tema di
VIA,  peraltro,  si   muove   gia'   da   tempo   la   giurisprudenza
costituzionale, che ha  ritenuto  tali  obblighi  inderogabili  dalle
Regioni, proprio per il nesso di strumentalita' tra questi  ultimi  e
il principio della piu' ampia partecipazione possibile da  parte  dei
soggetti interessati (sentenze n. 178 e n. 93 del 2013 e n.  227  del
2011).
    E', dunque, errato il presupposto interpretativo da  cui  muovono
le ricorrenti: le norme impugnate, nel riferirsi, a  diverso  titolo,
agli «enti territorialmente  interessati  e  comunque  competenti  ad
esprimersi  sulla   realizzazione   del   progetto»,   non   lasciano
all'amministrazione  statale  alcuna   scelta   discrezionale   nella
trasmissione dei progetti, dovendo questa necessariamente coinvolgere
anche  le  Regioni  nel  cui  territorio   saranno   realizzati   gli
interventi.  Di  conseguenza,  anche  le   censure,   sollevate   con
riferimento agli artt. 3 e 97 Cost., non sono fondate.
    Non va dimenticato inoltre, come correttamente posto in  evidenza
dalla difesa  statale,  che,  nei  procedimenti  relativi  a  VIA  di
competenza dello Stato, l'art. 6 del d.lgs. n. 104 del 2017  prevede,
per i procedimenti  per  i  quali  sia  riconosciuto  un  concorrente
interesse regionale, la designazione, da parte delle Regioni (e delle
Province  autonome)  interessate  dal   progetto,   di   un   proprio
rappresentante nella  Commissione  tecnica  di  verifica  di  impatto
ambientale insediata presso il Ministero dell'ambiente e della tutela
del territorio e del mare. In tal senso, non  solo  le  Regioni  sono
pienamente coinvolte nello stadio iniziale,  di  instaurazione  della
procedura, ma anche nella fase istruttoria  finalizzata  all'adozione
del provvedimento finale.
    Per le medesime ragioni deve ritenersi  non  fondata  l'ulteriore
censura relativa all'art. 24, comma 5, cod. ambiente, come  novellato
dall'art. 13  del  d.lgs.  n.  104  del  2017,  nella  parte  in  cui
rimetterebbe alla discrezionalita' dell'amministrazione  dello  Stato
la richiesta di  un  supplemento  di  parere  da  parte  delle  altre
amministrazioni consultate. La norma, infatti, non esclude in  radice
nuove osservazioni da  parte  degli  enti  territoriali,  che  invece
saranno convolti tutte le volte in cui  le  integrazioni  progettuali
abbiano una portata innovativa rispetto all'originaria proposta.
    22.- Ad avviso delle Regioni  autonome  Friuli-Venezia  Giulia  e
Sardegna, sarebbero altresi' illegittimi gli artt. 3, 5,  8,  9,  12,
13, 14, 16, 17, 22 e 26 del d.lgs. n. 104 del  2017,  per  violazione
del principio di leale collaborazione, desumibile dagli artt. 5,  117
e 118 Cost., in combinato  disposto  con  le  competenze  statutarie,
perche' il decreto, oltre a non essere stato  preceduto  dall'intesa,
non avrebbe accolto  le  proposte  emendative  avanzate  in  sede  di
Conferenza Stato-Regioni.
    22.1.- Inammissibili, per le ragioni  gia'  esposte,  le  censure
circa la  mancata  previa  intesa,  non  sono  fondate  le  questioni
relative alla violazione del principio di leale collaborazione per il
mancato recepimento, da parte del Governo, delle indicazioni espresse
nel  parere  favorevole  condizionato   adottato   dalla   Conferenza
Stato-Regioni.
    Il Governo, infatti,  non  era  obbligato  a  recepire  tutte  le
richieste avanzate dalle Regioni in Conferenza permanente. La formula
del  parere  non  richiede  quella  reiterazione   delle   trattative
finalizzate al raggiungimento dell'accordo che questa Corte richiede,
invece, nelle ipotesi di intreccio inestricabile di competenze  o  di
chiamata in sussidiarieta' (ex plurimis, sentenze n. 74 del 2018,  n.
251 e n. 1 del 2016). D'altro canto, va pure rilevato che il  Governo
non  ha  mostrato,  in  concreto,  un   atteggiamento   di   radicale
preclusione   rispetto   alle   esigenze   regionali,   come   mostra
l'accettazione di parte delle indicazioni emerse in  Conferenza  (con
riguardo, ad esempio,  alla  consultazione  pubblica  in  materia  di
verifica di assoggettabilita' a VIA o all'inserimento, a  seguito  di
apposito coordinamento normativo, del procedimento unico regionale in
materia ambientale nel corpo cod. ambiente).
    23.- La Regione autonoma  Sardegna  ha  impugnato,  inoltre,  gli
artt. 3, comma 1, lettere g) e h), 8, 14, 16 e 17 del d.lgs.  n.  104
del 2017, per violazione del principio  di  leale  collaborazione  ex
artt. 5, 117 e 118 Cost., dell'art. 3 della  legge  cost.  n.  3  del
1948, dell'art. 6 del decreto  del  Presidente  della  Repubblica  22
maggio 1975, n. 480 (Nuove norme di attuazione dello Statuto speciale
della regione autonoma della Sardegna) e degli  artt.  3,  97  e  117
Cost.
    Le norme impugnate sarebbero illegittime  per  aver  previsto  il
coinvolgimento del Ministro dei beni e delle  attivita'  culturali  e
del turismo e non della Regione autonoma Sardegna, per gli interventi
di VIA statale da realizzare nel territorio sardo.
    Tale censura varrebbe per l'esonero dei progetti che  hanno  come
unico fine quello della difesa nazionale o quello  di  rispondere  ad
emergenze di protezione civile, che deve avvenire di concerto con  il
Ministro dei beni  culturali  (art.  3,  comma  1,  lettera  g);  per
l'esonero, in casi eccezionali, di progetti specifici, previo  parere
del Ministro dei beni culturali (art. 3, comma  1,  lettera  h);  per
l'art. 8 del d.lgs. n. 104 del 2017, che sostituisce l'art. 19, comma
8, cod. ambiente, nella parte in cui prevede che, nella procedura  di
verifica di assoggettabilita'  a  VIA,  qualora  si  ritenga  di  non
assoggettare il progetto a VIA, il  Ministro  dell'ambiente,  tenendo
conto delle osservazioni del Ministro dei beni  culturali,  specifica
le condizioni ambientali necessarie a evitare o prevenire quelli  che
potrebbero altrimenti rappresentare impatti ambientali significativi;
per l'art. 14, che sostituisce l'art. 25 cod. ambiente  in  relazione
all'adozione dei provvedimenti di VIA  statale,  da  adottare  previa
acquisizione del concerto con il Ministro  dei  beni  culturali;  per
l'art. 16, comma 1, nella parte in cui introduce nell'art. 27,  comma
8,  cod.  ambiente  il  provvedimento  unico  statale,  adottato  dal
Ministero  dell'ambiente  di  concerto  con  il  Ministro  dei   beni
culturali; per l'art. 17, che sostituisce l'art. 28,  comma  2,  cod.
ambiente, nella parte in cui stabilisce che  l'autorita'  competente,
in collaborazione con il Ministero dei beni culturali per  i  profili
di competenza, verifica l'ottemperanza delle condizioni ambientali di
cui al comma 1 al fine di identificare  tempestivamente  gli  impatti
ambientali significativi e  negativi  imprevisti  e  di  adottare  le
opportune misure correttive.
    La Regione Sardegna ha censurato,  infine,  l'art.  3,  comma  1,
lettera g) del d.lgs. n. 104 del 2017, nella parte in cui consente al
Ministro dell'ambiente di esonerare dalla procedura di VIA  specifici
progetti che hanno come unico obiettivo la risposta da  emergenze  di
protezione  civile.  Tale   disposizione   sarebbe   invasiva   della
competenza concorrente in materia di protezione civile ex  art.  117,
comma terzo, Cost., da riconoscere alla Regione  autonoma  in  virtu'
della clausola di maggior favore prevista dall'art.  10  della  legge
cost. n. 3 del 2001.
    23.1.- Le  questioni  di  legittimita'  costituzionale  non  sono
fondate.
    Le censure relative all'intero  art.  3,  comma  1,  lettera  g),
relative all'esonero in caso di progetti che rispondono ad  emergenze
di protezione civile,  sono  destituite  di  fondamento  per  ragioni
analoghe a quanto gia'  esposto  con  riferimento  ai  ricorsi  delle
Regioni Lombardia, Puglia, Abruzzo, Veneto e Calabria.
    Deve ribadirsi che la disposizione non e'  incongruente  rispetto
alla  finalita'  complessiva  della  riforma,  volta  a  fornire  uno
standard uniforme di tutela ambientale, e dunque  a  concentrare,  in
capo al vertice dell'apparato statale, la scelta dell'esonero in caso
di emergenze che rendono necessari interventi di protezione civile.
    Non puo' neanche sostenersi che la disposizione abbia violato  il
principio  di  leale  collaborazione,   posto   che   la   Conferenza
Stato-Regioni e' stata chiamata ad esprimere il parere  sullo  schema
di decreto legislativo che gia' annoverava tale norme.
    Come   gia'   argomentato,   la   leale   collaborazione    viene
salvaguardata anche a "valle" del procedimento  amministrativo,  alla
luce di un inquadramento sistematico della norma: la  delibera  dello
stato di emergenza viene infatti decisa dal Consiglio  dei  ministri,
ai sensi dell'art. 24 del d.lgs. n. 1 del  2018  (che  riproduce  sul
punto quanto stabiliva l'art. 5 della legge n. 225 del 1992),  previa
intesa con la Regione  interessata.  L'esonero  da  VIA  deve  dunque
logicamente succedere alla  decisione  di  realizzare  interventi  di
protezione civile concertati con gli enti territoriali interessati.
    Anche le censure relative agli artt. 3, comma 1, lettera  h),  8,
14, 16 e 17 del d.lgs. n. 104 del  2017,  non  sono  fondate.  Quanto
all'asserita violazione delle norme  statutarie,  e'  insita  in  una
fondamentale riforma in  materia  ambientale  la  compressione  delle
competenze   regionali.   I   limiti   delle   norme    di    riforma
economico-sociale  e  degli  obblighi  internazionali  hanno  proprio
questo scopo: consentire  che  norme  statali  sprigionino  efficacia
precettiva  anche  nell'ambito  degli  ordinamenti  degli   enti   ad
autonomia differenziata. Cio' che conta e', come piu' volte ribadito,
che non vi sia una sostanziale incoerenza con  lo  scopo  complessivo
della riforma o con gli obblighi europei.
    Quanto  alla  supposta  violazione   del   principio   di   leale
collaborazione,  la  finalita'  riformatrice  in  materia  di  tutela
ambientale rende non costituzionalmente necessitato il coinvolgimento
della Regione quando si tratti di progetti di competenza dello Stato.
     

                          per questi motivi
                       LA CORTE COSTITUZIONALE

    riuniti i giudizi,
    1) dichiara l'illegittimita' costituzionale dell'art.  23,  comma
1, del decreto legislativo 16 giugno 2017, n. 104  (Attuazione  della
direttiva 2014/52/UE del Parlamento europeo e del Consiglio,  del  16
aprile 2014, che modifica la  direttiva  2011/92/UE,  concernente  la
valutazione dell'impatto ambientale di determinati progetti  pubblici
e privati, ai sensi degli artt. 1 e 14 della legge 9 luglio 2015,  n.
114), nella parte in cui non contempla una clausola  di  salvaguardia
che consenta alle  Province  autonome  di  Trento  e  di  Bolzano  di
adeguare la  propria  legislazione  alle  norme  in  esso  contenute,
secondo la procedura di cui all'art. 2  del  decreto  legislativo  16
marzo 1992, n. 266 (Norme di attuazione dello statuto speciale per il
Trentino-Alto Adige concernenti il rapporto tra gli atti  legislativi
statali e leggi regionali e provinciali, nonche' la potesta'  statale
di indirizzo e coordinamento);
    2) dichiara l'illegittimita' costituzionale dell'art.  23,  comma
4, del d.lgs. n. 104 del 2017, nella parte  in  cui  prevede  che  le
Province  autonome  di  Trento  e  di  Bolzano  adeguino   i   propri
ordinamenti entro il termine di «centoventi  giorni»  anziche'  entro
quello di sei  mesi  dall'entrata  in  vigore  del  medesimo  decreto
legislativo;
    3)  dichiara   inammissibile   la   questione   di   legittimita'
costituzionale dell'intero d.lgs.  n.  104  del  2017,  promossa,  in
riferimento all'art. 120 della Costituzione, dalla Regione Puglia con
il ricorso indicato in epigrafe;
    4)  dichiara   inammissibili   le   questioni   di   legittimita'
costituzionale degli artt. 3, 5, 8, 9, 12, 13, 16, 17, 22  e  26  del
d.lgs. n. 104 del 2017, promosse,  in  riferimento  al  principio  di
leale collaborazione, dalle  Regioni  autonome  Valle  d'Aosta/Vallee
d'Aoste, Friuli-Venezia Giulia e Sardegna,  dalle  Regioni  Veneto  e
Calabria e dalle Province autonome di  Trento  e  di  Bolzano  con  i
ricorsi indicati in epigrafe;
    5)  dichiara   inammissibili   le   questioni   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 18,  comma  3,  in  combinato  disposto  con
l'art. 3, comma 1, lettera g), del d.lgs. n. 104 del 2017,  promosse,
in riferimento agli artt. 3, 9, 24 e 97 Cost., dalla  Regione  Puglia
con il ricorso indicato in epigrafe;
    6)  dichiara   inammissibili   le   questioni   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 16, comma 1, del d.lgs.  n.  104  del  2017,
promosse, in riferimento agli artt. 5, 76,  117,  118  e  120  Cost.,
dalla Regione Calabria con il ricorso indicato in epigrafe;
    7)  dichiara   inammissibili   le   questioni   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 27 del d.lgs. n. 104 del 2017, promosse,  in
riferimento agli artt. 76, 81, 117, terzo comma, e 118  Cost.,  dalle
Regioni Lombardia, Abruzzo e  Calabria  con  i  ricorsi  indicati  in
epigrafe;
    8)  dichiara   inammissibili   le   questioni   di   legittimita'
costituzionale degli artt. 5, comma 1, 22, commi 1, 2, 3 e  4,  e  26
del d.lgs. n. 104 del 2017, promosse, in riferimento agli artt.  3  e
97 Cost., dalla Provincia autonoma di Trento con il ricorso  indicato
in epigrafe;
    9)  dichiara   inammissibili   le   questioni   di   legittimita'
costituzionale degli artt. 5, comma l, 8, 16, commi l e 2, 22,  commi
l, 2, 3 e 4, 23, commi l e 4, e  24  del  d.lgs.  n.  104  del  2017,
promosse, in riferimento all'art. 76 Cost., dalla Provincia  autonoma
di Bolzano con il ricorso indicato in epigrafe;
    10)  dichiara  non   fondate   le   questioni   di   legittimita'
costituzionale dell'intero d.lgs.  n.  104  del  2017,  promosse,  in
riferimento agli artt. 76,  77  e  117,  primo  comma,  Cost.,  dalla
Regione Puglia e dalle Province autonome di Trento e di Bolzano con i
ricorsi indicati in epigrafe;
    11)  dichiara  non   fondate   le   questioni   di   legittimita'
costituzionale degli artt. 3, 4, 5, 8, 12, 13, 14, 16, 17,  22  e  26
del d.lgs. n. 104 del 2017,  promosse,  in  riferimento  all'art.  76
Cost.,  dalle  Regioni   autonome   Valle   d'Aosta/Vallee   d'Aoste,
Friuli-Venezia Giulia e Sardegna, dalle Regioni  Lombardia,  Abruzzo,
Puglia, Veneto e Calabria e dalle Province autonome di  Trento  e  di
Bolzano con i ricorsi indicati in epigrafe;
    12)  dichiara  non   fondate   le   questioni   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 3, comma 1, lettera g), del  d.lgs.  n.  104
del 2017, promosse, in riferimento agli artt.  3,  5,  32,  97,  117,
terzo  comma,  118  e  120  Cost.,  nonche'  al  principio  di  leale
collaborazione, dalle Regioni Lombardia, Puglia,  Abruzzo,  Veneto  e
Calabria con i ricorsi indicati in epigrafe;
    13)  dichiara  non   fondate   le   questioni   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 3, comma 1, lettera h), del  d.lgs.  n.  104
del 2017, promosse, in riferimento  agli  artt.  3,  97,  117,  terzo
comma, e 118 Cost., nonche' al  principio  di  leale  collaborazione,
dalla Regione Veneto con il ricorso indicato in epigrafe;
    14)  dichiara  non   fondate   le   questioni   di   legittimita'
costituzionale degli artt. 5, 22, commi 1, 2, 3 e 4, e 26 del  d.lgs.
n. 104 del 2017, promosse, in riferimento agli artt. 3, 117, terzo  e
quarto  comma,  e  118  Cost.,  nonche'   al   principio   di   leale
collaborazione di cui  agli  artt.  5  e  120  Cost.,  dalle  Regioni
Lombardia, Abruzzo, Calabria e  Veneto  con  i  ricorsi  indicati  in
epigrafe;
    15)  dichiara  non   fondata   la   questione   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 14 del d.lgs. n. 104 del 2017, promossa,  in
riferimento al  principio  di  leale  collaborazione,  dalla  Regione
Puglia con il ricorso indicato in epigrafe;
    16)  dichiara  non   fondate   le   questioni   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 16, comma 2, del d.lgs.  n.  104  del  2017,
promosse, in riferimento agli artt. 3, 97 e 117, terzo comma,  Cost.,
nonche'  del  principio  di  leale  collaborazione,   dalle   Regioni
Lombardia, Abruzzo e Calabria con i ricorsi indicati in epigrafe;
    17) dichiara non fondate, nei sensi di  cui  in  motivazione,  le
questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 21 del  d.lgs.  n.
104 del 2017, promosse, in riferimento agli artt. 3, 97, 117, terzo e
quarto comma,  118  e  119  Cost.,  nonche'  al  principio  di  leale
collaborazione, dalle Regioni Lombardia, Abruzzo, Veneto  e  Calabria
con i ricorsi indicati in epigrafe;
    18)  dichiara  non   fondate   le   questioni   di   legittimita'
costituzionale degli artt. 5 e 22, commi 1, 2, 3 e 4, del  d.lgs.  n.
104 del 2017, promosse, in riferimento agli  artt.  2,  primo  comma,
lettere a), d), f) e m), 3 e 4 della legge costituzionale 26 febbraio
1948, n. 4 (Statuto speciale per  la  Valle  d'Aosta),  nonche'  agli
artt. 3, 97, 117, primo  e  terzo  comma,  e  118,  Cost.,  anche  in
relazione all'art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001,  n.
3 (Modifiche al titolo V della  parte  seconda  della  Costituzione),
dalla Regione autonoma Valle d'Aosta/Vallee d'Aoste  con  il  ricorso
indicato in epigrafe;
    19)  dichiara  non   fondate   le   questioni   di   legittimita'
costituzionale degli artt. 5, 22 e 26 del d.lgs.  n.  104  del  2017,
promosse, in riferimento agli artt. 4 e 5 della legge  costituzionale
31 gennaio 1963, n. 1 (Statuto speciale della Regione  Friuli-Venezia
Giulia), nonche' agli artt. 117, secondo e terzo comma, Cost.,  dalla
Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia con  il  ricorso  indicato  in
epigrafe;
    20)  dichiara  non   fondate   le   questioni   di   legittimita'
costituzionale degli artt. 5, 22 e 26 del d.lgs.  n.  104  del  2017,
promosse, in riferimento agli artt. 3 e 4 della legge  costituzionale
26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale per  la  Sardegna),  nonche'
agli artt. 117, secondo e terzo comma, Cost., dalla Regione  autonoma
Sardegna con il ricorso indicato in epigrafe;
    21)  dichiara  non   fondate   le   questioni   di   legittimita'
costituzionale degli artt. 5, 22, commi 1, 2, 3 e 4, e 26,  comma  1,
lettera a), del d.lgs. n. 104 del 2017, promosse, in riferimento agli
artt. 8, numeri 1), 3), 5), 6), 11), 13), 14), 16), 17), 18),  20)  e
21), 9, numeri 3), 9) e 10), e 16 del d.P.R. 31 agosto 1972,  n.  670
(Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali  concernenti
lo statuto speciale per il Trentino Alto-Adige), all'art. 19-bis  del
d.P.R. 22 marzo 1974, n.  381  (Norme  di  attuazione  dello  statuto
speciale per la Regione Trentino Alto-Adige in materia di urbanistica
ed opere pubbliche), all'art. 7 del d.P.R. 19 novembre 1987,  n.  526
(Estensione  alla  regione  Trentino-Alto  Adige  ed  alle   province
autonome di Trento e  Bolzano  delle  disposizioni  del  decreto  del
Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616), agli artt.  117,
terzo, quarto e quinto comma, anche in relazione  all'art.  10  della
legge cost. n. 3 del 2001, 118 e 120,  secondo  comma,  Cost.,  dalla
Provincia autonoma di Trento con il ricorso indicato in epigrafe;
    22)  dichiara  non   fondate   le   questioni   di   legittimita'
costituzionale degli artt. 5, comma 1, e 22, commi 1, 2, 3 e  4,  del
d.lgs. n. 104 del 2017, promosse, in riferimento agli artt. 8, numeri
3), 5), 6), 9), 11), 13), 16), 17), 18), 20), 21) e  24),  9,  numeri
3), 9) e 10), e 16 del d.P.R. n. 670 del 1972,  all'art.  19-bis  del
d.P.R. n. 381 del 1974, agli artt. 7 e 8 del d.P.R. n. 526 del  1987,
all'art. 4 del d.lgs. n. 266 del 1992, nonche' agli artt. 3, 97, 117,
primo, terzo, quarto  e  quinto  comma,  Cost.,  anche  in  relazione
all'art. 10 della  legge.  cost.  n.  3  del  2001,  dalla  Provincia
autonoma di Bolzano, con il ricorso indicato in epigrafe;
    23)  dichiara  non   fondate   le   questioni   di   legittimita'
costituzionale degli artt. 8, 16, commi 1 e 2, e 24 del d.lgs. n. 104
del 2017, promosse, in riferimento agli artt. 8, numeri 1),  3),  5),
6), 11), 13), 16), 17), 18), 20), 21) e 9, numeri 3), 9)  e  10)  del
d.P.R. n. 670 del 1972, all'art. 19-bis del d.P.R. n. 381  del  1974,
all'art. 7 del d.P.R. n. 526 del 1987, all'art. 2 del d.lgs.  n.  266
del 1992, agli artt. 3, 97, 117, primo e quinto comma, e 120, secondo
comma, Cost., anche in relazione all'art. 10 della legge cost.  n.  3
del 2001, dalle Province autonome di  Trento  e  di  Bolzano,  con  i
ricorsi indicati in epigrafe;
    24)  dichiara  non   fondate   le   questioni   di   legittimita'
costituzionale degli artt. 16, comma 2, e 24 del d.lgs.  n.  104  del
2017, promosse, in riferimento agli artt. 2, primo comma, lettere a),
d), f) e m), 3 e 4 della legge cost. n.  4  del  1948,  nonche'  agli
artt. 3, 5, 97, 117, primo e terzo comma, 118 e 120 Cost.,  anche  in
relazione all'art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001, dalla  Regione
autonoma Valle d'Aosta/Vallee d'Aoste, con  il  ricorso  indicato  in
epigrafe;
    25)  dichiara  non   fondate   le   questioni   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 23, comma 4, del d.lgs.  n.  104  del  2017,
promosse - in riferimento all'art. 2, primo comma, lettere a), d), f)
e m) della legge cost. n. 4 del 1948, nonche' agli artt. 3,  5,  117,
primo, terzo e quarto comma, 118 e  120  Cost.,  anche  in  relazione
all'art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001 - dalla Regione  autonoma
Valle d'Aosta/Vallee d'Aoste, con il ricorso indicato in epigrafe;
    26)  dichiara  non   fondate   le   questioni   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 23, comma 4, del d.lgs.  n.  104  del  2017,
promosse, in riferimento agli artt. 8 e 9 del d.P.R. n. 670 del 1972,
all'art. 8 del d.P.R. n. 526 del 1987, nonche' agli artt. 117, quinto
comma, e 120, secondo  comma,  Cost.,  dalla  Provincia  autonoma  di
Trento, con il ricorso indicato in epigrafe;
    27)  dichiara  non   fondate   le   questioni   di   legittimita'
costituzionale degli artt. 12, 13 e 14 del d.lgs. n.  104  del  2017,
promosse, in riferimento agli artt. 4, numeri 6), 9), 10), 11),  12),
13), e 5, numeri 7), 10), 12), 14), 16), 20) e 22) della legge  cost.
n. 1 del 1963, nonche' agli artt. 3, 5, 97 e 117, primo comma, Cost.,
anche in relazione all'art. 1, comma 6, lettera a),  della  direttiva
2014/52/UE, e agli artt. 117, secondo  comma,  lettera  s),  e  terzo
comma, e 118 Cost., anche in relazione all'art. 10 della legge  cost.
n. 3 del 2001, promosse dalla Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia,
con il ricorso indicato in epigrafe;
    28)  dichiara  non   fondate   le   questioni   di   legittimita'
costituzionale degli artt. 5, 12, 13, 14, 22 e 26 del d.lgs.  n.  104
del 2017, promosse, in riferimento agli artt. 4 e 5 della legge cost.
n. 1 del 1963, nonche' agli artt. 5, 117 e 118 Cost. e  al  principio
di  leale  collaborazione,  dalla  Regione  autonoma   Friuli-Venezia
Giulia, con il ricorso indicato in epigrafe;
    29)  dichiara  non   fondate   le   questioni   di   legittimita'
costituzionale degli artt. 12, 13 e 14 del d.lgs. n.  104  del  2017,
promosse, in riferimento agli artt. 3 e 4 della legge cost. n. 3  del
1948, nonche' agli artt. 5, 97 e 117, primo comma,  Cost.,  anche  in
relazione  all'art.  1,  comma  6,  lettera   a),   della   direttiva
2014/52/UE, e agli artt. 117, secondo  comma,  lettera  s),  e  terzo
comma, e 118 Cost., anche in relazione all'art. 10 della legge  cost.
n. 3 del 2001, promosse  dalla  Regione  autonoma  Sardegna,  con  il
ricorso indicato in epigrafe;
    30)  dichiara  non   fondate   le   questioni   di   legittimita'
costituzionale degli artt. 3, 5, 12, 13, 14, 22 e 26  del  d.lgs.  n.
104 del 2017, promosse, in riferimento agli artt. 3 e 4  della  legge
cost. n. 3 del 1948, nonche' agli artt. 5,  117  e  118  Cost.  e  al
principio di leale collaborazione, dalla Regione  autonoma  Sardegna,
con il ricorso indicato in epigrafe;
    31)  dichiara  non   fondate   le   questioni   di   legittimita'
costituzionale degli artt. 3, comma 1, lettere g) e h), 8, 14,  16  e
17 del d.lgs. n. 104 del 2017, promosse, in  riferimento  all'art.  3
della legge cost. n. 3 del 1948, all'art.  6  del  d.P.R.  22  maggio
1975, n. 480 (Nuove norme di attuazione dello statuto speciale  della
regione autonoma della Sardegna), agli artt. 3, 97 e 117 Cost,  anche
in riferimento all'art. 10 della legge cost. n. 3 del  2001,  nonche'
al principio di leale collaborazione di cui agli artt. 5, 117  e  118
Cost., dalla Regione autonoma Sardegna, con il  ricorso  indicato  in
epigrafe.
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 19 giugno 2018.

                                F.to:
                    Giorgio LATTANZI, Presidente
         Franco MODUGNO - Augusto Antonio BARBERA, Redattori
                     Roberto MILANA, Cancelliere

    Depositata in Cancelleria il 14 novembre 2018.

                   Il Direttore della Cancelleria
                        F.to: Roberto MILANA

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