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domenica 13 marzo 2011

I.N.P.D.A.P. (Istituto nazionale di previdenza per i dipendenti dell'amministrazione pubblica) Nota 24-2-2011 n. 10 Conguaglio fiscale redditi anno 2010 - Rilascio certificazione fiscale CUD 2011. Applicazione delle addizionali regionali e comunali all'Irpef. Emanata dall'Istituto nazionale di previdenza per i dipendenti dell'amministrazione pubblica, Direzione centrale previdenza, Direzione centrale ragioneria e finanze.

Nota 24 febbraio 2011, n. 10 (1).

Conguaglio fiscale redditi anno 2010 - Rilascio certificazione fiscale CUD 2011. Applicazione delle addizionali regionali e comunali all'Irpef.

(1) Emanata dall'Istituto nazionale di previdenza per i dipendenti dell'amministrazione pubblica, Direzione centrale previdenza, Direzione centrale ragioneria e finanze.



Ai


Direttori delle Sedi provinciali e territoriali

Alle


Organizzazioni sindacali nazionali dei pensionati

Agli


Enti di patronato

Ai


CAF

Ai


Dirigenti generali centrali e regionali

Ai


Direttori regionali

Agli


Uffici autonomi di Trento e Bolzano

Ai


Coordinatori delle consulenze professionali




Premessa

Con Provv. 17 gennaio 2011, del Direttore dell'Agenzia delle entrate è stato approvato, con le relative istruzioni, lo schema di certificazione unica "CUD 2011", concernente l'attestazione dell'ammontare complessivo dei redditi di lavoro dipendente, equiparati ed assimilati, di cui agli articoli 49 e 50 del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, e successive modificazioni, corrisposti nell'anno 2010 ed assoggettati a tassazione ordinaria o separata, delle relative ritenute di acconto operate e delle detrazioni effettuate.

La certificazione in questione è stata pubblicata sul sito internet dell'Agenzia delle entrate, ai sensi dell'articolo 1, comma 361, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, il quale ha previsto che dal 1° gennaio 2008 la pubblicazione dei provvedimenti dei direttori delle Agenzie fiscali sui rispettivi siti internet tiene luogo della pubblicazione dei medesimi documenti nella Gazzetta Ufficiale.



Conguaglio fiscale 2010

- Generalità

In base all'art. 23 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, il debito d'imposta risultante dal conguaglio fiscale dell'anno reddituale 2010 - completato dall'INPDAP entro il 28 febbraio 2011 - verrà recuperato in un'unica soluzione mediante ritenuta sulla rata di pensione del mese di marzo, salva l'applicazione dell'art. 38, comma 7, del D.L. 31 maggio 2010, n. 78 convertito con modificazioni nella legge 30 luglio 2010, n. 122 (vedi infra). In caso di incapienza, l'eventuale "parte eccedente" sarà trattenuta con le successive rate di pensione, secondo le modalità sotto riportate, applicando l'interesse dello 0,50% mensile per le pensioni di importo superiore a euro 18.000 annui lordi.

Di seguito si illustra la procedura seguita per effettuare il conguaglio fiscale relativo all'anno 2011, in considerazione:

- delle modificazioni introdotte dall'art. 1, comma 221, della legge 24 dicembre 2007, n. 244 (legge finanziaria per l'anno 2008) all'art. 23, comma 2, lett. a) del richiamato D.P.R. n. 600/1973, in materia di detrazioni per i familiari;

- che, sulla medesima rata di marzo 2011, si procederà all'applicazione delle risultanze delle elaborazioni segnalate dall'INPS, quale gestore del Casellario centrale dei pensionati, ai sensi e per gli effetti di quanto previsto dall'art. 8 del D.Lgs. 2 settembre 1997, n. 314 e dell'art. 34 della legge 23 dicembre 1998, n. 448;

- di quanto disciplinato dall'art. 38, comma 7 del D.L. 31 maggio 2010, n. 78 (convertito con modificazioni nella legge 30 luglio 2010, n. 122) che prevede, per i contribuenti titolari di trattamenti pensionistici di importi non superiori a euro 18.000 ed il cui debito fiscale sia complessivamente superiore a euro 100, la rateizzazione delle imposte dovute in sede di conguaglio in un numero massimo di 11 rate senza l'applicazione di interessi, da recuperare non oltre il mese di dicembre 2011;

- degli importi da garantire mensilmente ai fini dell'incapienza.


- Rateizzazione conguaglio a debito

In particolare, per i debiti da conguaglio fiscale che non possono essere recuperati con un'unica rata di pensione (rata di marzo), si opererà come segue:

1. per i pensionati il cui trattamento pensionistico mensile è di importo maggiore di euro 1.168,57, dalla rata di marzo p.v. sarà assicurato il pagamento di un importo mensile netto di euro 934,86, corrispondente al doppio del trattamento minimo INPS 2011; tale modalità sarà applicata anche nei mesi successivi fino alla totale eliminazione del debito fiscale, utilizzando anche l'importo della tredicesima eccedente euro 934,86 qualora il debito non venga estinto prima;

2. per i pensionati il cui trattamento pensionistico mensile (al netto di tutte le ritenute comprese le addizionali regionali e comunali) è uguale o inferiore ad euro 1.168,57 mensili, il debito fiscale sarà recuperato entro il limite della trattenuta di un quinto della pensione; tale modalità sarà applicata anche nei mesi successivi fino alla totale eliminazione di quanto dovuto all'erario, utilizzando anche l'importo della tredicesima qualora il debito non venga estinto prima.

Le informazioni relative all'importo derivante dal conguaglio fiscale sono contenute nel prospetto informativo allegato al Cud 2011 (si veda punto denominato "importo conguaglio fiscale per l'anno 2010"). Si fa presente che le modalità di restituzione del debito fiscale subito dopo l'applicazione della rata di marzo saranno comunicate agli interessati con un'apposita lettera esplicativa nella quale sarà specificato che, in mancanza di una espressa richiesta di revoca della rateizzazione, la stessa si intende accettata con tutti i conseguenti obblighi fiscali.

Inoltre, si precisa che la rateizzazione, che si ribadisce inizierà a partire dal mese di marzo, terminerà entro il mese di dicembre 2011. Ove il debito non sia stato interamente recuperato entro tale data, l'Istituto comunicherà all'interessato l'obbligo di provvedere personalmente al saldo entro il 15 gennaio 2012, mediante versamento con Modello F24 prestampato con gli importi ed inviato tempestivamente unitamente alla comunicazione.

Nel caso in cui la rateizzazione sia in corso e si interrompa la corresponsione della pensione (esempio in caso di decesso del titolare), il residuo debito sarà comunicato agli eredi che dovranno provvedere al saldo. All'atto del decesso del pensionato sarà immediatamente interrotto il versamento dell'importo relativo alle rateizzazioni residue. In tal caso la struttura informatica comunicherà agli eredi del pensionato il saldo del debito residuo ed i termini di scadenza.

Nel caso in cui il pensionato sia titolare di più trattamenti pensionistici erogati dall'INPDAP, il recupero del debito per conguaglio fiscale sarà effettuato sulla partita di pensione "principale" e, a seguire, sulla secondaria.

Ad esclusione dei pensionati con unica rata di conguaglio fiscale 2010 nel mese di marzo 2011, il procedimento di rateizzazione troverà esatta corrispondenza nella dichiarazione del sostituto d'imposta Modello 770/2011 (di cui il CUD è certificazione speculare), dove, dopo aver indicato al punto 5 le ritenute totali dovute nell'anno 2010 da parte del contribuente e aver provveduto a trattenere la prima rata nel mese di marzo, al punto 73 del CUD/770 sarà indicato l'importo del debito residuo rateizzato successivamente al 28 febbraio. Per i conguagli rateizzati di che trattasi, tale importo è il debito totale detratto quanto già recuperato a marzo e sarà versato mensilmente dall'Inpdap, salvo i casi particolari di interruzione sopra indicati. L'importo indicato al punto 73 del CUD/770 non terrà conto degli interessi, eventualmente già calcolati e trattenuti dall'Inpdap, sulle somme rateizzate. Per i pensionati interessati, nelle annotazioni (cod. AW) della dichiarazione sarà,
infatti, specificato che sulle somme indicate nel punto 73 sono dovuti gli interessi nella misura dello 0,50% mensile.


- Conguaglio a credito

In caso di conguaglio fiscale di segno positivo (a credito del pensionato), la Direzione Centrale Sistemi Informativi, ultimate tutte le operazioni relative al conguaglio Irpef 2010, rimborserà direttamente l'importo complessivo risultante a credito dei pensionati con la rata di marzo 2011, qualora le somme dovute solo per conguaglio fiscale Irpef (con esclusione, quindi, della quota relativa al recupero delle addizionali) non siano di importo superiore a euro 1.500,00. Nel caso in cui le somme dovute solo per conguaglio fiscale Irpef, risultino invece di importo superiore a euro 1.500,00 l'importo complessivo derivante dal conguaglio dovrà essere interamente disposto dalle sedi provinciali e territoriali INPDAP, tramite la relativa procedura informatica, previa verifica delle relative risultanze contabili.

Le risultanze delle operazioni eseguite, comprese quelle relative al recupero delle addizionali regionali e comunali all'Irpef, saranno evidenziate sia sulla certificazione CUD e relativo allegato, sia nei cedolini pensione dei mesi di riferimento.


- Criteri principali per l'effettuazione del conguaglio fiscale

Tra i redditi da conguagliare devono essere ricompresi anche quelli corrisposti entro il 12 gennaio dell'anno successivo, a condizione che siano riferiti all'anno precedente.

A tale proposito, si ritiene opportuno precisare che a norma dell'art. 23, comma 4, ultimo periodo, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, il pensionato non può richiedere all'Ente erogatore della pensione di tener conto, ai fini delle operazioni di conguaglio di fine anno, anche dei redditi di lavoro dipendente o assimilati percepiti, per rapporti intrattenuti con soggetti terzi, nel corso dell'anno reddituale. Con circolare 22 dicembre 2000, n. 238/E infatti, l'Agenzia delle entrate ha precisato che le indennità e i compensi corrisposti da terzi ai sensi dell'articolo 50 (ex 47), comma 1, lettera b), del TUIR devono essere conguagliati dal soggetto che li eroga e non più dal datore di lavoro principale del percipiente, conformemente a quanto stabilito per tutte le tipologie di redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente individuate nel citato articolo 50 (ex 47) del TUIR. Conseguentemente, i soggetti terzi sono tenuti a consegnare al sostituito (pensionato) la certificazione
unica CUD dei redditi erogati nel periodo d'imposta entro i termini ordinari previsti dall'articolo 7-bis del D.P.R. n. 600/1973.

Nell'eventualità che comunque si debba procedere a conguagliare somme provenienti da "terzi", sarà cura dei responsabili degli Uffici preposti al conguaglio fiscale di sensibilizzare i soggetti che comunicano "somme e valori in genere" (ad esempio fringe benefits) da aggiungere agli emolumenti corrisposti dall'INPDAP, a rispettare nell'invio delle comunicazioni il termine tassativo del 12 gennaio, al fine di permettere all'Istituto di procedere alle operazioni di conguaglio di fine anno. In caso di ritardata comunicazione, per espressa previsione normativa, gli importi delle indennità e dei compensi a carico di terzi comunicati al sostituto dopo il 12 di gennaio dell'anno successivo devono essere conguagliati unitamente alle retribuzioni del periodo d'imposta successivo (cfr. circ. 23 dicembre 1997, n. 326/E del Ministero delle finanze, punto 3.5) ovvero la comunicazione andrà effettuata dal soggetto erogatore direttamente al sostituito che procederà a completare la propria
situazione reddituale nei modi previsti dalle vigenti disposizioni (dichiarazione dei redditi Modello Unico Persone fisiche e/o Modello 730).

Fermo restando quanto sopra esposto, nel caso in cui la sede abbia la necessità di comprendere nel CUD INPDAP anche emolumenti corrisposti da "terzi" e già assoggettati a tassazione ordinaria, è obbligatorio fornire i dati relativi alle informazioni richieste dalla dichiarazione del sostituto d'imposta (INPDAP) - Modello 770, come già indicato dalla Direzione Centrale Ragioneria e Finanze nella nota 15 gennaio 2008, n. 1 - Area Tributi 3012/P.E.

Tali informazioni vengono acquisite nel modello 770 utilizzando l'apposita maschera contenuta nell'applicativo CUD di "Gestione Fisco".

In nessun caso possono essere compresi nel CUD rilasciato dall'INPDAP emolumenti corrisposti al pensionato da altri soggetti e su cui è stata applicata la tassazione separata.



Certificazione Cud 2011

La certificazione Cud 2011 sarà inviata in duplice copia, unitamente alle istruzioni per il contribuente, al domicilio dei pensionati nel corrente mese di febbraio e sarà a disposizione nel sito Internet e nella rete Intranet dell'Istituto a partire dal 28 febbraio p.v.

Gli operatori delle Sedi abilitati potranno consultare le certificazioni emesse nell'apposita procedura "CUD 2011" di Gestione Fisco con le consuete modalità.

I redditi imponibili esposti al Punto 1 del CUD sono riferiti in genere alla/e pensione/i percepita/e nell'anno e, ove comunicati all'Istituto dai soggetti che li hanno corrisposti, ai fringe benefits.

I redditi imponibili esposti al Punto 2 del CUD sono riferiti in genere agli assegni periodici percepiti dal coniuge, ad esclusione di quelli destinati al mantenimento dei figli, a seguito di separazione legale, divorzio o annullamento del matrimonio.

Al Punto 5 del CUD sarà esposta la ritenuta Irpef dovuta nell'anno 2010 a seguito dell'avvenuto conguaglio fiscale.

Per i pensionati che hanno fruito della sospensione delle ritenute Irpef e delle addizionali regionali e comunali all'Irpef a seguito di eventi eccezionali (sisma Abruzzo del 6 aprile 2009) nei Campi del CUD interessati (14, 15, 17, 18 e 23) sarà riportato l'importo delle ritenute Irpef, delle addizionali regionali e comunali all'Irpef e degli acconti Modello 730 non operate nel corso dell'anno 2010 per effetto dei provvedimenti di sospensione. Tali importi sono compresi in quanto già esposto ai campi 5, 6, 10, 11, 21 e 22.

A partire dal corrente anno, insieme alla certificazione fiscale CUD, saranno inviati ai pensionati tre modelli aggiuntivi e più precisamente:

- il "Prospetto informativo CUD 2011" che riporta alcune spiegazioni per permettere al pensionato di comprendere la certificazione fiscale CUD inviata, soprattutto in esito al conguaglio fiscale applicato e, eventualmente, all'imponibile totale e relative ritenute in caso di posizione pensionistica multipla gestita dal Casellario INPS;

- il "Modello detrazioni precompilato" che, come già precisato nella nota 2 febbraio 2011, n. 7 della Direzione centrale previdenza, contiene i codici fiscali dei familiari a carico del pensionato che ha usufruito nell'anno 2010 delle relative detrazioni ai sensi dell'art. 12 del D.P.R. n. 917/1986. Per confermare tale situazione nell'anno 2011, il pensionato deve solo firmare e restituire il suddetto Modello;

- il "Modello detrazioni" in bianco, da utilizzare per richiedere le detrazioni per i familiari a carico nel caso in cui la situazione familiare del pensionato che ha usufruito del beneficio fiscale in esame sia variata rispetto al 31 dicembre 2010.


- Modello CUD agli eredi per ratei di pensione dovuti al pensionato deceduto

In caso di corresponsione all'erede di ratei relativi al trattamento per l'anno 2010 in godimento al de cuius la relativa certificazione CUD va intestata all'erede e deve riportare al campo 1 l'importo imponibile liquidato e al campo 5 le relative ritenute Irpef effettuate a tassazione separata (D.P.R. n. 917/1986, art. 7, comma 3). Inoltre, nelle Annotazioni del CUD va riportato il codice AB, con i dati anagrafici ed il codice fiscale del pensionato deceduto nonché la specificazione che trattasi di redditi per i quali l'erede non ha l'obbligo di presentazione della dichiarazione dei redditi.



Modalità di calcolo delle detrazioni

Il calcolo delle detrazioni previste dall'art. 13 del TUIR (defrazioni per lavoro dipendente o assimilati) è rapportato a giorni, mentre le detrazioni per i familiari a carico (art. 12 del TUIR) sono rapportate a mese e competono dal mese in cui si sono verificate a quello in cui sono cessate le condizioni richieste.

Ricordato che le detrazioni spettano a prescindere dall'età del figlio e dalla convivenza di questo con i genitori, ferma comunque restando la sussistenza della condizione del limite di reddito per essere considerato fiscalmente a carico (pari a euro 2.840,51), per quanto riguarda il riconoscimento della detrazione per i carichi di famiglia ai soggetti non residenti si rinvia alle direttive impartite con nota 21 settembre 2007, n. 29.

Con nota 21 gennaio 2008, n. 3 sono state inoltre illustrate le modificazioni introdotte agli artt. 12 e 13 del ripetuto TUIR dall'art. 1, commi 11 e 15, della legge finanziaria 2008 concernenti, rispettivamente, il riconoscimento ai percettori di assegni periodici delle detrazioni previste per i titolari di redditi da pensione e l'ulteriore detrazione per le famiglie numerose che rilevano per il periodo d'imposta al 31 dicembre 2007: quanto precisato nella richiamata nota operativa deve intendersi qui confermato.



Applicazione addizionali regionali e comunali

Le addizionali regionali e comunali sono dovute solo se per lo stesso anno risulta dovuta anche l'Irpef (cfr. nota 23 dicembre 2004, n. 26 e nota 21 dicembre 2005, n. 44).

Ai fini dell'applicazione delle addizionali, il sostituto d'imposta deve riportare il domicilio fiscale del contribuente al 1° gennaio 2010. Occorre inoltre indicare il domicilio fiscale al 31 dicembre 2010 (o, se antecedente, alla data di cessazione del rapporto di lavoro) nonché il domicilio fiscale al 1° gennaio 2011, solo se diversi dal domicilio fiscale al 1° gennaio 2010. Ai fini dell'individuazione degli Enti destinatari delle addizionali (Regione, Comune), si precisa che gli effetti delle variazioni di domicilio fiscale decorrono dal sessantesimo giorno successivo a quello in cui si sono verificate.

Ciò posto, si fa presente che il comma 7 dell'art. 40 del D.L. n. 159/2007, convertito, con modificazioni, nella legge 29 novembre 2007, n. 222, ha sostituito il comma 4 dell'articolo 1 del D.Lgs. n. 360/1998 (concernente l'addizionale comunale all'Irpef), disponendo che «Ai fini della determinazione dell'acconto, l'aliquota di cui al comma 3 e la soglia di esenzione di cui al comma 3-bis sono assunte nella misura vigente nell'anno precedente, salvo che la pubblicazione della delibera sia effettuata entro il 31 dicembre precedente l'anno di riferimento».

Il successivo comma 8 del medesimo articolo ha aggiunto, infine, il seguente periodo all'articolo 50, comma 3, del D.Lgs. n. 446/1997 (inerente l'addizionale regionale all'Irpef): «Le Regioni possono deliberare che la maggiorazione, se più favorevole per il contribuente rispetto a quella vigente, si applichi anche al periodo di imposta al quale si riferisce l'addizionale». Ne consegue che le Regioni possono applicare retroattivamente l'aliquota più bassa ogni qualvolta le aliquote adottate siano inferiori rispetto a quelle precedentemente deliberate, con conseguente riduzione della pressione fiscale.

Si riportano nella successiva tabella le misure delle aliquote relative all'addizionale regionale all'Irpef da applicare sui redditi prodotti nell'anno 2010 e si ricorda che, come a suo tempo precisato, l'obbligo di presentazione della dichiarazione dei redditi (Modello 730 e/o Modello Unico) sussiste per il contribuente anche nell'ipotesi in cui le addizionali regionali e comunali all'Irpef, ancorché dovute, non sono state trattenute o sono state trattenute in misura inferiore (o superiore) a quella dovuta da parte del sostituto d'imposta.

Inoltre, per il sostituito che abbia situazioni personali non conosciute dal sostituto, rimane sempre la possibilità di ottemperare tramite dichiarazione dei redditi (modello 730 e/o UNICO Persone Fisiche) al fine di ottenere l'applicazione delle aliquote più favorevoli.


Il Dirigente generale

Dott. Giuseppe Beato


Il Dirigente generale

Dott. Giorgio Fiorino



Allegato


Addizionale regionale all'imposta sul reddito delle persone fisiche (art. 50, comma 3, D.Lgs. n. 446/1997) CUD 2011 - Redditi 2010


Codice Regione


Regione


Reddito imponibile


Aliquota


Modalità applicazione dell'aliquota


Riferimenti normativi

01


Abruzzo


qualunque reddito


1,4


sull'imponibile totale


L.R. 12 dicembre 2006, n. 44

02


Basilicata


qualunque reddito


0,9


sull'imponibile totale


03


Bolzano


qualunque reddito


0,9


sull'imponibile totale

Esenti redditi fino a 12.500 euro, Esenti redditi fino a 25.000 euro con figli a tarito


L.P. 23 dicembre 2010, n. 15.

04


Calabria


qualunque reddito


1,7


sull'imponibile totale


05


Campania


qualunque reddito


1,7


sull'imponibile totale


06


Emilia- Romagna


fino a


15.000


14


sull'imponibile totale


L.R. 20 dicembre 2006, n. 19

da 15.001


a 20,000


1,2


sull'imponibile totale

da 20.001


a 25,000


1,3


sull'imponibile totale

oltre


25,000


1,4


sull'imponibile totale

07


Friuli Venezia Giulia


qualunque reddito


0,9


sull'imponibile totale


08


Lazio


qualunque reddito


1,7


sull'imponibile totale


09


Liguria


fino a


30,000


0,9


sull'imponibile totale


Circ. n 181651 del 30 dicembre 2010

da 30,000,01


a 30,152,13


1,4 [*]


sull'imponibile totale

[*] Imposta ridotta di un importo pari a: [0(986X(30.152,13-Reddito)]

oltre


30,152,13


1,4


sull'imponibile totale

10


Lombardia


fino a


15,493,71


0,3


sull'imponibile totale


L.R. 20 dicembre 2007, n. 35

da 15,493,72


a 30,987,41


1,3


per scaglioni

oltre


30.987,41


1,4


per scaglioni

11


Marche


fino a


15,500


0,9


sull'imponibile totale


L.R. 24 dicembre 2004, n. 29
   

da 15.501


a 31,000


1,2


per scaglioni

   

oltre


31,000


1,4


per scaglioni


12


Molise


qualunque reddito


1,7


sull'imponibile totale


13


Piemonte


fino a


15,000


0,9


sull'imponibile totale


L.R. 30 dicembre 2003, n. 35

da 15.001


a 22,000


1,2


sull'imponibile totale

oltre


22,000


1,4


sull'imponibile totale

14


Puglia


qualunque reddito


0,9


sull'imponibile totale


L.R. 31 dicembre 2009, n. 34

15


Sardegna


qualunque reddito


0,9


sull'imponibile totale


16


Sicilia


qualunque reddito


1,4


sull'imponibile totale


L.R. 2 maggio 2007, n. 12

17


Toscana


qualunque reddito


0,9


sull'imponibile totale


18


Trento


qualunque reddito


0,9


sull'imponibile totale


19


Umbria


fino a


15,000


0,9


sull'imponibile totale


Delib.G.R. 18 dicembre 2001, n. 1631

oltre


15,000


1,1


sull'imponibile totale

20


Val d'Aosta


qualunque reddito


0,9


sull'imponibile totale


21


Veneto


qualunque reddito


0,9


sull'imponibile totale





D.L. 31 maggio 2010, n. 78, art. 38
D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, art. 50
D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 7-bis
D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 23
D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 12 e seg.
D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 49
D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 50
L. 24 dicembre 2007, n. 244, art. 1, comma 221
L. 24 dicembre 2007, n. 244, art. 1, comma 361
Provv. 17 gennaio 2011

Corte Costituzionale "...La prima censura investe l’art. 4, comma 2, lettera c), della legge regionale, il quale prevede che gli appartenenti alla polizia locale dei Comuni e delle Province esercitano «funzioni di polizia giudiziaria secondo le disposizioni della vigente legislazione statale, rivestendo, a tal fine, la qualifica di Ufficiale di Polizia Giudiziaria riferita ai Comandanti, Ufficiali e Ispettori di Polizia Locale, a seguito di nomina da parte dell’Amministrazione di appartenenza in riferimento al disposto dell’art. 55 del codice di procedura penale, e di Agente di Polizia Giudiziaria, riferita agli Assistenti-Istruttori e agli Agenti di Polizia Locale». ...Nel definire le caratteristiche delle uniformi degli addetti alla polizia locale, le richiamate disposizioni prevedrebbero, infatti, colori, forme, mostreggiature e gradi somiglianti a quelli delle uniformi in uso alla polizia di Stato: ciò, in contrasto con quanto stabilito dall’art. 6 della legge n. 65 del 1986, secondo cui le divise della polizia municipale devono essere tali da escludere la «stretta somiglianza» con quelle delle Forze di polizia e delle Forze armate dello Stato. ..."

SENTENZA N. 35
ANNO 2011
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori: Presidente: Ugo DE SIERVO; Giudici : Paolo MADDALENA, Alfio FINOCCHIARO, Alfonso QUARANTA, Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI, Giorgio LATTANZI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 4, commi 2, lettere c) e q), e 4; 11, comma 1, lettera d); 19, con l’allegato A; 20; 21, con l’allegato E; 22, con l’allegato D, e 26 della legge della Regione Basilicata 29 dicembre 2009, n. 41 (Polizia locale e politiche di sicurezza urbana), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 1°-4 marzo 2010, depositato in cancelleria il 10 marzo 2010 ed iscritto al n. 41 del registro ricorsi 2010.
Udito nell’udienza pubblica del 14 dicembre 2010 il Giudice relatore Giuseppe Frigo;
udito l’avvocato dello Stato Wally Ferrante per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1. – Con ricorso notificato il 1° marzo 2010, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso, in riferimento all’art. 117, primo e secondo comma, lettere h) ed l), della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale in via principale degli artt. 4, commi 2, lettere c) e q), e 4; 11, comma 1, lettera d); 19, con l’allegato A; 20; 21, con l’allegato E; 22, con l’allegato D, e 26 della legge della Regione Basilicata 29 dicembre 2009, n. 41 (Polizia locale e politiche di sicurezza urbana).
Il ricorrente premette che la citata legge lucana detta norme in materia di polizia locale e politiche di sicurezza urbana, dando attuazione ai principi contenuti nella legge 7 marzo 1986, n. 65 (Legge quadro sull’ordinamento della polizia locale).
Ad avviso del Governo, con le norme denunciate la Regione avrebbe esorbitato dai limiti delle proprie competenze legislative, invadendo quelle statali.
La prima censura investe l’art. 4, comma 2, lettera c), della legge regionale, il quale prevede che gli appartenenti alla polizia locale dei Comuni e delle Province esercitano «funzioni di polizia giudiziaria secondo le disposizioni della vigente legislazione statale, rivestendo, a tal fine, la qualifica di Ufficiale di Polizia Giudiziaria riferita ai Comandanti, Ufficiali e Ispettori di Polizia Locale, a seguito di nomina da parte dell’Amministrazione di appartenenza in riferimento al disposto dell’art. 55 del codice di procedura penale, e di Agente di Polizia Giudiziaria, riferita agli Assistenti-Istruttori e agli Agenti di Polizia Locale».
Tale disposizione, sebbene richiami la legislazione statale vigente, violerebbe la competenza esclusiva dello Stato in tema di giurisdizione penale, attribuita dall’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., che riserva alla legge statale la materia «giurisdizione e norme processuali; ordinamento civile e penale». Come chiarito, infatti, da questa Corte costituzionale con la sentenza n. 313 del 2003, la polizia giudiziaria – la quale opera, di propria iniziativa o per disposizione o delega dell’autorità giudiziaria, ai fini dell’applicazione della legge penale – rientra nell’ambito della materia dianzi indicata: con la conseguenza che la legge regionale non sarebbe competente a disporre il riconoscimento della qualifica di ufficiale o agente di polizia giudiziaria, a prescindere dalla conformità o dalla difformità alla legge dello Stato, trattandosi di disciplina demandata esclusivamente a questa legge.
2. – La seconda censura concerne l’art. 4, commi 2, lettera q), e 4, della legge regionale, nella parte in cui prevede che possano essere raggiunte intese di collaborazione nell’attività di pubblica sicurezza tra le amministrazioni locali, anche al di fuori dei rispettivi territori di appartenenza, inviandone comunicazione al prefetto solo nel caso in cui riguardino personale avente la qualità di agente in servizio armato.
Secondo il ricorrente, detta norma violerebbe la competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di ordine pubblico e sicurezza, prevista dall’art. 117, secondo comma, lettera h), Cost., e si porrebbe, altresì, in contrasto con la legge statale n. 65 del 1986, che, all’art. 5, comma 1, lettera c), definisce «ausiliarie» le funzioni di pubblica sicurezza della polizia locale ai sensi dell’art. 3 della medesima legge, secondo il quale gli addetti al servizio di polizia municipale collaborano, «nell’ambito delle proprie attribuzioni, con le Forze di polizia dello Stato, previa disposizione del sindaco, quando ne venga fatta, per specifiche operazioni, motivata richiesta dalle competenti autorità».
Al riguardo, è richiamata la distinzione tra la «polizia di sicurezza», la cui disciplina legislativa forma oggetto di riserva a favore dello Stato in base al citato precetto costituzionale, e la «polizia amministrativa locale», esplicitamente sottratta alla predetta competenza esclusiva. Alla luce della definizione fornita dal comma 2 dell’art. 159 del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 112 (Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59), la polizia di sicurezza concerne, in particolare, «le misure preventive e repressive dirette al mantenimento dell’ordine pubblico, inteso come il complesso dei beni giuridici fondamentali e degli interessi pubblici primari sui quali si regge l’ordinata e civile convivenza nella comunità nazionale, nonché alla sicurezza delle istituzioni, dei cittadini e dei loro beni».
Per converso, i compiti di polizia amministrativa locale attengono – come puntualizzato dalla giurisprudenza costituzionale – alle «attività di prevenzione o di repressione dirette a evitare danni o pregiudizi che possono essere arrecati alle persone o alle cose nello svolgimento delle materie sulle quali si esercitano le competenze regionali […], senza che ne risultino lesi o messi in pericolo i beni o gli interessi tutelati in nome dell’ordine pubblico». In altri termini, la rilevanza dei compiti di polizia amministrativa dovrebbe necessariamente esaurirsi all’interno delle attribuzioni regionali, senza poter toccare quegli interessi di fondamentale importanza per l’ordinamento complessivo, che è compito dello Stato curare.
Se i criteri distintivi appena enunciati valgono per la delimitazione «per attribuzioni» della competenza legislativa regionale, ad analoga conclusione dovrebbe pervenirsi – a parere del ricorrente – «anche in relazione alla delimitazione “territoriale” della competenza legislativa regionale, in quanto la possibilità di raggiungere intese con altri enti locali, per tutelare la sicurezza pubblica anche al di fuori del territorio regionale, si tradurrebbe in una indebita invasione della competenza legislativa statale che, per definizione, riguarda l’intero territorio nazionale».
3. – Forma, altresì, oggetto di impugnazione l’art. 11, comma 1, lettera d), della legge della Regione Basilicata n. 41 del 2009, il quale prevede – quale requisito ulteriore, rispetto a quelli stabiliti dalla vigente legislazione statale, ai fini dell’ammissione ai concorsi per posti di polizia locale – che il candidato non debba «essere in possesso dello status di obiettore di coscienza».
Ad avviso del ricorrente, tale previsione si porrebbe in contrasto con l’art. 1 della legge 23 agosto 2004, n. 226 (Sospensione anticipata del servizio obbligatorio di leva e disciplina dei volontari di truppa in ferma prefissata, nonché delega al Governo per il conseguente coordinamento con la normativa di settore), che sospende, a decorrere dal 1° gennaio 2005, le chiamate per lo svolgimento del servizio di leva, ledendo nuovamente, con ciò, la competenza esclusiva statale in materia di ordine pubblico e sicurezza (art. 117, secondo comma, lettera h, Cost.).
La disposizione censurata sarebbe, in effetti, incoerente con la sospensione del servizio di leva, giacché lo «status di obiettore di coscienza» assumerebbe rilevanza solo in presenza di una chiamata alle armi obbligatoria.
Osserva, inoltre, l’Avvocatura dello Stato che l’art. 11, comma 1, della legge regionale introduce il censurato requisito negativo per l’ammissione ai concorsi per posti di polizia locale insieme ad «altri specifici requisiti», i quali non sarebbero, in realtà, affatto «specifici», corrispondendo a quelli, di ordine generale, previsti dall’art. 5, comma 2, della legge n. 65 del 1986; laddove, al contrario, il solo requisito di cui alla lettera d) esula totalmente dalle previsioni della legge statale.
4. – Parimenti lesivi dell’art. 117, secondo comma, lettera h), Cost. risulterebbero gli artt. 19, con l’allegato A, 20, 21, con l’allegato E, e 22, con l’allegato D, della legge regionale censurata.
Nel definire le caratteristiche delle uniformi degli addetti alla polizia locale, le richiamate disposizioni prevedrebbero, infatti, colori, forme, mostreggiature e gradi somiglianti a quelli delle uniformi in uso alla polizia di Stato: ciò, in contrasto con quanto stabilito dall’art. 6 della legge n. 65 del 1986, secondo cui le divise della polizia municipale devono essere tali da escludere la «stretta somiglianza» con quelle delle Forze di polizia e delle Forze armate dello Stato.
5. – Infine, secondo la Presidenza del Consiglio dei ministri, l’art. 26 della legge regionale violerebbe l’art. 117, primo comma, Cost., che impone alle Regioni l’osservanza dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario.
La norma impugnata, infatti, prevedendo l’istituzione di un numero telefonico unico regionale (a tre o quattro cifre) per la polizia locale, si porrebbe in contrasto con la direttiva 2002/22/CE, relativa al servizio universale e ai diritti degli utenti in materia di reti e di servizi di comunicazione elettronica (direttiva servizio universale), che ha imposto agli Stati membri di istituire il numero unico di emergenza «112», al fine di garantire ai cittadini adeguata risposta alle chiamate di emergenza attraverso un sistema di gestione unificato delle telefonate.
Nel recepire la direttiva, il d.lgs. 1° agosto 2003, n. 259 (Codice delle comunicazioni elettroniche a livello statale) ha stabilito, all’art. 76, che il Ministero provvede affinché, oltre ad altri eventuali numeri di emergenza nazionali, indicati nel piano nazionale di numerazione, gli utenti finali di servizi telefonici accessibili al pubblico possano chiamare gratuitamente i servizi di soccorso, digitando, per l’appunto, il numero di emergenza unico europeo «112». Ai sensi del medesimo art. 76, inoltre, i numeri di emergenza nazionali sono, innanzitutto, stabiliti con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, sentita, in merito alla disponibilità dei numeri, l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni – quale «autorità nazionale di regolamentazione» cui si riferisce la direttiva comunitaria – e sono, quindi, recepiti dall’Autorità nel piano nazionale di numerazione.
Tutto ciò, allo scopo di garantire la certezza circa il numero o i numeri di emergenza cui fare riferimento ed evitare il rischio di sovrapposizioni.
6. – Il 23 novembre 2010, l’Avvocatura generale dello Stato ha depositato, nell’interesse del Presidente del Consiglio dei ministri, una memoria illustrativa, insistendo per la dichiarazione di illegittimità costituzionale delle disposizioni censurate.
In particolare, ha richiamato la sentenza n. 167 del 2010, intervenuta nelle more del giudizio, con cui è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale di alcune disposizioni della legge della Regione Friuli Venezia Giulia 29 aprile 2009, n. 9 (Disposizioni in materia di politiche di sicurezza e ordinamento della polizia locale): il cui contenuto risulterebbe – secondo il ricorrente – in larga misura sovrapponibile a quello delle norme oggetto dell’odierno scrutinio.
Il rilievo varrebbe, in specie, per l’art. 15, comma 1, della citata legge friulana, il quale – in modo analogo all’art. 4, comma 2, lettera c), della legge reg. Basilicata n. 41 del 2009 – attribuisce agli addetti alla polizia locale la qualifica di agenti e ufficiali di polizia giudiziaria. Nel dichiarare l’incostituzionalità della norma in riferimento al medesimo parametro oggi invocato (l’art. 117, secondo comma, lettera l, Cost.), la citata sentenza n. 167 del 2010 ha affermato che tale attribuzione deve ritenersi invasiva della sfera di competenza esclusiva statale in materia di giurisdizione penale, senza che rilevi, in senso contrario, l’esistenza di norme statali (quale, in particolare, l’art. 5 della legge n. 65 del 1986) che già riconoscono la qualifica di ufficiale o agente di polizia giudiziaria al personale della polizia locale.
La medesima sentenza ha dichiarato, inoltre, l’incostituzionalità – per violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera h), Cost. – dell’art. 8, comma 6, della legge friulana, recante una previsione assai simile, secondo l’Avvocatura dello Stato, a quella dell’impugnato art. 4, comma 2, lettera q), della legge reg. Basilicata n. 41 del 2009 («nell’esercizio delle funzioni di pubblica sicurezza previste dalla normativa statale, la polizia locale assume il presidio del territorio tra i suoi compiti primari, al fine di garantire, in concorso con le forze di polizia dello Stato, la sicurezza urbana negli ambiti territoriali di riferimento»).
Nell’occasione, la Corte – dopo avere ribadito i propri orientamenti in ordine alle nozione di ordine pubblico e sicurezza – ha rilevato che, «quanto alla necessità di una collaborazione fra forze di polizia municipale e forze di polizia di Stato, l’art. 118, terzo comma, Cost. ha provveduto espressamente a demandare alla legge statale il compito di disciplinare eventuali forme di coordinamento nella materia dell’ordine pubblico e della sicurezza»; concludendo, quindi, che la norma regionale in questione, «disciplinando non solo modalità di esercizio delle funzioni di pubblica sicurezza da parte della polizia locale, ma anche le forme della collaborazione con le forze della polizia dello Stato», violava la competenza legislativa esclusiva dello Stato prevista dall’art. 117, secondo comma, lettera h), Cost.
Ad avviso del ricorrente, tale iter argomentativo sarebbe estensibile anche alla questione avente ad oggetto la norma della Regione Basilicata che qui interessa, concernente le intese di collaborazione nelle attività di pubblica sicurezza tra reparti di polizia locale di diversi comuni. Ciò troverebbe, del resto, conferma, «a contrario», in quanto affermato, nell’ambito della medesima citata sentenza, in relazione allo «sviluppo di politiche di sicurezza transfrontaliere», essendo stato al riguardo ulteriormente ribadito che solo «nelle materie di sua competenza la Regione può concludere accordi con Stati e intese con enti territoriali interni ad altro Stato, nei casi e nelle forme disciplinati da leggi dello Stato (sentenza n. 238 del 2004)».
Nel caso di specie, sarebbe quindi evidente che l’art. 4, comma 2, lettera q), della legge regionale in esame, stabilendo che le amministrazioni locali possono raggiungere intese di collaborazione nell’attività di pubblica sicurezza, anche al di fuori dei rispettivi territori di appartenenza, esorbiti dal limite delle competenze regionali fissato dal parametro costituzionale invocato.
Considerato in diritto
1. – Il Presidente del Consiglio dei ministri ha sollevato questioni di legittimità costituzionale in via principale di plurime disposizioni della legge della Regione Basilicata 29 dicembre 2009, n. 41 (Polizia locale e politiche di sicurezza urbana) – recante norme in materia di polizia locale e politiche di sicurezza urbana «in armonia con i principi stabiliti dalla legge 7 marzo 1986, n. 65» (Legge quadro sull’ordinamento della polizia locale) – deducendo la violazione dell’art. 117, primo e secondo comma, lettere h) ed l), della Costituzione.
2. – Il ricorrente censura, in primo luogo, l’art. 4, comma 2, lettera c), della citata legge lucana, ove si prevede che gli appartenenti alla polizia locale dei Comuni e delle Province esercitano «funzioni di polizia giudiziaria secondo le disposizioni della vigente legislazione statale, rivestendo, a tal fine, la qualifica di Ufficiale di Polizia Giudiziaria riferita ai Comandanti, Ufficiali e Ispettori di Polizia Locale, a seguito di nomina da parte dell’Amministrazione di appartenenza in riferimento al disposto dell’art. 55 del codice di procedura penale, e di Agente di Polizia Giudiziaria, riferita agli Assistenti-Istruttori e agli Agenti di Polizia Locale».
Ad avviso del Presidente del Consiglio dei ministri, la norma esorbiterebbe dall’ambito delle competenze legislative regionali, disponendo nella materia «giurisdizione penale», demandata alla competenza legislativa esclusiva statale dall’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost.
La questione è fondata.
Questa Corte ha già affermato in più occasioni che, «quanto alla polizia giudiziaria che, a norma dell’art. 55 del codice di procedura penale, opera, di propria iniziativa e per disposizione o delega dell’Autorità giudiziaria, ai fini dell’applicazione della legge penale, l’esclusione della competenza regionale risulta dalla competenza esclusiva dello Stato in materia di giurisdizione penale disposta dalla lettera l) del secondo comma dell’art. 117 della Costituzione» (sentenza n. 313 del 2003; nello stesso senso, sentenza n. 167 del 2010).
D’altro canto, il vigente codice di procedura penale ha configurato la polizia giudiziaria come soggetto ausiliario di uno dei soggetti del rapporto triadico in cui si esprime la funzione giurisdizionale (il pubblico ministero).
Ne consegue che va ritenuta costituzionalmente illegittima una norma regionale che – al pari di quella oggi impugnata – provveda ad attribuire al personale della polizia locale la qualifica di ufficiale o agente di polizia giudiziaria, trattandosi di compito riservato in via esclusiva alla legislazione statale (sentenze n. 167 del 2010 e n. 313 del 2003 cit.).
Né il richiamo, contenuto nella legge regionale, alla legge statale (e, comunque, la conformità della prima alla seconda) vale ad emendare il vizio denunciato. Il problema qui in discussione, infatti, «non è di stabilire se la legislazione regionale sia o non sia conforme a quella statale, ma, ancor prima, se sia competente o meno a disporre il riconoscimento» delle qualifiche di cui si tratta, «indipendentemente dalla conformità o dalla difformità rispetto alla legge dello Stato» (sentenza n. 313 del 2003; in senso analogo, sentenza n. 167 del 2010). La giurisprudenza di questa Corte è, del resto, costante nell’affermare che «la novazione della fonte con intrusione negli ambiti di competenza esclusiva statale costituisce causa di illegittimità della norma» regionale (ex plurimis, sentenze n. 167 del 2010 e n. 26 del 2005).
3. – Il ricorrente impugna, in secondo luogo, l’art. 4, commi 2, lettera q), e 4, della legge della Regione Basilicata n. 41 del 2009, nella parte in cui prevede che possano essere raggiunte intese di collaborazione nell’attività di pubblica sicurezza tra le amministrazioni locali, anche al di fuori dei rispettivi territori di appartenenza, inviandone comunicazione al prefetto solo nel caso in cui riguardino personale avente la qualità di agente in servizio armato.
La previsione normativa censurata violerebbe la competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di ordine pubblico e sicurezza, prevista dall’art. 117, secondo comma, lettera h), Cost., ponendosi, altresì, in contrasto con la legge statale n. 65 del 1986: legge che – dopo aver stabilito che gli addetti al servizio di polizia municipale collaborano, «nell’ambito delle proprie attribuzioni, con le Forze di polizia dello Stato, previa disposizione del sindaco, quando ne venga fatta, per specifiche operazioni, motivata richiesta dalle competenti autorità» (art. 3) – qualifica come «ausiliarie» le funzioni di pubblica sicurezza esercitate dal suddetto personale (art. 5, comma 1, lettera c).
Anche tale questione è fondata.
L’art. 4, comma 1, lettera q), della legge regionale, nella parte oggetto di censura, consente agli appartenenti alla polizia locale dei Comuni e delle Province di esercitare «attività di concorso alla tutela della sicurezza pubblica», anche al di fuori del «rispettivo territorio di competenza», sulla base di intese tra le amministrazioni interessate; con la precisazione che le «intese di collaborazione tra reparti di diversi Comuni» possono essere raggiunte «solamente previo parere favorevole del Comandante del Corpo o Servizio, inviando comunicazione al Prefetto allorquando riguardino personale avente qualità di agente di pubblica sicurezza in servizio armato».
La descrizione dell’attività oggetto delle intese è fornita dal successivo comma 4 del medesimo art. 4 – cui la citata lettera q) del comma 2 rinvia – ai sensi del quale la polizia locale è chiamata a esercitare, «nei limiti previsti dalle deliberazioni dei comitati provinciali per l’ordine pubblico e la sicurezza pubblica, funzioni di tutela della sicurezza urbana, intesa come necessario presupposto dello sviluppo economico e sociale e della salvaguardia della vita delle persone residenti nel territorio, perseguita attraverso la coniugazione delle attività di prevenzione, mediazione dei conflitti, controllo e repressione».
In questa prospettiva – come attestano, da un lato, la stessa qualificazione dell’attività come di «concorso alla tutela della sicurezza pubblica» e, dall’altro, i riferimenti alla «salvaguardia della vita delle persone» tramite interventi di prevenzione e repressione – la regolamentazione delle «intese di collaborazione» oggetto di censura viene a collocarsi nell’ambito della materia «ordine pubblico e sicurezza», di competenza legislativa esclusiva statale: materia che, per consolidata giurisprudenza di questa Corte, attiene «alla prevenzione dei reati e al mantenimento dell’ordine pubblico», inteso quest’ultimo quale «complesso dei beni giuridici fondamentali e degli interessi pubblici primari sui quali si regge l’ordinata e civile convivenza nella comunità nazionale» (ex plurimis, sentenza n. 129 del 2009 e – in rapporto a fattispecie nelle quali veniva specificamente in rilievo il concetto di «sicurezza urbana» – sentenze n. 274 e n. 226 del 2010, n. 196 del 2009). Donde la sussistenza della violazione denunciata.
Va, quindi, dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 4, commi 2, lettera q), e 4, della legge della Regione Basilicata n. 41 del 2009, nella parte in cui prevede che possano essere raggiunte intese di collaborazione nell’attività di pubblica sicurezza tra le amministrazioni locali, anche al di fuori dei rispettivi territori di appartenenza, inviandone comunicazione al prefetto solo nel caso in cui riguardino personale avente la qualità di agente in servizio armato.
4. – Secondo il ricorrente, anche l’art. 11, comma 1, lettera d), della legge regionale censurata invaderebbe l’ambito della potestà legislativa statale esclusiva in materia di ordine pubblico e sicurezza, definito dall’art. 117, secondo comma, lettera h), Cost.
Nel prevedere – quale requisito ulteriore, rispetto a quelli stabiliti dalla vigente legislazione statale, ai fini dell’ammissione ai concorsi per posti di polizia locale – che il candidato non debba «essere in possesso dello status di obiettore di coscienza», la menzionata disposizione si porrebbe, difatti, in contrasto con l’art. 1 della legge 23 agosto 2004, n. 226 (Sospensione anticipata del servizio obbligatorio di leva e disciplina dei volontari di truppa in ferma prefissata, nonché delega al Governo per il conseguente coordinamento con la normativa di settore), che sospende le chiamate per lo svolgimento del servizio di leva a decorrere dal 1° gennaio 2005. Ciò, in quanto lo «status» di obiettore di coscienza potrebbe assumere rilevanza solo in presenza di una chiamata alle armi obbligatoria.
La questione è inammissibile.
Il Presidente del Consiglio dei ministri, infatti, pur deducendo la violazione di una competenza legislativa statale esclusiva – e, dunque, l’inesistenza di qualsiasi competenza regionale nella materia considerata – ravvisa contraddittoriamente la violazione della riserva statale solo nell’asserita incompatibilità della norma denunciata con la disciplina dettata dalla legge n. 226 del 2004 (ciò, a differenza di quanto avviene in rapporto alla questione precedentemente esaminata, rispetto alla quale la normativa statale risulta evocata, nella sostanza, solo al fine di dare conto del modo in cui la rivendicata potestà esclusiva è stata esercitata). Ne discende l’inammissibilità della questione, «non potendo coesistere – se non in un rapporto di subordinazione, non dedotto nel ricorso – una censura attinente sia all’an, sia al quomodo dell’esercizio della potestà regionale» (sentenza n. 391 del 2006).
A ciò va aggiunto che il parametro evocato è palesemente inconferente, giacché il requisito dell’assenza dello «status» di obiettore di coscienza, considerato nel contesto della disciplina in esame, incide sull’accesso a un pubblico concorso volto al reclutamento di personale che svolge funzioni di polizia amministrativa locale: dunque, su un ambito certamente estraneo alla materia «ordine pubblico e sicurezza», quale intesa dalla giurisprudenza costituzionale dianzi richiamata.
5. – Una ulteriore censura investe gli artt. 19, con l’allegato A, 20, 21, con l’allegato E, e 22, con l’allegato D, della legge regionale.
Ad avviso del ricorrente, le norme impugnate – nel definire le caratteristiche delle uniformi degli addetti alla polizia locale – avrebbero adottato colori, forme, mostreggiature e gradi somiglianti a quelli in uso alla polizia di Stato: ciò, in contrasto con quanto stabilito dall’art. 6 della legge statale n. 65 del 1986, ai sensi del quale le uniformi della polizia locale devono essere tali da escludere la «stretta somiglianza» con quelle delle Forze di polizia e delle Forze armate dello Stato. Per questo verso, le disposizioni regionali tornerebbero a invadere la sfera della potestà legislativa esclusiva statale prevista dall’art. 117, secondo comma, lettera h), Cost.
Anche tale questione è inammissibile, per la contraddittorietà della sua prospettazione.
Il ricorrente abbina, difatti, nuovamente l’allegazione dell’inesistenza della potestà legislativa regionale – insita nella denunciata violazione di un titolo di competenza statale esclusiva – con una censura che attiene, per converso, unicamente alle modalità con le quali detta potestà è stata concretamente esercitata, tali da porre le disposizioni impugnate in asserito contrasto con un precetto posto dalla legge statale.
6. – Da ultimo, la Presidenza del Consiglio dei ministri impugna l’art. 26 della legge regionale, il quale prevede che la polizia locale «disporrà di un numero telefonico unico (a 3 o 4 cifre) per il pronto intervento».
Secondo il ricorrente, la norma violerebbe l’art. 117, primo comma, Cost., ponendosi in contrasto con la direttiva 2002/22/CE, recepita con d.lgs. 1° agosto 2003, n. 259 (Codice delle comunicazioni elettroniche a livello statale), che ha imposto agli Stati membri di istituire il numero unico di emergenza «112». La disposizione regionale vanificherebbe, difatti, la finalità della direttiva comunitaria e, conseguentemente, della normativa statale di recepimento: finalità che consisterebbe nel «garantire la certezza per la cittadinanza in ordine al numero o ai numeri di emergenza cui fare riferimento onde evitare il rischio di sovrapposizioni».
La questione è infondata.
L’intento della richiamata direttiva è quello di fornire ai cittadini il medesimo codice di accesso («112») ai servizi di emergenza su tutto il territorio dell’Unione, eliminando le differenze preesistenti relative ai numeri per le chiamate di emergenza. Detta uniformità non implica, tuttavia, l’esclusione di ulteriori numeri di emergenza nazionali o anche locali. Al contrario – analogamente a quanto già stabilito dalla decisione 91/396/CEE del Consiglio, la quale aveva introdotto il numero unico europeo «parallelamente a ogni altro numero nazionale esistente per tali chiamate» (art. 1) – la citata direttiva 2002/22/CE consente espressamente agli Stati membri di prevedere ulteriori numeri di emergenza nazionali (art. 26).
A conferma di ciò, nel recepire la direttiva, il d.lgs. n. 259 del 2003, all’art. 76, ha ribadito la possibilità che siano previsti numeri di emergenza nazionali e ha stabilito le modalità per la loro determinazione.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 4, comma 2, lettera c), della legge della Regione Basilicata 29 dicembre 2009, n. 41 (Polizia locale e politiche di sicurezza urbana);
2) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 4, commi 2, lettera q), e 4, della legge della Regione Basilicata n. 41 del 2009, nella parte in cui prevede che possano essere raggiunte intese di collaborazione nell’attività di pubblica sicurezza tra le amministrazioni locali, anche al di fuori dei rispettivi territori di appartenenza, inviandone comunicazione al prefetto solo nel caso in cui riguardino personale avente la qualità di agente in servizio armato;
3) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 11, comma 1, lettera d), 19, con l’allegato A, 20, 21, con l’allegato E, e 22, con l’allegato D, della legge della Regione Basilicata n. 41 del 2009, sollevate dal Presidente del Consiglio dei ministri, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera h), della Costituzione, con il ricorso indicato in epigrafe;
4) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 26 della legge della Regione Basilicata n. 41 del 2009, sollevata dal Presidente del Consiglio dei ministri, in riferimento all’art. 117, primo comma, della Costituzione, con il ricorso indicato in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 febbraio 2011.
F.to:
Ugo DE SIERVO, Presidente
Giuseppe FRIGO, Redattore
Maria Rosaria FRUSCELLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 9 febbraio 2011.
Il Cancelliere
F.to: FRUSCELLA

Corte Costituzionale: postacelere arriva tardi? Si può chiedere il risarcimento del danno


SENTENZA N. 46
ANNO 2011

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
-           Ugo                             DE SIERVO                      Presidente
-           Paolo                           MADDALENA                 Giudice
-           Alfio                            FINOCCHIARO                      "
-           Alfonso                       QUARANTA                           "
-           Franco                         GALLO                                    "
-           Luigi                            MAZZELLA                            "
-           Gaetano                       SILVESTRI                              "
-           Sabino                         CASSESE                                 "
-           Giuseppe                     TESAURO                               "
-           Paolo Maria                 NAPOLITANO                        "
-           Giuseppe                     FRIGO                                      "
-           Alessandro                  CRISCUOLO                           "
-           Paolo                           GROSSI                                   "
-           Giorgio                        LATTANZI                              "
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’articolo 6 del decreto del Presidente della Repubblica 29 marzo 1973, n. 156 (Approvazione del testo unico delle disposizioni legislative in materia postale, di bancoposta e di telecomunicazioni), promosso dal Tribunale ordinario di Napoli, nel procedimento vertente tra Gestione Epurazione Ambiente GEA S.p.A. e Poste Italiane S.p.A., con ordinanza del 5 gennaio 2007, iscritta al n. 214 del registro ordinanze 2010 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 33, prima serie speciale, dell’anno 2010.
            Visto l’atto di costituzione, fuori termine, di Poste Italiane S.p.A.;
            udito nella camera di consiglio del 26 gennaio 2011 il Giudice relatore Giuseppe Tesauro.
Ritenuto in fatto
            1. – Con ordinanza del 5 gennaio 2007, il Tribunale ordinario di Napoli ha sollevato, in riferimento agli articoli 3 e 24 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’articolo 6 del decreto del Presidente della Repubblica 29 marzo 1973, n. 156 (Approvazione del testo unico delle disposizioni legislative in materia postale, di bancoposta e di telecomunicazioni).
            1.1. – Il rimettente premette che, con atto notificato in data 27 ottobre 2003, la società Gestione Epurazione Ambiente GEA S.p.A. aveva convenuto in giudizio Poste Italiane S.p.A. al fine di ottenere il risarcimento dei danni subiti a seguito del ritardato recapito di un plico spedito con il servizio di postacelere. A sostegno della pretesa, la società attrice esponeva di aver spedito a mezzo postacelere la documentazione necessaria per la partecipazione ad una gara per l’affidamento, tramite procedura negoziata, di alcuni lavori concernenti un impianto di depurazione. Per una evidente ed ingiustificabile responsabilità da parte del vettore, la spedizione era stata effettuata non a Reggio Emilia ma a Reggio Calabria, con conseguente esclusione dell’istante dalla partecipazione alla gara, essendo scaduto il termine fissato. La società attrice, assumendo che, ove il plico fosse giunto tempestivamente, sarebbe rimasta aggiudicataria della gara, avendo offerto un ribasso maggiore delle altre concorrenti, aveva chiesto l’integrale risarcimento del danno subito, non risultando in alcun modo soddisfacente l’assegno di € 7,23, per «ritardo recapito invio dell’8 novembre 2002», inviatole dalla convenuta come previsto dal decreto ministeriale 9 aprile 2001, Carta della qualità del servizio pubblico postale.
            Costituitasi nel giudizio, Poste Italiane S.p.A. riconosceva il proprio inadempimento ma, rilevava di avere correttamente provveduto ad effettuare il solo rimborso delle spese sostenute, in virtù del d.P.R. n.156 del 1973, nonché della Carta della qualità sui servizi postali.
            1.2. – Tanto premesso, il Tribunale di Napoli sostiene che la pretesa risarcitoria dell’attrice incontrerebbe un ostacolo insuperabile nelle disposizioni legislative vigenti all’epoca dei fatti, in quanto, in virtù del rinvio all’articolo 6 del d.P.R. n. 156 del 1973, operato dall’articolo 19, primo comma del decreto legislativo 22 luglio 1999, n. 261 (Attuazione della direttiva 97/67/CE concernente regole comuni per lo sviluppo del mercato interno dei servizi postali comunitari e per il miglioramento della qualità del servizio), risultava ancora in vigore l’esclusione o limitazione di responsabilità dell’amministrazione che all’epoca gestiva i servizi postali.
            Sebbene, infatti, il predetto articolo 6 sia stato abrogato dall’articolo 218 del decreto legislativo 1° agosto 2003, n. 259 (Codice delle comunicazioni elettroniche), tale norma continuerebbe a trovare applicazione per tutte le fattispecie verificatesi anteriormente all’entrata in vigore della norma abrogatrice.
            1.3. – Il rimettente dubita, in conseguenza, della legittimità costituzionale dell’articolo 6 del d.P.R. n. 156 del 1973, poiché la tale disciplina in essa contenuta si porrebbe in contrasto con il canone di ragionevolezza e con il principio di eguaglianza garantiti dall’articolo 3 della Costituzione, «rappresentando un anacronistico privilegio in favore del concessionario del servizio postale, nonostante la natura privatistica della rapporto».
            Il Tribunale di Napoli richiama, poi, la sentenza di questa Corte n. 254 del 2002, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della norma in questione con riferimento al mancato recapito di telegramma, sottolineando che, secondo i principi da essa desumibili, sebbene debba «ritenersi sempre possibile delineare, in materia di responsabilità per danni causati agli utenti del servizio postale, una disciplina speciale ispirata a criteri più restrittivi di quella ordinaria», tuttavia la previsione, contenuta nella Carta della qualità sui servizi postali, del solo rimborso del costo sostenuto per la spedizione – trattandosi di plico postacelere giunto a destinazione con un ritardo inferiore al sesto giorno lavorativo successivo alla spedizione – non assolverebbe ad alcuna funzione risarcitoria. Tale situazione determinerebbe per il gestore di servizi postali un completo ed ingiustificato esonero da ogni responsabilità nei confronti degli utenti del servizio, analogamente alla fattispecie del mancato recapito di telegramma, esaminata dalla Consulta con la citata sentenza n. 254 del 2002.
            1.4. – La norma censurata si porrebbe altresì in contrasto con l’articolo 24 della Costituzione, «non consentendo all’utente danneggiato di far valere in giudizio il diritto ad ottenere un risarcimento in misura superiore a quella predeterminata dalla legge».
            2. – Si è costituita tardivamente la società Poste Italiane S.p.A., depositando nel contempo un’istanza di rimessione in termini, sostenendo che la pubblicazione dell’ordinanza nella Gazzetta Ufficiale in pieno periodo estivo avrebbe impedito alla medesima di depositare tempestivamente la memoria di costituzione.
Considerato in diritto
            1. – Il Tribunale ordinario di Napoli dubita, in riferimento agli articoli 3 e 24 della Costituzione, della legittimità costituzionale dell’articolo 6 del decreto del Presidente della Repubblica 29 marzo 1973, n. 156 (Approvazione del testo unico delle disposizioni legislative in materia postale, di bancoposta e di telecomunicazioni), nella parte in cui stabilisce che il gestore del servizio «non incontra alcuna responsabilità per i servizi postali, di bancoposta e delle telecomunicazioni fuori dei casi e dei limiti espressamente stabiliti dalla legge», per il caso del servizio di postacelere.
            Tale esclusione di responsabilità, violerebbe il canone di ragionevolezza e il principio di eguaglianza, «rappresentando un anacronistico privilegio in favore del concessionario del servizio postale, nonostante la natura privatistica del rapporto» e non «consentirebbe all’utente danneggiato di far valere in giudizio il diritto ad ottenere un risarcimento in misura superiore a quella predeterminata dalla legge».
            2. – Preliminarmente, deve essere disattesa, in quanto infondata, l’istanza di rimessione in termini avanzata da Poste Italiane S.p.A.
            Secondo la giurisprudenza di questa Corte, infatti, l’istituto della sospensione feriale dei termini non è applicabile al processo costituzionale, in considerazione delle peculiari esigenze di rapidità e certezza cui il medesimo processo deve rispondere (da ultimo sentenza n. 278 del 2010).
            3. – La questione di legittimità costituzionale dell’art. 6 del d.P.R. n. 156 del 1973, sollevata in riferimento all’art. 3 Cost., è fondata.
            4. – La norma, nonostante sia stata abrogata dall’art. 218 del decreto legislativo 1° agosto 2003, n. 259 (Codice delle comunicazioni elettroniche), risulta, secondo la motivazione non implausibile del giudice rimettente, applicabile ratione temporis nel giudizio a quo.
            5. – L’impugnato art. 6 è richiamato dall’art. 19, primo comma, del decreto legislativo 22 luglio 1999, n. 261 (Attuazione della direttiva 97/67/CE concernente regole comuni per lo sviluppo del mercato interno dei servizi postali comunitari e per il miglioramento della qualità del servizio), il quale, nel disciplinare la responsabilità «per la fornitura del servizio universale», applica al gestore di tale servizio (attualmente, Poste Italiane S.p.A.) la generale regola di irresponsabilità prevista per l’Amministrazione postale pubblica per i servizi postali, di bancoposta e delle telecomunicazioni «fuori dei casi e dei limiti espressamente stabiliti dalla legge».
            6. – Come già affermato da questa Corte, per il caso del servizio telegrafico, sebbene sia «sempre possibile delineare, in materia di responsabilità per danni causati agli utenti del servizio postale, una disciplina speciale ispirata a criteri più restrittivi di quella ordinaria, in rapporto alla complessità tecnica della gestione del servizio ed all’esigenza del contenimento dei costi», tuttavia la carenza di siffatta disciplina della responsabilità del gestore del servizio è in grado di tradursi in un «privilegio, privo di connessione con obiettive caratteristiche del servizio e, perciò, lesivo, al tempo stesso, del canone di ragionevolezza e del principio di eguaglianza garantiti dall’articolo 3 della Costituzione» (sentenza n. 254 del 2002).
            6.1. – Anche nel caso di specie, infatti, per il servizio di postacelere, il legislatore ha inteso, attraverso il citato rinvio all’art. 6, determinare un’esclusione di responsabilità secondo un criterio soggettivo, escludendo per il gestore del servizio universale, che il ritardato recapito determini una responsabilità di tipo risarcitorio, se non nei limiti espressamente previsti, in questo caso, ratione temporis, dal decreto ministeriale 9 aprile 2001, Carta della qualità del servizio pubblico postale.
            La previsione della mera corresponsione del costo per la spedizione determina, anche nel caso del servizio di postacelere, una totale esclusione di responsabilità, non essendo in grado di assolvere ad una funzione risarcitoria del danno arrecato all’utente, che utilizza il predetto servizio proprio in vista della celerità del medesimo e di quel quid pluris garantito dalle caratteristiche prefissate nell’atto della sua istituzione (Decreto ministeriale 28 luglio 1987, n. 564 – istituzione del servizio di postacelere interna).
            6.2. – La norma impugnata, pertanto, determina in favore del gestore un ingiustificato privilegio, svincolato da qualsiasi esigenza connessa con le caratteristiche del servizio, senza dunque realizzare alcun ragionevole equilibrio tra le esigenze del gestore e quelle degli utenti del servizio, equilibrio che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, il legislatore avrebbe invece dovuto realizzare, essendo venuta meno la concezione puramente amministrativa del servizio postale, e quindi «la possibilità di collegare tali limitazioni di responsabilità alla necessità di garantire la discrezionalità dell’Amministrazione» (sentenza n. 463 del 1997).
            Tale privilegio determina, quindi, la dedotta violazione del canone di ragionevolezza e del principio di eguaglianza garantiti dall’art. 3 Cost., con conseguente illegittimità costituzionale dell’art. 6 del codice postale nella parte in cui esclude, in mancanza di speciali norme di legge, qualsiasi responsabilità delle Poste per il ritardato recapito delle spedizioni di postacelere.
            7. – La pronuncia di illegittimità costituzionale con riferimento all’art. 3, della Costituzione, determina l’assorbimento della questione posta con riferimento all’art. 24 Cost..
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
            dichiara l’illegittimità costituzionale dell’articolo 6 del decreto del Presidente della Repubblica 29 marzo 1973, n. 156 (Approvazione del testo unico delle disposizioni legislative in materia postale, di bancoposta e di telecomunicazioni), nella parte in cui dispone che l’Amministrazione ed i concessionari del servizio telegrafico non incontrano alcuna responsabilità per il ritardato recapito delle spedizioni effettuate con il servizio postacelere.
            Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 febbraio 2011.
F.to:
Ugo DE SIERVO, Presidente
Giuseppe TESAURO, Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria l'11 febbraio 2011.

I.N.P.S. (Istituto nazionale della previdenza sociale) Msg. 11-2-2011 n. 3566 Bonus fiscale di cui all’art. 44 del D.L. 1° ottobre 2007, n. 159, convertito dalla L. 29 novembre 2007, n. 222. Richiesta di restituzione del beneficio da parte dell’Agenzia delle entrate. Emanato dall'Istituto nazionale della previdenza sociale, Direzione centrale pensioni.

Msg. 11 febbraio 2011, n. 3566 (1).

Bonus fiscale di cui all’art. 44 del D.L. 1° ottobre 2007, n. 159, convertito dalla L. 29 novembre 2007, n. 222. Richiesta di restituzione del beneficio da parte dell’Agenzia delle entrate.

(1) Emanato dall'Istituto nazionale della previdenza sociale, Direzione centrale pensioni.



Ai


Direttori regionali

Ai


Direttori delle strutture territoriali




L'articolo 44 del D.L. 1° ottobre 2007, n. 159, convertito dalla L. 29 novembre 2007, n. 222 ha previsto che a favore dei soggetti passivi dell'imposta sul reddito delle persone fisiche, per i quali è risultata nel 2006 un'imposta netta pari a zero, venisse corrisposta nell'anno 2007 una somma a titolo di rimborso forfetario pari a 150 euro.

Ai medesimi soggetti, ai sensi del comma 2 dello stesso articolo spetta la medesima somma per ciascun familiare fiscalmente a carico.

Il D.M. 8 novembre 2007 del Ministro dell'Economia e delle Finanze ha stabilito le categorie dei soggetti aventi diritto e le modalità di erogazione del rimborso in esame.

Il decreto ministeriale appena menzionato all'articolo 1, comma 2, ha ricompreso fra i destinatari del rimborso forfetario anche i soggetti percettori di pensione.

L'articolo 2, comma 2 ha inoltre disposto che ai pensionati cui l'Istituto aveva rilasciato il CUD per l'anno 2006 e ai quali viene erogato il rateo pensionistico nel mese di dicembre 2007 sia corrisposto l'importo in esame ad integrazione di quanto spettante nello stesso mese e sulla base delle informazioni possedute.

Alla luce delle disposizioni stabilite dal decreto legge in oggetto e dal successivo decreto ministeriale attuativo si è provveduto a porre in pagamento l'importo di 150 euro, laddove spettante, a ciascun pensionato, insieme alla mensilità di dicembre e al rateo di tredicesima.

Inoltre, a favore di tali soggetti, sono stati messi in pagamento anche i 150 euro spettanti per ciascun familiare a carico il cui codice fiscale fosse conosciuto dall'Istituto.

Le modalità di corresponsione del beneficio sono state illustrate con il Msg. 14 dicembre 2007, n. 30203.



1. Richiesta di restituzione del rimborso da parte dell'Agenzia delle Entrate

L'agenzia delle Entrate ha provveduto ad effettuare i controlli sulla effettiva spettanza del beneficio, e a richiedere ai pensionati l'importo a suo tempo corrisposto, maggiorato degli interessi previsti per legge e delle sanzioni.

Tenuto conto però che gli istituti previdenziali hanno proceduto all'erogazione dei bonus fiscali in via automatica, sulla sola base delle informazioni in loro possesso, come stabilito dall' art. 2, comma 2 del citato D.M. 8 novembre 2007, ed in considerazione della particolare tipologia dei contribuenti interessati, l'Agenzia ha stabilito di escludere la sanzione applicata relativa ai bonus.

La riduzione potrà essere concessa dietro presentazione di apposita istanza da parte dell'interessato formulata sulla base del fac simile fornito dall'Agenzia stessa (allegato 1), a seguito della valutazione delle singole fattispecie, e, comunque, limitatamente ai pensionati che hanno ricevuto il beneficio in via automatica e non hanno prodotto alcuna dichiarazione dei redditi (UNICO o 730).


Il Direttore generale

Nori



Allegato


Istanza di autotutela parziale


All'Ufficio territoriale di ..............................................................................


Il/la sottoscritt ............................................................................ nato/a il ................

a .................................................................................................... pr. ..............

codice fiscale ...................................................................................................................

residente a ............................................... pr. ........ Via ................................................

n. ..... cap. ......................


Premesso


che in data ................... ha ricevuto la comunicazione del recupero del bonus fiscale percepito in via automatica per il tramite dell'Istituto pensionistico ................ ed indicato nel modello CUD 2008, per un importo complessivo di euro ................... (di cui euro ............... a titolo di sanzione ridotta da versare)


consapevole che ai sensi dell'art. 76 del D.P.R. n. 445/2000 le dichiarazioni mendaci sono punite ai sensi del codice penale e delle leggi speciali in materia


Dichiara


- di non aver presentato alcuna richiesta per il riconoscimento del citato bonus fiscale;

- di non aver avuto alcuna consapevolezza dei requisiti richiesti per poter accedere a tale beneficio.


Tanto premesso:


Chiede


a codesto ufficio di riesaminare la comunicazione del bonus fiscale procedendo all'annullamento della sanzione irrogata per assenza dell'elemento soggettivo della violazione, ai sensi del combinato disposto degli articoli 5 e 6 del D.Lgs. n. 472/1997.


Luogo e data ......................... Firma ...............................................................



D.L. 1 ottobre 2007, n. 159, art. 44
D.M. 8 novembre 2007, art. 1
D.M. 8 novembre 2007, art. 2

Nuovi servizi on line dei Vigili del Fuoco per i cittadini, i professionisti e le imprese (link dretto al sito dell'autore)

Nuovi servizi on line dei Vigili del Fuoco per i cittadini, i professionisti e le imprese

Sono disponibili sul sito due nuovi servizi online a supporto degli utenti, cittadini e imprese.
Il primo è la consultazione on-line di quesiti di prevenzione incendi. Consente a tutti gli utenti di trovare le interpretazioni fornite dagli Uffici preposti sui quesiti di rilevanza generale, riguardanti l'applicazione delle norme di prevenzione incendi.
Il secondo, consultazione on-line di norme di prevenzione incendi, permette di individuare le norme e le regole tecniche di prevenzione incendi redatte dal Corpo nazionale dei Vigili del fuoco e quelle sulla sicurezza sul lavoro di interesse generale.
Il servizio è stato realizzato dall'Area Sistemi Informativi Automatizzati e la pubblicazione del materiale normativo e tecnico è curata dall'Area Prevenzione Incendi del Dipartimento dei Vigili del Fuoco, del Soccorso pubblico e della Difesa Civile.
Anche questi servizi si inquadrano nell'ambito delle azioni volte alla semplificazione ed alla trasparenza nell'accesso alle interpretazioni giuridiche ed alle disposizioni riguardanti i procedimenti amministrativi rilevanti per cittadini e imprese, in attuazione del Codice dell'Ammnistrazione digitale e della legge n.241 del 1990

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