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giovedì 2 dicembre 2010

Disposizioni relative all'esecuzione presso il domicilio delle pene detentive non superiori ad un anno. (10G0224) (GU n. 281 del 1-12-2010 )

LEGGE 26 novembre 2010, n. 199

Disposizioni relative all'esecuzione presso il domicilio delle pene detentive non superiori ad un anno. (10G0224) (GU n. 281 del 1-12-2010
testo in vigore dal: 16-12-2010
La Camera dei deputati ed il Senato della Repubblica hanno approvato; IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA Promulga la seguente legge: Art. 1 Esecuzione presso il domicilio delle pene detentive non superiori a dodici mesi 1. Fino alla completa attuazione del piano straordinario penitenziario nonche' in attesa della riforma della disciplina delle misure alternative alla detenzione e, comunque, non oltre il 31 dicembre 2013, la pena detentiva non superiore a dodici mesi, anche se costituente parte residua di maggior pena, e' eseguita presso l'abitazione del condannato o altro luogo pubblico o privato di cura, assistenza e accoglienza, di seguito denominato «domicilio». 2. La detenzione presso il domicilio non e' applicabile: a) ai soggetti condannati per taluno dei delitti indicati dall'articolo 4-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, e successive modificazioni; b) ai delinquenti abituali, professionali o per tendenza, ai sensi degli articoli 102, 105 e 108 del codice penale; c) ai detenuti che sono sottoposti al regime di sorveglianza particolare, ai sensi dell'articolo 14-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, salvo che sia stato accolto il reclamo previsto dall'articolo 14-ter della medesima legge; d) quando vi e' la concreta possibilita' che il condannato possa darsi alla fuga ovvero sussistono specifiche e motivate ragioni per ritenere che il condannato possa commettere altri delitti ovvero quando non sussista l'idoneita' e l'effettivita' del domicilio anche in funzione delle esigenze di tutela delle persone offese dal reato. 3. Nei casi di cui all'articolo 656, comma 1, del codice di procedura penale, quando la pena detentiva da eseguire non e' superiore a dodici mesi, il pubblico ministero, salvo che debba emettere il decreto di sospensione di cui al comma 5 del citato articolo 656 del codice di procedura penale e salvo che ricorrano i casi previsti nel comma 9, lettera a), del medesimo articolo, sospende l'esecuzione dell'ordine di carcerazione e trasmette gli atti senza ritardo al magistrato di sorveglianza affinche' disponga che la pena venga eseguita presso il domicilio. La richiesta e' corredata di un verbale di accertamento dell'idoneita' del domicilio, nonche', se il condannato e' sottoposto a un programma di recupero o intende sottoporsi ad esso, della documentazione di cui all'articolo 94, comma 1, del testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, e successive modificazioni. 4. Se il condannato e' gia' detenuto, la pena detentiva non superiore a dodici mesi, anche se costituente parte residua di maggior pena, e' eseguita nei luoghi di cui al comma 1. Nei casi di cui all'articolo 656, comma 9, lettera b), del codice di procedura penale, non e' consentita la sospensione dell'esecuzione della pena e il pubblico ministero o le altre parti fanno richiesta, per l'applicazione della misura, al magistrato di sorveglianza, secondo il disposto di cui al comma 5 del presente articolo. In ogni caso, la direzione dell'istituto penitenziario, anche a seguito di richiesta del detenuto o del suo difensore, trasmette al magistrato di sorveglianza una relazione sulla condotta tenuta durante la detenzione. La relazione e' corredata di un verbale di accertamento dell'idoneita' del domicilio, nonche', se il condannato e' sottoposto ad un programma di recupero o intende sottoporsi ad esso, della documentazione di cui all'articolo 94, comma 1, del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, e successive modificazioni. 5. Il magistrato di sorveglianza provvede ai sensi dell'articolo 69-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, ma il termine di cui al comma 2 del predetto articolo e' ridotto a cinque giorni. 6. Copia del provvedimento che dispone l'esecuzione della pena presso il domicilio e' trasmessa senza ritardo al pubblico ministero nonche' all'ufficio locale dell'esecuzione penale esterna per gli interventi di sostegno e controllo. L'ufficio locale dell'esecuzione penale esterna segnala ogni evento rilevante sull'esecuzione della pena e trasmette relazione trimestrale e conclusiva. 7. Nel caso di condannato tossicodipendente o alcoldipendente sottoposto ad un programma di recupero o che ad esso intenda sottoporsi, la pena di cui al comma 1 puo' essere eseguita presso una struttura sanitaria pubblica o una struttura privata accreditata ai sensi del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309. In ogni caso, il magistrato di sorveglianza puo' imporre le prescrizioni e le forme di controllo necessarie per accertare che il tossicodipendente o l'alcoldipendente inizi immediatamente o prosegua il programma terapeutico. Con decreto del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze e con il Ministro della salute, sentita la Presidenza del Consiglio dei ministri - Dipartimento per le politiche antidroga e d'intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, e' determinato il contingente annuo dei posti disponibili, nei limiti del livello di risorse ordinario presso ciascuna regione finalizzato a tale tipologia di spesa, sulla base degli accrediti gia' in essere con il Servizio sanitario nazionale e, comunque, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica. 8. Si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni previste dagli articoli 47-ter, commi 4, 4-bis, 5, 6, 8, 9 e 9-bis, 51-bis, 58 e 58-quater, ad eccezione del comma 7-bis, della legge 26 luglio 1975, n. 354, e successive modificazioni, nonche' le relative norme di esecuzione contenute nel regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 2000, n. 230. Nei casi previsti dagli articoli 47-ter, commi 4 e 4-bis, e 51-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, tuttavia, il provvedimento e' adottato dal magistrato di sorveglianza.




                      Avvertenza: 
              Il testo delle note qui  pubblicato  e'  stato  redatto
          dall'amministrazione  competente  per  materia,  ai   sensi
          dell'art.10,  commi  2  e  3,   del   testo   unico   delle
          disposizioni    sulla    promulgazione     delle     leggi,
          sull'emanazione dei decreti del Presidente della Repubblica
          e sulle pubblicazioni ufficiali della Repubblica  italiana,
          approvato con D.P.R. 28 dicembre 1985, n.1092, al solo fine
          di  facilitare  la  lettura  delle  disposizioni  di  legge
          modificate o alle  quali  e'  operato  il  rinvio.  Restano
          invariati il valore e l'efficacia  degli  atti  legislativi
          qui trascritti. 
          Note all'art. 1: 
              - Si riporta il testo dell'art. 4-bis  della  legge  26
          luglio1975, n. 354 (Norme sull'ordinamento penitenziario  e
          sull'esecuzione delle misure privative e  limitative  della
          liberta'): 
              «Art. 4-bis (Divieto  di  concessione  dei  benefici  e
          accertamento della pericolosita' sociale dei condannati per
          taluni delitti). - 1. L'assegnazione al lavoro all'esterno,
          i permessi premio e le misure alternative  alla  detenzione
          previste dal capo VI, esclusa  la  liberazione  anticipata,
          possono essere concessi  ai  detenuti  e  internati  per  i
          seguenti delitti solo nei  casi  in  cui  tali  detenuti  e
          internati collaborino con la giustizia  a  norma  dell'art.
          58-ter della presente legge: delitti commessi per finalita'
          di  terrorismo,  anche  internazionale,  o   di   eversione
          dell'ordine democratico mediante il compimento di  atti  di
          violenza,  delitto  di  cui  all'art.  416-bis  del  codice
          penale,  delitti  commessi  avvalendosi  delle   condizioni
          previste dallo stesso art.  ovvero  al  fine  di  agevolare
          l'attivita' delle associazioni in esso previste, delitti di
          cui agli articoli 600, 600-bis, primo comma, 600-ter, primo
          e secondo comma, 601, 602, 609-octies,  e  630  del  codice
          penale,  all'art.  291-quater   del   testo   unico   delle
          disposizioni legislative in materia  doganale,  di  cui  al
          decreto del Presidente della Repubblica 23 gennaio 1973, n.
          43, e all'art. 74 del testo unico delle leggi in materia di
          disciplina  degli  stupefacenti  e   sostanze   psicotrope,
          prevenzione, cura e riabilitazione dei  relativi  stati  di
          tossicodipendenza, di cui al decreto del  Presidente  della
          Repubblica 9 ottobre 1990, n.  309.  Sono  fatte  salve  le
          disposizioni  degli  articoli  16-nonies   e   17-bis   del
          decreto-legge  15  gennaio  1991,  n.  8,  convertito,  con
          modificazioni,  dalla  legge  15  marzo  1991,  n.  82,   e
          successive modificazioni . 
              1-bis. I benefici di cui  al  comma  1  possono  essere
          concessi ai detenuti o internati per uno  dei  delitti  ivi
          previsti, purche' siano stati acquisiti  elementi  tali  da
          escludere l'attualita' di collegamenti con la  criminalita'
          organizzata, terroristica o eversiva, altresi' nei casi  in
          cui  la  limitata  partecipazione   al   fatto   criminoso,
          accertata nella sentenza di  condanna,  ovvero  l'integrale
          accertamento dei fatti e delle responsabilita', operato con
          sentenza   irrevocabile,   rendono   comunque   impossibile
          un'utile collaborazione con la giustizia, nonche' nei  casi
          in cui,  anche  se  la  collaborazione  che  viene  offerta
          risulti  oggettivamente  irrilevante,  nei  confronti   dei
          medesimi detenuti o internati sia stata applicata una delle
          circostanze attenuanti previste dall'art.  62,  numero  6),
          anche qualora il risarcimento del danno sia  avvenuto  dopo
          la sentenza di condanna,  dall'art.  114  ovvero  dall'art.
          116, secondo comma, del codice penale. 
              1-ter. I benefici di cui  al  comma  1  possono  essere
          concessi,  purche'  non  vi  siano  elementi  tali  da  far
          ritenere la sussistenza di collegamenti con la criminalita'
          organizzata,  terroristica  o  eversiva,  ai   detenuti   o
          internati per i delitti di cui agli articoli 575,  600-bis,
          secondo e terzo comma, 600-ter, terzo comma, 600-quinquies,
          628, terzo comma, e 629, secondo comma, del codice  penale,
          all'art. 291-ter del citato testo unico di cui  al  decreto
          del Presidente della Repubblica 23  gennaio  1973,  n.  43,
          all'art. 73 del citato testo unico di cui  al  decreto  del
          Presidente della Repubblica  9  ottobre  1990,  n.  309,  e
          successive  modificazioni,   limitatamente   alle   ipotesi
          aggravate ai sensi dell'art.  80,  comma  2,  del  medesimo
          testo unico, all'art. 416, primo e terzo comma, del  codice
          penale,  realizzato  allo  scopo  di   commettere   delitti
          previsti dagli articoli 473 e 474 del  medesimo  codice,  e
          all'art. 416 del codice penale, realizzato  allo  scopo  di
          commettere delitti previsti dal libro II, titolo XII,  capo
          III,  sezione  I,  del  medesimo  codice,  dagli   articoli
          609-bis,  609-quater  e  609-octies  del  codice  penale  e
          dall'art. 12, commi 3, 3-bis e 3-ter, del testo unico delle
          disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione  e
          norme sulla condizione dello straniero, di cui  al  decreto
          legislativo  25  luglio  1998,   n.   286,   e   successive
          modificazioni. 
              1-quater. I benefici di cui al comma 1  possono  essere
          concessi ai detenuti o internati per i delitti di cui  agli
          articoli 609-bis,  609-ter,  609-quater  e  609-octies  del
          codice   penale   solo    sulla    base    dei    risultati
          dell'osservazione scientifica della  personalita'  condotta
          collegialmente  per   almeno   un   anno   anche   con   la
          partecipazione  degli  esperti  di  cui  al  quarto   comma
          dell'art. 80 della presente legge. Le disposizioni  di  cui
          al periodo precedente si applicano  in  ordine  al  delitto
          previsto dall'art. 609-bis  del  codice  penale  salvo  che
          risulti applicata la circostanza  attenuante  dallo  stesso
          contemplata. 
              2. Ai fini della concessione dei  benefici  di  cui  al
          comma 1 il magistrato di sorveglianza  o  il  tribunale  di
          sorveglianza decide acquisite dettagliate informazioni  per
          il tramite del  comitato  provinciale  per  l'ordine  e  la
          sicurezza pubblica competente  in  relazione  al  luogo  di
          detenzione del condannato. In ogni caso il  giudice  decide
          trascorsi trenta giorni dalla richiesta delle informazioni.
          Al suddetto comitato provinciale  puo'  essere  chiamato  a
          partecipare il direttore dell'istituto penitenziario in cui
          il condannato e' detenuto. 
              2-bis. Ai fini della concessione dei benefici di cui al
          comma 1-ter, il magistrato di sorveglianza o  il  tribunale
          di sorveglianza decide acquisite  dettagliate  informazioni
          dal questore. In ogni  caso  il  giudice  decide  trascorsi
          trenta giorni dalla richiesta delle informazioni. 
              3.  Quando   il   comitato   ritiene   che   sussistano
          particolari esigenze di sicurezza ovvero che i collegamenti
          potrebbero essere mantenuti con organizzazioni operanti  in
          ambiti non locali o extranazionali, ne da' comunicazione al
          giudice e il termine di cui al  comma  2  e'  prorogato  di
          ulteriori trenta giorni al fine di  acquisire  elementi  ed
          informazioni da parte dei competenti organi centrali. 
              3-bis. L'assegnazione al lavoro all'esterno, i permessi
          premio e le misure alternative alla detenzione previste dal
          capo  VI,  non  possono  essere  concessi  ai  detenuti  ed
          internati  per  delitti  dolosi   quando   il   Procuratore
          nazionale antimafia o il procuratore distrettuale comunica,
          d'iniziativa o su segnalazione del comitato provinciale per
          l'ordine e la sicurezza pubblica competente in relazione al
          luogo  di  detenzione  o  internamento,   l'attualita'   di
          collegamenti con la criminalita' organizzata. In  tal  caso
          si prescinde dalle procedure previste dai commi 2 e 3.». 
              - Si riporta il testo degli articoli 102, 105 e 108 del
          codice penale: 
              «Art. 102 (Abitualita'  presunta  dalla  legge).  -  E'
          dichiarato delinquente  abituale  chi,  dopo  essere  stato
          condannato   alla   reclusione    in    misura    superiore
          complessivamente a cinque anni per tre delitti non colposi,
          della stessa indole,  commessi  entro  dieci  anni,  e  non
          contestualmente, riporta un'altra condanna per un  delitto,
          non colposo, della stessa indole, e  commesso  entro  dieci
          anni successivi all'ultimo dei delitti precedenti. 
              Nei dieci anni indicati nella  disposizione  precedente
          non si computa il tempo in cui il  condannato  ha  scontato
          pene detentive o e' stato sottoposto a misure di  sicurezza
          detentive.». 
              «Art.  105  (Professionalita'  nel   reato).   -   Chi,
          trovandosi nelle condizioni richieste per la  dichiarazione
          di abitualita', riporta condanna per  un  altro  reato,  e'
          dichiarato  delinquente  o   contravventore   professionale
          qualora,  avuto  riguardo  alla  natura  dei  reati,   alla
          condotta e al genere di vita del  colpevole  e  alle  altre
          circostanze indicate nel  capoverso  dell'art.  133,  debba
          ritenersi  che  egli  viva  abitualmente,  anche  in  parte
          soltanto, dei proventi del reato.». 
              «Art. 108 (Tendenza  a  delinquere).  -  E'  dichiarato
          delinquente  per  tendenza  chi,  sebbene  non  recidivo  o
          delinquente abituale o professionale, commette  un  delitto
          non colposo, contro la vita  o  l'incolumita'  individuale,
          anche non preveduto dal capo primo  del  titolo  dodicesimo
          del libro secondo di questo codice, il  quale,  per  se'  e
          unitamente  alle   circostanze   indicate   nel   capoverso
          dell'art. 133, riveli una speciale inclinazione al delitto,
          che trovi sua causa  nell'indole  particolarmente  malvagia
          del colpevole. 
              La disposizione  di  questo  art.  non  si  applica  se
          l'inclinazione  al  delitto  e'  originata  dall'infermita'
          preveduta dagli articoli 88 e 89.». 
              - Si riporta il testo degli artt. 14-bis e 14-ter della
          citata legge 26 luglio 1975, n. 354: 
              «Art. 14-bis (Regime di sorveglianza particolare). - 1.
          Possono  essere  sottoposti  a   regime   di   sorveglianza
          particolare per  un  periodo  non  superiore  a  sei  mesi,
          prorogabile anche piu' volte in misura non  superiore  ogni
          volta a  tre  mesi,  i  condannati,  gli  internati  e  gli
          imputati: 
                a) che con  i  loro  comportamenti  compromettono  la
          sicurezza ovvero turbano l'ordine negli istituti; 
                b) che con la  violenza  o  minaccia  impediscono  le
          attivita' degli altri detenuti o internati; 
                c) che nella vita penitenziaria  si  avvalgono  dello
          stato  di  soggezione  degli  altri   detenuti   nei   loro
          confronti. 
              2. Il regime di cui al precedente comma 1  e'  disposto
          con     provvedimento     motivato     dell'amministrazione
          penitenziaria previo parere del  consiglio  di  disciplina,
          integrato da due degli esperti previsti  dal  quarto  comma
          dell'art. 80. 
              3.  Nei  confronti  degli   imputati   il   regime   di
          sorveglianza  particolare   e'   disposto   sentita   anche
          l'autorita' giudiziaria che procede. 
              4. In caso di necessita' ed  urgenza  l'amministrazione
          puo'  disporre   in   via   provvisoria   la   sorveglianza
          particolare  prima  dei  pareri  prescritti,  che  comunque
          devono essere acquisiti entro dieci giorni dalla  data  del
          provvedimento.  Scaduto  tale  termine   l'amministrazione,
          acquisiti i pareri prescritti,  decide  in  via  definitiva
          entro  dieci  giorni  decorsi  i  quali,  senza   che   sia
          intervenuta  la  decisione,  il  provvedimento  provvisorio
          decade. 
              5. Possono essere sottoposti a regime  di  sorveglianza
          particolare, fin dal momento del loro ingresso in istituto,
          i condannati, gli internati e gli imputati, sulla  base  di
          precedenti comportamenti penitenziari o di  altri  concreti
          comportamenti  tenuti,   indipendentemente   dalla   natura
          dell'imputazione,  nello  stato  di  liberta'.  L'autorita'
          giudiziaria segnala gli eventuali elementi a sua conoscenza
          all'amministrazione penitenziaria che decide  sull'adozione
          dei provvedimenti di sua competenza. 
              6. Il provvedimento che dispone il  regime  di  cui  al
          presente art. e' comunicato immediatamente al magistrato di
          sorveglianza ai  fini  dell'esercizio  del  suo  potere  di
          vigilanza.». 
              «Art. 14-ter (Reclamo). - 1. Avverso  il  provvedimento
          che dispone o proroga il regime di sorveglianza particolare
          puo' essere proposto dall'interessato reclamo al  tribunale
          di  sorveglianza  nel  termine  di   dieci   giorni   dalla
          comunicazione del provvedimento definitivo. Il reclamo  non
          sospende l'esecuzione del provvedimento. 
              2. Il tribunale di sorveglianza provvede con  ordinanza
          in camera di consiglio entro dieci giorni  dalla  ricezione
          del reclamo. 
              3. Il procedimento si svolge con la partecipazione  del
          difensore  e  del  pubblico  ministero.   L'interessato   e
          l'amministrazione penitenziaria possono presentare memorie. 
              4. Per quanto non diversamente disposto si applicano le
          disposizioni del capo II-bis del titolo II.». 
              - Si riporta il  testo  dell'art.  656  del  codice  di
          procedura penale: 
              «Art. 656  (Esecuzione  delle  pene  detentive).  -  1.
          Quando deve essere eseguita una sentenza di condanna a pena
          detentiva,  il  pubblico   ministero   emette   ordine   di
          esecuzione con il quale, se il condannato non e'  detenuto,
          ne dispone la carcerazione. Copia dell'ordine e' consegnata
          all'interessato. 
              2. Se il  condannato  e'  gia'  detenuto,  l'ordine  di
          esecuzione e' comunicato al Ministro di grazia e  giustizia
          e notificato all'interessato. 
              3. L'ordine di esecuzione contiene le generalita' della
          persona  nei  cui  confronti   deve   essere   eseguito   e
          quant'altro  valga  a  identificarla,   l'imputazione,   il
          dispositivo del provvedimento e le disposizioni  necessarie
          all'esecuzione. L'ordine e'  notificato  al  difensore  del
          condannato. 
              4. L'ordine che dispone  la  carcerazione  e'  eseguito
          secondo le modalita' previste dall'art. 277. 
              5. Se la pena detentiva, anche se  costituente  residuo
          di maggiore pena, non e' superiore a tre anni  o  sei  anni
          nei casi di cui agli articoli  90  e  94  del  testo  unico
          approvato con decreto del  Presidente  della  Repubblica  9
          ottobre  1990,  n.  309,  e  successive  modificazioni,  il
          pubblico ministero, salvo quanto previsto dai commi 7 e  9,
          ne sospende  l'esecuzione.  L'ordine  di  esecuzione  e  il
          decreto di sospensione sono notificati al condannato  e  al
          difensore  nominato  per  la  fase  dell'esecuzione  o,  in
          difetto, al difensore che lo ha assistito  nella  fase  del
          giudizio, con l'avviso che entro trenta giorni puo'  essere
          presentata istanza, corredata  dalle  indicazioni  e  dalla
          documentazione necessarie, volta ad ottenere la concessione
          di una delle misure alternative alla detenzione di cui agli
          articoli 47, 47-ter e 50, comma 1, della  legge  26  luglio
          1975, n. 354, e successive modificazioni, e di cui all'art.
          94 del testo unico approvato  con  decreto  del  Presidente
          della Repubblica 9  ottobre  1990,  n.  309,  e  successive
          modificazioni, ovvero la sospensione dell'esecuzione  della
          pena di cui all'art. 90 dello stesso testo unico.  L'avviso
          informa altresi' che, ove non sia presentata l'istanza o la
          stessa sia inammissibile  ai  sensi  degli  articoli  90  e
          seguenti del citato testo unico,  l'esecuzione  della  pena
          avra' corso immediato. 
              6. L'istanza deve essere presentata  dal  condannato  o
          dal difensore di cui al comma 5 ovvero allo scopo  nominato
          dal pubblico ministero, il quale la  trasmette,  unitamente
          alla   documentazione,   al   tribunale   di   sorveglianza
          competente in relazione al luogo in cui ha  sede  l'ufficio
          del pubblico ministero. Se l'istanza non e' corredata dalla
          documentazione   utile,   questa,   salvi   i    casi    di
          inammissibilita', puo' essere depositata nella  cancelleria
          del tribunale di sorveglianza fino a  cinque  giorni  prima
          dell'udienza fissata a norma dell'art. 666, comma 3.  Resta
          salva,  in  ogni  caso,  la  facolta'  del   tribunale   di
          sorveglianza di procedere anche d'ufficio alla richiesta di
          documenti o di informazioni, o all'assunzione  di  prove  a
          norma dell'art. 666, comma 5. Il tribunale di  sorveglianza
          decide  entro   quarantacinque   giorni   dal   ricevimento
          dell'istanza. 
              7.  La  sospensione  dell'esecuzione  per   la   stessa
          condanna non puo' essere disposta piu' di una volta,  anche
          se il condannato ripropone nuova istanza sia  in  ordine  a
          diversa misura alternativa, sia in  ordine  alla  medesima,
          diversamente  motivata,  sia  in  ordine  alla  sospensione
          dell'esecuzione della pena di cui  all'art.  90  del  testo
          unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica
          9 ottobre 1990, n. 309, e successive modificazioni. 
              8. Salva  la  disposizione  del  comma  8-bis,  qualora
          l'istanza  non  sia  tempestivamente   presentata,   o   il
          tribunale di sorveglianza la dichiari  inammissibile  o  la
          respinga, il pubblico ministero  revoca  immediatamente  il
          decreto  di  sospensione   dell'esecuzione.   Il   pubblico
          ministero provvede analogamente quando l'istanza presentata
          e' inammissibile ai sensi degli articoli 90 e seguenti  del
          testo  unico  di  cui  al  decreto  del  Presidente   della
          Repubblica  9  ottobre   1990,   n.   309,   e   successive
          modificazioni, nonche',  nelle  more  della  decisione  del
          tribunale di sorveglianza, quando il programma di  recupero
          di cui all'art. 94 del medesimo  testo  unico  non  risulta
          iniziato entro cinque giorni dalla  data  di  presentazione
          della relativa istanza o risulta interrotto. A tal fine  il
          pubblico ministero, nel trasmettere l'istanza al  tribunale
          di sorveglianza, dispone gli opportuni accertamenti. 
              8-bis. Quando e' provato  o  appare  probabile  che  il
          condannato non abbia avuto effettiva conoscenza dell'avviso
          di cui al comma 5, il  pubblico  ministero  puo'  assumere,
          anche  presso  il  difensore,  le  opportune  informazioni,
          all'esito delle quali puo' disporre la  rinnovazione  della
          notifica. 
              9. La sospensione dell'esecuzione di cui al comma 5 non
          puo' essere disposta: 
                a) nei confronti dei condannati per i delitti di  cui
          all'art. 4-bis della  legge  26  luglio  1975,  n.  354,  e
          successive modificazioni,  nonche'  di  cui  agli  articoli
          423-bis, 624, quando ricorrono due o piu'  circostanze  tra
          quelle indicate dall'art. 625, 624-bis del codice penale, e
          per i delitti in cui ricorre l'aggravante di  cui  all'art.
          61, primo comma, numero 11-bis), del medesimo codice, fatta
          eccezione  per  coloro  che   si   trovano   agli   arresti
          domiciliari disposti ai sensi dell'art. 89 del testo  unico
          di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre
          1990, n. 309, e successive modificazioni; 
                b) nei confronti di coloro che, per il fatto  oggetto
          della condanna da eseguire, si trovano in stato di custodia
          cautelare in carcere nel momento in cui la sentenza diviene
          definitiva; 
                c) nei confronti dei condannati ai  quali  sia  stata
          applicata la recidiva prevista dall'art. 99, quarto  comma,
          del codice penale». 
              10. Nella situazione considerata dal  comma  5,  se  il
          condannato si trova agli arresti domiciliari per  il  fatto
          oggetto della condanna da eseguire, il  pubblico  ministero
          sospende  l'esecuzione  dell'ordine   di   carcerazione   e
          trasmette  gli  atti  senza   ritardo   al   tribunale   di
          sorveglianza perche' provveda alla  eventuale  applicazione
          di una delle misure alternative di cui  al  comma  5.  Fino
          alla decisione del tribunale di sorveglianza, il condannato
          permane nello stato detentivo nel quale si trova e il tempo
          corrispondente e' considerato come pena espiata a tutti gli
          effetti. Agli adempimenti previsti dall'art.  47-ter  della
          legge 26 luglio 1975, n. 354, e  successive  modificazioni,
          provvede in ogni caso il magistrato di sorveglianza.». 
              - Si riporta  il  testo  dell'art.  94,  comma  1,  del
          decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990,  n.
          309 (Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli
          stupefacenti e sostanze  psicotrope,  prevenzione,  cura  e
          riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza.): 
              «Art. 94 (Affidamento in prova in casi particolari).  -
          (Legge 26 luglio 1975,  n.  354,  art.  47-bis,  introdotto
          dall'art. 4-ter del decreto-legge 22 aprile 1985,  n.  144,
          convertito, con modificazioni, dalla legge 21 giugno  1985,
          n. 297, come sostituito dall'art. 12 della legge 10 ottobre
          1986, n. 663). -  1.  Se  la  pena  detentiva  deve  essere
          eseguita  nei  confronti  di  persona  tossicodipendente  o
          alcooldipendente  che  abbia  in  corso  un  programma   di
          recupero o che ad esso  intenda  sottoporsi,  l'interessato
          puo' chiedere in ogni momento di essere affidato  in  prova
          al  servizio  sociale  per   proseguire   o   intraprendere
          l'attivita' terapeutica sulla base di un programma  da  lui
          concordato con un'azienda unita' sanitaria locale o con una
          struttura  privata  autorizzata  ai  sensi  dell'art.  116.
          L'affidamento in prova  in  casi  particolari  puo'  essere
          concesso  solo  quando  deve  essere   espiata   una   pena
          detentiva, anche residua e congiunta a pena pecuniaria, non
          superiore a sei anni od a quattro anni se relativa a titolo
          esecutivo comprendente reato di cui  all'art.  4-bis  della
          legge 26 luglio 1975, n. 354, e  successive  modificazioni.
          Alla domanda  e'  allegata,  a  pena  di  inammissibilita',
          certificazione  rilasciata  da  una   struttura   sanitaria
          pubblica  o  da  una  struttura  privata  accreditata   per
          l'attivita' di diagnosi prevista dal comma 2,  lettera  d),
          dell'art. 116 attestante lo stato di tossicodipendenza o di
          alcooldipendenza,  la  procedura  con  la  quale  e'  stato
          accertato  l'uso   abituale   di   sostanze   stupefacenti,
          psicotrope   o   alcoliche,   l'andamento   del   programma
          concordato eventualmente in corso e la  sua  idoneita',  ai
          fini del recupero del condannato. Affinche' il  trattamento
          sia eseguito a carico del Servizio sanitario nazionale,  la
          struttura   interessata    deve    essere    in    possesso
          dell'accreditamento istituzionale di cui all'art.  8-quater
          del  decreto  legislativo  30  dicembre  1992,  n.  502,  e
          successive modificazioni, ed  aver  stipulato  gli  accordi
          contrattuali di cui all'art. 8-quinquies del citato decreto
          legislativo.». 
              - Si riporta il testo  dell'art.  69-bis  della  citata
          legge 26 luglio 1975 n. 354: 
              «Art. 69-bis (Procedimento in  materia  di  liberazione
          anticipata).  -  1.  Sull'istanza  di   concessione   della
          liberazione  anticipata,  il  magistrato  di   sorveglianza
          provvede con ordinanza, adottata  in  camera  di  consiglio
          senza  la  presenza  delle  parti,  che  e'  comunicata   o
          notificata senza ritardo ai soggetti indicati nell'art. 127
          del codice di procedura penale. 
              2. Il magistrato di sorveglianza decide  non  prima  di
          quindici giorni dalla  richiesta  del  parere  al  pubblico
          ministero e anche in assenza di esso. 
              3. Avverso l'ordinanza di cui al comma 1 il  difensore,
          l'interessato e il pubblico ministero possono, entro  dieci
          giorni  dalla  comunicazione  o   notificazione,   proporre
          reclamo  al  tribunale  di  sorveglianza   competente   per
          territorio. 
              4.  Il  tribunale  di  sorveglianza  decide  ai   sensi
          dell'art. 678 del codice di procedura penale. Si  applicano
          le disposizioni del quinto  e  del  sesto  comma  dell'art.
          30-bis. 
              5. Il tribunale di  sorveglianza,  ove  nel  corso  dei
          procedimenti previsti dall'art.  70,  comma  1,  sia  stata
          presentata istanza per  la  concessione  della  liberazione
          anticipata,   puo'   trasmetterla    al    magistrato    di
          sorveglianza.». 
              - Si riporta il  testo  del'art.  47-ter  della  citata
          legge 26 luglio 1975, n. 354: 
              «Art. 47-ter (Detenzione domiciliare).  -  1.  La  pena
          della reclusione  per  qualunque  reato,  ad  eccezione  di
          quelli previsti dal libro II, titolo XII, capo III, sezione
          I, e dagli articoli 609-bis, 609-quater  e  609-octies  del
          codice penale, dall' art. 51, comma 3-bis,  del  codice  di
          procedura penale e dall'art. 4-bis  della  presente  legge,
          puo' essere espiata nella propria  abitazione  o  in  altro
          luogo pubblico di cura, assistenza ed  accoglienza,  quando
          trattasi   di   persona   che,   al   momento   dell'inizio
          dell'esecuzione della pena, o dopo l'inizio  della  stessa,
          abbia compiuto i settanta anni  di  eta'  purche'  non  sia
          stato dichiarato delinquente abituale, professionale o  per
          tendenza ne' sia stato mai condannato con  l'aggravante  di
          cui all' art. 99 del codice penale . 
              1. La pena della reclusione  non  superiore  a  quattro
          anni, anche se costituente parte residua di  maggior  pena,
          nonche' la pena dell'arresto, possono essere espiate  nella
          propria abitazione o  in  altro  luogo  di  privata  dimora
          ovvero in luogo pubblico di cura, assistenza o accoglienza,
          quando trattasi di: 
                a) donna incinta o madre di prole di  eta'  inferiore
          ad anni dieci con lei convivente; 
                b) padre, esercente la potesta',  di  prole  di  eta'
          inferiore ad anni dieci con lui convivente, quando la madre
          sia deceduta o altrimenti assolutamente  impossibilitata  a
          dare assistenza alla prole; 
                c) persona in condizioni  di  salute  particolarmente
          gravi, che  richiedano  costanti  contatti  con  i  presidi
          sanitari territoriali; 
                d) persona di eta'  superiore  a  sessanta  anni,  se
          inabile anche parzialmente; 
                e) persona minore  di  anni  ventuno  per  comprovate
          esigenze di salute, di studio, di lavoro e di famiglia. 
              1.1. Al condannato, al quale  sia  stata  applicata  la
          recidiva prevista dall' art. 99, quarto comma,  del  codice
          penale, puo' essere concessa la detenzione  domiciliare  se
          la pena detentiva  inflitta,  anche  se  costituente  parte
          residua di maggior pena, non supera tre anni . 
              1-bis. La detenzione domiciliare puo' essere  applicata
          per l'espiazione della pena detentiva  inflitta  in  misura
          non superiore  a  due  anni,  anche  se  costituente  parte
          residua di maggior pena, indipendentemente dalle condizioni
          di cui al comma 1 quando non ricorrono  i  presupposti  per
          l'affidamento in prova al servizio  sociale  e  sempre  che
          tale misura sia  idonea  ad  evitare  il  pericolo  che  il
          condannato commetta altri reati. La  presente  disposizione
          non si applica ai condannati per i reati  di  cui  all'art.
          4-bis e a  quelli  cui  sia  stata  applicata  la  recidiva
          prevista dall' art. 99, quarto comma, del codice penale. 
              1-ter.  Quando  potrebbe  essere  disposto  il   rinvio
          obbligatorio o facoltativo della esecuzione della  pena  ai
          sensi degli articoli  146  e  147  del  codice  penale,  il
          tribunale di sorveglianza,  anche  se  la  pena  supera  il
          limite di cui al comma 1,  puo'  disporre  la  applicazione
          della detenzione  domiciliare,  stabilendo  un  termine  di
          durata  di  tale  applicazione,  termine  che  puo'  essere
          prorogato. L'esecuzione  della  pena  prosegue  durante  la
          esecuzione della detenzione domiciliare. 
              1-quater. Se l'istanza di applicazione della detenzione
          domiciliare  e'  proposta  dopo   che   ha   avuto   inizio
          l'esecuzione della pena, il magistrato di sorveglianza  cui
          la domanda deve essere rivolta puo' disporre l'applicazione
          provvisoria della misura, quando ricorrono i  requisiti  di
          cui  ai  commi  1  e  1-bis.  Si   applicano,   in   quanto
          compatibili, le disposizioni di cui all'art. 47, comma 4. 
              2. 
              3. 
              4.  Il  tribunale  di  sorveglianza,  nel  disporre  la
          detenzione  domiciliare,  ne  fissa  le  modalita'  secondo
          quanto stabilito dall'art.  284  del  codice  di  procedura
          penale. Determina e impartisce altresi' le disposizioni per
          gli interventi del servizio sociale.  Tali  prescrizioni  e
          disposizioni possono essere modificate  dal  magistrato  di
          sorveglianza competente per il luogo in cui  si  svolge  la
          detenzione domiciliare . 
              4-bis.  Nel  disporre  la  detenzione  domiciliare   il
          tribunale di sorveglianza, quando  ne  abbia  accertato  la
          disponibilita'  da  parte  delle  autorita'   preposte   al
          controllo,  puo'  prevedere  modalita'  di   verifica   per
          l'osservanza  delle  prescrizioni  imposte  anche  mediante
          mezzi elettronici o altri strumenti tecnici.  Si  applicano
          le disposizioni di  cui  all'art.  275-bis  del  codice  di
          procedura penale. 
              5. Il condannato nei confronti del quale e' disposta la
          detenzione  domiciliare  non  e'   sottoposto   al   regime
          penitenziario previsto dalla presente legge e dal  relativo
          regolamento   di    esecuzione.    Nessun    onere    grava
          sull'amministrazione penitenziaria per il mantenimento,  la
          cura e l'assistenza medica del condannato  che  trovasi  in
          detenzione domiciliare. 
              6.  La  detenzione  domiciliare  e'  revocata   se   il
          comportamento del soggetto, contrario  alla  legge  o  alle
          prescrizioni   dettate,   appare   incompatibile   con   la
          prosecuzione delle misure. 
              7.  Deve  essere  inoltre  revocata  quando  vengono  a
          cessare le condizioni previste nei commi 1 e 1-bis. 
              8. Il condannato che, essendo in  stato  di  detenzione
          nella propria abitazione o in un altro dei luoghi  indicati
          nel comma 1, se ne allontana, e' punito ai sensi  dell'art.
          385  del  codice  penale.  Si   applica   la   disposizione
          dell'ultimo comma dello stesso art. . 
              9. La denuncia per il delitto di cui al comma 8 importa
          la sospensione del beneficio e la condanna  ne  importa  la
          revoca. 
              9-bis. Se la misura di cui al comma 1-bis  e'  revocata
          ai sensi dei commi precedenti  la  pena  residua  non  puo'
          essere sostituita con altra misura.». 
              - Si riporta il testo  dell'art.  51-bis  della  citata
          legge 26 luglio 1975, n. 354: 
              «Art.  51-bis  (Sopravvenienza  di  nuovi   titoli   di
          privazione   della   liberta').   -   1.   Quando   durante
          l'attuazione dell'affidamento in prova al servizio  sociale
          o  della  detenzione   domiciliare   o   della   detenzione
          domiciliare  speciale  o   del   regime   di   semiliberta'
          sopravviene  un  titolo  di  esecuzione   di   altra   pena
          detentiva, il direttore dell'istituto  penitenziario  o  il
          direttore  del   centro   di   servizio   sociale   informa
          immediatamente il magistrato di  sorveglianza.  Se  questi,
          tenuto conto del cumulo delle pene, rileva  che  permangono
          le condizioni di cui al comma 1 dell'art. 47 o ai commi 1 e
          1-bis  dell'art.  47-ter  o  ai  commi  1  e  2   dell'art.
          47-quinquies o ai primi tre commi dell'art. 50, dispone con
          decreto la prosecuzione provvisoria della misura in  corso;
          in caso  contrario  dispone  la  sospensione  della  misura
          stessa. Il magistrato di sorveglianza trasmette quindi  gli
          atti al tribunale di sorveglianza  che  deve  decidere  nel
          termine di venti giorni la  prosecuzione  o  la  cessazione
          della misura.». 
              - Si riporta il testo degli  articoli  58  e  58-quater
          della citata legge 26 luglio 1975, n. 354: 
              «Art.  58  (Comunicazione  all'autorita'  di   pubblica
          sicurezza). - Dei provvedimenti previsti dal presente  capo
          ed adottati dal magistrato o dalla sezione di  sorveglianza
          e' data immediata comunicazione  all'autorita'  provinciale
          di pubblica sicurezza a cura della cancelleria; 
              Art. 58-quater (Divieto di concessione di benefici).  -
          1. L'assegnazione al lavoro all'esterno, i permessi premio,
          l'affidamento  in  prova  al  servizio  sociale,  nei  casi
          previsti dall'art.  47,  la  detenzione  domiciliare  e  la
          semiliberta' non possono essere concessi al condannato  che
          sia stato riconosciuto colpevole di una condotta punibile a
          norma dell' art. 385 del codice penale. 
              2. La disposizione del comma  1  si  applica  anche  al
          condannato nei cui confronti e' stata disposta la revoca di
          una misura alternativa ai sensi  dell'art.  47,  comma  11,
          dell'art. 47-ter, comma 6, o dell'art. 51, primo comma. 
              3. Il divieto di concessione dei benefici opera per  un
          periodo  di  tre  anni  dal  momento  in  cui  e'   ripresa
          l'esecuzione della custodia o della pena o e' stato  emesso
          il provvedimento di revoca indicato nel comma 2. 
              4. I condannati per i  delitti  di  cui  agli  articoli
          289-bis e 630 del codice penale che  abbiano  cagionato  la
          morte del  sequestrato  non  sono  ammessi  ad  alcuno  dei
          benefici indicati  nel  comma  1  dell'art.  4-bis  se  non
          abbiano effettivamente espiato almeno  i  due  terzi  della
          pena irrogata o, nel caso dell'ergastolo,  almeno  ventisei
          anni. 
              5.  Oltre  a  quanto  previsto  dai  commi   1   e   3,
          l'assegnazione al lavoro all'esterno, i permessi  premio  e
          le misure alternative alla detenzione previste dal capo  VI
          non possono  essere  concessi,  o  se  gia'  concessi  sono
          revocati, ai condannati per taluni dei delitti indicati nei
          commi  1,  1-ter  e  1-quater  dell'art.  4-bis,  nei   cui
          confronti si procede  o  e'  pronunciata  condanna  per  un
          delitto doloso punito con  la  pena  della  reclusione  non
          inferiore nel massimo a tre anni, commesso da chi ha  posto
          in essere una condotta punibile a norma dell'art.  385  del
          codice penale ovvero durante il  lavoro  all'esterno  o  la
          fruizione di un permesso premio o di una misura alternativa
          alla detenzione. 
              6. Ai fini dell'applicazione della disposizione di  cui
          al comma 5, l'autorita' che procede per il nuovo delitto ne
          da' comunicazione al magistrato di sorveglianza  del  luogo
          di ultima detenzione dell'imputato. 
              7. Il divieto di concessione dei  benefici  di  cui  al
          comma 5 opera per un periodo di cinque anni dal momento  in
          cui e' ripresa l'esecuzione della custodia o della  pena  o
          e' stato emesso il provvedimento di revoca della misura. 
              7-bis. L'affidamento in prova al servizio  sociale  nei
          casi previsti dall'art. 47, la detenzione domiciliare e  la
          semiliberta' non possono essere concessi piu' di una  volta
          al condannato al quale  sia  stata  applicata  la  recidiva
          prevista dall' art. 99, quarto comma, del codice penale.». 
              - Il d.P.R. 30 giugno 2000, n. 230  reca:  «Regolamento
          recante norme sull'ordinamento penitenziario e sulle misure

Art. 2 Modifiche all'articolo 385 del codice penale, in materia di evasione 1. All'articolo 385 del codice penale sono apportate le seguenti modificazioni: a) al primo comma, le parole: «da sei mesi ad un anno» sono sostituite dalle seguenti: «da uno a tre anni»; b) al secondo comma: 1) le parole: «da uno a tre» sono sostituite dalle seguenti: «da due a cinque»; 2) la parola: «cinque» e' sostituita dalla seguente: «sei».

Art. 3 Circostanza aggravante 1. All'articolo 61 del codice penale e' aggiunto, in fine, il seguente numero: «11-quater. l'avere il colpevole commesso un delitto non colposo durante il periodo in cui era ammesso ad una misura alternativa alla detenzione in carcere».




                      Note all'art. 3: 
              - Si riporta il testo dell'art. 61 del  codice  penale,
          come modificato dalla presente legge: 
              «Art. 61 (Circostanze aggravanti comuni).  -  Aggravano
          il  reato  quando  non  ne  sono  elementi  costitutivi   o
          circostanze aggravanti speciali, le circostanze seguenti: 
                1. l'avere agito per motivi abietti o futili; 
                2.  l'aver  commesso  il  reato  per   eseguirne   od
          occultarne un altro, ovvero per conseguire o  assicurare  a
          se' o ad altri il prodotto o il profitto o il prezzo ovvero
          la impunita' di un altro reato; 
                3. l'avere, nei delitti colposi, agito nonostante  la
          previsione dell'evento; 
                4. l'avere adoperato  sevizie,  o  l'aver  agito  con
          crudelta' verso le persone; 
                5. l'avere profittato di  circostanze  di  tempo,  di
          luogo o di persona, anche in riferimento all'eta', tali  da
          ostacolare la pubblica o privata difesa; 
                6. l'avere il colpevole commesso il reato durante  il
          tempo,  in  cui  si  e'  sottratto   volontariamente   alla
          esecuzione di un mandato o di un ordine  di  arresto  o  di
          cattura o di carcerazione, spedito per un precedente reato; 
                7. l'avere, nei delitti contro il  patrimonio  o  che
          comunque  offendono  il  patrimonio,  ovvero  nei   delitti
          determinati da motivi  di  lucro,  cagionato  alla  persona
          offesa  dal  reato  un  danno  patrimoniale  di   rilevante
          gravita'; 
                8.  l'avere  aggravato  o  tentato  di  aggravare  le
          conseguenze del delitto commesso; 
                9. l'avere commesso il fatto con abuso dei poteri,  o
          con violazione dei doveri inerenti a una pubblica  funzione
          o a un pubblico servizio, ovvero alla qualita' di  ministro
          di un culto; 
                10. l'avere commesso  il  fatto  contro  un  pubblico
          ufficiale o una persona incaricata di un pubblico servizio,
          o rivestita della qualita' di ministro del culto  cattolico
          o di un culto ammesso nello Stato, ovvero contro un  agente
          diplomatico o consolare di uno Stato estero, nell'atto o  a
          causa dell'adempimento delle funzioni o del servizio; 
                11. l'avere commesso il fatto con abuso di  autorita'
          o di relazioni domestiche, ovvero con abuso di relazioni di
          ufficio, di prestazione  d'opera,  di  coabitazione,  o  di
          ospitalita'; 
                11-bis. l'avere il colpevole commesso il fatto mentre
          si trova illegalmente sul territorio nazionale; 
                11-ter. l'aver commesso un delitto contro la  persona
          ai  danni  di  un  soggetto  minore  all'interno  o   nelle
          adiacenze di istituti di istruzione o di formazione; 
                11-quater. l'avere il colpevole commesso  un  delitto
          non colposo durante il periodo in cui era  ammesso  ad  una

          misura alternativa alla detenzione in carcere.». 


          privative e limitative della liberta'.».  
Art. 4 Modifiche alla legge 23 dicembre 2009, n. 191, e al decreto legislativo 30 ottobre 1992, n. 443, concernenti il Corpo di polizia penitenziaria 1. All'articolo 2, comma 215, della legge 23 dicembre 2009, n. 191, sono apportate le seguenti modificazioni: a) dopo le parole: «di cui al comma 213» sono inserite le seguenti: «nonche' le maggiori entrate derivanti dall'attuazione del comma 212»; b) sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: «, ivi compreso l'adeguamento dell'organico del Corpo di polizia penitenziaria occorrente per fronteggiare la situazione emergenziale in atto. A tale ultimo fine e per assicurare, inoltre, la piena operativita' dei relativi servizi, il Ministro della giustizia e' autorizzato all'assunzione di personale nel ruolo degli agenti e degli assistenti del Corpo di polizia penitenziaria, nei limiti numerici consentiti dalle risorse derivanti dall'applicazione del comma 212». 2. All'articolo 2, comma 221, della legge 23 dicembre 2009, n. 191, la parola: «, 212» e' soppressa. 3. Al decreto legislativo 30 ottobre 1992, n. 443, e successive modificazioni, sono apportate le seguenti modificazioni: a) l'articolo 6 e' sostituito dal seguente: «Art. 6 (Corsi per la nomina ad agente di polizia penitenziaria). - 1. Gli allievi agenti del Corpo di polizia penitenziaria frequentano presso le scuole un corso di durata compresa tra sei e dodici mesi, diviso in due cicli. La durata del corso e' stabilita, nei limiti anzidetti, con decreto del Ministro della giustizia. 2. Al termine del primo ciclo del corso, gli allievi che abbiano ottenuto giudizio globale di idoneita' sulla base dei risultati conseguiti nelle materie di insegnamento e nelle prove pratiche e siano stati riconosciuti idonei al servizio di polizia penitenziaria sono nominati agenti in prova e vengono ammessi a frequentare il secondo ciclo, durante il quale sono sottoposti a selezione attitudinale per l'eventuale assegnazione a servizi che richiedano qualificazione. 3. Gli agenti in prova che abbiano superato gli esami teorico-pratici di fine corso e ottenuto conferma dell'idoneita' al servizio di polizia penitenziaria sono nominati agenti di polizia penitenziaria. Essi prestano giuramento e sono immessi nel ruolo secondo la graduatoria finale. 4. Gli agenti in prova che non abbiano superato gli esami di fine corso, sempre che abbiano ottenuto giudizio di idoneita' al servizio, sono ammessi a ripetere per non piu' di una volta il secondo ciclo. Al termine di quest'ultimo, sono ammessi nuovamente agli esami finali. Se l'esito e' negativo, sono dimessi dal corso. 5. Gli allievi e gli agenti in prova, per tutta la durata del corso, non possono essere impiegati in servizi di istituto, tranne i servizi funzionali all'attivita' di formazione»; b) all'articolo 7, comma 1, la lettera d) e' sostituita dalla seguente: «d) gli allievi e gli allievi agenti in prova che per qualsiasi motivo, salvo che l'assenza sia determinata dall'adempimento di un dovere, siano stati assenti dal corso per un periodo stabilito con decreto del Ministro della giustizia, il quale deve comunque prevedere un periodo maggiore in caso di assenza determinata da infermita' contratta durante il corso e, in quest'ultimo caso, la possibilita' per l'allievo o l'agente in prova di essere ammesso a partecipare al primo corso successivo alla riacquistata idoneita' psico-fisica;».




                      Note all'art. 4: 
              - Si riporta il testo dei commi 215 e 221  dell'art.  2
          della legge 23 dicembre 2009, n. 191 (Disposizioni  per  la
          formazione del bilancio annuale e pluriennale  dello  Stato
          legge finanziaria 2010),  come  modificati  dalla  presente
          legge: 
              «215. Le risorse derivanti dalla gestione  dei  crediti
          relativi alle spese  di  giustizia  di  cui  al  comma  213
          nonche' le maggiori entrate derivanti  dall'attuazione  del
          comma 212 sono versate all'entrata del bilancio dello Stato
          per   essere    riassegnate,    previa    verifica    della
          compatibilita' finanziaria con  gli  equilibri  di  finanza
          pubblica da  parte  del  Ministero  dell'economia  e  delle
          finanze,  con  particolare  riferimento  al  rispetto   del
          conseguimento,  da  parte  dell'Italia,  dell'indebitamento
          netto  strutturale  concordato  in  sede  di  programma  di
          stabilita' e crescita, alle pertinenti unita'  previsionali
          di base dello  stato  di  previsione  del  Ministero  della
          giustizia  e  destinate  al  finanziamento  di   un   piano
          straordinario per lo smaltimento dei processi civili  e  al
          potenziamento       dei        servizi        istituzionali
          dell'amministrazione     giudiziaria,     ivi      compreso
          l'adeguamento   dell'organico   del   Corpo   di    polizia
          penitenziaria occorrente  per  fronteggiare  la  situazione
          emergenziale in atto. A tale ultimo fine e per  assicurare,
          inoltre, la piena operativita'  dei  relativi  servizi,  il
          Ministro della giustizia e' autorizzato  all'assunzione  di
          personale nel ruolo degli agenti  e  degli  assistenti  del
          Corpo  di  polizia  penitenziaria,  nei   limiti   numerici
          consentiti dalle risorse  derivanti  dall'applicazione  del
          comma 212.». 
              «221. I risparmi di spesa derivanti dai commi 211 e  da
          216 a 218, affluiscono al fondo di cui al comma 250, previo
          decreto del Ministero dell'economia  e  delle  finanze,  di
          concerto  con  il  Ministero  della  giustizia,   ai   fini
          dell'accertamento     del     relativo     ammontare      e
          dell'individuazione  della  corrispondente  riduzione   dei
          pertinenti   capitoli,   per   spese    di    funzionamento
          dell'organizzazione giudiziaria.». 
              - Si riporta il testo dell'art. 7, comma 1, del  citato
          decreto legislativo 30 ottobre 1992, n. 443 come modificato
          dalla legge qui pubblicata: 
              «Art. 7 (Dimissioni dai corsi per la nomina  ad  agente
          di polizia penitenziaria). - 1. Sono dimessi dal corso: 
                a) gli allievi che non superino il primo ciclo; 
                b) gli allievi e gli agenti in prova  che  non  siano
          riconosciuti  idonei  al  servizio  nel  Corpo  di  polizia
          penitenziaria; 
                c) gli allievi e gli agenti in prova  che  dichiarino
          di rinunciare al corso; 
                d) gli allievi e gli allievi agenti in prova che  per
          qualsiasi  motivo,  salvo  che  l'assenza  sia  determinata
          dall'adempimento di un  dovere,  siano  stati  assenti  dal
          corso per un periodo stabilito  con  decreto  del  Ministro
          della  giustizia,  il  quale  deve  comunque  prevedere  un
          periodo  maggiore  in  caso  di  assenza   determinata   da
          infermita' contratta durante il corso  e,  in  quest'ultimo
          caso, la possibilita' per l'allievo o l'agente in prova  di
          essere ammesso a partecipare al primo corso successivo alla
          riacquistata idoneita' psico-fisica; 
                e) gli agenti in prova di cui comma 4 dell'art. 6. 
              2.  Gli  allievi  e  gli  agenti  in  prova  di   sesso
          femminile, la cui assenza oltre sessanta giorni  sia  stata
          determinata da maternita', sono ammessi  a  partecipare  al
          primo corso successivo ai periodi  di  assenza  dal  lavoro
          previsti dalle disposizioni sulla tutela delle  lavoratrici
          madri. 
              3. Sono espulsi dal corso gli allievi e gli  agenti  in
          prova  responsabili  di  mancanze  punibili  con   sanzioni
          disciplinari piu' gravi della deplorazione. 
              4. I provvedimenti di dimissione e  di  espulsione  dal
          corso sono adottati  con  decreto  del  direttore  generale
          dell'Amministrazione   penitenziaria,   su   proposta   del
          direttore della scuola. 
              5. La dimissione dal corso comporta  la  cessazione  di

Art. 5 Relazione alle Camere 1. Entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, il Ministro della giustizia, sentiti i Ministri dell'interno e per la pubblica amministrazione e l'innovazione, riferisce alle competenti Commissioni parlamentari in merito alle necessita' di adeguamento numerico e professionale della pianta organica del Corpo di polizia penitenziaria e del personale civile del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria del Ministero della giustizia, anche in relazione all'entita' numerica della popolazione carceraria e al numero dei posti esistenti e programmati nonche' al numero dei condannati in esecuzione penale esterna. La presente legge, munita del sigillo dello Stato, sara' inserita nella Raccolta ufficiale della Repubblica italiana. E' fatto obbligo a chiunque spetti di osservarla e di farla osservare come legge dello Stato. Data a Roma, addi' 26 novembre 2010 NAPOLITANO Berlusconi, Presidente del Consiglio dei Ministri Alfano, Ministro della giustizia Visto, il Guardasigilli: Alfano LAVORI PREPARATORI Camera dei deputati (atto n. 3291-bis): Disegno di legge risultante dallo stralcio deliberato dall'aula in data 12 maggio 2010 degli articoli 1, 2 e 10 del disegno di legge n. 3291 d'iniziativa del Ministro della giustizia (Alfano). Assegnato alla II Commissione (giustizia), in sede referente, il 12 maggio 2010 con pareri delle Commissioni I, V e XII. Esaminato dalla II Commissione, in sede referente, il 12, 18 e 27 maggio 2010; l'8, 9, 10 e 17 giugno 2010. Esaminato in aula il 5 e 6 luglio 2010. Assegnato nuovamente alla II Commissione (giustizia), in sede legislativa, il 7 luglio 2010 con pareri delle Commissioni I, V e XII. Esaminato dalla II Commissione, in sede legislativa, il 13 e 29 luglio 2010 ed approvato il 30 luglio 2010. Senato della Repubblica (atto n. 2313): Assegnato alla 2ª Commissione (giustizia), in sede referente, il 4 agosto 2010 con pareri delle Commissioni 1 ª, 5 ª e 12 ª. Esaminato dalla 2 ª Commissione, in sede referente, il 21, 22, 23 e 29 settembre 2010; il 5, 6 e 20 ottobre 2010. Esaminato in aula il 28 ottobre 2010 ed il 2 novembre 2010 ed approvato il 17 novembre 2010.
          ogni rapporto con l'Amministrazione.». 

SICUREZZA: PD, NO DI MARONI A RINNOVO CONTRATTO 650 LAVORATORI PREFETTURE E QUESTURE



Roma, 2 dic. - (Adnkronos) - ''Per 650 lavoratori delle
prefetture e delle questure italiane il nuovo anno si aprira' con una
doccia fredda''. Lo denuncia il deputato del Pd Marco Carra,
commentando la risposta che il ministero dell'Interno ha dato oggi ad
una sua interrogazione parlamentare che chiedeva a Maroni di rinnovare
i contratti in scadenza il 31 dicembre 2010 dei dipendenti delle
questure e delle prefetture.

''Le parole testuali del ministero -prosegue Carra- dicono che
'la proroga dei contratti non e' al momento consentita dalle esigenze
di contenimento del disavanzo pubblico che ha portato ad interventi di
eccezionale rigore'. Nulla da fare, quindi, e colpisce che questa
risposta arrivi nello stesso giorno in cui alla Camera, nel corso
della discussione del Dl sicurezza, l'aula ha approvato un ordine del
giorno del Pd che impegna il governo ad inserire nel prossimo
provvedimento utile misure volte alla regolarizzazione dei 650
lavoratori".

"Insomma -conclude Carra- il governo e' nel pallone e fa
ricadere le proprie spaccature sulla pelle dei lavoratori e dei
cittadini che vedranno ridotti gli agenti in servizio nelle citta' che
dovranno rientrare negli uffici per svolgere attivita' impiegatizie''.

(Pol/Pn/Adnkronos)
02-DIC-10 18:22

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Sicurezza/Ok Aula Camera a dl, ma è scontro su risorse a polizia

Apc-*Sicurezza/Ok Aula Camera a dl, ma è scontro su risorse a polizia
Pdl ritira emendamento finanziamenti. Testo passa al Senato

Roma, 2 dic. (Apcom) - L'Aula della Camera ha approvato il
decreto sicurezza. I sì sono stati 299, 9 i no, astenuti gli
altri. Il Pd si è astenuto spiegando che col testo, che ora passa
all'esame del Senato, "sono stati fatti passi avanti" ma "serviva
più coraggio".

Nonostante l'ampia maggioranza con cui è stato approvato il
provvedimento, non mancano le critiche al testo che per
l'opposizione rappresenta "un'occasione sprecata" soprattutto per
il mancato finanziamento alla specificità delle forze di polizia:
l'emendamento che andava in questa direzione, messo a punto da
Beatrice Lorenzin (Pdl), e condiviso da tutti i gruppi è stato
infatti ritirato. Una mossa "gravissima" anche secondo Futuro e
Libertà.

Il sottosegretario all'Interno Alfredo Mantovano ha spiegato che
"in presenza di tagli a tutti i settori dello Stato, il governo
ha comunque mantenuto un'attenzione particolare al settore della
sicurezza in sede di manovra economica con l'istituzione di un
fondo che per il 2011 e per il 2012 prevede uno stanziamento di
80 milioni. Prima ancora era stato istituito il fondo unico
giustizia con risorse che ammontano a 2 miliardi e 200 milioni di
euro, di cui il 49% è destinato al Viminale, il 49% al ministero
della Giustizia e il 2 al bilancio dello Stato". Quanto al
finanziamento della specificità, ha informato Mantovano, "sono
necessari degli approfondimenti tecnici che non mancheranno nelle
prossime settimane". La norma sulla specificità delle forze di
polizia, ha precisato il Pdl Giuliano Cazzola, era contenuta nel
collegato lavoro ed è entrata in vigore il 24 novembre scorso:
"Mi sembra giustificato un governo che in sette giorni non riesce
a finanziare una norma".

Secondo il democratico Marco Minniti maggioranza e governo dicono
il falso perché "la specificità non è stata introdotta da questo
governo ma con un largo voto parlamentare nel '99 da un governo
di centrosinistra. Avete fatto contratti con i soldi stanziati da
noi, voi non avete messo una lira". Quanto alle cifre date da
Mantovano, Minniti commenta: "Fate il gioco delle tre carte,
parlate di miliardi di euro ma per la benzina nelle macchine
della polizia non c'è una lira. Dovreste vergognarvi e chiedere
scusa".

Luc

021358 dic 10

SICUREZZA. LITE SU RISORSE POLIZIA, PD-UDC: MARONI PRENDE IN GIRO MAGGIORANZA RITIRA IN AULA CAMERA UN EMENDAMENTO PER NUOVI FONDI



(DIRE) Roma, 2 dic. - Un emendamento, prima concordato in
commissione e poi ritirato in aula, provoca la reazione delle
opposizioni sul decreto sicurezza. Durante l'esame del
provvedimento alla Camera, i relatori, entrambi Pdl, decidono di
non far mettere in votazione una proposta di modifica
all'articolo 10 (originariamente Pdl-Fli, poi avallata da tutti i
gruppi) che avrebbe concesso ulteriori risorse economiche alle
forze dell'ordine.
Il deputato Pd, Emanuele Fiano, interviene in aula per
accusare il governo: "Avete illuso i rappresentanti della polizia
promettendo i soldi e ora non li date. Lei, ministro Maroni, i
soldi non li ha avuti da Tremonti per metterli nel comparto
sicurezza. La Lega e il governo prendono in giro i tutori delle
forze dell'ordine".
La formulazione di questo emendamento all'articolo 10 ('Misure
urgenti per il rafforzamenti della funzionalita' del ministero
dell'Interno') e' stata tortuosa fin dalla sua presentazione. La
commissione Bilancio, anche sulla base di una relazione tecnica
del governo, aveva dato parere negativo per problemi di
copertura. L'emendamento era stato cosi' dichiarato inammissibile
dalla presidenza della Camera. Poi, su sollecitazione dei gruppo,
era stato riammesso in aula. Oggi il ritiro.
Dall'Udc, Mario Tassone, sottolinea: "Non c'e' la volonta' di
dare un soldo e un riconoscimento alle forze dell'ordine. Questa
e' una volonta' politica, una scelta precisa. Non veniteci a dire
che ci sono problemi di bilancio. Se ci sono, allora evitiamo di
fare decreti legge e di fare promesse perche' cosi' si
mortificano le forze di polizia".

(Mar/ Dire)
12:39 02-12-10 begin_of_the_skype_highlighting              39 02-12-10      end_of_the_skype_highlighting

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CIRCOLAZIONE STRADALE – GUIDA IN STATO DI EBBREZZA - TASSO ALCOOLEMICO - SUPERAMENTO DELLE SOGLIE DI PUNIBILITA' - VALORI CENTESIMALI - RILEVANZA

CIRCOLAZIONE STRADALE – GUIDA IN STATO DI EBBREZZA - TASSO ALCOOLEMICO - ART. 186, COMMA 1, LETT. A), COD. STRADA - DEPENALIZZAZIONE - CONSEGUENZE

E’ un’iniziativa piuttosto impattante e cruenta quella ideata dalla polizia tailandese per combattere la guida in stato di ebbrezza.
Nelle vicinanze di locali notturni e scuole sono stati ricreati degli incidenti con lo scopo di fare da deterrente nei confronti di chi alza troppo il gomito.
Ad ogni modo la domanda che si fa Quanteruote è corretta:
“Non si tratta di una fonte di distrazione per i guidatori, anche sobri, che circolano nelle vicinanze?”
Guida in stato di ebbrezza: falsi incidenti a far da monito 

Politica - ultimi sondaggi ore 11,30 del 2 dicembre 2010





FLI: GENERAZIONE ITALIA, FLI ALL'8,2, BERLUSCONI SEMPRE PIU' GIU' =
(AGI) - Roma, 2 dic - "Futuro e Liberta' stabile sopra quota
8%: l'ultima rilevazione fornita da Crespi Ricerche in
esclusiva per Generazione Italia vede FLI all'8,2%. Popolo
della Liberta' al 26,3%, Pd fermo al 23. In calo la Lega, che
scende al 12,2. Salgono invece Udc (6,7), Sinistra ecologia e
Liberta' (7,2) e Italia dei Valori (6,7). Indecisi sempre
primo partito, con il 36%. Il gradimento di Berlusconi scende
al 34, distante tre punti da quello del Governo, che scende a
quota 37. Tra i leader politici guida sempre Gianfranco Fini
(44%), seguito da Bersani, Vendola (entrambi al 36) e Casini
(34)". Lo scrive il Direttore di Generazione Italia, Gianmario
Mariniello, sul sito dell'associazione finiana.
"Quasi l'80% degli elettori di FLi vuole la sfiducia di
Berlusconi - scrive Mariniello - a fronte del 55,5% del
campione totale. Solo l'8,3% del campione di FLI vuole che
venga votata la fiducia al Premier".
"E poi c'e' la questione della Riforma Universitaria. Per
il 31,9% degli elettori, il ddl Gelmini "ha molti limiti, ma ha
introdotto delle interessanti novita' e dei miglioramenti",
mentre per il 28,6% si tratta di "una buona riforma, speriamo
che venga applicata". Poi ci sono i contrari: per il 30,8%
degli italiani "e' una pessima riforma, peggiora la situazione
nelle universita'". Non sa/non risponde l'8,7% del campione.
Gli italiani guardano con simpatia, invece, le proteste degli
studenti: per il 50,7% sono "legittime, testimoniano un piu'
ampio disagio dei nostri giovani", mentre il 23,4% degli
italiani ritiene le manifestazioni di questi giorni
"pretestuose, i ragazzi devono pensare a studiare". Alto,
infine, il numero degli indecisi riguardo la riforma: 25,9%",
conclude Mariniello.(AGI)
Lam
021056 DIC 10

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MALTEMPO: ALLERTA TEVERE, POLIZIA FLUVIALE PERLUSTRA RIVE





PER INDIVIDUARE PERSONE A RISCHIO E OGGETTI IN ACQUA
(ANSA) - ROMA, 2 DIC - E' ancora stato di allerta per il
possibile innalzamento del livello delle acque del Tevere, a
Roma, dopo le abbondanti piogge degli ultimi giorni. La Questura
ha intensificato i servizi della polizia fluviale, (coordinata
dal vice questore Aggiunto Lucia Muscari). Si perlustrano le
rive del fiume, per individuare l'eventuale presenza di senza
fissa dimora, preservandone cosi' l'incolumita'.
Tra i compiti della polizia fluviale anche la verifica della
presenza di oggetti pericolosi in acqua. Un'attivita' integrata
da quella degli equipaggi delle volanti, coordinati dal vice
questore aggiunto Eugenio Ferraro, che si occupano di
controllare i punti critici per il livello delle acque
attraverso il monitoraggio dei ponti, anche in questo caso, per
verificare la presenza di passanti che possano accedere alle
aree a rischio.
''L'attivita' di controllo - si legge in una nota della
questura - viene effettuata in stretto raccordo con la
Protezione civile del Campidoglio, coordinata da Tommaso
Profeta, e la Prefettura, garantendo un costante flusso
informativo in grado di ottimizzare la modulazione dei servizi
in base all'evolversi degli scenari''. (ANSA).

PGL-PGL
02-DIC-10 10:06 NNNN

Reato di ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato

CORTE COSTITUZIONALE, Ordinanza n. 343 del 26/11/2010
composta dai signori: Presidente: Ugo DE SIERVO; Giudici : Paolo MADDALENA, Alfonso QUARANTA, Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Sabino CASSESE, Maria Rita SAULLE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI,
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 10-bis del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), aggiunto dall’art. 1, comma 16, lettera a), della legge 15 luglio 2009, n. 94 (Disposizioni in materia di sicurezza pubblica), e degli artt. 20-bis e 20-ter del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274 (Disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace, a norma dell’articolo 14 della L. 24 novembre 1999, n. 468), aggiunti dall’art. 1, comma 17, lettera b), della citata legge n. 94 del 2009, promossi dal Giudice di pace di Albano Laziale con quattro ordinanze del 5 novembre 2009, dal Giudice di pace di Cuorgnè con ordinanza del 30 novembre 2009 e dal Giudice di pace di Albano Laziale con ordinanza del 24 marzo 2010 e con tre ordinanze del 5 maggio 2010 rispettivamente iscritte ai nn. da 67 a 70, 124, 172, da 197 a 199 del registro ordinanze 2010 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 11, 18, 24 e 27, prima serie speciale, dell’anno 2010.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 20 ottobre 2010 il Giudice relatore Paolo Maria Napolitano.
Ritenuto che con quattro ordinanze identiche nella parte motiva (R.O. n. 67, n. 68, n. 69 e n. 70 del 2010), emesse tutte il 5 novembre 2009, il Giudice di pace di Albano Laziale, nell’ambito di distinti procedimenti penali, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 10-bis del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), aggiunto dall’art. 1, comma 16, lettera a), della legge 15 luglio 2009, n. 94 (Disposizioni in materia di sicurezza pubblica), e degli artt. 20-bis e 20-ter del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274 (Disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace, a norma dell’articolo 14 della L. 24 novembre 1999, n. 468), aggiunti dall’art. 1, comma 17, lettera b), della citata legge n. 94 del 2009, per violazione degli artt. 3, 10, 24, 25, 27, 97, 102, 111 e 112 della Costituzione;
che il giudice a quo, in tutte le ordinanze, premette in fatto di dover giudicare cittadini extracomunitari, imputati del reato di «ingresso o soggiorno illegale nel territorio dello Stato»;
che, in particolare, il rimettente afferma che l’art. 1, comma 16, lettera a), della legge n. 94 del 2009 ha introdotto nel d.lgs. n. 286 del 1998 l’art. 10-bis, il quale prevede la nuova fattispecie criminosa dell’ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato, sanzionando con l’ammenda da 5.000 a 10.000 euro «lo straniero che fa ingresso ovvero si trattiene nel territorio dello Stato, in violazione delle disposizioni del presente testo unico nonché di quelle di cui all’articolo 1 della legge 28 maggio 2007 n. 68»;
che, a parere del giudice rimettente, la nuova norma incriminatrice è in contrasto innanzitutto con il principio di eguaglianza di cui all’art. 3 Cost. inteso sia come necessità di diverso trattamento di situazioni differenti, sia come necessità di pari trattamento di situazioni simili;
che tale violazione, anche in relazione agli artt. 102 e 112 Cost., si realizzerebbe mediante gli art. 20-bis e 20-ter del d.lgs. n. 274 del 2000 che prevedono la richiesta di citazione contestuale per l’udienza da parte della polizia giudiziaria quando «ricorrono gravi e comprovate ragioni di urgenza che non consentono di attendere la fissazione dell’udienza ai sensi del comma 3 del medesimo articolo, ovvero se l’imputato si trova a qualsiasi titolo sottoposto a misure di limitazione o privazione della libertà personale»;
che, secondo il Giudice di pace di Albano Laziale, tali disposizioni delineerebbero un nuovo rito, ossia il giudizio a presentazione immediata (art. 20-bis), prevedendone una variante per i casi di urgenza o per gli imputati sottoposti a misure restrittive della libertà, vale a dire il giudizio a citazione contestuale (art. 20-ter), con una procedura unica nell’ordinamento che configurerebbe una sorta di tertium genus tra reati procedibili a querela e reati procedibili d’ufficio;
che, in altri termini, il legislatore avrebbe previsto un singolare rito, relativo ad una singola fattispecie, per di più delegando ad un’autorità amministrativa l’inizio dell’azione penale obbligatoria;
che, secondo il rimettente, «il vulnus rappresentato dal delegare a una autorità amministrativa l’inizio dell’azione penale obbligatoria, peraltro per un reato contravvenzionale che più che far riferimento alla notitia criminis fa riferimento a uno status, sembra riportare a epoca non solo antecedente la Costituzione ma forse antecedente la Rivoluzione francese (principio della divisione dei poteri) o addirittura la Magna Charta Libertatum»;
che, inoltre, nell’ordinanza di rimessione si evidenzia come, nei confronti dello straniero di cui si accerti la condizione di soggiorno illegale, si debbano aprire due distinti procedimenti: uno, amministrativo, destinato a sfociare nel provvedimento prefettizio di espulsione da eseguirsi a cura del questore e l’altro, penale, nelle forme del citato art. 20-bis e 20-ter del d.lgs. n. 274 del 2000, con una evidente duplicazione di procedimenti;
che tale duplicazione, in sede penale, della procedura esistente in via amministrativa violerebbe il principio di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost. e anche il principio di buon andamento della pubblica amministrazione di cui all’art. 97 Cost.;
che il Giudice di pace di Albano Laziale lamenta anche la disparità di trattamento, asseritamente introdotta dalla disciplina in esame, in relazione all’ipotesi di cui all’art. 14, comma 5-ter, del d.lgs. n. 286 del 2000 a causa della mancata previsione della esclusione della colpevolezza in caso di «giustificato motivo», differenza di trattamento non giustificabile neanche dalla maggiore gravità del reato e rilevante nel caso di specie in quanto nei casi sottoposti al suo esame gli imputati verserebbero tutti in uno stato di indigenza (mancanza di una fissa dimora) tale da far ritenere sussistente una obiettiva difficoltà a ottemperare alla nuova fattispecie incriminatrice;
che, per tali motivi, il rimettente ritiene non manifestamente infondata la questione di costituzionalità relativa alla asserita violazione del principio di uguaglianza e del principio di personalità della responsabilità penale (artt. 3 e 27 Cost.) «in quanto il reato equipara ope legis la condizione di soggiorno illegale del clandestino a una posizione soggettiva di presunta pericolosità sociale che, invece, deve essere accertata in concreto in relazione a determinati fatti, circostanze e persone»;
che la norma censurata lederebbe anche il diritto di difesa e il diritto ad un giusto processo, in quanto non sarebbe conforme agli artt. 24 e 111 Cost. un processo non basato sul contraddittorio e nel quale non è garantita l’adeguata preparazione del diritto di difesa;
che tale diritto sarebbe leso dalla possibilità di eseguire l’espulsione dello straniero senza il nulla osta dell’autorità giudiziaria competente di cui all’art. 13, comma 3, del d.lgs. n. 286 del 1998, con la conseguente concreta possibilità che l’azione penale si concluda prima dello svolgimento del processo o durante il medesimo, dopo che «sia intervenuta l’esecuzione della pena voluta dal legislatore (l’espulsione dello straniero)»;
che, infine, sarebbe violato l’art. 10 Cost. con riguardo ai principi affermati in materia di immigrazione dal diritto internazionale e dalle convenzioni internazionali e con gli obblighi assunti dall’Italia in materia di trattamento dei migranti: in particolare la Convenzione OIL 24 giugno 1975, n. 143, ratificata dalla legge 10 aprile 1981, n. 158 (Ratifica ed esecuzione delle convenzioni numeri 92, 133 e 143 dell’Organizzazione internazionale del lavoro);
che, con ordinanza del 30 novembre 2009 (R.O. n. 124 del 2010), il Giudice di pace di Cuorgnè ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 10-bis del d.lgs. n. 286 del 1998, aggiunto dall’art. 1, comma 16, lettera a), della legge n. 94 del 2009, per violazione degli artt. 2, 3, primo comma, 10 e 97, primo comma, Cost.;
che il rimettente, nell’ambito di un procedimento penale che vede un cittadino straniero imputato del reato di cui all’art. 10-bis del d.lgs. n. 286 del 1998, ritiene rilevante e non manifestamente infondata la eccezione di costituzionalità sollevata, nel corso del giudizio, dalla Procura della Repubblica di Ivrea; che l’ordinanza di non riporta le argomentazioni addotte a sostegno della ritenuta incostituzionalità della norma censurata;
che con quattro ordinanze, identiche nella parte motiva (R.O. n. 172, n. 197, n. 198 e n. 199 del 2010), emesse, la prima, il 24 marzo 2010 e, le altre, il 5 maggio 2010, nell’ambito di distinti procedimenti penali, il Giudice di pace di Albano Laziale, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 10-bis del d.lgs. n. 286 del 1998, aggiunto dall’art. 1, comma 16, lettera a), della legge n. 94 del 2009, per violazione degli artt. 3, 25 e 27 Cost.;
che, a parere del rimettente, la norma censurata non rispetterebbe il principio di offensività delle condotte ex art.25, secondo comma, Cost. secondo il quale il ricorso alla sanzione penale è ammesso nel nostro ordinamento esclusivamente a protezione di beni giuridici di rilievo costituzionale e solo come scelta estrema del legislatore, mentre le condotte incriminate dall’art. 10-bis del d.lgs. n. 286 del 1998 non sarebbero lesive del bene della sicurezza pubblica né sarebbero di particolare pericolosità sociale, ma piuttosto espressione di una condizione individuale, quale quella di migrante, la cui incriminazione sarebbe discriminatoria;
che, inoltre, la sanzione penale sarebbe caratterizzata da una forma di subordinazione nei confronti dell’azione amministrativa diretta all’espulsione o al respingimento, dato che l’art. 10-bis, al comma 2 e al comma 5, prevede la non applicabilità della norma incriminatrice o la pronuncia di una sentenza di non luogo a procedere nel caso di respingimento e espulsione, così violando il «principio della estrema ratio» già citato;
che risulterebbe violato anche il principio di uguaglianza, a causa della possibilità di applicare la sanzione penale non «in funzione di volontà o atti del soggetto incriminato», ma in funzione della discrezionalità e disponibilità di mezzi della pubblica amministrazione che deve disporre il provvedimento di espulsione, potendo così verificarsi che uno stesso comportamento venga o meno sanzionato a causa di circostanze estranee alla sfera di intervento degli imputati;
che il rimettente lamenta, sempre in violazione del principio di uguaglianza, la mancata previsione della scriminante del giustificato motivo, così come per l’analogo reato di cui all’art. 14, comma 5, d.lgs. n. 286 del 1998;
che, infine, i principi di ragionevolezza e di buon andamento della pubblica amministrazione di cui agli artt. 3 e 97 Cost., verrebbero violati dalla previsione di una sanzione penale «fuori della solvibilità della stragrande maggioranza degli stranieri incriminati», in tal modo compromettendo l’effettività della sanzione stessa e la sua funzione deterrente e rieducativa, con una irragionevole proliferazione di processi e un dispendio di risorse pubbliche;
che nel giudizio relativo all’ordinanza n. 67 del 2010 è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o infondata;
che, a parere dell’Avvocatura dello Stato, l’individuazione delle condotte penalmente punibili e delle relative sanzioni è materia riservata alla più ampia discrezionalità del legislatore, come costantemente affermato dalla Corte costituzionale;
che, ad avviso della difesa statale, la questione relativa alla violazione del principio di eguaglianza sarebbe inammissibile, perché il parametro costituzionale è solo evocato e non è neanche indicata la fattispecie posta a raffronto;
che la questione sarebbe, comunque, infondata nel merito trattandosi di scelte riservate alla discrezionalità del legislatore;
che sarebbe infondata anche la denunciata violazione degli artt. 102 e 112 Cost., in quanto la norma in esame non inciderebbe sull’esercizio della funzione giurisdizionale né dell’azione penale, poiché rimette al pubblico ministero la piena valutazione dell’ammissibilità e della fondatezza della richiesta di giudizio o di citazione contestuale presentate dalla polizia giudiziaria;
che sarebbe errata la ricostruzione del rimettente circa la duplicazione del procedimento di espulsione (l’uno in via amministrativa, l’altro in sede penale), in quanto il processo penale tende all’accertamento della responsabilità dell’imputato e, nel suo contesto, l’espulsione del condannato «rappresenta un effetto della condanna; più precisamente di irrogazione di una sanzione sostitutiva, coerente con l’interesse punitivo dello Stato»;
che inconferente sarebbe, altresì, il riferimento all’art. 97 Cost., trattandosi di disposizione inapplicabile all’amministrazione della giustizia;
che, per quel che concerne la mancata previsione della «quasi esimente» del «giustificato motivo», la fattispecie criminosa in questione resterebbe comunque soggetta ai principi generali applicabili in materia penale, che comprendono varie cause di non punibilità quali l’inesigibilità del comportamento «virtuoso»;
che la questione relativa alla asserita violazione degli articoli 24 e 111 Cost. appare mal posta, atteso che il diritto di difesa e il diritto ad un giusto processo non impongono la celebrazione del processo penale pur in presenza di un evento (nel caso, l’avvenuta espulsione) che comporta il venir meno dell’interesse dello Stato alla sua pretesa punitiva;
che, da ultimo, la questione relativa alla violazione dell’art. 10 Cost. risulta inammissibile, risultando solamente enunciata ma non motivata.
Considerato che le ordinanze di rimessione sollevano questioni identiche o analoghe, onde i relativi giudizi vanno riuniti per essere definiti con unica decisione;
che i giudici a quibus dubitano, in riferimento a plurimi parametri, della legittimità costituzionale dell’art. 10-bis del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), aggiunto dall’art. 1, comma 16, lettera a), della legge 15 luglio 2009, n. 94 (Disposizioni in materia di sicurezza pubblica), che punisce con l’ammenda da 5.000 a 10.000 euro, salvo che il fatto costituisca più grave reato, lo straniero che fa ingresso o si trattiene illegalmente nel territorio dello Stato;
che il Giudice di pace di Albano Laziale in alcune ordinanze estende le sue censure anche agli artt. 20-bis e 20-ter del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274 (Disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace, a norma dell’articolo 14 della L. 24 novembre 1999, n. 468), nella parte in cui rispettivamente prevedono il giudizio a presentazione immediata a richiesta della polizia giudiziaria (art. 20-bis) e, nei casi di urgenza o per gli imputati sottoposti a misure restrittive della libertà personale, la possibilità per la polizia giudiziaria di formulare la richiesta di citazione contestuale (art. 20-ter);
che tutte le ordinanze di rimessione presentano carenze in punto di descrizione della fattispecie e di motivazione sulla rilevanza tali da precludere lo scrutinio nel merito delle questioni;
che quanto all’ordinanza di rimessione del Giudice di pace di Cuorgnè (R.O. n. 124 del 2010), l’indicato difetto di descrizione e di motivazione è totale;
che le restanti ordinanze, provenienti dal Giudice di pace di Albano Laziale, si limitano, quanto alla descrizione della fattispecie, a far cenno alla circostanza che, nel giudizio a quo, si procede per il reato di cui l’art. 10-bis del d.lgs. n. 286 del 1998, così che la declaratoria di incostituzionalità della norma comporterebbe l’assoluzione dell’imputato, mancando, tuttavia, in esse ogni specifico riferimento alla vicenda concreta che ha dato origine all’imputazione, idoneo a permettere la verifica dell’asserita rilevanza della questione;
che, con riferimento alle censure relative agli artt. 20-bis e 20-ter del d.lgs. n. 274 del 2000, il rimettente non riferisce quali siano state, in concreto, le modalità di citazione degli imputati e, trattandosi di censure relative a norme che prevedono differenti modalità di citazione, tale omissione impedisce di valutare la rilevanza della questione;
che, inoltre, dalla scarna motivazione sulla non manifesta infondatezza, emerge un’erronea interpretazione delle disposizioni impugnate, dal momento che il rimettente censura l’illegittimità costituzionale dell’attribuzione del potere di esercizio dell’azione penale alla polizia giudiziaria, mentre tale potere è chiaramente attribuito al pubblico ministero;
che le questioni vanno dichiarate, pertanto, manifestamente inammissibili.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi;
dichiara la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 10-bis del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), aggiunto dall’art. 1, comma 16, lettera a), della legge 15 luglio 2009, n. 94 (Disposizioni in materia di sicurezza pubblica), e degli artt. 20-bis e 20-ter del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274 (Disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace, a norma dell’articolo 14 della L. 24 novembre 1999, n. 468), aggiunti dall’art. 1, comma 17, lettera b), della citata legge n. 94 del 2009, sollevate, in riferimento agli artt. 3, 10, 24, 27, 97, 102, 111 e 112 della Costituzione, dal Giudice di pace di Albano Laziale e dal Giudice di pace di Cuorgnè con le ordinanze indicate in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 17 novembre 2010.
F.to:
Ugo DE SIERVO, Presidente
Paolo Maria NAPOLITANO, Redattore
Depositata in Cancelleria il 26 novembre 2010.

Motociclista rimane disoccupato a causa di un incidente stradale? Il danno da lucro può essere richiesto anche in appello

Cassazione Civile, Sezione Terza, Sentenza n. 23101 del 16/11/2010
Svolgimento del processo
[OMISSIS] conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Cagliari [OMISSIS] e la Cattolica Ass.ni per sentirli condannare al risarcimento dei danni causatigli il [OMISSIS], quando alla guida del proprio motoveicolo era stato investito dall’autoveicolo del [OMISSIS] che aveva invaso la corsia di sinistra rispetto al proprio senso di marcia.
I convenuti contestavano la fondatezza della domanda; interrotta la causa per la morte del [OMISSIS] e riassunta nei confronti della sua erede C.M.R. e della Cattolica, il Tribunale adito dichiarava il [OMISSIS] e il [OMISSIS] responsabili in eguale misura del sinistro, condannando le convenute al risarcimento del danno in favore dell’attore liquidato in Euro 57.981,81, più interessi legali, rigettando la richiesta di risarcimento dei danni al motoveicolo, di quelli morali e di quelli derivanti dalla perdita del posto di lavoro.
Proposto appello dal [OMISSIS] e costituitisi gli appellati che resistevano al gravame, con sentenza depositata il 31.12.05 la Corte d’appello di Cagliari, in parziale riforma dell’impugnata sentenza, condannava in solido la C. e la Cattolica al pagamento del danno morale in ragione di Euro 15.000,00, già rivalutati, con gli interessi legali dalla data della sentenza al saldo.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione il [OMISSIS], con due motivi, mentre ha resistito con controricorso la Cattolica e nessuna attività difensiva è stata svolta dalla C..
Il ricorrente ha depositato in atti anche una memoria.
Motivi della decisione
Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione degli artt. 112, 342, 345 e 346 cpc ed omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione su un punto decisivo, avendo la Corte di merito erroneamente ritenuto inammissibile il motivo d’appello riguardante il capo della sentenza appellata, che aveva rigettato la domanda di risarcimento del danno derivante dalla perdita del posto di lavoro a causa della perdurante malattia, sul presupposto che tale motivo attenesse ad una domanda nuova.
Con il secondo motivo lamenta la violazione degli artt. 112, 324, 325 e 343 cpc ed omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo, avendo la Corte di merito, nel rigettare il motivo di gravame sopra indicato, deciso una questione che non aveva formato oggetto di appello incidentale da parte degli appellati, nel senso che quest’ultimi nel giudizio di secondo grado non avevano devoluto alla Corte territoriale, con l’appello incidentale, come motivo di doglianza della sentenza di primo grado, il fatto che il primo giudice avesse deciso su una domanda (il risarcimento del danno da perdita del posto di lavoro) che (asseritamente) sarebbe stata abbandonata dall’attore.
Va esaminata in via preliminare l’eccezione d’inammissibilità del controricorso proposto dalla Cattolica per intempestività della sua notificazione al ricorrente, così come sollevata dal ricorrente stesso nella memoria difensiva.
Tale eccezione è fondata, in quanto, dovendo il controricorso essere notificato al ricorrente ex art. 370 comma primo cpc entro venti giorni dalla scadenza del termine per il deposito del ricorso (che ex art. 369 comma primo cpc deve avvenire entro venti giorni dall’ultima notificazione) e risultando dagli atti che il ricorso per cassazione è stato notificato in data 29.3.06, la conseguenza è che il termine di cui al citato art. 369 cpc veniva a scadere il 18.4.06 ed il controricorso avrebbe dovuto, quindi, essere notificato al [OMISSIS] entro l’8.5.06, mentre esso risulta essere stato notificato solo l’11.5.06.
Ciò premesso e passando all’esame dei motivi di ricorso, si rileva che il primo motivo deve ritenersi fondato.
Infatti, la Corte di merito non ha applicato correttamente, nel caso di specie, il disposto dell’art. 345 primo comma cpc, nella parte in cui viene sancita l’inammissibilità della domanda nuova proposta nel giudizio d’appello, avendo il ricorrente espressamente trascritto nel ricorso (v. pagg. 13 – 14 di esso) – in osservanza del principio di autosufficienza del ricorso stesso – il passo della sentenza impugnata da cui risulta che la domanda del ricorrente, per il risarcimento del danno derivante dalla perdita del posto di lavoro a causa della malattia riportata per effetto del sinistro, è stata rigettata per la mancata prova dell’incapacità, da parte del ricorrente medesimo, di svolgere attività lavorativa per un periodo di circa un anno.
Il secondo motivo d’appello addotto dal [OMISSIS] è stato, dunque, rigettato dalla Corte di merito sull’erroneo presupposto che con esso fosse stata introdotta, come domanda nuova, la pretesa di risarcimento del danno da lucro cessante, per il lustro di disoccupazione dello stesso [OMISSIS] conseguente all’infortunio, in quanto già abbandonata dall’attore in sede di precisazione delle conclusioni nel giudizio di primo grado; in realtà, trattandosi dell’impugnazione del capo della sentenza appellata, avente ad oggetto il rigetto di quella specifica pretesa risarcitoria, quest’ultima legittimamente riproposta con l’atto d’appello, non avrebbe potuto mai essere valutata come domanda “nuova” e come tale inammissibile ai sensi dell’art. 345 cpc.
Infatti, nel caso in esame, è inconfutabile che il [OMISSIS] si è legittimamente avvalso della sua facoltà di richiedere, nei limiti ovviamente del tantum devolutum, il riesame del punto della sentenza di primo grado concernente il rigetto della domanda di ristoro avente ad oggetto quella determinata voce di danno.
L’accoglimento del primo motivo comporta l’assorbimento del secondo motivo di censura.
Il ricorso va, pertanto, accolto, con conseguente cassazione della sentenza impugnata in relazione al motivo suddetto e rinvio della causa, anche per le spese del presente giudizio di cassazione, alla Corte di Appello di Cagliari in diversa composizione, che dovrà attenersi al criterio di diritto come sopra esposto.
P.Q.M.
Accoglie il primo motivo del ricorso, assorbito il secondo, cassa in relazione ad esso la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per le spese del giudizio di cassazione, dinanzi alla Corte d’appello di Cagliari in diversa composizione.
Depositata in Cancelleria il 16.11.2010

Guida in stato di ebbrezza. Nemmeno la finalità terapeutica dell'assunzione di farmaci salva la condotta

Cassazione Penale, Sezione Quarta, Sentenza n. 38121 del 27/10/2010
FATTO E DIRITTO
Ricorre per cassazione il difensore di fiducia di [OMISSIS] avverso la sentenza in data 16.12.2009 della Corte di Appello di [OMISSIS] che confermava quella del Tribunale di [OMISSIS] in data 12.2.2009 con la quale la [OMISSIS] era stata condannata alla pena condizionalmente sospesa di mesi uno di arresto ed Euro 1.000,00 di ammenda con circostanze attenuanti generiche equivalenti alla contestata aggravante oltre alla sospensione della patente di guida per mesi sei, avendola riconosciuta colpevole del reato di cui all’art. 186 C.d.S. per guida in stato di ebbrezza in conseguenza dell’uso di bevande alcooliche con tasso alcolemico di 0,89 g/l, così provocando un incidente stradale (commesso il [OMISSIS]).
Denunzia il vizio motivazionale e la violazione di legge, poichè, essendo pacifico, perchè provato, che la [OMISSIS] il giorno del fatto aveva assunto farmaci fitoterapici in soluzione alcolica al 70% prescrittile dal medico, in sostituzione di psicofarmaci, per disturbi ansiosi, attacchi di panico ed altro, ed avendo la Corte ritenuto che l’esito positivo dell’alcoltest fosse derivato da tale assunzione di farmaci, erroneamente aveva concluso che l’imputata non era esente da colpa perchè a conoscenza della composizione del medicinale riportata sull’etichetta dei farmaci (e ciononostante si era posta alla guida dell’auto).
Il ricorso è infondato e dev’essere rigettato.
In effetti, la norma incriminatrice prescrive che è vietato guidare in stato di ebbrezza “in conseguenza dell’uso di bevande alcoliche”.
Nulla è precisato circa la natura di dette bevande ed è certo che il riscontrato tasso alcolemico dello 0.89 gr/l (confermato dal secondo alcoltest di 0.98 g/l) è davvero consistente, tanto da rientrare nell’ipotesi dell’art. 186 C.d.S., comma 2, lett. b). Per non dire che il teste appartenente alla Polizia municipale ha riferito dello stato di squilibrio ed instabilità in cui versava la [OMISSIS].
Correttamente la Corte territoriale, condividendo la tesi del giudice di primo grado, ha ritenuto che non potesse escludersi la colpa dell’imputata dal momento che la stessa aveva dichiarato di aver assunto in tre occasioni nella medesima giornata un numero non meglio precisato di gocce di fitofarmaci in questione ed essendo evidente sui flaconi degli stessi l’indicazione della presenza di alcool, come precisato persino sulla prescrizione medica. La piena consapevolezza dell’imputata ricorrente della composizione alcoolica dei fitofarmaci ingeriti implica necessariamente l’integrazione degli estremi della colpa, non valendo comunque a scriminarla la tesi difensiva, peraltro smentita dall’indicazione della composizione alcolica anche sulla prescrizione medica, secondo cui non era stata informata dai medici della possibilità d’innalzamento del tasso alcolemico (circostanza, peraltro, che rientra nel notorio) a seguito dell’ingestione di tale tipo di farmaci e del fatto che la loro assunzione non le consentiva di porsi, poi, alla guida dei un’autovettura.
Invero, neanche la finalità terapeutica dell’ingestione di farmaci, in costanza della predetta consapevolezza della loro composizione alcolica, consente di elidere l’antigiuridicità della condotta, attesa la natura meramente colposa del reato contravvenzionale contestato: la ricorrente avrebbe dovuto, in ogni caso, astenersi dalla guida.
Consegue il rigetto del ricorso e, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali
Depositata in Cancelleria il 27/10/2010

""La Lega Nord, l'obbedienza al capo, per cui, dichiarò Matteo Salvini nel 1999 redattore della Padania, si sarebbe anche buttato "di testa dal soffitto della mensa" se il Senatùr glielo avesse chiesto. ""