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mercoledì 2 marzo 2011

Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca Nota 3-2-2011 n. 1079 Concorso "Un Ospedale con più sollievo". Emanata dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, Dipartimento per l'istruzione, Direzione generale per lo studente, l'integrazione, la partecipazione e la comunicazione.

Nota 3 febbraio 2011, n. 1079 (1).

Concorso "Un Ospedale con più sollievo".

(1) Emanata dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, Dipartimento per l'istruzione, Direzione generale per lo studente, l'integrazione, la partecipazione e la comunicazione.



Ai


Direttori generali regionali
 

Loro sedi

Ai


Dirigenti degli uffici scolastici provinciali
 

Loro sedi

Al


Sovrintendente scolastico per la provincia di Bolzano
 

Bolzano

Al


Sovrintendente scolastico per la provincia di Trento
 

Trento

Al


Sovrintendente degli studi per la regione Valle d'Aosta

All'


Intendente scolastico per la scuola in lingua tedesca
 

Bolzano

All'


Intendente scolastico per la scuola località ladine
 

Bolzano




La Fondazione Gigi Ghirotti indice la V edizione del concorso "Un ospedale con più sollievo" rivolto esclusivamente agli alunni della V classe della scuola primaria, della III classe della scuola secondaria di primo grado, delle classi del primo biennio della scuola secondaria di II grado e alle classi delle sezioni ospedaliere di ogni ordine e grado nonché agli studenti dei corsi di laurea in materie umanistiche.

L'obiettivo del concorso è sensibilizzare gli studenti, i docenti e le famiglie sul tema del "sollievo" inteso non come la negazione del dolore fisico ma come sostegno amorevole, psicologico e spirituale al malato.

Tutte le informazioni riguardanti le modalità di partecipazione, le caratteristiche degli elaborati e i premi previsti si trovano nel bando di concorso allegato alla presente. Data la rilevanza dell'iniziativa si pregano le SS.LL. di darne la massima diffusione.


Per ulteriori informazioni potete contattare il numero 06/58493997.


Il Direttore generale

Massimo Zennaro



Allegato


Concorso Nazionale


"Un ospedale con più Sollievo"


V edizione


organizzano


Fondazione Gigi Ghirotti UCIIM


Associazione professionale cattolica italiana di docenti, dirigenti e formatori


Fondazione Alessandra Bisceglia - W ALE


In collaborazione con


Università Cattolica del Sacro Cuore


Associazione Culturale Attilio Romanini A.I.I.R.O.


Associazione italiana infermieri di radioterapia oncologica


Presentazione


È opinione diffusa che la Sanità nel nostro Paese, mentre risulta in continua crescita nei suoi aspetti tecnologici, sembra al contrario ridurre la sua dimensione umana nel difficile rapporto fra operatori sanitari e pazienti.

Mentre la moderna Medicina, sempre più basata su metodi scientifici rigorosi (medicina delle evidenze) sta registrando risultati molto positivi in tutte le sue specializzazioni, più che mai si avverte una insoddisfazione diffusa e crescente da parte di coloro che sono destinati a beneficiare di tali risultati: i pazienti ed i loro familiari. I vari episodi di malasanità, puntualmente oggetto di ampia diffusione da parte dei media, sono almeno in parte espressione di questi sentimenti. La superspecializzazione e soprattutto la crescita tumultuosa delle applicazioni tecnologiche se, da un lato, interessano quasi morbosamente i pazienti ed i loro familiari sempre più "informati" ed esigenti, dall'altro facilitano questa sensazione di abbandono ad opera degli operatori sanitari.

Per esaltare e far crescere nella coscienza collettiva, nell'ambito di questa relazione di aiuto, il valore insostituibile del "sollievo" inteso non come negazione definitiva del dolore fisico ma piuttosto come sostegno sollecito ed amorevole, psicologico e spirituale al malato, specie se cronico in evoluzione di malattia, da anni si celebra, sia pure in maniera alquanto disomogenea, una lodevole iniziativa nel nostro Paese. Si tratta della GIORNATA NAZIONALE DEL SOLLIEVO, promossa dalla Fondazione Nazionale Gigi Ghirotti insieme al Ministero della Sanità ed alla Conferenza delle Regioni e delle Province Autonome, istituita con decreto del presidente del Consiglio nel 2001, celebrata l'ultima domenica di Maggio.

Vista la tendenza ad applicare anche nel nostro Paese modelli di assistenza che privilegiano competenza, appropriatezza ed economicità delle cure sui sentimenti di condivisione del disagio altrui, è urgente trasferire tale consapevolezza al mondo dei "provvisoriamente sani", cominciando dalla scuola, fin dal livello primario, affinché siano sensibilizzati a tale tema: gli alunni, le loro famiglie e gli stessi insegnanti.

Di seguito ci piace riportare il testo della "Lettera al Malato" che Nicasia Teresi, Direttore generale della Fondazione Nazionale Gigi Ghirotti, ha composto in occasione della 1a Giornata:

Caro paziente, eroe sconosciuto dai mille volti che si sovrappongono nella memoria, vorrei sentire la tua voce in questa Giornata dedicata a te. Caro amico, grazie per la pazienza che mi hai insegnato quando ascoltavi le ruote di quel carrello spinto lungo un corridoio infinito, quando si fermava nelle stanze vicine, contando quanto avrebbe impiegato a raggiungere la tua stanza con la soluzione a quel dolore. A volte hai aspettato con silenziosa dignità il tuo turno, altre volte hai urlato il tuo bisogno impellente suonando insistentemente quel gracchiante campanello che disturbava l'udito, ma non scuoteva le coscienze. "Non si agiti, stia calmo, un pò di pazienza, di educazione...." Parole facili, scontate, a volte taglienti... é un "sano" che parla. Quante notti insonni trascorri in cui la luce dell'alba sembra non arrivare mai, lunghe notti in cui ricordi, angosce, paure si intrecciano in ragnatele inestricabili! Grazie per il grato sorriso che mi hai regalato, in una calda
giornata estiva, per un pò di acqua fresca. Grazie per avermi onorato dalla tua amicizia e confidenza raccontandomi frammenti della tua vita. Ho pianto con te, abbiamo riso insieme su storie buffe a volte inventate solo per evadere da quell'angoscia; ho stretto la tua mano, tu hai stretto la mia. Grazie per avere arrestato le mie stressate e insensate corse del quotidiano ed avermi insegnato a fermarmi per assaporare la gioia di ogni attimo del tempo che scorre. Nonostante il tempo trascorso insieme, io sono "sana" e scopro di non poter capire fino in fondo i tuoi bisogni, le tue angosce, il tuo dolore. La tua intimità e il tuo corpo violato da tante mani sconosciute. In palazzi, in stanze colme di sapienza si parla di te, del tuo dolore, dei tuoi bisogni. Si decide, si giudica e a volte... ci si "commuove". Si scrive la tua storia a volte solo per potere o per interessi personali. Caro amico, forse non posso comprenderti fino in fondo, ma se vuoi ecco la mia mano, stringila, ti
aiuterò a salire sul palco, chiederò ai dotti di tacere. Oggi vogliamo ascoltare solo la tua voce. Tu hai diritto di essere ascoltato. Perché solo tu sai e puoi dirci di che cosa hai bisogno.

Per sensibilizzare allo spirito originario della Giornata del Sollievo, una delle iniziative a livello nazionale coinvolge il settore dell'istruzione primaria e secondaria attraverso un concorso che sollecita la creatività di bambini e adolescenti. Il concorso è rivolto anche a bambini e ragazzi che, vivendo una situazione di ospedalizzazione, frequentano le scuole di ogni ordine e grado operanti presso strutture ospedaliere. Ciò nella consapevolezza che, se è urgente sensibilizzare il mondo dei "provvisoriamente sani", ancora più pregnante è dar voce a chi, bambino o ragazzo, vive in prima persona la situazione di disagio e può, a maggior ragione, indicare con la creatività, strategie per il sollievo da tale disagio.



Regolamento


Art. 1


Lo scopo del concorso è quello di sensibilizzare alunni, docenti e famiglie sul tema del Sollievo, inteso non come la negazione definitiva del dolore fisico, ma piuttosto come sostegno sollecito ed amorevole nel dolore fisico, psicologico e spirituale al malato specie se cronico in evoluzione di malattia.


Art. 2


Il concorso è riservato esclusivamente agli alunni/studenti di:

- V classe della scuola primaria.

- III classe della scuola secondaria di primo grado.

- Classi del primo biennio della scuola superiore.

- Classi delle sezioni ospedaliere di ogni ordine e grado.

- Corsi di laurea universitari in materie umanistiche.


Art. 3


Gli elaborati devono riguardare la tematica del sollievo e consistono in:

- V classe della scuola primaria: prodotto iconografico o testo.

- III classe della scuola secondaria di primo grado: un prodotto iconografico con didascalie esplicative oppure un fumetto.

- Primo biennio della scuola superiore: videoclip.

- Per la scuola ospedaliera: prodotto iconografico o testo o videoclip.

- Per la sezione universitaria, elaborato scritto e iconografico: una fiaba illustrata per bambini sulla tematica del sollievo e del sorriso.


Art. 4


Caratteristiche degli elaborati che possono essere individuali o di gruppo:

- Il prodotto iconografico può essere un disegno o una composizione arricchita da ritagli di giornali, illustrazioni, fotografie, fumetti. Può essere accompagnato da una breve descrizione dell'elaborato.

- Il testo (poesia, prosa, filastrocca, altro) non deve superare i 600 caratteri (spazi esclusi).

- Il videoclip: deve essere in formato video-DVD (16/9 o 4/3) della durata massima di 1,5 minuti (compresi l'introduzione e i titoli di coda).

- Le scuole ospedaliere dovranno inviare, insieme all'elaborato, un elenco di materiale o attrezzature finalizzate al miglioramento dell'attività didattica.

- La fiaba illustrata non deve superare le otto cartelle.


Art. 5


È obbligatorio partecipare al concorso con un solo elaborato per classe scolastica o per studente universitario.


Art. 6


Gli elaborati dovranno pervenire, entro e non oltre il 15 aprile 2011, a: Fondazione Nazionale "Gigi Ghirotti" Via Fratelli Ruspoli, 2 00198 Roma


Art. 7


Il videoclip dovrà essere spedito per posta ordinaria, masterizzato su supporti ottici DVD o CD.


Art. 8


Il plico degli elaborati, che non deve essere firmato, né deve evidenziare il nome dei concorrenti o della Scuola di provenienza, dovrà contenere, in busta chiusa non intestata: una scheda indicante i riferimenti della Scuola che partecipa al concorso (Denominazione, Via, Città, C.A.P., Telefono), del dirigente scolastico, dell'insegnante che ha guidato gli alunni nell'elaborazione dei lavori (Cognome e nome, Via, Città, C.A.P., telefono) e l'elenco degli alunni che hanno partecipato al lavoro (come scheda allegata in ultima pagina); nominativo dello studente universitario, corso ed anno di laurea frequentato, università d'appartenenza e recapito telefonico.


Art. 9


Il giudizio della giuria, che è composta da rappresentanti delle organizzazioni promotrici, è insindacabile.


Art. 10


Sono posti in palio cinque premi, quattro offerti dalla Fondazione Nazionale Gigi Ghirotti, uno dalla Fondazione Alessandra Bisceglia, da assegnare come segue:

- 1 premio di euro 500,00 al miglior elaborato prodotto dagli alunni della V classe della scuola primaria;

- 1 premio di euro 500,00 al miglior elaborato prodotto dagli alunni della III classe della scuola secondaria di primo grado;

- 1 premio di euro 500,00, intitolato a "Anna Maria Verna", al miglior elaborato prodotto dagli alunni del primo biennio della scuola superiore.

- 1 premio di euro 500,00 massimo, destinato esclusivamente all'acquisto del materiale o delle attrezzature indicate nell'elenco di cui all'art. 4, per il miglior elaborato iconografico o testuale o video prodotto dagli alunni della scuola ospedaliera.

- 1 premio di euro 500,00, intitolato ad "Alessandra Bisceglia", destinato alla migliore fiaba prodotta da uno o più studenti universitari.

Alla scuola di appartenenza degli alunni vincitori verrà assegnata la targa della Giornata Nazionale del Sollievo. Agli insegnanti che hanno curato gli elaborati dei vincitori verrà attribuita una medaglia di riconoscimento. A tutti gli studenti che parteciperanno al concorso verrà rilasciato il diploma di partecipazione. Alla scuola che avrà partecipato con più elaborati verrà consegnata una targa di riconoscimento. I premi e i diplomi si ritirano personalmente.


Art. 11


Le buste contenenti le schede di partecipazione verranno aperte a premio assegnato e verrà data notizia dell'esito agli organi di informazione ed agli interessati con lettera personale.


Art. 12


Gli elaborati pervenuti resteranno di proprietà della Fondazione Gigi Ghirotti, dell'U.C.I.I.M. e dell'Associazione Culturale Attilio Romanini, che si riservano la possibilità di pubblicarli successivamente.


Art. 13


La cerimonia di premiazione avrà luogo al Policlinico "Agostino Gemelli" durante la celebrazione della X Giornata Nazionale del Sollievo (29 maggio 2011).


Art. 14


La partecipazione al concorso comporta l'incondizionata accettazione di tutti gli articoli del presente regolamento.



Approfondimenti


Lungo viaggio nel tunnel della malattia


Nel 1972 il famoso giornalista Gigi Ghirotti si ammalò di una grave malattia del sangue, un tumore chiamato "linfoma di Hodgkin ", oggi di questa malattia si può anche guarire, ma negli anni in cui si ammalò Gigi Ghirotti non c'erano ancora farmaci e cure efficaci. Lui sapeva della gravità della malattia e anziché abbattersi e chiudersi in se stesso rinunciando alla vita, decise di impegnarsi e lottare fino in fondo. Era giornalista, e quindi il modo migliore di affrontare questo periodo difficile della sua vita, ritenne fosse quello di continuare a fare il proprio lavoro. Ghirotti in tanti anni di lavoro era stato inviato in varie città e regioni italiane per raccogliere direttamente informazioni sulle più svariate questioni o eventi e scrivere articoli e inchieste. Così gli italiani potevano essere informati e conoscere molte realtà della nostra Italia senza che si spostassero da casa, ma grazie all'occhio attento e la capacità narrativa di Gigi Ghirotti. Ebbene,
ammalatosi, Ghirotti decise di continuare a fare l'inviato speciale, ad informare gli italiani, questa volta dai luoghi che, diceva Ghirotti, si incontrano attraversando "il lungo tunnel della malattia". Da bravo giornalista e cronista fece conoscere agli italiani, attraverso i giornali e la televisione, ciò che accade a chi, suo malgrado, si ammala ed è costretto a farsi curare negli ospedali.

Ghirotti ha aperto all'Italia di quegli anni una finestra sul mondo del malato e della malattia e ha indicato tante questioni e problemi da conoscere, affrontare e risolvere. Ha indicato tanti ostacoli al sollievo dalla sofferenza; un sollievo che per essere vissuto, non ha solo bisogno della liberazione dal dolore fisico o da altri sintomi, ma anche di rispetto della persona malata, della vicinanza di persone care, di medici e infermieri che sanno relazionarsi con attenzione e cura, di speranza. Alcune frasi raccolte qua e là da quello che ha scritto e detto Ghirotti possono aiutarci a capire cosa vuole realmente la persona malata e come vive nella sua condizione di fragilità.

Quello che importa, sia durante la vita, sia di fronte alla morte, è non sentirsi abbandonati e soli.

Mi trovo impegnato in una partita difficile, su terreno fangoso, con un avversario che è furbo e anche sleale. Ma non sono solo. C'è mia moglie, Mariangela, che mi aiuta, mi dà fiducia, mi dà il braccio se vacillo. [...], finché dura l'incontro, ogni possibilità è sospesa: non ho vinto io, ma nemmeno lui, siamo pari. È vero, il signor Hodgkin deve tirare il suo terribile calcio di rigore. È pauroso pensarci, ma in fin dei conti anche i più famosi campioni talvolta sbagliano il rigore. E in ogni caso è giusto che quel pallone mi trovi sulla porta, quando arriverà.

Non abbiate paura di disturbare. Una volta si usava girare in punta di piedi attorno all'ospedale. Ma è un'usanza sparita da un pezzo: adesso pare che gli indici più drammatici della rumorosità urbana si vadano registrando appunto in coincidenza con gli ospedali. Non fatevi scrupoli, dunque, per il "disturbo"; l'importante è che il malato non sia lasciato solo.

Gli ospedali sono pieni di bambini infelici, la cui infelicità è accresciuta dalla mancanza di amicizie e di collegamenti con i coetanei in buona salute. [...] Qualcosa anche uno scolaro può già fare: andando per esempio negli ospedali alla ricerca dei piccoli ricoverati. Per conoscerli, per sentire se, ad esempio, volessero praticare lo scambio delle figurine.

Il messaggio di Gigi Ghirotti continua ancora oggi anche senza di lui, grazie alla Fondazione Nazionale che porta il suo nome. La Fondazione Ghirotti è convinta che il sollievo è raggiungibile anche nelle malattie più gravi e invalidanti; anche quando non è possibile guarire. Lungo la strada che porta al sollievo si incontrano: terapie e cure del dolore e della sofferenza, il generoso e gratuito aiuto di volontari, l'ascolto di persone esperte come psicologi, il facile accesso ai servizi sociali e sanitari e soprattutto l'affettuosa presenza di persone care accanto al malato. Alcuni malati hanno raccontato alla Fondazione Gigi Ghirotti come si sentono quando sperimentano il sollievo:

Sollievo è uno spiraglio di luce che si fa strada in mezzo a tanta sofferenza.

Dopo tanto buio, tanto dolore e paura ho incominciato a vedere il mondo in bianco e nero, ho iniziato a respirare. Oggi c'è colore, ci sono i profumi nel mio mondo e... ci sono io.

Il sollievo è la quiete dopo la tempesta. Il sollievo è riprendere fiato.

Per me sollievo è essere compresa e coccolata e parlare con qualcuno che mi capisca.

È la voglia di vivere dopo il dolore è come una grossa nube che va via dopo il dolore. Il sollievo per me è sentirmi libero e leggero da ogni dolore fisico e morale.


Il Calore di un sorriso


Alessandra Bisceglia, nasce a Venosa (Potenza) il 30 ottobre 1980, giornalista, autrice televisiva. Affetta, fin dalla nascita, da una malformazione vascolare gravissima e rara, che in fase adolescenziale l'ha costretta su una sedia a rotelle, comincia la sua battaglia insieme alla sua famiglia con determinazione, dignità, coraggio e costanza superando problemi quotidiani e ostacoli di ogni genere. Come diceva Alessandra "sono le condizioni peggiori a rendere le situazioni straordinarie". E lei era straordinaria per il suo modo di reagire alle negatività della vita. È proprio in uno dei suoi racconti che scrive: "Ho capito che c'è un tempo per tutto... per arrivare a queste conclusioni nella mia vita ho dovuto combattere per tutto il tempo...".

Il 3 settembre a soli 28 anni, "ha lasciato le rotelle per mettere le ali" e ricordarla è il modo più bello che abbiamo oggi per ritrovarla accanto a noi, sentirla vicina e averla come guida silenziosa. La sua è una storia comune a molti giovani che scelgono di costruire la propria professionalità lontano dalla propria città di origine, scegliendo le università più prestigiose, perseguendo i propri obiettivi con tanta determinazione. Quella di Alessandra è anche la storia speciale di una ragazza che ha trascorso molti momenti della sua vita in ospedale, che ha dovuto combattere ed abbattere barriere architettoniche e culturali, che ha dovuto organizzare la propria quotidianità anche in funzione della presenza di servizi e luoghi "accessibili". Eppure è riuscita a frequentare la facoltà universitaria che aveva scelto (e che oggi grazie alle sue battaglie ha un servizio di trasporto per disabili), a trasferirsi a Roma, a realizzare il sogno di diventare giornalista.

Determinata nelle scelte, forte nelle difficoltà, serena nel suo guscio familiare Alessandra è un esempio di vitalità per tutti noi che spesso ci perdiamo dietro ad un naso storto o un brufolo di troppo.

L'aggettivo che viene in mente pensando ad Alessandra è.......Straordinaria.

Straordinario era il suo sorriso, capace di sussistere nonostante tutto, tutte le sue sofferenze erano annullate, inesistenti, invisibili anche a chi ne conosceva mole e fattezze.

Chi ha avuto la fortuna di conoscerla e ancor di più essere "amica adorata" di Alessandra dice di lei: "aveva una grande capacità di ascoltare, di cogliere occasioni, di inserirsi in ogni circostanza con l'armonia e la consapevolezza del momento che viveva. Entrava in modo tranquillo in ogni situazione dando forza a chi lavorava con lei, aiutando a credere che di fronte ai problemi si può lottare e farcela. È il messaggio forte che ha distribuito insieme all'amore, alla familiarità tra le persone, un messaggio che non deve andare disperso" (Lorenza Lei).

Chi invece l'ha conosciuta attraverso i suoi scritti, i servizi, il progetto, le testimonianze di amici, dice di lei: "mi ha arricchito, mi ha suggerito pazienza nell'affrontare situazioni e momenti delicati, mi ha insegnato a perseverare, a non lasciarmi abbattere, a cercare strade diverse da quelle solite, che non portano da nessuna parte. Mi ha fatto scoprire persone, tante, che hanno a cuore il bene di se stessi insieme a quello degli altri, che vogliono diffondere ed ampliare un pensiero, fare del bene a chi è stato meno fortunato, mettersi al servizio di chi chiede, a volte in silenzio, aiuto"(Lorena Fiorini).

È un esempio grande e semplice quello di Alessandra Bisceglia, giornalista, autrice televisiva, giovane donna dotata di grandi capacità professionali ed umane, oltre che di un talento e un coraggio fuori dal comune.

Alessandra ci ha fatto vivere un'esperienza meravigliosa e ci ha insegnato che ogni difficoltà è superabile, ma soprattutto ci insegna a vivere e a soffrire, a lottare e a riuscire, e che non bisogna essere grandi eroi per vincere le battaglie, ma basta apprezzare la vita e non smettere mai di sognare.

Ha dimostrato che con l'impegno, la determinazione, la tenacia è possibile "farcela nonostante tutto".

Alessandra lascia un'eredità preziosa.... Continua a brillare e la sua luce trasmette calore ed energia per altre storie, altre vite..

Ha sempre guardato alla vita con gioia ed entusiasmo, sfidando il modo tradizionale di vivere la disabilità, combattendo i pregiudizi e superando tutti gli ostacoli, raggiungendo mete che le sembravano negate.

Numerose sono le testimonianze che parlano di lei: amici, colleghi, parenti, persone che hanno avuto la fortuna di essere accarezzati da quel sorriso che li aveva conquistati tutti!

Come la ricorda Lorena Bianchetti "la sua vita è stata una carezza di Dio agli altri". E il dono di quella carezza oggi può essere forza per tutti noi!

Grazie ad Alessandra, al suo sorriso, tutti noi ci carichiamo di energia per dare spazio al dono. È lei che ci invita a fare qualcosa per gli altri, lei che non ha mai fatto le cose solo per se stessa, e che qualsiasi cosa abbia fatto lo ha sempre fatto pensando che poteva essere utile anche agli altri. Una fondazione oggi ricorda Alessandra.

Fortemente voluta dai suoi amici più cari, la Fondazione Alessandra Bisceglia W ALE

Onlus si fa promotrice di attività di ricerca sulle anomalie vascolari in campo pediatrico per approfondire la comprensione della patologia ed elevare le possibilità terapeutiche, ma anche formando specialisti per conoscere e studiare malattie rare e più semplicemente per aiutare chi vive nella difficoltà e non sa a chi rivolgersi.


Il destino non è una catena

Ma un volo.

E da giornalista ho iniziato a volare...

In radio a 28 minuti,

poi ho iniziato a muovermi nell'aria

del Corriere della Sera,

Mi manda Rai Tre.

E ancora nel "cielo stellato" del TG2.

Nuove emozioni poi nel pianeta Di "Ragazzi c'è Voyager"e "DomenicaIn"

E ora eccomi qua...Il volo continua....


Una breve riflessione sulla sofferenza


Giovanni Villarossa

dirigente scolastico - Presidente nazionale UCIIM


La sofferenza è legata alle caratteristiche psicofisiche di ogni singola persona, le reazioni al dolore dipendono della sua sensibilità, del suo carattere, della tipologia di lavoro che esercita o ha esercitato, dallo stile di vita che conduce e dai principi etico-religiosi a cui si ispira.

La reattività al dolore è rapportata alla tipologia del dolore stesso che può essere fisico, psichico, della coscienza o dell'anima.

A seconda della persona si hanno risposte di diversa intensità sul piano etico, esistenziale ed ontologico.

La presenza del dolore crea un turbamento nell'equilibrio della persona. Quando il dolore è fisico si hanno reazioni psico-fisiche tipiche del mondo animale; quando è psichico vengono coinvolti aspetti specifici dell'uomo e crea reazioni di tipo umorale e comportamentale; quando è della coscienza siamo ancor più nella specificità umana e le reazioni sono di tipo intellettuale ad una riflessione problematica del proprio agire etico e dei propri orientamenti esistenziali; quando è dell'anima coinvolge la spiritualità dell'uomo ed è frutto del peccato verso Dio e verso il prossimo.

La sofferenza fa scoprire all'uomo i propri limiti e la capacità di rifiutarla, sopportarla o accettarla.

Il rifiuto comporta abbattimento, isolamento o ribellione al proprio stato.

La sopportazione è frutto della presa d'atto di una condizione che va comunque vissuta.

L'accettazione è consapevolezza, valorizzazione del dolore e affinamento della propria sensibilità e spiritualità.

Le attuali terapie mediche del dolore si sono correlate alla psicologia medica, che studia le reazioni del singolo paziente, per contenere il suo dolore entro limiti sopportabili.

La conoscenza dei fattori che concorrono alla genesi del dolore consente alla medicina di ottenere livelli di miglioramento della qualità della vita anche in pazienti affetti da inguaribili malattie.

La persona consapevole della propria condizione sofferente riesce meglio a pervenire alla presa di coscienza della sua intima essenza, infatti la frattura che coglie tra ciò a cui ha aspirato e l'impossibilità della realizzazione creatagli dalla sofferenza gli dà la misura del limite della propria corporeità e la percezione della precarietà di una vita non necessariamente corrispondente alle attese in essa riposte. Ma lo sperimentare direttamente la fragilità dell'esistenza, attraverso la sofferenza, se si accompagna alla difficoltà di riuscire a darle un senso, può diventare un dramma esistenziale, che aggiunge dolore a dolore.

Allora sorge il lamento sempre più intenso nei confronti di una Natura o di una condizione umana, che viene accusata di mancanza di logica e di giustizia.

In alternativa la sofferenza è intesa come prova permessa da Dio per purificare e verificare la fedeltà dell'uomo. E diventa occasione di salvezza e di liberazione. Nasce così la resa, la donazione di tutto se stesso a Dio, mistero insondabile. La sofferenza va, allora, collocata nel piano di Dio, il cui agire nella storia è sempre imprevedibile ed inconoscibile.

L'esperienza della sofferenza può creare condizioni di apertura alla trascendenza, dove, forse, dopo tanto dolore, si può incontrare quel Dio, che a lungo si è cercato e dal quale ognuno è stato cercato.

Si attribuisce così una senso al vivere anche nelle situazioni più difficili, senza abdicare alla propria dignità di persona umana.

Soffrire davanti a Dio non va confuso con forme di ascetismo, con sopportazione stoica, con provvidenzialità del dolore, con rassegnazione.

Soffrire davanti a Dio è un chiedergli conto, è un consegnarli il proprio dolore o meglio un consegnarsi con il proprio dolore.

La presenza Dio accanto all'uomo, la sua compassione, è stata rivelata dalla passione di Cristo e dalla sua resurrezione che attestano la possibilità del superamento della sofferenza e della morte.


Il rapporto con la sofferenza in prospettiva educativa e didattica: orientamenti per gli insegnanti


prof. Andrea Porcarelli

Consigliere Centrale UCIIM - Direttore Scientifico del Portale di Bioetica (www.portaledibioetica.it)


Un concorso come quello che ha a tema il "sollievo della sofferenza", in rapporto al nostro modo di concepire anche il ruolo delle strutture ospedaliere e rapportarci con esse, può essere considerato come una significativa "occasione educativa" per mettere a tema alcune questioni di grandissima attualità, che - peraltro - sono state anche al centro di recenti e accesi dibattiti culturali.

Prima ancora di addentrarsi nel cuore della progettualità didattica un insegnante ha bisogno di mettere a fuoco alcune idee guida, la "posta in gioco" sul piano culturale, cercando - contestualmente - di farne emergere le potenzialità in prospettiva educativa. Scopo di queste brevi note è proprio quella di accompagnare quel momento di focalizzazione mentale che sta a monte della progettazione didattica e, in qualche misura, ne costituisce l'anima in senso profondo. Cercheremo dunque di tratteggiare - in prima battuta - una sintetica "mappa problematica" che possa offrire il senso della complessità delle questioni direttamente o indirettamente coinvolte (anche per non confondere realtà diverse, mediante sovrapposizioni indebite); ci soffermeremo poi sul tema della sofferenza, cercando di metterne in luce alcuni risvolti culturali più significativi in prospettiva educativa.


Una "mappa problematica" con diverse questioni che si intrecciano


La sofferenza come dimensione dell'esperienza umana


Dal punto di vista biologico la sofferenza rappresenta un "campanello d'allarme", un indicatore mediante il quale gli organismi viventi e dotati di vita sensitiva reagiscono a situazioni che potrebbero essere nocive per loro e, pertanto, possono assumere comportamenti conseguenti per salvaguardare se stessi e la propria salute. Ovviamente la sofferenza non è solo di natura fisica, ma spesso si radica in problematiche di tipo psicologico e relazionale, che a loro volta retro-agiscono sulla stessa fisicità (somatizzazione), così come è possibile concepire dei dinamismi per cui alcune esperienze di privazione e di sofferenza sul piano fisico, si traducono in un irrobustimento del carattere e della personalità, portando benefici sul piano spirituale.

L'approccio medico, ma anche psicologico, alle diverse forme di sofferenza dipende pertanto da un'attenta considerazione delle condizioni complessive in cui si trova la persona con cui ci si rapporta e non può limitarsi a soluzioni affrettate e superficiali.


La terapia del dolore


L'approccio al problema del dolore, in medicina, ha avuto in tempi recenti una evoluzione, nel senso che - soprattutto nel caso dei malati cronici acuti - è stata sviluppata una vera e propria terapia del dolore, intesa non solo come una sorta di elemento "a latere" della terapia mirante alla cura della malattia, ma intesa come un complesso di interventi terapeutici che hanno la sintomatologia dolorosa come oggetto diretto. In realtà si tratta di una ripresa (in termini più moderni e con l'ausilio di conoscenze e tecniche più evolute) dell'antico detto della scuola salernitana: "divinum sedare dolorem", che precisa uno degli elementi essenziali della medicina ippocratica.


Mettere a tema la morte senza banalizzarla


Dal punto di vista biologico la morte rappresenta la cessazione irreversibile delle funzioni vitali di un soggetto vivente, quindi sembrerebbe una nozione relativamente semplice. Ma nelle questioni complesse è bene non dare nulla per scontato, per cui quando parliamo - ad esempio - di eutanasia richiamiamo l'idea della morte come se fosse un concetto chiaro che ci aiuta a spiegarne uno più oscuro e pare che l'unico problema sia quello di stabilire se e a quali condizioni essa possa venir chiamata "buona". In realtà parlare della morte non è così banale, essa non rappresenta un "dato immediato" dell'esperienza, ma un'interpretazione di alcuni segni visibili di una realtà che non si vede. Più ancora è complessa la questione dell'interpretazione "esistenziale" di ciò che abbiamo designato con il termine "morte". Oggi si tende a banalizzare fortemente la morte, spesso "rimossa" dall'orizzonte delle nostre considerazioni, talora "spettacolarizzata" (con funzione probabilmente
catartica), talaltra addirittura "ricercata" (si pensi ai "comportamenti a rischio" di alcuni adolescenti), ma in tutti questi casi destituita del suo profondo significato esistenziale, come "evento supremo".

In tema di accertamento di morte, al di là della problematicità stessa del termine, vi è stata un'evoluzione notevolissima delle metodiche, soprattutto in questi ultimi anni. Per secoli, per accertare l'avvenuta morte, si è utilizzato il criterio di constatare l'arresto dei battiti cardiaci e della respirazione; il che lasciava comunque aperto un certo margine di dubbio di cui gli stessi operatori erano consapevoli [1]. L'invenzione dei respiratori artificiali e l'approfondimento - da parte del personale curante - di pratiche come il massaggio cardiaco, hanno messo radicalmente in discussione tali criteri: grazie alle tecniche di rianimazione è possibile assicurare per settimane (o anche per mesi) la circolazione sanguigna, la respirazione, l'escrezione e il nutrimento di un organismo, ma si tratta di un essere umano ancora vivo o di tecniche che consentono il funzionamento di alcuni organi di un cadavere?

Negli anni 1955-1960 alcuni rianimatori si trovarono di fronte a casi particolarmente impressionanti di corpi umani che presentavano i segni evidenti della morte ma che, secondo i criteri allora ammessi, erano da considerare vivi: sussistevano respirazione e circolazione sanguigna. Apparve presto evidente che tali stati dipendevano da una distruzione irreversibile del cervello [2], tanto che nel 1959, in occasione del XXIII Convegno neurologico internazionale [3], fu resa la prima descrizione del coma dépassé o "morte cerebrale" (espressione decisamente più precisa e - per questo - preferibile). Infatti il termine "coma" indica una perdita prolungata dello stato di coscienza (il che si rileva soprattutto a livello di vita di relazione), ma non comporta l'abolizione della funzione di regolazione dell'organismo.


[1] Si pensi, ad esempio, al racconto evangelico circa le risurrezione di Lazzaro, in cui non solo si dice che l'amico era morto, ma che era sepolto da tre giorni e già "mandava cattivo odore"... in tal modo ogni possibile dubbio viene fugato.

[2] Furono le autopsie effettuate su malati tenuti a lungo in vita artificialmente che consentirono di verificare che il cervello aveva già cessato da tempo le proprie funzioni.

[3] Cfr. Patrick Verspieren, Eutanasia? Dall'accanimento terapeutico all'accompagnamento dei morenti, Paoline, Cinisello Balsamo (MI), 1985, p. 75 e sgg.


L'accompagnamento del morente


Il dolore fisico non è sempre l'elemento peggiore della condizione esistenziale del malato grave, spesso il problema è più profondo: parliamo di quel malessere dell'anima che caratterizza chi si avvicina al momento supremo della vita, soprattutto se ciò avviene sotto il segno della solitudine. La sofferenza e la morte vengono sempre affrontate "in prima persona", nel senso che nel momento supremo ciascuno è fisiologicamente "solo", ma questa esperienza (unica nella vita) diviene opprimente se viene affrontata in modo "solitario", sentendosi abbandonati. Diversi testi [4] hanno preso in esame la condizione psicologica e relazionale del malato terminale, fino a tracciare una sorta di percorso in cui si collocano alcuni degli atteggiamenti più ricorrenti:

- Il rifiuto. All'inizio la persona, pur essendo consapevole della gravità del suo male, tende a rifiutarlo, accusa i medici di essersi sbagliati, consulta altri sanitari, si impegna febbrilmente in nuove attività.

- La collera. Non potendo negare la realtà alcuni malati reagiscono in modo aggressivo ("perché proprio a me?"), alcuni credenti sperimentano anche una fase di ribellione contro Dio.

- La depressione. Può essere di due tipi: la depressione reattiva per cui non ci si rassegna alle menomazioni o limitazioni imposte dalla malattia, la depressione silenziosa, in cui il malato non vuole essere disturbato dagli amici o dai visitatori, ma desidera stare con una sola persona che si sieda al suo fianco e lo conforti.


[4] Cfr. E. Kübler - Ross, La morte e il morire, Cittadella, Assisi 1976, ripresa anche da Patrick Verspieren, Eutanasia? Dall'accanimento terapeutico all'accompagnamento dei morenti, Paoline, Cinisello Balsamo (MI), 1985, p. 183 e sgg.


L'accanimento terapeutico (medico)


Con il termine "accanimento terapeutico" si designò inizialmente il ricorso a terapie "sproporzionate" rispetto agli esiti possibili di guarigione o anche solo di recupero di funzionalità, ma tale indicazione risulta piuttosto vaga ed è oggi necessario precisare meglio. Anche lo stesso termine può essere messo in discussione: un'azione autenticamente "terapeutica" (cioè tale da rappresentare una cura efficace e proporzionata rispetto alle condizioni fisiche complessive di un determinato malato) può essere legittimamente "tenace" (non usiamo il termine "accanita"), mentre quando parliamo di "accanimento" è segno che l'azione che si sta compiendo - in quelle determinate condizioni - non è più autenticamente "terapeutica", quindi si potrebbe addirittura preferire l'espressione accanimento medico, perché si allude ad un'azione di tipo medico, che non ha il rango di autentica terapia. Il rifiuto dell'accanimento medico trova concordi tanto coloro che si ispirano ad una
concezione etica di tipo personalista (ivi incluso il Magistero della Chiesa cattolica), quanto coloro che fanno riferimento a concezioni materialiste o utilitariste: il vero problema è quello di stabilire la linea di confine tra una terapia legittima e doverosa (la cui mancata erogazione si configurerebbe come "abbandono terapeutico") ed una terapia sproporzionata (accanimento medico).

La stessa questione si pone anche per le terapie rianimative, per cui si potrebbe parlare anche di "accanimento rianimativi". Quando l'EEG è piatto si ammette la sconfitta, e si desiste da azioni di rianimazione che non farebbero altro che mantenere attiva la funzionalità di alcuni organi di un cadavere. Vi sono però dei casi (coma respiratorio o iperazotemico) in cui l'EEG non è piatto ed allora è necessario interrogarsi sulle possibilità reali di un recupero del paziente: se esiste uno scompenso funzionale di determinati organi, tale da rendere impossibile il recupero, allora le azioni terapeutiche ed anche le pratiche di rianimazione sono un semplice prolungamento di un'agonia già in corso.


L'eutanasia


Il termine, letteralmente, significa "bella morte" (dal greco eu = bene e thanatos = morte) o "buona morte" ed è stato utilizzato per secoli senza alcun riferimento alla pratica che oggi viene indicata con tale nome che, peraltro, era esplicitamente esclusa dal Giuramento di Ippocrate.

Solo alla fine del XIX secolo - in pieno clima culturale positivista - l'espressione eutanasia assume il nuovo significato di procurare una morte dolce... mettendo fine deliberatamente alla vita del malato. Il termine nel linguaggio bioetico contemporaneo ha assunto progressivamente due significati:

1. (ormai in disuso) "l'intervento della medicina diretto ad attenuare i dolori della malattia e dell'agonia, talora con il rischio di sopprimere prematuramente una vita",

2. (prevalente) "un'azione o un'omissione che di natura sua, o nelle intenzioni di chi la compie, procura la morte, allo scopo di eliminare radicalmente le ultime sofferenze o di evitare il prolungarsi di una vita infelice, segnata da gravi handicap fisici o mentali", sia che il soggetto risulti consenziente (se è capace di intendere e di volere al momento della richiesta), sia che egli non possa esprimere il proprio consenso (nel qual caso portatori della richiesta sono i parenti più stretti).

Spesso capita oggi di notare - nel dibattito bioetico - una sovrapposizione tra questioni di fatto diverse, come se la cosiddetta uccisione pietosa, potesse essere considerata una forma di "terapia del dolore" o peggio ancora un modo di "accompagnare" la persona gravemente ammalata verso la morte ormai imminente. La stessa confusione si realizza - a maggior ragione - nella comunicazione mediatica e più ancora nelle menti dei giovani che spesso trovano nei media la loro principale fonte non solo di informazione, ma anche di "formazione" di una mentalità e di un'opinione. In tale situazione si coglie con maggiore evidenza il ruolo chiarificatrice che può avere la scuola.


Il tema della sofferenza in prospettiva educativa


Brevi cenni su alcune linee di tendenza nella nostra cultura


Questi brevi cenni, data l'esiguità dello spazio che ad essi possiamo dedicare, hanno semplicemente la funzione di collocare le proposte di tipo didattico-formativo nel contesto di un'analisi culturale da cui non possiamo prescindere se vogliamo svolgere un'azione educativa efficace: i nostri ragazzi non sono dei marziani, provenienti da un altro mondo, ma sono persone che respirano a pieni polmoni la mentalità in cui sono immersi e la respirano proprio in quella stagione della vita in cui non hanno ancora quegli strumenti di discernimento critico che spetterebbe anche a noi aiutarli a formarsi.


L'incapacità di concepire la sofferenza


L'uomo d'oggi non è capace di concepire la sofferenza e cerca una sorta di raffinato equilibrio tra piaceri fisici e relazionali, "calcola" quali preferire in vista della propria utilità e fa di tutto per sfuggire la tristezza, la noia, il dolore: l'uomo ha paura del dolore, della sofferenza, della morte, ma come si difende da tutte queste cose che pure esistono? Per lo più si difende cercando di non pensarci, come suggeriva Epicuro: la morte non è nulla, il dolore si può sopportare...

Più ancora dobbiamo osservare come la nostra cultura dell'immagine ci presenti una sorta di mito dell'eterna giovinezza e per di più i nostri ritmi di vita sono sempre più assorbenti e fagocitano in modo impressionante le nostre energie e la nostra attenzione, tanto che per una persona mediamente attiva il livello di efficienza richiesto è notevolissimo: viviamo in una società in cui i ritmi di vita esigono un grado tale di efficienza che la malattia non è "prevista", per cui chi si ammala (e mi riferisco soprattutto a chi si ammala in modo cronico e grave) si trova a dover fronteggiare una duplice sofferenza: 1) da un lato sperimenta la sofferenza fisica dovuta alla malattia (che, già di per sé, è qualcosa di fastidioso e seccante); 2) dall'altro lato poi sperimenta il senso di emarginazione sociale che la malattia oggi come oggi generalmente provoca e, visto che per lo più la nostra cultura tende a favorire una sorta di identificazione tra "identità personale" e ruolo
sociale. La malattia porta anche a una progressiva perdita del senso del proprio ruolo sociale e, conseguentemente, sperimenta una crescente solitudine esistenziale.

La radice profonda dell'incapacità di soffrire va ricercata nella perdita della virtù della speranza: si vuole la ricetta sicura di un certo tipo di felicità; anche nell'età ellenistica si diffondeva tale sensibilità: si era perduta la capacità di gettare sull'universo uno sguardo meravigliato e attonito, perdeva terreno lo slancio speculativo del pensiero umano per ripiegare su problemi pratici, lo scibile veniva "incasellato" in sistemi rigidi e assoluti, l'agire affidato a poche semplici norme di facile attuazione e di sicura efficacia. Anche oggi si pretende qualcosa del genere: si esige che la scienza, la politica, la società creino presto un paradiso in terra e tale esigenza è tanto più urgente quanto più si è smesso di guardare con speranza verso il cielo.

Se poi ci spostiamo dalla percezione della sofferenza a quella della morte notiamo ancora di più le difficoltà della nostra cultura; è stato giustamente osservato come una visione secolarizzata della vita, prevalentemente orientata verso beni materiali di natura edonistica, riveli la propria incapacità di dare senso al dolore e alla morte e come tale incapacità si traduca in due atteggiamenti solo apparentemente opposti: "da una parte la si ignora e la si bandisce dalla coscienza, dalla cultura, dalla vita e, soprattutto, la si esclude come criterio veritativo e valutativo dell'esistenza quotidiana; d'altro canto la si anticipa per sfuggire al suo urto frontale con la coscienza" [5]. La morte si viene dunque a configurare come una sorta di tabù che dev'essere esorcizzato in vario modo (al limite "giocando" con la propria vita o con quella altrui).


[5] Elio Sgreccia, Manuale di Bioetica, Vita e Pensiero, Milano 1988, p. 466.


Dall'incapacità all'intolleranza


Se è vero che l'uomo cerca di non pensare alla sofferenza è vero anche che, quando la incontra, non ha un atteggiamento positivo verso di essa: la sofferenza, in realtà fa più paura a chi la vede negli altri che a chi la sperimenta in se stesso. Chi vede qualcuno soffrire, mentre sta bene, viene subito turbato, viene colto dalla paura che qualcosa del genere potrebbe capitare anche a lui e questo "qualcosa" è particolarmente stridente rispetto alla situazione di relativo benessere in cui magari si trova. Chi invece sperimenta in se stesso il dolore e la sofferenza ha quanto meno la certezza "esistenziale" che ormai non la può evitare e allora tutti i suoi sforzi, pur con comprensibili momenti di sconforto, saranno volti a "reagire" contro le cause o gli effetti della propria sofferenza. La radice profonda dell'intolleranza verso chi soffre è proprio il fatto che vede in queste persone una sorta di attentato al proprio benessere, alla propria tranquillità, al proprio quieto
vivere.

A questo punto è tragicamente facile capire come si arrivi a "sacrificare" ogni cosa sull'altare di questi idoli: un bambino sta per nascere segnato dal marchio della sofferenza? Meglio ucciderlo, non tanto per lui (che non ci guadagna granché), quanto per tutti gli altri, perché l'immagine della sua sofferenza non vada a disturbare il quadro patinato del loro benessere. Un vecchio sta avviandosi alla morte tra le sofferenze? Sarebbe meglio sopprimerlo, così il suo pianto di dolore non turberà la vita di chi ha estromesso il dolore dall'orizzonte della propria esperienza. Si noti che queste considerazioni hanno di mira solo il problema "culturale", della precomprensione che la nostra civiltà da rivista patinata offre di fronte al dolore o alla sofferenza; non si vuole nemmeno prendere in considerazione il caso ancora più tragico, ma purtroppo non infrequente, in cui il motivo della scelta di sopprimere o emarginare chi soffre sia dovuto al puro e semplice egoismo di chi
dovrebbe prendersene cura e non lo vuole fare.


Il valore della sofferenza


Abbiamo visto come i problemi più seri della nostra cultura siano, in fondo, quello di non sapere accettare la sofferenza e di aver perso la capacità di sperare; se dunque vogliamo accorrere in aiuto di questa cultura e di coloro che in essa maturano e crescono dovremo ridarle motivi di speranza ridarle motivo di capire il senso della sofferenza.


C'è un valore nella sofferenza dal punto di vista umano?


Non è facile, parlando in termini puramente umani, dar senso alla sofferenza, è difficile dire che essa sia un "valore", qualcosa di bello in se stessa, ma possiamo tentare di intuire i motivi di una certa "ragionevolezza" in lei: durante un'alba in montagna, ad esempio, il nostro sguardo è attirato dal sole, dalle nubi che si tingono dei colori più svariati, ma non possiamo fare a meno di vedere i monti ancora parzialmente avvolti nell'oscurità perché anch'essi fanno parte allo stesso titolo dello stesso spettacolo; così di fronte al mistero della vita siamo attratti e affascinati dalla bellezza e dalla serenità, ma non dobbiamo chiudere gli occhi di fronte alla sofferenza, perché anche lei ci rivela qualcosa dell'esistenza umana. Per sommi capi cerchiamo di individuare (in funzione educativa) alcuni spunti per una "pedagogia della sofferenza"; ne elenco alcuni in modo schematico:

- la sofferenza è parte dell'esperienza di vita, aiuta a crescere, rende "saggi": chiunque ha affrontato delle difficoltà e delle prove si rende conto di esserne uscito "cresciuto", similmente a quanto capita agli atleti, i cui allenamenti iniziano a diventare efficaci a partire dal momento in cui il loro fisico fa effettivamente fatica; la sofferenza è un "allenarsi a vivere" in modo attivo e reattivo, è un velato (anche se non sempre gradito) invito a trascendere se stessi ed i propri limiti;

- la sofferenza è occasione d'amore, perché dà all'uomo la possibilità di "farsi prossimo" in modo concreto e tangibile del proprio fratello che soffre;

- la morte pone di fronte al mistero della vita nella sua interezza: se non ci fosse questo appuntamento molti sarebbero tentati di "vivere alla giornata" senza vere motivi seri per mettere in dubbio quello che sia il modo migliore di vivere, senza fare "bilanci" e senza chiedersi come si sta spendendo la propria vita; la domanda è tanto più significativa quanto più prendiamo sul serio il fatto che di vita ne abbiamo una soltanto... e ad un certo punto finirà.

La sofferenza e la morte sono comunque sintomo che qualcosa non va, quasi un tacito richiamo all'altra realtà misteriosa che è quella del peccato ed al profondo bisogno di redenzione che bisognerebbe perlomeno riuscire a far intravvedere ai nostri ragazzi, in una cultura che tende ad ostracizzare il problema.


La sofferenza come "luogo d'incontro" dell'uomo con l'amore di Dio


Il mistero della Redenzione è un mistero di unione, dell'unione intima, amorosa e amichevole di Dio e degli uomini, che dopo il fatto del peccato deve avere una "modalità" tutta particolare, cioè quella della Redenzione. Prescindendo da una piena articolazione dei vari aspetti del mistero della Redenzione ci limitiamo a porre l'accento sul fatto che la sofferenza costituisce per più di un motivo il luogo d'incontro dell'uomo con l'amore di Dio:

1. il Verbo di Dio assume fino in fondo la natura umana che vuole redimere, condivide "in tutto" fuorché nel peccato la condizione umana, e - per quanto concerne il peccato - ne assume il fardello accettando le conseguenze del peccato, cioè la sofferenza;

2. la sofferenza di Cristo è anche l'aspetto attivo del suo amore per gli uomini (nessuno ha un amore più grande di questo, dare la vita per i nostri amici...).

Per sintetizzare tutto questo in un'immagine, possiamo paragonare la sofferenza al "luogo d'incontro" con l'amore di Dio, come una panchina, un parco in cui due innamorati si diedero appuntamento per la prima volta: il luogo in sé potrebbe non avere particolari attrattive, ma i due saranno ugualmente molto affezionati a quel luogo, perché è lì che è nato il loro amore ed in forza di questo amore ameranno anche quella povera panchina sbrecciata. Per questo possiamo dire che Cristo dà un nuovo significato al dolore e alla sofferenza: la via che porta al Padre passa attraverso Cristo, passa attraverso il suo insegnamento, attraverso il suo esempio, ma è una via che passa anche dalla cima del Calvario. Il mistero della sofferenza e della morte risulta dunque unito in modo ineffabile al cuore stesso del mistero d'amore che è Cristo: è dunque evidente quanto sia poco saggio disprezzare la sofferenza, emarginare chi soffre, uccidere chi si suppone che potrebbe soffrire: nel volto
piangente di chi soffre sulla terra è impressa in modo indelebile l'impronta luminosa dell'amore di Dio e della Passione di Cristo.

In tale prospettiva acquista tutto il suo splendore quel "vangelo della vita" da cui la nostra cultura ha in qualche modo preso le distanze: riconoscendo il valore della vita come tale si coglie, all'interno di una considerazione analogica della gerarchia di perfezione delle diverse realtà viventi, il valore specifico della vita umana personale (in cui il credente non stenta a riconoscere impressa l'immagine del suo Creatore), tale valore però rischia di venire in parte offuscato dall'esperienza del dolore, della morte, dell'infelicità, del peccato: di fronte a tali realtà l'enigma dell'umana esistenza si fa più fitto, ma la nostra intelligenza si rifiuta di proclamarne irrevocabilmente il non-senso e, in qualche modo, ne "postula" un significato ad un livello superiore. Di fronte a questa aspirazione suprema dell'uomo la fede viene incontro all'umana ragione con la rivelazione del significato salvifico del dolore di Cristo che, liberando dal peccato, libera anche dalla
sofferenza e dalla morte e conferisce un senso al nostro stesso soffrire terreno in attesa della promessa felicità futura.


Umanizzazione ed organizzazione della cura ambulatoriale e domiciliare dell'ammalato oncologico


ATTI del Terzo Congresso Nazionale di Supportoterapia in Oncologia; Roma 14 - 15 marzo 1984


Introduzione al congresso del Prof. Attilio Romanini (Ordinario di Radiologia e primo Direttore Sanitario del Policlinico Universitario "Agostino Gemelli" di Roma)


Dieci anni fa, quando ci incontrammo nel primo corso convegno sulla Umanizzazione della Medicina, organizzato prima in Europa, dalla nostra Università, concentrammo la nostra attenzione sulle necessità di supporto, non sanitario, dell'ammalato ricoverato in ospedale. Quella riunione fu la scintilla da cui scaturì il volontariato clinico che tanto ha fatto tra noi ed ha portato qui a poco a poco al recupero dei valori che sempre caratterizzavano il rapporto tra personale sanitario e ammalato. Rapporti che negli ultimi anni erano stati gravemente compromessi per l'avvento nei nostri ospedali della lotta politica e sindacale da un lato e della burocratizzazione dall'altro.

Questo riferimento ha uno scopo preciso, ci troviamo in presenza di una nuova crisi nella cura dell'ammalato, crisi che colpisce soprattutto l'ammalato inguaribile nella fase terminale della sua malattia.

I nostri ospedali infatti, progettati per l'assistenza all'ammalato acuto, sono poco adatti per la cura di questi ammalati che, in genere, non hanno bisogno tanto di cure attive, quanto di una terapia di supporto e di tanto calore d'affetto umano. Si tratta di assistenza sanitaria assai meno costosa di quella dell'ospedale per acuti e assai più gradita anche perché, l'esperienza ci insegna, che essa può esser data nella maggior parte dei casi, al domicilio dell'ammalato o in piccole strutture che per loro natura devono avere più affinità colla casa che coll'ospedale. Si veda ad esempio l'esperienza degli "Hospice programs" in Gran Bretagna e negli Stati Uniti.

Questo tipo di assistenza è stato incluso dal legislatore nella Riforma Sanitaria del 1978. Si tratta però, come sappiamo, nel nostro caso, di una Riforma progettata da un architetto ardito ed antiveggente che peraltro, proprio per l'arditezza sua, ha messo non poco in difficoltà gli ingegneri che devono realizzarla. La difficoltà è particolarmente sentita perché non esistono in Italia sperimentazioni su cui potersi basare per l'attuazione su vasta scala.

Abbiamo ritenuto opportuno proporre questo argomento come oggetto del convegno di quest'anno, non solo per la sua urgenza ma anche e soprattutto perché il nostro gruppo raccoglie persone fortemente interessate ed impegnate nella realizzazione e proprio soltanto da professionisti autoresponsabilizzantisi come noi può nascere quella sperimentazione (atta a risolvere problemi magari parziali) che può fornire una conoscenza oggettiva a chi ha, per legge, il dovere di attuare, su tutto il territorio nazionale, quell'assistenza domiciliare e ambulatoriale strettamente integrata con quella ospedaliera, che forma uno dei concetti "fondamentali della Riforma Sanitaria in attuazione".


Unità di Cura Continuativa (UCC)

Soluzione più umana ed economica per la cura dell'ammalato oncologico in fase terminale


Attilio Romanini; Rivista bimestrale: Progressi Clinici, 1988


L'indiscusso aumento di efficacia delle cure antiblastiche e di quelle di supporto consente oggi di guarire molti pazienti che quindici anni fa non avrebbero potuto esserlo ed inoltre di prolungare notevolmente la vita della maggior parte dei pazienti inguaribili.

La cura di questi ultimi si effettua nello spazio di parecchi mesi, quasi sempre di anni durante i quali si possono distinguere due fasi. La prima di relativo benessere durante la quale il paziente svolge una vita quasi normale, detta «fase di stato» e la seconda di più o meno rapido declino, durante la quale si assiste al più o meno rapido venir meno della possibilità di vita indipendente dapprima, e poi delle varie funzioni vitali dell'organismo.

Tutto ciò rende necessaria una impostazione terapeutica completamente differente da quella che deve essere tenuta nei pazienti in cui elevate sono le possibilità di ottenere una guarigione clinica durevole.

Da un lato infatti, è necessario attuare la terapia antiblastica con modalità tipicamente palliative, evitando cioè di determinare al paziente sofferenze, pur ottenendo una regressione della neoplasia, od almeno un rallentamento della sua evoluzione.

Dall'altro lato è ancora più necessario, se non addirittura indispensabile, attuare nel modo più completo le varie terapie di supporto così da assicurare al paziente una qualità di vita quanto migliore possibile.

Tra queste è indispensabile evitare all'ammalato un senso di solitudine; in particolare che egli abbia l'impressione di dover affrontare da solo la sua malattia, curato cioè or da questo or da quel gruppo di medici nessuno dei quali si sente responsabile di lui, di risolvere i suoi problemi.

Se questo è vero per ogni malattia ed anche nel campo oncologico per gli ammalati destinati a guarire, lo è in modo tragico per gli ammalati inguaribili.

In questi ammalati la necessità di integrare interventi specialistici differenti aggrava il problema che è reso ancor più attuale dall'illogica separazione oggi esistente anche da noi tra medicina domiciliare ed ospedaliera.

È estremamente opportuno che tutti gli ammalati inguaribili, ed in modo particolare quelli oncologici, siano curati da un'unica equipe sanitaria che sia in grado di assisterli sino alla loro morte, e nel con tempo sia in grado:

1) di consentire loro, nella «fase di stato» della malattia, una vita rimanente quanto più gradevole e, a questa condizione, lunga possibile. (Prolungare la vita di un paziente senza essere in grado di alleviarne le sofferenze sarebbe crudeltà). Da questo principio è possibile derogare solo su espressa richiesta fatta dal paziente per motivi personali suoi, che il medico può sindacare solo sino al punto da essere certo che quella è realmente la volontà del suo paziente;

2) di assicurare loro, nella «fase terminale» della malattia, non solo la soppressione dei dolori e la minimizzazione delle sofferenze non sopprimibili, ma anche il determinante supporto psicologico di sapere che pur nell'aggravarsi del proprio stato l'equipe terapeutica (che l'ha curato per anni, è diventata perciò stesso gruppo di amici cui lui ha affidato la sua vita) non lo abbandona ora che chiaramente è destinato a morire, ma anzi rimane accanto a lui, responsabile della sua cura sino alla fine, amici attivamente accanto all'amico, che muore;

3) di essere disponibile ed attrezzata a curarlo anche a casa sua.

Per la maggior parte degli ammalati (e dei loro familiari) morire in ospedale è estremamente traumatizzante sia sul piano fisico che su quello psicologico.

Essi vi si rassegnano solo in quanto non esistono concrete possibilità di agevole cura domiciliare.

Se ciò attualmente si verifica ancora su vasta scala, pur essendo più costoso dell'assistenza specialistica domiciliare, è solo per un residuo della separazione tra cura domiciliare ed ospedaliera realizzata, per motivi organizzativo-finaziari, durante gli ultimi lustri della gestione INAM.

L'attuale legge sul Servizio Sanitario Nazionale stabilisce infatti l'unicità strutturale della cura dell'ammalato (nell'ambito dell'Unità Sanitaria Locale) e pertanto, sul piano concettuale, viene pienamente incontro al desiderio degli ammalati di essere curati a casa loro nella «fase terminale » della loro vita, e non nell'igienico e freddo squallore di una stanza d'ospedale.

Esistendo le premesse giuridiche è ora necessario realizzare praticamente questa modalità terapeutica.

A questo scopo è possibile far tesoro dell'ampia esperienza della cura domiciliare di questi pazienti attuata oltre oceano dagli Hospice Programs (Kutscher 1985).

La loro esperienza però non è trasferibile come tale in Italia sia per la grande differenza socio-psicologica esistente tra il nostro ed il loro modo di vivere che per l'ancor maggiore differenza tra le legislazioni sanitarie delle due nazioni.

Essa però può essere ampiamente utilizzata nell'integrare funzionalmente le nostre strutture sanitarie così da curare in modo unitario gli ammalati che lo desiderano;

integrazione realizzabile mediante l'adattamento delle nostre strutture che va sotto il nome Unità di Cura Continuativa (UCC) e ha le seguenti caratteristiche:

a) L'UCC ha come oggetto delle sue cure l'intero gruppo familiare e non il solo ammalato. Malato + familiari sono considerati un tutt'uno che va aiutato.

b) L'UCC è la continuazione domiciliare delle cure che l'ospedale normalmente fornisce nelle degenze e nei day-hospital e che il medico di famiglia, da solo non è in grado di attuare. Essa consente anzi di dimettere precocemente il paziente in cura domiciliare e ricoverarlo nuovamente in modo altrettanto agevole quando nuova sintomatologia faccia ritenere opportune cure che solo l'ospedale può consentire.

c) L'UCC non è né un reparto né una nuova specializzazione terapeutica. Essa infatti è essenzialmente una organizzazione di assistenza infermieristica e volontariale generica, che utilizza le competenze specialistiche più varie, integrandole al fine di ottimizzare la cura del paziente.

d) A tale scopo l'UCC ha una struttura semplice e ad un tempo particolarmente funzionale. Diretta da un medico coadiuvato da un infermiere esperto dotato anche di capacità organizzative, essa è costituita da due distinti gruppi di persone:

- un gruppo operativo costituito da infermieri e volontari, che effettuano l'assistenza domiciliare;

- un gruppo di consulenza composto da medici delle diverse specialità e da psicologi preparati nel campo, assistenti sociali e spirituali.

e) Operativamente infermieri e volontari, scelti tra persone motivate e particolarmente equilibrate dal punto di vista psicologico, si recano due o più volte la settimana a casa dei pazienti assistiti per svolgervi l'assistenza e la terapia prescritta dai medici dell'UCC cui riferiscono le notizie cliniche dei pazienti assistiti, per averne eventuali variazioni terapeutiche. Queste discussioni avvengono, quando possibile, in incontri di gruppo in presenza dei componenti il Gruppo di Consulenza più interessati (medici specialisti, psicologi, assistenti sociali e spirituali). A questi gli infermieri espongono non solo l'evolversi della malattia del paziente ma anche i problemi familiari che colla sua assistenza si interconnettono onde poterne avere i consigli opportuni. Compito loro è infatti non solo il guidare i parenti nella cura del malato, ma anche l'assistenza ai parenti stessi, che in questa fase possono presentare scompensi sul piano psicoaffettivo anche gravi. I medici e
gli altri componenti del gruppo di consulenza intervengono raramente a domicilio del paziente, sebbene ciò sia tutt'altro che escluso. Tutt'altro che raro è invece l'intervento domiciliare dell'assistente spirituale.

f) L'UCC, sul piano organizzativo, può assumere fisionomia differente. Può essere parte del presidio ospedaliero così come gli ambulatori ed il Day Hospital, od essere struttura differente da quella ospedaliera (Gruppo di Volontariato, Cooperativa terapeutica, ecc.). Essenziale è la stretta collaborazione tra medici curanti in ospedale e componenti dell'UCC affinché il malato ed i suoi familiari si sentano sempre rispettivamente curati e guidati dallo stesso gruppo di sanitari. Questo fa in genere preferire le soluzioni direttamente parte dell'ospedale o di cui facciano parte integrante sanitari, infermieri e personale dei vari livelli di competenza dell'ospedale. Il carattere determinante della sua funzione sul piano del supporto psicologico dell'unità paziente-famiglia fa ritenere preferibile la realizzazione della UCC come parte integrata nella divisione ospedaliera. Meglio si realizza infatti così la continuità della cura dell'ammalato, usque ad finem, da parte della
stessa equipe.

Oggi quando l'ammalato non è più abbisognevole di cure ospedaliere, viene dimesso e avverte un troncarsi del legame con i sanitari dell'ospedale; legame che gli apporta quel senso di sicurezza, di sostegno psicologico proprio del rapporto di fiducia. Nel caso di malattia prolungata od a prognosi infausta questo legame è di solito sostituito in modo altrettanto efficiente da quello con il medico di famiglia. Ciò è dovuto in parte al fatto che in genere quest'ultimo ha difficoltà organizzative concrete ad attuare stretta collaborazione con i metodi dell'ospedale ove pure ha indirizzato il paziente. Quasi sempre è privo di collaborazione infermieristica e, pertanto, gli risulta piuttosto difficile proseguire a domicilio dell'ammalato l'assistenza specialistica di cui questi ha bisogno. Pure difficile gli è spesso ottenerne nuovamente, se necessario, il ricovero in ospedale.

Tutto ciò fa sì che la dimissione dall'ospedale possa essere sentita da questi ammalati come un abbandono da parte dei curanti e che i parenti si sentano improvvisamente «responsabili» delle cure ulteriori di cui l'ammalato ha bisogno; situazione psicologica tutt'altro trascurabile in presenza di una prognosi infausta a non lunga scadenza.

L'UCC sopprime tutto questo dando un valore permanente al legame terapeutico e al rapporto di fiducia tra sanitari, ammalato e parenti.

L'ammalato non si sente più «dimesso» ma sa che va a casa senza interrompere le cure, sa che sarà seguito anche a casa, dal gruppo di sanitari dell'ospedale, in collaborazione (ove possibile) col medico di famiglia del paziente di cui l'UCC diviene ad un tempo consulente e, tramite la sua struttura infermieristica collaboratore diretto.

Parenti ed ammalato sanno inoltre che qualora si verifichi la necessità di un nuovo ricovero questo potrà avvenire senza difficoltà perché l'ammalato è sempre in carico terapeutico all'ospedale.

I parenti, a loro volta, si sentono sempre supportati dall'equipe dell'UCC che provvede a consigli ed aiuti non solo nel campo sanitario ma anche in quello sociale e psicologico.

Particolarmente importanti questi due ultimi in caso di morte dell'ammalato e perciò stesso prolungati, quando necessari anche durante il periodo immediatamente successivo all'exitus.

Compito dell'UCC è infatti la cura del malato e della sua famiglia come un tutt'unico.

L'assistenza domiciliare, come è noto è assai meno costosa di quella ospedaliera. Sull'argomento esistono tutta una serie di ricerche specificamente impostate che consentono di affermare non solo l'esistenza di un risparmio netto ma anche che esso oscilla attorno al 40% (Pontarollo 1985).

Nell'attuale situazione sanitaria italiana la cosa non sembra trascurabile. L'UCC come mezzo di assistenza domiciliare trova un ovvio limite là ove il paziente vive solo e non ha parenti che lo possano ospitare in casa propria (evenienza relativamente rara in Italia) o quando la casa non sia idonea alla cura domiciliare del paziente nella fase terminale della malattia.

In questi casi ovviamente il paziente dovrà continuare ad essere curato in ospedale come ora avviene, o se opportuno in un ospedale più vicino al domicilio dell'ammalato così da favorire l'accesso dei parenti.

Il caso però, in base alla nostra esperienza non è molto frequente.



Documenti on-line

www.fondazioneghirotti.it

www.uciim.it

www.fondazionealessandrabisceglia.it

www.aiiro.it

www.unicatt.it

www.policlinicogemelli.it

www.portaledibioetica.it


Indichiamo di seguito una sobria lista di documenti, utili per approfondire il tema, tra quelli attualmente presenti sul Portale di Bioetica.


1) Tema caldo Eutanasia [http://www.portaledibioetica.it/documenti/000632/000632.htm]: si tratta di un'area del Portale che raccoglie articoli e contributi sul tema dell'Eutanasia ed un'insieme di problematiche ad esso collegate, tra cui la questione - frutto di un fraintendimento culturale - della "morte pietosa" come modalità per porre fine alle sofferenze di una persona.


2) Documenti del Comitato Nazionale di Bioetica:

- La terapia del dolore: orientamenti bioetici (30 Marzo 2001) [http://www.portaledibioetica.it/documenti/001720/001720.htm]

- Etica, sistema sanitario e risorse (17 Luglio 1998) [http://www.portaledibioetica.it/documenti/001725/001725.pdf]

- Parere del CNB sulla convenzione per la protezione dei diritti dell'uomo e la biomedicina (21 Febbraio 1997) [http://www.portaledibioetica.it/documenti/001732/001732.htm]

- Questioni bioetiche relative alla fine della vita umana (14 Luglio 1995) [http://www.portaledibioetica.it/documenti/001671/001671.htm]

- Bioetica e formazione nel sistema sanitario (7 Settembre 1991) [http://www.portaledibioetica.it/documenti/001748/001748.htm]

- Parere sulla proposta di risoluzione sull'assistenza ai pazienti terminali (6 Settembre 1991) [http://www.portaledibioetica.it/documenti/001670/001670.htm]


3) Magistero Chiesa cattolica:

- Il rispetto della dignità del morente. Considerazioni etiche sull'eutanasia. (Pontificia Accademia per la vita - 9 Dicembre 2000) [http://www.portaledibioetica.it/documenti/000300/000300.htm]

- "Salvifici doloris", Lettera apostolica (Giovanni Paolo II - 11 febbraio 1984) [http://www.vatican.va/holy_father/john_paul_ii/apost_letters/documents/hf_jp-ii_apl_11021984_salvifici-doloris_it.html]

- "Evangelium vitae" Lettera enciclica (Giovanni Paolo II - 25 marzo 1995) [http://www.portaledibioetica.it/documenti/000376/000376.htm]

- "Donum vitae" (Congregazione per la dottrina della fede - 22 Febbraio 1987) [http://www.portaledibioetica.it/documenti/000399/000399.htm]

- Dichiarazione sull'eutanasia (Congregazione per la dottrina della fede - 5 Maggio 1980) [http://www.portaledibioetica.it/documenti/000281/000281.htm]


4) Altre chiese e confessioni religiose:

- Eutanasia e suicidio (Gruppo di lavoro Valdese) [http://www.portaledibioetica.it/documenti/000380/000380.htm]

- Quando la sofferenza ha un limite (programma radiofonico ebraico) [http://www.portaledibioetica.it/documenti/000363/000363.htm]



Scheda identificativa dell'elaborato


Riferimenti della Scuola


- Denominazione:


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- Indirizzo:


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- Telefono:


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- Dirigente Scolastico


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Riferimenti della Classe


- Classe:


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- Insegnati che hanno guidato gli alunni nell'elaborazione dei lavori


(Cognome e nome)


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- elenco degli alunni che hanno partecipato al lavoro


(Cognome e nome)


 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 



Scheda identificativa dell'elaborato studenti universitari


- Nome: _________________________________


- Cognome: ______________________________


- Indirizzo: _______________________________


- Città: ___________________________________


- Telefono: ________________________________


- Corso di Laurea: __________________________


- Università: _______________________________


N.B. Qualora l'elaborato sia stato prodotto non da un singolo studente ma da un gruppo, la scheda dovrà essere compilata dal rappresentante delegato a ritirare il premio, che si assume la responsabilità di condividerlo con i suoi colleghi, i cui nominativi devono essere riportati qui di seguito.


NOME


COGNOME
 
 
 
 

I.N.P.D.A.P. (Istituto nazionale di previdenza per i dipendenti dell'amministrazione pubblica) Nota 28-2-2011 n. 11 Detrazioni per carichi di famiglia riferite all'anno 2010. Indicazioni operative per il pagamento dei Caf e professionisti convenzionati con l'Inpdap. Emanata dall'Istituto nazionale di previdenza per i dipendenti dell'amministrazione pubblica, Direzione generale, Direzione centrale previdenza, Direzione centrale ragioneria e finanza.





Nota 28 febbraio 2011, n. 11 (1).

Detrazioni per carichi di famiglia riferite all'anno 2010. Indicazioni operative per il pagamento dei Caf e professionisti convenzionati con l'Inpdap.

(1) Emanata dall'Istituto nazionale di previdenza per i dipendenti dell'amministrazione pubblica, Direzione generale, Direzione centrale previdenza, Direzione centrale ragioneria e finanza.



Ai


Direttori delle sedi provinciali e territoriali

Ai


Responsabili delle ragionerie locali

Ai


Caf

Ai


Dirigenti generali centrali e regionali

Ai


Direttori regionali

Agli


Uffici autonomi di Trento e Bolzano

Ai


Coordinatori delle consulenze professionali
 

Loro sedi




Con riferimento alla nota n. 2712 del 16 febbraio 2011 diramata dall'Ufficio I della D.C. Previdenza, si chiariscono con la presente, come di consueto ed in continuità con la procedura operativa seguita negli anni precedenti, gli aspetti operativo contabili riferiti alla campagna DETRA 2010.

Come è noto, i soggetti abilitati che hanno sottoscritto la convenzione con l'Istituto hanno provveduto alla certificazione della dichiarazione per familiari a carico dei pensionati che si sono avvalsi del loro servizio ed hanno validato i codici fiscali comunicati dagli stessi, provvedendo anche al successivo inoltro, per via telematica, all'INPDAP ai fini dell'aggiornamento delle relative posizioni pensionistiche.

Le modalità applicative volte al pagamento del compenso per l'attività di certificazione e trasmissione spettante ai soggetti abilitati che hanno sottoscritto la relativa convenzione per l'anno 2009, 2010 e 2011, riproducono le istruzioni fornite con riferimento alla campagna DETRA 2009.

I compensi vengono corrisposti dall'Istituto previa emissione di regolare fattura da parte degli stessi.

Gli aspetti amministrativi dell'operazione sono stati illustrati con precedente nota 4 febbraio 2010, n. 1 della D.C. Previdenza.

Per l'evasione dei pagamenti corrispondenti, i CAF devono trasmettere le fatture emesse nei confronti dell'Istituto alla Segreteria del Direttore Centrale Previdenza presso la Direzione Generale INPDAP, Via Ballarin, 42 - 00142 Roma.

I professionisti sottoscrittori della specifica convenzione con l'Istituto devono, invece, trasmettere le fatture emesse per l'attività svolta agli Uffici INPDAP territorialmente competenti.

I dati che consentono una corretta fatturazione sono visualizzabili da parte dei CAF nell'area loro riservata sul sito internet dell'Istituto (www.inpdap.gov.it. al link anno 2010 - report/fatturazione 2010. Il numero delle dichiarazioni inviate è riportato sull'ultima colonna del report anzidetto.

I professionisti abilitati coinvolti che hanno prestato la loro attività, ai fini di una corretta fatturazione delle prestazioni convenzionate rese, devono visualizzare tramite la funzione "Sintesi dichiarazioni della Sede e dei Professionisti Convenzionati, nell'apposita sezione loro dedicata sul sito internet dell'Istituto (www.inpdap.gov.it), il numero delle dichiarazioni "acquisite con carichi di famiglia".

Si precisa che sulle fatture emesse deve essere indicato il numero del certificato digitale Entratel. Le cifre inerenti la spesa relativa ai compensi spettanti per la certificazione, la compilazione e l'inoltro delle dichiarazioni rese dai pensionati, ai fini della fruizione delle detrazioni fiscali, dovranno essere impegnate dagli uffici interessati in conto competenza 2011.

A tale scopo, si rende noto che con l'applicativo "detrazioni d'imposta" (Detra), accessibile da parte degli operatori abilitati dal sito intranet dell'Istituto attraverso la funzione "Sintesi dichiarazioni della Sede e dei Professionisti Convenzionati", è possibile verificare, da parte dei Centri di Responsabilità che abbiano ricevuto fatture per l'operazione DETRA 2010, il numero delle dichiarazioni effettivamente acquisite e certificate dai soggetti abilitati che hanno sottoscritto la relativa convenzione (colonna "acquisite con carichi di famiglia").

Il compenso da corrispondere ai soggetti convenzionati è pari a euro 2,52 per effetto dell'adeguamento all'indice di variazione dei prezzi al consumo, rilevato per l'anno precedente dall'Istat (0,7%), oltre IVA ed eventuale contributo alle casse di previdenza professionali, per ogni dichiarazione trasmessa. Nella fattura devono essere indicati separatamente gli importi derivanti dall'adeguamento di cui sopra.

L'importo, come sopra definito, è da imputare alla posizione finanziaria S1131602 e andrà determinato sulla Gestione CPDEL (Se. Co. 06) [1] sulla base di un unico specifico atto autorizzativo adottato dai dirigenti titolari dei singoli Centri di Responsabilità competenti (D.C. Previdenza per il corrispettivo relativo ai CAF, Uffici Inpdap provinciali e territoriali per i compensi spettanti ai professionisti).

Sarà, successivamente, cura dei responsabili amministrativi competenti assicurare, nei termini prescritti dal Regolamento di Amministrazione e Contabilità INPDAP, la registrazione sul sistema informativo SAP R/3 di un unico impegno cumulativo intestato all'apposito fornitore unico "Diversi - Operazione DETRA" codificato con il numero 401806.

Si precisa che le occorrenze previsionali necessarie all'assunzione degli impegni e all'emissione dei conseguenti ordinativi di pagamento saranno assegnate dall'Ufficio I della Direzione Centrale Ragioneria e Finanza, sulla base delle richieste effettuate, con le consuete modalità, dai Centri di responsabilità interessati.

L'atto dirigenziale determinativo degli impegni in questione è soggetto alle ordinarie verifiche di regolarità amministrativo contabili del servizio di ragioneria e di cui all'art. 31 del RAC.

La liquidazione degli importi da corrispondere ai singoli soggetti convenzionati dovrà avvenire a seguito di ricezione di regolare fattura da parte degli stessi.

I servizi amministrativi competenti dovranno procedere, ai fini della liquidazione, all'adozione dell'atto liquidatorio corrispondente, il quale presuppone il preventivo riscontro che il numero delle dichiarazioni fatturate siano coincidenti con quelle risultanti dall'applicativo "detrazioni d'imposta" (Detra).

Sulla base dell'atto liquidatorio di cui sopra, i servizi amministrativi dovranno accertare e contestualmente liquidare, in conto competenza 2011, sulla posizione finanziaria E4110102 della gestione CPDEL (Se.Co, 06), le ritenute erariali relative ai compensi da corrispondere.

Successivamente, gli stessi servizi amministrativi dovranno procedere alla registrazione della liquidazione dell'importo lordo (comprensivo dell'IVA e dell'eventuale contributo alle casse di previdenza professionali) utilizzando, in quota parte corrispondente a ciascuna fattura da pagare, l'impegno in precedenza assunto cumulativamente.

Le due liquidazioni (quella relativa alla ritenuta e quella relativa all'importo lordo dovuto) saranno incluse dal servizio di ragioneria nel medesimo ordinativo e costituiranno l'importo netto da pagare. L'atto liquidatorio, debitamente sottoscritto dal responsabile del procedimento, dovrà essere completato con l'indicazione in calce degli estremi di registrazione delle liquidazioni sul sistema SAP e successivamente trasmesso al servizio di ragioneria, accompagnato da specifica distinta di cassa contenente gli estremi identificativi del soggetto o, nel caso di pagamento plurimo con unico mandato, dei soggetti beneficiari del corrispettivo, le modalità di pagamento e l'importo netto spettante a ciascuno di essi.

Il servizio di ragioneria, dopo avere effettuata la consueta verifica per l'ordinazione del pagamento di cui all'art. 31 del RAC, provvedere all'emissione del mandato di pagamento comunicandone gli estremi al servizio amministrativo competente.

Si precisa che il servizio di ragioneria competente all'ordinazione del pagamento a favore dei CAF convenzionati è l'Ufficio 2 della D.C. Ragioneria e Finanze al quale la D.C. Previdenza trasmetterà i fascicoli completi della documentazione di spesa ai fini degli adempimenti corrispondenti alle relative attribuzioni. Si rappresenta la necessità di portare a conoscenza ai professionisti che hanno sottoscritto la convenzione i contenuti della presente nota operativa.


[1] Gli Uffici Centrali provvederanno a determinare l'importo dovuto sulla gestione CTPS. Non si dovrà procedere a compensazioni tra Gestioni.


Il Dirigente generale della direzione centrale previdenza

Dott. Giorgio Fiorino


Il Dirigente generale della direzione centrale ragioneria e finanza

Dott. Giuseppe Beato

condominio Infiltrazioni d'acqua: tutti i condomini rispondono dei danni per omessa manutenzione del terrazzo




COMUNIONE E CONDOMINIO
Cass. civ. Sez. II, Sent., 17-01-2011, n. 941
Fatto Diritto P.Q.M.
Svolgimento del processo

Ca.Lu. e C.B. convenivano in giudizio R.G., T.C.L., F.S. e il condominio di (OMISSIS) chiedendone la condanna al rimborso delle spese sostenute per l'esecuzione di lavori necessari ad eliminare le infiltrazioni idriche manifestatesi nei box e nelle mura perimetrali. Gli attori esponevano: di essere proprietari di un appartamento al primo piano dell'edificio condominiale in questione con annesso piano di calpestio esterno; di aver ricevuto pressione dai proprietari dei box sottostanti al detto piano di calpestio di eliminare le cause dei fenomeni infiltrativi; di aver proceduto ai necessari lavori per eliminare l'inconveniente sostenendo la spesa complessiva di L. 48.077.00 per lavori sul lastrico e di L. 1.300.000 per opere relative al muro perimetrale; di aver quindi diritto al rimborso della quota pari ai 2/3 della spesa relativa ai lastrico dai proprietari dei box sottostanti ed al rimborso ex art. 123 c.c. della spesa sostenuta per il muro perimetrale del condominio.

I convenuti si costituivano e chiedevano il rigetto della domanda.

Con sentenza n. 30565/2002 l'adito tribunale di Roma, eseguita la disposta c.t.u. rigettava la domanda rilevando che nella specie non era applicabile l'art. 1226 c.c. posto che detto articolo riguardava il criterio di ripartizione delle spese di riparazione del lastrico conseguenti alla sua vetustà mentre le infiltrazioni in questione dovevano imputarsi a vizi costruttivi indebitamente tollerali dagli attori che non avevano agito nei confronti del costruttore.

Avverso la detta sentenza i soccombenti attori proponevano appello al quale resistevano tutti gli appellati.

Con sentenza 2/3/2005 la corte di appello di Roma, in accoglimento del gravame e in riforma del"impugnata decisione, condannava R. G., T.C.L., F.S. e il condominio a versare agli appellanti le somme per ciascun appellato determinate.

La corte di appello osservava: che il lastrico solare a livello e l'adiacente giardino svolgevano la funzione di copertura dei box del fabbricato per cui l'obbligo di provvedere alla sua riparazione o ricostruzione gravava anche sui condomini proprietari dei box con ripartizione delle relativi spese secondo i criteri di cui all'art. 1126 c.c. non rilevando a tal fine la necessità, con gli interventi riparatori, del ripristino delle strutture preesistenti o della modifica o dell'integrazione in conseguenza dei vizi o della carenze costruttive originarie: che, come emergeva dalla c.t.u., le infiltrazioni non erano dovute a cattiva o negligente manutenzione imputabile ai proprietari del lastrico solare; che le opere eseguite dagli appellanti avevano in parte risolto il problema delle infiltrazioni in quanto finalizzate alla impermeabilizzazione ex novo del lastrico solare: che pertanto i proprietari dei box sottostanti il lastrico avevano l'obbligo di contribuire, in proporzione delle
rispettive quote, alle spese (determinate dal c.t.u. in L. 38.552.800) sostenute dagli appellanti secondo le disposizioni di cui all'art. 1226 c.c.; che quindi gli appellati andavano condannati al pagamento in favore degli appellati delle somme per ciascuno determinate sulla base delle rispettive quote millesimali; che il condominio andava condannato al pagamento in favore degli appellanti - per la spesa sostenuta per le mura perimetrali - di L. 1.300.00 previa detrazione della quota spettante agli stessi appellanti a norma dell'art. 1123 c.c..

La cassazione della sentenza della corte di appello di Roma è stata chiesta da R.G. e da T.C.L. con ricorso affidato a due motivi. C.B. e Ca.Lu. hanno resistito con controricorso ed hanno depositato memoria. Gli intimati F.S. e condominio di (OMISSIS) non hanno svolto attività difensiva in sede di legittimità.
Motivi della decisione

Con il primo motivo di ricorso il R. e la T.C. denunciano violazione dell'art. 1134 c.c. deducendo che il C. e la Ca. hanno sostenuto spese per cose comuni senza la preventiva autorizzazione dell'amministratore o del condominio per cui il giudice di appello avrebbe dovuto far riferimento al citato art. 1134 c.c. e non agli artt. 1123 e 1126 che si riferiscono solo al criterio di ripartizione e presuppongono l'imputabilità della spesa ai condomini. La detta questione è stata affrontata nella comparsa di costituzione in primo grado per cui i condomini non sono tenuti a rimborsare una spesa decisa unilateralmente - e senza autorizzazione - da uno solo di essi.

La censura non può trovare accoglimento in quanto relativa ad una questione che dalla lettura della sentenza impugnata non risulta (nè è stato dedotto dai ricorrenti) essere stata riproposta in appello, come pur sarebbe stato necessario, ex art. 346 c.p.c..

Al riguardo è sufficiente osservare che, come è noto, le domande proposte in via subordinata e ritenute assorbite dall'accoglimento della domanda principale, pur non necessitando di riproposizione attraverso una impugnazione incidentale, devono comunque essere richiamate in maniera esplicita in qualsiasi scritto del giudizio di secondo grado, entro l'udienza di precisazione delle conclusioni, pena l'effetto di tacita rinuncia sancito dall'art. 346 c.p.c.. Detto onere non risulta essere stato rispettato dai ricorrenti.

Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano violazione dell'articolo 1126 ex. e vizi di motivazione sostenendo che nella specie - come affermato dal giudice di primo grado - non è applicabile il detto articolo dovendosi attribuire la causa delle infiltrazioni non a "vetustà" ma a vizi costruttivi dell'immobile come peraltro ammesso dagli stessi attori nell'atto introduttivo del giudizio di primo grado. Il C. e la Ca. sono quindi colpevoli per il mancato azionamento della garanzia prevista dalla legge nei confronti del costruttore e non possono far valere nei confronti degli altri condomini diritti che avrebbero dovuto far valere verso il costruttore. Nella sentenza impugnata tale fondamentale aspetto della controversia non risulta affrontato, nulla argomentandosi in merito alla questione dei vizi strutturali o di costruzione. La corte di appello non ha spiegato le ragioni per le quali, in contrasto con il tribunale, ha ritenuto imputabile ai C. la responsabilità per la mancala
eliminazione delle cause del danno conseguente alla indebita tolleranza manifestata in ordine a difetti originari di progettazione o di esecuzione di opera.

Anche questo motivo deve essere disatteso posto che la corte di appello ha fatto corretta applicazione dei seguenti principi più volte affermati nella giurisprudenza di legittimità:

- i singoli proprietari delle varie unità immobiliari comprese in un edificio condominiale, sono a norma dell'art. 1317 c.c., (salvo che risulti diversamente dal titolo) comproprietari delle parti comuni, tra le quali il lastrico solare, assumendone la custodia con il correlativo obbligo di manutenzione;

- il lastrico solare, anche se attribuito in uso esclusivo o di proprietà esclusiva di uno dei condomini, svolge funzione di copertura del fabbricato e perciò l'obbligo di provvedere alla sua riparazione o ricostruzione, sempre che non derivi da fatto imputabile soltanto a detto condomino, grava su tutti i condomini, con ripartizione delle relative spese secondo i criteri di cui all'art. 1126 c.c.; di conseguenza il condominio risponde, quale custode ex art. 2051 c.c., dei danni che siano derivati al singolo condomino o a terzi per difetto di manutenzione del lastrico solare, non rilevando a tal fine che i necessari interventi riparatori o ricostruttivi non consistano in un mero ripristino delle strutture preesistenti, ma esigano una specifica modifica od integrazione in conseguenza di vizi o carenze costruttive originarie, salva in questo caso l'azione di rivalsa nei confronti del costruttore-venditore;

- in tema di condominio di edifici il lastrico solare - anche se attribuito in uso esclusivo, o di proprietà esclusiva di uno dei condomini - svolge funzione di copertura del fabbricato e perciò, l'obbligo di provvedere alla sua riparazione o ricostruzione, sempre che non derivi da fatto imputabile soltanto a detto condomino, grava su tutti, con ripartizione delle spese secondo i criteri di cui all'art. 1126 c.c.. Ne consegue che il condominio, quale custode ex art. 205 c.c. - in persona dell'amministratore, rappresentante di tutti i condomini tenuti ad effettuare la manutenzione, ivi compreso il proprietario del lastrico o colui che ne ha l'uso esclusivo - risponde dei danni che siano derivati al singolo condomino o a terzi per difetto di manutenzione del lastrico solare. A tal fine i criteri di ripartizione delle spese necessarie non incidono sulla legittimazione dei condominio nella sua interezza e del suo amministratore, comunque tenuto a provvedere alla conservazione dei
diritti inerenti alle parti comuni dell'edificio ai sensi dell'art. 1130 c.c..

- l'obbligo del singolo condomino di contribuire in misura proporzionale al valore della sua unità immobiliare alle spese necessarie per la manutenzione e riparazione delle parti comuni dell'edificio e alla rifusione dei danni subiti dai singoli condomini nelle loro unità immobiliari, a causa dell'omessa manutenzione o riparazione delle parti comuni, trova la sua fonte nella comproprietà delle parti comuni dell'edificio e non nella specifica condotta illecita ad esso attribuibile, potendo tale condotta, ove provata, esclusivamente far sorgere a suo carico l'obbligo di risarcire il danno complessivamente prodotto ex art. 2043 c.c.. Tale principio trova applicazione anche quando i danni derivino da vizi e carenze costruttive dell'edificio, salva l'azione di rivalsa, ove possibile, nei confronti del costruttore.

- il lastrico solare anche se attribuito in uso esclusivo o di proprietà esclusiva di uno dei condomini, svolge funzione di copertura del fabbricato e perciò l'obbligo di provvedere alla sua riparazione o ricostruzione, sempre che non derivi da fatto imputabile soltanto a detto condomino, grava su tutti i condomini, con ripartizione delle relative spese secondo i criteri di cui all'art. 1126 c.c. di conseguenza il condominio risponde, quale custode ex art. 2051 c.c. dei danni che siano derivati al singolo condomino o a terzi per difetto di manutenzione del lastrico solare non rilevando a tal fine che i necessari interventi riparatori o ricostruttivi non consistano in un mero ripristino delle strutture preesistenti, ma esigano una specifica modifica od integrazione in conseguenza di vizio carenze costruttive originarie.

La Corte d'appello ha puntualmente applicato al caso di specie i detti principi affrontando specificamente - al contrario di quanto dedotto dai ricorrenti nel motivo in esame - la diversa tesi fatta propria dal primo giudice e ritenuta infondata alla luce dei sopra riportati principi. La corte di merito ha peraltro evidenziato che, comunque, come chiarito dal c.t.u., le opere eseguite dai C. - Ca. avevano riguardato "la risoluzione delle problematiche infiltrative in quanto effettivamente finalizzate alla impermeabilizzazione ex nova del lastrico solare ed al conseguente ripristino dei luoghi senza introduzione di particolari innovazioni o miglioramenti rispetto allo stato ante operam se non l'abbattimento della vetustà dei materiali".

Da ciò l'infondatezza sotto tutti gli aspetti della censura in esame: del tutto insussistenti sono pertanto le asserite violazioni di legge e i lamentati vizi di motivazione.

Il ricorso va di conseguenza rigettato con la condanna dei soccombenti ricorrenti in solido al pagamento, in favore dei resistenti, delle spese del giudizio di cassazione liquidate nella misura indicata in dispositivo.
P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al pagamento, in favore dei resistenti C.B. e C. L., delle spese del giudizio di cassazione che liquida in complessivi Euro 200,00, oltre Euro 2.000.00 a titolo di onorari ed oltre accessori come per legge.

condominio Nuove costruzioni prive di parcheggi: l'acquirente ha diritto al risarcimento danni




COMUNIONE E CONDOMINIO
Cass. civ. Sez. II, Sent., 10-01-2011, n. 346
Fatto Diritto P.Q.M.
Svolgimento del processo

I coniugi R.G., - S.T.; + ALTRI OMESSI convenivano avanti il Tribunale di Patti i germani A., B. e D. M.T..

Premettevano gli attori di avere acquistato, con separati atti, dai convenuti alcuni appartamenti, facenti parte dell'edificio da essi costruito in via (OMISSIS), in base al progetto approvato con le concessioni edilizie n. 103 e n. 104 del 7.8.1976; che tale progetto prevedeva, tra l'altro, la realizzazione di due parcheggi, di cui uno nel piano cantinato ed uno esterno, nonchè di un portico ad uso collettivo a piano terra; che i germani D., pur eseguendo le opere previste, ne avevano mutato la destinazione e in particolare avevano utilizzato come garage per alloggio di autovetture di terzi il parcheggio del piano cantinato ed avevano eliminato il portico edificandovi dei magazzini, omettendo, inoltre, di realizzare il parcheggio esterno ed eseguendo una sopra elevazione sull'ultimo terrazzo di copertura, con aggravamento delle parti comuni dell'edificio.

Gli attori premettevano ancora che, nei rispettivi atti di trasferimento, ad eccezione di quello stipulato con i coniugi R. - S., i convenuti avevano illegittimamente escluso dalla vendita ogni diritto sul piano cantinato, sul portico collettivo e sull'ultima copertura destinata a terrazza; che tali atti erano per questa parte nulli in quanto in contrasto con norme imperative e con il progetto approvato.

Premesso quanto sopra, gli attori chiedevano che i convenuti fossero condannati a cedere al giusto prezzo ed ai coniugi R. - S. gratuitamente, la quota di parcheggio loro spettante per legge, a ripristinare il portico collettivo, a trasferire ai predetti coniugi R. - S. il diritto all'ultima copertura- terrazzo, nonchè a risarcire i danni cagionati con la loro illegittima condotta.

Con successiva citazione, notificata il 14.1.1986 gli stessi attori, tranne Le.Ca., convenivano sempre avanti il Tribunale di Patti L.A., quale comproprietario del terreno su cui sorgeva l'edificio e venditore unitamente con i D., delle singole unità immobiliari, da essi acquistati proponendo le medesime domande.

Successivamente alla riunione delle due cause si costituivano i convenuti contestando le domande attrici e chiedendo, in via subordinata, riconvenzionalmente la condanna degli attori al pagamento del giusto prezzo per il parcheggio nonchè l'annullamento per errore del contratto stipulato con i coniugi R. - S..

Il Tribunale di Patti, con sentenza parziale n. 253/88, rigettava la domanda proposta da Le.Ca., quale procuratrice di D. V., nei confronti dei convenuti D. e dichiarava interamente compensate tra le parti le spese del giudizio;

dichiarava, inoltre, il diritto reale d'uso degli altri attori sugli spazi destinati a parcheggio, facenti parte del fabbricato di proprietà dei convenuti, con il diritto di questi ultimi ad ottenere l'integrazione del prezzo di vendita degli appartamenti venduti agli attori; dichiarava ancora ammissibile la domanda riconvenzionale proposta dai convenuti nei confronti degli attori R.G. e S.T. e disponeva, infine, con separata ordinanza per il proseguo del giudizio, rinviando al definitivo per le spese del giudizio.

Avverso detta sentenza proponevano appello i convenuti e, i coniugi R. - S., anche appello incidentale.

Con sentenza n. 165 del 19.12.1991 la Corte di Appello di Messina rigettava l'appello incidentale proposto dai coniugi R. - S. e, in parziale accoglimento dell'appello principale proposto dai convenuti, condannava Le.Ca. al pagamento in favore dei germani D. e di L.A. delle spese del giudizio di primo grado e di quello di appello; condannava i coniugi R. - S. al pagamento in favore dei germani D. e di L.A. delle spese del giudizio, confermava nel resto la impugnata sentenza, condannando gli appellanti al pagamento in favore degli appellati delle spese del giudizio di appello.

Nel giudizio di primo grado, dopo la rimessione della causa sul ruolo, veniva disposta ed espletata CTU e depositata pure altra relazione integrativa a chiarimento dei quesiti sollevati dalle parti; mentre, prima che venisse dichiarata l'interruzione del giudizio, gli attori provvedevano a chiamare in causa gli eredi del convenuto L.A. (deceduto nelle more) rimasti contumaci.

Con sentenza 5/12/2002 l'adito tribunale rigettava la domanda riconvenzionale proposta dai convenuti nei confronti dei coniugi R. - S. dichiarando valido in ogni sua parte il contratto notar Paternità 18/4/1980 riconoscendo perciò i coniugi comproprietari pro quota delle parti comuni.

Conseguentemente ordinava ai convenuti il ripristino del portico mediante l'eliminazione di tutte le opere che ne avevano alterato l'originaria destinazione come specificato dal c.t.u..

Ordinava ai convenuti di rilasciare le aree destinate a parcheggio relative al fabbricato sito in (OMISSIS) in favore dei coniugi R.G. e + ALTRI OMESSI secondo la relazione del C.T.U. ing. Be. e previo pagamento ai convenuti, a titolo di integrazione del prezzo di vendita dei singoli appartamenti da ciascuno di essi acquistato e a titolo di corrispettivo per il diritto reale d'uso sugli spazi destinati a parcheggio della complessiva somma di Euro 5.949,58 per ciascun posto auto scoperto ed Euro 7.139,50 per ciascun posto auto coperto, ad eccezione per i coniugi R. - S. cui il diritto andava riconosciuto senza corresponsione di corrispettivo.

Condannava, i convenuti a pagare a titolo di risarcimento danni per il mancato uso del posto macchina per tutti gli attori e, per i coniugi R. - S., anche per il mancato godimento delle parti comuni nonchè, ai sensi dell'art. 1127 c.c., tutte le somme come per ciascuno indicate in motivazione, tenuto conto delle compensazioni tra i vari crediti da ciascuna parte vantati.

Condannava i convenuti alle spese del giudizio.

Avverso la detta sentenza i D. - L. proponevano appello al quale resistevano gli appellati.

Con sentenza 6/3/2007 la corte di appello di Messina, in parziale riforma dell'impugnata decisione, dichiarava che nessuna somma era dovuta dai D. - L. a titolo di risarcimento danni per la mancata disponibilità del posto macchina, tranne per i coniugi S. - R.. Osservava la corte di merito: che, secondo gli appellanti, gli attori non avevano ancora pagato l'integrazione del prezzo per cui non avevano diritto al risarcimento del danno; che tale doglianza era fondata dovendosi distinguere la titolarità del diritto in questione (da riconoscere al momento della compravendita dell'immobile) dal concreto godimento dello stesso esercitabile solo dopo il pagamento del prezzo sullo spazio parcheggio e ciò in applicazione del principio del sinallagma contrattuale non potendosi riconoscere nei contratti a prestazioni corrispettive il godimento di un diritto senza il pagamento del corrispettivo; che nella specie il prezzo fissato nel contratto di compravendita non poteva riferirsi allo spazio
parcheggio escluso dal contratto; che gli appellanti, con la lettera 21/3/1985, si erano dichiarati disposti a vendere ai prezzi correnti il posto macchina senza ricevere alcuna risposta; che pertanto, il diritto di godimento sul bene parcheggio andava disconosciuto sino al momento del pagamento del prezzo per cui il danno lamentato andava ritenuto insussistente; che, in relazione alla posizione dei coniugi S. - R., gli appellanti avevano impugnato la sentenza per la parte che aveva riguardato il riconoscimento gratuito del loro diritto al posto macchina, all'uso del portico e alla proprietà della copertura destinata a terrazzo;

che, secondo gli appellanti, il tribunale aveva errato per aver ritenuto che tutte le pattuizioni contenute nel preliminare - nel quale era stato precisato che le zone previste in progetto ad uso collettivo restavano di pertinenza esclusiva del proprietario - fossero state modificate ed annullate con la stipula dell'atto pubblico nel quale era detto che "con l'appartamento vengono vendute pro quota le parti condominiali dell'edificio come per legge e compreso il diritto di stendere la biancheria sulla terrazza di copertura dell'intero edificio nella zona a ciò destinata dai venditori"; che, a dire degli appellanti, si trattava di una clausola equivoca e generica e di stile per cui l'interpretazione della stessa andava fatta collegandosi al contenuto del preliminare; che peraltro i D. - L. avevano sostenuto che i portici, la terrazza ed il posto macchina non dovevano considerarsi di proprietà comune, ma di esclusiva proprietà di essi appellanti risultando ciò dal titolo, ossia dal
preliminare, mentre l'atto pubblico costituiva un adempimento parziale delle obbligazioni convenute nel preliminare;

che, invece, al contrario di quanto sostenuto dagli appellanti, i contraenti, sottoscrivendo il contratto definitivo contenente la clausola relativa al trasferimento pro quota in favore dei coniugi acquirenti delle parti condominiali, avevano inteso realizzare detto trasferimento provvedendo a regolare i loro interessi in modo diverso da come avevano fatto con il preliminare; che, al fine di stabilire la sussistenza o meno di un titolo contrario alla presunzione di comunione stabilita dall'art. 1117 c.c., bisognava fare riferimento all'atto costitutivo del condominio e al contratto di vendita del (OMISSIS) nel quale il diritto dei coniugi acquirenti non era stato escluso; che il riferimento al regolamento condominiale non era pertinente e, in ogni caso, nel regolamento predisposto nel 1998 il piano cantinato, il portico e la terrazza risultavano inclusi tra le parti condominiali posto che all'art. 1 era precisato che rientravano tra le parti comuni tutto quanto era da considerarsi
comune ex art. 1117 c.c.; che pertanto bene aveva fatto il tribunale ad escludere l'integrazione del prezzo già pagato in quanto quello corrisposto doveva considerarsi comprensivo dei corrispettivo per il trasferimento della proprietà pro quota del parcheggio; che dal riconoscimento del diritto di comproprietà sulle parti comuni discendeva l'infondatezza delle doglianze relative alla conseguente statuizione di ripristino, risarcimento danni e di pagamento dell'indennità ex art. 1127 c.c.; che la previsione del diritto di stendere la biancheria nella zona del terrazzo a ciò destinata dai venditori andava intesa come una limitazione, accettata dai compratori, delle più ampie facoltà comprese nel diritto di proprietà; che gli appellanti andavano condannati al pagamento in favore dei coniugi R. - S. delle spese del giudizio di secondo grado; che le spese tra gli appellanti e gli altri appellati andavano compensate per la metà ponendosi l'altra metà a carico degli appellanti.

La cassazione della sentenza della corte di appello di Messina è stata chiesta - con ricorso affidato a tre motivi - da D. A., + ALTRI OMESSI .

Hanno resistito con controricorso S.T. (in proprio e quale erede di R.G. parte del giudizio di secondo grado), + ALTRI OMESSI . I resistenti (ad eccezione di S.T.) hanno proposto ricorso incidentale sorretto da un solo motivo. I D. - L. hanno resistito con controricorso al ricorso incidentale. Entrambe le parti hanno depositato memorie. All'udienza dei 27/4/2010 questa Corte - rilevato che non risultava depositato l'atto di pubblica/ione del testamento di D.B. - ha disposto l'integrazione del contraddittorio mediante notifica del ricorso principale agli eredi di D.B.. I ricorrenti hanno tempestivamente notificato e depositato il ricorso agli eredi di D.B. risultanti dalla allegata copia del verbale di pubblicazione del testamento del D..
Motivi della decisione

Il ricorso principale e quello incidentale vanno riuniti a norma dell'art. 335 c.p.c..

Con il secondo motivo del ricorso principale (il primo motivo va esaminato dopo gli altri riguardando le spese del giudizio tra i ricorrenti principali ed i ricorrenti incidentali con l'esclusione dei coniugi R. - S.) i D. - L. denunciano violazione degli artt. 1117, 1322, 1362 e seg. e 2932 c.c., nonchè vizi di motivazione, deducendo che dal principio richiamato dalla corte di appello inerente la diversa regolamentazione degli interessi tra preliminare e definitivo non discende la conseguenza inerente l'individuazione di un titolo contrario alla presunzione di condominialità. Le due questioni operano su piani diversi. Con riguardo ai rapporti tra preliminare e definitivo la corte di appello avrebbe dovuto fare applicazione del principio secondo il quale, nell'ipotesi in cui il contratto definitivo non esaurisca gli obblighi a contrarre previsti nel preliminare, occorre accertare la volontà negoziale delle parti valutando tra l'altro il contenuto di detto preliminare. Nella specie
è stata omessa l'indagine circa la volontà delle parti. La corte di merito ha errato nel ritenere che tutte le pattuizioni contenute nel preliminare fossero modificate ed annullate con la stipula del contratto definitivo. In particolare numerosi patti contenuti nel preliminare (nel dettaglio indicati) non sono stati estinti ed assorbiti con il definitivo in virtù della clausola di stile contenuta in detto definitivo e riportata nella sentenza impugnata. L'analitica disciplina contenuta nel preliminare non è stata riprodotta nel definitivo: tra i due contratti non vi è quindi sovrapposizione per incompatibilità delle clausole in quanto l'inclusione o l'esclusione di alcune parti dell'edificio dalla comunione condominiale non è stata affrontata dalla generica clausola di stile contenuta nel definitivo, clausola che, per ricostruire la volontà dei contraenti, andava interpretata ricollegandosi al contenuto del preliminare. Inoltre è errato il riferimento esclusivo all'art. 1117
c.c. posto che la presunzione di cui a detto articolo non si estende ai portici ed al cantinato. Al fine di risolvere il problema della condominialità dei detti beni va fatto riferimento all'atto costitutivo del condominio ed al regolamento di condominio. Con il primo - atto di permuta 2/7/1979 - è stato escluso qualsiasi diritto dell'acquirente al cantinato, al piano terreno (portico) ed "alla terrazza, riconoscendosi solo il diritto di stenditoio su 60 mq. di terrazzo. Il titolo contiene quindi una regolamentazione che supera la presunzione di cui all'art. 1117 c.c.. Anche l'art. 1 del regolamento condominiale - correttamente interpretato - e le carature millesimali inducono a desumere l'esclusione dei portici e del cantinato dai beni condominiali. Avendo accettato il regolamento di condominio i coniugi R. - S. non potevano essere considerati proprietari pro quota di beni non inclusi tra i tra le parti comuni. La comproprietà pro quota del terrazzo deve poi essere esclusa dalla
stessa formulazione della clausola contrattuale in base alla corretta interpretazione alla luce del canone di cui all'art. 1362 c.c., comma 1.

Al termine del motivo i ricorrenti hanno formulato i conseguenti, conferenti e coerenti quesiti di diritto ed hanno indicato il fatto controverso in relazione al quale hanno denunciato il vizio di motivazione.

Il motivo è fondato nei sensi e nei limiti di seguito precisati.

Occorre innanzitutto osservare che - come sopra ampiamente riportato nella parte narrativa che precede - con l'atto di appello i D. - L. censurarono la sentenza di primo grado sostenendo che la generica ed equivoca clausola contenuta nel definitivo (testualmente trascritta nella sentenza impugnata e sopra ripetuta) andava interpretata ricollegandosi al contenuto del contratto preliminare nel quale le parti avevano precisato che i portici la terrazza ed il posto macchina non dovevano considerarsi di proprietà comune ma di esclusiva proprietà dei promittenti alienanti.

La detta tesi difensiva degli appellanti è stata ritenuta infondata dalla corte di merito la quale ha affermato che con il contratto definitivo - contenente la detta clausola - le parti avevano inteso regolare i loro interessi in modo diverso da come fatto - con il preliminare. La corte di appello ha anche aggiunto che nella specie non sussistevano titoli contrari alla presunzione di comunione di cui all'art. 1117 c.c. atteso che il diritto dei coniugi R. - S. sui beni comuni non era stato escluso nel contratto definitivo e che per ritenere il contrario non era pertinente il richiamo al regolamento condominiale ed alle tabelle millesimali.

Ciò posto rileva la Corte che il punto centrale della controversia tra i D. - L. ed i coniugi R. - S. debba essere individuato nell'interpretazione del contratto definitivo e, in particolare e principalmente, nella più volte menzionata clausola definita dai ricorrenti principali "equivoca, generica e di stile".

Al riguardo la motivazione sviluppata nella sentenza impugnata a sostegno della interpretazione data alla clausola non si sottrae alle critiche che sono state mosse dai ricorrenti principali nel motivo in esame.

In proposito va evidenziato che se è vero che nella giurisprudenza di legittimità è prevalente il principio - applicato dalla corte di appello - secondo cui, una volta adempiuto l'obbligo nascente dal preliminare medesimo e stipulato, quindi, il contratto definitivo, è solo a quest'ultimo che occorre far riferimento quale fonte dei diritti e degli obblighi contrattuali: al contratto preliminare va riconosciuta la funzione di obbligare reciprocamente le parti alla stipulazione del contratto definitivo, la cui disciplina può anche non conformarsi a quella del preliminare, salvo che le parti non abbiano espressamente previsto che essa sopravviva.

E' del pari vero, però che, come questa Corte ha avuto modo di chiarire, il detto principio non può trovare applicazione nell'ipotesi in cui il contratto definitivo non esaurisca gli obblighi a contrarre previsti nel preliminare, occorrendo in tal caso accertare la volontà negoziale delle parti valutando tra l'altro il contenuto di detto preliminare (nei sensi suddetti sentenza 9/7/1999 n. 7206 relativa ad una fattispecie analoga a quella in esame).

Nella specie nessuna indagine risulta essere stata svolta dalla corte di appello al fine di accertare l'avvenuto o il non avvenuto esaurimento degli obblighi a contrarre specificati nel preliminare.

La corte di appello ha interpretato la volontà negoziale delle parti richiamando semplicisticamente la menzionata clausola senza tener conto del detto orientamento giurisprudenziale e senza far alcun riferimento al contenuto del contratto preliminare come invece sarebbe stato necessario al fine di accertare l'effettiva volontà delle parti anche in ordine alla esatta identificazione dell'oggetto del contratto definitivo ed alla intenzione dei contraenti di apportare rilevanti e consistenti modifiche a quanto concordato nel contratto preliminare ed ivi analiticamente e dettagliatamente specificato. In particolare, tra l'altro, la corte territoriale - come dedotto dai ricorrenti principali - nell'interpretare il contratto definitivo e la più volte menzionata clausola: non ha considerato che al contratto definitivo era stata allegata la planimetria solo dell'appartamento e non dell'edificio con l'indicazione delle parti comuni; non ha fatto alcun cenno alla situazione dei luoghi con
riferimento alle parti in questione (portico, terrazzo, spazi destinati a parcheggio) al momento della stesura del definitivo; non ha indicato il prezzo concordato dalle parti nel contratto preliminare e quello pattuito nel contratto definitivo (spiegando il perchè dell'eventuale mancata modifica di tale prezzo malgrado la rilevante differenza dell'oggetto dei due contratti).

Va aggiunto che la corte di appello - nell'interpretare la citata clausola contenuta nel contratto definitivo concernente la vendita pro quota, con l'appartamento, delle "parti condominiali dell'edificio come per legge....." con particolare riferimento al posto macchina, al portico e alla copertura destinata a terrazza - non ha tenuto conto dei seguenti principi più volte affermati da questa Corte:

- la presunzione di comunione di cui all'art. 1117 c.c. postula la destinazione delle cose elencate in tale norma al godimento o al servizio del condominio, mentre viene meno allorchè si tratti di un bene dotato di propria autonomia ed indipendenza e pertanto non legato ad una destinazione di servizio rispetto all'edificio condominiale, in quanto, non trattandosi di presunzione assoluta, essa rimane vinta dalla destinazione particolare cosi come da un titolo contrario (sentenza 7/7/2003 n. 10700);

- il diritto di condominio sulle parti comuni dell'edificio ha il suo fondamento nel fatto che tali parti siano necessarie per l'esistenza dell'edificio stesso, ovvero che siano permanentemente destinate all'uso o al godimento comune. Di tali parti, l'art. 1117 c.c. contiene un'elencazione non tassativa ma meramente esemplificativa, con la conseguenza che la disposizione in parola può essere integrata "ab estrinseco" se la cosa, per obbiettive caratteristiche strutturali, serve in modo esclusivo all'uso o al godimento di una parte dell'immobile, venendo meno, in questi casi, il presupposto per il riconoscimento di una contitolarità necessaria, giacchè la destinazione particolare del bene prevale sull'attribuzione legale, alla stessa stregua del titolo contrario (sentenza 28/2/2007 n. 4787);

- nel condominio, caratterizzato dalla coesistenza nell'edificio di una pluralità di piani o porzioni di piano di proprietà esclusiva, l'attribuzione della proprietà comune sancita dall'art. 1117 c.c. trova fondamento nel collegamento strumentale ed accessorio fra le cose, i servizi e gli impianti indicati dalla norma citata e le unità immobiliari appartenenti ai. singoli proprietari, giacchè presupposto della comunione è che i beni indicati dall'art. 1117 c.c. per caratteri materiali e funzionali, siano necessari per l'esistenza e l'uso delle singole proprietà ovvero siano oggettivamente destinati in modo stabile al servizio e al godimento collettivo (sentenza 29/11/2004 n. 22408);

- in tema di condominio, le parti comuni di un edificio formano oggetto di un compossesso pro indiviso che si esercita diversamente a seconda che le cose, gli impianti ed i servizi siano oggettivamente utili alle singole unità immobiliari, a cui sono collegati materialmente o per destinazione funzionale (come ad esempio per suolo, fondazioni, muri maestri, facciata, tetti, lastrici solari, oggettivamente utili per la statica), oppure siano utili soggettivamente, sicchè la loro unione materiale o la destinazione funzionale ai piani o porzioni di piano dipenda dall'attività dei rispettivi proprietari (come ad esempio per scale, portoni, anditi, portici, stenditoi, ascensore, impianti centralizzati per l'acqua calda o per aria condizionata); pertanto, nel primo caso l'esercizio del possesso consiste nel beneficio che il piano o la porzione di piano - e soltanto per traslato il proprietario - trae da tali utilità, nel secondo caso nell'espletamento della predetta attività da parte
del proprietario (sentenza 28/4/2004 n. 8119).

Il giudice di appello, pur se tra le parti sussisteva contestazione in ordine alla natura condominiale o meno del portico, del terrazzo e dei posti auto ed alla destinazione oggettiva e permanente di tali beni (per ubicazione e struttura) a servizio di tutti i condomini o di uno solo, ha ritenuto tali beni compresi tra le parti comuni dell'edificio condominiale sulla base della riportata clausola del contratto definitivo trascurando del tutto l'indagine sulla destinazione effettiva dei beni in questione con riferimento alle deduzioni ed alle allegazioni degli appellanti e non svolgendo quindi in proposito alcuna valutazione.

Tale carenza assume rilievo - sia in relazione all'interpretazione della volontà negoziale secondo i criteri di cui agli artt. 1362 e seg. c.c., sia in relazione all'art. 1117 c.c., - alla luce dell'orientamento consolidato di questa Corte secondo cui la presunzione di cui all'art. 1117 c.c. postula la destinazione delle cose elencate in tale norma al godimento od al servizio del condominio, mentre viene meno allorchè si tratti di un bene dotato di propria autonomia ed indipendenza e pertanto non legato da una destinazione di servizio rispetto all'edificio condominiale.

Va inoltre segnalata la contraddittorietà della motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui ha prima dichiarato che non era pertinente il richiamo al regolamento condominiale ed alle tabelle millesimali ed ha poi affermato che nel regolamento condominiale (predisposto del 1998, ossia ben oltre il contratto definitivo del 1980) "il piano cantinato, il portico e la terrazza" risultavano inclusi tra le parti condominiali. Peraltro la corte di appello è pervenuta a tale conclusione in virtù di una del tutto immotivata interpretazione dell'art. 1 del regolamento condominiale omettendo di riportare il contenuto di tale articolo e senza far alcun riferimento in ordine all'approvazione del regolamento da parte di tutti i condomini e, in particolare, dei coniugi R. - S..

Analogamente nella sentenza impugnata, pur affermandosi - come sopra riportato - che "al fine di stabilire se sussista un titolo contrario alla presunzione di comunione stabilita dall'art. 1117 c.c. occorre far riferimento all'atto costitutivo di condominio e al contratto di vendita", non si fornisce alcun chiarimento in ordine al contenuto dell'atto costitutivo del condominio.

Dall'accoglimento del secondo motivo del ricorso principale discente logicamente l'assorbimento del terzo con il quale i D. - L. denunziano vizio di omessa pronunzia, vizio di violazione di legge e vizio motivazionale in relazione alle statuizioni, con cui la corte d'appello, avendo ritenuto sussistente il diritto di comproprietà pro - quota spettante ai coniugi R. - S. sia sugli spazi (piano cantinato e spazio esterno) destinati a parcheggio dell'edificio condominiale sito in via (OMISSIS) sia sulle parti comuni di detto edificio non escluse dalla vendita (portico ad uso collettivo a piano terra e terrazzo di copertura), ha disatteso le doglianze sollevate da essi D. - L. in ordine al riconoscimento in favore dei citati coniugi R. - S.: del diritto sugli spazi-parcheggio senza pagamento di integrazione del corrispettivo; del diritto al risarcimento del danno conseguente al mancato godimento degli stessi spazi-parcheggio; del diritto al risarcimento del danno conseguente al mancato
godimento delle altre parti comuni dell'edificio non escluse dalla vendita (portico ad suo collettivo a piano terra e terrazzo di copertura); infine del diritto al ripristino del portico a piano terra secondo la destinazione originaria prevista in progetto (portico ad uso collettivo).

Infatti dalla sopra rilevata fondatezza del secondo motivo del ricorso principale deriva inevitabilmente l'assorbimento del terzo motivo poichè la corte d'appello, che ha pronunziato sul merito delle questioni inerenti la sussistenza o meno dei diritti di godimento e di risarcimento del danno spettanti ai coniugi R. - S. con riferimento agli spazi - parcheggio ed alle altre parti comuni, ha conseguentemente confermato la sentenza di primo grado concernenti le statuizioni "di ripristino, di risarcimento danno e di pagamento dell'indennità ex art. 1127 c.c." basate sul riconoscimento del diritto di comproprietà dei coniugi R. - S. sulle parti comuni in questione. Di tali questioni si dovrà occupare il giudice del rinvio dopo aver proceduto ad interpretare il contratto definitivo stipulato dalle parti e dopo aver riconosciuto o meno (all'esito di detta operazione ermeneutica) in capo agli acquirenti coniugi R. - S. il diritto di proprietà pro quota dei beni in contestazione.

Con l'unico motivo del ricorso incidentale i resistenti (ad eccezione di S.T.) hanno denunciato violazione dell'art. 872 c.c. - formulando il connesso quesito di diritto - deducendo che la corte di appello ha scisso i due momenti dell'acquisto del diritto reale sul posto macchina (individuato alla data della stipula del contratto di compravendita) e del concreto godimento di tale posto macchina (indicato all'atto del "pagamento del prezzo sullo spazio parcheggio"). Tale pronuncia viola il citato art. 872 c.c. il cui comma 2 prevede una fattispecie obbligatoria di risarcimento danni che trova applicazione anche nel caso di elusione del vincolo di destinazione delle aree destinate a parcheggio. Pertanto il venditore che non trasferisce al compratore il diritto reale d'uso sullo spazio destinato a parcheggio viola la normativa urbanistica andando incontro alla responsabilità risarcitoria prevista dalla menzionata norma. L'importo da liquidare al detto titolo va determinato con
decorrenza dalla data di stipula del contratto di compra vendita avente ad oggetto l'appartamento cui il posto macchina è destinato a servire. La corte di appello non ha considerato il principio secondo cui il sinallagma contrattuale nei contratti di compravendita di unità immobiliari con relativo posto macchina opera nel senso che gli effetti legali, dipendenti dalla inderogabilità del vincolo di destinazione urbanistica gravante sugli spazi parcheggi, si producono in egual misura per le parti contrattuali: il compratore acquista ex lege il diritto reale d'uso sulla spazio destinato a parcheggio, il venditore ha diritto ex lege all'integrazione del prezzo. Peraltro il riconoscimento in via giudiziaria del diritto reale d'uso sullo spazio destinato a parcheggio, sorgendo ex lege al momento del trasferimento dell'unità immobiliare, non può essere condizionato o subordinato all'accertamento giudiziale dell'integrazione del corrispettivo che può essere anche successivo ed
indipendente dal detto riconoscimento. Al termine del motivo i ricorrenti hanno formulato il seguente quesito di diritto:

"Dica la Suprema Corte se dal presupposto che il trasferimento del diritto reale d'uso sullo spazio destinato a parcheggio è un effetto reale ex lege del contratto di compravendita e sorge al momento della stipula di detto contratto discende la conseguenza che appunto già al momento della stipula del contratto di compravendita nasce per il condomino la facoltà di esercitare il diritto reale d'uso sullo spazio destinato a parcheggio dell'edificio condominiale, servendosi del posto - macchina di sua pertinenza, cosicchè già dallo stesso momento della stipula del contratto definitivo di compravendita viene a sussistere il danno, che scaturisce dalla lesione del detto diritto reale d'uso".

Il motivo è manifestamente fondato.

Innanzitutto va rilevato che, al contrario di quanto eccepito in via preliminare dai D. - L. nel controricorso al ricorso incidentale, correttamente i ricorrenti incidentali hanno fatto riferimento all'art. 872 c.c. ed a riguardo è appena il caso di osservare che, conformemente a quanto in proposito questa Corte ha avuto modo di affermare, l'esecuzione del contratto nullo per violazione della norma imperativa urbanistica della L. n. 765 del 1967, art. 18, essendo elusiva del vincolo di destinazione al quale è sottoposta l'area di parcheggio, è causa di danno ingiusto, risarcibile ai sensi dell'art. 872 c.c., comma 2, per coloro che di questa non abbiano potuto fare uso pur avendone il diritto (in tali sensi, tra le tante, sentenze 29/7/2008 n. 20563; 4/2/2000 n. 1248;

27/12/1994 n. 11188).

Ciò posto va evidenziato che la corte di appello si è posta in netto ed insanabile contrasto con i seguenti principi più volte affermati nella giurisprudenza di legittimità e che il Collegio condivide e fa propri:

- in tema di spazi riservati a parcheggio secondo quanto prescrive, per le nuove costruzioni, la L. 6 agosto 1967, n. 765, art. 18, il riconoscimento in via giudiziaria del diritto dei proprietari acquirenti degli appartamenti dell'immobile di usufruire dell'area di parcheggio nonostante la riserva di proprietà a favore dell'alienante, originario proprietario dell'edificio, non presuppone nè è condizionato al previo accordo sulla misura della integrazione del corrispettivo della vendita degli appartamenti, nè all'accertamento giudiziale di tale integrazione, che può essere anche successivo ed indipendente dal predetto riconoscimento (sentenza 28/5/1993 n. 5979);

- in tema di contratto di compravendita di immobili cui sia stata illegittimamente sottratta la superficie destinata "ex lege" ad area di parcheggio, l'integrazione del contratto di compravendita parzialmente nullo - che si attua mediante il riconoscimento del diritto d'uso in favore dell'acquirente, ed il corrispondente riconoscimento del diritto al corrispettivo in favore dell'alienante - avviene, quanto, in particolare, al riconoscimento del corrispettivo, "ope legis" quanto all"an", ed "ope iudicis" con riferimento al "quantum" (ove sorga contestazione sul soggetto titolare dell'attribuzione ovvero sull'ammontare della liquidazione), con la conseguenza che, in quest'ultimo caso, il riequilibrio "ope iudicis" del corrispettivo originariamente pattuito ben può avvenire in un separato giudizio (sentenza 18/4/2000 n. 4977);

- in tema di aree destinate a parcheggio interne o circostanti ai fabbricati, e in presenza de vincolo di natura pubblicistica imposto dalla L. n. 1150 del 1942, art. 41 sexies - che riserva l'uso diretto dei relativi spazi alle persone che stabilmente occupano le singole unità immobiliari dei fabbricati di nuova costruzione - deve escludersi che solo l'offerta del corrispettivo da parte dell'acquirente ai venditore determini l'obbligo di quest'ultimo di cedere il compossesso delle aree in questione. Nessuna traccia, infatti, esiste nella norma "de qua", di un preteso obbligo dell'acquirente di attivarsi offrendo un corrispettivo per la cessione, quale condizione per l'insorgenza dell'obbligo in capo al venditore di consentire il diritto di uso di cui si tratta (sentenza citata 29/7/2008 n. 20563).

E' quindi errata la sentenza impugnata nella parte in cui ha escluso la sussistenza di un danno per il mancato godimento dello spazio destinato a parcheggio "sino a quando non sarà corrisposta la relativa integrazione del prezzo".

In accoglimento dell'unico motivo del ricorso incidentale la sentenza impugnata va cassata sul punto in questione dovendosi dare, riposta affermativa al quesito di diritto formulato dai ricorrenti incidentali e sopra riportato.

Dall'accoglimento del ricorso incidentale deriva l'assorbimento del primo motivo del ricorso principale che riguarda il governo delle spese del giudizio tra i ricorrenti principali ed i ricorrenti incidentali con l'esclusione dei coniugi R. - S.. Di tale questione si dovrà occupare il giudice del rinvio dopo aver riesaminato la controversia tra le dette parti applicando il principio di diritto sopra enunciato.

In definitiva vanno accolti il secondo motivo del ricorso principale e l'unico motivo del ricorso incidentale, con assorbimento del primo e del terzo motivo del ricorso principale. La sentenza impugnata va di conseguenza cassata, in relazione ai motivi accolti, con rinvio della causa alla corte di appello di Catania che procederà ad un nuovo esame tenendo conto dei rilievi sopra svolti, uniformandosi ai principi di diritto sopra enunciati e provvedendo a colmare le evidenziate carenze, lacune e incongruità di motivazione.
P.Q.M.

La Corte, riunisce i ricorsi, accoglie il secondo motivo del ricorso principale e l'unico motivo del ricorso incidentale, assorbito il primo e il terzo motivo del ricorso principale, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla corte di appello di Catania.