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martedì 22 marzo 2011

Codice della strada, zone a traffico limitato. Limiti alla contestazione

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE II CIVILE
Sentenza 11 gennaio – 4 marzo 2011, n. 5252

Svolgimento del processo

A seguito di ricorso tempestivamente depositato avverso tre distinti verbali di accertamento elevati dal Comando di Polizia municipale di Bologna nei confronti di #################### (tutti per violazione dell'art. 7 c. strada relativamente all'avvenuto transito in z.t.l. del Comune di Bologna), il giudice di pace adito, con sentenza n. 4071/2004 (depositata il 1 dicembre 2004), rigettava, in via principale, l'opposizione proposta, dichiarava sussistenti giusti motivi per la riduzione dell'importo dovuto all'opposta P.A. entro il limite del minimo edittale e compensava tra le parti le spese del giudizio.
Avverso la suddetta sentenza del giudice di pace di Bologna ha proposto ricorso per cassazione (notificato al Comune di Bologna il 10 giugno 2005) #################### , basato su tre motivi, avverso il quale si è costituito in questa fase l'intimato ente con apposito controricorso (notificato il 15 luglio 2005). Il difensore della ricorrente ha depositato memoria illustrativa.

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo la ricorrente ha dedotto la violazione e falsa applicazione dell'art. 201, comma 1, del codice della strada e dell'art. 385 del regolamento di attuazione dello stesso codice (d.P.R. n. 495/1992), in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., con riferimento all'assunta illegittimità dei verbali impugnati per omessa indicazione delle modalità con le quali erano avvenuti gli accertamenti e dei motivi che avevano reso impossibile la contestazione immediata.
1.1 Il motivo è infondato e deve, pertanto, essere rigettato.
Si ricorda che, nel contesto del quadro normativo che aveva conosciuto numerose modifiche al testo originario del d.lgs. n. 285/1992 (individuante il nuovo codice della strada), intervenne, nel 2003, con significativa incidenza su di esso, il d.l. n. 151 del 27 giugno (pubbl. in G.U. 30 giugno 2003, n. 149), convertito, con modif., nella l. 1 agosto 2003, n. 214 (pubbl. in G.U. 12 agosto 2003, n. 186, suppl. ord. n. 133), il quale, con l'art. 4, comma 1, ebbe ad apportare una serie di variazioni all'art. 201 del predetto decreto legislativo riportando direttamente in questa norma l'elenco dei casi per i quali non poteva ritenersi - per espresso disposto normativo - necessaria la contestazione immediata, fermo restando l'obbligo, in queste ipotesi, per gli organi accertatori, di procedere comunque alla notificazione degli estremi della violazione nel termine (allora fissato) di 150 giorni dall'accertamento, con la riaffermazione del principio generale contenuto nel comma 1 della stessa disposizione in base al quale, in caso di impossibilità della stessa contestazione in forma immediata, il verbale - da notificarsi nel predetto termine - deve contenere l'esplicazione sufficiente dei motivi della riferita impossibilità.
In particolare il nuovo comma 1 bis dell'ari 201 (prima dell'integrazione recentemente apportata dall'ari 36, comma 1, della l. 29 luglio 2010, n. 120), così complessivamente disponeva nella sua versione originaria (applicabile specificamente nell'ipotesi esaminata dal giudice di pace di Bologna): "Fermo restando quanto indicato dal comma 1, nei seguenti casi la contestazione immediata non è necessaria e agli interessati sono notificati gli estremi della violazione nei termini di cui al comma 1:
a) impossibilità di raggiungere un veicolo lanciato ad eccessiva velocità;
b) attraversamento di un incrocio con il semaforo indicante la luce rossa;
c) sorpasso vietato;
d) accertamento della violazione in assenza del trasgressore e del proprietario del veicolo;
e) accertamento della violazione per mezzo di appositi apparecchi di rilevamento direttamente gestiti dagli organi di Polizia stradale e nella loro disponibilità che consentono la determinazione dell'illecito in tempo successivo poiché il veicolo oggetto del rilievo è a distanza dal posto di accertamento o comunque nell'impossibilità di essere fermato in tempo utile o nei modi regolamentari;
f) accertamento effettuato con i dispositivi di cui all'art. 4 del di 20 giugno 2002, n. 121, convertito, con modificazioni, dalla l. 1 agosto 2002, n. 168, e successive modificazioni;
g) rilevazione degli accessi di veicoli non autorizzati ai centri storici, alle zone a traffico limitato, o della circolazione sulle corsie e sulle strade riservate attraverso i dispositivi previsti dall'art. 17, comma 133 bis, della l. 15 maggio 1997, n. 127.
Per le violazioni riconducibili a tutti questi casi, perciò, non si doveva considerare più necessaria la contestazione immediata e, sulla scorta del disposto del nuovo comma 1 ter del medesimo art. 201 (introdotto sempre per effetto dell'art. 4 del d.l. 27 giugno 2003, n. 151, conv. nella l. 1 agosto 2003, n. 214), si evinceva che il legislatore non aveva inteso imporre nemmeno l'osservanza dell'obbligo dell'esplicitazione dei relativi motivi, da ritenersi insiti - per presunzione di legge - nella natura stessa delle violazioni, risultando sufficiente procedere, nei termini prescritti, alla notificazione degli estremi dell'infrazione in modo preciso e dettagliato e con l'indicazione degli ulteriori elementi contenuti nell'art. 385, comma 1, del richiamato regolamento di esecuzione (rimasto immutato).
Più precisamente il citato comma 1 ter, nel primo periodo, recita: "Nei casi diversi da quelli di cui al comma 1 bis nei quali non è avvenuta la contestazione immediata, il verbale notificato agli interessati deve contenere anche l'indicazione dei motivi che hanno reso impossibile la contestazione immediata".
Da questa disposizione si desume, pertanto, che, al di fuori degli individuati casi, quando si procede a contestazione differita con la successiva notificazione degli estremi della violazione, è indispensabile anche indicare i motivi che non hanno consentito di provvedere alla contestazione stessa in modo contestuale all'accertamento e, tanto, sulla scorta dell'implicito presupposto che non sono solo quelli specificamente richiamati i casi in cui è possibile procedere a contestazione, per l'appunto, differita, potendo in concreto configurarsi altre particolari eventualità in cui, per motivi contingenti, è impedito agli organi accertatori di realizzare la contestazione immediata; in quest'ultima situazione rimane obbligatorio, a carico degli agenti, riportare l'indicazione specifica dei motivi ostativi alla stessa contestazione immediata.
Pertanto, alla stregua di questo impianto normativo, bisogna ritenere che nei casi elencati nell'art. 201, comma 1 bis, e. strada 1992 - da qualificarsi come ipotesi tipizzate di esclusione legale della necessità di assolvere all'obbligo della contestazione immediata - non può essere riconosciuto alcun margine di apprezzamento in sede giudiziaria circa la (eventuale) possibilità di effettuare la contestazione in forma, appunto, immediata e l'indicazione nel verbale del verificarsi di una di tali ipotesi non richiede ulteriori giustificazioni in ordine alla circostanza di non aver proceduto alla stessa contestazione immediata.
Alla stregua della riportata interpretazione del parametro normativo di riferimento riguardante il tipo di violazione contestata alla ricorrente (transito in z.t.l.), la doglianza dedotta con il primo motivo non è meritevole di pregio, risultando insussistente la supposta violazione di legge.
In proposito si deve ricordare che anche la più recente giurisprudenza di questa Corte ha escluso che, con riferimento alle violazioni in questione, sia obbligatoria la contestazione immediata, essendo stato statuito (v. Cass. 3 aprile 2007, n. 8244, e Cass. 15 ottobre 2008, n. 25180) che, in tema di accertamento delle infrazioni al codice della strada, l'espressa previsione contenuta nell'art. 201, comma 1 bis, codice della strada, così come introdotto dall'art. 4 d.l. 27 giugno 2003 n. 151, conv. in legge 1 agosto 2003, n. 214 (pacificamente applicabile, sul piano temporale, nella fattispecie), ha assoggettato ad identica disciplina, ai fini dell'esonero dall'obbligo di contestazione immediata, sia l'accesso alle zone a traffico limitato sia la circolazione sulle corsie riservate, così producendo l'effetto di rendere possibile, dal momento in cui tale norma è entrata in vigore, l'utilizzo dei dispositivi previsti dall'art. 17, comma 133 bis legge n. 127 del 1997 (cosiddette "porte telematiche"), specificandosi, peraltro, che tali dispositivi, anche se installati in conformità di specifiche autorizzazioni ministeriali precedenti l'entrata in vigore della lett. g) del comma 1 bis dell'art. 201 cod. str., consentono anche la rilevazione degli illeciti relativi agli accessi alle corsie riservate, poste in corrispondenza o all'interno dei varchi di accesso alle zone a traffico limitato.
2. Con il secondo motivo la ricorrente ha censurato la sentenza impugnata prospettando, in ordine all'art. 360, comma 1, n. 3 cpc, la violazione o falsa applicazione dell'art. 8, comma 2, della legge n. 689/1981, nonché, con riguardo all'art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., l'omessa motivazione circa un punto decisivo della controversia, sollecitando, in proposito, la rimessione degli atti alla Corte costituzionale per l'ottenimento della declaratoria di illegittimità costituzionale del menzionato art. 8, comma 2, della legge 24 novembre 1981, n. 689, nella parte in cui limita il proprio campo di applicazione alle violazioni in materia di previdenza ed assistenza obbligatorie.
2.1. Anche questo motivo non si prospetta fondato e deve, perciò, essere respinto, ritenendosi che sono sussistono i presupposti per sollevare la dedotta questione di costituzionalità.
Si osserva, al riguardo, che la legge n. 689 del 1981 contiene anche la previsione - con la consueta clausola di "salvezza" delle diverse disposizioni normative derogatrici - della disciplina relativa all'ipotesi della contestuale commissione di una pluralità di violazioni amministrative ascrivibile ad un unico agente, così occupandosi anche della fattispecie del concorso formale di infrazioni amministrative realizzato attraverso la trasgressione - mediante una sola condotta - di plurimi precetti amministrativi (c.d. concorso eterogeneo) o della stessa disposizione sanzionatoria (c.d. concorso omogeneo), mentre la diversa fattispecie della "continuazione" non era contemplata nell'impostazione originaria della richiamata legge depenalizzatrice, avendo ricevuto solo successivamente, in modo specifico e diretto, un riconoscimento limitato alle sole infrazioni contemplate in materia previdenziale ed assistenziale, alla stregua di un sopravvenuto intervento normativo integrativo dell'art. 8.
E per questo che la giurisprudenza di questa Corte (v., tra le tante, Cass. 16 dicembre 2005, n. 27799; Cass. 21 maggio 2008, n. 12974, e Cass. 6 ottobre 2008, n. 24655), alla quale si è correttamente conformato il giudice di pace nell'impugna sentenza, ha statuito, a più riprese, che in tema di sanzioni amministrative pecuniarie, l'art. 8 l. n. 689 del 1981 prevede il cumulo cosiddetto "giuridico" delle sanzioni per le sole ipotesi di concorso formale, omogeneo od eterogeneo, di violazioni, ossia nelle ipotesi di più violazioni commesse con un'unica azione ad omissione; non lo prevede, invece, nel caso di molteplici violazioni commesse con una pluralità di condotte. In tale ultima ipotesi non è applicabile per analogia la normativa in materia di continuazione dettata per i reati dall'art. 81 c.p., sia perché il menzionato ari 8 della legge n. 689 del 1981, al comma 2, prevede una simile disciplina solo per le suddette violazioni in materia di previdenza e assistenza obbligatoria (evidenziandosi così l'intento del legislatore di non estendere detta disciplina ad altri illeciti amministrativi), sia perché la differenza qualitativa tra illecito penale e illecito amministrativo non consente che attraverso l'interpretazione analogica le norme di favore previste in materia penale possano essere estese alla materia degli illeciti amministrativi.
Solo con il nuovo ari 8 bis, introdotto per effetto dell'art. 94 del d.lgs. 30 dicembre 1999, n. 507, nel quadro di un'innovazione più ampia facente riferimento all'istituto generale della "reiterazione delle violazioni" (che, in un certo qual senso, riprende la regolamentazione propria della recidiva rilevante nell'ambito penale), il legislatore ha inteso - con la previsione inclusa nel comma 4 della recente disposizione - conferire un rilievo diverso ed attenuato alla continuazione con riguardo a tutti gli illeciti amministrativi, disponendo che, nel caso di violazioni successive (alla prima), le stesse non sono valutate ai fini della reiterazione quando sono commesse in tempi ravvicinati e si prospettano riconducibili ad una programmazione unitaria. In sostanza, perciò, la rilevanza dell'unicità del "disegno trasgressivo" non è stata prevista in funzione dell'applicazione di una sanzione unica e ridotta nella sua determinazione quantitativa complessiva bensì quale situazione ostativa alla produzione degli effetti che altrimenti conseguirebbero in virtù del riconoscimento della sussistenza della "reiterazione", disciplinata nei precedenti commi del medesimo art. 8 bis.
Pertanto, nell'attuale quadro normativo, al di là di questo limitato (ed improprio) effetto conferito alla continuazione in relazione alla sua attitudine ad escludere le conseguenze della reiterazione, l'unificazione, ai fini dell'applicazione della sanzione - nella misura massima del triplo di quella prevista per la violazione più grave - in ordine a plurime trasgressioni di diverse disposizioni o della medesima disposizione, riguarda, ai sensi del comma 1 dell'art. 8 in questione, esclusivamente l'ipotesi in cui la pluralità delle violazioni discenda da un'unica condotta e, quindi, non opera nel caso di condotte distinte, quantunque collegate sul piano dell'identità di una stessa intenzione plurioffensiva (al di fuori ovviamente delle violazioni attinenti alla materia previdenziale ed assistenziale, indicate nel comma 2), nella cui ipotesi, perciò, trova applicazione il criterio generale del cumulo materiale delle sanzioni. In definitiva, in tema di sanzioni amministrative, l'istituto della reiterazione nell'illecito, previsto dall'articolo 8 bis della legge 24 novembre 1981 n. 689, introdotto dall'articolo 94 d.lgs. 30 dicembre 1999 n. 507, rappresenta il corrispondente in materia amministrativa di alcune forme della recidiva penale (specifica ed infraquinquennale, articolo 99, comma 2, numeri 1 e 2, c.p.), fungendo da circostanza aggravante nei casi espressamente previsti dalla legge. Pertanto, esso non opera quale elemento unificante ai fini della sanzione del precedente articolo 8 a guisa di continuazione (articolo 81, comma 2, c.p.), e non ha modificato il principio generale, desumibile dal citato articolo 8, secondo cui la sanzione più grave aumentata sino al triplo non può essere irrogata, salve le ipotesi eccezionali del secondo comma (violazioni delle norme previdenziali ed assistenziali), che nei soli casi di concorso formale (corrispondente al primo comma dell'articolo 81 c.p.). La previsione di cui al comma 4 del medesimo articolo 8 bis della legge 24 novembre 1981 n. 689, relativa alle "violazioni amministrative...commesse in tempi ravvicinati e riconducibili ad una programmazione unitaria", è dettata al solo fine di escludere l'effetto aggravante che deriverebbe dalla reiterazione e non in funzione dell'unificazione della sanzione.
Alla luce di tali argomentazioni la questione di costituzionalità - per supposta violazione dell'art. 3 Cost. - sollecitata dalla difesa della ricorrente appare manifestamente infondata, anche con riguardo all'indicato parametro normativo di cui al nuovo art. 8 bis della legge n. 689 del 1981, che deve, necessariamente, essere inquadrato nei confini precedentemente descritti, svolgendo una funzione ben circoscritta e non estensibile ad altre diverse ipotesi. Con riguardo alla suddetta questione (relativa all'art. 8, comma 2, della legge n. 689 del 1981) deve, quindi, essere riconfermato il principio secondo cui, in ipotesi di pluralità di illeciti amministrativi in violazione della medesima norma, ciascuna infrazione è assoggettabile a sanzione, non essendo in tal caso applicabile l'art. 8 legge n. 689 del 1981 (riferentesi alla diversa ipotesi in cui le violazioni siano state commesse con un'unica azione od omissione), né essendo estensibili agli illeciti amministrativi i principi in tema di continuazione riguardanti esclusivamente la materia penale, senza che, peraltro, per la mancata previsione della continuazione in "subiecta" materia, possa configurarsi un'ipotesi di illegittimità costituzionale sotto il profilo della disparità di trattamento, giacché tale disparità rispetto alle violazioni penali, come già rilevato dalla Corte Costituzionale (con la sentenza n. 421 del 1987 e le ordinanze n. 468 del 1989 e n. 23 del 1995), trova giustificazione proprio nella diversità dei due tipi di violazione.
3. Con il terzo motivo la ricorrente ha assunto la violazione e falsa applicazione dell'ari 201, comma 4, e. strada, nonché l'omessa motivazione circa un punto decisivo della controversia (con riferimento all'ari 360, comma 1, nn. 3 e 5, cpc), con riguardo all'illegittimo addebito delle spese per l'accertamento della titolarità del ciclomotore mediante il quale erano state commesse le violazioni contestate.
3.1. Anche questo motivo è infondato poiché la sentenza del giudice di pace è pienamente rispondente all'art. 201, comma 4, c.d.s., il quale sancisce che le spese di accertamento (e, quindi, per ogni accertamento, che impone la verifica, caso per caso, della titolarità del veicolo nel momento in cui è stata commessa l'infrazione) e di notificazione sono poste a carico di chi è tenuto al pagamento della sanzione amministrativa pecuniaria.
Peraltro, lo stesso giudice di pace ha, in sostanza, tenuto conto delle circostanze che la medesima infrazione era stata commessa con lo stesso motoveicolo e in un arco temporale circoscritto, onde, al fine di non far gravare anche le spese complessive derivanti dalla distinte attività di accertamento, ha rilevato la sussistenza di giusti motivi per disporre la riduzione dell'importo dovuto al Comune di Bologna entro il limite del minimo edittale, ragion per cui non si rileva nemmeno l'emergenza dello specifico interesse della ricorrente a far valere il motivo appena esaminato.
4. In definitiva il ricorso deve essere integralmente rigettato, con conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate come in dispositivo (non potendosi provvedere in questa sede anche ad una rideterminazione della pronuncia di compensazione delle spese disposta dal giudice di pace di Bologna nella sentenza impugnata, non avendo il Comune di Bologna - che ha invocato la vittoria di spese per entrambi i gradi di giudizio - proposto uno specifico motivo di ricorso incidentale, essendosi limitato a formulare un mero controricorso orientato all'ottenimento del rigetto dei motivi avanzati dalla ricorrente principale).

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione che liquida in complessivi Euro 600,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori come per legge.

Atto Camera Interrogazione a risposta scritta 4-11262 presentata da MAURIZIO TURCO lunedì 14 marzo 2011, seduta n.448 MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. - Al Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione, al Ministro della difesa, al Ministro dell'interno.- Per sapere - premesso che: il decreto-legge 22 febbraio 2011, n. 5 all'articolo 1 stabilisce che «1. Limitatamente all'anno 2011, il giorno 17 marzo è considerato giorno festivo ai sensi degli articoli 2 e 4 della legge 27 maggio 1949, n. 260. 2.




DECRETO LEGISLATIVO 11 febbraio 2011, n.21 Modifiche al decreto legislativo 20 novembre 2008, n. 188, recante l'attuazione della direttiva 2006/66/CE concernente pile, accumulatori e relativi rifiuti e che abroga la direttiva 91/157/CEE, nonche' l'attuazione della direttiva 2008/103/CE. (11G0059) (G.U. Serie Generale n. 61 del 15 marzo 2011)

lunedì 21 marzo 2011

Art. 25 della L. n. 183 del 2010 e art. 55-septies del D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, introdotto dall'art. 69 del D.Lgs. 27 ottobre 2009, n. 150 - Trasmissione per via telematica dei certificati di malattia. Indicazioni operative per lavoratori dipendenti e datori di lavoro del settore pubblico e privato.Emanata congiuntamente dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento della funzione pubblica, Dipartimento per la digitalizzazione della pubblica amministrazione e l'innovazione tecnologica ed il Ministero del lavoro e delle politiche sociali.

1° aprile 1981 - 1° aprile 2011 - Dalla smilitarizzazione ad oggi. "Una riforma non ancora applicata"

EDILIZIA: FILLEA CGIL, 25 MARZO PRESENTAZIONE OSSERVATORIO SU LEGALITA'

EDILIZIA: FILLEA CGIL, 25 MARZO PRESENTAZIONE OSSERVATORIO SU LEGALITA' =

Roma, 21 mar. - (Adnkronos/Labitalia) - Si terra' venerdi' 25
marzo a Roma, con inizio alle ore 9.30 presso la sede del Cnel a Roma,
la presentazione dell'osservatorio nazionale 'Edilizia e Legalita''
della Fillea Cgil, alla presenza del segretario generale del sindacato
Walter Schiavella, di Pier Luigi Vigna, gia' Procuratore nazionale
Antimafia e presidente del comitato scientifico dell'Osservatorio, e
di Serena Sorrentino, segretario confederale della Cgil, che
concludera' i lavori.

Il progetto dell'Osservatorio nasce dalla volonta', si legge in
una nota del sindacato, "di continuare a contrastare con maggiore
decisione le infiltrazioni mafiose nei luoghi di lavoro, lo
sfruttamento degli esseri umani, l'uso distorto del denaro pubblico,
lo scempio del territorio. In particolare, si propone di fare emergere
le drammatiche conseguenze che le lavoratrici e i lavoratori subiscono
in ordine alla presenza delle mafie, che si manifesta oltre che con la
privazione dei diritti civili con una recrudescenza del lavoro nero e
del caporalato".

Gli edili della Cgil hanno posto il tema della legalita' al
centro della propria iniziativa per il 2011, che sara' articolata
attraverso una serie di campagne e iniziative nazionali e
territoriali, tra cui la raccolta di firme, partita da pochi giorni,
per una legge contro il caporalato, promossa insieme alla Flai Cgil,
la categoria dei lavoratori dell'agroindustria, che ha gia' raccolto
numerose adesioni sul sito www.stopcaporalato.it. Alla presentazione
dell'Osservatorio 'Edilizia e Legalita'' parteciperanno anche
Salvatore Lo Balbo, segretario nazionale Fillea Cgil, e Claudio
Giardullo, segretario generale Silp per la Cgil.

(Lab/Opr/Adnkronos)
21-MAR-11 18:42

Sicurezza: sindacati il 23/3 presidio a Montecitorio, mentre a Palazzo Chigi CDM discute finanziamento fondo

SICUREZZA: SINDACATI, IL 23/3 PRESIDIO A MONTECITORIO
MENTRE A PALAZZO CHIGI CDM DISCUTE FINANZIAMENTO FONDO
(ANSA) - ROMA, 21 MAR - Un presidio a piazza Montecitorio
mercoledi' prossimo mentre il consiglio dei ministri a Palazzo
Chigi distutera' il provvedimento che riguarda il comparto
sicurezza e difesa. Lo annunciano i sindacati di polizia che
sottolineano come l'obiettivo della manifestazione sia quello di
vigilare perche' il Governo, ''dopo tanti impegni puntualmente
disattesi, affronti concretamente la questione dell'ulteriore
finanziamento, pari a 79 milioni di euro, del fondo perequativo
di 80 milioni gi… presente nella manovra finanziaria, e fornisca
garanzie circa la permanenza del finanziamento del riordino
delle carriere''.
Questa iniziativa, ricordano Siap, Silp CGIL, Coisp, Anfp, UIL
Penitenziari, FP-CGIL e UIL PA, segue la manifestazione di
Arcore del 14 marzo nell'ambito della quale il Presidente del
consiglio ha incontrato personalmente le organizzazioni
sindacali, ''ed ha assunto pubblicamente gli impegni che saranno
oggetto del provvedimento in discussione il 23 marzo''.

AU
21-MAR-11 19:21 NNNN

Frodi ai fondi strutturali della UE

UNIONE EUROPEA - IMPOSTE E TASSE IN GENERE

Frodi ai fondi strutturali della Ue

Umberto Mignosi

Reg. (CE) 21-06-1999, n. 1260/1999

FONTE
Fisco, 2011, 3, 380

ABSTRACT - Il presente articolo, premesse le necessarie indicazioni in materia di fondi strutturali dell’Unione europea, analizza la risposta sanzionatoria, sia penale che amministrativa, alle frodi perpetrate nei confronti degli stessi.



1. Premessa. Gli illeciti comunitari


L’illecito comunitario si può definire come qualsiasi comportamento idoneo a determinare un danno alle finanze dell’Unione europea. Finanze che vedono flussi in entrata alimentati dagli Stati membri e movimenti in uscita destinati a sostenere la politica agricola comune da un lato e le politiche strutturali dall’altro. Si tratta di cifre talmente rilevanti da costituire occasioni uniche da cogliere, sia per coloro che intendono realmente usufruirne per la realizzazione degli obiettivi per i quali sono erogate che, purtroppo, per soggetti dediti alla frode ed in grado di appropriarsi del denaro dopo averne simulato un corretto impiego. Questi ultimi comportamenti ledono pesantemente gli interessi finanziari dell’Unione europea, che è invece protesa, in sintesi:

1. dal lato della politica agricola comune, ad incrementare la produttività dell’agricoltura, ad assicurare un equo tenore di vita alla popolazione agricola, a stabilizzare i mercati, a garantire la sicurezza degli approvvigionamenti e ad assicurare prezzi ragionevoli nelle consegne ai consumatori;

2. sul versante delle politiche strutturali, all’eliminazione degli squilibri regionali ed alla salvaguardia delle infrastrutture e dell’occupazione (1).

Avendo questi interessi un elevato valore, è stato approntato, in tutti gli Stati membri, un adeguato sistema sanzionatorio, per lo più incentrato sulla risposta penale dell’ordinamento giuridico.

Nel settore della spesa pubblica “comune” un posto di rilievo è occupato dalle risorse finanziarie denominate “fondi strutturali”. Sulla base di una programmazione di durata pluriennale, rilevantissime somme di denaro vengono assegnate agli Stati membri per l’esecuzione di specifici programmi.

Pur essendo raccomandata l’adozione di sistemi di sorveglianza e di controllo, il numero delle frodi in questo settore rimane elevato.



2. La finanza dell’Unione europea


Nel 1957, con l’istituzione della Comunità economica europea, si è voluto promuovere, attraverso la creazione di un mercato comune ed il graduale ravvicinamento delle politiche economiche degli Stati membri, uno sviluppo armonioso nell’insieme della Comunità (2).

Tenuto conto dell’esigenza di finanziare tale obiettivo, già dall’anno successivo a quello della firma del Trattato di Roma, furono effettuati versamenti da parte degli Stati membri in base ad una suddivisione percentuale.

Attraverso vari passaggi, si è giunti al Trattato sull’Unione europea di Maastricht nel 1992 che ha posto come obiettivo primario dell’Unione la promozione di un progresso economico e sociale equilibrato e sostenibile, mediante la creazione di uno spazio senza frontiere interne, il rafforzamento della coesione economico-sociale e l’instaurazione di un’unione economica e monetaria.

Da Maastricht in avanti, il bilancio generale delle Comunità europee ha assunto la denominazione di bilancio generale dell’Unione europea. Il frutto di questa “marcia di avvicinamento” è costituito dall’aver introdotto un sistema di finanziamento autonomo e diretto dell’Unione. Quest’ultima dispone così di entrate indipendenti rispetto alle finanze dei singoli Stati membri (qualificate come “risorse proprie”), le quali, a loro volta, vengono utilizzate per il finanziamento di tutte le spese gestite dalla Ue, consistenti nelle erogazioni necessarie a garantire il perseguimento degli obiettivi previsti nel quadro delle singole politiche comunitarie (3).

Queste entrate non derivano però da “tributi comunitari” e rappresentano il “gettito” di prelievi istituiti ed applicati dagli Stati membri.

Attualmente le entrate di bilancio (cd “risorse proprie”), specificamente individuate dall’art. 2 della decisione 29 settembre 2000 in sintesi sono:

a) i dazi doganali alla frontiera esterna della Ue;

b) i prelievi agricoli;

c) gli altri tributi eventualmente previsti nel quadro della politica comunitaria conformemente ai dettami dei trattati istitutivi tra i quali rientrano anche le risorse provenienti dall’imposta sul valore aggiunto ottenute mediante applicazione di un tasso percentuale ad una base imponibile determinata in modo uniforme per tutti gli Stati membri;

d) un’aliquota applicata al prodotto interno lordo di tutti gli Stati.

Tra i dazi della tariffa doganale comune rientrano anche quelli antidumping i quali mirano a sterilizzare ogni effetto di distorsione economica conseguente alla scelta di introdurre merci extracomunitarie attraverso uno Stato membro in luogo dell’altro.

I dazi vengono riscossi non solo in occasione delle operazioni di importazione, ma in tutti i casi in cui prodotti extracomunitari vengono destinati, all’interno dell’Unione, ad uno dei regimi doganali previsti dal Codice doganale europeo (4).

Come è noto, il dumping è la pratica con cui vengono accordati prezzi all’esportazione inferiori rispetto a quelli posti sul mercato interno, con chiaro pregiudizio all’integrità della libera concorrenza nell’industria comunitaria.

I prelievi agricoli sono una particolare tipologia di diritti di confine applicati in relazione all’importazione di prodotti agricoli provenienti da Paesi terzi al fine di compensare la differenza fra i prezzi mondiali e i prezzi “interni” della Unione europea. A fianco di tali prelievi, vi sono, inoltre, quelli previsti a carico dei produttori nell’ambito del trattato CECA e i contributi sullo zucchero e l’isoglucosio anch’essi a carico dei relativi produttori.

La terza delle entrate testè menzionate, nonostante la sua definizione onnicomprensiva, include esclusivamente una quota (attualmente pari all’1%) delle entrate nette di ciascuno Stato membro a titolo d’imposta sul valore aggiunto.

A causa dell’esistenza di differenze nelle aliquote proprie di ciascuno Stato, nonché di un non perfetto allineamento nella determinazione dell’imposta indetraibile, la base sulla quale viene applicata la predetta percentuale viene ricalcolata e normalizzata attraverso una formula piuttosto complessa.

Infine, per quanto riguarda l’ultima tipologia di entrata (c.d. “quarta risorsa”) si tratta di un prelievo a carico di ciascuno Stato membro determinato applicando al relativo prodotto interno lordo (che, anche in questo caso, è suscettibile di alcune “correzioni”) un’aliquota uniforme attualmente pari all’1,2%. Tale aliquota costituisce la soglia massima della contribuzione, in quanto la “quarta risorsa” è applicata (sempre in base ad un’aliquota uniforme) solo fino alla misura necessaria a riequilibrare il bilancio comunitario.

Tale sistema è, evidentemente, composto in modo eterogeneo. In particolare le risorse sub a) e b) sono poste a carico dei membri delle collettività statali che compongono l’Ue; le prestazioni sub c) e d), invece, gravano direttamente sui singoli Stati.

Sebbene il gettito derivante dal complesso di istituti sopra descritto sia relativamente modesto, merita segnalare come un posto centrale abbia assunto negli ultimi anni la risorsa consistente in una prestazione dei singoli Stati membri commisurata al relativo prodotto interno lordo (5).

Infatti, questo istituto è stato introdotto come risposta ad un’esigenza di perequazione fra le prestazioni dei singoli Stati, alla quale non forniva idonea soluzione, invece, il contributo commisurato al gettito dell’Iva.

Quest’ultimo, infatti, è fortemente influenzato dalle propensioni al consumo delle diverse nazioni che, non risultando necessariamente correlate in via diretta alle variazioni del prodotto nazionale lordo degli Stati, possono caratterizzare il prelievo in senso fortemente regressivo.

Le risorse così incamerate vengono destinate alla realizzazione degli scopi delle Comunità.

Nelle uscite del bilancio generale dell’Unione europea sono infatti incluse:

a) le spese relative al funzionamento delle diverse Istituzioni comunitarie, alla gestione del personale, al mantenimento delle infrastrutture, eccetera,

b) le spese concernenti l’attuazione delle politiche comunitarie, corrispondenti agli obiettivi stabiliti dal Trattato di Roma. Queste possono essere fondamentalmente suddivise in due categorie e precisamente:

1. la politica agricola comune, i cui obiettivi principali consistono nell’incrementare la produttività dell’agricoltura (sviluppando il progresso tecnico, assicurando lo sviluppo razionale della produzione agricola ed un migliore impiego dei fattori di produzione), nonché nell’assicurare un equo tenore di vita alla popolazione agricola e nello stabilizzare i mercati, garantendo la sicurezza degli approvvigionamenti e assicurando prezzi ragionevoli nelle consegne ai consumatori. La responsabilità degli interventi finanziari in questo settore fa capo al Fondo europeo di orientamento e garanzia agricola (Feoga)/sezione garanzia, istituito nel 1962, che impegna la gran parte del bilancio dell’Unione;

2. le politiche strutturali, ovvero tutte le forme di finanziamento erogate dall’Unione europea, finalizzate a compensare gli squilibri economici e sociali esistenti tra le diverse regioni del territorio europeo e che costituiscono un ostacolo alla creazione di uniformi condizioni di crescita e sviluppo nel continente (6).



3. Il finanziamento delle politiche strutturali


Nel contesto delle politiche strutturali, assumono particolare rilievo le provvidenze erogate da alcuni fondi, ognuno dei quali è destinato a gestire gli interventi finanziari in uno specifico settore. Ciò avviene attraverso un sistema di pianificazione e realizzazione di carattere integrato e quindi fondato sul contestuale ricorso a più fonti di finanziamento. Le disposizioni generali sui fondi strutturali sono contenute nel Regolamento (CE) del Consiglio n. 1260/99 del 21 giugno 1999, pubblicato sulla GUCE L 161 del 26 giugno 1999. Si tratta, in particolare, dei seguenti strumenti, ciascuno disciplinato da appositi regolamenti comunitari:

1. Fondo europeo di orientamento e garanzia agricola (Feoga)/sezione orientamento (7), istituito nel 1962 (art. 34 Trattato CE), contribuisce a finanziare progetti volti al miglioramento ed eventualmente alla riconversione delle strutture di produzione, trasformazione e vendita dei prodotti agricoli, sulla base di progetti di investimento nazionali conformi alle disposizioni comunitarie. Il fondo partecipa anche agli interventi strutturali di sviluppo rurale;

2. Fondo Sociale europeo (Fse), (8) istituito nel 1958 (artt. 146-148 Trattato Ce), ha l’obiettivo di promuovere all’interno della Ue le possibilità di occupazione, anche con la creazione di posti di lavoro, e la mobilità geografica e professionale. Inoltre, esso tende a facilitare l’adeguamento alle trasformazioni industriali ed ai cambiamenti dei sistemi di produzione, in particolare attraverso la formazione e la riconversione professionale. Una delle principali attività finanziate dal Fondo sociale europeo è quindi rappresentata dall’organizzazione di corsi formativi;

3. Fondo europeo di sviluppo regionale (Fesr) (9), istituito nel 1975, destinato a contribuire alla correzione dei principali squilibri regionali esistenti nelle Comunità, partecipando allo sviluppo ed all’adeguamento strutturale delle Regioni in ritardo, nonché alla riconversione delle Regioni industriali in declino. Inoltre, contribuisce al sostegno degli investimenti produttivi e della creazione o dell’ammodernamento di infrastrutture sul territorio (strade, aeroporti, telecomunicazioni, eccetera);

4. Strumento finanziario di orientamento della pesca (Sfop) (10), che non è previsto espressamente dal Trattato. È deputato ad incentivare, nel settore della pesca, la competitività delle strutture operative nazionali ed a migliorare l’approvvigionamento e la valorizzazione dei prodotti della pesca e dell’acquacoltura. Pur non essendo classificabile tra i fondi strutturali è a questi assimilabile in quanto interviene per sostenere la politica comune della pesca mediante operazioni di ristrutturazione, associazioni temporanee di imprese, società miste, adeguamento delle capacità degli addetti. Può anche partecipare al finanziamento di iniziative che siano comunque finalizzate al miglioramento delle condizioni globali della pesca;

5. il Trattato di Maastricht sull’Unione europea ha istituito anche il fondo di coesione (art. 161 del Trattato Ce), con lo scopo di contribuire al finanziamento di progetti di interesse comune approvati dagli Stati membri in materia di ambiente, di infrastrutture dei trasporti e delle reti transeuropee nei settori dell’energia e delle telecomunicazioni. Il Fondo opera solo per quegli Stati che presentano un prodotto interno lordo inferiore al 90% della media dei Pil di tutti gli Stati membri dell’Unione (in pratica la Spagna, il Portogallo, la Grecia e l’Irlanda).

Il mercato comune comporta - come dispone l’art. 2, comma 1, lettera g), del Trattato Ce – “un regime inteso a garantire che la concorrenza non sia falsata nel mercato interno”. Sono perciò vietati, in linea di principio, gli “aiuti di Stato” (artt. 107-109, ex artt. 87-89).

Il divieto riguarda qualsiasi intervento, in qualsiasi forma, che allevia gli oneri che normalmente gravano sul bilancio di un’impresa, anche se non si tratta di sovvenzioni: la norma, quindi, riguarda anche le norme fiscali di favore.

In materia di esenzioni e agevolazioni fiscali alle imprese, quindi, il legislatore nazionale deve osservare l’art. 87 del Trattato (ora 107), a norma del quale sono incompatibili con il mercato comune gli aiuti di Stato che incidono sugli scambi tra gli Stati membri e quelli che, “favorendo talune imprese o talune produzioni falsino o minaccino di falsare la concorrenza” (11).

Lo stesso art. 87 prevede alcune deroghe: nel comma 2, dichiara compatibili de iure con il mercato comune alcuni tipi di aiuti (tra cui quelli concessi in occasione di calamità naturali o altri eventi eccezionali); nel comma 3, elenca i seguenti aiuti che “possono considerarsi compatibili con il mercato comune”:

a) gli aiuti destinati a favorire lo sviluppo economico delle regioni ove il tenore di vita sia anormalmente basso oppure si abbia una grave forma di sottoccupazione;

b) gli aiuti diretti a promuovere la realizzazione di importanti progetti di comune interesse europeo oppure a porre rimedio a gravi perturbamenti dell’economia di uno Stato membro;

c) gli aiuti rivolti ad agevolare lo sviluppo di talune attività o di talune regioni, purché non alterino le condizioni degli scambi in misura contraria all’interesse comune;

d) gli aiuti indirizzati a promuovere la cultura e la conservazione del patrimonio; e, infine,

e) le altre categorie di aiuti che siano determinate con decisioni del Consiglio.

L’art. 88 del Trattato Ce (ora 108) prevede che gli Stati, prima di adottare progetti diretti a concedere aiuti, devono comunicarli alla Commissione, e non possono eseguirli prima che la Commissione si sia pronunciata; la Commissione può stabilire che un aiuto di Stato sia soppresso o modificato.



4. La frode comunitaria


Una precisa indicazione delle fattispecie che possono realizzare una frode comunitaria è quella fornita dalla risoluzione del Consiglio del 6 dicembre 1994, concernente la tutela giuridica degli interessi finanziari della Comunità (12).

In base a questo provvedimento, rientrano nel concetto di frode comunitaria tutti gli atti e le omissioni intenzionali che causano un danno per il bilancio delle comunità o per i bilanci gestiti da esse per loro conto e che implicano, da un lato, appropriazione indebita, detenzione illecita e distrazione dei fondi e, dall’altro, un’indebita diminuzione delle entrate.

Una più puntuale descrizione dei casi che possono concretamente configurare l’ipotesi in discorso è contenuta nella Convenzione relativa alla tutela degli interessi finanziari dell’Unione europea (13).

In materia di uscite, comparto cui le politiche strutturali appartengono, costituisce frode che lede gli interessi finanziari della Ue qualsiasi azione od omissione intenzionale relativa:

a) all’utilizzo o alla presentazione di dichiarazioni o di documenti falsi, inesatti o incompleti, cui consegua la percezione o la ritenzione illecita di fondi provenienti dal bilancio generale della Ue (14);

b) alla mancata comunicazione di un’informazione in violazione di un obbligo specifico cui consegua lo stesso effetto;

c) alla distrazione di tali fondi per fini diversi da quelli per cui essi sono stati inizialmente concessi.

La nozione appena esposta deve essere tenuta distinta da quella, meno grave, di irregolarità. Infatti, il Regolamento n. 2988/1995 del Consiglio del 18 ottobre 1995, relativo alla protezione degli interessi finanziari delle Comunità, definisce irregolarità qualsiasi violazione di una disposizione del diritto comunitario, derivante da un’azione o da un’omissione di un operatore economico che abbia, o possa avere come conseguenza, un pregiudizio al bilancio generale delle Comunità o ai bilanci da queste gestiti, attraverso la diminuzione o la soppressione di entrate provenienti da risorse proprie, ovvero una spesa indebita.



5. I controlli sull’impiego dei fondi comunitari


La tutela degli interessi finanziari comunitari si fonda in gran parte sulla primaria competenza degli Stati membri, responsabili della gestione di oltre l’80% delle spese e della riscossione integrale delle risorse proprie tradizionali.

I vari tipi di controllo previsti dai regolamenti settoriali coinvolgono una molteplicità di attori e agenti a vari livelli dell’amministrazione nazionale (agenzie di pagamento, autorità di gestione, servizi nazionali centrali e decentrati, servizi degli enti locali).

Gli Stati membri sono tenuti a garantire una protezione effettiva degli interessi finanziari della Ue e ad assimilarli ai propri interessi nazionali.

In particolare gli Stati membri sono tenuti ad adottare una serie di misure intese a garantire che i fondi siano utilizzati in modo razionale e corretto (15).

Le principali modalità del controllo che gli Stati sono tenuti a porre in essere sono rappresentate dai controlli di regolarità, previsti dai regolamenti settoriali e dalle indagini antifrode, conformemente all’art. 280 del Trattato Ce.

I controlli di regolarità sono basati su verifiche documentali, fondate su un’analisi di rischio, come previsto dalla normativa comunitaria.

Gli Stati membri sono inoltre tenuti a effettuare azioni più mirate per lottare contro le frodi. Questi controlli, denominati indagini antifrode, vengono condotti in base a sospetti di frode che, a seconda degli Stati membri, vengono rilevati da organi diversi: polizia, amministrazioni fiscali e autorità giudiziaria (16).



6. Le frodi ai fondi strutturali più ricorrenti


Le frodi che si sono manifestate con maggiore ricorrenza nel settore delle politiche strutturalitengono conto degli obiettivi che, attraverso le risorse disponibili sui fondi, devono essere perseguiti. Poiché infatti a diverse finalità corrispondono diverse modalità operative, anche le tipologie di frodi possono assumere varie configurazioni. In pratica possiamo rinvenire illeciti realizzati producendo documentazione materialmente e/o ideologicamente falsa relativa a corsi di formazione professionale, cofinanziati con risorse comunitarie, in realtà non effettuati o svolti per periodi temporali o numero di frequentatori in misura inferiore a quella dichiarata. Essa consiste in fatture per operazioni inesistenti e relativi documenti di accompagnamento falsi, volti a certificare:

• acquisti di materiali didattici mai realizzati ovvero effettuati per quantitativi minori di quelli reali;

• operazioni di pagamento del personale docente per importi maggiori rispetto a quelli effettivamente corrisposti;

• locazione di immobili o locali da destinare all’attività di insegnamento, in realtà mai stipulate ovvero relative a periodi temporali più brevi di quelli dichiarati.

Parallelamente, si sono registrate false attestazioni riportate nei registri appositamente istituiti per documentare lo svolgimento dei corsi, concernenti la presenza del personale docente per orari di lezione superiori a quelli effettivi e la partecipazione di frequentatori in numero superiore a quello reale.

La produzione e l’utilizzazione di documentazione materialmente e/o ideologicamente falsa è stata riscontrata anche per il fine di certificare la realizzazione di opere pubbliche cofinanziate con sovvenzioni comunitarie, in realtà utilizzate soltanto in parte per gli scopi predeterminati. Può trattarsi di fatture per operazioni inesistenti e documenti di accompagnamento falsi, concernenti acquisti fittizi e/o maggiorati di materiali da costruzione, ovvero di false attestazioni riportate nella documentazione delle imprese appaltatrici dei lavori, concernenti principalmente:

• il numero del personale dipendente e della mano d’opera impiegati per l’esecuzione dello specifico appalto;

• gli emolumenti corrisposti al personale stesso;

• gli elementi attinenti alla progressiva realizzazione dell’opera, riportati nello stato di avanzamento lavori.

Infine, altre forme di illecito attengono alla non inerenza delle spese relative alla realizzazione di opere, strutture, acquisti di macchinari e prestazioni di servizi ed all’interposizione di soggetti di comodo, in possesso dei requisiti richiesti per la presentazione di progetti destinati a non essere mai realizzati, ma ideati al solo scopo di appropriarsi delle provvidenze così ottenute ed eludere sia le conseguenti azioni di recupero che le responsabilità penali.



7. Contestazione e notifica delle sanzioni


Il sistema sanzionatorio nazionale concernente i fondi strutturali prevede, sul versante penale, l’illecito di:

a) acquisizione indebita di erogazioni Feoga/sezione orientamento (art. 2 della L. 23 dicembre 1986, n. 898, come modificato dalla L. 29 settembre 2000, n. 300) e inoltre

b) truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche (art. 640-bis del codice penale),

c) malversazione a danno delle Comunità europee (art. 316-bis del codice penale), che si differenzia dall’ipotesi dell’art. 640-bis del codice penale in quanto presuppone che le provvidenze finanziarie siano state legittimamente acquisite);

d) indebita percezione di erogazioni ai danni dello Stato (art. 316-ter del codice penale).

In particolare, è interessante al riguardo la giurisprudenza della Cassazione (17):

“Il reato previsto dall’art. 2, legge 23 dicembre 1986, n. 898 – che punisce l’indebito conseguimento di contributi comunitari mediante la mera esposizione di dati o notizie false, deve ritenersi di carattere sussidiario rispetto a quello di truffa aggravata. Ne consegue che esso è configurabile solo quando il soggetto si sia limitato semplicemente ad una esposizione menzognera di dati e notizie, e non anche quando alle false dichiarazioni si accompagnino diversi ed ulteriori artifizi o raggiri quali ad esempio la formazione e l’utilizzazione di falsi documenti – che integrano, invece, il delitto di cui all’art. 640bis C.P.” (Sez. II, sent. n. 7280 del 24 luglio 1997).

“La condotta di chi consegue indebitamente sovvenzioni comunitarie mediante esposizione di dati e notizie false è perseguibile ai sensi dell’art. 640bis C.P. ove al mendacio si accompagni un quid pluris, cioè un’attività fraudolenta che vada ben oltre la semplice esposizione dei dati falsi, così da vanificare o comunque rendere meno agevole l’attività di controllo della richiesta da parte delle autorità preposte; quando invece la condotta si esaurisce nella esposizione dolosa di dati non veritieri viene ad essere realizzato l’illecito amministrativo – se la somma percepita è inferiore ai venti milioni di Lire – ovvero la speciale ipotesi criminosa – se trattasi di erogazioni di importo superiore – di cui all’art. 2, L. 23 dicembre 1986, n. 898, come modificata dall’art. 73, L. 19 febbraio 1992, n. 142” (Sez. II, sent. n. 375 del 13 gennaio 1998).

“Il reato previsto dall’art. 2, L. 23 dicembre 1986, n. 898 – che punisce l’indebito conseguimento di contributi comunitari mediante la semplice esposizione di dati o notizie falsi – ha carattere sussidiario rispetto al più grave reato di truffa (aggravata) che ricorre quando le suindicate condotte sono congiunte a malizie ulteriori dirette all’induzione in errore del soggetto passivo per conseguire indebitamente gli aiuti comunitari (Cfr. Corte Costituzionale 10 febbraio 1994, n. 25). (Fattispecie di pluralità di attività ingannatorie: simulazione di compravendite e trasporti inesistenti con relative bolle di accompagnamento e fatture, per cui la S.C. ha ritenuto correttamente ravvisato il delitto di truffa)” (Sez. V, sent. n. 4569 del 17 aprile 1998).

“Il reato di cui all’art. 316bis C.P. (malversazione in danno dello Stato) e quello di cui all’art. 640bis dello stesso codice (truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche) ben possono concorrere tra loro, atteso che la prima delle due norme anzidette, avendo come scopo quello di reprimere le frodi successive al conseguimento di prestazioni pubbliche (frodi attuate non destinando i fondi ottenuti alle finalità per le quali esse sono stati erogati), non postula che quelle prestazioni siano state ottenute con artifizi o raggiri, mentre questi ultimi necessari ai fini della configurabilità dell’altro reato, consistente nel procurarsi con la frode prestazioni alle quali non si avrebbe diritto, ottenute le quali vi è soltanto l’eventualità che esse vengano destinate a scopi diversi, così realizzandosi anche la violazione dell’art. 316bis C.P.” (Sez. I, sent. n. 4663 del 7 novembre 1998).

“L’art. 640bis C.P., al di là della non vincolante terminologia usata nella rubrica (truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche) configura un’ipotesi autonoma di reato rispetto alla truffa contemplata dall’art. 640 C.P.” (Sez. II, sent. n. 11582 del 9 novembre 1998).

“Il reato di cui all’art. 2 della L. n. 898 del 1986, con il quale si punisce l’esposizione di dati e notizia falsi per l’indebito conseguimento di contributi erogati dalla C.E.E., non comprende ogni condotta riconducibile alla fattispecie del delitto di truffa che può ipotizzarsi quando l’agente non si limita a indicare dati o notizie falsi, ma fa, anche, ricorso ad ulteriori artifici, attraverso la formazione e l’utilizzazione di false bollette di accompagnamento e fatture che attengono ad operazioni commerciali inesistenti”, (Sez. VI, sent. n. 11076 del 28 settembre 1999) (18).

“In materia di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche (art. 640bis cod. pen.), l’elemento specializzante rispetto al reato di truffa è costituito dall’oggetto materiale della frode, cioè da ogni attribuzione economica agevolata erogata da parte dello Stato, di altri enti pubblici o delle Comunità europee, comunque denominata: ‘contributi e sovvenzioni’ (erogazioni a fondo perduto), finanziamenti (cessioni di credito a condizioni vantaggiose per impieghi determinati), mutui agevolati (caratterizzati, rispetto all’ipotesi precedente, dalla maggior ampiezza dei tempi di restituzione). Dal punto di vista oggettivo è richiesta, dunque, per la sussistenza del reato, la presenza di artifici e raggiri idonei ad indurre in errore l’ente erogatore. (Fattispecie in tema di concorso con il reato di abuso di ufficio. La Corte ha escluso la sussistenza della truffa aggravata sul presupposto che la condotta di abuso si esauriva in momenti di un’unitaria
seriazione procedimentale avente lo scopo di far conseguire contributi agevolati ad un soggetto privato)” (Sez. III, sent. n. 11831 del 15 ottobre 1999).

“Il delitto di frode fiscale può concorrere, attesa l’evidente diversità del bene giuridico protetto, con quello di truffa comunitaria, purché allo specifico dolo di evasione si affianchi una distinta ed autonoma finalità extratributaria non perseguita dall’agente in via esclusiva; il relativo accertamento, riservato al giudice di merito, se adeguatamente e logicamente motivato, è incensurabile in sede di legittimità” (SS.UU., sent. n. 27 del 7 novembre 2000) (19).

“L’articolo 640bis C.P. (truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche) prevede una circostanza aggravante del delitto di truffa di cui all’art. 640 dello stesso codice e non una figura autonoma di reato, con la conseguenza che, ove siano riconosciute sussistenti anche circostanze attenuanti, è consentito al giudice effettuare il giudizio di comparazione tra gli elementi accessori di segno diverso” (Sez. II, sent. n. 4731 del 17 aprile 2000).

“L’articolo 640bis C.P. (truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche) prevede una figura autonoma di reato e non una circostanza aggravante del delitto di truffa di cui all’art. 640 dello stesso codice.” (Sez. II, sent. n. 11077 del 27 ottobre 2000).

“La truffa per il conseguimento di erogazioni pubbliche prevista dall’ art. 640bis C.P. costituisce una circostanza aggravante del delitto di truffa di cui all’art. 640 dello stesso codice e non figura autonoma di reato. (In applicazione del principio la Corte ha ritenuto corretta la declaratoria di prescrizione pronunciata dal giudice di merito previa concessione di attenuanti equivalenti alla circostanza aggravante).” (SS.UU., sent. n. 26351 del 10 luglio 2002).

Sul versante amministrativo, il sistema sanzionatorio riguarda la sanzione prevista per i soli finanziamenti a carico del FEOGA/sezione orientamento (art. 3 della L. 23 dicembre 1986, n. 898) e l’ipotesi più lieve di indebita percezione di erogazione ai danni dello Stato (prevista dall’art. 316-ter del codice penale, nell’ipotesi in cui la somma indebitamente percepita sia pari o inferiore a 4.000 euro).

Ferme restando le procedure da adottare nell’ipotesi di indagini tese alla raccolta di fonti di prova da utilizzare nel processo penale, in materia amministrativa si impone, in linea generale, la scrupolosa osservanza degli adempimenti previsti dalla L. 24 novembre 1981, n. 689, fatta eccezione per la disciplina speciale relativa alle risorse tratte dal Feoga/sezione orientamento.

Sono altresì previste sanzioni amministrative comunitarie, che si caratterizzano per essere disciplinate da regolamenti, previste nei confronti di persone fisiche e/o giuridiche per la violazione di disposizioni concernenti singoli e determinati settori, applicate concretamente dai competenti organi amministrativi dei singoli Stati membri, in base alle procedure previste dalle rispettive legislazioni (20).

Il processo verbale di constatazione redatto a cura dei verbalizzanti, solitamente la Guardia di finanza, deve essere redatto e notificato non solo nei confronti del trasgressore, ma anche dei concorrenti, intendendosi per tali tutti coloro che hanno concorso alla violazione (21) nonché ai corresponsabili in via solidale (22).
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(1) Cfr. A. Fedele, Prospettive e sviluppi della disciplina dello “scambio di informazioni” fra Amministrazioni finanziarie, in “Rassegna Tributaria” n. 1/1999, pag. 49. Cfr. pure, dello stesso Autore, La Direttiva “madre-figlia” e la disciplina attuativa come complesso normativo unitario e sistematico: i criteri interpretativi, in “Rassegna Tributaria” n. 5/2001, pag. 1256. Cfr. pure E. Bartolotta, Ordinamento comunitario - Principi fondamentali - Interpretazione, Sent. 12.2.2008, causa C-2/06 C. Giustizia CE - Grande Sezione, in “Rassegna Tributaria” n. 4/2008, pag. 1190.

(2) Cfr., di estremo interesse, P. Valente, Lo scambio di informazioni su richiesta secondo l’OCSE, in “il fisco” n. 30/2010, fascicolo n. 1, pag. 4829. Dello stesso Autore, Lo scambio di informazioni su richiesta nelle fonti comunitarie, in “il fisco” n. 31/2010, fascicolo n. 1, pag. 4987.

(3) Cfr. P. Kalenda, Attività e poteri degli organismi deputati al contrasto delle frodi comunitarie, in “Notiziario della Scuola di Polizia Tributaria” n. 5/2003.

(4) Cfr. G. D’Alfonso, Evoluzione delle inchieste OCSE sulla concorrenza fiscale dannosa, in “il fisco” n. 32/2004, fascicolo n. 1, pag. 5003. Cfr. pure P. Marchesseou, Le conseguenze fiscali del Trattato di Lisbona, in “Rassegna Tributaria” n. 3/2010, pag. 595.

(5) Cfr. G. Falsitta, Corso Istituzionale di Diritto Tributario, Cedam 2009, pagg. 626 e seguenti.

(6) Cfr. G. Chinellato, Rivoluzione copernicana per gli enti di ricerca: più risorse dal recupero dell'Iva sui contratti di ricerca finanziati dalla Comunità europea, in “il fisco” n. 17/2006, fascicolo n. 1, pag. 2536.

(7) Disciplinato dal Regolamento (CE) n. 1257/1999 del Consiglio del 17 maggio 1999, pubblicato sulla GUCE L 160 del 26 giugno 1999.

(8) Disciplinato dal Regolamento (CE) n. 1262/1999 del Parlamento europeo e del Consiglio del 21 giugno 1999, pubblicato sulla GUCE L 161 del 26 giugno 1999.

(9) Disciplinato dal Regolamento (CE) n. 1261 del Parlamento europeo e del Consiglio del 21 giugno 1999 pubblicato sulla GUCE L 161 del 26 giugno 1999.

(10) Disciplinato dal Regolamento (CE) n. 1263/1999 del Consiglio del 21 giugno 1999, pubblicato sulla GUCE L 161 del 26 giugno 1999.

(11) Cfr. tra le tante, Corte Ue, sent. 17 novembre 2009, causa 169/08, in “il fisco” n. 45/2009, fascicolo n. 1, pag. 7472, con commento di P. Turis.

(12) Cfr. anche circ. Agenzia delle Entrate n. 3/E del 4 febbraio 2009 (Iva, frodi comunitarie e misure di contrasto), in “il fisco” n. 7/2009, fascicolo n. 1, pag. 1063.

(13) La Convenzione è stata adottata a Bruxelles il 26 luglio 1995 da tutti gli Stati membri, pubblicata sulla GUCE n. C 316 del 27 novembre 1995 e ratificata dall’Italia con L. 29 settembre 2000, n. 300. In particolare, la nozione di frode comunitaria è contenuta nell’art. 1.

(14) Cfr. Corte Ue, Sez. II, sent. 29 gennaio 2009, cause riunite da C-278/07 a C-280/07, in “il fisco” n. 8/2009, fascicolo n. 1, pag. 1253 (Politica agricola comune - Restituzione all’esportazione - Indebita percezione).

(15) Art. 35 del Regolamento (CE) n. 1260/1999 del Consiglio del 21 giugno 1999.

(16) Cfr. G. Trotta, Frodi ai fondi strutturali, analisi e tecnica operativa, in “Notiziario Sc. Polizia Trib.” n. 1/2006.

(17) Cfr. S. Beltrami-R. Marino-R. Petrucci, Codice penale, Ed. Simone, 2003. Sembra pacifico (cfr. SS.UU., n. 26351 del 10 luglio 2002) che la truffa ex art. 640-bis del codice penale costituisca circostanza aggravante del delitto di truffa di cui all’art. 640 e non figura autonoma di reato.

(18) In banca dati “fisconline”.

(19) In banca dati “fisconline”.

(20) I principi fondamentali sono contenuti nella disciplina di carattere generale dettata dal Regolamento (CEE, Euratom) n. 2988/1995 del Consiglio del 18 dicembre 1995. I principi in questione sono i seguenti:
– nessuna sanzione amministrativa può essere irrogata se non è stata prevista da un atto comunitario precedente all’irregolarità;
– il termine di prescrizione delle azioni giudiziarie è di 4 anni a decorrere dall’esecuzione dell’irregolarità. I termini di interruzione e di sospensione sono disciplinati dalle pertinenti disposizioni del diritto nazionale.

(21) Il concorso di persone nella violazione amministrativa è soggetto agli stessi principi di concorso di persone nel reato. Di conseguenza, un soggetto può essere chiamato a rispondere, a titolo di concorso, della violazione e della conseguente sanzione, a titolo di responsabilità diretta, quando abbia fornito al trasgressore principale un contributo non solo causale ma anche soltanto agevolatore, a condizione che ricorrano i requisiti di carattere soggettivo sotto il profilo della coscienza e volontà del concorso.

(22) Come definiti dall’art. 6 della L. 24 novembre 1981, n. 689, e, con specifico riferimento al settore dei finanziamenti erogati dal Feoga, dall’art. 3, comma 2, della L. n. 898/1986. La contestazione della violazione anche a questi soggetti è espressamente imposta dall’art. 14, comma 1, della L. 24 novembre 1981, n. 689.

Sistemi di gestione per la sicurezza nei luoghi di lavoro e responsabilità amministrativa nelle imprese (D.ssa Silvana Toriello)

SISTEMI DI GESTIONE PER LA SICUREZZA NEI LUOGHI DI LAVORO E RESPONSABILITA’ AMMINISTRATIVA NELLE IMPRESE

(Dr.ssa Silvana Toriello)

PREMESSA

Nei paragrafi che seguono si intende analizzare il complesso intreccio che esiste nel nostro ordinamento tra il D Lgs. 231/2001 che disciplina la cosiddetta responsabilità amministrativa degli enti ed il D. Lgs. 81/2008 e s.m.i. che disciplina la materia , com’è noto della sicurezza del lavoro. L’intreccio passa attraverso l’adozione di modelli organizzativi per la prevenzione ( in particolare SGSL)da parte delle aziende, più facile da individuare in un’azienda medio grande , un po’ più difficile in una piccola o piccolissima. Ciò in quanto in un ambito medio grande la necessità di gestire un numero notevole di dipendenti rende indispensabile una gestione della sicurezza organizzata e regolamentata da processi gestionali.

ADOZIONE DI UN SGSL , PREMIO INAIL, FINANZIAMENTI INAIL

L’adozione di un SGSL conviene, anche sotto un profilo puramente economico, anche alle imprese più piccole in quanto determinandosi per effetto della introduzione dello stesso una riduzione degli infortuni consente una oscillazione in riduzione del tasso di tariffa con abbattimento del premio Inail .Inoltre l’INAIL in base al recente decreto 3.12.2010, per la sola adozione di un SGSL riduce il premio assicurativo di una percentuale variabile dal 7 al 30% a seconda del numero di dipendenti. Le aziende che intendono beneficiare di tale riduzione devono presentare o spedire all'INAIL la domanda su apposito modello entro il 28 febbraio. Un altro aspetto, da sottolineare, è la possibilità di finanziamenti, come specificato dal comma 6 dell'articolo 30. L'adozione del modello di organizzazione e di gestione nelle imprese fino a 50 lavoratori rientra,infatti, tra le attività finanziabili ai sensi dell'articolo 11. Costituisce infine un esimente per i fini della responsabilità
amministrativa di cui al D. Lgs.231/2001.

Il nesso creatosi tra la normativa ex D.Lgs. n. 231/2001 alla disciplina "salute e sicurezza sul lavoro", relativamente ai reati `ex artt. 589 e 590, c.p., dovrebbe incrementare il numero di aziende che applicheranno le disposizioni di cui all`art. 30, D.Lgs. n. 81/2008 e quindi adotteranno un modello atto a sistematizzare l’adozione delle misure di prevenzione.

IL QUADRO NORMATIVO

Con la legge 123 del 3 agosto 2007, per la prima volta viene prevista l’applicazione del dec. leg. n. 231/2001, che alla entrata in vigore si applicava soltanto a una tipologia di reati dolosi contro la pubblica amministrazione o di reati societari, anche agli infortuni sul lavoro e alle malattie professionali. La Legge delega del 3 agosto 2007, n. 123 ha modificato il D.Lgs. 231/2001 inserendo, infatti, dopo l'art. 25-sexies il seguente:

Art. 25-septies: Omicidio colposo e lesioni colpose gravi o gravissime, commessi con violazione delle norme antinfortunistiche e sulla tutela dell'igiene e della salute sul lavoro.

La responsabilità introdotta dal D.Lgs. 231/2001, quindi si estende anche ai reati in materia di sicurezza sul lavoro e mira a coinvolgere nella punizione di certi illeciti penali il patrimonio degli enti che abbiano tratto un vantaggio dalla commissione dell'illecito. Ciò che in origine era previsto per contrastare la corruzione e la criminalità economica viene esteso ai reati in materia di infortuni e malattie professionali. Destinatari della norma sono le persone che rivestono funzioni di rappresentanza, di amministrazione e di direzione dell’ente nel cui ambito è stato commesso il reato.

In pratica:

• nel caso di lesioni personali colpose (art. 590 del c.p.) per tutte le tipologie di aziende è prevista una sanzione amministrativa massima di 64.500 euro con sanzione interdittiva nel caso di condanna, così come prevista dall'art. 9 comma 2 del D.Lgs. 231/2001, per una durata non superiore a sei mesi;

• nel caso di omicidio colposo (art. 589 del c.p.) per aziende a maggior rischio e per cantieri soprasoglia è prevista una sanzione pecuniaria pari a 1000 quote, ovvero da 258.000 a 1.549.000 euro con una sanzione interdittiva nel caso di condanna per una durata non inferiore a tre mesi e non superiore ad un anno. Per tutte le altre aziende, invece, si applica una sanzione pecuniaria in misura non inferiore a 250 quote e non superiore a 500 quote.

Risulta evidente che l'entità delle sanzioni, pecuniarie ed interdittive, è tale da mettere potenzialmente in crisi qualunque tipo di azienda o Ente e come l'adozione di un modello organizzativo conforme al D.Lgs. 231/2001 sia una tutela effettiva per tutti, nel caso si verifichino violazioni delle norme sulla sicurezza che scaturiscano in omicidi colposi o lesioni gravi o gravissime. Nello specifico l'applicazione di queste sanzioni può avvenire semplicemente qualora un lavoratore subisca un infortunio che lo tenga lontano dal posto di lavoro per un tempo superiore a 40 giorni e che vi sia la presunzione di violazione di una norma sulla sicurezza sul lavoro, si configura in questo caso l'ipotesi di lesioni personali gravi. Il sistema sanzionatorio della responsabilità amministrativa appare dunque un forte ed efficace deterrente nei confronti dell’impresa che non precostituisca tutte le condizioni organizzative per evitare che il reato si consumi.

Ultima disposizione entrata in vigore il 26 luglio 2008 è la Legge 125/2008 sulle lesioni colpose e omicidio colposo. La Gazzetta Ufficiale N. 173 del 25 Luglio 2008 pubblica la legge 24 luglio 2008, n. 125, che:

• modifica gli articoli 589 e 590 del C.P.;

• introduce nuove aggravanti in caso di lesioni colpose;

• aumenta le pene previste per le aggravanti (anche di inosservanza di norme prevenzionistiche in materia di lavoro) in caso di omicidio colposo.

Il D.Lgs. n. 81/2008, con l`art. 300, ha modificato le disposizioni dell`art. 25-septies sul piano terminologico, precisando che l`omicidio e le lesioni colpose, gravi o gravissime, che potrebbero configurare la responsabilità degli enti,- sono quelli commessi con violazione «delle norme sulla tutela della salute e sicurezza sul lavoro, ovviando, in tal modo, ad interpretazioni che lasciavano intravedere la possibile esclusione dalla disciplina delle malattie professionali e riducendo, tuttavia, in gravosità le sanzioni portandole da 250 a 500 quote per le violazioni dell'art. 589 del c.p. e fino a 250 quote per le violazioni dell'art. 590 del c.p.; in precedenza era previsto per entrambe le violazioni una sanzione unica in misura non inferiore a 1000 quote (ogni quota varia da un valore minimo di 258 euro a un massimo di 1.549 euro).

LA RESPONSABILITA’ “AMMINISTRATIVA” DELLE IMPRESE

Il reato può essere dunque conseguenza anche della carente organizzazione dell’impresa e non solo di colposi comportamenti individuali. La responsabilità si estende alle condotte di impresa che rendono possibile, o addirittura favoriscono, la commissione dei reati. La responsabilità amministrativa dell'impresa si aggiunge a quella della persona fisica che ha realizzato materialmente il fatto.

«Spesso l`illecito è frutto di condizionamenti sull`agire dei singolo, connessi all`operare per l`organizzazione: condizionamenti che possono derivare, e di regola derivano, da vincoli organizzativi, stili di comportamento, politiche imposte o additate ai portatori di determinati ruoli» (commissione Grosso).

In materia di salute e di sicurezza sul lavoro (SSL), è necessario garantire un apparato organizzativo adeguato al corretto ed efficace assolvimento degli obblighi di SSL, dei quali sono destinatari i singoli soggetti. Detta responsabilità viene rilevata in sede penale aggiungendosi a quella della persona fisica che materialmente ha realizzato l’illecito. Essendo però nel nostro ordinamento imperante il principio secondo cui la responsabilità penale è personale, e quindi non è possibile rilevarla in capo ad un soggetto giuridico si è continuato ad individuarla come responsabilità amministrativa. Sostanzialmente l’obiettivo che per tal via è raggiunto è di coinvolgere il patrimonio degli enti e quindi gli interessi dei soci finora estranei alle conseguenze dell’accertamento di reati commessi dagli amministratori o dipendenti, con conseguente vantaggio della società.

CAMPO DI APPLICAZIONE SOGGETTIVO

Le norme sulla responsabilità amministrativa si applicano agli enti “forniti di personalità giuridica e alle società e associazioni anche se prive di personalità giuridica”. Viceversa non si applicano alle imprese individuali ancorché con dipendenti, alle aziende familiari, poiché è necessaria la dimensione collettiva dell’ente, allo Stato, agli enti pubblici territoriali, agli altri enti pubblici non economici e agli enti che svolgono funzioni di rilievo costituzionale dove è in ballo la finanza pubblica e quindi il possibile riversamento degli effetti finanziari della responsabilità dell’ente sulla collettività. Tutte le altre società o associazioni, anche se non dotate di personalità giuridica, sono soggette alla responsabilità amministrativa, quando si configurano le ipotesi previste dal dec. lgs. 231/2001.

CAMPO DI APPLICAZIONE OGGETTIVO

Più in generale i reati cui si applica la disciplina in esame sono:

-reati commessi nei rapporti con la P.A.;

-reati in tema di falsità in monete, carte di pubblico credito e valori di bollo;

-alcune fattispecie di reati in materia societaria;

-reati con finalità di terrorismo o di eversione dell'ordine democratico;

-reati contro la personalità individuale;

-reati transnazionali;

-reati in materia di sicurezza sul lavoro.

Detti reati devono essere commessi da parte di soggetti che si trovano in un rapporto funzionale con l’ente, a condizione che il reato sia stato commesso nell’interesse dell’ente o a suo vantaggio / ex art. 11 comma c) della legge 300 del 28/9/2000).

L’INTERESSE ED IL VANTAGGIO DELL’ENTE

Perché ci sia responsabilità è necessario che sussista “interesse” e “vantaggio” dell’ente. Nel primo caso il termine “interesse” individua una situazione favorevole all’ente da valutarsi prima che il reato sia stato compiuto, un elemento di carattere soggettivo riferibile al soggetto che commette il reato ed alla sua volontà, una finalità del suo agire. Nel secondo caso rileva invece una dimensione in tutto oggettiva che si riferisce agli effetti della condotta identificabili in una situazione favorevole all’ente da valutarsi in concreto dopo che il reato è stato commesso. Quindi la responsabilità dell’ente sorge chiaramente non solo quando il comportamento illecito dell’autore abbia determinato un vantaggio patrimoniale o non patrimoniale per l’ente, ma anche quando, pur in assenza di un oggettivo vantaggio, il fatto reato sia stato commesso nell’interesse dell’ente.

CASI DI ESCLUSIONE DELLA RESPONSABILITA’ AMMINISTRATIVA

Inoltre non si applica la responsabilità amministrativa in questi casi:

-“la tipologia dell’azienda è fuori dal campo di applicazione del D.Lgs. 231/2001;

- pur essendo un’azienda che per tipologia rientra nel campo di applicazione e in presenza di lesioni gravi e gravissime, non c’è violazione di norme di igiene e sicurezza sul lavoro;

-non c’è interesse o vantaggio;

- l’azienda ha adottato e attuato un modello organizzativo di cui all’art. 30 del D.Lgs 81/08, ma i soggetti di cui all’art. 5 del D.Lgs 231/01 hanno agito nell’interesse esclusivo proprio o di terzi o hanno evaso fraudolentemente i modelli di organizzazione e di gestione”.

L’ultima casistica non è così facile da individuare allorchè ci si riferisca ad una condotta colposa in materia di infortuni sul lavoro o malattie professionali, che di rado viene posta in essere per raggiungere fini o vantaggi propri dei singoli dirigenti, preposti o addetti alla lavorazione nel mentre l’ente seppure non può trarre vantaggio dall’evento morte o lesioni in quanto tale può trarne invece dalla condotta dell’autore che ha violato le norme di prevenzione. Da detta condotta l’ente può trarre concreti vantaggi ad esempio in termini di risparmio sui costi nei casi in cui l’infortunio sul lavoro sia causato dalla mancata attuazione di precise disposizioni in materia di prevenzione.

L'impresa non risponde dei reati di cui sopra, se prova che:

a) l'organo dirigente ha adottato ed efficacemente attuato, prima della commissione del fatto, modelli di organizzazione e di gestione idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi;

b) il compito di vigilare sul funzionamento e l'osservanza dei modelli di curare il loro aggiornamento e' stato affidato a un organismo dell'ente dotato di autonomi poteri di iniziativa e di controllo;

c)l e persone hanno commesso il reato eludendo fraudolentemente i modelli di organizzazione e di gestione;

d) non vi e' stata omessa o insufficiente vigilanza da parte dell'organismo di cui alla lettera b)

EFFICACIA ESIMENTE DERIVANTE DALL’ADOZIONE DI UN MODELLO DI GESTIONE

L’adozione non è obbligatoria,ma facoltativa. La responsabilità dell’ente non scaturisce in automatico dalla mancata adozione allo stesso modo in cui l’adozione del modello non esclude la responsabilità dell’ente dovendo il giudice esprimersi in sede di giudizio penale sulla idoneità del modello.

L’art. 30 del D. lgs 81/2008 statuisce, infatti, che il modello per essere giudicato “idoneo ad avere efficacia esimente della responsabilità amministrativa”, deve essere idoneo a prevenire la commissione dei reati da parte dei soggetti che ricoprono una posizione funzionale nell’ente.

Nel caso di reato commesso da soggetto apicale l’ente si sottrae alla responsabilità se dimostra come sopra detto:

a) che l’organo dirigente ha adottato ed efficacemente attuato, prima della commissione del fatto un modello di organizzazione e di gestione idoneo a prevenire reati della stessa specie di quello verificatosi;

b) che il compito di vigilare sull’osservanza del modello sia stato affidato ad un organo di vigilanza con poteri di iniziativa e di controllo;

c) oppure che gli autori del reato lo abbiano commesso eludendo fraudolentemente il modello di gestione;

d) che non vi è stata omessa o insufficiente vigilanza da parte dell’organismo preposto,

Nel caso invece di reati commessi da soggetti non apicali l’ente è responsabile solo se la commissione del reato è stata resa possibile dall’inosservanza degli obblighi di controllo e vigilanza. E qui la norma aggiunge un’ulteriore presunzione: in ogni caso è esclusa la violazione dell’obbligo di vigilanza se l’ente ha adottato ed efficacemente attuato un modello di gestione idoneo a prevenire reati della stessa specie di quello commesso.

Nel primo caso è il soggetto apicale che deve dimostrare la sua assenza di colpa o di negligenza, nel secondo caso è il pubblico ministero che deve dimostrare la colpa o l’omessa vigilanza da parte dell’ente.

Nei casi in cui si applica il D.Lgs. 231/2001, pertanto,“è necessario verificare (senza specifica richiesta della Magistratura): se c’è un modello organizzativo e di gestione della sicurezza; se il modello ha i requisiti per avere effetto esimente; se è stato efficacemente attuato”.

L’ARTICOLO 30 DEL TU 81/2008 E LA PRONUNCIA DEL TRIBUNALE DI TRANI SEZIONE MOLFETTA

I particolare l’art. 30 del D, Lgs. 81/08, al comma 1 recita: «…il modello di organizzazione e di gestione idoneo ad avere efficacia esimente dalla responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica di cui al D. Lgs. 231/01, deve essere adottato ed efficacemente attuato, assicurando un sistema aziendale per l’adempimento di tutti gli obblighi giuridici relativi…»

L'entrata in vigore del D. Lgs. 81/08, ed in particolare del suo art. 30, ha segnato un ulteriore elemento di novità rispetto alle norme sin qui richiamate in quanto sono riconosciuti i modelli OHSAS 18001 e le Linee Guida UNI INAIL quali strumenti aventi capacità esimente (esclusione della responsabilità amministrativa), qualora correttamente implementati e mantenuti attivi. Una delle principali questioni ermeneutiche poste dall’introduzione dei modelli di organizzazione nel sistema della responsabilità degli enti è se gli stessi si limitino a contemplare (e, talora, razionalizzare) obblighi già altrimenti imposti all’ente dall’ordinamento giuridico o se diversamente impongano obblighi di nuovo conio. Deve senz’altro ritenersi che il modello organizzativo delineato dal d.lg. n. 231 è aggiuntivo e non sostitutivo del sistema di cautele vigente nel diritto penale del lavoro. Un importante riferimento applicativo in materia è la sentenza di primo grado del Tribunale di
Trani – Sezione Molfetta (Giudice Gadaleta) 26 ottobre 2009/11 gennaio 2010) relativa all’infortunio sul lavoro del 2008 presso la Truck Center con 5 morti e un ferito grave in seguito a inalazione di acido solfidrico sviluppatosi durante la bonifica di cisterne che avevano contenuto zolfo. Il Tribunale di Trani, con la sentenza 11 gennaio 2010, ha sanzionato in via amministrativa ex D.Lgs. n.231/01 tre società che, non avendo rispettato le disposizioni per la protezione dei lavoratori previste dal T.U. sicurezza, avevano concorso al verificarsi di un incidente sul lavoro di particolare gravità occorso nell’ambito di un appalto.

In particolare, il Tribunale ha deciso che il documento di valutazione dei rischi non può essere considerato come un modello organizzativo previsto dal D.Lgs. n.231/01 al fine di evitare la sanzionabilità. I modelli organizzativi devono infatti caratterizzarsi non solo per la mappatura e per la gestione dei rischi legati agli infortuni sul lavoro, ma anche per un sistema di controllo sul sistema organizzativo per assicurarne la verifica e l’effettività.

Inoltre, il modello organizzativo deve prendere in considerazione i rischi legati ai lavoratori di società terze che entrano in contatto con l’attività della società originaria.

E’ d’interesse segnalare i seguenti passaggi della sentenza concernenti proprio i modelli organizzativi :“ E' tuttavia evidente che il sistema introdotto dal DLG n. 231 del 2001 impone alle imprese di adottare un modello organizzativo diverso e ulteriore rispetto a quello previsto dalla normativa antinfortunistica, onde evitare in tal modo la responsabilità amministrativa. Non a caso, mentre i documenti presentati dalla difesa sono stati redatti a mente degli artt. 26 e 28 del DLG 81/08, il modello di organizzazione e gestione del DLG 231/01 è contemplato dall'art. 30 del DLG 81/08, segnando così una distinzione non solo nominale ma anche funzionale.

Tale ultimo articolo riprende l'articolazione offerta dal DLG 231/01 e ne pone in evidenza anche i seguenti aspetti cruciali, che differenziano il modello da un mero documento di valutazione di rischi: l) la necessaria vigilanza sull'adempimento degli obblighi, delle procedure e delle istruzioni di lavoro in sicurezza; 2) le periodiche verifiche dell'applicazione e dell'efficacia delle procedure adottate; 3) la necessità di un idoneo sistema di controllo sull'attuazione del medesimo modello e sul mantenimento nel tempo della condizioni di idoneità delle misure adottate; 4) l'individuazione di un sistema disciplinare idoneo a sanzionare il mancato rispetto delle misure indicate nel modello.

Perciò il modello immaginato dal legislatore in questa materia è un modello ispirato a distinte finalità che debbono essere perseguite congiuntamente: quella organizzativa, orientata alla mappatura ed alla gestione del rischio specifico nella prevenzione degli infortuni; quella di controllo sul sistema operativo, onde garantirne la continua verifica e l'effettivà. Non è possibile che una semplice analisi dei rischi valga anche per gli obiettivi del DLG n. 231. Anche se sono ovviamente possibili parziali sovrapposizioni, è chiaro che il modello teso ad escludere la responsabilità societaria è caratterizzato anche dal sistema di vigilanza che, pure attraverso obblighi diretti ad incanalare le informazioni verso la struttura deputata al controllo sul funzionamento e sull'osservanza, culmina nella previsione di sanzioni per le inottemperanze e nell'affidamento di poteri disciplinari al medesimo organismo dotato di piena autonomia. Queste sono caratteristiche imprescindibili del
modello organizzativo.

Ad esse vanno cumulate le previsioni, altrettanto obbligatorie nel modello gestionale del DLG 231 ma non presenti nel documento di valutazione dei rischi, inerenti alle modalità di gestione delle risorse finanziarie idonee ad impedire la commissione dei reati.

Peraltro, mentre il documento di valutazione di un rischio è rivolto anche ai lavoratori per informarli dei pericoli incombenti in determinate situazioni all'interno del processo produttivo e quindi è strutturato in modo da garantire a tali destinatari una rete di protezione individuale e collettiva perché addetti concretamente a determinate mansioni, il modello del DLG n. 231 deve rivolgersi non tanto a tali soggetti che sono esposti al pericolo di infortunio, bensì principalmente a coloro che, in seno all'intera compagine aziendale, sono esposti al rischio di commettere reati colposi e di provocare quindi le lesioni o la morte nel circuito societario, sollecitandoli ad adottare standard operativi e decisionali predeterminati, in grado di obliterare una responsabilità dell'ente. Dall'analisi dei rischi del ciclo produttivo l'attenzione viene spostata anche ai rischi del processo decisionale finalizzato alla prevenzione.

Dalla focalizzazione delle procedure corrette del ciclo produttivo, per la parte riferibile alla sfera esecutiva dei lavoratori, si passa anche alla cruciale individuazione dei responsabili dell'attuazione dei protocolli decisionali, finanziari e gestionali occorrenti per scongiurare quei rischi. Si tratta, come chiarito, di evitare la commissione di reati in materia di infortuni sul lavoro da parte dei garanti dell'incolumità fisica dei lavoratori.

E' evidente, di conseguenza, che i due documenti di valutazione dei rischi prodotti dalla difesa della (W) abbiano una destinazione diversa sul piano funzionale e giuridico rispetto al modello della legge speciale in esame.

Essi non possono in alcun modo costituire un surrogato di un modello organizzativo e gestionale, che è stato congegnato per scopi diversi, anche se mediatamente sempre a favore dei lavoratori, e che per questo risulta strutturato normativamente con precipue ramificazioni attuative, ben marcate e polivalenti. “

DEL MODELLO ORGANIZZATIVO AI SENSI DEL D. LGS. 81/2008

La definizione del modello organizzativo è riportata nell'art. 2 del D.Lgs. 81/2008:

Modello organizzativo e gestionale per la definizione e l'attuazione di una politica aziendale per la salute e sicurezza, ai sensi dell'articolo 6, comma 1, lettera a), del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, idoneo a prevenire i reati di cui agli articoli 589 e 590, terzo comma, del codice penale, commessi con violazione delle norme antinfortunistiche e sulla tutela della salute sul lavoro. L'art. 6, comma 8, lettera m) riporta che la Commissione consultiva permanente per la salute e sicurezza sul lavoro ha il compito di indicare quali sono i modelli di organizzazione e gestione. L'art. 30, invece, chiarisce come deve essere adottato ed efficacemente attuato il modello di organizzazione e di gestione idoneo per avere efficacia esimente della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica di cui al decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231.

Il modello indicato dall’art. 30 commi 1, 2, 3 e 4 deve garantire:

- Il rispetto degli standard tecnico-strutturali di legge relativi a attrezzature, impianti, luoghi di lavoro, agenti chimici, fisici e biologici;

- Le attività di valutazione dei rischi e di predisposizione delle misure di prevenzione e protezione conseguenti;

- Le attività di natura organizzativa, quali emergenze, primo soccorso, gestione degli appalti, riunioni periodiche di sicurezza, consultazioni dei rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza;

- Le attività di sorveglianza sanitaria;

- Le attività di informazione e formazione dei lavoratori;

- Le attività di vigilanza con riferimento al rispetto delle procedure e delle istruzioni di lavoro in sicurezza da parte dei lavoratori;

- L’acquisizione di documentazioni e certificazioni obbligatorie di legge;

- Le periodiche verifiche dell’applicazione e dell’efficacia delle procedure adottate

- L’adozione di idonei sistemi di registrazione dell’avvenuta effettuazione delle attività di cui sopra

- L’attuazione, per quanto richiesto dalla natura e dimensioni dell’organizzazione e dal tipo di attività svolta, di un’articolazione di funzioni che assicuri le competenze tecniche e i poteri necessari per la verifica, valutazione, gestione e controllo del rischio;

- L’adozione di un sistema disciplinare idoneo a sanzionare il mancato rispetto delle misure indicate nel modello;

- L’istituzione un idoneo sistema di controllo (autocontrollo) sull’attuazione del medesimo modello e sul mantenimento nel tempo delle condizioni di idoneità delle misure adottate.

- Il riesame e l’eventuale modifica (aggiornamento) del modello organizzativo quando siano scoperte violazioni significative delle norme relative alla prevenzione degli infortuni e all’igiene sul lavoro, ovvero in occasione di mutamenti nell’organizzazione e nell’attività in relazione al progresso scientifico e tecnologico.

Il comma 5 dello stesso articolo recita:

in sede di prima applicazione, i modelli di organizzazione aziendale definiti conformemente alle Linee guida UNI-INAIL per un sistema di gestione della salute e sicurezza sul lavoro (SGSL) del 28 settembre 2001 o al British Standard OHSAS 18001:2007 si presumono conformi ai requisiti di cui al presente articolo per le parti corrispondenti. Agli stessi fini ulteriori modelli di organizzazione e gestione aziendale possono essere indicati dalla Commissione di cui all'articolo Un Sistema di gestione della Salute e Sicurezza Sul Lavoro (SGSL) “può essere definito come un sistema strutturato che permette di tenere sotto controllo i risultati aziendali in materia di sicurezza e salute del lavoro e garantire la conformità alla legge”.

In particolare secondo le Linee UNI INAIL del 2001 il sistema di gestione “definisce le modalità per individuare, all'interno della struttura organizzativa aziendale, le responsabilità, le procedure, i processi e le risorse per la realizzazione della politica aziendale di prevenzione, nel rispetto delle norme di salute e sicurezza vigenti, in modo da renderle più efficienti e più integrate nelle operazioni aziendali generali, nell’ottica del miglioramento continuo” (Linee Guida UNI-INAIL 2001 E il Sistema di gestione della SSL (sicurezza e salute sul lavoro) è la “parte del sistema di gestione di un'organizzazione utilizzata per sviluppare e attuare la propria politica per la SSL e gestire i suoi rischi per la SSL”.

Un SGSL è finalizzato a garantire il raggiungimento degli obiettivi di salute e sicurezza che l'azienda si è data allo scopo di ridurre i propri costi ed aumentare i propri benefici. Gli scopi del SGSL sono infatti di: - ridurre i costi derivanti da incidenti, infortuni e malattie correlate al lavoro minimizzando i rischi cui possono essere esposti i dipendenti, i clienti, i fornitori, i visitatori, ecc.; - aumentare l'efficienza e le prestazioni dell'impresa; - contribuire a migliorare i livelli di salute e sicurezza sul lavoro; - migliorare l'immagine interna ed esterna dell'impresa. Gli step fondamentali per un sistema di gestione sono: la pianificazione/programmazione, l'attuazione, il monitoraggio ed infine il riesame e miglioramento. L'SGSL può essere certificato da un terzo organismo indipendente ai sensi della norma internazionale Ohsas 18001:2007. Avere un sistema Sgsl certificato (con riferimento alla norma internazionale Ohsas 18001:2007) testimonia concretamente e in
modo oggettivo la volontà e lo sforzo organizzativo del datore di lavoro per prevenire in modo efficace gli incidenti sul lavoro; cioè, avere un sistema SGSL costituisce un elemento positivo a favore dell'impresa nel momento in cui il magistrato dovrà valutare se esistano o meno gli estremi per contestare all'impresa la responsabilità amministrativa.

Un’azienda interessata ad adeguare un sistema di gestione per la sicurezza deve:

- adottare e attuare un Sistema di Gestione conforme all’art. 30 del dec. lgs 81/2008 ovvero

- adottare un Sistema di Gestione OHSAS 18001 (certificato o meno) o UNI-INAIL e implementare completamente il Sistema e aggiornarlo in relazione alle criticità che di volta in volta riscontra

- completare il Modello Organizzativo con gli aspetti non contenuti nelle norme tecniche o linee guida (principalmente la gestione delle risorse finanziarie, il sistema sanzionatorio interno, in parte il codice etico )

- istituire o integrare un Organismo di Vigilanza con compiti di iniziativa e di controllo sull’efficacia del modello e che sia dotato di piena autonomia nell’esercizio della supervisione e del potere disciplinare

- verificare nel tempo l’efficace funzionamento del Modello

Con successivo contributo entreremo nel merito dell’SGSL

Inpdap 7/2011 - Art. 6, comma 12, del decreto legge n. 78 del 31/5/2010, convertiro nella legge 30/07/2010, n. 122. Trattamenti di missione. Ulteriori precisazioni.

domenica 20 marzo 2011

14 marzo 2011 - Arcore di fronte la residenza del premier. Protesta di alcune sigle sindacali della polizia di Stato (video)









Reg. (CE) 15-3-2011 n. 252/2011 REGOLAMENTO DELLA COMMISSIONE recante modifica del regolamento (CE) n. 1907/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio concernente la registrazione, la valutazione, l'autorizzazione e la restrizione delle sostanze chimiche (REACH) per quanto riguarda l'allegato I (Testo rilevante ai fini del SEE). Pubblicato nella G.U.U.E. 16 marzo 2011, n. L 69.

Reg. (CE) 15 marzo 2011, n. 252/2011   (1) (2).

REGOLAMENTO DELLA COMMISSIONE recante modifica del regolamento (CE) n. 1907/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio concernente la registrazione, la valutazione, l'autorizzazione e la restrizione delle sostanze chimiche (REACH) per quanto riguarda l'allegato I (Testo rilevante ai fini del SEE).

(1) Pubblicato nella G.U.U.E. 16 marzo 2011, n. L 69.

(2)  Il presente regolamento è entrato in vigore il 5 aprile 2011.



LA COMMISSIONE EUROPEA,

visto il trattato sul funzionamento dell'Unione europea,

visto il regolamento (CE) n. 1907/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 18 dicembre 2006, concernente la registrazione, la valutazione, l'autorizzazione e la restrizione delle sostanze chimiche (REACH), che istituisce un'agenzia europea per le sostanze chimiche, che modifica la direttiva 1999/45/CE e che abroga il regolamento (CEE) n. 793/93 del Consiglio e il regolamento (CE) n. 1488/94 della Commissione, nonché la direttiva 76/769/CEE del Consiglio e le direttive della Commissione 91/155/CEE, 93/67/CEE, 93/105/CE e 2000/21/CE , in particolare l'articolo 131,

considerando quanto segue:

(1) Il regolamento (CE) n. 1272/2008 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2008, relativo alla classificazione, all'etichettatura e all'imballaggio delle sostanze e delle miscele, che modifica e abroga le direttive 67/548/CEE e 1999/45/CE e che reca modifica al regolamento (CE) n. 1907/2006 armonizza le prescrizioni e i criteri di classificazione ed etichettatura delle sostanze, delle miscele e di taluni articoli specifici all'interno della Comunità, tenendo conto dei criteri di classificazione e di etichettatura del Sistema mondiale armonizzato di classificazione ed etichettatura delle sostanze chimiche (GHS).

(2) La direttiva 67/548/CEE del Consiglio, del 27 giugno 1967, concernente il ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative relative alla classificazione, all'imballaggio e all'etichettatura delle sostanze pericolose e la direttiva 1999/45/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 31 maggio 1999, concernente il ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative degli Stati membri relative alla classificazione, all'imballaggio e all'etichettatura dei preparati pericolosi , sono state modificate più volte. Le direttive 67/548/CEE e 1999/45/CE saranno sostituite nel corso di un periodo transitorio durante il quale le sostanze devono essere classificate, etichettate e imballate nel rispetto del regolamento (CE) n. 1272/2008 a decorrere dal 1 o dicembre 2010 e le miscele a decorrere dal 1 o giugno 2015, sebbene dal 1 o dicembre 2010 al 1 o giugno 2015 sia prescritta la classificazione delle sostanze in applicazione sia
della direttiva 67/548/CEE che del regolamento (CE) n. 1272/2008. Entrambe le direttive saranno completamente abrogate dal regolamento (CE) n. 1272/2008 con effetto dal 1 o giugno 2015.

(3) L'allegato I al regolamento (CE) n. 1907/2006 dovrebbe essere modificato per adeguarlo ai criteri di classificazione e ad altre prescrizioni pertinenti del regolamento (CE) n. 1272/2008.

(4) L'articolo 58, paragrafo 1, del regolamento (CE) n. 1272/2008 modifica l'articolo 14, paragrafo 4, del regolamento (CE) n. 1907/2006 per adattarlo ai criteri di classificazione di cui al regolamento (CE) n. 1272/2008. Ciò ha inoltre implicazioni per l'allegato I del regolamento (CE) n. 1907/2006, che non è stato modificato dal regolamento (CE) n. 1272/2008. È pertanto necessario adeguare l'allegato I del regolamento (CE) n. 1907/2006 al nuovo testo dell'articolo 14, paragrafo 4.

(5) Il regolamento (CE) n. 1272/2008 introduce modifiche sostanziali a livello terminologico rispetto alla direttiva 67/548/CEE. L'allegato I del regolamento (CE) n. 1907/2006 non è stato modificato dal regolamento (CE) n. 1272/2008 ed è pertanto opportuno che sia aggiornato per tenere conto dei cambiamenti intervenuti e garantirne la coerenza complessiva.

(6) Inoltre è opportuno che i riferimenti alla direttiva 67/548/CEE siano sostituiti da opportuni riferimenti al regolamento (CE) n. 1272/2008.

(7) Conformemente al regolamento (CE) n. 1907/2006, le registrazioni, tra cui le relazioni sulla sicurezza chimica, devono essere state presentate entro la data di applicazione del presente regolamento. Le modifiche ai criteri di classificazione e ad altre prescrizioni pertinenti derivanti dal regolamento (CE) n. 1272/2008 si applicano alle sostanze a decorrere dal 1 o dicembre 2010, conformemente all'articolo 62, secondo comma, di tale regolamento. È opportuno stabilire un periodo transitorio per garantire che l'aggiornamento delle registrazioni avvenga in modo agevole.

(8) Occorre pertanto modificare l'allegato I del regolamento (CE) n. 1907/2006.

(9) Le misure di cui al presente regolamento sono conformi al parere del comitato istituito dall'articolo 133 del regolamento (CE) n. 1907/2006,

HA ADOTTATO IL PRESENTE REGOLAMENTO:



Articolo 1

L'allegato I del regolamento (CE) n. 1907/2006 è così modificato:
1)  il punto 0.6 è sostituito dal seguente:
«0.6. Fasi di una valutazione della sicurezza chimica
0.6.1. Una valutazione della sicurezza chimica effettuata dal fabbricante o dall'importatore di una sostanza comprende le fasi seguenti da 1 a 4, conformemente ai punti corrispondenti del presente allegato:
1. valutazione dei pericoli per la salute umana;
2. valutazione dei pericoli che le proprietà fisico- chimiche presentano per la salute umana;
3. valutazione dei pericoli per l'ambiente;
4. valutazione PBT e vPvB.
0.6.2. Nei casi di cui al punto 0.6.3 la valutazione della sicurezza chimica deve anche comprendere le fasi seguenti 5 e 6 in conformità dei punti 5 e 6 del presente allegato:
5. valutazione dell'esposizione
5.1. creazione di scenari d'esposizione o, se del caso, identificazione di pertinenti categorie d'uso e d'esposizione;
5.2. stima dell'esposizione;
6. caratterizzazione dei rischi
0.6.3. Se, a seguito delle fasi da 1 a 4, il fabbricante o l'importatore conclude che la sostanza risponde ai criteri di una delle seguenti classi o categorie di pericolo di cui all'allegato I del regolamento (CE) n. 1272/2008 o è valutata come PBT o vPvB, la valutazione della sicurezza chimica deve comprendere anche le fasi 5 e 6 in conformità dei punti 5 e 6 del presente allegato:
a) classi di pericolo da 2.1 a 2.4, 2.6 e 2.7, 2.8 tipi A e B, 2.9, 2.10, 2.12, 2.13 categorie 1 e 2, 2.14 categorie 1 e 2, 2.15 tipi da A a F;
b) classi di pericolo da 3.1 a 3.6, 3.7 effetti nocivi sulla funzione sessuale e la fertilità o sullo sviluppo, 3.8 effetti diversi dagli effetti narcotici, 3.9 e 3.10;
c) classe di pericolo 4.1;
d) classe di pericolo 5.1.
0.6.4. Un sommario di tutte le informazioni pertinenti utilizzate per trattare i punti di cui sopra è riportato nella voce corrispondente della relazione sulla sicurezza chimica (punto 7).»;
2)  il punto 1.0.1 è sostituito dal seguente:
«1.0.1. La valutazione dei rischi per la salute umana ha lo scopo di determinare la classificazione di una sostanza a norma del regolamento (CE) n. 1272/2008 e di stabilire il livello massimo d'esposizione alla sostanza al di sopra del quale l'essere umano non dovrebbe essere esposto. Questo livello d'esposizione è noto come livello derivato senza effetto (DNEL).»;
3)  il punto 1.0.2 è sostituito dal seguente:
«1.0.2. La valutazione dei pericoli per la salute umana prende in considerazione il profilo tossicocinetico (vale a dire, assorbimento, metabolismo, distribuzione ed eliminazione) della sostanza e i seguenti gruppi di effetti:
1) effetti acuti (tossicità acuta, irritazione e corrosività);
2) sensibilizzazione;
3) tossicità da dose ripetuta; e
4) effetti CMR (cancerogenicità, mutagenicità sulle cellule germinali e tossicità per la riproduzione).
Sulla base di tutte le informazioni disponibili, altri effetti sono considerati, se necessario.»;
4)  il punto 1.1.3 è sostituito dal seguente:
«1.1.3. Tutte le informazioni non umane che sono utilizzate per valutare un effetto particolare sulla persona e determinare la relazione dose (concentrazione)- risposta (effetto) sono sinteticamente presentate, se possibile in forma di una o più tabelle, distinguendo tra informazioni in vitro, in vivo e altre. I risultati dei test [ad esempio ATE, DL50, NO(A)EL o LO(A)EL] e le condizioni in cui essi sono stati realizzati (ad esempio la durata dei test o la via di somministrazione), e le altre informazioni pertinenti sono presentati in unità di misura riconosciute a livello internazionale per quell'effetto.»;
5)  i punti 1.3.1 e 1.3.2 sono sostituiti dai seguenti:
«1.3.1. La classificazione appropriata, stabilita in base ai criteri enunciati nel regolamento (CE) n. 1272/2008, è presentata e giustificata. Ove applicabili, i limiti di concentrazione specifica, risultanti dall'applicazione dell'articolo 10 del regolamento (CE) n. 1272/2008 e degli articoli da 4 a 7 della direttiva 1999/45/CE, sono presentati e, se non figurano nella parte 3 dell'allegato VI del regolamento (CE) n. 1272/2008, sono giustificati.
La valutazione deve sempre includere una dichiarazione che precisi se la sostanza risponde o no ai criteri enunciati nel regolamento (CE) n. 1272/2008 per la classificazione nella classe di pericolo “cancerogenicità”, categorie 1A o 1B, nella classe di pericolo “mutagenicità sulle cellule germinali”, categorie 1A o 1B, o nella classe di pericolo “tossicità per la riproduzione”, categorie 1A o 1B.
1.3.2. Se le informazioni sono inadeguate per stabilire se una sostanza deve essere classificata per una particolare classe o categoria di pericolo, il dichiarante indica e giustifica l'azione o la decisione che ha adottato di conseguenza.»;
6)  la seconda frase del punto 1.4.1 è sostituita dalla seguente:
«Per alcune classi di pericolo, specialmente mutagenicità sulle cellule germinali e cancerogenicità, le informazioni disponibili possono non consentire di stabilire una soglia tossicologica e quindi un DNEL.»;
7)  il punto 2.1 è sostituito dal seguente:
«2.1. La valutazione dei pericoli che presentano le proprietà fisico-chimiche ha lo scopo di determinare la classificazione di una sostanza a norma del regolamento (CE) n. 1272/2008.»;
8)  il punto 2.2 è sostituito dal seguente:
«2.2. Come minimo sono valutati gli effetti potenziali per la salute umana delle seguenti proprietà fisico-chimiche:
- esplosività,
- infiammabilità,
- potere ossidante.
Se le informazioni sono inadeguate per stabilire se una sostanza deve essere classificata per una particolare classe o categoria di pericolo, il dichiarante indica e giustifica l'azione o la decisione che ha adottato di conseguenza.»;
9)  il punto 2.5 è sostituito dal seguente:
«2.5. La classificazione appropriata, stabilita in base ai criteri enunciati nel regolamento (CE) n. 1272/2008, è presentata e giustificata.»;
10)  il punto 3.0.1 è sostituito dal seguente:
«3.0.1. La valutazione dei pericoli per l'ambiente ha lo scopo di determinare la classificazione di una sostanza, a norma del regolamento (CE) n. 1272/2008, e di identificare la concentrazione della sostanza al di sotto della quale è prevedibile che non vi siano effetti preoccupanti per l'ambiente. Questa concentrazione è nota come concentrazione prevedibile priva di effetti (PNEC).»;
11)  i punti 3.2.1 e 3.2.2 sono sostituiti dai seguenti:
«3.2.1. La classificazione appropriata, stabilita in base ai criteri enunciati nel regolamento (CE) n. 1272/2008, è presentata e giustificata. Ogni fattore M risultante dall'applicazione dell'articolo 10 del regolamento (CE) n. 1272/2008 è presentato e, se non figura nella parte 3 dell'allegato VI del regolamento (CE) n. 1272/2008, è giustificato.
3.2.2. Se le informazioni sono inadeguate per stabilire se una sostanza deve essere classificata per una particolare classe o categoria di pericolo, il dichiarante indica e giustifica l'azione o la decisione che ha adottato di conseguenza.»;
12)  i punti 4.1 e 4.2 sono sostituiti dai seguenti:
«4.1. Fase 1: confronto con i criteri
Questa parte della valutazione PBT e vPvB comporta il confronto dei dati disponibili con i criteri enunciati nella sezione 1 dell'allegato XIII e una dichiarazione da cui risulti se la sostanza corrisponde o no ai criteri. La valutazione deve essere effettuata in conformità delle disposizioni di cui alla parte introduttiva dell'allegato XIII e alle sezioni 2 e 3 dello stesso allegato.
4.2. Fase 2: caratterizzazione delle emissioni
Se la sostanza corrisponde ai criteri, o se è considerata come PBT o vPvB, è effettuata una caratterizzazione delle emissioni, comprendente gli elementi pertinenti della valutazione dell'esposizione descritta al punto 5. Tale caratterizzazione contiene in particolare una stima delle quantità della sostanza rilasciate nei vari comparti ambientali nel corso di tutte le attività esercitate dal fabbricante o dall'importatore e di tutti gli usi identificati, e un'identificazione delle probabili vie attraverso le quali gli uomini e l'ambiente sono esposti alla sostanza.»;
13)  la parte B della tabella del punto 7 è modificata come segue:
a)  i punti 5.3.1, 5.3.2 e 5.3.3 sono soppressi;
b)  i punti 5.5.1 e 5.5.2 sono soppressi;
c)  il punto 5.7 è sostituito dal seguente:
«5.7. Mutagenicità sulle cellule germinali»;
d)  i punti 5.9.1 e 5.9.2 sono soppressi.



Articolo 2

Il presente regolamento entra in vigore il ventesimo giorno successivo alla pubblicazione nella Gazzetta ufficiale dell'Unione europea.

Esso si applica a decorrere dal 5 maggio 2011.

Tuttavia per registrazioni presentate prima del 5 maggio 2011 la relazione sulla sicurezza chimica deve essere aggiornata in conformità del presente regolamento entro il 30 novembre 2012. A tali aggiornamenti non si applica l'articolo 22, paragrafo 5, del regolamento (CE) n. 1907/2006.

Il presente articolo lascia impregiudicati gli articoli 2 e 3 del regolamento (UE) n. 253/2011 della Commissione in relazione all'articolo 1, punto 12, del presente regolamento.
Il presente regolamento è obbligatorio in tutti i suoi elementi e direttamente applicabile in ciascuno degli Stati membri.
Fatto a Bruxelles, il 15 marzo 2011.
Per la Commissione
Il presidente
José Manuel BARROSO