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mercoledì 6 luglio 2011

Corte dei Conti "...La Corte dei conti, Sezione giurisdizionale per la Regione Emilia Romagna, in funzione di giudice unico delle pensioni in composizione monocratica nella persona del consigliere Luigi Di Murro, visto l’art. 5 della l. 21 luglio 2000 n. 205 nonché gli artt. 420, 421, 429, 430 e 431 del codice di procedura civile, definitivamente pronunciando, ACCOGLIE il ricorso iscritto al n. 032975/Pensioni Civili del registro di segreteria, proposto dalla sig.ra B. A. e, per l’effetto, dichiara la dipendenza da causa di servizio dell’infermità “Evento suicidario a seguito di colpo di arma da fuoco in sede temporale destra, in soggetto affetto da sindrome ansioso depressiva reattiva”...."

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE DEI CONTI

SEZIONE GIURISDIZIONALE PER LA REGIONE
EMILIA-ROMAGNA
In funzione di giudice unico delle pensioni in composizione monocratica in persona del Presidente Luigi Di Murro, ha pronunciato, nella pubblica udienza dell’11 maggio 2010 e con l’assistenza del segretario dott. Lucia Caldarelli, la seguente

S E N T E N Z A

sul ricorso iscritto al n. 032975/Pensioni Civili del registro di segreteria, proposto dalla sig.ra ---ha eletto domicilio, avverso il silenzio rifiuto formatosi sulla domanda avanzata dalla ricorrente per il riconoscimento della pensione privilegiata di reversibilità per dipendenza da causa di servizio dell’evento suicidario che in data 30 maggio 1994 ha tratto a morte il di lei coniuge, già Sovrintendente della Polizia di Stato presso il Comando Militare di OMISSIS.
            Udito, nella pubblica udienza, l’avv. Andrea Trentin per la parte privata ricorrente; non rappresentato il Ministero della Difesa resistente.
F A T T O
            Con ricorso presentato in data 15 gennaio 2004 presso la segreteria di questa Sezione giurisdizionale la sig.ra B. A., vedova del Sovrintendente della Polizia di Stato S. L., nato il OMISSIS e deceduto in servizio il OMISSIS per “Evento suicidario a seguito di colpo di arma da fuoco in sede temporale destra, in soggetto affetto da sindrome ansioso depressiva reattiva”, ha impugnato il silenzio rifiuto formatosi sulla domanda avanzata dall’interessata per il riconoscimento della pensione privilegiata di reversibilità.
            Con l’atto introduttivo del presente giudizio la parte privata, rilevato preliminarmente il silenzio serbato per sette anni dall’Amministrazione, il che legittima il ricorso avverso il silenzio rifiuto, e premessa l’esposizione dei fatti, in merito allo svolgimento della fase amministrativa precisa che in data 28 novembre 1994 ha presentato domanda per il riconoscimento della dipendenza da causa di servizio del decesso del coniuge ai fini del riconoscimento dell’equo indennizzo e della pensione privilegiata di reversibilità, e che con verbale AB n. 922 del 6 marzo 1990 la C.M.O. del Centro di Medicina legale militare di OMISSIS ha negato il richiesto riconoscimento nella considerazione che non si ravvisa nel servizio prestato nel caso in essere, nella sua specificità, modo causale o concausale efficiente e preponderante, ma solo occasionale nel determinismo dell’infermità in esame, né si ravvisa nesso di interdipendenza con l’infermità già dipendente da causa di servizio.
            Il giudizio negativo è stato confermato dalla Commissione Medica di II^ istanza con l’ulteriore specificazione che dalle relazioni in atti non risulta che lo S. sia stato impegnato in turni e straordinari particolarmente stressanti, né sono emerse, anche in base ai supplementi di relazioni richieste da quel Comando, situazioni conflittuali con l’ambiente e i colleghi di lavoro, e che durante il servizio lo S. non ha mai manifestato disturbi psichici né alterazioni comportamentali.
            Con il ricorso qui in esame la sig.ra B. A. sottolinea come l’evento suicidario sia direttamente collegabile alla sindrome ansioso depressiva reattiva contratta dal defunto coniuge unicamente per fatti e causa di servizio, riportando le dichiarazioni di colleghi, amici e sanitari.
            In particolare si afferma che l’ambiente di lavoro con gli atteggiamenti dei superiori, nonché con l’orario di lavoro e le sentite responsabilità, avevano determinato nel sig. S., sicuramente negli ultimi due anni di servizio, ed in ogni caso nell’ultimo anno, in modo fortemente violento una condizione di malessere psico-fisico, con fortissime turbe psichiche che gli erano state diagnosticate quale una “sindrome ansioso depressiva di tipo reattivo”, per la quale si era affidato a cure di natura psicologica, ma che non è stata assolutamente avvertita dai diretti superiori dell’interessato il quale, quindi, si è trovato nell’ambiente di lavoro senza alcuna protezione.
            Il ricorso è corredato da copiosa documentazione tra cui, in particolare, il parere medico-legale del prof. G. Beduschi di Modena 28 giugno 1998 con tre allegati (all. n. 76) e la relazione di consulenza Prof. I. Galliani di Modena (all. n. 77).
            Il Ministero dell’Interno ha depositato in data 13 settembre 2004 il fascicolo degli atti sanitari ed amministrativi del Sovrintendente S. L.; in particolare l’allegato n. 4 (relazione del Dirigente dell’11° Reparto Volo di OMISSIS) risulta corredato dai certificati medici in data 8 giugno 1994 del dott. Pier Paolo Gamberi, in data 8 giugno 1994 della dott. M. Luisa Montebelli ed in data 24 ottobre 1994 del dott. Alberto Padovani attestanti la sussistenza, prima del decesso, dell’infermità “sindrome ansiosa depressiva di tipo reattivo” da porre in diretta correlazione con il serviizo prestato dall’interessato.
            In data 17 giugno 2009 l’Amministrazione resistente si è costituita con apposita memoria, corredata da copia della documentazione già trasmessa integrata con il decreto ministeriale n. 11168/04 del 16 aprile 2004 negativo di trattamento pensionistico privilegiato e con la dichiarazione di notifica del decreto stesso, insistendo per il rigetto del gravame ed eccependo in via subordinata l’intervenuta prescrizione quinquennale.
            In data 25 giugno 2009 il difensore della parte privata ricorrente ha depositato una memoria difensiva concludente per l’accoglimento del ricorso dovendo ravvisarsi nel servizio prestato una connessione anche in via mediata con il suicidio del Sovrintendente S..
            Con ordinanza n. 206/09/C del 13 ottobre 2009 questa Sezione giurisdizionale, considerato che la questione da decidere si sostanzia nell’accertamento della dipendenza da causa di servizio, sub specie di dipendenza dall’infermità “sindrome ansioso depressiva reattiva” a sua volta dipendente da causa di servizio, anche sotto il profilo del ritardo diagnostico e terapeutico, dell’evento suicidario che in data OMISSIS ha tratto a morte il Sovrintendente della Polizia di Stato S. L. e che trattasi di questione squisitamente tecnica, ha ritenuto necessario, ai fini di una più avvisata giustizia, che venisse acquisito al riguardo il motivato e definitivo parere dell’Ufficio Medico Legale presso il Ministero della Salute.
            L’istruttoria è stata eseguita ed in data 4 giungo 2010 il consulente tecnico officiato con la predetta ordinanza ha depositato il proprio parere concludente per la dipendenza da causa di servizio della patologia che ha poi indotto al suicidio il sig. S. L..
            Con memoria depositata in data 29 aprile 2011 la parte privata, richiamando le conclusioni della predetta consulenza tecnica, insiste per l’accoglimento del ricorso.
            Alla pubblica udienza l’avv. Andrea Trentin si riporta alle difese depositate ed insiste per l’accoglimento del gravame.
            Si da atto che, per l’assenza della parte pubblica resistente, non è stato possibile esperire il tentativo di conciliazione.
Al termine dell’odierna udienza è stato letto il dispositivo della presente sentenza con la precisazione che, ai sensi dell’ultima parte del primo comma dell’art. 429 c.p.c. come novellato dall’art. 53 del d.l. n. 112 del 25 giugno 2008, convertito, con modificazioni, in legge n. 133 del 6 agosto 2008, per il deposito della sentenza, resta fissato il termine ordinatorio di sessanta giorni decorrente dalla data odierna.
D I R I T T O
                 In via preliminare va precisato che l’art. 429 c.p.c. novellato prevede che, all’esito della discussione “il giudice pronunzia sentenza con cui definisce il giudizio dando lettura del dispositivo e della esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione. In caso di particolare complessità della controversia, il giudice fissa nel dispositivo un termine, non superiore a sessanta giorni, per il deposito della sentenza”.
                 Nel nuovo contesto normativo, quindi, sono distinguibili due ipotesi: a) che il giudice dia lettura integrale della sentenza (tale dovendosi intendere l’esposizione delle ragioni, in fatto e in diritto) e del dispositivo; b)  che il giudice si limiti a leggere il dispositivo, depositando in un momento successivo la sentenza comprensiva della motivazione, in presenza di particolare complessità.
                 Ma la circostanza che la lettura dell’esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione debba avvenire al termine dell’udienza, fermo restando, ovviamente, che la sentenza non può che essere redatta dopo che le parti abbiano discusso la causa (artt. 429, 275, 276 comma 5 c.p.c. in relazione agli artt. 26 e 20 R.D. n. 1038 del 1933), induce a ritenere che l’applicazione dell’art. 429 c.p.c. novellato possa, per ragioni immediatamente intuibili, aver luogo soltanto in presenza di questioni di estrema semplicità (id est, quelle di cui all’ultimo comma dell’art. 26 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, nel testo sostituito dal primo comma dell’art. 9 della l. 21 luglio 2000, n. 205, applicabile, per espressa previsione contenuta nel terzo comma del medesimo art. 9, ai giudizi innanzi alla Corte dei conti in materia di ricorsi pensionistici, civili, militari e di guerra) e laddove non sia necessario, all’esito della discussione, dare pronuncia su eccezioni e deduzioni formulate dalle parti, sempre che il numero delle questioni trattate nella medesima udienza non sia tale da imporre un eccessivo prolungamento della camera di consiglio susseguente alla pubblica udienza con gli evidenti disagi per le parti presenti, che attendono quanto meno la lettura del dispositivo delle decisioni adottate per le singole controversie trattate, ed analoghe difficoltà per l’organizzazione e lo svolgimento del servizio del segretario di udienza, la cui presenza alla lettura delle sentenze o dei soli dispositivi delle stesse è indefettibile per la funzione del verbale d’udienza, che deve essere redatto dal segretario medesimo, con la cui sottoscrizione da parte del giudice si intende pubblicata la sentenza, con conseguente esonero della segreteria della Sezione dall’onere della comunicazione, giacché il provvedimento si ritiene, con presunzione assoluta di legge, conosciuto dalle parti presenti o che avrebbero dovuto esser presenti (Cassazione civile, sez. III, 30 ottobre 2007, n. 22942).
                 Alla luce di tali considerazioni si è reputata necessaria la fissazione del termine indicato nella narrativa in fatto per il deposito della presente sentenza comprensiva della motivazione oltre che del dispositivo letto in udienza, anche in considerazione della circostanza che la lettura in udienza, oltre che del dispositivo, anche della relativa motivazione, non costituisce esordio del termine per l’impugnazione della sentenza da parte del soccombente, atteso che detto termine decorre dalla data di notificazione della sentenza a cura  della parte vittoriosa e che il termine cosiddetto “lungo” per la proposizione dell’appello è quello di sei mesi dalla pubblicazione della sentenza che, all’evidenza, non può coincidere con la lettura della stessa nella pubblica udienza per gli adempimenti di segreteria connessi alla pubblicazione stessa.
            Tanto premesso, la questione all’attenzione della Sezione si sostanzia nell’accertamento della dipendenza da causa di servizio, sub specie di dipendenza dall’infermità “sindrome ansioso depressiva reattiva” a sua volta dipendente da causa di servizio, anche sotto il profilo del ritardo diagnostico e terapeutico, dell’evento suicidario che in data OMISSIS ha tratto a morte il Sovrintendente della Polizia di Stato S. L..
Detta questione risulta adeguatamente circoscritta dall’ordinanza istruttoria indicata nella narrativa in fatto ed esaurientemente analizzata dal consulente officiato con la medesima ordinanza dalla cui conclusioni, basate di attendibili elementi di fatto e su convincenti motivazioni medico legali, non sussistono motivi per discostarsi, anche per l’assenza di qualsiasi contraria argomentazione che avrebbe dovuto e potuto essere offerta dalla parte pubblica resistente.
Afferma invero il consulente tecnico officiato con l’ordinanza indicata nella narrativa in fatto che precede dopo l’attento esame degli atti trasmessi in visione che numerose sono le notizie che permettono di definire la personalità del soggetto: dedizione al lavoro, scrupolosità, applicazione per migliorare le sue competenze e professionalità; da esse deriva il quadro di una persona attenta, sensibile alla critica e rispettosa dell’autorità di cui riconosce la funzione, lievemente introvertita.
Tale struttura psichica, prosegue il consulente, si è mostrata stabile nel tempo, almeno fino all’ultimo anno di permanenza presso la Polizia di Stato di OMISSIS nel corso del quale si è manifestato un cambiamento netto del carattere del soggetto che è descritto come estremamente ansioso, insicuro delle sue capacità ed assalito da dubbi.
Il quadro psico-patologico che se ne ricava, secondo il C.T.U., appare più profondo di una depressione reattiva e mostra una lunga ruminazione su idee di incapacità che arrivano a ridefinire sé stesso come ostacolo alla vita dei familiari, manifestandosi così uni sviluppo deliroide di rovina ed alla costituzione di tale quadro sicuramente parteciparono numerosi fattori ambientali, che sono ben evidenti degli atti allegati e sono costituiti da un progressivo deterioramento delle relazioni lavorative (il soggetto è meno loquace, più chiuso in sé stesso, dubbioso delle sue prestazioni lavorative, preoccupato), da una (verosimilmente depercepita) relazione con i superiori, dai quali non si sente apprezzato, sentendosi addirittura umiliato in certe particolari situazioni e da un aumento delle preoccupazioni per le nuove condizioni che avrebbe trovato con il trasferimento, anche se da lui stesso richiesto; anche l’introduzione del trattamento con farmaci può aver modificato, ameno inizialmente in senso peggiorativo,le condizioni psico-patologiche.
Tali fattori, conclude il consulente, hanno in certa misura agito patoplasticamente nell’approfondire la dimensione sensitiva della personalità, peraltro ben compensata fino ad allora, fino a giungere alla condizione deliroide sopra descritta e pertanto, in base a quanto suddetto, non si può non ravvedere nel servizio svolto una forte componente concausale valida nel determinismo della sindrome depressiva che ha poi, modificandosi in peggio, condotto il soggetto al suicidio.
   A giudizio di questo giudice unico, il Consulente d’ufficio ha adeguatamente motivato in merito alla sussistenza del requisito della dipendenza da causa di servizio della sindrome depressiva che ha poi condotto al suicidio il sig. S. L., ed il Ministero della Difesa resistente non ha in alcun modo contrastato il sopra riportato parere, per cui non soccorrono motivi per disattenderlo in questa sede.
Ciò posto, deve essere accolta la domanda della parte privata ricorrente, sussistendo peraltro giusti motivi per compensare le spese del presente giudizio.
Quanto all’eccezione di intervenuta prescrizione sollevata dall’Amministrazione resistente con la memoria difensiva depositata in data 17 giugno 2009, la stessa, appare infondata alla luce della copiosissima corrispondenza intercorsa tra la ricorrente e l’Amministrazione della Difesa, dimostrante il perdurante interesse della parte privata alla risoluzione della controversia sorta a seguito del silenzio serbato dal Ministero della Difesa in merito alle richieste della sig.ra B. A.; anche in assenza di specifica qualificazione in tal senso di detta corrispondenza, la stessa appare tuttavia idonea ad interrompere il decorso della prescrizione che, conseguentemente, non risulta essersi maturata.
P. Q. M.
La Corte dei conti, Sezione giurisdizionale per la Regione Emilia Romagna, in funzione di giudice unico delle pensioni in composizione monocratica nella persona del consigliere Luigi Di Murro, visto l’art. 5 della l. 21 luglio 2000 n. 205 nonché gli artt. 420, 421, 429, 430 e 431 del codice di procedura civile, definitivamente pronunciando, ACCOGLIE il ricorso iscritto al n. 032975/Pensioni Civili del registro di segreteria, proposto dalla sig.ra B. A. e, per l’effetto, dichiara la dipendenza da causa di servizio dell’infermità Evento suicidario a seguito di colpo di arma da fuoco in sede temporale destra, in soggetto affetto da sindrome ansioso depressiva reattiva”.
Dispone che gli atti siano trasmessi all’Amministrazione della Difesa per quanto di competenza.
Spese compensate.
Così deciso in Bologna, nella camera di consiglio dell’11 maggio 2011.
DECRETO
Il Giudice Unico delle Pensioni, ravvisati gli estremi per l’applicazione dell’art. 52, comma 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196,
DISPONE
che, a cura della Segreteria, venga apposta l’annotazione di cui al comma 3 di detto articolo nei confronti della parte ricorrente.
Il Giudice
                                                                       Presidente Luigi Di Murro
                                                                       f.to Luigi Di Murro
Depositata in Segreteria il 09/06/2011
                                                                                  IL DIRIGENTE
                                                                       f.to dr.ssa Lucia Caldarelli
In esecuzione del provvedimento del Giudice Unico delle Pensioni, ai sensi dell’art. 52 del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, in caso di diffusione, omettere le generalità e gli altri dati identificativi di parte ricorrente.
                                                                                  IL DIRIGENTE
                                                                       f.to dr.ssa Lucia Caldarelli
SEZIONE ESITO NUMERO ANNO MATERIA PUBBLICAZIONE
EMILIA ROMAGNA Sentenza 271 2011 Pensioni 09-06-2011

Corte dei Conti "...ACCOGLIE il ricorso in esame (n. 57792 PC), proposto da L. B. nei confronti del Ministero dell’Interno, e, per l’effetto, dichiara l’applicabilità, nei suoi confronti, dell’art. 67 del DPR n. 1092/1973 ed il conseguente riconoscimento del diritto alla percezione dei dovuti benefici pensionistici, fatti salvi gli effetti della prescrizione, a decorrere dalla data di cessazione dal servizio...."

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI
SEZIONE GIURISDIZIONALE PER LA REGIONE TOSCANA
in composizione monocratica, nella persona del Giudice Unico delle pensioni, Consigliere Francesco D’ISANTO, ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso, iscritto al n.  57792 P.C. del registro di Segreteria, promosso da ----è elettivamente domiciliato – avverso il decreto 1068/2002 del Ministero dell’Interno.
            Nella pubblica udienza del 4 maggio 2011, udito l’avv. Marco Canapicchi, per delega.
            Non rappresentata l’Amministrazione.
            Visti gli atti ed i documenti della causa;
            Visto il D.L. 15.11.1993, n. 453, convertito in Legge 14.1.1994, n. 19;
            Visto il D.L. 23.10.1996 n. 543, convertito in Legge 20.12.1996, n. 639;
            Vista la Legge 27.7.2000, n. 205
FATTO
1.         Con ricorso qui pervenuto il 1903.2009, il sig. L., già in servizio presso la Polizia di Stato fino al 02.09.1998, impugnava il citato decreto n. 1068/2002 con cui – pur riconoscendo che le infermità da lui sofferte erano dipendenti da causa di servizio ed ascrivibili a tab. A 7^ ctg. – gli veniva negata la relativa p.p.o. in quanto le medesime non portavano l’inabilità al servizio.
            Ulteriore memoria perveniva il 22.04.1011.
2.         Il Ministero dell’Interno, costituitosi il 26.04.2011, nell’evidenziare il mutato orientamento, in proposito, di questa Corte, eccepisce la prescrizione quinquennale.
3.         A conclusione dell’odierna udienza di discussione – nel corso della quale il difensore si riporta agli atti – questo Giudice, ai sensi dell’art. 429 c.p.c., ha dato lettura del dispositivo della presente decisione riservandosi il deposito entro il termine prefissato.
DIRITTO
1.         Preliminarmente, è da evidenziare, con riferimento alla previsione del novellato art. 420 c.p.c., l’impossibilità del tentativo di conciliazione, considerato che non sono presenti entrambe le parti.
2.         Per giurisprudenza consolidata (vgs. 3^ sez. centr. n. 13621/2002; sez. giur. Toscana nn. 740/2006 e 654/2009), per il personale della Polizia di Stato, il diritto a percepire il trattamento di P.P.O. è regolato, ai sensi dell’art. 5 (comma 6) della legge n. 472/1987, dalla stessa norma prevista per il personale delle FF.AA. e delle FF.PP. ad ordinamento militare: l’art. 67 del D.P.R. n. 1092/1973.
            Quest’ultimo prevede, come condizione indispensabile, l’accertata dipendenza da fatti di servizio dell’infermità riscontrata, (requisito che si riscontra nella documentazione relativa al ricorrente) e non l’asserita inabilità al servizio.
            Alla stregua di quanto sopra, il ricorso è fondato e, quindi meritevole di accoglimento.
            Si deve, pertanto, dichiarare l’applicabilità, nei confronti del ricorrente, dell’art. 67 del DPR n. 1092/1973 ed il suo conseguente diritto, in relazione all’esito della prescritta procedura, a percepire i dovuti benefici pensionistici, fatti salvi gli effetti dell’eccepita prescrizione, relativa ai ratei maturati prima del quinquennio precedente alla data di ricezione della sua istanza, datata 31.03.2008..
3.         Su quanto dovuto spettano, inoltre, interessi legali e rivalutazione monetaria, ex artt. 429 c.p.c. e 150 disp. att. c.p.c., dalla maturazione dei singoli ratei al soddisfo, da liquidarsi cumulativamente, nel senso di una possibile integrazione degli interessi legali ove l’indice di svalutazione dovesse eccedere la misura degli stessi (SS.RR. 10/2002).
4.         Attesa la chiarezza della normativa, risalente ad oltre due decenni, e la univocità della relativa giurisprudenza, le spese legali quantificate come da notula, in euro 1.377,00 (milletrecentosettantasette/00) più IVA e CAP, vanno poste a carico dell’Amministrazione soccombente.
P.Q.M.
la Corte dei Conti, Sezione Giurisdizionale per la Toscana – in composizione monocratica – definitivamente pronunciando
ACCOGLIE
il ricorso in esame (n. 57792 PC), proposto da L. B. nei confronti del Ministero dell’Interno, e, per l’effetto, dichiara l’applicabilità, nei suoi confronti, dell’art. 67 del DPR n. 1092/1973 ed il conseguente riconoscimento del diritto alla percezione dei dovuti benefici pensionistici, fatti salvi gli effetti della prescrizione, a decorrere dalla data di cessazione dal servizio.
            Segue il riconoscimento delle somme aggiuntive, come indicato in parte motiva.
Dispone la trasmissione degli atti all’Amministrazione, per gli ulteriori adempimenti di competenza, ed alla locale Procura Regionale per quanto, eventualmente, di interesse.
            Le spese legali, pari ad € 1.377,00 (milletrecentosettantasette/00) più IVA e CAP, sono a carico dell’Amministrazione soccombente.
Così deciso, in Firenze, previa lettura del dispositivo, nell’udienza del 4 maggio 2011.
In esito alla riserva ivi contenuta, la presente sentenza, emessa nella Camera di Consiglio del 06.05.2011, in pari data viene comunicata alla Segreteria, per il seguito di competenza.
                                                                               IL GIUDICE UNICO
                                                                          F.to Francesco D’Isanto
Depositata in Segreteria il 14 GIUGNO 2011
                                                              IL DIRETTORE DI SEGRETERIA
                                                                       F.to Paola Altini
SEZIONE ESITO NUMERO ANNO MATERIA PUBBLICAZIONE
TOSCANA Sentenza 215 2011 Pensioni 14-06-2011

MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI - PROVVEDITORATO INTERREGIONALE ALLE OPERE PUBBLICHE TOSCANA - UMBRIA AVVISO Avviso relativo al concorso nazionale tra artisti per la realizzazione di: A3) due opere pittoriche con soggetto che si ispiri all'attivita' istituzionale del Corpo della Polizia di Stato da ubicare nell'ambito del Nuovo Centro Polifunzionale di Grosseto. (GU n. 53 del 5-7-2011 )

In data 1° febbraio 2011, 9 marzo 2011 e 9 maggio 2011 e' stato esperito un concorso nazionale tra artisti per la realizzazione di: A3) due opere pittoriche con soggetto che si ispira all'attivita' istituzionale del Corpo della Polizia di Stato da ubicare nell'ambito del Nuovo Centro Polifunzionale di Grosseto sede della Questura e Polizia Stradale di Grosseto, piazza Platucci. Importo complessivo dell'opera: € 28.000,00 (€ 14.000,00 per ciascun quadro). Per conoscere l'esito del concorso si rinvia alla pagina: Gare - Aggiudicazioni del sito internet: www.comune.firenze.it/soggetti/oopptoscana/Home_page.html.

MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI - PROVVEDITORATO INTERREGIONALE ALLE OPERE PUBBLICHE TOSCANA - UMBRIA AVVISO Avviso relativo al concorso nazionale tra artisti per la realizzazione di: A2) pannello in bassorilievo o mosaico, ispirato all'attivita' istituzionale del Corpo di Polizia di Stato da ubicare nell'ambito del Nuovo Centro Polifunzionale di Grosseto. (GU n. 53 del 5-7-2011 )

In data 1° febbraio 2011, 9 marzo 2011 e 9 maggio 2011 e' stato esperito un concorso nazionale tra artisti per la realizzazione di: A2) pannello in bassorilievo o mosaico ispirato all'attivita' istituzionale del Corpo della Polizia di Stato da ubicare nell'ambito del Nuovo Centro Polifunzionale di Grosseto sede della Questura e Polizia Stradale di Grosseto, piazza Platucci. Importo complessivo dell'opera: € 45.000,00. Per conoscere l'esito del concorso si rinvia alla pagina: Gare - Aggiudicazioni del sito internet: www.comune.firenze.it/soggetti/oopptoscana/Home_page.html.

MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI - PROVVEDITORATO INTERREGIONALE ALLE OPERE PUBBLICHE TOSCANA - UMBRIA AVVISO Avviso relativo al concorso nazionale tra artisti per la realizzazione di: A1) complesso scultoreo (Statua) con soggetto che ricordi il Corpo della Polizia di Stato da ubicare nell'ambito del Nuovo Centro Polifunzionale di Grosseto. (GU n. 53 del 5-7-2011 )

In data 1° febbraio 2011, 9 marzo 2011 e 9 maggio 2011 e' stato esperito un concorso nazionale tra artisti per la realizzazione di: A1) complesso scultoreo (Statua) con soggetto che ricordi il Corpo della Polizia di Stato da ubicare nell'ambito del Nuovo Centro Polifunzionale di Grosseto sede della Questura e Polizia Stradale di Grosseto, piazza Platucci. Importo complessivo dell'opera: € 100.000,00. Per conoscere l'esito del concorso si rinvia alla pagina: Gare - Aggiudicazioni del sito internet: www.comune.firenze.it/soggetti/oopptoscana/Home_page.html.

martedì 5 luglio 2011

TV: FRECCERO, POTREI DIMETTERMI DA RAI PER FARE TELEVISIONE LIBERA CON SANTORO

TV: FRECCERO, POTREI DIMETTERMI DA RAI PER FARE TELEVISIONE LIBERA CON SANTORO =

Roma, 5 lug. (Adnkronos) - ''Potrei dimettermi dalla Rai per
fare un nuovo progetto di tv libera, in proprio con Santoro, come
artisti associati. Ci sto lavorando un po' per valutare se e'
possibile costruire questa convergenza, anche con le tv locali. Si',
c'e' la possibilita' che mi dimetta, anche a breve''. Lo ha detto il
direttore di Rai4, Carlo Freccero, intervenendo alla 'Zanzara' su
Radio 24.

(Spe/Ct/Adnkronos)
05-LUG-11 21:18TV: FRECCERO,POTREI DIMETTERMI DA RAI PER ANDARE CON SANTORO

(ANSA) - ROMA, 5 LUG - ''Potrei dimettermi dalla Rai per fare
un nuovo progetto di tv libera, in proprio con Santoro, come
artisti associati. Ci sto lavorando un po' per valutare se e'
possibile costruire questa convergenza, anche con le tv locali.
Si', c'e' la possibilita' che mi dimetta, anche a breve'' Lo ha
detto Carlo Freccero intervenendo alla Zanzara su Radio
24.(ANSA).

Roma, Cgil, omicidio a Prati acuisce divario tra sicurezza reale e mediatica

ROMA: CGIL, OMICIDIO A PRATI ACUISCE DIVARIO TRA SICUREZZA REALE E MEDIATICA =

Roma, 5 lug. - (Adnkronos) - "La feroce esecuzione avvenuta oggi
in pieno centro a Roma non fa che avvalorare le tesi, da noi da tempo
sostenute, circa il problema della sicurezza e della legalita' nella
capitale, acuendo ulteriormente il divario esistente fra sicurezza
reale e quella mediatica". Lo dichiarano Claudio Di Berardino,
segretario generale della Cgil di Roma e del Lazio, Cosmo Bianchini,
segretario generale del Silp Cgil del Lazio e Gianni Ciotti,
segretario generale del Silp Cgil di Roma.

"Non si puo' continuare ad andare avanti a colpi di spot. Mentre
aumenta la presenza di clan criminali e si registra un'escalation
della deliquenza e della violenza - proseguono - assistiamo
paradossalmente a una riduzione dell'organico in una citta' che
dovrebbe avere un numero di poliziotti adeguato".

"Occorre - concludono - mettere in atto politiche vere per la
sicurezza che consentano anche di arrivare a una riorganizzazione e a
una razionalizzazione dell'utilizzo delle forze dell'ordine e torniamo
a chiedere alla Regione Lazio su questi temi l'apertura di un tavolo
interistituzionale permanente".

(Fla/Col/Adnkronos)
05-LUG-11 18:54

NNNN

Prati, Cgil: "Si acuisce divario fra sicurezza reale e mediatica" (link diretto al portale dell'autore)



L'agguato

Prati, Cgil: "Si acuisce divario fra sicurezza reale e mediatica"

Claudio Di Berardino

"Assistiamo paradossalmente a una riduzione dell'organico in una città che dovrebbe avere un numero di poliziotti adeguato", scrivono il una nota Claudio Di Berardino, segretario generale della Cgil di Roma e del Lazio, Cosmo Bianchini, segretario generale del Silp Cgil del Lazio e Gianni Ciotti, segretario generale del Silp Cgil di Roma
"La feroce esecuzione avvenuta oggi in pieno centro a Roma non fa che avvalorare le tesi da noi da tempo sostenute circa il problema della sicurezza e della legalità nella Capitale, acuendo ulteriormente il divario esistente fra sicurezza reale e quella mediatica". Così in una nota Claudio Di Berardino, segretario generale della Cgil di Roma e del Lazio, Cosmo Bianchini, segretario generale del Silp Cgil del Lazio e Gianni Ciotti, segretario generale del Silp Cgil di Roma. "Non si può continuare ad andare avanti a colpi di spot. Mentre aumenta la presenza di clan criminali e si registra una escalation della deliquenza e della violenza - proseguono - assistiamo paradossalmente a una riduzione dell'organico in una città che dovrebbe avere un numero di poliziotti adeguato".
"Occorre - concludono - mettere in atto politiche vere per la sicurezza che consentano anche di arrivare a una riorganizzazione e a una razionalizzazione dell'utilizzo delle forze dell'ordine e torniamo a chiedere alla Regione Lazio su questi temi l'apertura di un tavolo interistituzionale permanente".

Prati, ucciso il figlio di un ex della banda della Magliana (link diretto al portale dell'autore)


L'agguato

Prati, ucciso il figlio di un ex della banda della Magliana

Omicidio prati


L'omicidio è avvenuto in via Riccardo Grazioli Lante nel XVII municipio. Il padre della vittima fu coinvolto, nel 1993, nell'ambito dell'operazione "Colosseo" contro la potente organizzazione crimanale romana. Il Silp Cgil: criminalità organizzata, "guerra per controllare il territorio". Per il presidente della commissione lotta alla criminalità del Consiglio regionale del Lazio Filiberto Zaratti (Sel): "Roma assediata da criminalità e mafie". Pd Roma: "Capitale insicura, intervenga Maroni". Piccolo (Pdl): "Quartiere a rischio Scampia". Rossodivita: "Necessario un vertice sulla sicurezza". Ranucci: "Roma come Chicago degli anni '20". Le indagini sono coordinate dalla Direzione distrettuale antimafia della capitale
L'AGGUATO I testimoni: "Visti due uomini in moto"
LE REAZIONI/1 Alemanno: "Siamo di fronte a un reato grave"
LE REAZIONI/2 Cgil: "Si acuisce divario fra sicurezza reale e mediatica"
Era già stato gambizzato in piazza del Monte di Pietà nel febbraio scorso l'uomo ucciso stamane in via Riccardo Grazioli Lante all'incrocio con via Simone de Saint Bon, al quartiere Prati. Al tempo si parlò di movente passionale, nonostante lo scetticismo degli inquirenti. Flavio Simmi, 33 anni, si trovava al volante della propria auto, una Ford Ka grigia, fermo al semaforo. Con lui una donna. La vettura poi sarebbe stata avvicinata dal killer che avrebbe esploso più colpi di pistola mentre l'uomo cercava di uscire fuori dalla macchina senza riuscirvi e restare con i piedi incastrati nell'abitacolo e il corpo riverso sull'asfalto. Ancora da chiarire al dinamica dell'omicidio. Sette sarebbero i colpi esplosi dal killer contro la vittima.
Simmi era figlio di una persona che negli anni Novanta fu accusata di aver preso parte alla banda della magliana. Il genitore fu coinvolto nel 1993 come presunto riciclatore nella cosiddetta "operazione Colosseo" che portò alla confisca di beni appartenenti al gruppo criminale per cento milioni di lire, ma fu poi scagionato al termine del processo.
Interrogatori sono in corso da parte degli investigatori della squadra mobile. Gli inquirenti stanno cercando testimonianze per stringere il cerchio sugli autori dell'omicidio. Movente, numero dei killer, tra i principali nodi da sciogliere.
Un grande telo verde copre il corpo in strada di Flavio Simmi. Il cadevere dell'uomo è stato caricato sul furgone della polizia mortuaria. Intorno l'area è transennata e oltre ai curiosi, ci sono amici e parenti molti dei quali non riesco a trattenere le lacrime. Sul posto ci sono ancora gli agenti della polizia scientifica che sono alla ricerca di indizi. L'uomo viveva poco distante dal luogo dell'omicidio in via Fa' di Bruno, era sposato e aveva dei figli. Amici e parenti si trovano sul luogo del delitto, davanti alla pozza di sangue.
IL SILP CGIL. Le modalità di esecuzione del delitto sembrerebbero tipiche del codice mafioso. "I casi di malavita che vanno dall'usura allo spaccio di droga, sebbe siano isolati, dimostrano che a Roma c'è un vero e proprio controllo del territorio - torna a denunciare con forza il segretario del Silp Cgil Roma, Gianni Ciotti -, non si tratta di un semplice regolamento di conti, c'è una guerra in atto tra bande di criminalità organizzata che vogliono conquistarsi l'egemonia sulla Capitale".
IL PD. "L'ennesimo omicidio avvenuto a Roma in pieno giorno e in pieno centro è l'ennesima dimostrazione dell'insicurezza e della violenza presenti in città. Nella Roma di Alemanno, nonostante le promesse fatte in campagna elettorale, ogni giorno si registra un episodio di inaudita ferocia, come non succedeva da decenni. Chiediamo quindi al Ministro Maroni di intervenire al più presto prima che la situazione sfugga ad ogni controllo. Non ci fidiamo più di Alemanno e della sua Giunta, che davanti ad ogni caso di questo tipo, rispondono esponendo sterili statistiche sulla diminuzione dei reati, omettendo sempre di dire che sono in calo dal 2007 e in tutta italia perché in quell'anno a causa dell'amnistia in molti uscirono dal carcere provocando un innalzamento dei reati. A Roma ormai è il Far west, ma Alemanno sciorina numeri che non interessano a nessuno". Lo dichiara in una nota il segretario del Pd Roma, Marco Miccoli. Per il senatore Raffaele Ranucci: "Oggi Roma sembra la Chicago degli anni Venti dove avvenivano omicidi e regolamenti di conti in pieno giorno e nelle strade più centrali e frequentate. La violenza nella città di Roma sta dilagando in modo allarmante. Nelle ultime settimane si sono ripetuti stupri, omicidi e violenze, alcuni ancora senza responsabili. L'uccisione di Flavio Simmi di questa mattina a Prati è solo l'ultimo caso dopo tanti tra cui il pestaggio, di pochi giorni fa, di Alberto Bonanni, ridotto in fin di vita nel centralissimo rione Monti".
IL PDL. “L’assassinio avvenuto nel cuore del quartiere Prati-Della Vittoria dimostra che la zona è ormai terra di esecuzioni malavitose. Un omicidio efferato, violento, avvenuto in pieno giorno e a pochi metri dal Vaticano e che fa seguito all’analogo regolamento di conti avvenuto lo scorso aprile in piazza Mazzini quando venne ucciso davanti a decine di persone un imprenditore. Mi auguro fortemente che gli investigatori facciano immediata luce su questo nuovo agghiacciante episodio che rischia di trasformare Prati in una nuova Scampia”. Così in una nota Samuele Piccolo (Pdl), vicepresidente dell’Assemblea capitolina. 
I RADICALI. "L'ennesimo omicidio di questa mattina nel quartiere Prati di Roma che si è consumato con una dinamica da vera e propria esecuzione della criminalità organizzata sbatte in faccia ai romani il totale fallimento di Alemanno che fu eletto sul tema della sicurezza". Lo afferma in una nota Giuseppe Rossodivita, Capogruppo Lista Bonino Pannella Federalisti Europei, Membro Commissione sulla sicurezza, integrazione sociale e lotta alla criminalità al Consiglio Regionale del Lazio.
 "A Roma da tempo sta accadendo qualcosa che oramai sembra sfuggito al controllo di tutte le autorità preposte a garantire la sicurezza e l'incolumità dei cittadini - prosegue - Sarebbe a questo punto necessario un vertice tra tutti i soggetti istituzionali che hanno responsabilità in materia al fine di affrontare, con azioni concrete, una questione che non si può più far finta di non vedere".
L'IDV. "L'esecuzione che si è consumata stamattina a Prati è l'ennesimo, inquietante fatto di cronaca che sconfessa la favoletta di Roma città sicura. I romani cominciano ad avere il dubbio che i giornali che leggono tutte le mattine siano vecchie copie degli anni '70". Lo dichiara in una nota il segretario regionale dell'Italia dei valori, Vincenzo Maruccio. "Ora Alemanno ci dirà che la colpa è delle fiction televisive, o che sono fatti isolati - aggiunge - Peccato che il segnale sia ormai chiaro a tutti: non passa giorno senza pestaggi, esecuzioni in puro stile malavitoso, violenze di ogni genere. E' giunto il momento di intervenire, ammettendo l'emergenza e unendo le forze per combattere un fenomeno dilagante che non segna solo il fallimento del sindaco e della sua amministrazione, ma scredita la città agli occhi del mondo".
SEL. "L’omicidio in Prati e il maxi sequestro di beni immobili appartenenti alla ‘ndrangheta del clan Gallico di Palmi, sono due episodi di una lunga serie di gravissimi fatti criminosi che si susseguono a Roma e nella sua provincia. Negli ultimi mesi abbiamo assistito a una vera e propria escalation criminale: omicidi, tentati omicidi, gambizzazioni, regolamenti di conti, incendi dolosi, sequestri di beni ai clan di ‘ndrangheta e camorra. Questo scenario impone una reazione delle istituzioni, lasciando da parte i tentativi di minimizzazione del fenomeno e le sterili polemiche. Per questo motivo ho scritto una lettera al Presidente della Commissione parlamentare antimafia, Senatore Giuseppe Pisanu, chiedendo l’apertura immediata di un’inchiesta sulle mafie a Roma e nel Lazio, visto che l’ultima e del 1994”. Lo dichiara in una nota Filiberto Zaratti (Sel), Presidente della Commissione lotta alla criminalità del Consiglio regionale del Lazio.
 

Corte Costituzionale ".. Tagli di spesa delle Regioni La Regione può decidere autonomamente dove tagliare le spese, purché la somma dei tagli sia pari all'importo fissato complessivamente dalla legge nazionale. Ma non può indicare un anno diverso da quello fissato a livello centrale, come base per calcolare le percentuali di spesa da ridurre e autorizzare, perché ciò viola la riserva di legge nazionale. Sono questi i principi affermati dalla Corte costituzionale con la Sent. n. 182, depositata il 10 giugno 2011. .."


  
 
Corte Cost., 10 giugno 2011, n. 182
Corte cost., Sent., 10-06-2011, n. 182Fatto Diritto P.Q.M.
Svolgimento del processo
SENTENZA
Nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 1, comma 1, e 12, comma 2, lettera b), della legge della Regione Toscana 29 dicembre 2010, n. 65 (Legge finanziaria per l'anno 2011), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 24 febbraio - 3 marzo 2011, depositato in cancelleria il 1° marzo 2011 ed iscritto al n. 11 del registro ricorsi 2011.
Visto l'atto di costituzione della Regione Toscana;
udito nell'udienza pubblica del 10 maggio 2011 il Giudice relatore Giorgio Lattanzi;
uditi l'avvocato dello Stato Federico Basilica per il Presidente del Consiglio dei ministri e l'avvocato Lucia Bora per  la Regione Toscana.
1. - Con ricorso notificato il 24 febbraio 2011 e  depositato il successivo 1° marzo (reg. ric. n. 11 del 2011), il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, ha proposto questioni di legittimità costituzionale dell'art. 1, comma 1, e dell'art. 12, comma 2, lettera b), della legge della Regione Toscana 29 dicembre 2010, n. 65  (Legge finanziaria per l'anno 2011), in relazione all'art. 117, terzo comma, della Costituzione.
L'art. 1, comma 1, della legge impugnata stabilisce che «in applicazione della disposizione di cui all'articolo 6 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica) convertito in legge, con modificazioni, dall'articolo 1, comma 1, della legge 30 luglio 2010, n. 122,  la Giunta regionale, sulla base delle spese risultanti dal rendiconto per l'anno 2009, determina con proprio atto l'ammontare complessivo della riduzione delle proprie spese di funzionamento indicate dal citato  articolo 6. Tale ammontare è assicurato dalla Giunta regionale anche mediante una modulazione delle percentuali di risparmio in misura diversa rispetto a quanto disposto dall'articolo 6 del decreto-legge n. 78/2010».
A propria volta, l'art. 6 del decreto-legge n. 78 del 2010,  al quale la disposizione impugnata si riferisce, prevede la «riduzione dei costi degli apparati amministrativi», operando su numerose voci di spesa della pubblica amministrazione, anche per mezzo di decurtazioni indicate in percentuale.
A parere del ricorrente, la disposizione impugnata, nel consentire alla Giunta regionale di modificare tali percentuali «definite e puntuali», si pone in contrasto con la normativa  statale interposta, espressiva di un principio di coordinamento della finanza pubblica, e viola, di conseguenza, l'art. 117, terzo comma, Cost.
La seconda disposizione impugnata, ossia l'art. 12, comma 2, lettera b), della legge in questione, stabilisce che per l'anno 2011 gli enti e le aziende del servizio sanitario regionale procedono «all'adozione di misure per il contenimento della spesa per il  personale idonee a garantire che la spesa stessa non superi il corrispondente ammontare dell'anno 2006, comprensivo dei costi contrattuali di competenza 2006, anche se erogati negli anni successivi,  diminuito dell'1,4 per cento. A tal fine si considera anche la spesa per il personale con rapporto di lavoro a termine. Dalla spesa 2006 sono  esclusi gli oneri per arretrati relativi ad anni precedenti, a seguito del rinnovo dei contratti collettivi nazionali di lavoro, e dalla spesa 2011 gli oneri derivanti dai rinnovi contrattuali intervenuti successivamente al 2006».
Il ricorrente ritiene tale previsione in contrasto con l'art. 2, comma 71, della legge 23 dicembre 2009, n. 191 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - Legge finanziaria 2010), secondo cui l'anno di riferimento, ai fini della determinazione del livello di spesa, è il 2004, anziché il 2006: anche in questo caso il legislatore regionale avrebbe violato un principio di coordinamento della finanza pubblica.
Il pregiudizio che le norme censurate avrebbero prodotto a carico delle «finanze pubbliche» giustificherebbe, secondo l'Avvocatura, la sospensione della legge impugnata, ai sensi dell'art. 35 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale).
2. - Si è costituita in giudizio la Regione Toscana, chiedendo che le questioni siano dichiarate non fondate.
La Regione osserva che con l'art. 1, comma 1, impugnato viene rispettato l'«ammontare complessivo delle riduzioni disposte dalla norma statale» (art. 6 del decreto-legge n. 78 del 2010),  ma si riserva alla Giunta il potere di ripartire i tagli apportati alle  specifiche voci di spesa, anche secondo percentuali di volta in volta diverse rispetto a quelle indicate dalla norma interposta.
Difatti, prosegue la Regione, la disposizione statale evocata dal ricorrente non potrebbe in nessun caso ritenersi espressiva di un principio fondamentale di coordinamento della finanza pubblica, tale da imporsi all'autonomia regionale, ove si dovesse intendere che le percentuali ivi indicate siano rigide e immodificabili da parte del legislatore regionale. Si tratterebbe, infatti, di un'incisione su minute e dettagliate voci di spesa, tale da ledere l'autonomia finanziaria della Regione, secondo quanto avrebbe ripetutamente affermato la stessa giurisprudenza costituzionale.
Questo rilievo troverebbe conferma nello stesso art. 6, comma 20, del decreto-legge n. 78 del 2010,  secondo cui «le disposizioni del presente articolo non si applicano in via diretta alle regioni, alle province autonome e agli enti del Servizio sanitario nazionale, per i quali costituiscono disposizioni di principio ai fini del coordinamento della finanza pubblica».
Quanto, poi, all'art. 12, comma 2, lettera b), l'altra disposizione impugnata, la Regione Toscana ritiene che anche con  riguardo alla spesa per il personale del settore sanitario il legislatore statale non possa imporre in modo rigido un tetto a una singola voce del bilancio, dovendosi limitare a prescrivere il perseguimento dell'«equilibrio economico-finanziario» complessivo.
Ciò troverebbe avallo nell'art. 2, comma 73, della legge n. 191 del 2009,  secondo cui, in sede di verifica dell'osservanza degli adempimenti cui è  vincolata per il contenimento della spesa sanitaria, la Regione è considerata adempiente, ove, pur in caso di mancato raggiungimento degli  specifici obiettivi, abbia comunque assicurato il predetto equilibrio. In tale contesto, la disposizione impugnata, relativa al 2011, avrebbe ben potuto assumere come anno di riferimento per la determinazione della  spesa il 2006, anziché il 2004, confermando in tal modo una scelta già compiuta dalla legge regionale 1 agosto 2006, n. 42 (Misure di razionalizzazione della spesa delle aziende ed enti del servizio sanitario regionale), con riferimento al triennio 2007-2009. Rispetto a quest'ultimo triennio, infatti, la riduzione della spesa è stata aumentata dall'1% all'1,4%, assicurando in tal modo,
secondo la difesa regionale, l'equilibrio economico complessivo.Motivi della decisione
1.  - Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, ha proposto questioni di legittimità costituzionale dell'art. 1, comma 1, e dell'art. 12, comma 2, lettera b), della legge della Regione Toscana 29 dicembre 2010, n. 65  (Legge finanziaria per l'anno 2011), in relazione all'art. 117, terzo comma, della Costituzione.
Il ricorrente ritiene che tali disposizioni ledano la competenza dello Stato a dettare i principi fondamentali della  materia a riparto concorrente "coordinamento della finanza pubblica", ponendosi in contrasto con due norme specificamente adottate nell'esercizio di essa.
In particolare, l'art. 1, comma 1, nel consentire  alla Giunta regionale di determinare l'ammontare complessivo della riduzione delle proprie spese di funzionamento, rispetto al livello raggiunto nel 2009, contrasterebbe con l'art. 6 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 30 luglio 2010, n. 122.  Questo articolo, al fine di ridurre il costo degli apparati amministrativi, ha prescritto un taglio, secondo percentuali prestabilite, di numerose voci di spesa proprie delle amministrazioni statali, stabilendo altresì, al comma 20, che le singole disposizioni con cui tali tagli sono stati indicati nel corpo dello stesso art. 6 costituiscono principi di coordinamento della finanza pubblica per Regioni, Province autonome ed enti del
Servizio sanitario nazionale.
La norma regionale censurata, pur nel dichiarato intento di dare attuazione all'art. 6 del decreto-legge n. 78 del 2010,  consentirebbe alla Giunta una «modulazione delle percentuali di risparmio in misura diversa» rispetto a quella rigidamente determinata dalla disposizione statale, con ciò, a parere dell'Avvocatura, contravvenendovi.
Il ricorrente muove, infatti, dal presupposto interpretativo secondo cui l'art. 6 pretende di trovare applicazione integrale nei confronti delle Regioni, le quali sarebbero perciò obbligate a operare una contrazione di singole e minute voci di spesa, proprio nella misura prescritta per le amministrazioni dello Stato.
In particolare, con riguardo alle sole spese concernenti il funzionamento della Giunta (le uniche ad essere disciplinate dalla norma impugnata, tra le molte previste dall'art. 6 del decreto-legge n. 78 del 2010),  si sarebbe trattato di ridurre del 10%, rispetto al 2010, indennità, compensi, gettoni, retribuzioni ed altre utilità corrisposte ai componenti di organi (art. 6, comma 3); di contenere entro il 20% del tetto raggiunto nel 2009 sia le spese per studi ed incarichi di consulenza (art. 6, comma 7), sia le spese per relazioni pubbliche, convegni, mostre, pubblicità e rappresentanza (art. 6, comma 8); di rinunciare integralmente alle spese per sponsorizzazioni (art. 6, comma 9); di ridurre al 50% del 2009 le spese sia per missioni (art. 6, comma 12), sia per la formazione (art. 6, comma 13); di restringere all'80% del 2009 le spese per la gestione delle autovetture, compresi i
buoni taxi (art. 6, comma 14).
Secondo la Regione, invece, la disposizione in questione non potrebbe in nessun caso ritenersi espressiva di un principio fondamentale di coordinamento della finanza pubblica, tale da imporsi all'autonomia regionale, ove si dovesse intendere che le percentuali ivi indicate siano rigide e immodificabili da parte del legislatore regionale. Si tratterebbe, infatti, di un'incisione su minute e dettagliate voci di spesa, tale da ledere l'autonomia finanziaria della Regione, secondo quanto avrebbe ripetutamente affermato la stessa giurisprudenza costituzionale.
E' solo nel suo insieme che l'art. 6 del decreto-legge n. 78 del 2010 potrebbe eventualmente considerarsi espressione di un principio fondamentale di coordinamento della finanza pubblica, e sotto questo aspetto nessuna violazione sarebbe configurabile dal momento che «la Regione Toscana ha previsto di attenersi all'ammontare complessivo delle  riduzioni disposte dalla norma statale, con la facoltà di ripartire la riduzione complessiva in autonomia, e dunque in modo anche diverso da quanto disposto a livello nazionale».
1.2. - La questione non è fondata.
Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, il legislatore statale, con una "disciplina di principio", può legittimamente «imporre agli enti autonomi, per ragioni di coordinamento  finanziario connesse ad obiettivi nazionali, condizionati anche dagli obblighi comunitari, vincoli alle politiche di bilancio, anche se questi  si traducono, inevitabilmente, in limitazioni indirette all'autonomia di spesa degli enti» (sentenza n. 36 del 2004; si veda anche la sentenza  n. 417 del 2005). Questi vincoli, perché possano considerarsi rispettosi dell'autonomia delle Regioni e degli enti locali, devono riguardare «l'entità del disavanzo di parte corrente oppure - ma solo "in via transitoria ed in vista degli specifici obiettivi di riequilibrio della finanza pubblica perseguiti dal legislatore statale" -  la crescita della spesa corrente». In altri termini, la legge statale può
stabilire solo un «limite complessivo, che lascia agli enti stessi ampia libertà di allocazione delle risorse fra i diversi ambiti e obiettivi di spesa» (sentenze n. 417 del 2005 e n. 36 del 2004; si vedano anche le sentenze n. 88 del 2006 e n. 449 del 2005).
Poste tali premesse, è da aggiungere che interventi analoghi per i contenuti a quelli operati dalle diverse disposizioni dell'art. 6 del decreto-legge n. 78 del 2010,  disposti negli anni trascorsi dal legislatore statale, non sono stati in grado di superare il vaglio di legittimità costituzionale, data l'indebita compressione dell'autonomia finanziaria delle Regioni che con  essi veniva realizzata. In particolare, sono state ritenute illegittime, nella parte in cui pretendevano di imporsi al sistema regionale, rigide misure concernenti la spesa per studi, consulenze, missioni all'estero, rappresentanza, relazioni pubbliche e convegni (sentenza n. 417 del 2005); la spesa per viaggi in aereo (sentenza n. 449 del 2005); i compensi e il numero massimo degli amministratori di società partecipate dalla Regione (sentenza n. 159 del 2008); le spese per autovetture (sentenza n. 297 del 2009).
A fronte di tale consolidato indirizzo della giurisprudenza costituzionale, il legislatore statale, con l'art. 6 citato, ha mostrato di saper superare la tecnica normativa in origine adottata, ai fini del contenimento della spesa pubblica, preferendo agire direttamente sulla spesa delle proprie amministrazioni con norme puntuali, delle quali si è invece dichiarata l'efficacia nei confronti delle Regioni esclusivamente quali principi di coordinamento della finanza pubblica, escludendone l'applicabilità diretta (sentenza n. 289 del 2008).
Va da sé che tale operazione può rispettare il riparto concorrente della potestà legislativa in tema di coordinamento della finanza pubblica, solo a condizione di permettere l'estrapolazione, dalle singole disposizioni statali, di principi rispettosi di uno spazio aperto all'esercizio dell'autonomia regionale. In caso contrario, la disposizione statale non potrà essere ritenuta di principio (sentenza n. 159 del 2008), quale che ne sia l'eventuale autoqualificazione operata dal legislatore nazionale (sentenza n. 237 del 2009).
E' da ritenere che il comma 20 del citato art. 6 abbia inteso operare in tal senso, con la previsione che «le disposizioni del presente articolo non si applicano in via diretta alle regioni, alle province autonome e agli enti del Servizio sanitario nazionale, per i quali costituiscono disposizioni di principio ai fini del coordinamento della finanza pubblica». Perciò la premessa su cui si fonda integralmente la censura dello Stato avverso l'art. 1, comma 1, della legge impugnata è palesemente erronea, poiché tradisce il senso dell'evocata norma interposta.
L'art. 6 del decreto-legge n. 78 del 2010,  diversamente da quanto postulato dall'Avvocatura dello Stato, non intende imporre alle Regioni l'osservanza puntuale ed incondizionata dei  singoli precetti di cui si compone e può considerarsi espressione di un  principio fondamentale della finanza pubblica in quanto stabilisce, rispetto a specifiche voci di spesa, limiti puntuali che si applicano integralmente allo Stato, mentre vincolano le Regioni, le Province autonome e gli enti del Servizio sanitario nazionale solo come limite complessivo di spesa.
Questa conclusione si fonda sulla possibilità di effettuare una duplice operazione logico-giuridica: in primo luogo, l'art. 6 citato consente un processo di induzione che, partendo da un apprezzamento non atomistico, ma globale, dei precetti in gioco, conduce  all'isolamento di un principio comune; in secondo luogo, siffatto principio è idoneo al compito inverso di dedurre da esso, in modo consequenziale, ma adeguato a preservare la discrezionalità del legislatore regionale, una diversificata normativa di dettaglio. Il comma 20 dell'art. 6, infatti, autorizza le Regioni, le Province autonome e gli enti del Servizio sanitario nazionale, anzitutto, a determinare, sulla base di una valutazione globale dei limiti di spesa puntuali dettati dall'art. 6, l'ammontare complessivo dei risparmi da conseguire e, quindi, a modulare in modo discrezionale, tenendo fermo quel vincolo, le percentuali
di riduzione delle singole voci di spesa contemplate nell'art. 6.
Pertanto, il rigetto della censura discende dal rilievo per il quale la norma impugnata non è contraria a quella interposta assunta nel significato che correttamente la Regione le ha attribuito: l'erroneità del presupposto interpretativo posto a base del ricorso determina l'infondatezza della questione.
2. - L'art. 12, comma 2, lettera b), della legge impugnata dispone che, per l'anno 2011, enti ed aziende del servizio sanitario regionale limitino le spese per il personale all'ammontare sostenuto nel 2006, ridotto dell'1,4%.
Lo Stato reputa tale disposizione in contrasto con l'art. 2, comma 71, della legge 23 dicembre 2009, n. 191 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - Legge finanziaria 2010), secondo cui tali spese non possono, per il triennio 2010-2012, eccedere il livello raggiunto nel 2004, diminuito anche in tal caso dell'1,4%: posto che tale ultima norma  esprimerebbe un principio di coordinamento della finanza pubblica, la disposizione regionale censurata sarebbe illegittima.
2.1. - La questione è fondata.
Anzitutto, va messo in chiaro che la norma regionale oggetto di impugnazione permette un incremento della spesa per  il personale sanitario per l'anno 2011, rispetto al livello massimo prescritto dalla norma statale interposta.
Il legislatore toscano, infatti, ha preso in considerazione, quale base di riferimento per contenere la spesa in questione, l'anno 2006, anziché l'anno 2004, indicato dall'art. 2, comma 71, della legge n. 191 del 2009. Sennonché tale ultima disposizione si salda senza soluzione di continuità con l'art. 1, comma 565, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - Legge finanziaria 2007), che aveva previsto analoga misura  per il triennio 2007-2009, con l'effetto che la spesa per il personale sanitario dal 2007 al 2012 deve ritenersi agganciata, salvo espresse deroghe legislative, all'ammontare raggiunto nel 2004, diminuito dell'1,4%. È perciò chiaro che, riferendosi invece al 2006, ovvero all'ultimo anno durante il quale si è permessa un'ulteriore lievitazione  dei costi, la legge impugnata consente alla Regione
una spesa inevitabilmente superiore, e come tale si pone in contrasto con quanto stabilito dalla norma interposta.
Del tutto privo di rilevanza, sul punto, è l'argomento impiegato dalla difesa regionale, secondo cui la norma censurata avrebbe comunque ridotto la capacità di spesa della Regione, rispetto a quanto in precedenza operato da talune delibere di Giunta, con le quali si era imposta la mera riduzione dell'1% rispetto alle uscite del 2006, anziché quella dell'1,4%. È ovvio, infatti, che la vigenza nel passato di un criterio amministrativo, anch'esso in palese conflitto con la legislazione statale, non ne legittima in sé la trasposizione in legge per gli anni a venire, né diviene punto di raffronto per valutare la conformità a Costituzione di tale legge.
Ciò acclarato, si tratta di interrogarsi sulla natura della disposizione interposta: questa Corte le ha già attribuito carattere di principio con la sentenza n. 333 del 2010 e con la sentenza  n. 68 del 2011; del resto già la sentenza n. 120 del 2008 aveva concluso nel medesimo modo, con riguardo all'analoga norma recata dall'art. 1, comma 565, della legge n. 296 del 2006.
E' fuor di dubbio che la spesa per il personale costituisca una delle voci del bilancio regionale, caratterizzata sia dal peso preponderante che vi riveste, sia dalla storica ritrosia delle Regioni a porvi adeguati limiti. Può quindi ritenersi proporzionata la valutazione del legislatore statale, sottesa alla norma interposta, relativa all'inefficacia che eventuali e assai improbabili misure regionali alternative potrebbero sortire, ai fini della riduzione del debito pubblico (sentenza n. 169 del 2007). Questa Corte è giunta alla medesima conclusione anche con riguardo alla sottocategoria delle spese per il personale sanitario (sentenze n. 333 del 2010 e n. 120 del 2008),  anch'esse di regola così elevate da non giustificare una prognosi favorevole circa l'introduzione di idonee misure alternative da parte della legge regionale.
Alla luce di simili considerazioni va letto lo stesso art. 2, comma 73, della legge n. 191 del 2009,  richiamato dalla difesa regionale, secondo cui «alla verifica dell'effettivo conseguimento degli obiettivi previsti dalle disposizioni  di cui ai commi 71 e 72 per gli anni 2010, 2011 e 2012, si provvede nell'ambito del Tavolo tecnico per la verifica degli adempimenti di cui all'articolo 12 dell'intesa 23 marzo 2005, sancita dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, pubblicata nel supplemento ordinario n.  83 alla Gazzetta Ufficiale n. 105 del 7 maggio 2005. La regione è giudicata adempiente ove sia accertato l'effettivo conseguimento degli obiettivi previsti. In caso contrario la regione è considerata adempiente solo ove abbia comunque assicurato l'equilibrio economico».
Secondo la Regione Toscana il riconoscimento del corretto adempimento regionale, anche in caso di deroga ai precetti di cui al precedente comma 71, ove comunque sia stato assicurato l'equilibrio economico, dovrebbe far ritenere che non si renda necessaria la scrupolosa osservanza del risparmio di spesa indicato con riferimento al personale sanitario, ben potendo l'autonomia regionale trovare soluzioni alternative, ugualmente idonee allo scopo di conseguire l'obiettivo indicato.
Va però osservato, in senso contrario, che l'ipotesi residuale contemplata dall'ultimo periodo del comma 73 non elide affatto la previsione principale, secondo cui l'adempimento della Regione va misurato con riferimento agli specifici obiettivi recati dal precedente comma 71. Proprio le considerazioni innanzi svolte, con riferimento alla natura sfavorevole della prognosi relativa all'adozione  di misure alternative di risparmio, fanno ritenere che l'esigenza di coordinamento della finanza pubblica non possa ritenersi adeguatamente protetta, in assenza di un criterio primario alla luce del quale indirizzare immediatamente, e senza attendere verifiche necessariamente posteriori, la politica di contenimento delle spese. Pertanto l'eventuale raggiungimento dell'equilibrio economico sarà senz'altro di giovamento alla Regione su altri piani, essendo ad esempio manifestamente irragionevole
che il legislatore statale pretenda comunque di persistere nell'applicazione di eventuali sanzioni. Ma, in attesa, al termine del triennio, dell'accertamento sul raggiungimento dell'equilibrio economico, deve ritenersi vincolante l'obbligo primario descritto dal comma 71.
A questo punto, resta solo da verificare se l'imposizione di un simile vincolo sia tollerabile, in ragione della funzione compensativa che va attribuita, in tali casi, alla discrezionalità del sistema regionale nell'individuare in concreto i mezzi idonei al raggiungimento dell'obiettivo. Anche su questo piano, l'accertamento è favorevole alla legislazione statale, poiché la norma interposta «non determina gli strumenti e le modalità per il perseguimento del predetto obiettivo, ma lascia libere le Regioni di individuare le misure necessarie al fine del contenimento della spesa per il personale» (sentenza n. 120 del 2008). Nell'ambito di tale accertamento, si pone l'ulteriore osservazione, svolta dalla sentenza n.  120 del 2008 con riguardo ad una norma del tutto analoga all'art. 2, comma 71, della legge n. 191 del 2009,  secondo cui assume rilievo anche la clausola di salvezza
prevista oggi dal successivo comma 73, e appena ricordata. Se, infatti, va escluso per  le ragioni innanzi precisate che nell'immediato le Regioni possano sottrarsi al vincolo descritto dal comma 71, resta parimenti inoppugnabile che, all'esito del triennio durante cui esso transitoriamente opera, le pur sempre possibili manovre regionali alternative si siano davvero rivelate idonee, vincendo la ragionevole presunzione contraria. In tal caso, lo Stato non potrà più pretendere di  persistere in eventuali misure sostitutive o sanzionatorie, e dovrà verificare per il futuro la congruità di un vincolo, la cui cogenza si è  dimostrata, alla prova dei fatti, basata su un convincimento erroneo.
Allo stato, preso atto della difformità dell'art. 12, comma 2, lettera b), della legge impugnata rispetto all'art. 2, comma 71, della legge n. 191 del 2009, e accertata la natura di principio rivestita da tale ultima disposizione, la questione deve ritenersi fondata.
2.2. - L'istanza di sospensione dell'efficacia delle norme impugnate, formulata nel ricorso, rimane assorbita (da ultimo, sentenze n. 326 e n. 16 del 2010).P.Q.M.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art.  12, comma 2, lettera b), della legge della Regione Toscana 29 dicembre 2010, n. 65 (Legge finanziaria per l'anno 2011);
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, comma 1, della legge della Regione Toscana n. 65 del 2010, promossa dal Presidente del Consiglio dei ministri, in riferimento all'art. 117, terzo comma, della Costituzione, con il ricorso indicato in epigrafe.


I.N.P.S. (Istituto nazionale della previdenza sociale) Msg. 4-7-2011 n. 13888 Incentivo al reimpiego in forma autonoma o in cooperativa per i lavoratori destinatari di trattamento di sostegno al reddito. Proroga per l'anno 2011. Chiarimenti. Emanata dall'Istituto nazionale della previdenza sociale.


Msg. 4 luglio 2011, n. 13888 (1).
 Incentivo al reimpiego in forma         autonoma o in cooperativa per i lavoratori destinatari di trattamento di         sostegno al reddito. Proroga per l'anno 2011. Chiarimenti.      

(1) Emanata dall'Istituto nazionale della previdenza sociale.
 

In merito ad alcune richieste pervenute dalle         Sedi, concernenti l'erogabilità, anche per l'anno 2011, dell'incentivo al         reimpiego in forma autonoma o in cooperativa per i lavoratori destinatari di         trattamento di sostegno al reddito, si precisa quanto segue.       
Il comma 7 dell'art. 7-ter del D.L. 10 febbraio         2009 n. 5, convertito con modifiche nella L. 9 aprile 2009, n. 33, ha previsto         che i datori di lavoro che, senza esservi tenuti (e senza avere sospensioni in         atto), assumono lavoratori licenziati o sospesi destinatari di ammortizzatori         in deroga, relativamente agli anni 2009 e 2010, possono godere di un indennizzo         pari all'indennità spettante ai lavoratori nei limiti di spesa autorizzati, per         il numero di mensilità o di giornate di trattamento integrativo non ancora         erogato.       
Successivamente, l'articolo 1, comma 7, del D.L.         1° luglio 2009, n. 78, convertito nella L. 3 agosto 2009, n. 102, ha integrato         il predetto comma 7 dell'art. 7-ter prevedendo che tale incentivo possa essere         corrisposto al lavoratore che faccia richiesta di intraprendere un'attività        autonoma, anche di auto o micro impresa, o finalizzata a un'associazione in         cooperativa e, in caso di lavoratore in cassa integrazione in deroga, previe         dimissioni dall'impresa da cui è dipendente.       
L'art. 1 del comma 31 della L. 13 dicembre 2010,         n. 220 (legge di stabilità 2011), ha infine prorogato i termini dell'art.         7-ter, comma 7, sostituendo le parole «per gli anni 2009 e 2010», con le parole         «per gli anni 2009, 2010 e 2011».       
Dal combinato disposto dell'art. 7-ter, comma 7,         della L. 9 aprile 2009, n. 33 e dell'articolo 1, comma 7, del D.L. 1° luglio         2009, n. 78 ed in virtù dell'art. 1, comma 31, della 13 dicembre 2010 n.220,         anche l'incentivo al lavoratore per intraprendere una attività autonoma,         avviare una auto o micro impresa, o per associarsi in cooperativa, è prorogato         per tutto il 2011.       
Si rinvia in ogni caso, per la disciplina di         dettaglio sull'incentivo in oggetto, a quanto stabilito con il D.M. n.         49409/2009 ove, tra l'altro, si rileva che del predetto incentivo possono         essere destinatari solo i lavoratori beneficiari di ammortizzatori sociali in         deroga.       
Si ricorda, infine che le istruzioni operative         sono state impartite con il Msg. 23 marzo 2010, n. 8123 ed il Msg. 20 settembre         2010, n. 23542.     

 

D.L. 10 febbraio 2009, n. 5, art.       7-ter
D.L. 1 luglio 2009, n. 78, art.       1
L. 13 dicembre 2010, n. 220, art.       1
D.M. 18 dicembre 2009, n.       49409

Presidenza del Consiglio dei Ministri Circ. 30-6-2011 n. 9/2011 Trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale - Presupposti - Rivalutazione delle situazioni di trasformazione già avvenute alla data di entrata in vigore del D.L. n. 112 del 2008, convertito in L. n. 133 del 2008. Emanata dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento della funzione pubblica, Ufficio personale e pubbliche amministrazioni, Servizio trattamento del personale.


Circ. 30 giugno 2011, n. 9/2011 (1).
 Trasformazione del rapporto di         lavoro da tempo pieno a tempo parziale - Presupposti - Rivalutazione delle         situazioni di trasformazione già avvenute alla data di entrata in vigore del         D.L. n. 112 del 2008, convertito in L. n. 133 del 2008.      

(1) Emanata dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento della  funzione pubblica, Ufficio personale e pubbliche amministrazioni, Servizio trattamento del personale.
 

           
               
Alle                           
Amministrazioni pubbliche di cui all'art.               1, comma 2, del D.Lgs. n. 165/2001             
 
 
               

 

Premessa       
A seguito dell'entrata in vigore della L. n. 183         del 2010, c.d. collegato lavoro, sono pervenute varie segnalazioni di         situazioni di contenzioso connesse all'applicazione della norma contenuta         nell'art. 16 della L. n. 183 del 2010, che, in via transitoria, ha previsto la         possibilità per le pubbliche amministrazioni di sottoporre a nuova valutazione         le situazioni di trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo         parziale già realizzatesi alla data di entrata in vigore del D.L. n. 112 del         2008, convertito in L. n. 133 del 2008, nel rispetto di principi di correttezza         e buona fede. Nelle denunce si evidenziano casi di errata interpretazione della         norma con un pregiudizio nei confronti delle lavoratrici donne, spesso         impegnate nella cura dei figli e dei famigliari bisognosi di assistenza.         
  
La problematica è stata oggetto di alcune         riunioni con il Dipartimento delle pari opportunità e il Dipartimento per le         politiche della famiglia, durante le quali si è discusso circa le iniziative         più idonee per far sì che l'applicazione della norma, ispirata ad un'esigenza         di razionalizzazione nell'utilizzo delle risorse, avvenisse effettivamente nel         rispetto di principi di buona fede e correttezza. In questo contesto,         nonostante - come si vedrà - il termine per l'esercizio del potere di revisione         sia ormai decorso, si è ritenuto comunque opportuno fornire delle indicazioni         alle amministrazioni, al fine di orientarle nella gestione del contenzioso e         nella definizione dei rapporti ancora non esauriti, tenendo presente che le         norme di legge (art. 7, comma 6, D.Lgs. n. 165 del 2001; art. 12-bis, D.Lgs. n.
        61 del 2000; art. 6, L. n. 170 del 2010) e le clausole dei contratti collettivi         che disciplinano la materia accordano particolari forme di tutela ai lavoratori         in riferimento alla cura dei figli o a situazioni di disagio personale o         famigliare.       
Si coglie poi l'occasione per dare indirizzi         sull'applicazione della disciplina a regime, con particolare riferimento al         momento della trasformazione, considerato che con quest'ultimo decreto legge è         stata riformata la normativa sulla concessione del part-time, modificando la         posizione del dipendente richiedente rispetto all'amministrazione datore di         lavoro. Peraltro, richiamare l'attenzione su queste tematiche pare         assolutamente appropriato in una stagione in cui il Governo e le Parti sociali,         sottoscrivendo un'apposita intesa (Azioni a sostegno delle politiche di         conciliazione tra famiglia e lavoro del 7 marzo 2011), hanno deciso di avviare         un lavoro di approfondimento finalizzato ad individuare soluzioni strumentali         alla conciliazione tra vita lavorativa e vita famigliare, condividendo il         valore
di una flessibilità family-friendly come elemento organizzativo         positivo.     

 

1. Le innovazioni in materia di part-time introdotte con l'art. 73        del D.L. n. 112 del 2008 e con l'art. 16 della L. n. 183 del 2010       
Come accennato, con l'art. 73 del D.L. n. 112 del         2008, convertito in L. n. 133 del 2008, è stato modificato il regime giuridico         relativo alla trasformazione del rapporto da tempo pieno a part-time, con una         novella all'art. 1, comma 58, della L. n. 662 del 1996. Inoltre, sempre con il         medesimo provvedimento, è stato modificato il comma 59 del citato articolo,         incidendo sulla destinazione finanziaria dei risparmi derivanti dalla         trasformazione dei rapporti.       
In sintesi, le novità apportate con il D.L. n.         112 del 2008 riguardano i seguenti aspetti:       
- è stato eliminato ogni automatismo nella         trasformazione del rapporto, che attualmente è subordinato alla valutazione         discrezionale dell'amministrazione interessata;       
- è stata soppressa la mera possibilità per         l'amministrazione di differire la trasformazione del rapporto sino al termine         dei sei mesi nel caso di grave pregiudizio alla funzionalità        dell'amministrazione stessa;       
- è stata contestualmente introdotta la         possibilità di rigettare l'istanza di trasformazione del rapporto presentata         dal dipendente nel caso di sussistenza di un pregiudizio alla funzionalità        dell'amministrazione;       
- è stata innovata la destinazione dei risparmi         derivanti dalle trasformazioni, prevedendo che una quota sino al 70% degli         stessi possa essere destinata interamente all'incentivazione della mobilità,         secondo le modalità ed i criteri stabiliti in contrattazione collettiva, per le         amministrazioni che dimostrino di aver proceduto ad attivare piani di mobilità        e di riallocazione di personale da una sede all'altra.       
L'art. 16 della L. n. 183 del 2010 (c.d.         collegato lavoro) ha introdotto in via transitoria un potere speciale in capo         all'amministrazione, prevedendo la facoltà di assoggettare a nuova valutazione         le situazioni di trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo         parziale già realizzatesi alla data di entrata in vigore del D.L. n. 112 del         2008. In base alla norma, questa speciale facoltà poteva essere esercitata         entro un determinato lasso di tempo e, cioè, entro centottanta giorni dalla         data di entrata in vigore della legge (24 novembre 2010), scaduti il 23 maggio         2011. Si riporta per comodità il testo della disposizione:       
“1. In sede di prima applicazione delle         disposizioni introdotte dall'articolo 73 del D.L. 25 giugno 2008, n. 112,         convertito, con modificazioni, dalla L. 6 agosto 2008, n. 133, le         amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, del D.Lgs. 30 marzo         2001, n. 165, e successive modificazioni, entro centottanta giorni dalla data         di entrata in vigore della presente legge, nel rispetto dei principi di         correttezza e buona fede, possono sottoporre a nuova valutazione i         provvedimenti di concessione della trasformazione del rapporto di lavoro da         tempo pieno a tempo parziale già adottati prima della data di entrata in vigore         del citato D.L. n. 112 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 133         del 2008.”.       
Entrambi gli interventi normativi sono motivati         dagli stringenti vincoli finanziari, che difficilmente consentono di soddisfare         il fabbisogno professionale attraverso le ordinarie forme di reclutamento e         che, pertanto, impongono una valutazione sul miglior utilizzo delle risorse         interne all'amministrazione. La situazione di crisi economica che l'Italia,         assieme ad altri Paesi, sta attraversando ha richiesto uno sforzo particolare         ai lavoratori del settore pubblico, come si comprende dalle misure restrittive         e di contenimento contenute nella manovra finanziaria approvata lo scorso anno         (D.L. n. 78 del 2010, convertito in L. n. 122 del 2010), che, tra le altre         cose, ha stabilito la cristallizzazione dei trattamenti economici e delle         progressioni economiche, il blocco della contrattazione collettiva e la        
decurtazione delle retribuzioni più elevate (art. 9). In quest'ottica si pone,         in particolare, la scelta normativa di prevedere in via eccezionale un potere         di revisione unilaterale del rapporto di lavoro da parte delle amministrazioni.         Gli interventi normativi si collocano poi nel quadro più generale di         valorizzazione e potenziamento dei poteri datoriali del dirigente e della sua         maggiore responsabilizzazione, principi che, come noto, hanno ispirato le più         recenti riforme in materia di lavoro pubblico (D.Lgs. n. 150 del 2009).     

 

2. La domanda di trasformazione del rapporto di lavoro da tempo         pieno a tempo parziale e le valutazioni discrezionali         dell'amministrazione       
Come accennato in premessa, interessa in questa         sede focalizzare l'attenzione sul momento della trasformazione del rapporto da         tempo pieno a tempo parziale e, in particolare, sui presupposti oggettivi ed i         limiti della discrezionalità dell'amministrazione datore di lavoro in sede di         valutazione della domanda del dipendente. In base alla norma vigente, a fronte         di un'istanza del lavoratore interessato, l'amministrazione non ha un obbligo         di accoglimento, né la trasformazione avviene in maniera automatica. Infatti,         la disposizione prevede che la trasformazione "può" essere concessa entro 60         giorni dalla domanda. La legge fa riferimento a particolari condizioni ostative         alla trasformazione, essendo state tipizzate ex ante le cause che precludono         l'accoglimento della domanda. Pertanto, in presenza del posto
nel contingente e         in mancanza di tali condizioni preclusive (che riguardano il perseguimento         dell'interesse istituzionale e il buon funzionamento dell'amministrazione) il         dipendente è titolare di un interesse tutelato alla trasformazione del         rapporto, ferma restando la valutazione da parte dell'amministrazione         relativamente alla congruità del regime orario e alla collocazione temporale         della prestazione lavorativa proposti.       
La valutazione dell'istanza, una volta         verificatane l'accoglibilità dal punto di vista soggettivo e la presenza delle         altre condizioni di ammissibilità, si basa su tre elementi:       
1. la capienza dei contingenti fissati dalla         contrattazione collettiva in riferimento alle posizioni della dotazione         organica;       
2. l'oggetto dell'attività, di lavoro autonomo o         subordinato, che il dipendente intende svolgere a seguito della trasformazione         del rapporto; in particolare, lo svolgimento dell'attività non deve comportare         una situazione di conflitto di interessi rispetto alla specifica attività di         servizio svolta dal dipendente e la trasformazione non è comunque concessa         quando l'attività lavorativa di lavoro subordinato debba intercorre con altra         amministrazione (a meno che non si tratti di dipendente di ente locale per lo         svolgimento di prestazione in favore di altro ente locale);       
3. l'impatto organizzativo della trasformazione,         che può essere negata quando dall'accoglimento della stessa deriverebbe un         pregiudizio alla funzionalità dell'amministrazione, in relazione alle mansioni         e alla posizione organizzativa ricoperta dal dipendente.       
La valutazione circa la sussistenza dei         presupposti per la concessione o delle condizioni ostative, come pure quella         relativa alla collocazione temporale della prestazione proposta dal dipendente         e alla decorrenza della trasformazione, non può che essere svolta in concreto,         in base alle circostanze fattuali particolari che l'amministrazione è tenuta ad         analizzare. In caso di esito negativo della valutazione, le scelte effettuate         devono risultare evidenti dalla motivazione del diniego, per permettere al         dipendente di conoscere le ragioni dell'atto, di ripresentare nuova istanza se         lo desidera e, se del caso, consentire l'attivazione del controllo giudiziale.         In proposito, anche per limitare il rischio di pronunce giudiziali sfavorevoli         all'amministrazione, si raccomanda di adottare una motivazione puntuale, 
       evitando l'uso di clausole generali o formule generiche che non sono utili allo         scopo. Qualora l'amministrazione ritenesse accoglibile la domanda del         dipendente ma con diverse modalità rispetto a quelle prospettate, al fine di         perfezionare l'accordo, sarebbe comunque necessaria una nuova manifestazione         del consenso da parte del lavoratore interessato.       
La verifica della capienza del contingente ha         carattere oggettivo e va compiuta in concreto con riferimento al momento in cui         la trasformazione dovrebbe aver luogo in base alla domanda del dipendente. Nel         caso in cui il numero delle domande risulti eccedente rispetto ai posti di         contingente, la valutazione sull'accoglimento va operata tenendo conto         congiuntamente dell'interesse al funzionamento dell'amministrazione, che non         deve essere pregiudicato in relazione a quanto detto nel precedente punto 3, e         della particolare situazione del dipendente, il quale, ricorrendo determinate         circostanze, può essere titolare di un interesse protetto, di un titolo di         precedenza o di un vero e proprio diritto alla trasformazione del rapporto. In         proposito, si rammenta che l'art. 7, comma 6, del D.Lgs. n. 165 del 2001       
stabilisce il principio generale secondo cui le amministrazioni “individuano         criteri certi di priorità nell'impiego flessibile del personale, purché         compatibile con l'organizzazione degli uffici e del lavoro, a favore dei         dipendenti in situazioni di svantaggio personale, sociale e familiare e dei         dipendenti impegnati in attività di volontariato ai sensi della L. 11 agosto         1991, n. 266.”.       
Questa disposizione, che è stata ripresa dai vari         CCNL, in sostanza stabilisce due regole:       
a) alcuni dipendenti, in considerazione della         particolare situazione in cui si trovano, hanno un titolo di priorità        nell'accesso alle varie forme di flessibilità (dell'orario, del rapporto) che         l'amministrazione decide di attuare compatibilmente con l'organizzazione degli         uffici e del lavoro;       
b) i criteri di priorità debbono essere "certi",         ossia predeterminati in modo chiaro e resi conoscibili, in modo da evitare         scelte arbitrarie o comunque non imparziali.       
Pertanto, le amministrazioni, nel rispetto delle         forme di partecipazione sindacale, debbono stabilire in maniera generale i         criteri di priorità e la graduazione tra gli stessi, tenendo conto delle         previsioni legali e di contrattazione collettiva, che, intervenendo         specificamente in riferimento a determinate fattispecie, hanno accordato         rilevanza a particolari situazioni in cui il disagio personale o famigliare è         maggiore.       
Le fattispecie che radicano un diritto o un         titolo di precedenza nella trasformazione del rapporto sono previste nell'art.         12-bis del D.Lgs. n. 61 del 2000, come modificato dall'art. 1 della L. n. 247         del 2007. In particolare, il comma 1 di questo articolo stabilisce che hanno         diritto alla trasformazione del rapporto i lavoratori del settore pubblico e di         quello privato affetti da patologie oncologiche per i quali residui una ridotta         capacità lavorativa, anche a causa di terapie salvavita, accertata dalla         competente commissione medica. Tali lavoratori hanno poi anche diritto alla         successiva trasformazione del rapporto da tempo parziale a tempo pieno a         seguito della richiesta. Il comma 2 ed il comma 3 disciplinano i titoli di         precedenza nella trasformazione a favore dei:       
1. lavoratori il cui coniuge, figli o genitori         siano affetti da patologie oncologiche;       
2. lavoratori che assistono una persona         convivente con totale e permanente inabilità lavorativa, che abbia connotazione         di gravità ai sensi dell'art. 3, comma 3, della L. n. 104 del 1992, con         riconoscimento di un'invalidità pari al 100% e necessità di assistenza continua         in quanto non in grado di compiere gli atti quotidiani della vita;       
3. lavoratori con figli conviventi di età non         superiore a tredici anni;       
4. lavoratori con figli conviventi in situazione         di handicap grave.       
La disciplina contenuta nel citato art. 12-bis,         in quanto fonte di pari rango successiva, ha determinato l'abrogazione         implicita dell'art. 1, comma 64, della L. n. 662 del 1996, che individuava         delle cause di precedenza nella trasformazione del rapporto.       
Altra situazione meritevole di tutela è poi         quella dei famigliari di studenti che presentano la sindrome DSA (Disturbi         Specifici di Apprendimento). Questa sindrome, che si riferisce alle ipotesi di         dislessia, disgrafia, disortografia e discalculia, è stata oggetto di un         recente intervento normativo con la L. n. 170 del 2010, con il quale sono state         previste apposite misure di sostegno e all'art. 6 è stato stabilito che “I         famigliari fino al primo grado di studenti del primo ciclo dell'istruzione con         DSA impegnati nell'assistenza alle attività scolastiche a casa hanno diritto di         usufruire di orari di lavoro flessibili.”. La norma fa poi rinvio ai contratti         collettivi per la disciplina delle modalità di esercizio del diritto e,         pertanto, la concreta attuazione del diritto è subordinata alla        
regolamentazione da parte dei contratti stessi. Comunque, la posizione di         questi dipendenti deve essere considerata come assistita sin da subito da una         tutela particolare e, quindi, deve essere valutata nell'ambito di quanto già        previsto dal citato art. 7, comma 6, del D.Lgs. n. 165 del 2001 e dai CCNL         vigenti in ordine alla flessibilità dell'orario.       
Come detto, il grado di tutela accordato         dall'ordinamento alla varie situazioni è differenziato. Nel caso di titolarità        del diritto alla trasformazione (lavoratori affetti da patologie oncologiche         con ridotta capacità lavorativa), una volta ricevuta l'istanza         dell'interessato, l'amministrazione non può negare la trasformazione del         rapporto, trovandosi in una situazione di soggezione; pertanto, la         determinazione di trasformazione deve essere presa entro il termine stabilito         dal citato art. 1, comma 58, e, cioè, entro 60 giorni dalla domanda. Nel caso         di titolarità di un diritto di precedenza, la domanda dell'interessato deve         essere valutata con priorità rispetto a quella degli altri dipendenti         concorrenti.       
In considerazione delle limitazioni alla         trasformazione del rapporto di lavoro derivanti dal contingente percentuale e         al fine di assicurare al part-time la funzione, oltre che di flessibilità, di         strumento di conciliazione tra vita lavorativa e vita famigliare, si raccomanda         di inserire nell'ambito dei contratti individuali una clausola con cui si         stabilisce che le parti si impegnano, trascorso un certo periodo di tempo (da         individuare di volta in volta a seconda delle circostanze) ad incontrarsi, per         rivalutare la situazione, in considerazione delle esigenze di funzionamento         dell'amministrazione, delle esigenze personali del lavoratore in part-time e di         quelle degli altri lavoratori, che nel frattempo possono essere mutate. Questo         per consentire al maggior numero possibile di dipendenti la possibilità di 
       richiedere la trasformazione del proprio rapporto di lavoro in presenza di         obiettive esigenze legate ai primi anni di vita dei figli ovvero per la cura di         genitori e/o altri famigliari, così come è previsto anche nell'intesa tra         Governo e Parti Sociali sottoscritta il 7 marzo 2011 citata in premessa.            
In ordine all'impatto organizzativo, la relativa         valutazione deve essere operata analizzando le varie opzioni gestionali         possibili, ad esempio, verificando la possibilità di spostare le risorse tra         più servizi in modo da venire incontro alle esigenze dei dipendenti senza         sacrificare l'interesse al buon andamento dell'amministrazione. Inoltre, la         valutazione va fatta attraverso una seria ponderazione degli interessi in         gioco: da un lato l'interesse al buon funzionamento dell'amministrazione,         dall'altro l'interesse del dipendente ad organizzare la propria vita personale         nella maniera ritenuta più soddisfacente per le esigenze famigliari o di cura,         per le aspirazioni professionali o semplicemente nel modo che considera più         gradevole. Vale naturalmente quanto già detto sopra circa la meritevolezza di        
tutela di certi interessi. In proposito, le amministrazioni debbono considerare         con particolare attenzione non solo la posizione di quei dipendenti ai quali le         norme accordano un diritto alla trasformazione, ma anche quella di quei         dipendenti che possono vantare un titolo di precedenza. Infatti, l'interesse di         cui questi ultimi sono portatori è comunque meritevole di tutela a prescindere         dalla presenza di concorrenti sullo stesso posto di contingente.       
Per quanto riguarda le situazioni di possibile         conflitto di interesse, la relativa valutazione va svolta al momento della         trasformazione e, successivamente, durante tutto il corso del rapporto. In         proposito, la norma prevede che “il dipendente è tenuto, inoltre, a comunicare,         entro quindici giorni, all'amministrazione nella quale presta servizio,         l'eventuale successivo inizio o la variazione dell'attività lavorativa.”. Nel         merito, si rammenta che il comma 58-bis dell'art. 1 della menzionata L. n. 662         del 1996, perseguendo la trasparenza e l'imparzialità, pone un principio di         predeterminazione delle situazioni di incompatibilità, stabilendo che le         amministrazioni provvedono ad indicare le attività che, in ragione della         interferenza con i compiti istituzionali, sono comunque non consentite ai        
dipendenti con rapporto di lavoro a tempo parziale con prestazione lavorativa         non superiore al 50% di quella a tempo pieno. Per le Amministrazioni centrali         tale predeterminazione avviene con decreto del Ministro competente, di concerto         con il Ministro della funzione pubblica. Inoltre, si richiama per analogia e         senza valore di esaustività la disciplina contenuta nel comma 5 dell'art.         23-bis del D.Lgs. n. 165 del 2001, che pone una preclusione legale alla         concessione dell'aspettativa per lo svolgimento di attività o incarichi presso         soggetti privati o pubblici quando:       
“a) il personale, nei due anni precedenti, è         stato addetto a funzioni di vigilanza, di controllo ovvero, nel medesimo         periodo di tempo, ha stipulato contratti o formulato pareri o avvisi su         contratti o concesso autorizzazioni a favore di soggetti presso i quali intende         svolgere l'attività. Ove l'attività che si intende svolgere sia presso una         impresa, il divieto si estende anche al caso in cui le predette attività        istituzionali abbiano interessato imprese che, anche indirettamente, la         controllano o ne sono controllate, ai sensi dell'articolo 2359 del codice         civile;       
b) il personale intende svolgere attività in         organismi e imprese private che, per la loro natura o la loro attività, in         relazione alle funzioni precedentemente esercitate, possa cagionare nocumento         all'immagine dell'amministrazione o comprometterne il normale funzionamento o         l'imparzialità .”.       
Il successivo comma 6 del medesimo articolo, poi,         per maggiore cautela, rispetto all'attività da svolgere al rientro in         amministrazione stabilisce che “Il dirigente non può, nei successivi due anni,         ricoprire incarichi che comportino l'esercizio delle funzioni individuate alla         lettera a) del comma 5.”.       
Si segnala che per quanto riguarda l'applicazione         della normativa nei confronti delle autonomie territoriali, l'art. 39, comma         27, della L. n. 449 del 1997 stabilisce che: “Le disposizioni dell'art. 1,         commi 58 e 59, della L. 23 dicembre 1996, n. 662, in materia di rapporto di         lavoro a tempo parziale, si applicano al personale dipendente delle regioni e         degli enti locali finché non diversamente disposto da ciascun ente con proprio         atto normativo.” Pertanto, anche l'applicazione del nuovo regime dovrà essere         vagliata in sede locale a seconda della situazione normativa specifica (sent.         della Corte costituzionale 18 maggio 1999, n. 171).     

 

3. La fase di “prima attuazione” disciplinata dall'art. 16 della L.         n. 183 del 2010       
Come detto, la disposizione ha attribuito un         potere speciale all'amministrazione durante la fase di prima attuazione della         novella operata con il citato art. 73 del D.L. n. 112 del 2008. Il presupposto         per l'esercizio del potere è rappresentato dalla valutazione della situazione         sottostante la trasformazione del rapporto, essendosi aperta una fase, limitata         nel tempo, durante la quale l'amministrazione ha potuto utilizzare i criteri         introdotti con la nuova norma anche per incidere su situazioni già esaurite,         ossia su rapporti di lavoro che erano già stati trasformati automaticamente a         seguito dell'istanza del dipendente per effetto del regime precedente la         novella. In base alla norma, la valutazione potrebbe riguardare non solo         l'opportunità di mantenere il rapporto a tempo parziale, ma anche le modalità
       della collocazione temporale della prestazione, che potrebbe risultare più         conveniente modificare per non pregiudicare il funzionamento         dell'amministrazione. Ai fini della valutazione, valgono le indicazioni che         sono state fornite sopra in ordine agli interessi da considerare e alla         gradualità di tutela delle posizioni. Pertanto, un limite certo rispetto alla         "rivalutazione" è dato dalla ricorrenza di quei casi in cui il dipendente è         titolare di un diritto alla trasformazione; meritano poi particolare attenzione         le ipotesi che ricadono nell'ambito del titolo di precedenza e, più in         generale, i casi in cui il part-time sia stato fruito da parte di dipendenti in         situazioni di svantaggio personale, sociale e famigliare o di dipendenti         impegnati in attività di volontariato. Giova ancora una volta
richiamare il         contenuto dell'art. 12-bis, dell'art. 6 della L. n. 170 del 2010, del D.Lgs. n.         61 del 2000 e le previsioni dei CCNL. Quindi, nel caso in cui fosse necessario         rivedere i part-time già in corso, l'amministrazione dovrebbe far applicazione         dei criteri legali e contrattuali già menzionati, preferendo il ripristino del         rapporto a tempo pieno per quei lavoratori la cui posizione non risulta         assistita (o più assistita) da una particolare tutela.       
La norma prevede un potere eccezionale, che         consente all'amministrazione di modificare unilateralmente il rapporto in         deroga alla regola generale di determinazione consensuale delle condizioni         contrattuali, regola assistita nel caso del part-time da una speciale norma di         garanzia contenuta nell'art. 5 del D.Lgs. n. 61 del 2000, secondo cui il         rifiuto di un lavoratore di trasformare il proprio rapporto di lavoro a tempo         parziale in rapporto a tempo pieno non costituisce giustificato motivo di         licenziamento. L’eccezionalità della previsione risulta evidente nel momento in         cui si considera che la normativa di derivazione comunitaria di cui al D.Lgs.         n. 61 del 2000 (attuazione della Dir. 97/81/CE relativa all'accordo quadro sul         lavoro a tempo parziale concluso dall'UNICE, dal CEEP e dalla CES) prevede per     
   l'ipotesi di modifica unilaterale delle condizioni del rapporto a tempo         parziale specifiche garanzie in favore del lavoratore (art. 3 del citato         decreto). E pertanto, la “gravosità” del potere accordato dalla legge richiede         certamente una particolare attenzione nel momento del suo esercizio. In base         alla norma, il mutamento delle condizioni del rapporto di lavoro avviene quindi         a seguito dell'adozione e comunicazione di un atto unilaterale da parte         dell'amministrazione datore di lavoro, non essendo necessario il consenso del         dipendente ai fini del perfezionamento di un contratto. Dato il carattere di         specialità della disposizione, l'esercizio della facoltà è stato delimitato         entro un definito arco temporale. Pertanto, decorso questo termine, secondo il         regime generale, un’eventuale modifica del
rapporto di lavoro richiede comunque         l'accordo tra le parti, salve le ipotesi in cui la legge o i CCNL prevedano un         diritto potestativo del lavoratore alla successiva trasformazione del rapporto         da tempo parziale a tempo pieno e le situazioni di esercizio del potere         unilaterale alle condizioni e nei limiti stabiliti dall'art. 3 del D.Lgs. n. 61         del 2000 citato.       
L'esercizio della facoltà è condizionato al         rispetto dei principi di correttezza e buona fede. Nel richiamare l'attenzione         su questa circostanza, si segnala che proprio di recente, in tema di part-time         nel settore privato, la Corte di cassazione ha affermato che la decisione di         concedere o negare la trasformazione del rapporto a part-time, in presenza di         criteri prestabiliti in sede di accordo collettivo, non è più discrezionale,         bensì vincolata ai predetti criteri, “ai quali il datore di lavoro deve         conformarsi nella regolamentazione dei singoli rapporti, facendo applicazione         dei criteri di buona fede e correttezza che debbono ispirare l'esecuzione del         contratto (ex artt. 1175 e 1375 c.c.). Con la conseguenza che l'inosservanza         dei criteri preferenziali contrattualmente stabiliti legittima il
dipendente         che si ritenga leso dalla condotta datoriale ad agire per il risarcimento del         danno, anche in forma specifica, per ottenere la trasformazione del rapporto in         part-time che gli fosse stata ingiustamente negata sulla base dei descritti         criteri, oltre ad eventuali voci di danno collegate allo stesso illecito.”         (Cass. sez. lav. 4 maggio 2001, n. 9769).       
Affinché l'amministrazione possa compiere una         valutazione ponderata, ciò comporta, innanzi tutto, un contraddittorio con il         dipendente interessato, dal quale emerga l'interesse dello stesso. L'osservanza         di tali principi richiede che l'amministrazione, prima di operare la         trasformazione del rapporto, debba tener conto non solo (se nota) della         situazione che era in origine alla base della trasformazione, ma anche della         situazione che nel frattempo si è consolidata in capo al lavoratore.         Nell'operare la revoca Inoltre, pur non ricorrendo le situazioni particolari         oggetto di specifica tutela, l'interesse del dipendente al mantenimento del         rapporto part-time va tenuto in considerazione anche verificando la fattibilità        di soluzioni alternative alla revoca dello stesso, ad esempio, valutando la        
possibilità di spostamento dei dipendenti tra servizi in modo da soddisfare il         fabbisogno dell'amministrazione e le esigenze degli interessati.       
Infine, il rispetto dei principi di buona fede e         correttezza richiede che, allorquando sia stata effettuata una valutazione di         revisione del rapporto, venga comunque accordato in favore del dipendente un         congruo periodo di tempo prima della trasformazione, in modo che questi possa         intraprendere le iniziative più idonee per l'organizzazione della vita         personale e famigliare.       
         
       
Il Ministro per la pubblica amministrazione e         l'innovazione        
Renato Brunetta       
         
       
Il Ministro per le pari opportunità        
Maria Rosaria Carfagna       
         
       
Il Sottosegretario con delega alla famiglia                
Carlo Giovanardi     

 

L. 4 novembre 2010, n. 183, art.       16
D.L. 25 giugno 2008, n. 112, art.       73
D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art.       7
D.Lgs. 25 febbraio 2000, n. 61, art.       12-bis
L. 8 ottobre 2010, n. 170, art.       6