REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL
POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI
SEZIONE
GIURISDIZIONALE PER LA REGIONE
EMILIA-ROMAGNA
In funzione di
giudice unico delle pensioni in composizione monocratica in
persona del Presidente Luigi Di Murro, ha pronunciato, nella
pubblica udienza dell’11 maggio 2010 e con l’assistenza del
segretario dott. Lucia Caldarelli, la seguente
S E N T E N Z A
sul ricorso iscritto al n.
032975/Pensioni Civili del registro di segreteria, proposto
dalla sig.ra ---ha eletto domicilio, avverso il silenzio rifiuto
formatosi sulla domanda avanzata dalla ricorrente per il
riconoscimento della pensione privilegiata di reversibilità per
dipendenza da causa di servizio dell’evento suicidario che in
data 30 maggio 1994 ha tratto a morte il di lei coniuge, già
Sovrintendente della
Polizia di Stato presso il Comando Militare di OMISSIS.
Udito, nella
pubblica udienza, l’avv. Andrea Trentin per la parte privata
ricorrente; non rappresentato il Ministero della Difesa
resistente.
F A T T O
Con ricorso presentato in data 15 gennaio 2004 presso la
segreteria di questa Sezione giurisdizionale la sig.ra B. A.,
vedova del Sovrintendente della
Polizia di Stato
S. L., nato il OMISSIS e deceduto in servizio il OMISSIS per “Evento
suicidario a seguito di colpo di arma da fuoco in sede temporale
destra, in soggetto affetto da sindrome ansioso depressiva
reattiva”, ha impugnato il silenzio rifiuto formatosi sulla
domanda avanzata dall’interessata per il riconoscimento della
pensione privilegiata di reversibilità.
Con l’atto introduttivo del presente giudizio la parte privata,
rilevato preliminarmente il silenzio serbato per sette anni
dall’Amministrazione, il che legittima il ricorso avverso il
silenzio rifiuto, e premessa l’esposizione dei fatti, in merito
allo svolgimento della fase amministrativa precisa che in data
28 novembre 1994 ha presentato domanda per il riconoscimento
della dipendenza da causa di servizio del decesso del coniuge ai
fini del riconoscimento dell’equo indennizzo e della pensione
privilegiata di reversibilità, e che con verbale AB n. 922 del 6
marzo 1990 la C.M.O. del Centro di Medicina legale militare di
OMISSIS ha negato il richiesto riconoscimento nella
considerazione che non si ravvisa nel servizio prestato nel caso
in essere, nella sua specificità, modo causale o concausale
efficiente e preponderante, ma solo occasionale nel determinismo
dell’infermità in esame, né si ravvisa nesso di interdipendenza
con l’infermità già dipendente da causa di servizio.
Il
giudizio negativo è stato confermato dalla Commissione Medica di
II^ istanza con l’ulteriore specificazione che dalle relazioni
in atti non risulta che lo S. sia stato impegnato in turni e
straordinari particolarmente stressanti, né sono emerse, anche
in base ai supplementi di relazioni richieste da quel Comando,
situazioni conflittuali con l’ambiente e i colleghi di lavoro, e
che durante il servizio lo S. non ha mai manifestato disturbi
psichici né alterazioni comportamentali.
Con il ricorso qui in esame la sig.ra B. A. sottolinea come
l’evento suicidario sia direttamente collegabile alla sindrome
ansioso depressiva reattiva contratta dal defunto coniuge
unicamente per fatti e causa di servizio, riportando le
dichiarazioni di colleghi, amici e sanitari.
In
particolare si afferma che l’ambiente di lavoro con gli
atteggiamenti dei superiori, nonché con l’orario di lavoro e le
sentite responsabilità, avevano determinato nel sig. S.,
sicuramente negli ultimi due anni di servizio, ed in ogni caso
nell’ultimo anno, in modo fortemente violento una condizione di
malessere psico-fisico, con fortissime turbe psichiche che gli
erano state diagnosticate quale una “sindrome ansioso depressiva
di tipo reattivo”, per la quale si era affidato a cure di natura
psicologica, ma che non è stata assolutamente avvertita dai
diretti superiori dell’interessato il quale, quindi, si è
trovato nell’ambiente di lavoro senza alcuna protezione.
Il
ricorso è corredato da copiosa documentazione tra cui, in
particolare, il parere medico-legale del prof. G. Beduschi di
Modena 28 giugno 1998 con tre allegati (all. n. 76) e la
relazione di consulenza Prof. I. Galliani di Modena (all. n.
77).
Il
Ministero dell’Interno ha depositato in data 13 settembre 2004
il fascicolo degli atti sanitari ed amministrativi del
Sovrintendente S. L.; in particolare l’allegato n. 4 (relazione
del Dirigente dell’11° Reparto Volo di OMISSIS) risulta
corredato dai certificati medici in data 8 giugno 1994 del dott.
Pier Paolo Gamberi, in data 8 giugno 1994 della dott. M. Luisa
Montebelli ed in data 24 ottobre 1994 del dott. Alberto Padovani
attestanti la sussistenza, prima del decesso, dell’infermità
“sindrome ansiosa depressiva di tipo reattivo” da porre in
diretta correlazione con il serviizo prestato dall’interessato.
In
data 17 giugno 2009 l’Amministrazione resistente si è costituita
con apposita memoria, corredata da copia della documentazione
già trasmessa integrata con il decreto ministeriale n. 11168/04
del 16 aprile 2004 negativo di trattamento pensionistico
privilegiato e con la dichiarazione di notifica del decreto
stesso, insistendo per il rigetto del gravame ed eccependo in
via subordinata l’intervenuta prescrizione quinquennale.
In
data 25 giugno 2009 il difensore della parte privata ricorrente
ha depositato una memoria difensiva concludente per
l’accoglimento del ricorso dovendo ravvisarsi nel servizio
prestato una connessione anche in via mediata con il suicidio
del Sovrintendente S..
Con ordinanza n.
206/09/C del 13 ottobre 2009 questa Sezione giurisdizionale,
considerato che la questione da decidere si sostanzia
nell’accertamento della dipendenza da causa di servizio, sub
specie di dipendenza dall’infermità “sindrome ansioso depressiva
reattiva” a sua volta dipendente da causa di servizio, anche
sotto il profilo del ritardo diagnostico e terapeutico,
dell’evento suicidario che in data OMISSIS ha tratto a morte il
Sovrintendente della
Polizia di Stato S. L. e che trattasi di questione
squisitamente tecnica, ha ritenuto necessario, ai fini di una
più avvisata giustizia, che venisse acquisito al riguardo il
motivato e definitivo parere dell’Ufficio Medico Legale presso
il Ministero della Salute.
L’istruttoria è
stata eseguita ed in data 4 giungo 2010 il consulente tecnico
officiato con la predetta ordinanza ha depositato il proprio
parere concludente per la dipendenza da causa di servizio della
patologia che ha poi indotto al suicidio il sig. S. L..
Con memoria
depositata in data 29 aprile 2011 la parte privata, richiamando
le conclusioni della predetta consulenza tecnica, insiste per
l’accoglimento del ricorso.
Alla pubblica udienza l’avv. Andrea Trentin si riporta alle
difese depositate ed insiste per l’accoglimento del gravame.
Si
da atto che, per l’assenza della parte pubblica resistente, non
è stato possibile esperire il tentativo di conciliazione.
Al termine
dell’odierna udienza è stato letto il dispositivo della presente
sentenza con la precisazione che, ai sensi dell’ultima parte del
primo comma dell’art. 429 c.p.c. come novellato dall’art. 53 del
d.l. n. 112 del 25 giugno 2008, convertito, con modificazioni,
in legge n. 133 del 6 agosto 2008, per il deposito della
sentenza, resta fissato il termine ordinatorio di sessanta
giorni decorrente dalla data odierna.
D I R I T T O
In via preliminare va precisato che l’art. 429
c.p.c. novellato prevede che, all’esito della discussione “il
giudice pronunzia sentenza con cui definisce il giudizio dando
lettura del dispositivo e della esposizione delle ragioni di
fatto e di diritto della decisione. In caso di particolare
complessità della controversia, il giudice fissa nel dispositivo
un termine, non superiore a sessanta giorni, per il deposito
della sentenza”.
Nel nuovo contesto normativo, quindi, sono
distinguibili due ipotesi: a) che il giudice dia lettura
integrale della sentenza (tale dovendosi intendere
l’esposizione delle ragioni, in fatto e in diritto) e del
dispositivo; b) che il giudice si limiti a leggere il
dispositivo, depositando in un momento successivo la sentenza
comprensiva della motivazione, in presenza di particolare
complessità.
Ma la circostanza che la lettura
dell’esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della
decisione debba avvenire al termine dell’udienza, fermo
restando, ovviamente, che la sentenza non può che essere redatta
dopo che le parti abbiano discusso la causa (artt. 429, 275, 276
comma 5 c.p.c. in relazione agli artt. 26 e 20 R.D. n. 1038 del
1933), induce a ritenere che l’applicazione dell’art. 429 c.p.c.
novellato possa, per ragioni immediatamente intuibili, aver
luogo soltanto in presenza di questioni di estrema semplicità (id
est, quelle di cui all’ultimo comma dell’art. 26 della legge
6 dicembre 1971, n. 1034, nel testo sostituito dal primo comma
dell’art. 9 della l. 21 luglio 2000, n. 205, applicabile, per
espressa previsione contenuta nel terzo comma del medesimo art.
9, ai giudizi innanzi alla Corte dei conti in materia di ricorsi
pensionistici, civili, militari e di guerra) e laddove non sia
necessario, all’esito della discussione, dare pronuncia su
eccezioni e deduzioni formulate dalle parti, sempre che il
numero delle questioni trattate nella medesima udienza non sia
tale da imporre un eccessivo prolungamento della camera di
consiglio susseguente alla pubblica udienza con gli evidenti
disagi per le parti presenti, che attendono quanto meno la
lettura del dispositivo delle decisioni adottate per le singole
controversie trattate, ed analoghe difficoltà per
l’organizzazione e lo svolgimento del servizio del segretario di
udienza, la cui presenza alla lettura delle sentenze o dei soli
dispositivi delle stesse è indefettibile per la funzione del
verbale d’udienza, che deve essere redatto dal segretario
medesimo, con la cui sottoscrizione da parte del giudice si
intende pubblicata la sentenza, con conseguente esonero della
segreteria della Sezione dall’onere della comunicazione, giacché
il provvedimento si ritiene, con presunzione assoluta di legge,
conosciuto dalle parti presenti o che avrebbero dovuto esser
presenti (Cassazione civile, sez. III, 30 ottobre 2007, n.
22942).
Alla luce di tali considerazioni si è reputata
necessaria la fissazione del termine indicato nella narrativa in
fatto per il deposito della presente sentenza comprensiva della
motivazione oltre che del dispositivo letto in udienza, anche in
considerazione della circostanza che la lettura in udienza,
oltre che del dispositivo, anche della relativa motivazione, non
costituisce esordio del termine per l’impugnazione della
sentenza da parte del soccombente, atteso che detto termine
decorre dalla data di notificazione della sentenza a cura della
parte vittoriosa e che il termine cosiddetto “lungo” per la
proposizione dell’appello è quello di sei mesi dalla
pubblicazione della sentenza che, all’evidenza, non può
coincidere con la lettura della stessa nella pubblica udienza
per gli adempimenti di segreteria connessi alla pubblicazione
stessa.
Tanto premesso, la questione all’attenzione della Sezione
si sostanzia
nell’accertamento della dipendenza da causa di servizio, sub
specie di dipendenza dall’infermità “sindrome ansioso depressiva
reattiva” a sua volta dipendente da causa di servizio, anche
sotto il profilo del ritardo diagnostico e terapeutico,
dell’evento suicidario che in data
OMISSIS
ha tratto a morte il Sovrintendente della
Polizia di Stato
S. L..
Detta questione risulta
adeguatamente circoscritta dall’ordinanza istruttoria indicata
nella narrativa in fatto ed esaurientemente analizzata dal
consulente officiato con la medesima ordinanza dalla cui
conclusioni, basate di attendibili elementi di fatto e su
convincenti motivazioni medico legali, non sussistono motivi per
discostarsi, anche per l’assenza di qualsiasi contraria
argomentazione che avrebbe dovuto e potuto essere offerta dalla
parte pubblica resistente.
Afferma invero
il consulente tecnico officiato con l’ordinanza indicata nella
narrativa in fatto che precede dopo l’attento esame degli atti
trasmessi in visione che numerose sono le notizie che permettono
di definire la personalità del soggetto: dedizione al lavoro,
scrupolosità, applicazione per migliorare le sue competenze e
professionalità; da esse deriva il quadro di una persona
attenta, sensibile alla critica e rispettosa dell’autorità di
cui riconosce la funzione, lievemente introvertita.
Tale struttura
psichica, prosegue il consulente, si è mostrata stabile nel
tempo, almeno fino all’ultimo anno di permanenza presso la
Polizia di Stato
di OMISSIS nel corso del quale si è manifestato un cambiamento
netto del carattere del soggetto che è descritto come
estremamente ansioso, insicuro delle sue capacità ed assalito da
dubbi.
Il quadro
psico-patologico che se ne ricava, secondo il C.T.U., appare più
profondo di una depressione reattiva e mostra una lunga
ruminazione su idee di incapacità che arrivano a ridefinire sé
stesso come ostacolo alla vita dei familiari, manifestandosi
così uni sviluppo deliroide di rovina ed alla costituzione di
tale quadro sicuramente parteciparono numerosi fattori
ambientali, che sono ben evidenti degli atti allegati e sono
costituiti da un progressivo deterioramento delle relazioni
lavorative (il soggetto è meno loquace, più chiuso in sé stesso,
dubbioso delle sue prestazioni lavorative, preoccupato), da una
(verosimilmente depercepita) relazione con i superiori, dai
quali non si sente apprezzato, sentendosi addirittura umiliato
in certe particolari situazioni e da un aumento delle
preoccupazioni per le nuove condizioni che avrebbe trovato con
il trasferimento, anche se da lui stesso richiesto; anche
l’introduzione del trattamento con farmaci può aver modificato,
ameno inizialmente in senso peggiorativo,le condizioni
psico-patologiche.
Tali fattori,
conclude il consulente, hanno in certa misura agito
patoplasticamente nell’approfondire la dimensione sensitiva
della personalità, peraltro ben compensata fino ad allora, fino
a giungere alla condizione deliroide sopra descritta e pertanto,
in base a quanto suddetto, non si può non ravvedere nel servizio
svolto una forte componente concausale valida nel determinismo
della sindrome depressiva che ha poi, modificandosi in peggio,
condotto il soggetto al suicidio.
A giudizio di questo giudice
unico, il Consulente d’ufficio ha adeguatamente motivato in
merito alla sussistenza del requisito della dipendenza da causa
di servizio della sindrome depressiva che ha poi condotto al
suicidio il sig. S. L., ed il Ministero della Difesa resistente
non ha in alcun modo contrastato il sopra riportato parere, per
cui non soccorrono motivi per disattenderlo in questa sede.
Ciò posto, deve essere accolta la domanda della parte privata
ricorrente,
sussistendo peraltro giusti motivi per compensare le spese del
presente giudizio.
Quanto
all’eccezione di intervenuta prescrizione sollevata
dall’Amministrazione resistente con la memoria difensiva
depositata in data 17 giugno 2009, la stessa, appare infondata
alla luce della copiosissima corrispondenza intercorsa tra la
ricorrente e l’Amministrazione della Difesa, dimostrante il
perdurante interesse della parte privata alla risoluzione della
controversia sorta a seguito del silenzio serbato dal Ministero
della Difesa in merito alle richieste della sig.ra B. A.; anche
in assenza di specifica qualificazione in tal senso di detta
corrispondenza, la stessa appare tuttavia idonea ad interrompere
il decorso della prescrizione che, conseguentemente, non risulta
essersi maturata.
P. Q. M.
La Corte dei
conti, Sezione giurisdizionale per la Regione Emilia Romagna, in
funzione di giudice unico delle pensioni in composizione
monocratica nella persona del consigliere Luigi Di Murro, visto
l’art. 5 della l. 21 luglio 2000 n. 205 nonché gli artt. 420,
421, 429, 430 e 431 del codice di procedura civile,
definitivamente pronunciando, ACCOGLIE il ricorso iscritto al n.
032975/Pensioni Civili del registro di segreteria, proposto
dalla sig.ra B. A. e, per l’effetto, dichiara la dipendenza da
causa di servizio dell’infermità
“Evento
suicidario a seguito di colpo di arma da fuoco in sede temporale
destra, in soggetto affetto da sindrome ansioso depressiva
reattiva”.
Dispone che
gli atti siano trasmessi all’Amministrazione della Difesa per
quanto di competenza.
Spese compensate.
Così deciso in Bologna, nella
camera di consiglio dell’11 maggio 2011.
DECRETO
Il Giudice Unico delle
Pensioni, ravvisati gli estremi per l’applicazione dell’art. 52,
comma 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196,
DISPONE
che, a cura della Segreteria,
venga apposta l’annotazione di cui al comma 3 di detto articolo
nei confronti della parte ricorrente.
Il Giudice
Presidente Luigi Di Murro
f.to Luigi Di Murro
Depositata in Segreteria il
09/06/2011
IL DIRIGENTE
f.to dr.ssa Lucia Caldarelli
In esecuzione del provvedimento
del Giudice Unico delle Pensioni, ai sensi dell’art. 52 del
decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, in caso di
diffusione, omettere le generalità e gli altri dati
identificativi di parte ricorrente.
IL DIRIGENTE
f.to dr.ssa Lucia Caldarelli
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mercoledì 6 luglio 2011
Corte dei Conti "...La Corte dei conti, Sezione giurisdizionale per la Regione Emilia Romagna, in funzione di giudice unico delle pensioni in composizione monocratica nella persona del consigliere Luigi Di Murro, visto l’art. 5 della l. 21 luglio 2000 n. 205 nonché gli artt. 420, 421, 429, 430 e 431 del codice di procedura civile, definitivamente pronunciando, ACCOGLIE il ricorso iscritto al n. 032975/Pensioni Civili del registro di segreteria, proposto dalla sig.ra B. A. e, per l’effetto, dichiara la dipendenza da causa di servizio dell’infermità “Evento suicidario a seguito di colpo di arma da fuoco in sede temporale destra, in soggetto affetto da sindrome ansioso depressiva reattiva”...."
Corte dei Conti "...ACCOGLIE il ricorso in esame (n. 57792 PC), proposto da L. B. nei confronti del Ministero dell’Interno, e, per l’effetto, dichiara l’applicabilità, nei suoi confronti, dell’art. 67 del DPR n. 1092/1973 ed il conseguente riconoscimento del diritto alla percezione dei dovuti benefici pensionistici, fatti salvi gli effetti della prescrizione, a decorrere dalla data di cessazione dal servizio...."
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI
SEZIONE GIURISDIZIONALE PER LA
REGIONE TOSCANA
in composizione
monocratica, nella persona del
Giudice Unico delle pensioni, Consigliere Francesco D’ISANTO, ha
pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso, iscritto al n.
57792 P.C. del registro di Segreteria, promosso da ----è
elettivamente domiciliato – avverso il decreto 1068/2002 del
Ministero dell’Interno.
Nella pubblica
udienza del 4 maggio 2011, udito l’avv. Marco
Canapicchi, per delega.
Non rappresentata
l’Amministrazione.
Visti gli atti ed i
documenti della causa;
Visto il D.L.
15.11.1993, n. 453, convertito in Legge 14.1.1994, n. 19;
Visto il D.L.
23.10.1996 n. 543, convertito in Legge 20.12.1996, n. 639;
Vista la Legge
27.7.2000, n. 205
FATTO
1.
Con ricorso qui pervenuto il 1903.2009, il sig. L., già in
servizio presso la
Polizia di Stato fino al 02.09.1998, impugnava il citato
decreto n. 1068/2002 con cui – pur riconoscendo che le infermità
da lui sofferte erano dipendenti da causa di servizio ed
ascrivibili a tab. A 7^ ctg. – gli veniva negata la relativa
p.p.o. in quanto le medesime non
portavano l’inabilità al servizio.
Ulteriore memoria
perveniva il 22.04.1011.
2. Il Ministero
dell’Interno, costituitosi il 26.04.2011, nell’evidenziare il
mutato orientamento, in proposito, di questa Corte, eccepisce la
prescrizione quinquennale.
3. A conclusione
dell’odierna udienza di discussione – nel corso della quale il
difensore si riporta agli atti –
questo Giudice, ai sensi
dell’art. 429 c.p.c., ha dato
lettura del dispositivo della presente decisione riservandosi il
deposito entro il termine prefissato.
DIRITTO
1. Preliminarmente, è
da evidenziare, con riferimento alla previsione del novellato
art. 420 c.p.c., l’impossibilità del
tentativo di conciliazione, considerato che non sono presenti
entrambe le parti.
2. Per giurisprudenza
consolidata (vgs. 3^ sez.
centr. n. 13621/2002; sez.
giur. Toscana
nn. 740/2006 e 654/2009), per il personale della
Polizia di Stato,
il diritto a percepire il trattamento di
P.P.O. è regolato, ai sensi dell’art. 5 (comma 6) della
legge n. 472/1987, dalla stessa norma prevista per il personale
delle FF.AA. e delle FF.PP. ad
ordinamento militare: l’art. 67 del D.P.R. n. 1092/1973.
Quest’ultimo
prevede, come condizione indispensabile, l’accertata dipendenza
da fatti di servizio dell’infermità riscontrata, (requisito che
si riscontra nella documentazione relativa al ricorrente) e non
l’asserita inabilità al servizio.
Alla stregua di
quanto sopra, il ricorso è fondato e, quindi meritevole di
accoglimento.
Si deve, pertanto,
dichiarare l’applicabilità, nei confronti del ricorrente,
dell’art. 67 del DPR n. 1092/1973 ed il suo conseguente diritto,
in relazione all’esito della prescritta procedura, a percepire i
dovuti benefici pensionistici, fatti salvi gli effetti
dell’eccepita prescrizione, relativa ai ratei maturati prima del
quinquennio precedente alla data di ricezione della sua istanza,
datata 31.03.2008..
3. Su quanto dovuto
spettano, inoltre, interessi legali e rivalutazione monetaria,
ex artt. 429
c.p.c. e 150 disp. att.
c.p.c., dalla maturazione dei
singoli ratei al soddisfo, da liquidarsi cumulativamente, nel
senso di una possibile integrazione degli interessi legali ove
l’indice di svalutazione dovesse eccedere la misura degli stessi
(SS.RR. 10/2002).
4. Attesa la chiarezza
della normativa, risalente ad oltre due decenni, e la univocità
della relativa giurisprudenza, le spese legali quantificate come
da notula, in euro 1.377,00
(milletrecentosettantasette/00) più IVA e CAP, vanno poste a
carico dell’Amministrazione soccombente.
P.Q.M.
la Corte dei Conti, Sezione
Giurisdizionale per la Toscana – in composizione
monocratica – definitivamente
pronunciando
ACCOGLIE
il ricorso in esame (n. 57792
PC), proposto da L. B. nei confronti
del Ministero dell’Interno, e, per l’effetto, dichiara
l’applicabilità, nei suoi confronti, dell’art. 67 del DPR n.
1092/1973 ed il conseguente riconoscimento del diritto alla
percezione dei dovuti benefici pensionistici, fatti salvi gli
effetti della prescrizione, a decorrere dalla data di cessazione
dal servizio.
Segue il
riconoscimento delle somme aggiuntive, come indicato in parte
motiva.
Dispone la trasmissione degli
atti all’Amministrazione, per gli ulteriori adempimenti di
competenza, ed alla locale Procura Regionale per quanto,
eventualmente, di interesse.
Le spese legali,
pari ad € 1.377,00 (milletrecentosettantasette/00) più IVA e
CAP, sono a carico dell’Amministrazione soccombente.
Così deciso, in Firenze, previa
lettura del dispositivo, nell’udienza del 4 maggio 2011.
In esito alla riserva ivi
contenuta, la presente sentenza, emessa nella Camera di
Consiglio del 06.05.2011, in pari data viene comunicata alla
Segreteria, per il seguito di competenza.
IL GIUDICE UNICO
F.to Francesco D’Isanto
Depositata
in Segreteria il 14 GIUGNO 2011
IL
DIRETTORE DI SEGRETERIA
F.to Paola
Altini
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MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI - PROVVEDITORATO INTERREGIONALE ALLE OPERE PUBBLICHE TOSCANA - UMBRIA AVVISO Avviso relativo al concorso nazionale tra artisti per la realizzazione di: A3) due opere pittoriche con soggetto che si ispiri all'attivita' istituzionale del Corpo della Polizia di Stato da ubicare nell'ambito del Nuovo Centro Polifunzionale di Grosseto. (GU n. 53 del 5-7-2011 )
In data 1° febbraio 2011, 9 marzo 2011 e 9 maggio 2011 e' stato
esperito un concorso nazionale tra artisti per la realizzazione di:
A3) due opere pittoriche con soggetto che si ispira all'attivita'
istituzionale del Corpo della Polizia di Stato da ubicare nell'ambito
del Nuovo Centro Polifunzionale di Grosseto sede della Questura e
Polizia Stradale di Grosseto, piazza Platucci.
Importo complessivo dell'opera: € 28.000,00 (€ 14.000,00 per
ciascun quadro).
Per conoscere l'esito del concorso si rinvia alla pagina: Gare -
Aggiudicazioni del sito internet:
www.comune.firenze.it/soggetti/oopptoscana/Home_page.html.
MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI - PROVVEDITORATO INTERREGIONALE ALLE OPERE PUBBLICHE TOSCANA - UMBRIA AVVISO Avviso relativo al concorso nazionale tra artisti per la realizzazione di: A2) pannello in bassorilievo o mosaico, ispirato all'attivita' istituzionale del Corpo di Polizia di Stato da ubicare nell'ambito del Nuovo Centro Polifunzionale di Grosseto. (GU n. 53 del 5-7-2011 )
In data 1° febbraio 2011, 9 marzo 2011 e 9 maggio 2011 e' stato
esperito un concorso nazionale tra artisti per la realizzazione di:
A2) pannello in bassorilievo o mosaico ispirato all'attivita'
istituzionale del Corpo della Polizia di Stato da ubicare nell'ambito
del Nuovo Centro Polifunzionale di Grosseto sede della Questura e
Polizia Stradale di Grosseto, piazza Platucci.
Importo complessivo dell'opera: € 45.000,00.
Per conoscere l'esito del concorso si rinvia alla pagina: Gare -
Aggiudicazioni del sito internet:
www.comune.firenze.it/soggetti/oopptoscana/Home_page.html.
MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI - PROVVEDITORATO INTERREGIONALE ALLE OPERE PUBBLICHE TOSCANA - UMBRIA AVVISO Avviso relativo al concorso nazionale tra artisti per la realizzazione di: A1) complesso scultoreo (Statua) con soggetto che ricordi il Corpo della Polizia di Stato da ubicare nell'ambito del Nuovo Centro Polifunzionale di Grosseto. (GU n. 53 del 5-7-2011 )
In data 1° febbraio 2011, 9 marzo 2011 e 9 maggio 2011 e' stato esperito un concorso nazionale tra artisti per la realizzazione di: A1) complesso scultoreo (Statua) con soggetto che ricordi il Corpo della Polizia di Stato da ubicare nell'ambito del Nuovo Centro Polifunzionale di Grosseto sede della Questura e Polizia Stradale di Grosseto, piazza Platucci. Importo complessivo dell'opera: € 100.000,00. Per conoscere l'esito del concorso si rinvia alla pagina: Gare - Aggiudicazioni del sito internet: www.comune.firenze.it/soggetti/oopptoscana/Home_page.html.
martedì 5 luglio 2011
TV: FRECCERO, POTREI DIMETTERMI DA RAI PER FARE TELEVISIONE LIBERA CON SANTORO
TV: FRECCERO, POTREI DIMETTERMI DA RAI PER FARE TELEVISIONE LIBERA CON
SANTORO =
Roma, 5 lug. (Adnkronos) - ''Potrei dimettermi dalla Rai per
fare un nuovo progetto di tv libera, in proprio con Santoro, come
artisti associati. Ci sto lavorando un po' per valutare se e'
possibile costruire questa convergenza, anche con le tv locali. Si',
c'e' la possibilita' che mi dimetta, anche a breve''. Lo ha detto il
direttore di Rai4, Carlo Freccero, intervenendo alla 'Zanzara' su
Radio 24.
(Spe/Ct/Adnkronos)
05-LUG-11 21:18TV: FRECCERO,POTREI DIMETTERMI DA RAI PER ANDARE CON SANTORO
(ANSA) - ROMA, 5 LUG - ''Potrei dimettermi dalla Rai per fare
un nuovo progetto di tv libera, in proprio con Santoro, come
artisti associati. Ci sto lavorando un po' per valutare se e'
possibile costruire questa convergenza, anche con le tv locali.
Si', c'e' la possibilita' che mi dimetta, anche a breve'' Lo ha
detto Carlo Freccero intervenendo alla Zanzara su Radio
24.(ANSA).
Roma, 5 lug. (Adnkronos) - ''Potrei dimettermi dalla Rai per
fare un nuovo progetto di tv libera, in proprio con Santoro, come
artisti associati. Ci sto lavorando un po' per valutare se e'
possibile costruire questa convergenza, anche con le tv locali. Si',
c'e' la possibilita' che mi dimetta, anche a breve''. Lo ha detto il
direttore di Rai4, Carlo Freccero, intervenendo alla 'Zanzara' su
Radio 24.
(Spe/Ct/Adnkronos)
05-LUG-11 21:18TV: FRECCERO,POTREI DIMETTERMI DA RAI PER ANDARE CON SANTORO
(ANSA) - ROMA, 5 LUG - ''Potrei dimettermi dalla Rai per fare
un nuovo progetto di tv libera, in proprio con Santoro, come
artisti associati. Ci sto lavorando un po' per valutare se e'
possibile costruire questa convergenza, anche con le tv locali.
Si', c'e' la possibilita' che mi dimetta, anche a breve'' Lo ha
detto Carlo Freccero intervenendo alla Zanzara su Radio
24.(ANSA).
Roma, Cgil, omicidio a Prati acuisce divario tra sicurezza reale e mediatica
ROMA: CGIL, OMICIDIO A PRATI ACUISCE DIVARIO TRA SICUREZZA REALE E MEDIATICA
=
Roma, 5 lug. - (Adnkronos) - "La feroce esecuzione avvenuta oggi
in pieno centro a Roma non fa che avvalorare le tesi, da noi da tempo
sostenute, circa il problema della sicurezza e della legalita' nella
capitale, acuendo ulteriormente il divario esistente fra sicurezza
reale e quella mediatica". Lo dichiarano Claudio Di Berardino,
segretario generale della Cgil di Roma e del Lazio, Cosmo Bianchini,
segretario generale del Silp Cgil del Lazio e Gianni Ciotti,
segretario generale del Silp Cgil di Roma.
"Non si puo' continuare ad andare avanti a colpi di spot. Mentre
aumenta la presenza di clan criminali e si registra un'escalation
della deliquenza e della violenza - proseguono - assistiamo
paradossalmente a una riduzione dell'organico in una citta' che
dovrebbe avere un numero di poliziotti adeguato".
"Occorre - concludono - mettere in atto politiche vere per la
sicurezza che consentano anche di arrivare a una riorganizzazione e a
una razionalizzazione dell'utilizzo delle forze dell'ordine e torniamo
a chiedere alla Regione Lazio su questi temi l'apertura di un tavolo
interistituzionale permanente".
(Fla/Col/Adnkronos)
05-LUG-11 18:54
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Roma, 5 lug. - (Adnkronos) - "La feroce esecuzione avvenuta oggi
in pieno centro a Roma non fa che avvalorare le tesi, da noi da tempo
sostenute, circa il problema della sicurezza e della legalita' nella
capitale, acuendo ulteriormente il divario esistente fra sicurezza
reale e quella mediatica". Lo dichiarano Claudio Di Berardino,
segretario generale della Cgil di Roma e del Lazio, Cosmo Bianchini,
segretario generale del Silp Cgil del Lazio e Gianni Ciotti,
segretario generale del Silp Cgil di Roma.
"Non si puo' continuare ad andare avanti a colpi di spot. Mentre
aumenta la presenza di clan criminali e si registra un'escalation
della deliquenza e della violenza - proseguono - assistiamo
paradossalmente a una riduzione dell'organico in una citta' che
dovrebbe avere un numero di poliziotti adeguato".
"Occorre - concludono - mettere in atto politiche vere per la
sicurezza che consentano anche di arrivare a una riorganizzazione e a
una razionalizzazione dell'utilizzo delle forze dell'ordine e torniamo
a chiedere alla Regione Lazio su questi temi l'apertura di un tavolo
interistituzionale permanente".
(Fla/Col/Adnkronos)
05-LUG-11 18:54
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Prati, Cgil: "Si acuisce divario fra sicurezza reale e mediatica" (link diretto al portale dell'autore)
L'agguato
Prati, Cgil: "Si acuisce divario fra sicurezza reale e mediatica"
"Assistiamo paradossalmente a una riduzione dell'organico
in una città che dovrebbe avere un numero di poliziotti adeguato",
scrivono il una nota Claudio Di Berardino, segretario generale della
Cgil di Roma e del Lazio, Cosmo Bianchini, segretario generale del Silp
Cgil del Lazio e Gianni Ciotti, segretario generale del Silp Cgil di
Roma
"La feroce esecuzione avvenuta oggi in pieno centro a
Roma non fa che avvalorare le tesi da noi da tempo sostenute circa il
problema della sicurezza e della legalità nella Capitale, acuendo
ulteriormente il divario esistente fra sicurezza reale e quella
mediatica". Così in una nota Claudio Di Berardino, segretario generale
della Cgil di Roma e del Lazio, Cosmo Bianchini, segretario generale del
Silp Cgil del Lazio e Gianni Ciotti, segretario generale del Silp Cgil
di Roma. "Non si può continuare ad andare avanti a colpi di spot. Mentre
aumenta la presenza di clan criminali e si registra una escalation
della deliquenza e della violenza - proseguono - assistiamo
paradossalmente a una riduzione dell'organico in una città che dovrebbe
avere un numero di poliziotti adeguato".
"Occorre - concludono - mettere in atto politiche vere per la sicurezza che consentano anche di arrivare a una riorganizzazione e a una razionalizzazione dell'utilizzo delle forze dell'ordine e torniamo a chiedere alla Regione Lazio su questi temi l'apertura di un tavolo interistituzionale permanente".
"Occorre - concludono - mettere in atto politiche vere per la sicurezza che consentano anche di arrivare a una riorganizzazione e a una razionalizzazione dell'utilizzo delle forze dell'ordine e torniamo a chiedere alla Regione Lazio su questi temi l'apertura di un tavolo interistituzionale permanente".
Prati, ucciso il figlio di un ex della banda della Magliana (link diretto al portale dell'autore)
L'agguato
Prati, ucciso il figlio di un ex della banda della Magliana
L'omicidio è avvenuto in via Riccardo Grazioli Lante nel
XVII municipio. Il padre della vittima fu coinvolto, nel 1993,
nell'ambito dell'operazione "Colosseo" contro la potente organizzazione
crimanale romana. Il Silp Cgil: criminalità organizzata, "guerra per
controllare il territorio". Per il presidente della commissione lotta
alla criminalità del Consiglio regionale del Lazio Filiberto Zaratti
(Sel): "Roma assediata da criminalità e mafie". Pd Roma: "Capitale
insicura, intervenga Maroni". Piccolo (Pdl): "Quartiere a rischio
Scampia". Rossodivita: "Necessario un vertice sulla sicurezza". Ranucci:
"Roma come Chicago degli anni '20". Le indagini sono coordinate dalla
Direzione distrettuale antimafia della capitale
L'AGGUATO I testimoni: "Visti due uomini in moto"
LE REAZIONI/1 Alemanno: "Siamo di fronte a un reato grave"
LE REAZIONI/2 Cgil: "Si acuisce divario fra sicurezza reale e mediatica"
L'AGGUATO I testimoni: "Visti due uomini in moto"
LE REAZIONI/1 Alemanno: "Siamo di fronte a un reato grave"
LE REAZIONI/2 Cgil: "Si acuisce divario fra sicurezza reale e mediatica"
Era già stato gambizzato in piazza del Monte di Pietà nel febbraio
scorso l'uomo ucciso stamane in via Riccardo Grazioli Lante all'incrocio
con via Simone de Saint Bon, al quartiere Prati. Al tempo si parlò di
movente passionale, nonostante lo scetticismo degli inquirenti. Flavio
Simmi, 33 anni, si trovava al volante della propria auto, una Ford Ka
grigia, fermo al semaforo. Con lui una donna. La vettura poi sarebbe
stata avvicinata dal killer che avrebbe esploso più colpi di pistola
mentre l'uomo cercava di uscire fuori dalla macchina senza riuscirvi e
restare con i piedi incastrati nell'abitacolo e il corpo riverso
sull'asfalto. Ancora da chiarire al dinamica dell'omicidio. Sette
sarebbero i colpi esplosi dal killer contro la vittima.
Simmi era figlio di una persona che negli anni Novanta fu accusata di aver preso parte alla banda della magliana. Il genitore fu coinvolto nel 1993 come presunto riciclatore nella cosiddetta "operazione Colosseo" che portò alla confisca di beni appartenenti al gruppo criminale per cento milioni di lire, ma fu poi scagionato al termine del processo.
Interrogatori sono in corso da parte degli investigatori della squadra mobile. Gli inquirenti stanno cercando testimonianze per stringere il cerchio sugli autori dell'omicidio. Movente, numero dei killer, tra i principali nodi da sciogliere.
Un grande telo verde copre il corpo in strada di Flavio Simmi. Il cadevere dell'uomo è stato caricato sul furgone della polizia mortuaria. Intorno l'area è transennata e oltre ai curiosi, ci sono amici e parenti molti dei quali non riesco a trattenere le lacrime. Sul posto ci sono ancora gli agenti della polizia scientifica che sono alla ricerca di indizi. L'uomo viveva poco distante dal luogo dell'omicidio in via Fa' di Bruno, era sposato e aveva dei figli. Amici e parenti si trovano sul luogo del delitto, davanti alla pozza di sangue.
IL SILP CGIL. Le modalità di esecuzione del delitto sembrerebbero tipiche del codice mafioso. "I casi di malavita che vanno dall'usura allo spaccio di droga, sebbe siano isolati, dimostrano che a Roma c'è un vero e proprio controllo del territorio - torna a denunciare con forza il segretario del Silp Cgil Roma, Gianni Ciotti -, non si tratta di un semplice regolamento di conti, c'è una guerra in atto tra bande di criminalità organizzata che vogliono conquistarsi l'egemonia sulla Capitale".
IL PD. "L'ennesimo omicidio avvenuto a Roma in pieno giorno e in pieno centro è l'ennesima dimostrazione dell'insicurezza e della violenza presenti in città. Nella Roma di Alemanno, nonostante le promesse fatte in campagna elettorale, ogni giorno si registra un episodio di inaudita ferocia, come non succedeva da decenni. Chiediamo quindi al Ministro Maroni di intervenire al più presto prima che la situazione sfugga ad ogni controllo. Non ci fidiamo più di Alemanno e della sua Giunta, che davanti ad ogni caso di questo tipo, rispondono esponendo sterili statistiche sulla diminuzione dei reati, omettendo sempre di dire che sono in calo dal 2007 e in tutta italia perché in quell'anno a causa dell'amnistia in molti uscirono dal carcere provocando un innalzamento dei reati. A Roma ormai è il Far west, ma Alemanno sciorina numeri che non interessano a nessuno". Lo dichiara in una nota il segretario del Pd Roma, Marco Miccoli. Per il senatore Raffaele Ranucci: "Oggi Roma sembra la Chicago degli anni Venti dove avvenivano omicidi e regolamenti di conti in pieno giorno e nelle strade più centrali e frequentate. La violenza nella città di Roma sta dilagando in modo allarmante. Nelle ultime settimane si sono ripetuti stupri, omicidi e violenze, alcuni ancora senza responsabili. L'uccisione di Flavio Simmi di questa mattina a Prati è solo l'ultimo caso dopo tanti tra cui il pestaggio, di pochi giorni fa, di Alberto Bonanni, ridotto in fin di vita nel centralissimo rione Monti".
IL PDL. “L’assassinio avvenuto nel cuore del quartiere Prati-Della Vittoria dimostra che la zona è ormai terra di esecuzioni malavitose. Un omicidio efferato, violento, avvenuto in pieno giorno e a pochi metri dal Vaticano e che fa seguito all’analogo regolamento di conti avvenuto lo scorso aprile in piazza Mazzini quando venne ucciso davanti a decine di persone un imprenditore. Mi auguro fortemente che gli investigatori facciano immediata luce su questo nuovo agghiacciante episodio che rischia di trasformare Prati in una nuova Scampia”. Così in una nota Samuele Piccolo (Pdl), vicepresidente dell’Assemblea capitolina.
I RADICALI. "L'ennesimo omicidio di questa mattina nel quartiere Prati di Roma che si è consumato con una dinamica da vera e propria esecuzione della criminalità organizzata sbatte in faccia ai romani il totale fallimento di Alemanno che fu eletto sul tema della sicurezza". Lo afferma in una nota Giuseppe Rossodivita, Capogruppo Lista Bonino Pannella Federalisti Europei, Membro Commissione sulla sicurezza, integrazione sociale e lotta alla criminalità al Consiglio Regionale del Lazio.
"A Roma da tempo sta accadendo qualcosa che oramai sembra sfuggito al controllo di tutte le autorità preposte a garantire la sicurezza e l'incolumità dei cittadini - prosegue - Sarebbe a questo punto necessario un vertice tra tutti i soggetti istituzionali che hanno responsabilità in materia al fine di affrontare, con azioni concrete, una questione che non si può più far finta di non vedere".
L'IDV. "L'esecuzione che si è consumata stamattina a Prati è l'ennesimo, inquietante fatto di cronaca che sconfessa la favoletta di Roma città sicura. I romani cominciano ad avere il dubbio che i giornali che leggono tutte le mattine siano vecchie copie degli anni '70". Lo dichiara in una nota il segretario regionale dell'Italia dei valori, Vincenzo Maruccio. "Ora Alemanno ci dirà che la colpa è delle fiction televisive, o che sono fatti isolati - aggiunge - Peccato che il segnale sia ormai chiaro a tutti: non passa giorno senza pestaggi, esecuzioni in puro stile malavitoso, violenze di ogni genere. E' giunto il momento di intervenire, ammettendo l'emergenza e unendo le forze per combattere un fenomeno dilagante che non segna solo il fallimento del sindaco e della sua amministrazione, ma scredita la città agli occhi del mondo".
SEL. "L’omicidio in Prati e il maxi sequestro di beni immobili appartenenti alla ‘ndrangheta del clan Gallico di Palmi, sono due episodi di una lunga serie di gravissimi fatti criminosi che si susseguono a Roma e nella sua provincia. Negli ultimi mesi abbiamo assistito a una vera e propria escalation criminale: omicidi, tentati omicidi, gambizzazioni, regolamenti di conti, incendi dolosi, sequestri di beni ai clan di ‘ndrangheta e camorra. Questo scenario impone una reazione delle istituzioni, lasciando da parte i tentativi di minimizzazione del fenomeno e le sterili polemiche. Per questo motivo ho scritto una lettera al Presidente della Commissione parlamentare antimafia, Senatore Giuseppe Pisanu, chiedendo l’apertura immediata di un’inchiesta sulle mafie a Roma e nel Lazio, visto che l’ultima e del 1994”. Lo dichiara in una nota Filiberto Zaratti (Sel), Presidente della Commissione lotta alla criminalità del Consiglio regionale del Lazio.
Simmi era figlio di una persona che negli anni Novanta fu accusata di aver preso parte alla banda della magliana. Il genitore fu coinvolto nel 1993 come presunto riciclatore nella cosiddetta "operazione Colosseo" che portò alla confisca di beni appartenenti al gruppo criminale per cento milioni di lire, ma fu poi scagionato al termine del processo.
Interrogatori sono in corso da parte degli investigatori della squadra mobile. Gli inquirenti stanno cercando testimonianze per stringere il cerchio sugli autori dell'omicidio. Movente, numero dei killer, tra i principali nodi da sciogliere.
Un grande telo verde copre il corpo in strada di Flavio Simmi. Il cadevere dell'uomo è stato caricato sul furgone della polizia mortuaria. Intorno l'area è transennata e oltre ai curiosi, ci sono amici e parenti molti dei quali non riesco a trattenere le lacrime. Sul posto ci sono ancora gli agenti della polizia scientifica che sono alla ricerca di indizi. L'uomo viveva poco distante dal luogo dell'omicidio in via Fa' di Bruno, era sposato e aveva dei figli. Amici e parenti si trovano sul luogo del delitto, davanti alla pozza di sangue.
IL SILP CGIL. Le modalità di esecuzione del delitto sembrerebbero tipiche del codice mafioso. "I casi di malavita che vanno dall'usura allo spaccio di droga, sebbe siano isolati, dimostrano che a Roma c'è un vero e proprio controllo del territorio - torna a denunciare con forza il segretario del Silp Cgil Roma, Gianni Ciotti -, non si tratta di un semplice regolamento di conti, c'è una guerra in atto tra bande di criminalità organizzata che vogliono conquistarsi l'egemonia sulla Capitale".
IL PD. "L'ennesimo omicidio avvenuto a Roma in pieno giorno e in pieno centro è l'ennesima dimostrazione dell'insicurezza e della violenza presenti in città. Nella Roma di Alemanno, nonostante le promesse fatte in campagna elettorale, ogni giorno si registra un episodio di inaudita ferocia, come non succedeva da decenni. Chiediamo quindi al Ministro Maroni di intervenire al più presto prima che la situazione sfugga ad ogni controllo. Non ci fidiamo più di Alemanno e della sua Giunta, che davanti ad ogni caso di questo tipo, rispondono esponendo sterili statistiche sulla diminuzione dei reati, omettendo sempre di dire che sono in calo dal 2007 e in tutta italia perché in quell'anno a causa dell'amnistia in molti uscirono dal carcere provocando un innalzamento dei reati. A Roma ormai è il Far west, ma Alemanno sciorina numeri che non interessano a nessuno". Lo dichiara in una nota il segretario del Pd Roma, Marco Miccoli. Per il senatore Raffaele Ranucci: "Oggi Roma sembra la Chicago degli anni Venti dove avvenivano omicidi e regolamenti di conti in pieno giorno e nelle strade più centrali e frequentate. La violenza nella città di Roma sta dilagando in modo allarmante. Nelle ultime settimane si sono ripetuti stupri, omicidi e violenze, alcuni ancora senza responsabili. L'uccisione di Flavio Simmi di questa mattina a Prati è solo l'ultimo caso dopo tanti tra cui il pestaggio, di pochi giorni fa, di Alberto Bonanni, ridotto in fin di vita nel centralissimo rione Monti".
IL PDL. “L’assassinio avvenuto nel cuore del quartiere Prati-Della Vittoria dimostra che la zona è ormai terra di esecuzioni malavitose. Un omicidio efferato, violento, avvenuto in pieno giorno e a pochi metri dal Vaticano e che fa seguito all’analogo regolamento di conti avvenuto lo scorso aprile in piazza Mazzini quando venne ucciso davanti a decine di persone un imprenditore. Mi auguro fortemente che gli investigatori facciano immediata luce su questo nuovo agghiacciante episodio che rischia di trasformare Prati in una nuova Scampia”. Così in una nota Samuele Piccolo (Pdl), vicepresidente dell’Assemblea capitolina.
I RADICALI. "L'ennesimo omicidio di questa mattina nel quartiere Prati di Roma che si è consumato con una dinamica da vera e propria esecuzione della criminalità organizzata sbatte in faccia ai romani il totale fallimento di Alemanno che fu eletto sul tema della sicurezza". Lo afferma in una nota Giuseppe Rossodivita, Capogruppo Lista Bonino Pannella Federalisti Europei, Membro Commissione sulla sicurezza, integrazione sociale e lotta alla criminalità al Consiglio Regionale del Lazio.
"A Roma da tempo sta accadendo qualcosa che oramai sembra sfuggito al controllo di tutte le autorità preposte a garantire la sicurezza e l'incolumità dei cittadini - prosegue - Sarebbe a questo punto necessario un vertice tra tutti i soggetti istituzionali che hanno responsabilità in materia al fine di affrontare, con azioni concrete, una questione che non si può più far finta di non vedere".
L'IDV. "L'esecuzione che si è consumata stamattina a Prati è l'ennesimo, inquietante fatto di cronaca che sconfessa la favoletta di Roma città sicura. I romani cominciano ad avere il dubbio che i giornali che leggono tutte le mattine siano vecchie copie degli anni '70". Lo dichiara in una nota il segretario regionale dell'Italia dei valori, Vincenzo Maruccio. "Ora Alemanno ci dirà che la colpa è delle fiction televisive, o che sono fatti isolati - aggiunge - Peccato che il segnale sia ormai chiaro a tutti: non passa giorno senza pestaggi, esecuzioni in puro stile malavitoso, violenze di ogni genere. E' giunto il momento di intervenire, ammettendo l'emergenza e unendo le forze per combattere un fenomeno dilagante che non segna solo il fallimento del sindaco e della sua amministrazione, ma scredita la città agli occhi del mondo".
SEL. "L’omicidio in Prati e il maxi sequestro di beni immobili appartenenti alla ‘ndrangheta del clan Gallico di Palmi, sono due episodi di una lunga serie di gravissimi fatti criminosi che si susseguono a Roma e nella sua provincia. Negli ultimi mesi abbiamo assistito a una vera e propria escalation criminale: omicidi, tentati omicidi, gambizzazioni, regolamenti di conti, incendi dolosi, sequestri di beni ai clan di ‘ndrangheta e camorra. Questo scenario impone una reazione delle istituzioni, lasciando da parte i tentativi di minimizzazione del fenomeno e le sterili polemiche. Per questo motivo ho scritto una lettera al Presidente della Commissione parlamentare antimafia, Senatore Giuseppe Pisanu, chiedendo l’apertura immediata di un’inchiesta sulle mafie a Roma e nel Lazio, visto che l’ultima e del 1994”. Lo dichiara in una nota Filiberto Zaratti (Sel), Presidente della Commissione lotta alla criminalità del Consiglio regionale del Lazio.
Corte Costituzionale ".. Tagli di spesa delle Regioni La Regione può decidere autonomamente dove tagliare le spese, purché la somma dei tagli sia pari all'importo fissato complessivamente dalla legge nazionale. Ma non può indicare un anno diverso da quello fissato a livello centrale, come base per calcolare le percentuali di spesa da ridurre e autorizzare, perché ciò viola la riserva di legge nazionale. Sono questi i principi affermati dalla Corte costituzionale con la Sent. n. 182, depositata il 10 giugno 2011. .."
Corte Cost., 10 giugno 2011, n. 182 Corte cost., Sent., 10-06-2011, n. 182Fatto Diritto P.Q.M. Svolgimento del processo SENTENZA Nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 1, comma 1, e 12, comma 2, lettera b), della legge della Regione Toscana 29 dicembre 2010, n. 65 (Legge finanziaria per l'anno 2011), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 24 febbraio - 3 marzo 2011, depositato in cancelleria il 1° marzo 2011 ed iscritto al n. 11 del registro ricorsi 2011. Visto l'atto di costituzione della Regione Toscana; udito nell'udienza pubblica del 10 maggio 2011 il Giudice relatore Giorgio Lattanzi; uditi l'avvocato dello Stato Federico Basilica per il Presidente del Consiglio dei ministri e l'avvocato Lucia Bora per la Regione Toscana. 1. - Con ricorso notificato il 24 febbraio 2011 e depositato il successivo 1° marzo (reg. ric. n. 11 del 2011), il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, ha proposto questioni di legittimità costituzionale dell'art. 1, comma 1, e dell'art. 12, comma 2, lettera b), della legge della Regione Toscana 29 dicembre 2010, n. 65 (Legge finanziaria per l'anno 2011), in relazione all'art. 117, terzo comma, della Costituzione. L'art. 1, comma 1, della legge impugnata stabilisce che «in applicazione della disposizione di cui all'articolo 6 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica) convertito in legge, con modificazioni, dall'articolo 1, comma 1, della legge 30 luglio 2010, n. 122, la Giunta regionale, sulla base delle spese risultanti dal rendiconto per l'anno 2009, determina con proprio atto l'ammontare complessivo della riduzione delle proprie spese di funzionamento indicate dal citato articolo 6. Tale ammontare è assicurato dalla Giunta regionale anche mediante una modulazione delle percentuali di risparmio in misura diversa rispetto a quanto disposto dall'articolo 6 del decreto-legge n. 78/2010». A propria volta, l'art. 6 del decreto-legge n. 78 del 2010, al quale la disposizione impugnata si riferisce, prevede la «riduzione dei costi degli apparati amministrativi», operando su numerose voci di spesa della pubblica amministrazione, anche per mezzo di decurtazioni indicate in percentuale. A parere del ricorrente, la disposizione impugnata, nel consentire alla Giunta regionale di modificare tali percentuali «definite e puntuali», si pone in contrasto con la normativa statale interposta, espressiva di un principio di coordinamento della finanza pubblica, e viola, di conseguenza, l'art. 117, terzo comma, Cost. La seconda disposizione impugnata, ossia l'art. 12, comma 2, lettera b), della legge in questione, stabilisce che per l'anno 2011 gli enti e le aziende del servizio sanitario regionale procedono «all'adozione di misure per il contenimento della spesa per il personale idonee a garantire che la spesa stessa non superi il corrispondente ammontare dell'anno 2006, comprensivo dei costi contrattuali di competenza 2006, anche se erogati negli anni successivi, diminuito dell'1,4 per cento. A tal fine si considera anche la spesa per il personale con rapporto di lavoro a termine. Dalla spesa 2006 sono esclusi gli oneri per arretrati relativi ad anni precedenti, a seguito del rinnovo dei contratti collettivi nazionali di lavoro, e dalla spesa 2011 gli oneri derivanti dai rinnovi contrattuali intervenuti successivamente al 2006». Il ricorrente ritiene tale previsione in contrasto con l'art. 2, comma 71, della legge 23 dicembre 2009, n. 191 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - Legge finanziaria 2010), secondo cui l'anno di riferimento, ai fini della determinazione del livello di spesa, è il 2004, anziché il 2006: anche in questo caso il legislatore regionale avrebbe violato un principio di coordinamento della finanza pubblica. Il pregiudizio che le norme censurate avrebbero prodotto a carico delle «finanze pubbliche» giustificherebbe, secondo l'Avvocatura, la sospensione della legge impugnata, ai sensi dell'art. 35 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale). 2. - Si è costituita in giudizio la Regione Toscana, chiedendo che le questioni siano dichiarate non fondate. La Regione osserva che con l'art. 1, comma 1, impugnato viene rispettato l'«ammontare complessivo delle riduzioni disposte dalla norma statale» (art. 6 del decreto-legge n. 78 del 2010), ma si riserva alla Giunta il potere di ripartire i tagli apportati alle specifiche voci di spesa, anche secondo percentuali di volta in volta diverse rispetto a quelle indicate dalla norma interposta. Difatti, prosegue la Regione, la disposizione statale evocata dal ricorrente non potrebbe in nessun caso ritenersi espressiva di un principio fondamentale di coordinamento della finanza pubblica, tale da imporsi all'autonomia regionale, ove si dovesse intendere che le percentuali ivi indicate siano rigide e immodificabili da parte del legislatore regionale. Si tratterebbe, infatti, di un'incisione su minute e dettagliate voci di spesa, tale da ledere l'autonomia finanziaria della Regione, secondo quanto avrebbe ripetutamente affermato la stessa giurisprudenza costituzionale. Questo rilievo troverebbe conferma nello stesso art. 6, comma 20, del decreto-legge n. 78 del 2010, secondo cui «le disposizioni del presente articolo non si applicano in via diretta alle regioni, alle province autonome e agli enti del Servizio sanitario nazionale, per i quali costituiscono disposizioni di principio ai fini del coordinamento della finanza pubblica». Quanto, poi, all'art. 12, comma 2, lettera b), l'altra disposizione impugnata, la Regione Toscana ritiene che anche con riguardo alla spesa per il personale del settore sanitario il legislatore statale non possa imporre in modo rigido un tetto a una singola voce del bilancio, dovendosi limitare a prescrivere il perseguimento dell'«equilibrio economico-finanziario» complessivo. Ciò troverebbe avallo nell'art. 2, comma 73, della legge n. 191 del 2009, secondo cui, in sede di verifica dell'osservanza degli adempimenti cui è vincolata per il contenimento della spesa sanitaria, la Regione è considerata adempiente, ove, pur in caso di mancato raggiungimento degli specifici obiettivi, abbia comunque assicurato il predetto equilibrio. In tale contesto, la disposizione impugnata, relativa al 2011, avrebbe ben potuto assumere come anno di riferimento per la determinazione della spesa il 2006, anziché il 2004, confermando in tal modo una scelta già compiuta dalla legge regionale 1 agosto 2006, n. 42 (Misure di razionalizzazione della spesa delle aziende ed enti del servizio sanitario regionale), con riferimento al triennio 2007-2009. Rispetto a quest'ultimo triennio, infatti, la riduzione della spesa è stata aumentata dall'1% all'1,4%, assicurando in tal modo, secondo la difesa regionale, l'equilibrio economico complessivo.Motivi della decisione 1. - Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, ha proposto questioni di legittimità costituzionale dell'art. 1, comma 1, e dell'art. 12, comma 2, lettera b), della legge della Regione Toscana 29 dicembre 2010, n. 65 (Legge finanziaria per l'anno 2011), in relazione all'art. 117, terzo comma, della Costituzione. Il ricorrente ritiene che tali disposizioni ledano la competenza dello Stato a dettare i principi fondamentali della materia a riparto concorrente "coordinamento della finanza pubblica", ponendosi in contrasto con due norme specificamente adottate nell'esercizio di essa. In particolare, l'art. 1, comma 1, nel consentire alla Giunta regionale di determinare l'ammontare complessivo della riduzione delle proprie spese di funzionamento, rispetto al livello raggiunto nel 2009, contrasterebbe con l'art. 6 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 30 luglio 2010, n. 122. Questo articolo, al fine di ridurre il costo degli apparati amministrativi, ha prescritto un taglio, secondo percentuali prestabilite, di numerose voci di spesa proprie delle amministrazioni statali, stabilendo altresì, al comma 20, che le singole disposizioni con cui tali tagli sono stati indicati nel corpo dello stesso art. 6 costituiscono principi di coordinamento della finanza pubblica per Regioni, Province autonome ed enti del Servizio sanitario nazionale. La norma regionale censurata, pur nel dichiarato intento di dare attuazione all'art. 6 del decreto-legge n. 78 del 2010, consentirebbe alla Giunta una «modulazione delle percentuali di risparmio in misura diversa» rispetto a quella rigidamente determinata dalla disposizione statale, con ciò, a parere dell'Avvocatura, contravvenendovi. Il ricorrente muove, infatti, dal presupposto interpretativo secondo cui l'art. 6 pretende di trovare applicazione integrale nei confronti delle Regioni, le quali sarebbero perciò obbligate a operare una contrazione di singole e minute voci di spesa, proprio nella misura prescritta per le amministrazioni dello Stato. In particolare, con riguardo alle sole spese concernenti il funzionamento della Giunta (le uniche ad essere disciplinate dalla norma impugnata, tra le molte previste dall'art. 6 del decreto-legge n. 78 del 2010), si sarebbe trattato di ridurre del 10%, rispetto al 2010, indennità, compensi, gettoni, retribuzioni ed altre utilità corrisposte ai componenti di organi (art. 6, comma 3); di contenere entro il 20% del tetto raggiunto nel 2009 sia le spese per studi ed incarichi di consulenza (art. 6, comma 7), sia le spese per relazioni pubbliche, convegni, mostre, pubblicità e rappresentanza (art. 6, comma 8); di rinunciare integralmente alle spese per sponsorizzazioni (art. 6, comma 9); di ridurre al 50% del 2009 le spese sia per missioni (art. 6, comma 12), sia per la formazione (art. 6, comma 13); di restringere all'80% del 2009 le spese per la gestione delle autovetture, compresi i buoni taxi (art. 6, comma 14). Secondo la Regione, invece, la disposizione in questione non potrebbe in nessun caso ritenersi espressiva di un principio fondamentale di coordinamento della finanza pubblica, tale da imporsi all'autonomia regionale, ove si dovesse intendere che le percentuali ivi indicate siano rigide e immodificabili da parte del legislatore regionale. Si tratterebbe, infatti, di un'incisione su minute e dettagliate voci di spesa, tale da ledere l'autonomia finanziaria della Regione, secondo quanto avrebbe ripetutamente affermato la stessa giurisprudenza costituzionale. E' solo nel suo insieme che l'art. 6 del decreto-legge n. 78 del 2010 potrebbe eventualmente considerarsi espressione di un principio fondamentale di coordinamento della finanza pubblica, e sotto questo aspetto nessuna violazione sarebbe configurabile dal momento che «la Regione Toscana ha previsto di attenersi all'ammontare complessivo delle riduzioni disposte dalla norma statale, con la facoltà di ripartire la riduzione complessiva in autonomia, e dunque in modo anche diverso da quanto disposto a livello nazionale». 1.2. - La questione non è fondata. Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, il legislatore statale, con una "disciplina di principio", può legittimamente «imporre agli enti autonomi, per ragioni di coordinamento finanziario connesse ad obiettivi nazionali, condizionati anche dagli obblighi comunitari, vincoli alle politiche di bilancio, anche se questi si traducono, inevitabilmente, in limitazioni indirette all'autonomia di spesa degli enti» (sentenza n. 36 del 2004; si veda anche la sentenza n. 417 del 2005). Questi vincoli, perché possano considerarsi rispettosi dell'autonomia delle Regioni e degli enti locali, devono riguardare «l'entità del disavanzo di parte corrente oppure - ma solo "in via transitoria ed in vista degli specifici obiettivi di riequilibrio della finanza pubblica perseguiti dal legislatore statale" - la crescita della spesa corrente». In altri termini, la legge statale può stabilire solo un «limite complessivo, che lascia agli enti stessi ampia libertà di allocazione delle risorse fra i diversi ambiti e obiettivi di spesa» (sentenze n. 417 del 2005 e n. 36 del 2004; si vedano anche le sentenze n. 88 del 2006 e n. 449 del 2005). Poste tali premesse, è da aggiungere che interventi analoghi per i contenuti a quelli operati dalle diverse disposizioni dell'art. 6 del decreto-legge n. 78 del 2010, disposti negli anni trascorsi dal legislatore statale, non sono stati in grado di superare il vaglio di legittimità costituzionale, data l'indebita compressione dell'autonomia finanziaria delle Regioni che con essi veniva realizzata. In particolare, sono state ritenute illegittime, nella parte in cui pretendevano di imporsi al sistema regionale, rigide misure concernenti la spesa per studi, consulenze, missioni all'estero, rappresentanza, relazioni pubbliche e convegni (sentenza n. 417 del 2005); la spesa per viaggi in aereo (sentenza n. 449 del 2005); i compensi e il numero massimo degli amministratori di società partecipate dalla Regione (sentenza n. 159 del 2008); le spese per autovetture (sentenza n. 297 del 2009). A fronte di tale consolidato indirizzo della giurisprudenza costituzionale, il legislatore statale, con l'art. 6 citato, ha mostrato di saper superare la tecnica normativa in origine adottata, ai fini del contenimento della spesa pubblica, preferendo agire direttamente sulla spesa delle proprie amministrazioni con norme puntuali, delle quali si è invece dichiarata l'efficacia nei confronti delle Regioni esclusivamente quali principi di coordinamento della finanza pubblica, escludendone l'applicabilità diretta (sentenza n. 289 del 2008). Va da sé che tale operazione può rispettare il riparto concorrente della potestà legislativa in tema di coordinamento della finanza pubblica, solo a condizione di permettere l'estrapolazione, dalle singole disposizioni statali, di principi rispettosi di uno spazio aperto all'esercizio dell'autonomia regionale. In caso contrario, la disposizione statale non potrà essere ritenuta di principio (sentenza n. 159 del 2008), quale che ne sia l'eventuale autoqualificazione operata dal legislatore nazionale (sentenza n. 237 del 2009). E' da ritenere che il comma 20 del citato art. 6 abbia inteso operare in tal senso, con la previsione che «le disposizioni del presente articolo non si applicano in via diretta alle regioni, alle province autonome e agli enti del Servizio sanitario nazionale, per i quali costituiscono disposizioni di principio ai fini del coordinamento della finanza pubblica». Perciò la premessa su cui si fonda integralmente la censura dello Stato avverso l'art. 1, comma 1, della legge impugnata è palesemente erronea, poiché tradisce il senso dell'evocata norma interposta. L'art. 6 del decreto-legge n. 78 del 2010, diversamente da quanto postulato dall'Avvocatura dello Stato, non intende imporre alle Regioni l'osservanza puntuale ed incondizionata dei singoli precetti di cui si compone e può considerarsi espressione di un principio fondamentale della finanza pubblica in quanto stabilisce, rispetto a specifiche voci di spesa, limiti puntuali che si applicano integralmente allo Stato, mentre vincolano le Regioni, le Province autonome e gli enti del Servizio sanitario nazionale solo come limite complessivo di spesa. Questa conclusione si fonda sulla possibilità di effettuare una duplice operazione logico-giuridica: in primo luogo, l'art. 6 citato consente un processo di induzione che, partendo da un apprezzamento non atomistico, ma globale, dei precetti in gioco, conduce all'isolamento di un principio comune; in secondo luogo, siffatto principio è idoneo al compito inverso di dedurre da esso, in modo consequenziale, ma adeguato a preservare la discrezionalità del legislatore regionale, una diversificata normativa di dettaglio. Il comma 20 dell'art. 6, infatti, autorizza le Regioni, le Province autonome e gli enti del Servizio sanitario nazionale, anzitutto, a determinare, sulla base di una valutazione globale dei limiti di spesa puntuali dettati dall'art. 6, l'ammontare complessivo dei risparmi da conseguire e, quindi, a modulare in modo discrezionale, tenendo fermo quel vincolo, le percentuali di riduzione delle singole voci di spesa contemplate nell'art. 6. Pertanto, il rigetto della censura discende dal rilievo per il quale la norma impugnata non è contraria a quella interposta assunta nel significato che correttamente la Regione le ha attribuito: l'erroneità del presupposto interpretativo posto a base del ricorso determina l'infondatezza della questione. 2. - L'art. 12, comma 2, lettera b), della legge impugnata dispone che, per l'anno 2011, enti ed aziende del servizio sanitario regionale limitino le spese per il personale all'ammontare sostenuto nel 2006, ridotto dell'1,4%. Lo Stato reputa tale disposizione in contrasto con l'art. 2, comma 71, della legge 23 dicembre 2009, n. 191 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - Legge finanziaria 2010), secondo cui tali spese non possono, per il triennio 2010-2012, eccedere il livello raggiunto nel 2004, diminuito anche in tal caso dell'1,4%: posto che tale ultima norma esprimerebbe un principio di coordinamento della finanza pubblica, la disposizione regionale censurata sarebbe illegittima. 2.1. - La questione è fondata. Anzitutto, va messo in chiaro che la norma regionale oggetto di impugnazione permette un incremento della spesa per il personale sanitario per l'anno 2011, rispetto al livello massimo prescritto dalla norma statale interposta. Il legislatore toscano, infatti, ha preso in considerazione, quale base di riferimento per contenere la spesa in questione, l'anno 2006, anziché l'anno 2004, indicato dall'art. 2, comma 71, della legge n. 191 del 2009. Sennonché tale ultima disposizione si salda senza soluzione di continuità con l'art. 1, comma 565, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - Legge finanziaria 2007), che aveva previsto analoga misura per il triennio 2007-2009, con l'effetto che la spesa per il personale sanitario dal 2007 al 2012 deve ritenersi agganciata, salvo espresse deroghe legislative, all'ammontare raggiunto nel 2004, diminuito dell'1,4%. È perciò chiaro che, riferendosi invece al 2006, ovvero all'ultimo anno durante il quale si è permessa un'ulteriore lievitazione dei costi, la legge impugnata consente alla Regione una spesa inevitabilmente superiore, e come tale si pone in contrasto con quanto stabilito dalla norma interposta. Del tutto privo di rilevanza, sul punto, è l'argomento impiegato dalla difesa regionale, secondo cui la norma censurata avrebbe comunque ridotto la capacità di spesa della Regione, rispetto a quanto in precedenza operato da talune delibere di Giunta, con le quali si era imposta la mera riduzione dell'1% rispetto alle uscite del 2006, anziché quella dell'1,4%. È ovvio, infatti, che la vigenza nel passato di un criterio amministrativo, anch'esso in palese conflitto con la legislazione statale, non ne legittima in sé la trasposizione in legge per gli anni a venire, né diviene punto di raffronto per valutare la conformità a Costituzione di tale legge. Ciò acclarato, si tratta di interrogarsi sulla natura della disposizione interposta: questa Corte le ha già attribuito carattere di principio con la sentenza n. 333 del 2010 e con la sentenza n. 68 del 2011; del resto già la sentenza n. 120 del 2008 aveva concluso nel medesimo modo, con riguardo all'analoga norma recata dall'art. 1, comma 565, della legge n. 296 del 2006. E' fuor di dubbio che la spesa per il personale costituisca una delle voci del bilancio regionale, caratterizzata sia dal peso preponderante che vi riveste, sia dalla storica ritrosia delle Regioni a porvi adeguati limiti. Può quindi ritenersi proporzionata la valutazione del legislatore statale, sottesa alla norma interposta, relativa all'inefficacia che eventuali e assai improbabili misure regionali alternative potrebbero sortire, ai fini della riduzione del debito pubblico (sentenza n. 169 del 2007). Questa Corte è giunta alla medesima conclusione anche con riguardo alla sottocategoria delle spese per il personale sanitario (sentenze n. 333 del 2010 e n. 120 del 2008), anch'esse di regola così elevate da non giustificare una prognosi favorevole circa l'introduzione di idonee misure alternative da parte della legge regionale. Alla luce di simili considerazioni va letto lo stesso art. 2, comma 73, della legge n. 191 del 2009, richiamato dalla difesa regionale, secondo cui «alla verifica dell'effettivo conseguimento degli obiettivi previsti dalle disposizioni di cui ai commi 71 e 72 per gli anni 2010, 2011 e 2012, si provvede nell'ambito del Tavolo tecnico per la verifica degli adempimenti di cui all'articolo 12 dell'intesa 23 marzo 2005, sancita dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, pubblicata nel supplemento ordinario n. 83 alla Gazzetta Ufficiale n. 105 del 7 maggio 2005. La regione è giudicata adempiente ove sia accertato l'effettivo conseguimento degli obiettivi previsti. In caso contrario la regione è considerata adempiente solo ove abbia comunque assicurato l'equilibrio economico». Secondo la Regione Toscana il riconoscimento del corretto adempimento regionale, anche in caso di deroga ai precetti di cui al precedente comma 71, ove comunque sia stato assicurato l'equilibrio economico, dovrebbe far ritenere che non si renda necessaria la scrupolosa osservanza del risparmio di spesa indicato con riferimento al personale sanitario, ben potendo l'autonomia regionale trovare soluzioni alternative, ugualmente idonee allo scopo di conseguire l'obiettivo indicato. Va però osservato, in senso contrario, che l'ipotesi residuale contemplata dall'ultimo periodo del comma 73 non elide affatto la previsione principale, secondo cui l'adempimento della Regione va misurato con riferimento agli specifici obiettivi recati dal precedente comma 71. Proprio le considerazioni innanzi svolte, con riferimento alla natura sfavorevole della prognosi relativa all'adozione di misure alternative di risparmio, fanno ritenere che l'esigenza di coordinamento della finanza pubblica non possa ritenersi adeguatamente protetta, in assenza di un criterio primario alla luce del quale indirizzare immediatamente, e senza attendere verifiche necessariamente posteriori, la politica di contenimento delle spese. Pertanto l'eventuale raggiungimento dell'equilibrio economico sarà senz'altro di giovamento alla Regione su altri piani, essendo ad esempio manifestamente irragionevole che il legislatore statale pretenda comunque di persistere nell'applicazione di eventuali sanzioni. Ma, in attesa, al termine del triennio, dell'accertamento sul raggiungimento dell'equilibrio economico, deve ritenersi vincolante l'obbligo primario descritto dal comma 71. A questo punto, resta solo da verificare se l'imposizione di un simile vincolo sia tollerabile, in ragione della funzione compensativa che va attribuita, in tali casi, alla discrezionalità del sistema regionale nell'individuare in concreto i mezzi idonei al raggiungimento dell'obiettivo. Anche su questo piano, l'accertamento è favorevole alla legislazione statale, poiché la norma interposta «non determina gli strumenti e le modalità per il perseguimento del predetto obiettivo, ma lascia libere le Regioni di individuare le misure necessarie al fine del contenimento della spesa per il personale» (sentenza n. 120 del 2008). Nell'ambito di tale accertamento, si pone l'ulteriore osservazione, svolta dalla sentenza n. 120 del 2008 con riguardo ad una norma del tutto analoga all'art. 2, comma 71, della legge n. 191 del 2009, secondo cui assume rilievo anche la clausola di salvezza prevista oggi dal successivo comma 73, e appena ricordata. Se, infatti, va escluso per le ragioni innanzi precisate che nell'immediato le Regioni possano sottrarsi al vincolo descritto dal comma 71, resta parimenti inoppugnabile che, all'esito del triennio durante cui esso transitoriamente opera, le pur sempre possibili manovre regionali alternative si siano davvero rivelate idonee, vincendo la ragionevole presunzione contraria. In tal caso, lo Stato non potrà più pretendere di persistere in eventuali misure sostitutive o sanzionatorie, e dovrà verificare per il futuro la congruità di un vincolo, la cui cogenza si è dimostrata, alla prova dei fatti, basata su un convincimento erroneo. Allo stato, preso atto della difformità dell'art. 12, comma 2, lettera b), della legge impugnata rispetto all'art. 2, comma 71, della legge n. 191 del 2009, e accertata la natura di principio rivestita da tale ultima disposizione, la questione deve ritenersi fondata. 2.2. - L'istanza di sospensione dell'efficacia delle norme impugnate, formulata nel ricorso, rimane assorbita (da ultimo, sentenze n. 326 e n. 16 del 2010).P.Q.M. LA CORTE COSTITUZIONALE dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 12, comma 2, lettera b), della legge della Regione Toscana 29 dicembre 2010, n. 65 (Legge finanziaria per l'anno 2011); dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, comma 1, della legge della Regione Toscana n. 65 del 2010, promossa dal Presidente del Consiglio dei ministri, in riferimento all'art. 117, terzo comma, della Costituzione, con il ricorso indicato in epigrafe.
I.N.P.S. (Istituto nazionale della previdenza sociale) Msg. 4-7-2011 n. 13888 Incentivo al reimpiego in forma autonoma o in cooperativa per i lavoratori destinatari di trattamento di sostegno al reddito. Proroga per l'anno 2011. Chiarimenti. Emanata dall'Istituto nazionale della previdenza sociale.
Msg. 4 luglio 2011, n. 13888 (1). Incentivo al reimpiego in forma autonoma o in cooperativa per i lavoratori destinatari di trattamento di sostegno al reddito. Proroga per l'anno 2011. Chiarimenti. (1) Emanata dall'Istituto nazionale della previdenza sociale. In merito ad alcune richieste pervenute dalle Sedi, concernenti l'erogabilità, anche per l'anno 2011, dell'incentivo al reimpiego in forma autonoma o in cooperativa per i lavoratori destinatari di trattamento di sostegno al reddito, si precisa quanto segue. Il comma 7 dell'art. 7-ter del D.L. 10 febbraio 2009 n. 5, convertito con modifiche nella L. 9 aprile 2009, n. 33, ha previsto che i datori di lavoro che, senza esservi tenuti (e senza avere sospensioni in atto), assumono lavoratori licenziati o sospesi destinatari di ammortizzatori in deroga, relativamente agli anni 2009 e 2010, possono godere di un indennizzo pari all'indennità spettante ai lavoratori nei limiti di spesa autorizzati, per il numero di mensilità o di giornate di trattamento integrativo non ancora erogato. Successivamente, l'articolo 1, comma 7, del D.L. 1° luglio 2009, n. 78, convertito nella L. 3 agosto 2009, n. 102, ha integrato il predetto comma 7 dell'art. 7-ter prevedendo che tale incentivo possa essere corrisposto al lavoratore che faccia richiesta di intraprendere un'attività autonoma, anche di auto o micro impresa, o finalizzata a un'associazione in cooperativa e, in caso di lavoratore in cassa integrazione in deroga, previe dimissioni dall'impresa da cui è dipendente. L'art. 1 del comma 31 della L. 13 dicembre 2010, n. 220 (legge di stabilità 2011), ha infine prorogato i termini dell'art. 7-ter, comma 7, sostituendo le parole «per gli anni 2009 e 2010», con le parole «per gli anni 2009, 2010 e 2011». Dal combinato disposto dell'art. 7-ter, comma 7, della L. 9 aprile 2009, n. 33 e dell'articolo 1, comma 7, del D.L. 1° luglio 2009, n. 78 ed in virtù dell'art. 1, comma 31, della 13 dicembre 2010 n.220, anche l'incentivo al lavoratore per intraprendere una attività autonoma, avviare una auto o micro impresa, o per associarsi in cooperativa, è prorogato per tutto il 2011. Si rinvia in ogni caso, per la disciplina di dettaglio sull'incentivo in oggetto, a quanto stabilito con il D.M. n. 49409/2009 ove, tra l'altro, si rileva che del predetto incentivo possono essere destinatari solo i lavoratori beneficiari di ammortizzatori sociali in deroga. Si ricorda, infine che le istruzioni operative sono state impartite con il Msg. 23 marzo 2010, n. 8123 ed il Msg. 20 settembre 2010, n. 23542. D.L. 10 febbraio 2009, n. 5, art. 7-ter D.L. 1 luglio 2009, n. 78, art. 1 L. 13 dicembre 2010, n. 220, art. 1 D.M. 18 dicembre 2009, n. 49409
Presidenza del Consiglio dei Ministri Circ. 30-6-2011 n. 9/2011 Trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale - Presupposti - Rivalutazione delle situazioni di trasformazione già avvenute alla data di entrata in vigore del D.L. n. 112 del 2008, convertito in L. n. 133 del 2008. Emanata dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento della funzione pubblica, Ufficio personale e pubbliche amministrazioni, Servizio trattamento del personale.
Circ. 30 giugno 2011, n. 9/2011 (1). Trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale - Presupposti - Rivalutazione delle situazioni di trasformazione già avvenute alla data di entrata in vigore del D.L. n. 112 del 2008, convertito in L. n. 133 del 2008. (1) Emanata dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento della funzione pubblica, Ufficio personale e pubbliche amministrazioni, Servizio trattamento del personale. Alle Amministrazioni pubbliche di cui all'art. 1, comma 2, del D.Lgs. n. 165/2001 Premessa A seguito dell'entrata in vigore della L. n. 183 del 2010, c.d. collegato lavoro, sono pervenute varie segnalazioni di situazioni di contenzioso connesse all'applicazione della norma contenuta nell'art. 16 della L. n. 183 del 2010, che, in via transitoria, ha previsto la possibilità per le pubbliche amministrazioni di sottoporre a nuova valutazione le situazioni di trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale già realizzatesi alla data di entrata in vigore del D.L. n. 112 del 2008, convertito in L. n. 133 del 2008, nel rispetto di principi di correttezza e buona fede. Nelle denunce si evidenziano casi di errata interpretazione della norma con un pregiudizio nei confronti delle lavoratrici donne, spesso impegnate nella cura dei figli e dei famigliari bisognosi di assistenza. La problematica è stata oggetto di alcune riunioni con il Dipartimento delle pari opportunità e il Dipartimento per le politiche della famiglia, durante le quali si è discusso circa le iniziative più idonee per far sì che l'applicazione della norma, ispirata ad un'esigenza di razionalizzazione nell'utilizzo delle risorse, avvenisse effettivamente nel rispetto di principi di buona fede e correttezza. In questo contesto, nonostante - come si vedrà - il termine per l'esercizio del potere di revisione sia ormai decorso, si è ritenuto comunque opportuno fornire delle indicazioni alle amministrazioni, al fine di orientarle nella gestione del contenzioso e nella definizione dei rapporti ancora non esauriti, tenendo presente che le norme di legge (art. 7, comma 6, D.Lgs. n. 165 del 2001; art. 12-bis, D.Lgs. n. 61 del 2000; art. 6, L. n. 170 del 2010) e le clausole dei contratti collettivi che disciplinano la materia accordano particolari forme di tutela ai lavoratori in riferimento alla cura dei figli o a situazioni di disagio personale o famigliare. Si coglie poi l'occasione per dare indirizzi sull'applicazione della disciplina a regime, con particolare riferimento al momento della trasformazione, considerato che con quest'ultimo decreto legge è stata riformata la normativa sulla concessione del part-time, modificando la posizione del dipendente richiedente rispetto all'amministrazione datore di lavoro. Peraltro, richiamare l'attenzione su queste tematiche pare assolutamente appropriato in una stagione in cui il Governo e le Parti sociali, sottoscrivendo un'apposita intesa (Azioni a sostegno delle politiche di conciliazione tra famiglia e lavoro del 7 marzo 2011), hanno deciso di avviare un lavoro di approfondimento finalizzato ad individuare soluzioni strumentali alla conciliazione tra vita lavorativa e vita famigliare, condividendo il valore di una flessibilità family-friendly come elemento organizzativo positivo. 1. Le innovazioni in materia di part-time introdotte con l'art. 73 del D.L. n. 112 del 2008 e con l'art. 16 della L. n. 183 del 2010 Come accennato, con l'art. 73 del D.L. n. 112 del 2008, convertito in L. n. 133 del 2008, è stato modificato il regime giuridico relativo alla trasformazione del rapporto da tempo pieno a part-time, con una novella all'art. 1, comma 58, della L. n. 662 del 1996. Inoltre, sempre con il medesimo provvedimento, è stato modificato il comma 59 del citato articolo, incidendo sulla destinazione finanziaria dei risparmi derivanti dalla trasformazione dei rapporti. In sintesi, le novità apportate con il D.L. n. 112 del 2008 riguardano i seguenti aspetti: - è stato eliminato ogni automatismo nella trasformazione del rapporto, che attualmente è subordinato alla valutazione discrezionale dell'amministrazione interessata; - è stata soppressa la mera possibilità per l'amministrazione di differire la trasformazione del rapporto sino al termine dei sei mesi nel caso di grave pregiudizio alla funzionalità dell'amministrazione stessa; - è stata contestualmente introdotta la possibilità di rigettare l'istanza di trasformazione del rapporto presentata dal dipendente nel caso di sussistenza di un pregiudizio alla funzionalità dell'amministrazione; - è stata innovata la destinazione dei risparmi derivanti dalle trasformazioni, prevedendo che una quota sino al 70% degli stessi possa essere destinata interamente all'incentivazione della mobilità, secondo le modalità ed i criteri stabiliti in contrattazione collettiva, per le amministrazioni che dimostrino di aver proceduto ad attivare piani di mobilità e di riallocazione di personale da una sede all'altra. L'art. 16 della L. n. 183 del 2010 (c.d. collegato lavoro) ha introdotto in via transitoria un potere speciale in capo all'amministrazione, prevedendo la facoltà di assoggettare a nuova valutazione le situazioni di trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale già realizzatesi alla data di entrata in vigore del D.L. n. 112 del 2008. In base alla norma, questa speciale facoltà poteva essere esercitata entro un determinato lasso di tempo e, cioè, entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge (24 novembre 2010), scaduti il 23 maggio 2011. Si riporta per comodità il testo della disposizione: “1. In sede di prima applicazione delle disposizioni introdotte dall'articolo 73 del D.L. 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla L. 6 agosto 2008, n. 133, le amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, del D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, nel rispetto dei principi di correttezza e buona fede, possono sottoporre a nuova valutazione i provvedimenti di concessione della trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale già adottati prima della data di entrata in vigore del citato D.L. n. 112 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 133 del 2008.”. Entrambi gli interventi normativi sono motivati dagli stringenti vincoli finanziari, che difficilmente consentono di soddisfare il fabbisogno professionale attraverso le ordinarie forme di reclutamento e che, pertanto, impongono una valutazione sul miglior utilizzo delle risorse interne all'amministrazione. La situazione di crisi economica che l'Italia, assieme ad altri Paesi, sta attraversando ha richiesto uno sforzo particolare ai lavoratori del settore pubblico, come si comprende dalle misure restrittive e di contenimento contenute nella manovra finanziaria approvata lo scorso anno (D.L. n. 78 del 2010, convertito in L. n. 122 del 2010), che, tra le altre cose, ha stabilito la cristallizzazione dei trattamenti economici e delle progressioni economiche, il blocco della contrattazione collettiva e la decurtazione delle retribuzioni più elevate (art. 9). In quest'ottica si pone, in particolare, la scelta normativa di prevedere in via eccezionale un potere di revisione unilaterale del rapporto di lavoro da parte delle amministrazioni. Gli interventi normativi si collocano poi nel quadro più generale di valorizzazione e potenziamento dei poteri datoriali del dirigente e della sua maggiore responsabilizzazione, principi che, come noto, hanno ispirato le più recenti riforme in materia di lavoro pubblico (D.Lgs. n. 150 del 2009). 2. La domanda di trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale e le valutazioni discrezionali dell'amministrazione Come accennato in premessa, interessa in questa sede focalizzare l'attenzione sul momento della trasformazione del rapporto da tempo pieno a tempo parziale e, in particolare, sui presupposti oggettivi ed i limiti della discrezionalità dell'amministrazione datore di lavoro in sede di valutazione della domanda del dipendente. In base alla norma vigente, a fronte di un'istanza del lavoratore interessato, l'amministrazione non ha un obbligo di accoglimento, né la trasformazione avviene in maniera automatica. Infatti, la disposizione prevede che la trasformazione "può" essere concessa entro 60 giorni dalla domanda. La legge fa riferimento a particolari condizioni ostative alla trasformazione, essendo state tipizzate ex ante le cause che precludono l'accoglimento della domanda. Pertanto, in presenza del posto nel contingente e in mancanza di tali condizioni preclusive (che riguardano il perseguimento dell'interesse istituzionale e il buon funzionamento dell'amministrazione) il dipendente è titolare di un interesse tutelato alla trasformazione del rapporto, ferma restando la valutazione da parte dell'amministrazione relativamente alla congruità del regime orario e alla collocazione temporale della prestazione lavorativa proposti. La valutazione dell'istanza, una volta verificatane l'accoglibilità dal punto di vista soggettivo e la presenza delle altre condizioni di ammissibilità, si basa su tre elementi: 1. la capienza dei contingenti fissati dalla contrattazione collettiva in riferimento alle posizioni della dotazione organica; 2. l'oggetto dell'attività, di lavoro autonomo o subordinato, che il dipendente intende svolgere a seguito della trasformazione del rapporto; in particolare, lo svolgimento dell'attività non deve comportare una situazione di conflitto di interessi rispetto alla specifica attività di servizio svolta dal dipendente e la trasformazione non è comunque concessa quando l'attività lavorativa di lavoro subordinato debba intercorre con altra amministrazione (a meno che non si tratti di dipendente di ente locale per lo svolgimento di prestazione in favore di altro ente locale); 3. l'impatto organizzativo della trasformazione, che può essere negata quando dall'accoglimento della stessa deriverebbe un pregiudizio alla funzionalità dell'amministrazione, in relazione alle mansioni e alla posizione organizzativa ricoperta dal dipendente. La valutazione circa la sussistenza dei presupposti per la concessione o delle condizioni ostative, come pure quella relativa alla collocazione temporale della prestazione proposta dal dipendente e alla decorrenza della trasformazione, non può che essere svolta in concreto, in base alle circostanze fattuali particolari che l'amministrazione è tenuta ad analizzare. In caso di esito negativo della valutazione, le scelte effettuate devono risultare evidenti dalla motivazione del diniego, per permettere al dipendente di conoscere le ragioni dell'atto, di ripresentare nuova istanza se lo desidera e, se del caso, consentire l'attivazione del controllo giudiziale. In proposito, anche per limitare il rischio di pronunce giudiziali sfavorevoli all'amministrazione, si raccomanda di adottare una motivazione puntuale, evitando l'uso di clausole generali o formule generiche che non sono utili allo scopo. Qualora l'amministrazione ritenesse accoglibile la domanda del dipendente ma con diverse modalità rispetto a quelle prospettate, al fine di perfezionare l'accordo, sarebbe comunque necessaria una nuova manifestazione del consenso da parte del lavoratore interessato. La verifica della capienza del contingente ha carattere oggettivo e va compiuta in concreto con riferimento al momento in cui la trasformazione dovrebbe aver luogo in base alla domanda del dipendente. Nel caso in cui il numero delle domande risulti eccedente rispetto ai posti di contingente, la valutazione sull'accoglimento va operata tenendo conto congiuntamente dell'interesse al funzionamento dell'amministrazione, che non deve essere pregiudicato in relazione a quanto detto nel precedente punto 3, e della particolare situazione del dipendente, il quale, ricorrendo determinate circostanze, può essere titolare di un interesse protetto, di un titolo di precedenza o di un vero e proprio diritto alla trasformazione del rapporto. In proposito, si rammenta che l'art. 7, comma 6, del D.Lgs. n. 165 del 2001 stabilisce il principio generale secondo cui le amministrazioni “individuano criteri certi di priorità nell'impiego flessibile del personale, purché compatibile con l'organizzazione degli uffici e del lavoro, a favore dei dipendenti in situazioni di svantaggio personale, sociale e familiare e dei dipendenti impegnati in attività di volontariato ai sensi della L. 11 agosto 1991, n. 266.”. Questa disposizione, che è stata ripresa dai vari CCNL, in sostanza stabilisce due regole: a) alcuni dipendenti, in considerazione della particolare situazione in cui si trovano, hanno un titolo di priorità nell'accesso alle varie forme di flessibilità (dell'orario, del rapporto) che l'amministrazione decide di attuare compatibilmente con l'organizzazione degli uffici e del lavoro; b) i criteri di priorità debbono essere "certi", ossia predeterminati in modo chiaro e resi conoscibili, in modo da evitare scelte arbitrarie o comunque non imparziali. Pertanto, le amministrazioni, nel rispetto delle forme di partecipazione sindacale, debbono stabilire in maniera generale i criteri di priorità e la graduazione tra gli stessi, tenendo conto delle previsioni legali e di contrattazione collettiva, che, intervenendo specificamente in riferimento a determinate fattispecie, hanno accordato rilevanza a particolari situazioni in cui il disagio personale o famigliare è maggiore. Le fattispecie che radicano un diritto o un titolo di precedenza nella trasformazione del rapporto sono previste nell'art. 12-bis del D.Lgs. n. 61 del 2000, come modificato dall'art. 1 della L. n. 247 del 2007. In particolare, il comma 1 di questo articolo stabilisce che hanno diritto alla trasformazione del rapporto i lavoratori del settore pubblico e di quello privato affetti da patologie oncologiche per i quali residui una ridotta capacità lavorativa, anche a causa di terapie salvavita, accertata dalla competente commissione medica. Tali lavoratori hanno poi anche diritto alla successiva trasformazione del rapporto da tempo parziale a tempo pieno a seguito della richiesta. Il comma 2 ed il comma 3 disciplinano i titoli di precedenza nella trasformazione a favore dei: 1. lavoratori il cui coniuge, figli o genitori siano affetti da patologie oncologiche; 2. lavoratori che assistono una persona convivente con totale e permanente inabilità lavorativa, che abbia connotazione di gravità ai sensi dell'art. 3, comma 3, della L. n. 104 del 1992, con riconoscimento di un'invalidità pari al 100% e necessità di assistenza continua in quanto non in grado di compiere gli atti quotidiani della vita; 3. lavoratori con figli conviventi di età non superiore a tredici anni; 4. lavoratori con figli conviventi in situazione di handicap grave. La disciplina contenuta nel citato art. 12-bis, in quanto fonte di pari rango successiva, ha determinato l'abrogazione implicita dell'art. 1, comma 64, della L. n. 662 del 1996, che individuava delle cause di precedenza nella trasformazione del rapporto. Altra situazione meritevole di tutela è poi quella dei famigliari di studenti che presentano la sindrome DSA (Disturbi Specifici di Apprendimento). Questa sindrome, che si riferisce alle ipotesi di dislessia, disgrafia, disortografia e discalculia, è stata oggetto di un recente intervento normativo con la L. n. 170 del 2010, con il quale sono state previste apposite misure di sostegno e all'art. 6 è stato stabilito che “I famigliari fino al primo grado di studenti del primo ciclo dell'istruzione con DSA impegnati nell'assistenza alle attività scolastiche a casa hanno diritto di usufruire di orari di lavoro flessibili.”. La norma fa poi rinvio ai contratti collettivi per la disciplina delle modalità di esercizio del diritto e, pertanto, la concreta attuazione del diritto è subordinata alla regolamentazione da parte dei contratti stessi. Comunque, la posizione di questi dipendenti deve essere considerata come assistita sin da subito da una tutela particolare e, quindi, deve essere valutata nell'ambito di quanto già previsto dal citato art. 7, comma 6, del D.Lgs. n. 165 del 2001 e dai CCNL vigenti in ordine alla flessibilità dell'orario. Come detto, il grado di tutela accordato dall'ordinamento alla varie situazioni è differenziato. Nel caso di titolarità del diritto alla trasformazione (lavoratori affetti da patologie oncologiche con ridotta capacità lavorativa), una volta ricevuta l'istanza dell'interessato, l'amministrazione non può negare la trasformazione del rapporto, trovandosi in una situazione di soggezione; pertanto, la determinazione di trasformazione deve essere presa entro il termine stabilito dal citato art. 1, comma 58, e, cioè, entro 60 giorni dalla domanda. Nel caso di titolarità di un diritto di precedenza, la domanda dell'interessato deve essere valutata con priorità rispetto a quella degli altri dipendenti concorrenti. In considerazione delle limitazioni alla trasformazione del rapporto di lavoro derivanti dal contingente percentuale e al fine di assicurare al part-time la funzione, oltre che di flessibilità, di strumento di conciliazione tra vita lavorativa e vita famigliare, si raccomanda di inserire nell'ambito dei contratti individuali una clausola con cui si stabilisce che le parti si impegnano, trascorso un certo periodo di tempo (da individuare di volta in volta a seconda delle circostanze) ad incontrarsi, per rivalutare la situazione, in considerazione delle esigenze di funzionamento dell'amministrazione, delle esigenze personali del lavoratore in part-time e di quelle degli altri lavoratori, che nel frattempo possono essere mutate. Questo per consentire al maggior numero possibile di dipendenti la possibilità di richiedere la trasformazione del proprio rapporto di lavoro in presenza di obiettive esigenze legate ai primi anni di vita dei figli ovvero per la cura di genitori e/o altri famigliari, così come è previsto anche nell'intesa tra Governo e Parti Sociali sottoscritta il 7 marzo 2011 citata in premessa. In ordine all'impatto organizzativo, la relativa valutazione deve essere operata analizzando le varie opzioni gestionali possibili, ad esempio, verificando la possibilità di spostare le risorse tra più servizi in modo da venire incontro alle esigenze dei dipendenti senza sacrificare l'interesse al buon andamento dell'amministrazione. Inoltre, la valutazione va fatta attraverso una seria ponderazione degli interessi in gioco: da un lato l'interesse al buon funzionamento dell'amministrazione, dall'altro l'interesse del dipendente ad organizzare la propria vita personale nella maniera ritenuta più soddisfacente per le esigenze famigliari o di cura, per le aspirazioni professionali o semplicemente nel modo che considera più gradevole. Vale naturalmente quanto già detto sopra circa la meritevolezza di tutela di certi interessi. In proposito, le amministrazioni debbono considerare con particolare attenzione non solo la posizione di quei dipendenti ai quali le norme accordano un diritto alla trasformazione, ma anche quella di quei dipendenti che possono vantare un titolo di precedenza. Infatti, l'interesse di cui questi ultimi sono portatori è comunque meritevole di tutela a prescindere dalla presenza di concorrenti sullo stesso posto di contingente. Per quanto riguarda le situazioni di possibile conflitto di interesse, la relativa valutazione va svolta al momento della trasformazione e, successivamente, durante tutto il corso del rapporto. In proposito, la norma prevede che “il dipendente è tenuto, inoltre, a comunicare, entro quindici giorni, all'amministrazione nella quale presta servizio, l'eventuale successivo inizio o la variazione dell'attività lavorativa.”. Nel merito, si rammenta che il comma 58-bis dell'art. 1 della menzionata L. n. 662 del 1996, perseguendo la trasparenza e l'imparzialità, pone un principio di predeterminazione delle situazioni di incompatibilità, stabilendo che le amministrazioni provvedono ad indicare le attività che, in ragione della interferenza con i compiti istituzionali, sono comunque non consentite ai dipendenti con rapporto di lavoro a tempo parziale con prestazione lavorativa non superiore al 50% di quella a tempo pieno. Per le Amministrazioni centrali tale predeterminazione avviene con decreto del Ministro competente, di concerto con il Ministro della funzione pubblica. Inoltre, si richiama per analogia e senza valore di esaustività la disciplina contenuta nel comma 5 dell'art. 23-bis del D.Lgs. n. 165 del 2001, che pone una preclusione legale alla concessione dell'aspettativa per lo svolgimento di attività o incarichi presso soggetti privati o pubblici quando: “a) il personale, nei due anni precedenti, è stato addetto a funzioni di vigilanza, di controllo ovvero, nel medesimo periodo di tempo, ha stipulato contratti o formulato pareri o avvisi su contratti o concesso autorizzazioni a favore di soggetti presso i quali intende svolgere l'attività. Ove l'attività che si intende svolgere sia presso una impresa, il divieto si estende anche al caso in cui le predette attività istituzionali abbiano interessato imprese che, anche indirettamente, la controllano o ne sono controllate, ai sensi dell'articolo 2359 del codice civile; b) il personale intende svolgere attività in organismi e imprese private che, per la loro natura o la loro attività, in relazione alle funzioni precedentemente esercitate, possa cagionare nocumento all'immagine dell'amministrazione o comprometterne il normale funzionamento o l'imparzialità .”. Il successivo comma 6 del medesimo articolo, poi, per maggiore cautela, rispetto all'attività da svolgere al rientro in amministrazione stabilisce che “Il dirigente non può, nei successivi due anni, ricoprire incarichi che comportino l'esercizio delle funzioni individuate alla lettera a) del comma 5.”. Si segnala che per quanto riguarda l'applicazione della normativa nei confronti delle autonomie territoriali, l'art. 39, comma 27, della L. n. 449 del 1997 stabilisce che: “Le disposizioni dell'art. 1, commi 58 e 59, della L. 23 dicembre 1996, n. 662, in materia di rapporto di lavoro a tempo parziale, si applicano al personale dipendente delle regioni e degli enti locali finché non diversamente disposto da ciascun ente con proprio atto normativo.” Pertanto, anche l'applicazione del nuovo regime dovrà essere vagliata in sede locale a seconda della situazione normativa specifica (sent. della Corte costituzionale 18 maggio 1999, n. 171). 3. La fase di “prima attuazione” disciplinata dall'art. 16 della L. n. 183 del 2010 Come detto, la disposizione ha attribuito un potere speciale all'amministrazione durante la fase di prima attuazione della novella operata con il citato art. 73 del D.L. n. 112 del 2008. Il presupposto per l'esercizio del potere è rappresentato dalla valutazione della situazione sottostante la trasformazione del rapporto, essendosi aperta una fase, limitata nel tempo, durante la quale l'amministrazione ha potuto utilizzare i criteri introdotti con la nuova norma anche per incidere su situazioni già esaurite, ossia su rapporti di lavoro che erano già stati trasformati automaticamente a seguito dell'istanza del dipendente per effetto del regime precedente la novella. In base alla norma, la valutazione potrebbe riguardare non solo l'opportunità di mantenere il rapporto a tempo parziale, ma anche le modalità della collocazione temporale della prestazione, che potrebbe risultare più conveniente modificare per non pregiudicare il funzionamento dell'amministrazione. Ai fini della valutazione, valgono le indicazioni che sono state fornite sopra in ordine agli interessi da considerare e alla gradualità di tutela delle posizioni. Pertanto, un limite certo rispetto alla "rivalutazione" è dato dalla ricorrenza di quei casi in cui il dipendente è titolare di un diritto alla trasformazione; meritano poi particolare attenzione le ipotesi che ricadono nell'ambito del titolo di precedenza e, più in generale, i casi in cui il part-time sia stato fruito da parte di dipendenti in situazioni di svantaggio personale, sociale e famigliare o di dipendenti impegnati in attività di volontariato. Giova ancora una volta richiamare il contenuto dell'art. 12-bis, dell'art. 6 della L. n. 170 del 2010, del D.Lgs. n. 61 del 2000 e le previsioni dei CCNL. Quindi, nel caso in cui fosse necessario rivedere i part-time già in corso, l'amministrazione dovrebbe far applicazione dei criteri legali e contrattuali già menzionati, preferendo il ripristino del rapporto a tempo pieno per quei lavoratori la cui posizione non risulta assistita (o più assistita) da una particolare tutela. La norma prevede un potere eccezionale, che consente all'amministrazione di modificare unilateralmente il rapporto in deroga alla regola generale di determinazione consensuale delle condizioni contrattuali, regola assistita nel caso del part-time da una speciale norma di garanzia contenuta nell'art. 5 del D.Lgs. n. 61 del 2000, secondo cui il rifiuto di un lavoratore di trasformare il proprio rapporto di lavoro a tempo parziale in rapporto a tempo pieno non costituisce giustificato motivo di licenziamento. L’eccezionalità della previsione risulta evidente nel momento in cui si considera che la normativa di derivazione comunitaria di cui al D.Lgs. n. 61 del 2000 (attuazione della Dir. 97/81/CE relativa all'accordo quadro sul lavoro a tempo parziale concluso dall'UNICE, dal CEEP e dalla CES) prevede per l'ipotesi di modifica unilaterale delle condizioni del rapporto a tempo parziale specifiche garanzie in favore del lavoratore (art. 3 del citato decreto). E pertanto, la “gravosità” del potere accordato dalla legge richiede certamente una particolare attenzione nel momento del suo esercizio. In base alla norma, il mutamento delle condizioni del rapporto di lavoro avviene quindi a seguito dell'adozione e comunicazione di un atto unilaterale da parte dell'amministrazione datore di lavoro, non essendo necessario il consenso del dipendente ai fini del perfezionamento di un contratto. Dato il carattere di specialità della disposizione, l'esercizio della facoltà è stato delimitato entro un definito arco temporale. Pertanto, decorso questo termine, secondo il regime generale, un’eventuale modifica del rapporto di lavoro richiede comunque l'accordo tra le parti, salve le ipotesi in cui la legge o i CCNL prevedano un diritto potestativo del lavoratore alla successiva trasformazione del rapporto da tempo parziale a tempo pieno e le situazioni di esercizio del potere unilaterale alle condizioni e nei limiti stabiliti dall'art. 3 del D.Lgs. n. 61 del 2000 citato. L'esercizio della facoltà è condizionato al rispetto dei principi di correttezza e buona fede. Nel richiamare l'attenzione su questa circostanza, si segnala che proprio di recente, in tema di part-time nel settore privato, la Corte di cassazione ha affermato che la decisione di concedere o negare la trasformazione del rapporto a part-time, in presenza di criteri prestabiliti in sede di accordo collettivo, non è più discrezionale, bensì vincolata ai predetti criteri, “ai quali il datore di lavoro deve conformarsi nella regolamentazione dei singoli rapporti, facendo applicazione dei criteri di buona fede e correttezza che debbono ispirare l'esecuzione del contratto (ex artt. 1175 e 1375 c.c.). Con la conseguenza che l'inosservanza dei criteri preferenziali contrattualmente stabiliti legittima il dipendente che si ritenga leso dalla condotta datoriale ad agire per il risarcimento del danno, anche in forma specifica, per ottenere la trasformazione del rapporto in part-time che gli fosse stata ingiustamente negata sulla base dei descritti criteri, oltre ad eventuali voci di danno collegate allo stesso illecito.” (Cass. sez. lav. 4 maggio 2001, n. 9769). Affinché l'amministrazione possa compiere una valutazione ponderata, ciò comporta, innanzi tutto, un contraddittorio con il dipendente interessato, dal quale emerga l'interesse dello stesso. L'osservanza di tali principi richiede che l'amministrazione, prima di operare la trasformazione del rapporto, debba tener conto non solo (se nota) della situazione che era in origine alla base della trasformazione, ma anche della situazione che nel frattempo si è consolidata in capo al lavoratore. Nell'operare la revoca Inoltre, pur non ricorrendo le situazioni particolari oggetto di specifica tutela, l'interesse del dipendente al mantenimento del rapporto part-time va tenuto in considerazione anche verificando la fattibilità di soluzioni alternative alla revoca dello stesso, ad esempio, valutando la possibilità di spostamento dei dipendenti tra servizi in modo da soddisfare il fabbisogno dell'amministrazione e le esigenze degli interessati. Infine, il rispetto dei principi di buona fede e correttezza richiede che, allorquando sia stata effettuata una valutazione di revisione del rapporto, venga comunque accordato in favore del dipendente un congruo periodo di tempo prima della trasformazione, in modo che questi possa intraprendere le iniziative più idonee per l'organizzazione della vita personale e famigliare. Il Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione Renato Brunetta Il Ministro per le pari opportunità Maria Rosaria Carfagna Il Sottosegretario con delega alla famiglia Carlo Giovanardi L. 4 novembre 2010, n. 183, art. 16 D.L. 25 giugno 2008, n. 112, art. 73 D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 7 D.Lgs. 25 febbraio 2000, n. 61, art. 12-bis L. 8 ottobre 2010, n. 170, art. 6
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