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sabato 1 aprile 2023

Consiglio di Stato 2023-"È evidente, allora, che proprio la necessità di garantire il carattere eccezionale del rilascio del titolo di polizia rispetto alla regola generale posta dall'ordinamento impone all'istante di dar prova, con periodicità appunto annuale, della persistente attualità del bisogno dell'arma.”

 


Consiglio di Stato 2023-"È evidente, allora, che proprio la necessità di garantire il carattere eccezionale del rilascio del titolo di polizia rispetto alla regola generale posta dall'ordinamento impone all'istante di dar prova, con periodicità appunto annuale, della persistente attualità del bisogno dell'arma.”



Cons. Stato Sez. III, Sent., (ud. 19/01/2023) 28-03-2023, n. 3189 

REPUBBLICA ITALIANA 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO 

Il Consiglio di Stato 

in sede giurisdizionale (Sezione Terza) 

ha pronunciato la presente 

SENTENZA 

sul ricorso numero di registro generale 7285 del 2022, proposto da -OMISSIS-, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato x

contro 

Ministero dell'Interno, Ufficio Territoriale del Governo Genova, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12; 

per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria n. -OMISSIS-, resa tra le parti 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; 

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ministero dell'Interno e di Ufficio Territoriale del Governo Genova; 

Visti tutti gli atti della causa; 

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 19 gennaio 2023 il Pres. Michele Corradino e viste le conclusioni delle parti come da verbale di udienza. 

Svolgimento del processo 

L'appellante, -OMISSIS- titolare di licenza di porto di pistola per difesa personale sin dal 1993, ha presentato alla Prefettura di Genova istanza volta al rinnovo del menzionato titolo, in ragione del fatto che la sua attività imprenditoriale comporta l'incasso e la movimentazione di ingenti importi di denaro in contanti, tali da giustificare la necessità di circolare armato. 

All'esito dell'istruttoria, la Prefettura, comunicato al richiedente il preavviso di rigetto, ha, in data 20 novembre 2020, decretato il rigetto dell'istanza, sulla base dei seguenti presupposti: 

- il richiedente non avrebbe adeguatamente documentato il pericolo connesso alla movimentazione di contante, poiché tale circostanza è espressa in forma generica e non supportata da elementi conoscitivi che consentano chiaramente di ravvisare la sussistenza di gravi rischi a carico del medesimo in relazione alle somme che dichiara di dover portare con sé; 

- allo stato attuale, le movimentazioni di denaro possono essere in gran parte effettuate con sistemi diversi dall'utilizzazione del contante, sicché l'interessato potrebbe privilegiare tali forme di pagamento, facendo venire meno conseguentemente la necessità di disporre di un'arma al seguito; 

- dagli accertamenti istruttori esperiti, è emerso che il richiedente non è mai stato oggetto di azioni lesive della propria incolumità, comunque riconducibili all'attività svolta, e che il territorio di residenza e lavoro del medesimo non è caratterizzato da particolari situazioni di criticità inerenti alla sicurezza pubblica; 

- i fattori di rischio evidenziati dal richiedente resterebbero confinati in una sfera meramente ipotetica, poiché il pericolo di subire un furto o un'aggressione, posto in termini di eventualità, si configura quale rischio comune alla generalità dei cittadini, che di solito non portano un'arma al seguito, a prescindere dall'attività lavorativa esercitata. 

L'appellante ha impugnato il citato provvedimento innanzi al Tar Liguria. A sostegno del gravame, il ricorrente ha lamentato, in primo luogo, la nullità del provvedimento per violazione ed elusione del giudicato, che sarebbe mera fotocopia di altro provvedimento, adottato nel 2004, annullato dal Consiglio di Stato con la sentenza -OMISSIS-/2008. Sul punto, il ricorrente ha ritenuto che il mero decorso del tempo non fosse modificativo della situazione di fatto, rimasta a suo dire assolutamente identica, sia per le modalità di svolgimento dell'attività del ricorrente, sia per la sua rigorosa affidabilità dimostrata in tutti gli anni in cui è stata concessa la licenza. Secondo il ricorrente, l'Amministrazione, a fronte dei precedenti rinnovi dell'autorizzazione di polizia, avrebbe dovuto limitarsi a verificare eventuali cambiamenti rispetto alla situazione preesistente. 

In via subordinata, il ricorrente ha chiesto l'annullamento del provvedimento gravato per violazione di legge ed eccesso di potere, sotto i profili del difetto di istruttoria e della carenza motivazionale, dolendosi dell'omessa valutazione delle circostanze addotte a sostegno dell'istanza di rinnovo della licenza, nonché del difetto di motivazione circa il venir meno dei requisiti personali che, in passato, avevano giustificato i rinnovi dell'autorizzazione. 

Il Tar adito ha rigettato il ricorso, ritenendo che il ricorrente non avesse adeguatamente dimostrato il bisogno di circolare armato, indefettibilmente richiesto dall'art. 42 del T.U.L.P.S., senza che la circostanza dei precedenti rinnovi fosse in grado di ingenerare una qualche forma di affidamento, tale da costituire un vincolo nei confronti dell'autorità procedente. Il Giudice di prime cure ha ritenuto altresì che la verifica circa il "dimostrato bisogno" va condotta in rapporto a ogni singola richiesta, senza che possa attribuirsi rilievo dirimente alla circostanza che analoga autorizzazione sia stata assentita negli anni precedenti, in quanto la durata annuale delle autorizzazioni di polizia ha come necessario corollario l'indipendenza e l'autonomia funzionale e temporale delle relative valutazioni. Secondo il Tar, inoltre, stante l'autonomia funzionale di tali valutazioni, nessun vincolo avrebbe potuto derivare neppure dall'annullamento giurisdizionale di precedenti dinieghi, che riguardano un determinato provvedimento e non possono impegnare l'amministrazione rispetto agli ulteriori atti di esercizio del medesimo potere. 

L'appellante ha impugnato la citata pronuncia, chiedendone la riforma, previa sospensione dell'efficacia, e riproponendo essenzialmente le doglianze non accolte in primo grado, in chiave critica nei confronti della gravata sentenza. 

Il Ministero dell'interno e la Prefettura di Genova si sono costituiti in giudizio, senza articolare difese. 

Nella camera di consiglio del 13 ottobre 2022, il Collegio ha rigettato l'istanza cautelare. 

Alla pubblica udienza del 19 gennaio 2023, la causa è stata trattenuta in decisione. 

Motivi della decisione 

L'appello è infondato. 

Con il primo motivo di gravame, l'appellante contesta il provvedimento impugnato in primo grado e la sentenza del Tar avversata in quanto elusivi del giudicato di cui alla sentenza del Consiglio di Stato, sez. VI, 22 maggio 2008, -OMISSIS-. 

Occorre premettere, in punto di fatto, che con la citata sentenza il Consiglio di Stato ha annullato il diniego di rinnovo della licenza di porto di pistola per difesa personale opposto nei confronti dell'appellante dalla Prefettura nel 2004, ritenendo che il potere di riesame dell'Autorità di pubblica sicurezza, a fronte del rinnovo del titolo di polizia per numerosi anni consecutivi, fosse ancorato alla circostanza, assente nel caso di specie, del mutamento delle condizioni e dei presupposti che avevano dato luogo all'originario rilascio della licenza e al suo successivo rinnovo e, dunque, al venir meno della posizione professionale inizialmente presa in considerazione dall'autorità di polizia ai fini del rilascio e del rinnovo del titolo di polizia. 

Sulla scorta di tale ordito motivazionale, l'appellante ha dedotto la nullità del provvedimento da ultimo impugnato, che sarebbe identico al provvedimento annullato dal Consiglio di Stato in quella sede, pur non essendo mutata la situazione di fatto che aveva giustificato l'annullamento in via giurisdizionale del primo decreto reiettivo. 

La censura non è meritevole di accoglimento. 

Il rilascio di porto d'armi per difesa personale rientra tra le cosiddette autorizzazioni di polizia, disciplinate a livello generale dal Capo III del Titolo I del R.D. 18 giugno 1931, n. 773. 

Il potere di rilasciare le licenze per porto d'armi costituisce una deroga al divieto di detenere armi sancito dall'art. 699 c.p. e dall'art. 4, comma 1, L. n. 110 del 1975. La regola generale è, pertanto, il divieto di detenzione delle armi, al quale l'autorizzazione di polizia può derogare in presenza di specifiche ragioni e in assenza di rischi anche solo potenziali, che è compito dell'Autorità di pubblica sicurezza prevenire. 

La Corte Costituzionale, sin dalla sentenza del 16 dicembre 1993, n. 440, ha affermato che "il porto d'armi non costituisce un diritto assoluto, rappresentando, invece, una eccezione al normale divieto di portare le armi, che può divenire operante soltanto nei confronti di persone riguardo alle quali esista la perfetta e completa sicurezza circa il buon uso delle armi stesse". Il Giudice delle leggi ha osservato, altresì, che "dalla eccezionale permissività del porto d'armi e dai rigidi criteri restrittivi regolatori della materia deriva che il controllo dell'autorità amministrativa deve essere più penetrante rispetto al controllo che la stessa autorità è tenuta ad effettuare con riguardo a provvedimenti permissivi di tipo diverso, talora volti a rimuovere ostacoli e situazioni giuridiche soggettive di cui sono titolari i richiedenti". 

Proprio in ragione dell'inesistenza, nell'ordinamento costituzionale italiano, di un diritto di portare armi, il Giudice delle leggi ha aggiunto, nella sentenza del 20 marzo 2019, n. 109, che "deve riconoscersi in linea di principio un ampio margine di discrezionalità in capo al legislatore nella regolamentazione dei presupposti in presenza dei quali può essere concessa al privato la relativa licenza, nell'ambito di bilanciamenti che - entro il limite della non manifesta irragionevolezza - mirino a contemperare l'interesse dei soggetti che richiedono la licenza di porto d'armi per motivi giudicati leciti dall'ordinamento e il dovere costituzionale di tutelare, da parte dello Stato, la sicurezza e l'incolumità pubblica: beni, questi ultimi, che una diffusione incontrollata di armi presso i privati potrebbe porre in grave pericolo, e che pertanto il legislatore ben può decidere di tutelare anche attraverso la previsione di requisiti soggettivi di affidabilità particolarmente rigorosi per chi intenda chiedere la licenza di portare armi". 

La giurisprudenza, riprendendo i principi espressi dalla Corte Costituzionale, è consolidata nel ritenere che il porto d'armi non costituisce oggetto di un diritto assoluto, rappresentando un'eccezione al normale divieto di detenere armi e potendo essere riconosciuto soltanto a fronte della perfetta e completa sicurezza circa il loro buon uso, in modo da scongiurare dubbi o perplessità, sotto il profilo prognostico, per l'ordine pubblico e per la tranquilla convivenza della collettività (cfr., ex multis, Cons. St., Sez. III, 25 marzo 2019, n. 1972; Cons. St., Sez. III, 7 giugno 2018, n. 3435). 

Il giudizio che compie l'Autorità di pubblica sicurezza è espressione di una valutazione ampiamente discrezionale, che presuppone una analisi comparativa dell'interesse pubblico primario, degli interessi pubblici secondari, nonché degli interessi dei privati, oltre che un giudizio di completa affidabilità del soggetto istante basato su rigorosi parametri tecnici. 

Nello specifico settore delle armi, tale valutazione comparativa si connota in modo peculiare rispetto al giudizio che tradizionalmente l'Amministrazione compie nell'adottare provvedimenti permissivi di tipo diverso. La peculiarità deriva dal fatto che, stante l'assenza di un diritto assoluto al porto d'armi, nella valutazione comparativa degli interessi coinvolti assume carattere prevalente, nella scelta selettiva dell'Amministrazione, quello di rilievo pubblico, inerente alla sicurezza e all'incolumità delle persone, rispetto a quello del privato. 

Con particolare riferimento al rilascio della licenza del porto d'arma per uso personale, l'art. 42 del T.U.L.P.S. subordina l'autorizzazione in esame all' esistenza del "dimostrato bisogno dell'arma". Ai sensi di legge, quindi, l'Autorità di pubblica sicurezza ha l'onere di valutare i casi in cui è possibile accordare l'uso delle armi per difesa personale, ancorando tale valutazione alla sussistenza di un effettivo bisogno dell'interessato di proteggersi da una situazione di pericolo attuale. 

Giova aggiungere che l'art. 42, comma 1, ultimo periodo, del T.U.L.P.S, prevede che "la licenza, la cui durata non sia diversamente stabilita dalla legge, ha validità annuale", con ciò richiedendo che la verifica dei presupposti per il rilascio di questo specifico titolo di polizia avvenga con frequente periodicità. In questo modo, la legge attribuisce all'Autorità di pubblica sicurezza il dovere di rinnovare anno per anno la propria valutazione in ordine alla sussistenza dei presupposti per derogare eccezionalmente al normale divieto di detenere armi, tenendo conto sia della situazione personale del richiedente, aggiornata con informazioni attuali, sia della situazione oggettiva dell'ordine pubblico e dell'idoneità allo scopo di prevenzione dello stesso. 

Tanto premesso, il Collegio, alla luce della ratio che ispira l'art. 42, comma 1, ultimo periodo, del T.U.L.P.S, ritiene di non poter condividere la prospettazione di parte appellante secondo cui il potere di riesame dell'autorità di pubblica sicurezza può concretarsi in una diversa determinazione, rispetto alle precedenti, soltanto ove siano mutate le condizioni e i presupposti che avevano dato luogo all'originario rilascio dell'autorizzazione e al suo successivo rinnovo. Tale affermazione, infatti, presupporrebbe un continuum funzionale e temporale rispetto all'originario rilascio, che si pone tuttavia in contrasto sia con il termine di durata annuale dell'autorizzazione, che postula dunque il venir meno del titolo alla scadenza, sia con la ratio che ispira la necessità che, allo scadere dell'anno, l'autorità procedente compia una rinnovata e rigorosa verifica circa l'attuale sussistenza dei presupposti per il rilascio del porto di pistola per difesa personale. 

In altri termini, contrariamente a quanto sostenuto dall'appellante, il potere che l'autorità procedente è chiamata a esercitare non è un vero e proprio potere di riesame, inteso come potere dell'Amministrazione di tornare sulle proprie precedenti determinazioni della cui opportunità abbia motivo di dubitare, quanto piuttosto un nuovo esercizio del pubblico potere, che mantiene, rispetto ai precedenti rinnovi, la propria autonomia sia sotto il profilo funzionale che temporale. 

Quanto precede, consente inoltre di superare il terzo motivo di gravame, con il quale sostanzialmente l'appellante si duole della carente motivazione del provvedimento, che non darebbe in alcun modo conto del venir meno dei requisiti personali in capo al richiedente, che avevano indotto il Prefetto a rinnovare il porto d'armi sin dal 1993. 

Infatti, con specifico riferimento all'onere motivazionale che incombe sull'Amministrazione nel caso di precedenti rilasci del titolo di polizia per cui è causa, rileva il Collegio di non poter condividere la prospettazione attorea secondo cui graverebbe un onere rafforzato di motivazione in ordine ai fatti sopravvenuti in grado di superare le circostanze fattuali che, in precedenza, avevano determinato il rilascio dell'autorizzazione. Una simile esegesi, infatti, si pone, in primo luogo, in evidente distonia con il dato letterale dell'art. 42 del T.U.L.P.S. che, ancorando il rilascio del titolo al "dimostrato bisogno" di possedere armi, fa ricadere sul soggetto istante l'onere di provare le circostanze di fatto che giustificano l'attuale bisogno dell'arma e ciò sia nel caso di prima richiesta, sia nel caso di rilascio di un titolo di polizia già precedentemente concesso. In secondo luogo, la soluzione proposta dalla parte appellante si porrebbe in contrasto con la ratio che ispira il rilascio del porto d'arma per difesa personale, che rappresenta, lo si ribadisce, una eccezionale deroga al normale divieto di detenere armi, che si giustifica in ragione del pericolo attuale per l'incolumità personale dell'istante, valendo al di fuori di questo caso la regola generale per cui è compito dell'autorità di pubblica sicurezza - e non dei privati - vegliare sulla sicurezza dei cittadini. È evidente, allora, che proprio la necessità di garantire il carattere eccezionale del rilascio del titolo di polizia rispetto alla regola generale posta dall'ordinamento impone all'istante di dar prova, con periodicità appunto annuale, della persistente attualità del bisogno dell'arma. 

Sul punto, deve peraltro sottolinearsi che l'orientamento condiviso dal Consiglio di Stato nella sentenza 22 maggio 2008, -OMISSIS-, invocata dall'appellante quale parametro di validità del provvedimento impugnato in primo grado, deve ormai ritenersi superato dalla più recente giurisprudenza di questa Sezione, secondo cui "la prova del dimostrato bisogno ricade sul richiedente e la circostanza che il porto sia stato autorizzato in passato non genera una inversione dell'onere probatorio. Chi chiede il rinnovo deve provare l'esistenza di condizioni attuali e concrete di bisogno che giustificano la concessione dello speciale titolo di polizia" (Cons. St., sez. III, 19 agosto 2022, n. 7315). 

Da tutto quanto sopra esposto deriva che ogni singola istanza di rilascio o rinnovo del porto d'armi deve essere valutata in rapporto alla situazione contingente del soggetto istante, senza aver riguardo a quanto eventualmente assentito in precedenza. 

Infine, non è suscettibile di positivo apprezzamento neanche il secondo motivo di impugnazione, con il quale l'appellante censura il difetto di istruttoria, per non aver l'Amministrazione prima e il Giudice di prime cure poi dato il giusto rilievo alla circostanza, rimasta immutata nel tempo, per cui la necessità di effettuare versamenti di ingenti somme di denaro, collegata all'attività lavorativa del richiedente, esporrebbe lo stesso a una situazione di pericolo tale da giustificare il rilascio del permesso di pistola per difesa personale. 

Sul punto, è sufficiente richiamare il consolidato orientamento di questa Sezione, secondo cui "ai sensi dell'art. 42, R.D. n. 773 del 1931, il presupposto, ai fini del rilascio della licenza per porto di pistola per uso difesa personale, dell'esistenza del dimostrato bisogno dell'arma, lungi dal poter essere desunto dalla tipologia di attività o professione svolta dal richiedente, deve riposare su specifiche e attuali circostanze, non risalenti nel tempo, che l'Autorità di pubblica sicurezza ritenga integratrici della necessità in concreto del porto di pistola; non può ricavarsi neanche dalla pluralità e consistenza degli interessi patrimoniali del richiedente, o dalla conseguente necessità di movimentare rilevanti somme di denaro" (Cons. Stato, sez. III, 11 settembre 2019, n. 6139; id., sez. I, 30 marzo 2020, n. 694). 

Del tutto ragionevolmente, dunque, l'Amministrazione procedente ha ritenuto di poter prescindere dall'attività lavorativa svolta dall'interessato, soffermandosi correttamente sul fatto che il richiedente non fosse mai stato oggetto di azioni lesive della propria incolumità, comunque riconducibili all'attività svolta, e che il territorio di residenza e lavoro del medesimo non fosse caratterizzato da particolari situazioni di criticità inerenti alla sicurezza pubblica. 

In conclusione, per i suesposti motivi, l'appello va respinto. 

Sussistono giusti motivi per disporre la compensazione delle spese di lite del presente grado di giudizio. 

P.Q.M. 

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. 

Spese compensate. 

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. 

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196 (e degli articoli 5 e 6 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016), a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità. 

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 19 gennaio 2023 con l'intervento dei magistrati: 

Michele Corradino, Presidente, Estensore 

Nicola D'Angelo, Consigliere 

Giulia Ferrari, Consigliere 

Raffaello Sestini, Consigliere 

Antonio Massimo Marra, Consigliere 


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