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sabato 15 luglio 2023

Tar 2023-Guardia di Finanza - “il risarcimento dei danni subiti per la mancata attivazione della previdenza complementare prevista dal D.Lgs. n. 195/1995”.

 

Tar 2023-Guardia di Finanza - “il risarcimento dei danni subiti per la mancata attivazione della previdenza complementare prevista dal D.Lgs. n. 195/1995”.


Pubblicato il 09/02/2023

N. 02225/2023 REG.PROV.COLL.

N. 12007/2022 REG.RIC.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 12007 del 2022, proposto da

OMISSIS

contro

- Ministero della Difesa;

- Ministero dell’Economia e delle Finanze;

- Ministero della Pubblica Amministrazione;

- Presidenza del Consiglio dei Ministri;

- Comando Generale della Guardia di Finanza;

in persona dei rispettivi legali rappresentanti, rappresentati e difesi ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale sono domiciliati in Roma, alla Via dei Portoghesi, n. 12;

per l’accertamento

della illegittimità del contegno omissivo osservato a fronte della diffida notificata in data 19 aprile 2021 e 20 gennaio 2022, con la quale veniva richiesto “il risarcimento dei danni subiti per la mancata attivazione della previdenza complementare prevista dal D.Lgs. n. 195/1995”.



Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio delle Amministrazioni intimate;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 8 febbraio 2023 il dott. Roberto Politi e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.



FATTO e DIRITTO

1. Espongono i ricorrenti – appartenenti al Corpo militare della Guardia di Finanza, taluni in servizio, altri in quiescenza – di avere maturato, alla data del 31 dicembre 1995, anzianità contributiva inferiore a diciotto anni; e di essere, pertanto, interessati dalla riforma del sistema previdenziale introdotta dalla legge n. 335/1995.

Soggiungono che, a fronte delle diffide notificate in data 19 aprile 2021 e 20 gennaio 2022 per il risarcimento dei danni subiti per la mancata attivazione della previdenza complementare prevista dal D.Lgs. n. 195 del 1995, le Amministrazioni intimate rimanevano inerti.

A fronte del perdurante ed ingiustificato inadempimento delle Amministrazioni, assumono il determinarsi di un ingente pregiudizio, del quale, con il presente mezzo di tutela, chiedono il risarcimento.

2. A sostegno della proposta impugnativa, hanno dedotto i seguenti argomenti di censura:

Violazione e falsa applicazione della legge 23 dicembre 1998, n. 448, in particolare dell’art. 26, comma 20, del D.Lgs. 5 dicembre 2005, n. 252, in particolare dell’art. 3, comma 2, della legge n. 124 del 1993, della legge n. 335 del 1995, della legge n. 195 del 1995, in particolare dell’art 4, della legge n. 241 del 1990, artt. 1, 2 e 3, nonché degli artt. 1218 e 2043 c.c. Violazione del D.P.R. n. 39 del 2018. Violazione Statuto dei lavoratori;

3. Conclude la parte per l’accoglimento del gravame, con conseguente accertamento del diritto al risarcimento del danno, quantificato, per ogni singolo militare anche in quiescenza, partendo dal 1° gennaio 1996 sino ad oggi, nella misura del 3% degli importi retributivi annui caratterizzati dai seguenti elementi: retribuzione tabellare, indennità integrativa speciale, tredicesima mensilità e retribuzione professionale.

4. In data 9 dicembre 2022 l’Amministrazione intimata si è costituita in giudizio; ed ha depositato, il successivo 12 dicembre, dettagliata relazione sui fatti di causa formata dal Comando Generale della Guardia di Finanza.

5. Osserva, innanzi tutto, il Collegio che parte ricorrente, con istanza depositata in data 20 gennaio 2023, ha chiesto “l’abbinamento dell’istanza cautelare al merito del ricorso”.

Tale richiesta non è suscettibile di essere favorevolmente apprezzata, atteso che il presente gravame:

- in primo luogo, non è assistito dalla presentazione di alcuna istanza cautelare, come è dato evincere dalla lettura dell’atto introduttivo;

- secondariamente, risulta proposto avverso il contegno omissivo osservato dalle intimate Amministrazioni con riferimento alla “diffida notificata in data 19 aprile 2021 e 20 gennaio 2022”, con la quale veniva richiesto “il risarcimento dei danni subiti per la mancata attivazione della previdenza complementare prevista dal D.Lgs. n. 195/1995”. (cfr. pag. 7 del ricorso introduttivo).

Se, quindi, non vi è luogo a provvedere in ordine alla richiesta di abbinamento dell’istanza cautelare al merito (per il semplice motivo che non è stata formalizzata alcuna istanza cautelare, ancorché risulti meramente flaggata, nel “Modulo Deposito Ricorso”, la casella in corrispondenza della voce “domanda cautelare collegiale”), quanto alla domanda di accertamento dell’illegittimità del silenzio, la relativa tipologia processuale è indicata dall’art. 117 c.p.a.; e la relativa controversia viene decisa con sentenza, resa in Camera di Consiglio.

6. Ciò osservato, il ricorso è inammissibile.

7. Ritiene il Collegio di non doversi discostare dal consolidato orientamento giurisprudenziale (anche di questa Sezione: cfr., ex multis, sentenze nn. 14304/2022, 9846/2022 e 6952/2022), che ha escluso la legittimazione ad agire dei singoli dipendenti nel procedimento per l’accertamento dell’obbligo di provvedere all’attuazione della previdenza complementare.

E’ stato, infatti, costantemente affermato, in analoghe fattispecie, che i dipendenti pubblici destinatari dell’attività contrattuale collettiva, o del decreto presidenziale di recepimento degli esiti della procedura di concertazione, sono titolari di un interesse del tutto indiretto e riflesso, e non già di un interesse concreto, attuale e direttamente tutelabile in ordine all’avvio e conclusione dei procedimenti negoziali in questione, appartenenti in via esclusiva alle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative (per quanto attiene alle Forze di Polizia ad ordinamento civile) e ai Comitati centrali di rappresentanza, quali organismi esponenziali d’interessi collettivi (per quanto attiene alle Forze di Polizia ad ordinamento militare e al personale delle Forze Armate), chiamati entrambi a partecipare ai predetti procedimenti negoziali.

Conseguentemente, la legittimazione a far valere eventuali inadempimenti dell'obbligo di adozione di provvedimenti amministrativi, anche attraverso la speciale procedura di impugnazione del silenzio inadempimento, appartiene in via generale ai soli soggetti titolari dell'interesse, concreto ed attuale, direttamente riguardato dalla norma attributiva del potere autoritativo, i quali proprio in ragione di tale titolarità sono dunque legittimati a partecipare al relativo procedimento amministrativo.

I dipendenti sono portatori di un interesse soltanto indiretto, in relazione all’effettiva entrata in vigore del nuovo regime previdenziale, in quanto potenziali destinatari delle misure da adottarsi anche all’esito del procedimento di concertazione di cui si lamenta la mancata attuazione, in ragione della natura normativa dell’atto conclusivo, destinato a disciplinare una serie indeterminata di rapporti di pubblico impiego.

Non sono, diversamente, legittimati a partecipare al relativo procedimento, non essendo titolari in proposito di un interesse personale, concreto ed attuale, specificamente tutelato dalla norma attributiva del potere con la previsione di un correlato obbligo di provvedere in capo alle Amministrazioni competenti (cfr. Cons. Stato, Sez. II, 20 dicembre 2021, n. 8440; Sez. IV: 4 febbraio 2014, nn. 502, 503 e 504; 24 ottobre 2011, nn. 5697 e 5698).

A fini di completezza espositiva, va soggiunto che identica sistematica interpretativa, escludente la legittimazione ad agire dei singoli pubblici dipendenti, ha formato oggetto di ripetuta affermazione, anche ad opera di questo Tribunale (cfr. Sezione I: 8 marzo 2011, n.2092; 19 aprile 2010, nn. 7448, 7456 e 7458; 30 ottobre 2009, n. 10560; Sezione I-bis: 15 aprile 2021, nn. 4430 e 4431, 21 luglio 2021, n. 8667; Sezione stralcio, 1° dicembre 2021, n. 1292).

8. Né è suscettibile di condurre a una diversa interpretazione della disciplina normativa, la tesi per cui la legittimazione non potrebbe essere attribuita alle organizzazioni sindacali, in quanto l’interesse protetto riguarderebbe solo una parte (coloro che si trovano nella situazione previdenziale per cui è previsto il sistema misto), rispetto ai soggetti da tali organizzazioni complessivamente rappresentati.

Infatti, nel caso di specie, è la disciplina legislativa che attribuisce la materia alla contrattazione e alla concertazione sindacale, con ciò sottraendola alle posizioni soggettive dei singoli dipendenti: i quali, anche nell’ambito del pubblico impiego privatizzato, non possono intraprendere autonome azioni per la tutela di posizioni affidate alla contrattazione collettiva (ad esempio, per eventuali aumenti retributivi o per la rimodulazione dell’orario di lavoro negli ambiti di competenza della contrattazione).

9. La configurazione normativa, che conduce a ravvisare il difetto di legittimazione in capo ai singoli dipendenti, ai fini della sollecitazione del sindacato giurisdizionale, comporta anche l’inaccoglibilità dell’azione proposta avverso il contegno omissivo dell’Amministrazione (silenzio), difettando, in base alle norme di legge che disciplinano la materia, un preciso obbligo di provvedere e un termine per individuare il ritardo nell’adempimento in capo alle Amministrazioni intimate.

Come visto, il sistema della previdenza complementare è stato integralmente rimesso alle procedure di negoziazione e di concertazione, con la conseguenza che le Amministrazioni non hanno alcun autonomo obbligo di provvedere, non potendo unilateralmente disciplinare la materia; né, peraltro, sono previsti termini nei quali debba essere data attuazione alla detta previdenza complementare.

In primo luogo, il comma 20 dell’art. 26 della legge n. 448 del 1998 ha previsto che “ai fini dell'armonizzazione al regime generale del trattamento di fine rapporto e dell'istituzione di forme di previdenza complementare dei dipendenti pubblici, le procedure di negoziazione e di concertazione previste dal decreto legislativo 12 maggio 1995, n. 195, potranno definire, per il personale ivi contemplato, la disciplina del trattamento di fine rapporto ai sensi dell'articolo 2, commi da 5 a 8, della legge 8 agosto 1995, n. 335, e successive modificazioni, nonché l'istituzione di forme pensionistiche complementari, di cui all'articolo 3 del decreto legislativo 21 aprile 1993, n. 124, e successive modificazioni. Per la prima applicazione di quanto previsto nel periodo precedente saranno attivate le procedure di negoziazione e di concertazione in deroga a quanto stabilito dall'articolo 7, comma 1, del citato decreto legislativo n. 195 del 1995”.

Ai sensi dell’art. 3, comma 2, del D.Lgs. 5 dicembre 2005, n. 252 (il cui art. 21 ha disposto l’abrogazione del D.Lgs. n. 124 del 1993),“per il personale dipendente dalle amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, le forme pensionistiche complementari possono essere istituite mediante i contratti collettivi di cui al titolo III del medesimo decreto legislativo. Per il personale dipendente di cui all'articolo 3, comma 1, del medesimo decreto legislativo, le forme pensionistiche complementari possono essere istituite secondo le norme dei rispettivi ordinamenti ovvero, in mancanza, mediante accordi tra i dipendenti stessi promossi da loro associazioni”.

In base all’art. 59, comma 56, della legge 27 dicembre 1997, n. 449, “fermo restando quanto previsto dalla legge 8 agosto 1995, n. 335, e successive modificazioni, in materia di applicazione delle disposizioni relative al trattamento di fine rapporto ai dipendenti delle pubbliche amministrazioni, al fine di favorire il processo di attuazione per i predetti delle disposizioni in materia di previdenza complementare viene prevista la possibilità di richiedere la trasformazione dell'indennità di fine servizio in trattamento di fine rapporto. Per coloro che optano in tal senso una quota della vigente aliquota contributiva relativa all'indennità di fine servizio prevista dalle gestioni previdenziali di appartenenza, pari all'1,5 per cento, verrà destinata a previdenza complementare nei modi e con la gradualità da definirsi in sede di specifica trattativa con le organizzazioni sindacali dei lavoratori”.

L’art. 67 del D.P.R. 16 marzo 1999, n. 254 (recante “Recepimento dell'accordo sindacale per le Forze di polizia ad ordinamento civile e del provvedimento di concertazione delle Forze di polizia ad ordinamento militare relativi al quadriennio normativo 1998-2001 ed al biennio economico 1998-1999”), ha previsto che “le procedure di negoziazione e di concertazione attivate, per la prima applicazione, ai sensi del citato articolo 26, comma 20, della legge n. 448 del 1998, provvedono a definire:

a) la costituzione di uno o più fondi nazionali pensione complementare per il personale delle Forze armate e delle Forze di polizia ad ordinamento civile e militare, ai sensi del decreto legislativo n. 124 del 1993, della legge n. 335 del 1995, della legge n. 449 del 1997 e successive modificazioni ed integrazioni, anche verificando la possibilità di unificarlo con analoghi fondi istituiti ai sensi delle normative richiamate per i lavoratori del pubblico impiego;

b) la misura percentuale della quota di contribuzione a carico delle Amministrazioni e di quella dovuta dal lavoratore, nonché la retribuzione utile alla determinazione delle quote stesse;

c) le modalità di trasformazione della buonuscita in trattamento di fine rapporto, le voci retributive utili per gli accantonamenti del trattamento di fine rapporto, nonché la quota di trattamento di fine rapporto da destinare a previdenza complementare”.

Da tale disciplina, risulta evidente che non sussiste alcun autonomo obbligo di provvedere in capo alle Amministrazioni pubbliche, in assenza della definizione della materia in sede di contrattazione collettiva e, nel caso dei militari, delle specifiche procedure di concertazione, ai sensi del D.Lgs. 195 del 1995.

10. Né può, peraltro, trovare condivisione la tesi, per cui sussisterebbe in capo alle Amministrazioni l’obbligo di avviare il procedimento di concertazione, ai sensi dell’art. 7 del D.Lgs. n. 195 del 1995.

In primo luogo, si tratterebbe eventualmente di un obbligo di avvio del procedimento e non di conclusione dello stesso, da cui non potrebbe derivare, quindi, né la possibilità di agire con il rito del silenzio, né una responsabilità, ai sensi dell’art. 2-bis della legge n. 241 del 1990.

Infatti, l’art. 31 c.p.a. prevede che, “decorsi i termini per la conclusione del procedimento amministrativo e negli altri casi previsti dalla legge, chi vi ha interesse può chiedere l'accertamento dell'obbligo dell'amministrazione di provvedere”; mentre, ai sensi dell’art. 2-bis della legge n. 241 del 1990, “le pubbliche amministrazioni e i soggetti di cui all’articolo 1, comma 1-ter, sono tenuti al risarcimento del danno ingiusto cagionato in conseguenza dell'inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento”.

Le procedure in questione si concludono, in base alla espressa previsione del comma 2 dell’art. 1 del D.Lgs. 195 del 1995, con l’emanazione dei decreti del Presidente della Repubblica.

Inoltre, ai sensi del comma 13 dell’art. 7 del medesimo Decreto Legislativo, “nel caso in cui l'accordo e le concertazioni di cui al presente decreto non vengano definiti entro centocinquanta giorni dall'inizio delle relative procedure, il Governo riferisce alla Camera dei deputati ed al Senato della Repubblica nelle forme e nei modi stabiliti dai rispettivi regolamenti”, con conferma della irrilevanza del termine di conclusione del procedimento rispetto alle attività di negoziazione sindacale.

In particolare, poi, in base al comma 1 dell’art. 7, “le procedure per l'emanazione dei decreti del Presidente della Repubblica di cui all'articolo 2 sono avviate dal Ministro per la funzione pubblica almeno quattro mesi prima dei termini di scadenza previsti dai precedenti decreti. Entro lo stesso termine, le organizzazioni sindacali del personale delle Forze di polizia ad ordinamento civile possono presentare proposte e richieste relative alle materie oggetto delle procedure stesse. Il COCER Interforze può presentare nel termine predetto, anche separatamente per sezioni Carabinieri, Guardia di finanza e Forze armate, le relative proposte e richieste al Ministro per la funzione pubblica, al Ministro della difesa e, per il Corpo della Guardia di finanza, al Ministro delle finanze, per il tramite dello stato maggiore della Difesa o del Comando generale corrispondente”.

Anche a ritenere che tale norma configuri un autonomo procedimento di avvio della negoziazione e/o concertazione in capo al Dipartimento della Funzione pubblica, il cui termine scadrebbe quattro mesi prima della scadenza dei precedenti decreti, il singolo dipendente non potrebbe agire a tutela dell’interesse alla rapida conclusione della procedura, trattandosi di una materia ex ante attribuita dalla legge alle organizzazioni sindacali del personale delle Forze di polizia ad ordinamento civile e al Consiglio centrale di rappresentanza (COCER), per i militari e le Forze di polizia ad ordinamento militari, i quali – semmai – potrebbero richiedere l’avvio della procedura.

In ogni caso, la determinazione del contenuto del successivo accordo sindacale rimane di competenza delle parti in sede di negoziazione e di concertazione, essendo anzi prevista in capo alle organizzazioni sindacali e al COCER interforze la facoltà di presentare proposte e richieste anche, nella fase precedente all’avvio della procedura, mentre i commi 4, 6 e 8 prevedono la trasmissione di osservazioni alla Presidenza del Consiglio dei Ministri e ai Ministri competenti da parte delle organizzazioni sindacali e delle sezioni del COCER dissenzienti rispetto allo schema di accordo (per le Forze di Polizia ad ordinamento civile) o di provvedimento (per le Forze di Polizia ad ordinamento militare e per i militari).

11. Pertanto, l’art. 7 del D.Lgs. 195 del 1995, che riguarda la disciplina generale del procedimento per l'emanazione dei decreti del Presidente della Repubblica che recepiscono gli accordi sindacali, per le forze di polizia ad ordinamento civile, e la concertazione, per i militari, non prevede nelle materie di competenza della negoziazione sindacale un potere del Dipartimento della Funzione pubblica e/o della Presidenza del Consiglio di determinare il contenuto degli accordi e della concertazione e dei provvedimenti finali, se non nei casi espressamente previsti ovvero, in base al comma 11, al momento dell’approvazione dell’accordo sulla base della verifica delle compatibilità finanziarie e delle esame delle osservazioni di cui ai commi 4, 6 e 8.

Nel caso di specie, quindi, la tutela dei singoli passa necessariamente attraverso le loro eventuali istanze all’interno degli organi di rappresentanza sindacale.

12. Le indicate linee interpretative – si ripete, oggetto di reiterata affermazione in giurisprudenza; ed insuscettibili, ad avviso del Collegio, di rimeditazione – impongono di dare atto della inammissibilità della pretesa risarcitoria dai singoli dipendenti pubblici avanzata, a fronte del pregiudizio lamentato per effetto della mancata attuazione del sistema integrativo previdenziale.

Se, infatti, non sussiste alcun ritardo legittimamente predicabile in capo all’Amministrazione resistente e se non è ravvisabile in capo ai singoli dipendenti alcuna posizione immediatamente tutelabile nei confronti dell’Amministrazione (rimanendo, come si è rilevato, l’intera disciplina attribuita all’attività negoziale nell’ambito della rappresentanza sindacale), deve conseguentemente escludersi la configurabilità di un pregiudizio, suscettibile di autonoma azionabilità.

Pregiudizio, peraltro, affatto indimostrato (quanto indimostrabile), atteso che – in difetto dell’attivazione della previdenza complementare (oggetto di applicazione, nei confronti dei singoli dipendenti, non già obbligatoria, quanto, piuttosto, facoltativa: e, quindi, veicolata dalla presentazione di apposita istanza) – nessuno degli odierni ricorrenti può essere in grado di dimostrare che avrebbe, effettivamente, manifestato consenso e/ adesione a siffatta forma previdenziale, con riveniente identificazione del pregiudizio nella preclusa possibilità di conseguirne i benefici, quanto alla determinazione del trattamento di quiescenza

Né la Corte di Cassazione (SS.UU., 20 ottobre 2020, n. 22807), ha riconosciuto la configurabilità di un siffatto pregiudizio (e, con essa, la risarcibilità del danno): piuttosto, essendosi limitata ad affermare la cognizione giurisdizionale del giudice amministrativo, sulla base del seguente principio di diritto:

«La domanda avente ad oggetto il risarcimento del danno da mancata attuazione della previdenza complementare per il personale del Comparto sicurezza, difesa e soccorso pubblico, riservata alla concertazione-contrattazione, ai sensi delle disposizioni degli artt. 26, comma 20, L. 23/12/1998, n. 448, e 3, comma 2, D.Lgs. 5/12/2005, n. 252, è devoluta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, attenendo all'inadempimento di prestazioni di contenuto solo genericamente previdenziale e strettamente inerenti al rapporto di pubblico impiego, non già a materia riguardante un riguardante un trattamento pensionistico a carico dello Stato, sicché la relativa controversia esula dalla giurisdizione della Corte dei conti».

Inoltre, trattandosi di questioni relative al riparto di giurisdizione, alcuna rilevanza può avere il riferimento contenuto nella sentenza “agli obblighi del datore di lavoro in merito all'avvio delle necessarie procedure per la negoziazione e concertazione del trattamento di fine servizio e/o fine rapporto, e della conseguente istituzione della previdenza complementare”, rispetto all’effettivo riconoscimento di un obbligo di provvedere, atteso che la Cassazione ha richiamato gli obblighi del datore di lavoro solo ai fini della individuazione della domanda proposta dalla parte, per il riparto della giurisdizione secondo i consueti criteri del petitum cd. sostanziale (da tale affermazione non derivando, dunque, alcuna conseguenza circa l’effettiva sussistenza di un obbligo in capo alle Amministrazioni intimate).

Escluso, dunque, che nella indicata pronunzia siano ravvisabili profili suscettibili di confermare la legittimazione, in capo ai singoli dipendenti pubblici, ai fini dell’esercizio dell’azione risarcitoria (avendo, anzi, il giudice regolatore della giurisdizione ribadito che “l’attivazione della previdenza complementare è materia riservata alla concertazione-contrattazione” e che trattasi di “una prestazione pensionistica, espressamente definita «complementare» rispetto a quella obbligatoria posta a carico dello Stato, certamente in «collegamento funzionale» con quest'ultima … ma da questa sostanzialmente diversa, essendo piuttosto rimessa alla determinazione negoziale in una logica di composizione degli interessi contrapposti delle parti del rapporto di impiego”), va rilevato come la sentenza in rassegna abbia, anzi, precisato che “la questione del difetto di interesse attiene al merito e non già alla giurisdizione, sicché il suo esame è precluso alla Corte di Cassazione investita della risoluzione del conflitto”, con argomentazione applicabile, ad avviso del Collegio, a tutte le condizioni dell’azione (cfr., in termini, Cons. Stato, Sez. II, 8440/2021 cit.).

Ciò posto, e ribadita la carenza di legittimazione attiva in capo agli odierni ricorrenti, non si dimostra configurabile, ai fini risarcitori, la sussistenza stessa della responsabilità in capo all’Amministrazione, alla quale soltanto potrebbe conseguire l’esercitabilità del diritto al risarcimento del danno per equivalente, attesa la ravvisabile carenza del presupposto accertamento giuridico della sussistenza (non solo di un obbligo di attivazione, ma anche) di conclusione nel senso voluto dalla parte ricorrente del procedimento che conduce all’implementazione della reclamata previdenza complementare, rimasto disatteso, e dal quale conseguirebbe, stante la relativa incoercibilità, il risarcimento per equivalente (cfr. in termini, T.R.G.A., Trento, 16 febbraio 2021, n. 18).

Se “la situazione soggettiva meritevole di tutela sarebbe infatti eventualmente da individuare non già in un diritto soggettivo o in un interesse legittimo dei dipendenti uti singuli, bensì nella lesione dell’interesse collettivo dei lavoratori alla partecipazione alla negoziazione o concertazione sindacale” (siffatta situazione soggettiva non radicandosi, tuttavia, “in capo ai singoli dipendenti, bensì esclusivamente in capo alle organizzazioni sindacali, quali enti esponenziali dell’interesse collettivo dei lavoratori”: cfr. T.A.R. Lazio, Sez. I-bis, 25 marzo 2022, n. 3405), deve, allora, escludersi la proponibilità dell’azione risarcitoria.

Nel sottolineare, ulteriormente rispetto a quanto in precedenza evidenziato, come anche sotto tale aspetto sia riscontrabile la presenza di un costante orientamento giurisprudenziale (cfr., ex multis, T.A.R. Veneto, Sez. I, 1° aprile 2022., n. 525; T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. III, 26 gennaio 2022, n. 174), va ribadito quanto sopra indicato nella ripetuta sentenza della Sezione II del Consiglio di Stato (n. 8440/2021), secondo cui all’integrale rimessione del “sistema della previdenza complementare … alle procedure di negoziazione e di concertazione” accede l’inconfigurabilità di alcun obbligo”, in capo alle intimate Amministrazioni, di provvedere, non potendo esse unilateralmente disciplinare la materia; “né, peraltro, sono previsti termini nei quali debba essere data attuazione alla detta previdenza complementare”: con la conseguenza che “la tutela dei singoli passa necessariamente attraverso le loro eventuali istanze all’interno degli organi di rappresentanza sindacale”.

13. Alla ribadita carenza di legittimazione attiva, rilevabile in capo agli odierni ricorrenti, accede la declaratoria di inammissibilità del proposto mezzo di tutela.

La particolarità della controversia integra idoneo fondamento giustificativo ai fini della compensazione, fra le parti costituite, delle spese di lite.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo dichiara inammissibile, nei sensi di cui in motivazione.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 8 febbraio 2023 con l'intervento dei magistrati:

Roberto Politi, Presidente, Estensore

Angelo Fanizza, Consigliere

Giuseppe Bianchi, Referendario

 

 

IL PRESIDENTE, ESTENSORE

Roberto Politi

 

 

 

 

 

IL SEGRETARIO


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