Translate

giovedì 24 agosto 2023

Corte d’Appello 2023-‘accertare che le patologie del proprio apparato scheletrico e la sindrome ansioso-depressiva mediograve di cui soffriva erano dipendenti da causa di servizio’

 

Corte d’Appello 2023-‘accertare che le patologie del proprio apparato scheletrico e la sindrome ansioso-depressiva mediograve di cui soffriva erano dipendenti da causa di servizio’


Corte d'Appello Roma Sez. lavoro, Sent., 28/07/2023 



RESPONSABILITA' CIVILE

Cosa in custodia, (danni da)

Fatto Diritto P.Q.M. 

REPUBBLICA ITALIANA 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO 

LA CORTE D'APPELLO DI ROMA 

III SEZIONE LAVORO E PREVIDENZA 

composta dai signori magistrati: 

SCARAFONI dr. Stefano - Presidente 

MARROCCO dr.ssa Maria Gabriella - Consigliere 

COSENTINO dr.ssa Maria Giulia - Consigliere rel. 

A seguito dell'udienza di discussione del 5 luglio 2023, ha pronunciato la seguente 

SENTENZA 

nella controversia in materia di previdenza in grado di appello iscritta al n. 1252 del Ruolo Generale Affari Contenziosi dell'anno 2021 

TRA 

omissis

Appellante 

INAIL, con l'Avv. Massimo Guiducci 

Appellato 

OGGETTO: appello avverso la sentenza del Tribunale del Lavoro di Tivoli del 28.10.2020 n. 670/2020 

Svolgimento del processo 

OMISSIS, ausiliaria presso la OMISSIS, aveva evocato in giudizio l'INAIL davanti al Tribunale di Tivoli, per far accertare che le patologie del proprio apparato scheletrico e la sindrome ansioso-depressiva mediograve di cui soffriva erano dipendenti da causa di servizio e per la condanna dell'INAIL alla liquidazione della rendita o dell'indennizzo corrispondente al grado accertato di invalidità. 

Escussi alcuni testi ed esperita CTU medicolegale, il ricorso veniva respinto in quanto il consulente del Tribunale aveva negato la sussistenza del nesso eziologico fra le mansioni svolte e le patologie denunciate. 

La ricorrente ha appellato la sentenza, chiedendo una nuova valutazione medicolegale e l'INAIL si è costituito per resistere all'appello. 

Espletata nuova CTU, all'udienza fissata per la discussione i difensori delle parti si sono riportati alle rispettive conclusioni, trascritte in epigrafe. La causa è stata quindi decisa con la pronuncia del dispositivo in calce. 

Motivi della decisione 

L'appellante lamenta la "Errata interpretazione dell'onere probatorio imposto al lavoratore in materia di malattia non tabellata e delle prove offerte dalla lavoratrice": premesso che la tutela dell'INAIL si estende a tutte le tecnopatie fisiche e psichiche, l'appellante ritiene di avere pienamente dimostrato il nesso causale alla luce degli studi INAIL sulla sicurezza in ospedale, quanto al legame fra l'attività di movimentazione manuale dei carichi - inclusi i pazienti - e il rischio di affezioni del rachide; nonché alla luce delle testimonianze che hanno confermato l'attività di movimentazione dei pazienti allettati e di facchinaggio, unitamente al ritardo nella corretta applicazione della normativa di prevenzione dei rischi. Ha poi sottolineato l'appellante che la coxartrosi è interdipendente dai tratti osteo articolari superiori poiché legati meccanicamente dallo scarico dei pesi a terra, per cui, successivamente all'instaurarsi di una patologia del tratto sacrale, si instaura quella coxo-femorale. Tutte circostanze su cui il CTU di prime cure non si sarebbe intrattenuto. 

Con un secondo motivo di appello, strettamente connesso in quanto anch'esso relativo all'analisi del nesso causale, si lamenta l'errata applicazione del principio di equivalenza causale di cui all'art. 41 c.p.: il Tribunale avrebbe errato nel rigettare la domanda "poiché l'attività lavorativa non può ritenersi causa preponderante della patologia", dal momento che, come noto, per costante giurisprudenza, "va riconosciuta l'efficienza causale ad ogni antecedente che abbia contribuito, anche in maniera indiretta e remota, alla produzione dell'evento, salvo il temperamento previsto nello stesso art. 41 cod. pen., in forza del quale il nesso eziologico è interrotto dalla sopravvenienza di un fattore sufficiente da solo a produrre l'evento": fatto estraneo la cui sussistenza non è emersa. 

L'appello, complessivamente, è infondato. È stata disposta una nuova CTU, affidando al consulente il "medesimo quesito di cui alla CTU di primo grado, nei limiti del devoluto": vale a dire che l'esperto è stato incaricato dal Collegio di riscontrare proprio la sussistenza del nesso causale fra le patologie come individuate dalla CTU di primo grado ed ormai pacifiche ("artrosi polidistrettuale a prevalente interessamento spondilodiscoartrosico diffuso con radicolopatia C5 - C6 sx e L4 - L5 bilaterale e coxartrosico, sindrome ansioso depressiva in trattamento farmacologico") e le specifiche attività lavorative della appellante, tenendo conto delle specifiche osservazioni di cui ai due motivi di appello. 

Ebbene, il consulente, visitata la periziata, esaminata la documentazione in atti e discusso lungamente con il consulente di parte appellante, ha condivisibilmente così argomentato le proprie conclusioni, ostative all'accoglimento dell'appello: 

"Riguardo all'artrosi delle articolazioni delle anche, oggetto di trattamento ortopedico con artroprotesi bilaterale, non risulta che possa sussistere un rapporto con il lavoro in quanto l'artrosi dell'anca non rientra nella tabella delle malattie professionali, né nelle tabelle delle sospette malattie professionali soggette ad obbligo di denuncia. L'artrosi dell'anca non rientra in queste tabelle perché da un punto di vista patogenetico non risultano esistere condizioni di lavoro di qualunque natura capaci di determinare uno specifico sovraccarico delle anche, articolazioni che, indipendentemente dal lavoro, sono continuativamente sottoposte a condizioni di carico legato a tutti i possibili movimenti di una persona che si muove per svolgere una qualsiasi attività della vita. Peraltro è noto che la necessità di ricorrere ad interventi protesici è legata a fenomeni patologici articolari legati principalmente e fattori costituzionali di natura individuale. Va considerato che la presenza di artrosi delle anche ha interferito sulla vita personale e lavorativa della ricorrente perché buona parte dei sintomi variamente descritti in atti, come lombalgia, sciatalgia e cruralgia, possono essere correlati ad alterazioni della dinamica colonna,-bacino-anche indotte dalla artrosi delle anche. Dunque nella vicenda in esame non può ritenersi sussistente un nesso etiologico tralavoro svolto di Ausiliaria ospedaliera e la comparsa di patologie delle articolazioni coxofemorali. 

Riguardo alle lombalgie, si tratta di un disturbo significativo in termini di sintomatologia dolorosa, che ha a lungo interessato la vita personale e lavorativa della ricorrente. La lombalgia ed il suo correlato radiologico di artrosi lombare costituisce una delle patologie più comuni diffuse nella popolazione generale e costituisce il prototipo delle patologie a genesi multifattoriale, perché la sua origine può essere legata sia a fattori individuali (costituzione, pregressi traumi, malattie infiammatorie e dismetaboliche, dismorfismi della colonna), sia a fattori lavorativi. I fattori individuali sono sufficienti a determinare la comparsa di lombalgia, e la cosa è dimostrata dalla alta frequenza di lombalgia nella popolazione generale non esposta a rischi specifici. Nella vicenda in esame il corrispettivo oggettivo della sintomatologia soggettiva lombalgica risulta relativamente modesto, in quanto l'esame dirimente per la diagnosi di artrosi del rachide lombare, ovvero la risonanza magnetica, ha evidenziato nel 2007 la assenza di alterazioni osteoartrosiche ed una modesta alterazione dei dischi intersomatici senza segni di compressione sulle radici nervose. Poi nel 2015 conferma le presenza di discoartrosi di entità molto limitata e la assenza di segni di compressione delle radici nervose, che a sua volta conferma il dato anamnestico di dolore lombare senza irradiazione sciatalgica. Questi due esami dimostrano segni genericamente definibili come discoartrosi di entità molto limitata; segni di entità limitata che giustificano parte dei sintomi (ad esempio dimostrano un interessamento delle faccette articolari che può giustificare il dolore), giustificano la assenza di irradiazione agli arti inferiori, ma dimostrano alterazioni discoartriosiche di entità molto modesta. 

La spondilodiscoartrosi lombare rientra tra le patologie della colonna vertebrale che possono essere correlate con il lavoro in quanto presente come "spondilo discopatie del tratto lombare" nella lista delle malattie di origine professionale probabile (Decreto del Ministero del Lavoro del 10.6.2014: lista 1, gruppo 2, voce 03) quando compaiono a seguito di "movimentazione manuale di carichi eseguita con continuità durante il turno lavorativo". 

Dunque il decreto indica esplicitamente che per il riconoscimento della malattia professionale devono ricorrere due prerequisiti. Il primo è l'evidenza di segni radiologici significativi di spondilodiscopatie, segni che nella vicenda in esame sono alquanto sfumati e certamente modesti. Il secondo è la presenza di movimentazione manuale di carichi eseguita con continuità durante il turno lavorativo. Dunque si pone la necessità di valutare se il lavoro svolto dalla ricorrente aveva i caratteri del lavoro che comportava movimentazione manuale di carichi eseguita con continuità durante il turno lavorativo. E' noto che in ambitoospedaliero esistono condizioni di lavoro con la caratteristica di movimentare carichi in maniera continua ed è noto che tale caratteristica riguarda prevalentemente il ruolo infermieristico, in quanto l'Infermiere è quotidianamente impegnato nella assistenza di pazienti allettati non collaboranti che durante l'assistenza devono essere "movimentati" per assisterli ad assumere una posizione corretta, per l'igiene personale, per le medicazioni, per gli spostamenti nel letto e dal letto alla poltrona o alla carrozzina. E' anche noto che quando l'infermiere svolge queste operazioni da solo e senza la assistenza di colleghi o di sollevatori meccanici va incontro a condizioni di sovraccarico del rachide lombare che costituiscono un rischio prevenibile, ma specifico della sua mansione. I compiti lavorativi propri della mansione di Ausiliario ospedaliero svolta dalla ricorrente, comprendono (come anche indicato a pag 4 del ricorso in Appello) anche la collaborazione con gli infermieri nelle attività assistenziali di movimentazione dei pazienti non collaboranti, ma in generale, salvo eccezioni, si tratta di un compito assistenziale secondario, svolto in maniera discontinua o addirittura saltuaria, e questa discontinuità è dovuta al fatto che i compiti precipui dell'Ausiliario sono altri e comprendono le pulizie degli spazi comuni dell'ospedale, degli ambulatori, dei bagni e delle camere di degenza, il trasporto dei pazienti in barella o in carrozzella ed il loro accompagnamento se deambulanti con difficoltà, il prelievo dei pasti dalle cucine, la distribuzione dei vassoi ai pazienti e la eventuale assistenza nella assunzione degli alimenti, il prelievo dei farmaci dalla farmacia, il prelievo di materiali sanitari dai depositi, il prelievo della biancheria pulita dalla lavanderia, il trasporto dei prelievi di sangue al laboratorio d'analisi ed il prelievo delle risposte degli esami dal laboratorio ed infine compiti di accompagnamento dei pazienti in entrata ed in uscita. Tutti questi compiti, propri della mansione di Ausiliario, impegnano certamente la gran parte delle ore di turno e non comportano rischi da movimentazione di carichi. I compiti assistenziali svolti dall'ausiliario in collaborazione con l'infermiere costituiscono solo una parte molto limitata del lavoro, per cui il personale ausiliario si trova esposto a questo rischio solo in maniera discontinua se non saltuaria. E' difficile ritenere che negli Ospedali in cui la ricorrente ha lavorato, entrambi relativamente piccoli e generalmente in deficit d'organico, come accadeva negli anni 80 e 90, gli indispensabili compiti lavorativi propri dell'Ausiliario non fossero svolti da un ausiliario ma fossero svolti da altro personale di livello gerarchico superiore (ad es da infermieri generici o infermieri diplomati, come si chiamavano negli anni 80-90), o che per svolgere i compiti dell'ausiliario fosse disponibile ulteriore personale di livello gerarchico inferiore. Dunque è realistico ritenere cha la ricorrente abbia svolto i compiti di Ausiliaria propri del suo ruolo e solo in maniera limitata abbia collaborato a compiti assistenziali a rischio propridell'Infermiere. Per l'insieme di questi motivi, in particolare costituiti da una mancata evidenza di una esposizione a rischio di patologie osteoarticolari da sovraccarico della colonna, si ritiene che non sussistano elementi sufficienti a ritenere che la (modesta) spondilodiscopatia rilevata in diagnosi sia stata causata da condizioni lavorative di sovraccarico della colonna vertebrale. 

Per quanto riguarda la Sindrome ansioso-depressiva si tratta di un disturbo attestato da certificazioni di ospedali pubblici degli anni 2003 e 2014. Il disturbo è stato trattato con terapia psicofarmacologica che nel corso degli anni è stata sospesa (attualmente non risulta praticata) a dimostrazione di una evoluzione favorevole del disturbo. Attualmente non risultano disturbi psicologici in atto, né all'esame clinico, né nella documentazione sanitaria che si ferma al 2014. NON viene messa in discussione la diagnosi di Sindrome ansioso depressiva formulata allora, che risulta documentalmente attestata. Va invece valutata la origine del disturbo, ora regredito, ovvero se si sia trattato, o meno, di un disturbo secondario a stress lavorativo (come ritenuto dall' interessata). E' possibile che possa essersi trattato di un disturbo secondario a stress da altra causa, o anche se si sia trattato di un disturbo cosiddetto "endogeno" privo di cause evidenti. Chi scrive non è in grado di valutare se si sia trattato di uno stress da causa extralavorativa o un disturbo endogeno, ma per rispondere ai quesiti deve valutare se dagli atti e dall'esame clinico risulti l'evidenza di fattori di stress lavorativo. Il fattore di stress indicato in corso di operazioni peritali è costituito dal sovraccarico di lavoro presente nell'Ospedale di Palestrina e Zagarolo negli anni precedenti al 2014, quando fu presentata la domanda all'INAIL. Il lavoro era particolarmente gravoso anche e principalmente per la carenza degli organici cui il personale in servizio doveva supplire per compensare le carenze dell'organico. La ricorrente ha descritto che tale situazione determinava un continuo stato di tensione legata ai ritmi di lavoro sostenuti ed ai compiti lavorativi che le venivano richiesti, Le spiegazioni fornite sono sufficienti a spiegare la dinamica del disturbo, ma derivando esclusivamente da fattori soggettivi e da un "vissuto personale" non sono sufficienti ad oggettivare una condizione di reale sovraccarico o di reale stress. In pratica mancano elementi per sostenere che il disturbo sia stato causato da reali condizioni di sovraccarico di lavoro, o se invece il lavoro abbia richiesto un "normale" impegno, proprio di tutti i compiti lavorativi svolti in strutture complesse quali gli Ospedali. 

In base all'esame clinico e dall'esame degli atti, la Sig.ra D.C. risulta affetta da: poliartralgie diffuse, prevalentemente localizzate e alla regione lombare senza irradiazione sciatalgica, alla regione cervicale, alle estremità degli arti, alle articolazioni coxofemorali sedi di interventi di protesi bilaterale per artrosi dell'anca e da esiti di pregresso disturboansioso depressivo. Da quanto esaminato sopra in dettaglio manca l'evidenza di condizioni di lavoro che abbiano comportato un sovraccarico della colonna vertebrale sufficiente ad indurre la comparsa di poliartralgie e dei segni peraltro modesti di spondilo artrosi lombare. 

Così pure manca l'evidenza di un lavoro svolto in condizioni di sovraccarico, tali da porsi come fattore di stress lavorativo, dunque la sindrome ansioso depressiva diagnosticata nel 2014 non è inquadrabile come malattia da stress lavoro correlato. 

Per questi motivi non si ritiene sussistente l'evidenza di una correlazione tra i rischi legati al lavoro svolto dalla ricorrente e le patologie denunciate all'INAIL, patologie che non possono essere riconosciute come di natura professionale.". 

Tali esaurienti approfondimenti diagnostici danno conto della infondatezza in fatto di entrambi i motivi di appello in quanto, né l'esposizione (peraltro non continuativa) alla MMC ovvero a condizioni di stress da superlavoro, né l'assenza di concause idonee ad interrompere il nesso causale sono elementi idonei, di per sé soli, a determinare l'origine tecnopatica delle patologie lamentate. 

Sulla mancanza di continuità nella MMC, quale presupposto della spondiloartrosi, in particolare, hanno concordato gli stessi testi escussi in primo grado (ad es. teste L., non contraddetta dall'altra teste escussa: "gli ausiliari ci aiutavano a sistemare il materiale della dialisi e a fare le pulizie. Il materiale significa taniche di circa 10 chilogrammi da scaricare due volte a settimana trenta o quaranta tanichette. Lei ci aiutava a sistemarle a mano. … Immagino che aiutassero a sollevare i pazienti come dappertutto. … Lo scarico lo facevano a turno lì con noi magari capitava che era in turno e lo faceva se non era in turno no"). 

Del resto, il consulente dell'appellante ha interloquito con il CTU prima della redazione della bozza ma non ha presentato ulteriori osservazioni dopo l'invio della bozza medesima alle parti. 

Conclusivamente, la sentenza gravata va confermata laddove (pur scorrettamente riferendosi alla necessità di una "causa preponderante") ha escluso la configurabilità delle patologie denunciate in termini di malattia professionale. 

Le spese di lite del grado seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo. 

Deve infine darsi atto che, per l'appellante, sussistono i presupposti di cui all'art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002 per il raddoppio del contributo unificato, ove dovuto. 

P.Q.M. 

Definitivamente pronunciando sull'appello proposto da D.C.A. con ricorso depositato il 27.4.2021 avverso la sentenza del Tribunale del Lavoro di Tivoli del 28.10.2020 n. 670/2020 nei confronti di INAIL, così provvede: 

- Respinge l'appello; 

- Condanna l'appellante a rimborsare all'INAIL le spese di lite del grado, liquidate in Euro 3.000,00 oltre accessori di legge; 

- Dà atto che per l'appellante sussistono le condizioni richieste dall'art.13 comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002 per il raddoppio del contributo unificato, ove dovuto. 

Così deciso in Roma, il 5 luglio 2023. 

Depositata in Cancelleria il 28 luglio 2023. 




Nessun commento: