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domenica 31 marzo 2024

Cassazione 2024-"Infine, va dichiarata inammissibile l'ulteriore censura mossa dall'Ufficio, secondo la quale la C.t.r. ha interpretato in modo errato la dichiarazione dell'Inps dalla quale, invece, si evincerebbe che le somme trattenute per la restituzione dell'indebito erano state compensate al lordo con la pensione dovuta, in tal modo consentendo al contribuente la deduzione delle ritenute. "

 

Cass. civ. Sez. V, Sent., (ud. 06/02/2024) 25-03-2024, n. 7960 

Fatto Diritto P.Q.M. 

REPUBBLICA ITALIANA 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE 

SEZIONE TRIBUTARIA CIVILE 

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati 

Dott. CIRILLO Ettore - Presidente 

Dott. GIUDICPIETRO Andreina - Consigliere 

Dott. CRIVELLI Alberto - Consigliere 

Dott. CHIECA Danilo - Consigliere 

Dott. ANGARANO Rosanna - Consigliere rel. 

ha pronunciato la seguente 

SENTENZA 

sul ricorso iscritto al n. 4457/2020 R.G. proposto da: 

Agenzia Delle Entrate, in persona del Direttore pro tempore, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi, 12, presso l'Avvocatura generale dello Stato che la rappresenta e difende, 

- ricorrente - 

OMISSIS, rappresentato e difeso dell'Avv.   

- controricorrente - 

avverso la sentenza della Comm.Trib.Reg. Campania, n. 8029/2019, depositata il 17 ottobre 2019; 

udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 6 febbraio 2024 dal Consigliere Rosanna Angarano; 

dato atto che il Sostituto Procuratore Generale, Giuseppe Locatelli, ha chiesto di cassare senza rinvio la sentenza impugnata in quanto la causa non poteva essere proposta per difetto di legitimatio ad causam del ricorrente . 

Svolgimento del processo 

1. L'Agenzia delle Entrate ricorre nei confronti di OMISSIS che resiste con controricorso, avverso la sentenza in epigrafe. Con quest'ultima la C.t.r. ha rigettato l'appello dell'Ufficio avverso la sentenza della C.t.p. di Benevento che aveva accolto il ricorso del contribuente avverso il diniego formatosi sull'istanza di restituzione delle ritenute fiscali operate sull'importo erogatogli dall'Inps in ragione di un trattamento pensionistico poi restituito in quanto non spettante. 

2. Il contribuente, per gli anni dal 2002 al 2006, percepiva dall'Inps un trattamento pensionistico, soggetto a ritenuta alla fonte, che gli veniva revocato nel 2012 in quanto non spettante. Dal 2013, pertanto, in ragione di un piano di restituzione concordato provvedeva alla restituzione delle somme indebite attraverso decurtazione mensile sul trattamento pensionistico erogatogli. 

Sul presupposto che la restituzione in favore dell'Inps fosse al lordo delle ritenute alle fonte operate dall'Ente al momento dell'erogazione, il contribuente, con istanza del 25 maggio 2015, chiedeva all'Agenzia delle entrate il rimborso della somma di Euro 24.361,41 pari alla ritenuta complessivamente applicata sull'intero trattamento percepito dal 2002 al 2006 e ricorreva avverso il silenzio-rifiuto formatosi sulla stessa. 

3. La C.t.p. accoglieva il ricorso. Rilevava che l'Agenzia - la quale aveva sostenuto che il recupero delle trattenute subite era avvenuto mediante il maccanismo della detrazione di cui all'art. 10. t.u.i.r. e che l'Inps aveva provveduto a detrarre l'imposta dall'imponibile delle somme restituite annualmente - non aveva provato quanto allegato. 

4. La C.t.r. confermava la sentenza di primo grado. Rilevava, in particolare, che dalle dichiarazione dei redditi presentate dal contribuente non risultava che quest'ultimo avesse indicato le imposte oggetto di ritenuta tra gli oneri deducibili e che dalle comunicazioni dell'Inps non risultava che fossero stati conteggiati e dedotti gli importi relativi alle ritenute Irpef sulle somme non spettanti. Osservava, pertanto, che, in ragione del piano di recupero al lordo delle imposte, il contribuente si trovava a pagarle una seconda volta. Per l'effetto concludeva per l'illegittimità del diniego. 

Con ordinanza interlocutoria n. 25935 del 2023 la causa veniva rinviata a nuovo ruolo per trattazione in pubblica udienza. 

Motivi della decisione 

1. Con l'unico motivo l'Agenzia delle entrate denuncia, in relazione all'art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione o falsa applicazione dell'art. 10, comma 1, lett. d-bis), e dell'art. 51, comma 2, lett. h) t.u.i.r. 

Assume che la sentenza si pone in contrasto con le disposizioni richiamate che consentono al contribuente di recuperare, sotto forma di onere deducibile, le ritenute a suo tempo operate sulle somme versate dal datore di lavoro al momento dell'erogazione dell'emolumento non spettante. Osserva che, per prassi, l'Inps, quale sostituto di imposta provvedeva al recupero della somme indebitamente erogate al lordo delle ritenute; che, a seguito della restituzione il contribuente poteva recuperare le somme corrisposte a titolo di Irpef secondo le modalità di cui all'art. 10, comma 1, lett. d-bis, t.u.i.r. ovvero fruendo di un onere deducibile; che, in alternativa, il predetto onere deducibile può anche essere riconosciuto direttamente dal sostituto di imposta; che nella stessa direzione opera l'art. 51, comma 2, lett. h) t.u.i.r. il quale prevede che non concorrono a formale il reddito di lavoro dipendente, ai fini imponibili, le somme trattenute al dipendente per oneri di cui all'art. 10 t.u.i.r. Aggiunge che la C.t.r. ha errato nell'interpretare la comunicazione dell'Inps la quale, invece, aveva chiarito che le somme trattenute per ottenere la restituzione dell'indebito erano state compensate a lordo con la pensione dovuta, così consentendo la deduzione delle ritenute. 

2. La questione controversa attiene alle modalità attraverso le quali il contribuente che sia tenuto a restituire all'ente erogatore, in quanto indebite, somme che hanno concorso alla determinazione dell'imponibile negli anni passati e, come tali, soggette a ritenute alla fonte, possa recuperare, in caso di restituzione a lordo, le imposte già oggetto di trattenuta. 

Nella fattispecie, viene in rilievo una prestazione pensionistica erogata prima dall'Inpdap e poi dall'Inps, ma la medesima questione si pone non soltanto per i redditi da lavoro dipendente, bensì per tutti i redditi assoggettati a tassazione con il criterio di cassa. 

3. La questione è stata oggetto di vari interventi normativi che appare opportuno riepilogare. 

3.1. In primo luogo viene in rilievo l'art. 10, comma 1, lett. d-bis) t.u.i.r., richiamato dalla difesa erariale, che, nella versione vigente fino all'anno di imposta 2012, disponeva che "Dal reddito complessivo si deducono, se non sono deducibili nella determinazione dei singoli redditi che concorrono a formarlo, i seguenti oneri sostenuti dal contribuente le somme restituite al soggetto erogatore, se hanno concorso a formare il reddito in anni precedenti". 

La lett. d-bis) cit. è stata inserita dall'art. 5 D.Lgs. 2 settembre 1997, n. 314 così rubricato: "Armonizzazione, razionalizzazione e semplificazione delle disposizioni fiscali e previdenziali concernenti i redditi di lavoro dipendente e dei relativi adempimenti da parte dei datori di lavoro". Il legislatore, inserendo detta disposizione ha introdotto un nuovo onere deducibile, pari, appunto, all'importo delle somme che in un periodo d'imposta sono state assoggettate a tassazione e, successivamente, sono state rimborsate all'ente erogatore. 

La disposizione aveva l'obiettivo di risolvere proprio il problema posto dalla fattispecie in esame, ovvero quello del rimborso delle imposte pagate su somme percepite e assoggettate a tassazione secondo il criterio di cassa e poi restituite al soggetto erogatore. Non essendo previsto, infatti, l'istituto delle sopravvenienze passive per i redditi tassati con il criterio di cassa, rimaneva dubbia l'esistenza di un supporto giuridico per procedere al rimborso delle imposte relative a somme che erano entrate nella disponibilità del contribuente, ma che successivamente erano state restituite. 

Va aggiunto che per effetto della lettera h) del comma 2 del nuovo articolo 48 (ora 51 t.u.i.r.), come sostituito dall'art. 3 D.Lgs. n. 314 del 1997, il predetto onere deducibile poteva anche essere riconosciuto direttamente dal sostituto di imposta e non concorrere a formare il reddito imponibile, evitando così che il contribuente dovesse presentare la dichiarazione dei redditi per ottenere il riconoscimento di tale onere. Detta disposizione, infatti, prevede che non concorrono a formare il reddito da lavoro dipendente le somme trattenute al dipendente per oneri di cui all'art. 10 t.u.i.r. 

Dal punto di vista oggettivo, l'articolo 10, comma 1, lettera d-bis), t.u.i.r., nel testo originario, si applica alle somme oggetto di restituzione, sia assoggettate a ritenuta a titolo di imposta (ovvero ad imposta sostitutiva) o a titolo di acconto, sia a quelle assoggettate ad Irpef in sede di dichiarazione dei redditi. Tali somme, pertanto costituiscono un onere deducibile indipendentemente dalla modalità di tassazione (anche separata) subìta. Con tale onere deducibile (di importo pari alla somma precedentemente assoggettata a tassazione e, successivamente, rimborsata al soggetto erogatore) il contribuente recupera le imposte pagate al momento della percezione delle somme. 

3.2. L'art. 10, comma 1, lettera d-bis) t.u.i.r. è stato modificato dall'art. 1, comma 174, legge 27 dicembre 2013, n. 147, (legge di stabilità 2014), a decorrere dall'anno di imposta 2013. 

Al fine di consentire il recupero delle imposte versate al momento della percezione delle somme, anche qualora il reddito complessivo del periodo d'imposta in cui sono restituite fosse risultato incapiente, la nuova disposizione, nel confermare la deducibilità delle somme restituite al soggetto erogatore, se assoggettate a tassazione in anni precedenti, ha previsto che "l'ammontare, in tutto o in parte, non dedotto nel periodo d'imposta di restituzione può essere portato in deduzione dal reddito complessivo dei periodi d'imposta successivi; in alternativa, il contribuente può chiedere il rimborso dell'imposta corrispondente all'importo non dedotto secondo modalità definite con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze". 

Il richiamo è al D.M. 5 aprile 2016 (pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 88 del 15 aprile 2016) il quale all'art. 1, comma 4, prevede che "In alternativa alla deducibilità dal reddito complessivo dei periodi d'imposta successivi, il contribuente può chiedere, entro il termine di cui all'articolo 2, comma 1, il rimborso dell'importo determinato applicando all'intero ammontare delle somme non dedotte l'aliquota corrispondente al primo scaglione di reddito di cui all'articolo 11 del citato TUIR. La richiesta di rimborso è irrevocabile". L'art. 2 detta puntualmente le modalità di rimborso prevedendo che "1. L'istanza di rimborso di cui all'art. 1, comma 4, è presentata in carta libera agli uffici territoriali dell'Agenzia delle entrate nel termine biennale indicato nell'art. 21, comma 2, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, decorrente dalla data di scadenza del termine di presentazione della dichiarazione dei redditi relativa al periodo di imposta nel quale sono state restituite le somme. 2. Per i contribuenti non obbligati alla presentazione della dichiarazione dei redditi il termine biennale di presentazione dell'istanza di rimborso di cui al comma 1 decorre dalla data di scadenza del termine di presentazione della dichiarazione dei redditi relativa al periodo d'imposta nel quale è avvenuta la restituzione, ancorché l'importo restituito non sia stato prioritariamente dedotto dal reddito complessivo". L'art. 3, contenente la disciplina transitoria, prevede che "i contribuenti che negli anni 2013 e 2014 hanno restituito al soggetto erogatore somme assoggettate a tassazione in anni precedenti e che per le stesse somme non hanno fruito, in tutto o in parte, della deduzione dal reddito complessivo possono presentare l'istanza di rimborso di cui all'art. 2, comma 1, dell'importo determinato applicando alle somme non dedotte l'aliquota corrispondente al primo scaglione di reddito di cui all'art. 11 del citato TUIR. In tal caso, il termine biennale di cui all'art. 21, comma 2, del citato decreto legislativo n. 546 del 1992 decorre dalla data di entrata in vigore del presente decreto". 

3.3. Da ultimo, l'articolo 150 D.L. 19 maggio 2020, n. 34 - c.d. decreto Rilancio, convertito con modificazioni dalla legge 17 luglio 2020, n. 77, - rubricato "Modalità di ripetizione dell'indebito su prestazioni previdenziali e retribuzioni assoggettate a ritenuta alla fonte a titolo di acconto"), ha introdotto nell'articolo 10 t.u.i.r. il comma 2-bis con il quale è stata espressamente prevista la cosiddetta modalità di restituzione al netto in aggiunta a quella al lordo della ritenuta stabilita dall'articolo 10, lettera d-bis) t.u.i.r. 

Detta disposizione si applica alle somme restituite dal 1 gennaio 2020, facendo salvi i rapporti già definiti alla data di entrata in vigore del decreto, ovvero al 19 maggio 2020. 

Sulla portata di tale disposizione l'Agenzia delle Entrate (circ. 14 luglio 2021, n. 8/E) ha precisato che, al fine di evitare ingiustificate disparità di trattamento in base alla diversa tipologia di ritenuta operata, che la restituzione al netto della ritenuta, possa avvenire nell'ipotesi in cui le somme da restituire siano state assoggettate a qualsiasi titolo, a ritenuta alla fonte (a titolo di acconto o d'imposta), nonostante la rubrica dell'articolo 150 faccia riferimento esclusivamente alle "ritenute alla fonte a titolo di acconto". 

3.4. Così ricostruita l'evoluzione normativa sul tema, va immediatamente rilevato che alla fattispecie in esame non si applicano né le modifiche apportate alla legge di stabilità del 2014, in quanto l'istanza di rimborso è antecedente al decreto ministeriale che ne ha dettato la disciplina di attuazione anche con riferimento alle annualità pregresse, né quelle adottate nel 2020 dal decreto rilancio che presuppongono una restituzione al netto che non può verificarsi laddove, come chiarito dall'Agenzia delle entrate nella circolare n. 8/E del 2021, il contribuente ha già restituito l'indebito al lordo; oppure per effetto di pronunce giurisdizionali passate in giudicato, sia stabilita la restituzione al lordo, salvo diverso successivo accordo tra le parti; sia in corso un piano di restituzione rateizzato, calcolato al lordo delle ritenute operate all'atto dell'erogazione, salvo diverso successivo accordo tra le parti. 

4. Come detto, l'art. 10, comma 1, lett. d)-bis t.u.i.r, vigente ratione temporis, consentiva il recupero delle imposte trattenute al momento della erogazione delle somme, successivamente restituite, operando la deduzione nei limiti della capienza del reddito imponibile dichiarato nel periodo di imposta di restituzione. 

Di qui la tesi che detta ultima fosse l'unica modalità di recupero nelle fattispecie ivi contemplate. 

Trattasi, tuttavia, di tesi non condivisibile. 

4.1. Questa Corte ha chiarito che l'impossibilità di recuperare per intero, mediante il meccanismo dell'onere deducibile, le imposte trattenute e non dovute, non esclude il legittimo ricorso alla procedura di rimborso. 

È stato precisato, infatti, che, l'art. 10 t.u.i.r. riconosce al contribuente esclusivamente la facoltà di utilizzare, nella dichiarazione dei redditi, il meccanismo della deduzione dell'onere dalla complessiva base imponibile (e cioè, in sostanza, una forma di restituzione per compensazione), ma che il mancato esercizio di tale facoltà non preclude affatto il ricorso all'ordinario strumento della procedura di rimborso, mediante presentazione della relativa domanda nel termine previsto a pena di decadenza. 

Va ribadito, pertanto che l'azione di rimborso di somme indebitamente versate non può, salvo espressa disposizione contraria, ritenersi preclusa in presenza di ulteriori modalità di recupero del pagamento indebito, la cui utilizzazione è prevista a più limitati fini ed è rimessa alla libera scelta del contribuente (Cass. 09/11/2023, nn. 31205 e 31198, Cass. 14/09/2021, n. 24650 cit., Cass. 01/08/2019, n. 29744, Cass. 27/10/2017 n. 25564). 

4.2. Tale soluzione ermeneutica trova ulteriore conforto nella successiva modifica apportate dalla legge di stabilità del 2014 che ha espressamente contemplato, in alternativa allo strumento di trattare le ritenute alla stregua di un costo deducibile, il diritto al rimborso dettando una specifica disciplina attuativa. 

4.3 Va ulteriormente precisato che l'azione di rimborso, nella fattispecie in esame, è governata dall'art. 38 D.P.R. n. 29 settembre 1973, n. 602 e dall'art. 21, D.Lgs. n. 546 del 1992 che costituisce norma di chiusura in ipotesi di mancata previsione di un termine specifico. 

L'art. 38 cit. prevede che "il soggetto che ha effettuato il versamento diretto può presentare istanza di rimborso, entro il termine di decadenza di quarantotto mesi dalla data del versamento stesso, nel caso di errore materiale, duplicazione ed inesistenza totale o parziale dell'obbligo di versamento". 

Questa Corte, con consolidata giurisprudenza, ha precisato che in tema di rimborso delle imposte dirette il termine di decadenza previsto dall'art. 38 cit. ha portata generale e si riferisce a qualsiasi ipotesi di indebito correlato all'adempimento dell'obbligazione tributaria, qualunque sia la ragione per cui il versamento è in tutto o in parte non dovuto, e, quindi, ad errori tanto connessi ai versamenti quanto riferibili all'an o al quantum del tributo. Viceversa, l'art. 21, comma 2, D.Lgs. n. 546 del 1992 costituisce norma residuale e di chiusura del sistema, in virtù della quale "la domanda di restituzione, in mancanza di disposizioni specifiche, non può essere presentata dopo due anni dal pagamento ovvero, se posteriore, dal giorno in cui si è verificato il presupposto per la restituzione" (Cass. 09/11/2023, nn. 31205 e 31198, Cass. 16/05/2023, n. 13332, Cass. 14/09/2021 n. 24650, Cass. 01/08/2019 n. 20744, Cass. 07/08/2015, n. 16617, Cass. Sez. U. 16/06/2014, n. 13676, Cass. 12/07/2006, n. 15840). 

Nella locuzione "inesistenza totale o parziale dell'obbligo di versamento", di cui all'art. 38 D.P.R. n. 602 del 1973, rientra anche il caso di pagamento eseguito erroneamente perché non dovuto per carenza della supposta obbligazione tributaria, integrandosi così un indebito oggettivo. Il testuale tenore della norma non autorizza un'interpretazione diversa e, in particolare, non consente di distinguere tra versamenti diretti in relazione ai quali il contribuente faccia valere l'inesistenza dell'obbligo legislativo di versamento e quelli per i quali lo stesso deduca l'inesistenza in concreto dell'obbligazione tributaria. Si è precisato, infatti, che non è sostenibile che l'art. 38 sia applicabile alle sole ipotesi di pagamento ab origine non dovuto e non in quelli in cui, come nella specie, l'insussistenza dell'obbligazione tributaria e, quindi dell'obbligo di versamento, sopravvenga in un momento successivo al pagamento. (Cass. 01/08/2019, n. 20744). 

Va ribadito, pertanto, che, anche qualora il tributo, originariamente dovuto su una prestazione effettivamente percepita e corrisposto dal soggetto erogatore a mezzo di ritenuta alla fonte, diventi indebito a seguito dell'obbligo di restituire la prestazione conseguente all'accertamento che quest'ultima non era dovuta, l'azione di ripetizione resta comunque soggetta alla disposizione, di carattere generale, di cui all'art. 38 cit. Detta norma, infatti, presidia il rimborso dell'imposta sia originariamente non dovuta sia dell'imposta che, pur legittimamente corrisposta al momento del versamento, acquisisca in un momento successivo i connotati dell'indebito. 

5. Quanto al dies a quo di decorrenza del termine di cui all'art. 38 cit., va disatteso l'assunto della difesa erariale secondo il quale il termine decorrerebbe dalla data di pagamento delle ritenute. 

L'art. 38, secondo comma, D.P.R. n. 602 del 1973, per il caso di ritenuta alla fonte, identifica lo stesso, in generale, con la data in cui la ritenuta è stata operata. 

Tuttavia, questa Corte ha precisato che la decorrenza del termine di decadenza non coincide con la data del pagamento allorché il fatto che quest'ultimo non sia dovuto derivi da un evento successivo, soltanto dal quale discenda in modo incontrovertibile la qualificazione di erroneità e, quindi, il carattere indebito della somma percepita dall'amministrazione (Cass. 09/11/2023, nn. 31205 e 31198, Cass. 26/05/2017, n. 13436, Cass. 01/08/2019, n. 20744, Cass. 21/12/2004, n. 23716). 

A detta data, infatti, il pagamento dell'imposta era dovuto in quanto il contribuente, avendo riscosso la prestazione soggetta a ritenuta, non aveva titolo alcuno per richiederne il rimborso sicché all'istanza l'Amministrazione non avrebbe che potuto opporre un diniego. In altri termini, non vi era la possibilità legale di chiedere la restituzione dell'imposta applicata sul trattamento all'epoca spettante. Solo a seguito dell'accertamento della non spettanza della prestazione il pagamento dell'imposta è divenuto indebito, con conseguente diritto alla sua restituzione. 

Pertanto, anche nella fattispecie in esame si è in presenza di un fatto sopravvenuto, da identificarsi nell'accertamento che ha fondato il diritto dell'Inps a ricevere la restituzione delle somme, e per conseguenza, quello del contribuente a ripetere gli importi trattenuti a titolo di ritenuta sulle stesse. 

In particolare, tale sopravvenienza va riguardata rispetto alla situazione anteriore in cui il contribuente aveva diritto ad una prestazione pensionistica e contestualmente era incontestabilmente assoggettato alla maggior ritenuta per imposte dirette. 

Per chiarezza, deve, altresì, aggiungersi che tale situazione è ben diversa da quella - affrontata dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 13676 del 2014 cit. - in cui il pagamento sia avvenuto in virtù di una norma dichiarata costituzionalmente illegittima, o contraria al diritto unionale, o ancora in ipotesi di lettura di una disposizione poi superata in base ad un nuovo orientamento, del tutto difforme rispetto a quello precedente, situazione quest'ultima indicata come overruling (per tutte Cass. 12/02/2019, n. 4135). 

6. Pertanto, va ribadito il principio di diritto già affermato, secondo il quale "in tema di restituzione delle somme non dovute versate dal sostituto d'imposta, l'impossibilità per il contribuente di recuperare per intero le imposte indebitamente trattenute mediante il meccanismo compensativo della deduzione dell'onere dalla complessiva base imponibile, nei limiti della capienza, previsto dall'art. 10, comma 1, lett. d-bis), t.u.i.r. (vigente ratione temporis), ovvero il mancato esercizio di tale facoltà, non preclude il ricorso all'ordinaria procedura di rimborso dei versamenti diretti ex art. 38 D.P.R. n. 602 del 1972, mediante presentazione della relativa domanda nel termine decadenziale (stabilito, in via residuale, dall'art. 21, comma 2, D.Lgs. n. 546 del 1992), trattandosi di azione avente portata generale in materia tributaria, non preclusa, salvo contraria disposizione di legge, da ulteriori modalità di recupero del pagamento indebito, la cui utilizzazione è prevista a più limitati fini ed è rimessa alla libera scelta del contribuente" (cfr. Cass. n. 24650 del 2021 cit.). 

Inoltre, va affermato il seguente principio di diritto: "in tema di rimborso di imposte dirette, si applica l'art. 38 D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 - e non l'art 21 D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 avente carattere residuale - per l'ipotesi di imposta che, pur legittimamente corrisposta, a mezzo di ritenuta alla fonte, all'atto del pagamento della prestazione che ne costituisce il presupposto, sia risultata indebita in ragione del successivo accertamento che quest'ultima non è dovuta, con conseguente obbligo di restituzione al soggetto erogatore. Il dies a quo per la domanda di rimborso non coincide con quello in cui è stata eseguita la ritenuta, ma con quello in cui il contribuente è tenuto alla restituzione della prestazione principale". 

7. Quanto al soggetto legittimato all'azione di rimborso, va ribadito che quest'ultimo si identifica tanto nel sostituto d'imposta (nella specie l'Inps), che ha effettuato il versamento a seguito di ritenuta, quanto dal sostituito (il contribuente); infatti, ai sensi dell'art. 38 D.P.R. n. 602 del 1973, sono legittimati a richiedere alla Amministrazione finanziaria il rimborso delle somme non dovute e ad impugnare l'eventuale rifiuto dinanzi al giudice tributario, sia il soggetto che ha effettuato il versamento (c.d. sostituto di imposta), sia il percipiente delle somme assoggettate a ritenuta (c.d. sostituito) (cfr., tra le altre, Cass. 09/11/2023, nn. 31205 e 31198, Cass. n.29/09/2015, n. 16105, Cass. 16/07/2015, n. 14911, Cass. 12/03/2014, n. 5653). 

8. Deve, altresì, escludersi che l'istanza di rimborso del contribuente richieda la prova dell'avvenuta integrale restituzione all'Inps dell'importo al lordo delle ritenute effettuate. Infatti, dalla riconosciuta alternatività della legittimazione ad agire per la ripetizione delle imposte indebitamente versate, discende la sostanziale autonomia dei rapporti tra sostituto e sostituito rispetto al rapporto fiscale e, conseguentemente, la mancanza di interesse specifico dell'Agenzia ricorrente per detto rapporto tra le parti (Cass. 14/09/20121 n. 24650). 

9. La C.t.r. si è attenuta a questi principi. Infatti, una vola accertato in fatto che il contribuente non si era avvalso della modalità di recupero di cui all'art. 10 tu.i.r. e che il piano di recupero dell'Inps era a lordo delle imposte, ha concluso per l'illegittimità del diniego di rimborso. Resta, pertanto, irrilevante che la C.t.r. abbia fatto riferimento alla giurisprudenza della sezione lavoro di questa Corte secondo la quale le restituzione in favore del soggetto erogante la prestazione deve avvenire al netto delle imposte. 

10. Infine, va dichiarata inammissibile l'ulteriore censura mossa dall'Ufficio, secondo la quale la C.t.r. ha interpretato in modo errato la dichiarazione dell'Inps dalla quale, invece, si evincerebbe che le somme trattenute per la restituzione dell'indebito erano state compensate al lordo con la pensione dovuta, in tal modo consentendo al contribuente la deduzione delle ritenute. 

Riproponendo la questione delle modalità di recupero dell'indebito attuate dall'Inps, l'Ufficio, se pure prospetta una violazione di legge, sollecita, in realtà, una rivalutazione dei fatti operata dal giudice di merito, così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito (Cass. 04/07/ 2017, n. 8758). Oggetto del giudizio che vorrebbe demandarsi a questa Corte non è l'analisi e l'applicazione delle norme, bensì l'apprezzamento delle prove, rimesso alla valutazione del giudice di merito (Cass. 13/05/2022, n. 17744, Cass. 05/02/ 2019, n. 3340; Cass. 14/01/ 2019, n. 640; Cass. 13/10/ 2017, n. 24155; Cass. 04/04/ 2013, n. 8315). 

12. In conclusione, il ricorso va complessivamente rigettato. 

13. Le spese del giudizio di legittimità, in favore della sola controricorrente che ha svolto attività difensiva, seguono la soccombenza. 

14. Poiché risulta soccombente una parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, non si applica l'art. 13 comma 1-quater, D.P.R., 30 maggio 2002, n. 115. 

P.Q.M. 

La Corte rigetta il ricorso e condanna l'Agenzia delle entrate al rimborso in favore della controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in Euro 200,00 per esborsi, Euro 4.100,00, per compensi, oltre spese generali nella misura forfettaria del 15 per cento, iva e cap come per legge. 

Così deciso in Roma, 6 febbraio 2024. 

Depositato in Cancelleria il 25 marzo 2024. 


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