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sabato 22 aprile 2023

Cassazione 2023-Con sentenza n. 559 del 2016, la Corte di Appello di Palermo, in parziale riforma della sentenza impugnata, ha condannato OMISSIS alla restituzione dell'indennità di mobilità illegittimamente corrispostagli (nel periodo novembre 2000 - febbraio 2002) benchè contestualmente impegnato in attività di lavoro autonomo, e ha confermato, per il resto, la sentenza di primo grado, di accoglimento della domanda di accertamento negativo della ripetibilità delle somme pretese dall'INPS a titolo di pensione di anzianità erogata con decorrenza 1 ottobre 2001.

 

Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., (ud. 07/07/2022) 18-04-2023, n. 10337 

REPUBBLICA ITALIANA 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE 

SEZIONE LAVORO 

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: 

Dott. BERRINO Umberto - Presidente - 

Dott. MANCINO Rossana - rel. Consigliere - 

Dott. MARCHESE Gabriella - Consigliere - 

Dott. CALAFIORE Daniela - Consigliere - 

Dott. CAVALLARO Luigi - Consigliere - 

ha pronunciato la seguente: 

SENTENZA 

sul ricorso 29381-2016 proposto da: 

I.N.P.S. - ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l'Avvocatura Centrale dell'Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati ANTONELLA PATTERI, SERGIO PREDEN, LUIGI CALIULO; 

- ricorrente - 

contro 

X

- controricorrente - 

avverso la sentenza n. 559-2016 della CORTE D'APPELLO di PALERMO, depositata il 10/06/2016 R.G.N. 1206-2014; 

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 07/07/2022 dal Consigliere Dott. ROSSANA MANCINO; 

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. MARIO FRESA, che ha concluso per il rigetto del ricorso; 

udito l'Avvocato ANTONELLA PATTERI; 

udito l'Avvocato ANNA BUTTAFOCO per delega verbale Avvocato LORENZO MARIA DENTICI. 

Svolgimento del processo 

1. Con sentenza n. 559 del 2016, la Corte di Appello di Palermo, in parziale riforma della sentenza impugnata, ha condannato OMISSIS alla restituzione dell'indennità di mobilità illegittimamente corrispostagli (nel periodo novembre 2000 - febbraio 2002) benchè contestualmente impegnato in attività di lavoro autonomo, e ha confermato, per il resto, la sentenza di primo grado, di accoglimento della domanda di accertamento negativo della ripetibilità delle somme pretese dall'INPS a titolo di pensione di anzianità erogata con decorrenza 1 ottobre 2001. 

2. Per quanto in questa sede rileva, la Corte di merito, confermando la sentenza gravata nel capo relativo all'indebito previdenziale preteso in ripetizione dall'INPS a titolo di trattamento pensionistico carente della relativa provvista contributiva (per effetto dell'annullamento dei contributi figurativi, accreditati per i periodi di mobilità, a cagione del contemporaneo svolgimento di attività lavorativa autonoma), in applicazione della L. n. 88 del 1989, art. 52, e dell'interpretazione autentica fornita dalla L. n. 412 del 1991, art. 13, ha escluso, nella specie, una condotta dolosa preordinata a conseguire immeritati benefici patrimoniali, sul presupposto che il lavoratore non avesse mai celato, all'INPS, lo svolgimento di attività lavorativa autonoma nel periodo di fruizione dell'indennità di mobilità (pur non avendone dato regolare comunicazione all'ente previdenziale), per avere l'assicurato provveduto al costante versamento dei relativi contributi, ragione per cui l'INPS, già prima della liquidazione della pensione di anzianità e nel corso dell'erogazione dell'indennità di mobilità, era o avrebbe dovuto essere a conoscenza della situazione professionale del OMISSIS. 

3. In definitiva, la Corte di merito applicava la regola di settore, valida per le prestazioni previdenziali, dell'irripetibilità delle somme elargite sine titulo in assenza di dolo dell'accipiens. 

4. Avverso tale sentenza l'INPS ha proposto ricorso, affidato a un unico motivo, ulteriormente illustrato con memoria, al quale ha opposto difese OMISSIS, con controricorso, ulteriormente illustrato con memoria. 

Motivi della decisione 

5. Con i motivi di ricorso l'INPS, deducendo violazione dell'art. 2033 c.c. e della L. n. 412 del 1991, art. 13, assume che la statuizione della Corte di merito - che ha escluso il dolo per non avere il pensionato celato all'istituto lo svolgimento dell'attività lavorativa autonoma per la quale aveva versato i contributi dovuti - risulta in contrasto con Cass.n. 9963 del 2007 giacchè, nella specie, si versa nell'ipotesi di indebita percezione di ratei pensionistici a fronte di posizione assicurativa fittizia e, per effetto dell'annullamento della posizione assicurativa illegittima, il recupero dell'indebito, originato dalla falsa attribuzione di contributi in assenza del titolo (rapporto di lavoro o evento coperto da contribuzione figurativa), non era sottratto alla regola generale di ripetibilità dell'indebito oggettivo, ai sensi dell'art. 2033 c.c.. 

6. Argomenta l'ente previdenziale che le norme speciali - L. n. 88 del 1989, artt. 52 e L. n. 412 del 1991, 13, - disciplinano fattispecie afferenti alla restituzione di quanto erroneamente percepito dal pensionato, in eccedenza, su una pensione legittimamente goduta dal titolare, mentre l'esigenza di tutela del percettore di pensione, dal peso della restituzione di quanto ricevuto a seguito di errori nel computo di quanto dovuto, poggia sempre sul presupposto dell'esistenza di una corretta posizione assicurativa, costruita su un titolo, esistente e idoneo a legittimare l'accredito (titolo nascente dal rapporto di lavoro, per i contributi obbligatori, oppure un evento tutelato, qual è la condizione di mobilità, per i contributi, in parte o in toto, figurativi; viene, all'uopo, evocato l'orientamento espresso da Cass. n. 21453 del 2013). 

7. L'ente previdenziale assume, infine, che la decisione sarebbe comunque in violazione di legge, pur volendo accedere alla tesi della Corte di merito e nella prospettiva dell'applicabilità della regola prevista dalla L. n. 412 del 1991, art. 13, per avere i giudici del gravame reputato insussistente, per l'intimato, l'obbligo di comunicare lo svolgimento dell'attività lavorativa, in contrasto con i principi giurisprudenziali che ravvisano, fin dall'omessa segnalazione, il consilium e la scientia fraudis che integrano gli estremi di un dolo negativo idoneo a indurre l'INPS a corrispondere una prestazione non dovuta. 

8. Il ricorso è da rigettare. 

9. Va precisato, in primo luogo, che la fattispecie in esame non è paragonabile, quanto agli effetti che il ricorrente pretende di trarne, alla ipotesi, esaminata dalla citata sentenza di questa Corte n. 9963 del 2007, in cui all'annullamento del trattamento pensionistico si giunga in ragione dell'accertato carattere fittizio del rapporto di lavoro posto a base della contribuzione versata, ovvero qualora difetti lo stesso fatto economico generativo dell'obbligo contributivo. 

10. Nel caso di specie, invero, per effetto dell'annullamento è risultato caducato il provvedimento di erogazione dell'indennità di mobilità, fatta oggetto di ripetizione; a tale circostanza è seguito l'annullamento della relativa contribuzione figurativa, sulla cui base era stato riconosciuto, dall'INPS, il diritto alla pensione di anzianità oggetto della presente causa. 

11. Inoltre, in fatto e come si evince dalla sentenza impugnata, è certo che l'assicurato non ha mai celato all'ente previdenziale lo svolgimento dell'attività lavorativa autonoma nel periodo di fruizione dell'indennità di mobilità; anzi, a seguito di formale denuncia dell'inizio di tale attività, l'assicurato ha regolarmente provveduto al versamento dei relativi contributi presso la gestione separata di cui alla L. n. 335 del 1995, art. 2, comma 26, e tale condotta la Corte di merito ha valorizzato per escludere il dolo e l'omessa o incompleta segnalazione di fatti conosciuti dall'ente. 

12. E' noto che il regime dell'indebito previdenziale ed assistenziale sia connotato da tratti eccentrici rispetto alla regola della ripetibilità propria del sistema civilistico e dell'art. 2033 c.c., in ragione dell'"affidamento dei pensionati nell'irripetibilità di trattamenti pensionistici indebitamente percepiti in buona fede" in cui le prestazioni pensionistiche, pur indebite, sono normalmente destinate "al soddisfacimento di bisogni alimentari propri e della famiglia" (Corte Cost. 13 gennaio 2006, n. 1), con disciplina derogatoria che individua "alla luce della Cost., art. 38 - un principio di settore, che esclude la ripetizione se l'erogazione (...) non sia (...) addebitabile" al percettore (Corte Cost. 14 dicembre 1993, n. 431; da ultimo, v. Corte Cost. 27 gennaio 2023, n. 8, in motivazione). 

13. Può altresì dirsi dato acquisito quello per cui "non sussiste un'esigenza costituzionale che imponga per l'indebito previdenziale e per quello assistenziale un'identica disciplina, atteso che (...) rientra (...) nella discrezionalità del legislatore porre distinte discipline speciali adattandole alle caratteristiche dell'una o dell'altra prestazione" (Corte Cost. 22 luglio 2004, n. 264; in senso analogo Corte Cost. 27 ottobre 2000, n. 448). 

14. Nella controversia all'esame, in cui si controverte della piena ripetibilità, come assume l'INPS, della pensione di anzianità asseritamente non dovuta in mancanza della relativa provvista contributiva (in particolare, giova ripetere, dell'annullamento di un periodo contributivo illegittimamente accreditato che ha reso insufficiente la provvista contributiva per il trattamento pensionistico di anzianità) e, dunque, della ripetibilità della prestazione pensionistica, erogata dal novembre 2001 al dicembre 2008, al venir meno del titolo all'erogazione a favore dell'assicurato, non vengono in questione, ratione temporis, le norme speciali e transitorie dettate per la ripetizione dell'indebito previdenziale dalla L. n. 662 del 1996, art. 1, commi 260-265, e dalla L. n. 448 del 2000, art. 38, commi 7-10, relative ai soli pagamenti di trattamenti pensionistici effettuati anteriormente al 1 gennaio 2001. 

15. Le disposizioni che vengono in rilievo, e costituiscono la cornice normativa dell'obbligazione restitutoria della quale si controverte, sono contenute nella L. n. 88 del 1989, artt. 52 e nella L. n. 412 del 1991, 13, sulle quali questa Corte più volte è stata interpellata per chiarirne il perimetro. 

16. Prima di riaffermarne la portata, è d'obbligo la premessa volta a rammentare l'origine del principio ispiratore della soluti retentio per l'indebito pensionistico, a mente del R.D.l. n. 1422 del 1924, art. 80,comma 3, e la previsione secondo cui, decorso un anno dall'assegnazione della pensione liquidata dalla Cassa nazionale per le assicurazioni sociali (l'attuale INPS), le rettifiche di eventuali errori nella determinazione dell'importo "che non siano dovuti a dolo dell'interessato, non hanno effetto sui pagamenti già effettuati". 

17. L'eccesso di tutela che poteva derivarne, nei casi di inesistenza del diritto alla pensione, indusse la giurisprudenza a configurare un importante limite, consistente nel porre l'irripetibilità in relazione soltanto agli errori di liquidazione della pensione connessi alle operazioni di quantificazione della stessa (Cass. n. 1898 del 1988 e altre conformi). 

18. In conseguenza, sfuggivano alla restrizione dell'art. 80 cit., per ricadere nella disciplina codicistica dell'indebito oggettivo, sia i più solleciti interventi correttivi dell'ente previdenziale sul quantum, sia i casi di soppressione, totale o parziale, dell'erogazione della pensione, a causa di assegnazione illegittima ab origine, con l'effetto di cancellare o ridurre il trattamento in godimento, nell'esercizio del potere di annullamento della pensione per ragioni incidenti, in modo negativo, sulla stessa costituzione del diritto. 

19. L'intera disciplina è stata ripensata dalla L. n. 88 del 1989, art. 52 che, abrogato, per incompatibilità, il R.D.l. n. 1422 del 1924, art. 80, ha eliminato ogni distinguo derivante dall'epoca o dal motivo dell'intervento rettificatorio dell'ente previdenziale e ha fatto del dolo dell'accipiens la categoria cardine, diversificando, in modo accentuato, l'indebito pensionistico dalla disciplina codicistica, in coerenza con i precetti costituzionali (Corte Cost. n. 383 del 1990). 

20. La L. n. 88 cit., art. 52 costituisce disciplina e principio di settore dell'indebito pensionistico. 

21. Nella sua formulazione iniziale prevedeva, al comma due, l'impossibilità del recupero dei ratei di pensione (e di pensione sociale) erogati per errore - e quindi indebitamente riscossi - (a carico dell'assicurazione generale obbligatoria per l'invalidità, la vecchiaia e i superstiti dei lavoratori dipendenti, delle gestioni obbligatorie sostitutive o, comunque, integrative della medesima, della gestione speciale minatori, delle gestioni speciali per i commercianti, gli artigiani, i coltivatori diretti, i mezzadri e colini), salva l'imputabilità dell'indebita percezione al dolo dell'interessato. 

22. L'ampia tutela concessa all'accipiens subiva una contrazione ad opera della legge n. 412 del 1991, art. 13, (norma qualificatasi di interpretazione autentica dell'art. 52 cit. e poi dichiarata, sul punto, parzialmente illegittima dalla Corte Costituzionale, con sentenza 10 febbraio 1993, n. 39, per violazione della Cost., artt. 3 e 38) che subordina l'irripetibilità a quattro condizioni: 

a) il pagamento delle somme in base a formale, definitivo provvedimento all'interessato; c) l'errore, di qualsiasi natura, imputabile all'ente erogatore; d) la insussistenza del dolo dell'interessato, cui è parificata, quoad effectum, la omessa o incompleta segnalazione di fatti incidenti sul diritto o sulla misura della pensione che non siano già conosciuti dall'ente competente (v.Cass. n. 17417 del 2016 e, in continuità, fra le tante, Cass. nn. 5984 del 2022, 10627 del 2021, 14517 del 2020). 

23. Dalla combinazione delle predette disposizioni deriva la disciplina speciale dell'indebito pensionistico I.N.P.S., imperniata sull'irripetibilità della prestazione pensionistica indebita subordinata alle quattro condizioni dianzi richiamate, la mancanza di una (qualunque) delle quali esclude la irripetibilità dell'indebito e non già la mera riconducibilità della fattispecie alla speciale disciplina di settore per attrarre l'obbligazione restitutoria nella regola civilistica della ripetibilità, di cui all'art. 2033 c.c., come ritenuto da Cass. nn. 5984 del 2022, 10627 del 2021, 14517 del 2020 che richiama Cass. n. 17417 del 2016 cit. 

24. La norma ha, altresì, introdotto un termine per il recupero delle somme indebite per ragioni reddituali del pensionato, termine fissato nell'anno successivo al pagamento (L. n. 412-1991, art. 13, comma 2), il cui rigore, in epoca successiva ai fatti di causa, è stato attenuato dal D.L. n. 5 del 2012, art. 16 comma 8 (c.d. decreto semplificazioni), che ha inserito un comma 2-bis all'art. 13. 

25. La questione di causa consiste nell'individuare la disciplina applicabile allorquando venga meno la provvista contributiva per il diritto al trattamento pensionistico e la prestazione pensionistica liquidata risulti indebita in conseguenza dell'attribuzione di una posizione assicurativa fittizia: nella specie, il periodo contributivo di undici mesi, a partire dal 2000, accreditato in favore del lavoratore nella condizione di fruitore della mobilità, è venuto meno a causa del contemporaneo svolgimento di attività di lavoro autonomo, e l'annullamento disposto dall'INPS ha inciso sulla provvista contributiva utile con l'effetto del venir meno del requisito contributivo minimo per l'accesso alla pensione di anzianità (nel periodo novembre 2001 a dicembre 2008). 

26. Per l'INPS, l'annullamento della posizione assicurativa illegittima, con recupero dell'indebito originato dalla falsa attribuzione di contributi in assenza di titolo, rapporto di lavoro o evento coperto da contribuzione figurativa, rientra sotto il fuoco della regola generale civilistica di ripetibilità dell'indebito oggettivo (art. 2033 c.c.) perchè l'esigenza di tutela del percettore della prestazione indebita, dal peso della restituzione di quanto ricevuto a seguito di errori nel computo di quanto dovuto, espressa dalle norme speciali derogatorie (L. n. 88-89, art. 52, e L. n. 412-91, art. 13), poggia sempre sul doppio presupposto di un trattamento pensionistico legittimamente goduto dal titolare e di un erroneo computo di quanto dovuto. 

27. L'accesso alla prestazione previdenziale, argomenta l'INPS nell'illustrare l'opzione ermeneutica offerta al vaglio di questa Corte, postula sempre la sussistenza di una corretta posizione assicurativa, costruita su un titolo, esistente, idoneo a legittimarne l'erogazione, e tale titolo può essere il rapporto di lavoro (contributi obbligatori) o un evento tutelato, come la condizione di mobilità (contributi in parte o in toto figurativi), sicchè una volta annullata la posizione assicurativa il recupero del trattamento pensionistico, indebitamente percepito e, ormai, sine titulo, segue la regola generale dell'art. 2033 c.c.. 

28. Al principio civilistico della totale ripetibilità dell'indebito oggettivo l'INPS riconduce, in definitiva, le fattispecie di fittizie posizioni assicurative, id est di inesistenza della posizione assicurativa e, per suffragare tale tesi, mutua gli snodi argomentativi, svolti da Cass. nn. 9963 del 2007 e 21453 del 2013, che indirizzano verso l'alveo dell'indebito civile. 

29. Ebbene, per le prestazioni pensionistiche, e in riferimento all'indebito previdenziale di natura pensionistica, ciò che va rimarcato, a confutazione della prospettazione dell'INPS, è che l'orientamento richiamato (per tutte, Cass. n. 21453 del 2013) risultava coerente con il regime dettato dal R.D. n. 1422 del 1924, art. 80, con la previsione del relativo potere di rettifica entro congruo termine dall'assegnazione della pensione liquidata ("le successive rettifiche di eventuali errori, che non siano dovuti a dolo dell'interessato, non hanno effetto sui pagamenti già effettuati"), con asse portante costituito dalla regola dell'irripetibilità, incentrata sul minimo comune denominatore, per la non addebitabilità al percipiente della erogazione non dovuta, dell'ingresso del percettore nel singolo settore di protezione sociale individuato dalla specifica prestazione della cui ripetibilità si controverteva, a fronte della estraneità, del percettore, a detto settore, con ricaduta sulla inoperatività della ratio sottesa alla speciale disciplina (Cass. n. 21453-2013 cit.). 

30. In altri termini, maturata la prevista definitività dell'assegnazione del trattamento, solo l'eventuale rettifica ultrannuale faceva insorgere l'affidamento dell'assicurato, che si era visto erogare, per dodici mesi, la prestazione di un certo importo, sicchè la disposizione si discostava dalla disciplina generale del codice civile nell'elevare la buona fede dell'accipiens a criterio discretivo ai fini della stessa nascita dell'obbligazione restitutoria (art. 80 cit.), in luogo del mero elemento regolatorio del regime degli accessori. 

31. Già in epoca risalente, Cass. n. 828 del 1991, in adesione a Cass.,Sez.Un., n. 653 del 1986, aveva ritenuto non ipotizzabile - vietandolo, innanzitutto, la chiarezza letterale della norma (art. 12 preleggi) - che il comma 2 del più volte citato art. 52, nella formulazione originaria, fosse destinato a coprire lo Spa zio già occupato dal R.D. n. 1422 del 1924, art. 80, comma 3, a ciò ostando la logica considerazione della mancanza di senso nella riproduzione di una disposizione legislativa avente la medesima portata della disposizione sostituita, dal legislatore, anche per sollecitazione della Corte costituzionale (ordinanza n. 854 del 1988), sia perchè la formulazione della disposizione in esame, coordinata con il testo del comma 1 del medesimo articolo, inequivocabilmente attestava che l'errore rettificabile, e cioè correggibile dall'ente erogatore della prestazione, non riguardasse soltanto l'errore di calcolo (come potrebbe sembrare, essendo stata adottata la locuzione "rettificazione" che l'art. 1430 c.c. adopera a proposito, appunto, dell'errore di calcolo), ma riguardasse - per ampiezza e indeterminatezza del dettato legislativo - qualsiasi errore, non escluso quello di diritto, commesso dall'ente nell'attribuzione (fase di accertamento e di ricognizione dei presupposti per l'ammissione al pensionamento e per la determinazione qualitativa e quantitativa della prestazione previdenziale e delle sue componenti), nella erogazione (fase esecutiva, comprensiva della formazione del titolo di spesa e del pagamento) e nella riliquidazione (fase di revisione del trattamento pensionistico reso necessario a causa di sopravvenute disposizioni legislative o regolamentari o a causa delle mutate condizioni soggettive del titolare) della prestazione previdenziale. 

32. L'assenza di distinguo tra errore nella liquidazione o determinazione della pensione e mancanza del diritto alla percezione della prestazione, e la decisività non della natura dell'errore sibbene della sua fonte, vale a dire l'essere stato provocato dall'assicurato o costituire errore proprio dell'ente, è stata delineata, fra le altre, da Cass. n. 3334 del 2005 (che pure motiva in ordine alla radicale innovazione apportata, al quadro normativo, dalla L. n. 662 del 1996, qui inapplicabile, ratione temporis, per i limiti temporali introdotti). 

33. L'ipotesi del venir meno del diritto (nei sensi di cui alle decisioni dianzi richiamate) è stata, dunque, già scrutinata nel senso dell'applicabilità dell'art. 52 e, in seguito, Cass. n. 11922 del 2013 ha radicalmente escluso, per l'interprete, la possibilità di introdurre, tra gli indebiti previdenziali, una distinzione tra prestazioni pensionistiche percepite indebitamente, in ragione della causa che ha dato luogo all'indebito, elaborando l'interpretazione, nella vicenda in quel caso all'esame, del precetto "non farsi luogo a recupero dell'indebito" (ex L. n. 662 del 1996, art. 1, comma 260), come destinato a tutti i soggetti che hanno percepito prestazioni pensionistiche indebitamente, cioè senza averne diritto, senza poter introdurre distinguo tra prestazioni pensionistiche (nella specie esaminata, allora, da questa Corte, per insussistenza del rapporto di lavoro subordinato cui si riferiva la posizione assicurativa). 

34. A fronte della sollecitazione all'interprete, svolta da Cass. n. 11922 cit., per non introdurre obbligazioni restitutorie diversificate a seconda della riconduzione della fattispecie nella cornice dell'indebito oggettivo ripetibile ovvero dell'indebito previdenziale limitatamente ripetibile, va ora ribadito che la regola di settore imposta dal disposto dell'art. 52 cit. per l'indebito pensionistico impone di ricondurre a detta regolazione ogni ipotesi di prestazione previdenziale pensionistica indebita sicchè l'obbligazione restitutoria soggiace esclusivamente alle condizioni di irripetibilità rinvenibili in tale sottosistema. 

35. Pertanto, fermo restando (v. Cass. n. 17417 del 2016) che va escluso un onere, per l'Istituto, di verificare i dati di cui dispone - quanto meno in caso di anomalie apparenti - l'errore derivante dalla omissione di tale verifica è conseguentemente imputabile all'INPS, ai fini dell'art. 13 cit., posto che nella disciplina dell'indebito non si rinviene un preteso onere di controllo dell'ente previdenziale sui dati trasmessi dai soggetti del rapporto assicurativo in punto di posizione contributiva dell'assicurato. 

36. Sicuramente addebitabile all'INPS è, dunque, il mancato rilievo della esistenza di un periodo contributivo coperto sia da contribuzione figurativa sia da contribuzione effettiva, trattandosi di verifica necessariamente emergente nella procedura amministrativa di liquidazione della prestazione, neanche inconciliabile con il termine a provvedere di 120 giorni ex L. 533-73, art. 7. 

37. Osserva il Collegio che nella ipotesi che viene ora in rilievo non può negarsi che l'ente previdenziale, nell'attribuire il trattamento pensionistico, abbia il dovere di svolgere adeguati e complessivi controlli in ordine alla posizione assicurativa, in mancanza dei quali l'errore è imputabile all'INPS (nella specie, un'adeguata verifica in ordine alle provviste contributive avrebbe fatto cogliere, all'evidenza, la contestualità del versamento di contribuzione figurativa ed effettiva, in un medesimo arco temporale, sia pure in diverse gestioni ma comunque in riferimento al medesimo assicurato). 

38. In altri termini, nessuna condotta, attiva od omissiva, dell'assicurato ha reso più difficile o oltremodo disagevole il riscontro, da parte dell'ente previdenziale, preordinato al preliminare vaglio dell'intera provvista contributiva dell'assicurato, ai fini della sussistenza o meno del diritto al trattamento pensionistico di anzianità richiesto. 

39. Riscontrato, pertanto, l'errore imputabile all'INPS, non resta che verificare la quarta delle descritte condizioni, attinente alla condotta dell'accipiens. 

40. Questa Corte ha da tempo chiarito che, nell'indebito previdenziale, il dolo non opera nel momento di formazione della volontà negoziale, bensì nella fase esecutiva, riguardando un fatto causativo della cessazione dell'obbligazione di durata che non è noto all'ente debitore, del quale si è detto, con proposizione ora rimessa in discussione nei termini anzidetti, che, in ragione del numero rilevantissimo di rapporti di cui è titolare passivo, non si può ragionevolmente pretendere che si attivi, per prendere conoscenza della situazione personale e patrimoniale dei creditori, senza la collaborazione attiva di ciascuno di essi (così, fra le prime, Cass. nn. 21019 del 2007, 12097 del 2013, seguite da Cass. n. 27096 del 2018 ed altre successive che, a quel principio, hanno dato continuità). 

41. Sotto altro ma concorrente profilo, si è precisato che il dolo del pensionato, pur non potendo aprioristicamente considerarsi presunto sulla base del semplice silenzio, deve tuttavia ritenersi sussistente allorchè sia stato disatteso l'obbligo legale di comunicare all'INPS determinate circostanze, rilevanti ai fini della sussistenza e della misura del diritto a pensione (cfr., fra le tante, Cass. nn. 4849 del 1986 e 11498 del 1996, cui ha dato seguito Cass. n. 1919 del 2018). 

42. Questa Corte, inoltre, ai fini dell'identificazione del dolo dell'assicurato, ha da tempo affermato (Cass. n. 11498 del 1996) che le dichiarazioni non conformi al vero, i fatti e comportamenti dell'interessato positivamente indirizzati ad indurre in errore l'ente erogatore, ingenerano una rappresentazione alterata della realtà, tale da incidere sulla determinazione volitiva di esso e, quindi, sull'attribuzione della prestazione, e integrano gli elementi costitutivi del dolo causam dans, elemento soggettivo che rileva, nelle varie norme limitative della ripetibilità, ad escluderne l'applicazione e a consentire, per l'effetto, l'incondizionato recupero delle somme indebitamente erogate (Cass. n. 22081 del 2021). 

43. Lo stesso Giudice delle leggi, nel riconoscere la conformità a Costituzione dell'anzidetta interpretazione della disciplina concernente il dolo, costituente ormai diritto vivente, ne ha ricostruito il significato nei termini di un principio di settore che riguarda il tema dell'indebito ed implica, sia pure in termini bisognosi di specificazione in rapporto alle varie ipotesi di prestazioni, che, diversamente dalla regola generale di incondizionata ripetibilità dell'indebito posta dall'art. 2033 c.c., trovi applicazione la diversa regola, propria di tale sottosistema normativo, che esclude la ripetizione in presenza di una situazione di fatto avente come minimo comun denominatore la non addebitabilità al percipiente della erogazione non dovuta (cfr. in tal senso Corte Cost. nn. 431 del 1993 e 166 del 1996). 

44. Nel solco di tale principio, si è precisato che la portata innovativa della L. n. 412 del 1991, art. 13, comma 1, come tale destinata ad operare all'indomani della sua entrata in vigore, concerne l'imposizione al pensionato di un più ampio obbligo di collaborazione nella segnalazione di "fatti incidenti sul diritto o sulla misura della pensione goduta, che non siano già conosciuti dall'ente competente", da ricondurre al generale dovere di correttezza nell'attuazione del rapporto obbligatorio di cui all'art. 1175 c.c. (Cass. nn. 1919 del 2018 e 8731 del 2019). 

45. Infine, come noto, la qualificazione dell'elemento soggettivo costituisce attività tipica del giudice e compito del giudice è l'accertamento del dolo, agli effetti della disciplina applicabile dell'indebito previdenziale e, dunque, l'indagine, nei termini dianzi esposti, sul dolo del percettore di trattamenti previdenziali indebiti rimane insindacabile in sede di legittimità. 

46. Ebbene, a tali principi si è attenuta la Corte di merito allorchè, ricondotta la fattispecie nell'alveo dell'indebito previdenziale e accertate, in fatto, la sussistenza, in concreto, della non addebitabilità al percipiente dell'erogazione non dovuta e la presenza di una situazione idonea a creare legittimo affidamento, ha escluso una condotta dolosamente preordinata a conseguire immeritati benefici patrimoniali, per non avere l'assicurato mai celato, all'INPS, lo svolgimento di attività lavorativa autonoma, provvedendo, anzi, al puntuale e costante versamento dei relativi contributi nella gestione separata, ragione per cui l'INPS, già prima della elargizione della pensione di anzianità, e in costanza del versamento dell'indennità di mobilità, era o avrebbe dovuto essere a conoscenza della situazione professionale del lavoratore. 

47. In conclusione, il ricorso è da rigettare. 

48. La novità della questione consiglia la compensazione delle spese del giudizio. 

P.Q.M. 

La Corte rigetta il ricorso; spese compensate. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13,comma 1-quater, sussistono i presupposti processuali per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell'ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso ex art. 13,comma 1, se dovuto. 

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 7 luglio 2022. 

Depositato in Cancelleria il 18 aprile 2023 



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