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domenica 24 settembre 2023

Cassazione 2023-Reati commessi a mezzo stampa

Cassazione 2023-Reati commessi a mezzo stampa



Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 30/05/2023) 19-09-2023, n. 38323 

REPUBBLICA ITALIANA 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE 

SEZIONE QUINTA PENALE 

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: 

Dott. PEZZULLO Rosa - Presidente - 

Dott. MASINI Tiziano - Consigliere - 

Dott. GUARDIANO Alfredo - rel. Consigliere - 

Dott. PISTORELLI Luca - Consigliere - 

Dott. BIFULCO Daniela - Consigliere - 

ha pronunciato la seguente: 

SENTENZA 

sul ricorso proposto da: 

OMISSIS, nato a (Omissis); 

OMISSIS, nato a (Omissis); 

OMISSIS, nato a (Omissis); 

avverso la sentenza del 16/11/2021 della CORTE APPELLO di ROMA; 

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; 

udita la relazione svolta dal Consigliere ALFREDO GUARDIANO; 

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore PASQUALE SERRAO D'AQUINO che ha concluso chiedendo. 

udito il difensore. 

Svolgimento del processo - Motivi della decisione 

1. Con la sentenza di cui in epigrafe la corte di appello di Roma, in riforma della sentenza con cui il tribunale di Roma, in data 10.1.2019, aveva assolto OMISSIS, OMISSIS e OMISSIS, dai reati loro rispettivamente contestati ai capi A) (artt. 110, 595, comma 2 e 3, c.p., 13, L. n. 47 del 1948 (ascritti a OMISSIS e OMISSIS) e B) (artt. 57, 595, comma 3, 596 bis, c.p., ascritto al solo OMISSIS), con la formula, perchè il fatto non costituisce reato, con riferimento all'imputazione di cui al capo A), e con la formula perchè il fatto non sussiste, in ordine all'imputazione di cui al capo B), condannava i predetti imputati al risarcimento dei danni derivanti da reato, in favore della costituita parte civile D.D., da liquidarsi in separato giudizio. 

2. Avverso la sentenza della corte territoriale, di cui chiede l'annullamento, hanno proposto ricorso per cassazione i suddetti imputati, con un unico atto di impugnazione fondato su motivi comuni, lamentando: 1) violazione di legge e vizio di motivazione, con riferimento al canone della verità della cronaca giudiziaria; alla mancata osservanza del principio della motivazione rafforzata; al travisamento dell'intercettazione telefonica citata in sentenza. 

3. Con requisitoria scritta dell'11.5.2023, il sostituto procuratore generale della Repubblica presso la Corte di Cassazione, Dott. Pasquale Serrao d'Aquino, chiede che il ricorso venga accolto, essendo fondato il secondo motivo di impugnazione. 

Con conclusioni scritte del 21.5.2023 il difensore di fiducia degli imputati, nel replicare alla requisitoria scritta del pubblico ministero, ribadisce la fondatezza di tutti i motivi di ricorso, chiedendo l'annullamento della sentenza impugnata per fondatezza di tutte le censure articolate ovvero, in subordine, in caso di mancato accoglimento della richiesta principale, la sospensione del presente giudizio in attesa che le Sezioni Unite Penali della Corte di Cassazione risolvano il problema interpretativo sulla portata applicativa del nuovo art. 573 comma 1 bis, c.p.p. Con conclusioni scritte del 16.5.2023 il difensore di fiducia della parte civile, nel replicare alla requisitoria del pubblico ministero, insisteva per il rigetto del ricorso, riportandosi alle conclusioni e alla memoria già rappresentate il 27.4.2023, in cui veniva chiesta anche la condanna degli imputati al pagamento delle spese del grado. 

4. I ricorsi vanno accolti nei termini che seguono, stante la fondatezza del secondo motivo di ricorso in esso assorbiti tutti gli ulteriori rilievi. 

5. Come è noto appare da tempo consolidato il principio di diritto affermato dalla giurisprudenza di legittimità e condiviso dal Collegio, secondo cui in tema di giudizio di appello, la motivazione rafforzata, richiesta nel caso di riforma della sentenza assolutoria o di condanna di primo grado, consiste nella compiuta indicazione delle ragioni per cui una determinata prova assume una valenza dimostrativa completamente diversa rispetto a quella ritenuta dal giudice di primo grado, nonchè in un apparato giustificativo che dia conto degli specifici passaggi logici relativi alla disamina degli istituti di diritto sostanziale o processuale, in modo da conferire alla decisione una forza persuasiva superiore (cfr., ex plurimis, Cass., Sez. 6, n. 51898 del 11/07/2019, Rv. 278056). 

La necessità, per il giudice di appello, di redigere una motivazione rafforzata sussiste, ovviamente, anche nel caso di riforma ai soli effetti civili della sentenza di assoluzione di primo grado (cfr., ex plurimis, Sez. 4, n. 42868 del 26/09/2019, Rv. 277624). 

Orbene, nel caso in esame difetta nella motivazione della sentenza oggetto di ricorso proprio una forza persuasiva superiore rispetto alla percorso argomentativo della sentenza di assoluzione riformata in appello. 

Gli imputati sono stati chiamati a rispondere del contenuto dell'articolo, pubblicato sul quotidiano "(Omissis)", diretto dal OMISSIS, a firma del OMISSIS e del OMISSIS, ritenuto, secondo l'impostazione accusatoria, di natura diffamatoria dell'onore e della reputazione di D.D., nella sua qualità di curatore fallimentare, nell'ambito del fallimento della società "(Omissis)", indicata nello scritto come destinataria di un'attività di corruzione a opera di E.E., all'epoca dei fatti detenuto, individuato dagli organi investigativi come uno dei capi della 'ndrangheta emiliana, e del "boss (Omissis)", per il tramite di F.F., imprenditore veronese, interessato ad acquisire una vasta area, resasi disponibile grazie al fallimento della "(Omissis)" L'articolo, come evidenziato dal giudice di primo grado, prendeva le mosse da un'indagine della D.I.A. di Bologna, avente a oggetto ipotizzate infiltrazioni della 'ndrangheta nel circuito degli appalti dell'Italia settentrionale, riportando, tra virgolette, il contenuto di un'informativa redatta dai Carabinieri della (Omissis), fatta propria dal pubblico ministero procedente nella richiesta di misura cautelare avanzata nei confronti di soggetti diversi dalla D.D.. 

Nei confronti di quest'ultima, in particolare, l'informativa si esprimeva nei seguenti termini, riportati tra virgolette nel corpo dell'articolo: "emerge il limpido tentativo di corruzione del curatore al quale è stato presumibilmente promesso un ingente corrispettivo in cambio dell'assegnazione pilotata del fallimento. Impressione corroborata dall'intercettazione in cui la consulente finanziaria G.G. (arrestata) spiega: non è vero che il curatore non sapeva niente, una parte gliel'hanno già data e una parte gli spetta". 

Ciò posto, il tribunale aveva concluso per l'assoluzione degli imputati, sul presupposto che nel caso in esame è configurabile il legittimo esercizio del diritto di cronaca giornalistica, in quanto: 1) le informazioni fornite ai lettori del quotidiano riguardavano un fatto di evidente interesse pubblico; 2) le espressioni utilizzate rispettano il requisito della continenza e dell'obiettività, atteso che gli articolisti non hanno utilizzato espressioni inutilmente volgari, umilianti o dileggianti, ma si sono limitati a riportare espressioni virgolettate, tratte dall'informativa dei Carabinieri, fatte proprie dal pubblico ministero e dal giudice per le indagini preliminari, che aveva accolto la richiesta cautelare, avendo, inoltre, i giornalisti chiarito che, nel riportare le notizie, essi stavano parafrasando gli atti di un'inchiesta penale, in cui gli inquirenti proponevano ipotesi di reato e non fatti definitivamente accertati; 3) le notizie riportate risultano corrispondere al vero. 

Nel ribaltare la decisione del giudice di primo grado la corte di appello ha ritenuto che sia stato violato il limite interno della verità oggettiva della notizia, in quanto gli autori dell'articolo hanno lasciato intendere che "l'ipotesi investigativa di un tentativo di corruzione del curatore trovasse solo conforto, ma non smentite, nelle intercettazioni agli atti, certamente conosciute e conoscibili da chi aveva la possibilità di consultarle, da cui emergeva che lo stesso avesse già ricevuto denaro". A tale risultato gli imputati erano giunti, ad avviso del giudice di appello, dando risalto alla sola intercettazione della G.G., in precedenza indicata, omettendo, "del tutto consapevolmente, di riportare l'ulteriore conversazione contenuta nella medesima informativa, il cui il soggetto direttamente interessato, ovvero il capo clan E.E., colui tramite il quale l'imprenditore veronese aveva incontrato, oltre al sindaco H.H., anche la D.D., esplicitamente escludeva un qualsiasi coinvolgimento della predetta, asserendo che non era vero che fosse dalla loro parte". Tale argomentazione non appare esente da critiche, sotto il profilo della violazione dell'obbligo di motivazione rafforzata, di cui si è già detto. Al riguardo non appare esercizio sterile ripercorrere, sia pure sinteticamente, i principi elaborati dalla giurisprudenza di legittimità in tema di esimente del diritto di cronaca giudiziaria. 

Da tempo risalente la giurisprudenza della Suprema Corte ha affermato che il diritto di cronaca, pur se lesivo dell'altrui reputazione, deve ritenersi legittimamente esercitato allorquando la divulgazione concerna fatti veri, o almeno accuratamente controllati, che presentino un indubbio interesse pubblico e siano esposti nel rispetto delle regole della obiettività e della correttezza dell'informazione (nella specie si è osservato che la notizia interessava la collettività, perchè relativa a fatti delittuosi ed alla attività investigativa svolta dalla polizia giudiziaria: cfr. Sez. 5, n. 4950 del 11/02/1981, Rv. 149016). 

Si è, in seguito, opportunamente precisato che in tema di diffamazione a mezzo stampa, rientra nell'esercizio del diritto di cronaca giudiziaria riferire atti di indagine e atti censori, provenienti dalla pubblica autorità mentre non è consentito effettuare ricostruzioni, analisi, valutazioni tendenti ad affiancare e precedere attività di polizia e magistratura, indipendentemente dai risultati di tale attività (cfr., ex plurimis, Sez. 5, n. 3674 del 27/10/2010, Rv. 249699; Sez. 5, n. 54496 del 28/09/2018, Rv. 274168). 

Sotto il profilo della verità oggettiva della notizia riportata, si è del pari costantemente affermato che in tema di diritto di cronaca giornalistica, la verità della notizia mutuata da un provvedimento giudiziario sussiste qualora essa sia fedele al contenuto del provvedimento stesso, sicchè è sufficiente che l'articolo pubblicato corrisponda al contenuto degli atti e dei provvedimenti dell'autorità giudiziaria, non potendo richiedersi al giornalista di dimostrare la fondatezza delle decisioni assunte in sede giudiziaria. (La Corte ha altresì precisato che il criterio della verità della notizia deve essere riferito agli sviluppi di indagine ed istruttori quali risultano al momento della pubblicazione dell'articolo e non già secondo quanto successivamente accertato in sede giurisdizionale: cfr., ex plurimis, Sez. 5, n. 43382 del 16/11/2010, Rv. 248950). 

Sicchè l'esimente putativa del diritto di cronaca giudiziaria può essere invocata in caso di affidamento del giornalista su quanto riferito dalle sue fonti informative, non solo se abbia provveduto comunque a verificare i fatti narrati, ma abbia altresì offerto la prova della cura posta negli accertamenti svolti per stabilire la veridicità dei fatti (cfr. Sez. 5, n. 27106 del 09/04/2010, Rv. 248032). 

Proprio in applicazione di tali principi, in un condivisibile arresto di questa stessa Sezione si è ritenuto integrare il delitto di diffamazione con il mezzo della stampa la condotta del cronista che, nel dare notizia di un'operazione di polizia giudiziaria, riporti solo una delle ipotesi investigative illustrate dagli inquirenti nel corso di conferenza stampa appositamente indetta (cfr. Sez. 5, n. 43450 del 24/09/2001, Rv. 220278). 

In conclusione può affermarsi che in tema di diffamazione a mezzo stampa, non sussiste l'esimente, anche putativa, del diritto di cronaca giudiziaria allorchè manchi la necessaria correlazione tra il fatto narrato e quello accaduto, il quale implica l'assolvimento dell'obbligo di verifica della notizia e, quindi, l'assoluto rispetto del limite interno della verità oggettiva di quanto esposto, nonchè il rigoroso obbligo di rappresentare gli avvenimenti quali sono, senza alterazioni o travisamenti di sorta, risultando inaccettabili i valori sostitutivi, quale quello della verosimiglianza, in quanto il sacrificio della presunzione di innocenza richiede che non si esorbiti da ciò che è strettamente necessario ai fini informativi (cfr. Sez. 5, n. 12859 del 14/02/2005, Rv. 231687). 

Può, dunque, affermarsi, in continuità con i principi elaborati dalla giurisprudenza della Suprema Corte, che, incombendo sul giornalista il dovere giuridico di rendere un' informazione completa e di effettuare, all'uopo, tutti i controlli necessari per verificare gli esiti di una data indagine, quando in un articolo si fa esplicito riferimento al contenuto di un atto investigativo, quale un'informativa redatta dalla polizia giudiziaria nell'ambito di un procedimento penale, messo in relazione con un determinato soggetto coinvolto nelle indagini, è onere del giornalista verificare e dare contezza dell'integrale contenuto degli elementi raccolti nei confronti del soggetto in questione riversati nell'informativa, senza che sia lecito operare, all'interno dell'atto investigativo, una selezione mirata, che trascuri alcuni degli elementi raccolti, non facendone menzione, a favore di altri. 

Alla luce di tali principi gli autori dell'articolo di cui si discute avrebbero dovuto dare atto dell'esistenza (non contestata dai ricorrenti) dell'intercettazione indicata dalla corte territoriale, perchè essa costituiva un elemento contenuto nell'informativa, riguardante la D.D.. 

Tuttavia, tale omissione non è sufficiente a convalidare il ragionamento giuridico seguito dalla corte territoriale, per la decisiva ragione che il giudice di secondo grado, venendo meno all'obbligo di motivazione rafforzata, non ha spiegato in che termini il contenuto della menzionata intercettazione, richiamato in modo del tutto generico, fosse in grado di disarticolare completamente uno dei punti decisivi dell'argomentazione del tribunale, secondo cui, come si è già detto, i giornalisti avevano chiarito che, nel riportare le notizie, essi stavano parafrasando gli atti di un'inchiesta penale, in cui gli inquirenti proponevano ipotesi di reato e non fatti definitivamente accertati. 

Manca, in definitiva, nella motivazione della corte territoriale, la dimostrazione che, attraverso l'indicata omissione, gli autori dell'articolo abbiano taciuto, peraltro consapevolmente, come sostenuto con affermazione tautologica dalla stessa corte di appello, di riportare nel loro scritto un'ipotesi investigativa, contenuta nell'informativa dei Carabinieri, che escludeva ogni possibile coinvolgimento della D.D. nel tentativo di corruzione posto in essere, secondo l'assunto accusatorio, da esponenti della 'ndrangheta emiliana. 

Sulla base delle svolte considerazioni la sentenza impugnata va, pertanto, annullata con rinvio al giudice competente per valore in grado di appello per nuovo giudizio sui punto, da condurre alla luce dei principi di diritto in precedenza indicati. 

L'individuazione del giudice del rinvio, trattandosi di ricorso ai soli effetti civili, appare conforme anche al recente arresto con cui le Sezioni Unite di questa Corte, secondo cui l'art. 573, comma 1-bis, c.p.p., introdotto dall'art. 33 del D.Lgs. n. 10 ottobre 2022, n. 150, si applica alle impugnazioni per i soli interessi civili proposte relativamente ai giudizi nei quali la costituzione di parte civile è intervenuta in epoca successiva al 30 dicembre 2022, data di entrata in vigore della citata disposizione ai sensi dell'art. 99-bis del predetto D.Lgs. n. 150 del 2022, circostanza non riscontrabile nel caso in esame. 

Alla liquidazione delle spese si provvederà in sede di definitiva decisione dei ricorsi. 

P.Q.M. 

Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio al giudice civile competente per valore in grado di appello. 

Così deciso in Roma, il 30 maggio 2023. 

Depositato in Cancelleria il 19 settembre 2023 


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