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domenica 24 settembre 2023

Consiglio di Stato 2023-respinto il ricorso proposto avverso il decreto questorile di revoca della licenza di porto di fucile per uso caccia

Consiglio di Stato 2023-respinto il ricorso proposto avverso il decreto questorile di revoca della licenza di porto di fucile per uso caccia 



Cons. Stato Sez. III, Sent., (ud. 14/09/2023) 18-09-2023, n. 8392 

 

REPUBBLICA ITALIANA 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO 

Il Consiglio di Stato 

in sede giurisdizionale (Sezione Terza) 

ha pronunciato la presente 

SENTENZA 

ex artt. 38 e 60 cod. proc. amm.sul ricorso numero di registro generale 6552 del 2023, proposto dal signor -OMISSIS--, rappresentato e difeso dall'avvocato Francesco Castiello, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Giuseppe Cerbara, n. 64, 

contro 

il Ministero dell'Interno e la Questura di Salerno, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi per legge dell'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, 

per la riforma 

della sentenza del Tar Campania, sezione staccata di Salerno, sez. I, n. -OMISSIS-, con la quale è stato respinto il ricorso proposto avverso il decreto questorile di revoca della licenza di porto di fucile per uso caccia. 

Visto il ricorso in appello ed i relativi allegati; 

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno e della Questura di Salerno; 

Visti tutti gli atti della causa; 

Relatore alla camera di consiglio del 14 settembre 2023, il Cons. Giulia Ferrari e uditi altresì i difensori presenti delle parti in causa, come da verbale; 

Considerato che nella suddetta camera di consiglio il Collegio, chiamato a pronunciare sulla domanda cautelare di sospensiva dell'atto impugnato, ha deciso di definire immediatamente il giudizio nel merito con sentenza resa ai sensi dell'art. 60 c.p.a., e ne ha dato comunicazione (riportandola a verbale) ai difensori presenti delle parti in causa; 

Svolgimento del processo 

1. Con Provv. del 10 marzo 2022, il Questore di Salerno ha revocato al signor -OMISSIS-- la licenza di porto di fucile per uso caccia. 

Il provvedimento ha tratto fondamento dalla nota informativa della Stazione dei Carabinieri di -OMISSIS- dalla quale si evince che il signor -OMISSIS- convive con il fratello, signor -OMISSIS--, la cui cattiva condotta fa ritenere che lo stesso non dia sufficiente affidamento di non fare uso indebito delle armi, motivo per cui i militari della citata Stazione hanno proceduto al ritiro cautelativo delle armi detenute dal fratello, nonché di quelle detenute dai familiari conviventi, nell'ottica di scongiurare un possibile abuso delle stesse. 

2. Con ricorso proposto dinanzi al Tar Salerno, l'interessato ha impugnato tale provvedimento deducendo la violazione dell'art. 39, R.D. n. 773 del 1931 e l'eccesso di potere per difetto di istruttoria e di motivazione. In particolare, l'allora ricorrente ha evidenziato come la pendenza di un procedimento penale a carico del fratello non costituirebbe un motivo sufficiente a fondare il provvedimento di revoca. Il Questore avrebbe omesso di considerare che il signor -OMISSIS- non ha mai avuto problemi con la giustizia né ha mai disatteso gli obblighi derivanti dalla detenzione delle armi. 

3. Con sentenza n. -OMISSIS-, il Tar Salerno ha respinto il ricorso atteso che dagli elementi complessivamente considerati dall'Amministrazione "emerge un forte quadro indiziario, supportato da elementi gravi, precisi e concordanti, da cui non è illogico né irragionevole giudicare il fratello del ricorrente come soggetto che presenta una personalità non compiutamente affidabile nell'uso e detenzione di armi. E ciò non può non incidere anche sulla posizione del ricorrente, il quale, oltre ad essere proprietario di armi detenute in base ad apposito permesso, custodisce le proprie armi nella stessa casa paterna in cui le custodisce il fratello A.". 

4. La citata sentenza n. -OMISSIS- è stata impugnata con appello notificato il 7 luglio 2023 e depositato il successivo 27 luglio, riproducendo sostanzialmente le censure non accolte in prime cure e ponendole in chiave critica rispetto alla sentenza avversata. 

5. Il Ministero dell'Interno e la Questura di Salerno si sono costituiti in giudizio senza espletare difese scritte. 

6. Alla camera di consiglio del 14 settembre 2023, la causa è stata trattenuta in decisione. 

Motivi della decisione 

1. In camera di consiglio il Collegio, chiamato a pronunciare sulla domanda cautelare di sospensiva dell'impugnata sentenza del Tar, ha deciso di definire immediatamente il giudizio nel merito con sentenza resa ai sensi dell'art. 60 c.p.a., e ne ha dato comunicazione (riportandola a verbale) ai difensori presenti delle parti in causa. 

Rileva il Collegio che la mancata comparizione delle parti, pur regolarmente costituite, nella camera di consiglio di trattazione dell'istanza di sospensione dell'esecuzione dell'atto impugnato non è di ostacolo alla definizione del giudizio nel merito, una volta che il Collegio abbia accertato la sussistenza dei presupposti di applicabilità dell'istituto della sentenza con motivazione resa in forma semplificata, trattandosi di apprezzamento rimesso alla sua valutazione discrezionale nel superiore interesse generale alla sollecita definizione dei processi (Cons. St., sez. III, 29 dicembre 2022, n. 11543; sez. VI, 8 novembre 2022, n. 9807; sez. III, 1 febbraio 2012, n. 506). La scelta delle parti in causa di non comparire nella camera di consiglio fissata per la discussione della domanda cautelare non può dunque costituire ostacolo alla rapida definizione del giudizio, così frustrando, anche mediante eventuali strategie dilatorie, la ratio acceleratoria che presiede al cit. art. 60 c.p.a. e il principio costituzionale (art. 111 Cost.), che ne sta a fondamento, della ragionevole durata del processo; la mancata comparizione alla camera di consiglio delle parti costituite non può quindi impedire la definizione del giudizio nel merito ai sensi e per gli effetti del cit. art. 60 c.p.a., risultando la tutela dell'interesse, eventualmente contrario, delle parti costituite sufficientemente garantito una volta che risulti assodata la ritualità della trattazione dell'istanza cautelare, sicché l'assenza volontaria della parte alla detta camera di consiglio non può avere l'effetto di precludere in radice la conversione del rito, che è potere a chiara caratterizzazione ufficiosa (Cons. St., sez. III, 7 luglio 2014, n. 3453). 

2. L'appello è infondato. 

Va premesso che la materia del rilascio del porto d'armi è disciplinata dagli artt. 11 e 43, R.D. 18 giugno 1931, n. 773. Il legislatore nella materia de qua affida all'Autorità di pubblica sicurezza la formulazione di un giudizio di natura prognostica in ordine alla possibilità di abuso delle armi, da svolgersi con riguardo alla condotta e all'affidamento che il soggetto richiedente può dare 

Il potere di rilasciare le licenze per porto d'armi costituisce una deroga al divieto sancito dall'art. 699 c.p. e dall'art. 4, comma 1, L. n. 110 del 1975. La regola generale è, pertanto, il divieto di detenzione delle armi, al quale l'autorizzazione di polizia può derogare in presenza di specifiche ragioni e in assenza di rischi anche solo potenziali, che è compito dell'Autorità di pubblica sicurezza prevenire. 

La Corte Costituzionale, sin dalla sentenza del 16 dicembre 1993, n. 440, ha affermato che "il porto d'armi non costituisce un diritto assoluto, rappresentando, invece, una eccezione al normale divieto di portare le armi, che può divenire operante soltanto nei confronti di persone riguardo alle quali esista la perfetta e completa sicurezza circa il buon uso delle armi stesse". Il Giudice delle leggi ha osservato, altresì, che "dalla eccezionale permissività del porto d'armi e dai rigidi criteri restrittivi regolatori della materia deriva che il controllo dell'autorità amministrativa deve essere più penetrante rispetto al controllo che la stessa autorità è tenuta ad effettuare con riguardo a provvedimenti permissivi di tipo diverso, talora volti a rimuovere ostacoli e situazioni giuridiche soggettive di cui sono titolari i richiedenti". 

Proprio in ragione dell'inesistenza, nell'ordinamento costituzionale italiano, di un diritto di portare armi, il Giudice delle leggi ha aggiunto, nella sentenza del 20 marzo 2019, n. 109, che "deve riconoscersi in linea di principio un ampio margine di discrezionalità in capo al legislatore nella regolamentazione dei presupposti in presenza dei quali può essere concessa al privato la relativa licenza, nell'ambito di bilanciamenti che - entro il limite della non manifesta irragionevolezza - mirino a contemperare l'interesse dei soggetti che richiedono la licenza di porto d'armi per motivi giudicati leciti dall'ordinamento e il dovere costituzionale di tutelare, da parte dello Stato, la sicurezza e l'incolumità pubblica: beni, questi ultimi, che una diffusione incontrollata di armi presso i privati potrebbe porre in grave pericolo, e che pertanto il legislatore ben può decidere di tutelare anche attraverso la previsione di requisiti soggettivi di affidabilità particolarmente rigorosi per chi intenda chiedere la licenza di portare armi". 

La giurisprudenza, riprendendo i principi espressi dalla Corte Costituzionale, è consolidata nel ritenere che il porto d'armi non costituisce oggetto di un diritto assoluto, rappresentando un'eccezione al normale divieto di detenere armi e potendo essere riconosciuto soltanto a fronte della perfetta e completa sicurezza circa il loro buon uso, in modo da scongiurare dubbi o perplessità, sotto il profilo prognostico, per l'ordine pubblico e per la tranquilla convivenza della collettività (cfr., ex multis, Cons. St., sez. III, 25 marzo 2019, n. 1972; 7 giugno 2018, n. 3435). 

Il giudizio che compie l'Autorità di pubblica sicurezza è espressione di una valutazione ampiamente discrezionale, che presuppone una analisi comparativa dell'interesse pubblico primario, degli interessi pubblici secondari, nonché degli interessi dei privati, oltre che un giudizio di completa affidabilità del soggetto istante basato su rigorosi parametri tecnici. 

Nello specifico settore delle armi, tale valutazione comparativa si connota in modo peculiare rispetto al giudizio che tradizionalmente l'Amministrazione compie nell'adottare provvedimenti permissivi di tipo diverso. La peculiarità deriva dal fatto che, stante l'assenza di un diritto assoluto al porto d'armi, nella valutazione comparativa degli interessi coinvolti assume carattere prevalente, nella scelta selettiva dell'Amministrazione, quello di rilievo pubblico, inerente alla sicurezza e all'incolumità delle persone, rispetto a quello del privato, tanto più nei casi di impiego dell'arma per attività di diporto o sportiva. 

L'apprezzamento discrezionale rimesso all'Autorità di pubblica sicurezza involge soprattutto il giudizio di affidabilità del soggetto che detiene o aspira a ottenere il porto d'armi. A tal fine, l'Amministrazione è chiamata a compiere una valutazione tecnica in ordine al pericolo di abuso delle armi, che deve essere desunta da elementi non meramente immaginari o aleatori. Il pericolo di abuso delle armi è valutato secondo un ragionamento induttivo, di tipo probabilistico, che non richiede di attingere un livello di certezza oltre ogni ragionevole dubbio, tipico dell'accertamento finalizzato ad affermare la responsabilità penale, ma implica una prognosi assistita da un attendibile grado di verosimiglianza, sì da far ritenere "più probabile che non" il pericolo di abuso delle armi. 

È in questa prospettiva, anticipatoria della difesa della legalità, che si collocano i provvedimenti con cui l'Autorità di pubblica sicurezza vieta la detenzione di armi, ai quali infatti viene riconosciuta natura cautelare e preventiva (ex multis, Cons. St., sez. III, 2 dicembre 2021, n. 8041). Ne è prova il costante orientamento di questa Sezione, secondo cui l'inaffidabilità all'uso delle armi è idonea a giustificare il ritiro della licenza, addirittura senza che occorra dimostrarne l'avvenuto abuso (Cons. St., sez. III, 18 aprile 2017, n. 1814). 

Applicando tali coordinate ermeneutiche al caso all'esame, il Collegio ritiene che il provvedimento questorile sia immune dalle censure mosse dall'appellante. 

Invero, i provvedimenti inibitori in materia di armi possono essere legittimamente emessi anche nei casi in cui - pur non potendosi imputare direttamente nulla al titolare delle armi o a colui che aspira ad acquisirne il porto ovvero la detenzione - vi sia una situazione di fatto che rende le armi stesse liberamente accessibili ad un terzo inaffidabile. 

Il titolare dell'autorizzazione, oltre a dover essere una persona assolutamente esente da mende o da indizi negativi, deve anche assicurare non soltanto la sua sicura e personale affidabilità circa il buon uso delle armi, ma anche che non vi sia pericolo che abusi possano derivare da parte dei soggetti con cui ha relazioni personali o familiari. 

Né può scalfire tali conclusioni la circostanza che l'appellante non conviva con il fratello, atteso che non risulta smentito il rilievo secondo cui le armi detenute dal signor -OMISSIS-- fossero detenute nella stessa abitazione ove sono risultate detenute quelle del fratello, né risulta provato che le armi dell'odierno appellante fossero custodite in un armadio le cui chiavi erano nella sua esclusiva disponibilità, restando esclusa la possibilità per il fratello di accedere al possesso delle armi stesse. Come suddetto, infatti, la finalità di prevenzione del provvedimento di revoca in parola impone di evitare che l'arma sia appresa dalle persone gravate da procedimenti penali o semplicemente inaffidabili e sia impropriamente utilizzata: una tale valutazione risulta di per sé ragionevole, perché per una buona regola di prudenza è bene evitare che soggetti ritenuti inaffidabili all'uso delle armi abbiano la disponibilità delle stesse. 

Quanto alla vicenda penale che ha interessato il fratello dell'appellante, risulta in atti che quest'ultimo sia stato denunciato per minacce nei confronti della fidanzata e dei familiari di quest'ultima. 

Come correttamente ritenuto dal primo giudice, la remissione di querela da parte della persona offesa, avvenuta in data 20 gennaio 2022, non vale ad escludere l'avvenuta commissione del fatto in quanto tale, poiché influisce solo sulla procedibilità del reato, lasciando inalterata la necessità di una sua autonoma valutazione da parte dell'autorità amministrativa ai fini dell'esame della personalità del soggetto detentore di armi, giacché in caso contrario si sottrarrebbe all'Amministrazione ogni autonomo potere di accertamento su fatti rilevanti ai fini di un esauriente esame sull'affidabilità del soggetto e ciò unicamente per ragioni di carattere processuale e, come tali, del tutto distinte rispetto alle finalità amministrative di pubblica sicurezza, atteso che il processo penale è orientato principalmente e in via immediata verso obiettivi di repressione, mentre diverse sono le finalità dell'attività di controllo esercitata dall'Amministrazione sulla disponibilità delle armi da parte dei singoli, in quanto tesa a prevenire qualsiasi abuso o pericolo di abuso. 

Risulta, infine, in atti la sentenza del Tribunale ordinario di Vallo della Lucania del 31 gennaio 2023, con cui, nei confronti del fratello dell'appellante, è stato dichiarato il non luogo a procedere in ordine alla condotta al medesimo ascritta per difetto della condizione di procedibilità, data l'intervenuta remissione di querela. Altresì, sono state depositate (peraltro solo in seconde cure) delle dichiarazioni sia della fidanzata del signor -OMISSIS--, che della madre di quest'ultima, tese a smentire i fatti che hanno originato il procedimento penale. 

Il Collegio ritiene che tali ultime circostanze non possano essere prese in considerazione in tale sede, trattandosi di circostanze sopravvenute al provvedimento questorile e come tali non suscettibile in subiecta materia di incidere sulla legittimità dello stesso ora per allora. 

Giova, invero, ricordare che secondo la regola del tempus regit actum la legittimità del provvedimento amministrativo va apprezzata con riferimento allo stato di fatto e di diritto esistente al momento della sua emanazione. Gli elementi non ancora venuti ad esistenza non potevano infatti logicamente essere presi in considerazione dall'amministrazione al momento della emanazione del provvedimento. In ogni caso, come anticipato, la determinazione dell'Amministrazione nei procedimenti per cui è causa deve ispirarsi alla massima precauzione ed è del tutto autonoma rispetto a quella compiuta dal giudice penale, ben potendo le valutazioni di inaffidabilità dell'istante basarsi su fatti non aventi natura penale. 

3. Per le ragioni che precedono, l'appello deve essere respinto non essendo sindacabile da parte di questo giudice, perché non affetta da manifesta illogicità o irragionevolezza, la decisione impugnata di revocare all'appellante la licenza di porto di fucile per uso caccia. 

Sussistono giusti motivi per disporre la compensazione delle spese di giudizio, non avendo la parte appellata disposto difese scritte. 

P.Q.M. 

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), 

definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. 

Spese compensate. 

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196 (e degli articoli 5 e 6 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016), a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità dell'appellante. 

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. 

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 14 settembre 2023 con l'intervento dei magistrati: 

Giulia Ferrari, Presidente FF, Estensore 

Ezio Fedullo, Consigliere 

Giovanni Tulumello, Consigliere 

Antonio Massimo Marra, Consigliere 

Luca Di Raimondo, Consigliere 


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