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domenica 13 marzo 2011

Corte Costituzionale "...La prima censura investe l’art. 4, comma 2, lettera c), della legge regionale, il quale prevede che gli appartenenti alla polizia locale dei Comuni e delle Province esercitano «funzioni di polizia giudiziaria secondo le disposizioni della vigente legislazione statale, rivestendo, a tal fine, la qualifica di Ufficiale di Polizia Giudiziaria riferita ai Comandanti, Ufficiali e Ispettori di Polizia Locale, a seguito di nomina da parte dell’Amministrazione di appartenenza in riferimento al disposto dell’art. 55 del codice di procedura penale, e di Agente di Polizia Giudiziaria, riferita agli Assistenti-Istruttori e agli Agenti di Polizia Locale». ...Nel definire le caratteristiche delle uniformi degli addetti alla polizia locale, le richiamate disposizioni prevedrebbero, infatti, colori, forme, mostreggiature e gradi somiglianti a quelli delle uniformi in uso alla polizia di Stato: ciò, in contrasto con quanto stabilito dall’art. 6 della legge n. 65 del 1986, secondo cui le divise della polizia municipale devono essere tali da escludere la «stretta somiglianza» con quelle delle Forze di polizia e delle Forze armate dello Stato. ..."

SENTENZA N. 35
ANNO 2011
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori: Presidente: Ugo DE SIERVO; Giudici : Paolo MADDALENA, Alfio FINOCCHIARO, Alfonso QUARANTA, Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI, Giorgio LATTANZI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 4, commi 2, lettere c) e q), e 4; 11, comma 1, lettera d); 19, con l’allegato A; 20; 21, con l’allegato E; 22, con l’allegato D, e 26 della legge della Regione Basilicata 29 dicembre 2009, n. 41 (Polizia locale e politiche di sicurezza urbana), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 1°-4 marzo 2010, depositato in cancelleria il 10 marzo 2010 ed iscritto al n. 41 del registro ricorsi 2010.
Udito nell’udienza pubblica del 14 dicembre 2010 il Giudice relatore Giuseppe Frigo;
udito l’avvocato dello Stato Wally Ferrante per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1. – Con ricorso notificato il 1° marzo 2010, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso, in riferimento all’art. 117, primo e secondo comma, lettere h) ed l), della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale in via principale degli artt. 4, commi 2, lettere c) e q), e 4; 11, comma 1, lettera d); 19, con l’allegato A; 20; 21, con l’allegato E; 22, con l’allegato D, e 26 della legge della Regione Basilicata 29 dicembre 2009, n. 41 (Polizia locale e politiche di sicurezza urbana).
Il ricorrente premette che la citata legge lucana detta norme in materia di polizia locale e politiche di sicurezza urbana, dando attuazione ai principi contenuti nella legge 7 marzo 1986, n. 65 (Legge quadro sull’ordinamento della polizia locale).
Ad avviso del Governo, con le norme denunciate la Regione avrebbe esorbitato dai limiti delle proprie competenze legislative, invadendo quelle statali.
La prima censura investe l’art. 4, comma 2, lettera c), della legge regionale, il quale prevede che gli appartenenti alla polizia locale dei Comuni e delle Province esercitano «funzioni di polizia giudiziaria secondo le disposizioni della vigente legislazione statale, rivestendo, a tal fine, la qualifica di Ufficiale di Polizia Giudiziaria riferita ai Comandanti, Ufficiali e Ispettori di Polizia Locale, a seguito di nomina da parte dell’Amministrazione di appartenenza in riferimento al disposto dell’art. 55 del codice di procedura penale, e di Agente di Polizia Giudiziaria, riferita agli Assistenti-Istruttori e agli Agenti di Polizia Locale».
Tale disposizione, sebbene richiami la legislazione statale vigente, violerebbe la competenza esclusiva dello Stato in tema di giurisdizione penale, attribuita dall’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., che riserva alla legge statale la materia «giurisdizione e norme processuali; ordinamento civile e penale». Come chiarito, infatti, da questa Corte costituzionale con la sentenza n. 313 del 2003, la polizia giudiziaria – la quale opera, di propria iniziativa o per disposizione o delega dell’autorità giudiziaria, ai fini dell’applicazione della legge penale – rientra nell’ambito della materia dianzi indicata: con la conseguenza che la legge regionale non sarebbe competente a disporre il riconoscimento della qualifica di ufficiale o agente di polizia giudiziaria, a prescindere dalla conformità o dalla difformità alla legge dello Stato, trattandosi di disciplina demandata esclusivamente a questa legge.
2. – La seconda censura concerne l’art. 4, commi 2, lettera q), e 4, della legge regionale, nella parte in cui prevede che possano essere raggiunte intese di collaborazione nell’attività di pubblica sicurezza tra le amministrazioni locali, anche al di fuori dei rispettivi territori di appartenenza, inviandone comunicazione al prefetto solo nel caso in cui riguardino personale avente la qualità di agente in servizio armato.
Secondo il ricorrente, detta norma violerebbe la competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di ordine pubblico e sicurezza, prevista dall’art. 117, secondo comma, lettera h), Cost., e si porrebbe, altresì, in contrasto con la legge statale n. 65 del 1986, che, all’art. 5, comma 1, lettera c), definisce «ausiliarie» le funzioni di pubblica sicurezza della polizia locale ai sensi dell’art. 3 della medesima legge, secondo il quale gli addetti al servizio di polizia municipale collaborano, «nell’ambito delle proprie attribuzioni, con le Forze di polizia dello Stato, previa disposizione del sindaco, quando ne venga fatta, per specifiche operazioni, motivata richiesta dalle competenti autorità».
Al riguardo, è richiamata la distinzione tra la «polizia di sicurezza», la cui disciplina legislativa forma oggetto di riserva a favore dello Stato in base al citato precetto costituzionale, e la «polizia amministrativa locale», esplicitamente sottratta alla predetta competenza esclusiva. Alla luce della definizione fornita dal comma 2 dell’art. 159 del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 112 (Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59), la polizia di sicurezza concerne, in particolare, «le misure preventive e repressive dirette al mantenimento dell’ordine pubblico, inteso come il complesso dei beni giuridici fondamentali e degli interessi pubblici primari sui quali si regge l’ordinata e civile convivenza nella comunità nazionale, nonché alla sicurezza delle istituzioni, dei cittadini e dei loro beni».
Per converso, i compiti di polizia amministrativa locale attengono – come puntualizzato dalla giurisprudenza costituzionale – alle «attività di prevenzione o di repressione dirette a evitare danni o pregiudizi che possono essere arrecati alle persone o alle cose nello svolgimento delle materie sulle quali si esercitano le competenze regionali […], senza che ne risultino lesi o messi in pericolo i beni o gli interessi tutelati in nome dell’ordine pubblico». In altri termini, la rilevanza dei compiti di polizia amministrativa dovrebbe necessariamente esaurirsi all’interno delle attribuzioni regionali, senza poter toccare quegli interessi di fondamentale importanza per l’ordinamento complessivo, che è compito dello Stato curare.
Se i criteri distintivi appena enunciati valgono per la delimitazione «per attribuzioni» della competenza legislativa regionale, ad analoga conclusione dovrebbe pervenirsi – a parere del ricorrente – «anche in relazione alla delimitazione “territoriale” della competenza legislativa regionale, in quanto la possibilità di raggiungere intese con altri enti locali, per tutelare la sicurezza pubblica anche al di fuori del territorio regionale, si tradurrebbe in una indebita invasione della competenza legislativa statale che, per definizione, riguarda l’intero territorio nazionale».
3. – Forma, altresì, oggetto di impugnazione l’art. 11, comma 1, lettera d), della legge della Regione Basilicata n. 41 del 2009, il quale prevede – quale requisito ulteriore, rispetto a quelli stabiliti dalla vigente legislazione statale, ai fini dell’ammissione ai concorsi per posti di polizia locale – che il candidato non debba «essere in possesso dello status di obiettore di coscienza».
Ad avviso del ricorrente, tale previsione si porrebbe in contrasto con l’art. 1 della legge 23 agosto 2004, n. 226 (Sospensione anticipata del servizio obbligatorio di leva e disciplina dei volontari di truppa in ferma prefissata, nonché delega al Governo per il conseguente coordinamento con la normativa di settore), che sospende, a decorrere dal 1° gennaio 2005, le chiamate per lo svolgimento del servizio di leva, ledendo nuovamente, con ciò, la competenza esclusiva statale in materia di ordine pubblico e sicurezza (art. 117, secondo comma, lettera h, Cost.).
La disposizione censurata sarebbe, in effetti, incoerente con la sospensione del servizio di leva, giacché lo «status di obiettore di coscienza» assumerebbe rilevanza solo in presenza di una chiamata alle armi obbligatoria.
Osserva, inoltre, l’Avvocatura dello Stato che l’art. 11, comma 1, della legge regionale introduce il censurato requisito negativo per l’ammissione ai concorsi per posti di polizia locale insieme ad «altri specifici requisiti», i quali non sarebbero, in realtà, affatto «specifici», corrispondendo a quelli, di ordine generale, previsti dall’art. 5, comma 2, della legge n. 65 del 1986; laddove, al contrario, il solo requisito di cui alla lettera d) esula totalmente dalle previsioni della legge statale.
4. – Parimenti lesivi dell’art. 117, secondo comma, lettera h), Cost. risulterebbero gli artt. 19, con l’allegato A, 20, 21, con l’allegato E, e 22, con l’allegato D, della legge regionale censurata.
Nel definire le caratteristiche delle uniformi degli addetti alla polizia locale, le richiamate disposizioni prevedrebbero, infatti, colori, forme, mostreggiature e gradi somiglianti a quelli delle uniformi in uso alla polizia di Stato: ciò, in contrasto con quanto stabilito dall’art. 6 della legge n. 65 del 1986, secondo cui le divise della polizia municipale devono essere tali da escludere la «stretta somiglianza» con quelle delle Forze di polizia e delle Forze armate dello Stato.
5. – Infine, secondo la Presidenza del Consiglio dei ministri, l’art. 26 della legge regionale violerebbe l’art. 117, primo comma, Cost., che impone alle Regioni l’osservanza dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario.
La norma impugnata, infatti, prevedendo l’istituzione di un numero telefonico unico regionale (a tre o quattro cifre) per la polizia locale, si porrebbe in contrasto con la direttiva 2002/22/CE, relativa al servizio universale e ai diritti degli utenti in materia di reti e di servizi di comunicazione elettronica (direttiva servizio universale), che ha imposto agli Stati membri di istituire il numero unico di emergenza «112», al fine di garantire ai cittadini adeguata risposta alle chiamate di emergenza attraverso un sistema di gestione unificato delle telefonate.
Nel recepire la direttiva, il d.lgs. 1° agosto 2003, n. 259 (Codice delle comunicazioni elettroniche a livello statale) ha stabilito, all’art. 76, che il Ministero provvede affinché, oltre ad altri eventuali numeri di emergenza nazionali, indicati nel piano nazionale di numerazione, gli utenti finali di servizi telefonici accessibili al pubblico possano chiamare gratuitamente i servizi di soccorso, digitando, per l’appunto, il numero di emergenza unico europeo «112». Ai sensi del medesimo art. 76, inoltre, i numeri di emergenza nazionali sono, innanzitutto, stabiliti con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, sentita, in merito alla disponibilità dei numeri, l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni – quale «autorità nazionale di regolamentazione» cui si riferisce la direttiva comunitaria – e sono, quindi, recepiti dall’Autorità nel piano nazionale di numerazione.
Tutto ciò, allo scopo di garantire la certezza circa il numero o i numeri di emergenza cui fare riferimento ed evitare il rischio di sovrapposizioni.
6. – Il 23 novembre 2010, l’Avvocatura generale dello Stato ha depositato, nell’interesse del Presidente del Consiglio dei ministri, una memoria illustrativa, insistendo per la dichiarazione di illegittimità costituzionale delle disposizioni censurate.
In particolare, ha richiamato la sentenza n. 167 del 2010, intervenuta nelle more del giudizio, con cui è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale di alcune disposizioni della legge della Regione Friuli Venezia Giulia 29 aprile 2009, n. 9 (Disposizioni in materia di politiche di sicurezza e ordinamento della polizia locale): il cui contenuto risulterebbe – secondo il ricorrente – in larga misura sovrapponibile a quello delle norme oggetto dell’odierno scrutinio.
Il rilievo varrebbe, in specie, per l’art. 15, comma 1, della citata legge friulana, il quale – in modo analogo all’art. 4, comma 2, lettera c), della legge reg. Basilicata n. 41 del 2009 – attribuisce agli addetti alla polizia locale la qualifica di agenti e ufficiali di polizia giudiziaria. Nel dichiarare l’incostituzionalità della norma in riferimento al medesimo parametro oggi invocato (l’art. 117, secondo comma, lettera l, Cost.), la citata sentenza n. 167 del 2010 ha affermato che tale attribuzione deve ritenersi invasiva della sfera di competenza esclusiva statale in materia di giurisdizione penale, senza che rilevi, in senso contrario, l’esistenza di norme statali (quale, in particolare, l’art. 5 della legge n. 65 del 1986) che già riconoscono la qualifica di ufficiale o agente di polizia giudiziaria al personale della polizia locale.
La medesima sentenza ha dichiarato, inoltre, l’incostituzionalità – per violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera h), Cost. – dell’art. 8, comma 6, della legge friulana, recante una previsione assai simile, secondo l’Avvocatura dello Stato, a quella dell’impugnato art. 4, comma 2, lettera q), della legge reg. Basilicata n. 41 del 2009 («nell’esercizio delle funzioni di pubblica sicurezza previste dalla normativa statale, la polizia locale assume il presidio del territorio tra i suoi compiti primari, al fine di garantire, in concorso con le forze di polizia dello Stato, la sicurezza urbana negli ambiti territoriali di riferimento»).
Nell’occasione, la Corte – dopo avere ribadito i propri orientamenti in ordine alle nozione di ordine pubblico e sicurezza – ha rilevato che, «quanto alla necessità di una collaborazione fra forze di polizia municipale e forze di polizia di Stato, l’art. 118, terzo comma, Cost. ha provveduto espressamente a demandare alla legge statale il compito di disciplinare eventuali forme di coordinamento nella materia dell’ordine pubblico e della sicurezza»; concludendo, quindi, che la norma regionale in questione, «disciplinando non solo modalità di esercizio delle funzioni di pubblica sicurezza da parte della polizia locale, ma anche le forme della collaborazione con le forze della polizia dello Stato», violava la competenza legislativa esclusiva dello Stato prevista dall’art. 117, secondo comma, lettera h), Cost.
Ad avviso del ricorrente, tale iter argomentativo sarebbe estensibile anche alla questione avente ad oggetto la norma della Regione Basilicata che qui interessa, concernente le intese di collaborazione nelle attività di pubblica sicurezza tra reparti di polizia locale di diversi comuni. Ciò troverebbe, del resto, conferma, «a contrario», in quanto affermato, nell’ambito della medesima citata sentenza, in relazione allo «sviluppo di politiche di sicurezza transfrontaliere», essendo stato al riguardo ulteriormente ribadito che solo «nelle materie di sua competenza la Regione può concludere accordi con Stati e intese con enti territoriali interni ad altro Stato, nei casi e nelle forme disciplinati da leggi dello Stato (sentenza n. 238 del 2004)».
Nel caso di specie, sarebbe quindi evidente che l’art. 4, comma 2, lettera q), della legge regionale in esame, stabilendo che le amministrazioni locali possono raggiungere intese di collaborazione nell’attività di pubblica sicurezza, anche al di fuori dei rispettivi territori di appartenenza, esorbiti dal limite delle competenze regionali fissato dal parametro costituzionale invocato.
Considerato in diritto
1. – Il Presidente del Consiglio dei ministri ha sollevato questioni di legittimità costituzionale in via principale di plurime disposizioni della legge della Regione Basilicata 29 dicembre 2009, n. 41 (Polizia locale e politiche di sicurezza urbana) – recante norme in materia di polizia locale e politiche di sicurezza urbana «in armonia con i principi stabiliti dalla legge 7 marzo 1986, n. 65» (Legge quadro sull’ordinamento della polizia locale) – deducendo la violazione dell’art. 117, primo e secondo comma, lettere h) ed l), della Costituzione.
2. – Il ricorrente censura, in primo luogo, l’art. 4, comma 2, lettera c), della citata legge lucana, ove si prevede che gli appartenenti alla polizia locale dei Comuni e delle Province esercitano «funzioni di polizia giudiziaria secondo le disposizioni della vigente legislazione statale, rivestendo, a tal fine, la qualifica di Ufficiale di Polizia Giudiziaria riferita ai Comandanti, Ufficiali e Ispettori di Polizia Locale, a seguito di nomina da parte dell’Amministrazione di appartenenza in riferimento al disposto dell’art. 55 del codice di procedura penale, e di Agente di Polizia Giudiziaria, riferita agli Assistenti-Istruttori e agli Agenti di Polizia Locale».
Ad avviso del Presidente del Consiglio dei ministri, la norma esorbiterebbe dall’ambito delle competenze legislative regionali, disponendo nella materia «giurisdizione penale», demandata alla competenza legislativa esclusiva statale dall’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost.
La questione è fondata.
Questa Corte ha già affermato in più occasioni che, «quanto alla polizia giudiziaria che, a norma dell’art. 55 del codice di procedura penale, opera, di propria iniziativa e per disposizione o delega dell’Autorità giudiziaria, ai fini dell’applicazione della legge penale, l’esclusione della competenza regionale risulta dalla competenza esclusiva dello Stato in materia di giurisdizione penale disposta dalla lettera l) del secondo comma dell’art. 117 della Costituzione» (sentenza n. 313 del 2003; nello stesso senso, sentenza n. 167 del 2010).
D’altro canto, il vigente codice di procedura penale ha configurato la polizia giudiziaria come soggetto ausiliario di uno dei soggetti del rapporto triadico in cui si esprime la funzione giurisdizionale (il pubblico ministero).
Ne consegue che va ritenuta costituzionalmente illegittima una norma regionale che – al pari di quella oggi impugnata – provveda ad attribuire al personale della polizia locale la qualifica di ufficiale o agente di polizia giudiziaria, trattandosi di compito riservato in via esclusiva alla legislazione statale (sentenze n. 167 del 2010 e n. 313 del 2003 cit.).
Né il richiamo, contenuto nella legge regionale, alla legge statale (e, comunque, la conformità della prima alla seconda) vale ad emendare il vizio denunciato. Il problema qui in discussione, infatti, «non è di stabilire se la legislazione regionale sia o non sia conforme a quella statale, ma, ancor prima, se sia competente o meno a disporre il riconoscimento» delle qualifiche di cui si tratta, «indipendentemente dalla conformità o dalla difformità rispetto alla legge dello Stato» (sentenza n. 313 del 2003; in senso analogo, sentenza n. 167 del 2010). La giurisprudenza di questa Corte è, del resto, costante nell’affermare che «la novazione della fonte con intrusione negli ambiti di competenza esclusiva statale costituisce causa di illegittimità della norma» regionale (ex plurimis, sentenze n. 167 del 2010 e n. 26 del 2005).
3. – Il ricorrente impugna, in secondo luogo, l’art. 4, commi 2, lettera q), e 4, della legge della Regione Basilicata n. 41 del 2009, nella parte in cui prevede che possano essere raggiunte intese di collaborazione nell’attività di pubblica sicurezza tra le amministrazioni locali, anche al di fuori dei rispettivi territori di appartenenza, inviandone comunicazione al prefetto solo nel caso in cui riguardino personale avente la qualità di agente in servizio armato.
La previsione normativa censurata violerebbe la competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di ordine pubblico e sicurezza, prevista dall’art. 117, secondo comma, lettera h), Cost., ponendosi, altresì, in contrasto con la legge statale n. 65 del 1986: legge che – dopo aver stabilito che gli addetti al servizio di polizia municipale collaborano, «nell’ambito delle proprie attribuzioni, con le Forze di polizia dello Stato, previa disposizione del sindaco, quando ne venga fatta, per specifiche operazioni, motivata richiesta dalle competenti autorità» (art. 3) – qualifica come «ausiliarie» le funzioni di pubblica sicurezza esercitate dal suddetto personale (art. 5, comma 1, lettera c).
Anche tale questione è fondata.
L’art. 4, comma 1, lettera q), della legge regionale, nella parte oggetto di censura, consente agli appartenenti alla polizia locale dei Comuni e delle Province di esercitare «attività di concorso alla tutela della sicurezza pubblica», anche al di fuori del «rispettivo territorio di competenza», sulla base di intese tra le amministrazioni interessate; con la precisazione che le «intese di collaborazione tra reparti di diversi Comuni» possono essere raggiunte «solamente previo parere favorevole del Comandante del Corpo o Servizio, inviando comunicazione al Prefetto allorquando riguardino personale avente qualità di agente di pubblica sicurezza in servizio armato».
La descrizione dell’attività oggetto delle intese è fornita dal successivo comma 4 del medesimo art. 4 – cui la citata lettera q) del comma 2 rinvia – ai sensi del quale la polizia locale è chiamata a esercitare, «nei limiti previsti dalle deliberazioni dei comitati provinciali per l’ordine pubblico e la sicurezza pubblica, funzioni di tutela della sicurezza urbana, intesa come necessario presupposto dello sviluppo economico e sociale e della salvaguardia della vita delle persone residenti nel territorio, perseguita attraverso la coniugazione delle attività di prevenzione, mediazione dei conflitti, controllo e repressione».
In questa prospettiva – come attestano, da un lato, la stessa qualificazione dell’attività come di «concorso alla tutela della sicurezza pubblica» e, dall’altro, i riferimenti alla «salvaguardia della vita delle persone» tramite interventi di prevenzione e repressione – la regolamentazione delle «intese di collaborazione» oggetto di censura viene a collocarsi nell’ambito della materia «ordine pubblico e sicurezza», di competenza legislativa esclusiva statale: materia che, per consolidata giurisprudenza di questa Corte, attiene «alla prevenzione dei reati e al mantenimento dell’ordine pubblico», inteso quest’ultimo quale «complesso dei beni giuridici fondamentali e degli interessi pubblici primari sui quali si regge l’ordinata e civile convivenza nella comunità nazionale» (ex plurimis, sentenza n. 129 del 2009 e – in rapporto a fattispecie nelle quali veniva specificamente in rilievo il concetto di «sicurezza urbana» – sentenze n. 274 e n. 226 del 2010, n. 196 del 2009). Donde la sussistenza della violazione denunciata.
Va, quindi, dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 4, commi 2, lettera q), e 4, della legge della Regione Basilicata n. 41 del 2009, nella parte in cui prevede che possano essere raggiunte intese di collaborazione nell’attività di pubblica sicurezza tra le amministrazioni locali, anche al di fuori dei rispettivi territori di appartenenza, inviandone comunicazione al prefetto solo nel caso in cui riguardino personale avente la qualità di agente in servizio armato.
4. – Secondo il ricorrente, anche l’art. 11, comma 1, lettera d), della legge regionale censurata invaderebbe l’ambito della potestà legislativa statale esclusiva in materia di ordine pubblico e sicurezza, definito dall’art. 117, secondo comma, lettera h), Cost.
Nel prevedere – quale requisito ulteriore, rispetto a quelli stabiliti dalla vigente legislazione statale, ai fini dell’ammissione ai concorsi per posti di polizia locale – che il candidato non debba «essere in possesso dello status di obiettore di coscienza», la menzionata disposizione si porrebbe, difatti, in contrasto con l’art. 1 della legge 23 agosto 2004, n. 226 (Sospensione anticipata del servizio obbligatorio di leva e disciplina dei volontari di truppa in ferma prefissata, nonché delega al Governo per il conseguente coordinamento con la normativa di settore), che sospende le chiamate per lo svolgimento del servizio di leva a decorrere dal 1° gennaio 2005. Ciò, in quanto lo «status» di obiettore di coscienza potrebbe assumere rilevanza solo in presenza di una chiamata alle armi obbligatoria.
La questione è inammissibile.
Il Presidente del Consiglio dei ministri, infatti, pur deducendo la violazione di una competenza legislativa statale esclusiva – e, dunque, l’inesistenza di qualsiasi competenza regionale nella materia considerata – ravvisa contraddittoriamente la violazione della riserva statale solo nell’asserita incompatibilità della norma denunciata con la disciplina dettata dalla legge n. 226 del 2004 (ciò, a differenza di quanto avviene in rapporto alla questione precedentemente esaminata, rispetto alla quale la normativa statale risulta evocata, nella sostanza, solo al fine di dare conto del modo in cui la rivendicata potestà esclusiva è stata esercitata). Ne discende l’inammissibilità della questione, «non potendo coesistere – se non in un rapporto di subordinazione, non dedotto nel ricorso – una censura attinente sia all’an, sia al quomodo dell’esercizio della potestà regionale» (sentenza n. 391 del 2006).
A ciò va aggiunto che il parametro evocato è palesemente inconferente, giacché il requisito dell’assenza dello «status» di obiettore di coscienza, considerato nel contesto della disciplina in esame, incide sull’accesso a un pubblico concorso volto al reclutamento di personale che svolge funzioni di polizia amministrativa locale: dunque, su un ambito certamente estraneo alla materia «ordine pubblico e sicurezza», quale intesa dalla giurisprudenza costituzionale dianzi richiamata.
5. – Una ulteriore censura investe gli artt. 19, con l’allegato A, 20, 21, con l’allegato E, e 22, con l’allegato D, della legge regionale.
Ad avviso del ricorrente, le norme impugnate – nel definire le caratteristiche delle uniformi degli addetti alla polizia locale – avrebbero adottato colori, forme, mostreggiature e gradi somiglianti a quelli in uso alla polizia di Stato: ciò, in contrasto con quanto stabilito dall’art. 6 della legge statale n. 65 del 1986, ai sensi del quale le uniformi della polizia locale devono essere tali da escludere la «stretta somiglianza» con quelle delle Forze di polizia e delle Forze armate dello Stato. Per questo verso, le disposizioni regionali tornerebbero a invadere la sfera della potestà legislativa esclusiva statale prevista dall’art. 117, secondo comma, lettera h), Cost.
Anche tale questione è inammissibile, per la contraddittorietà della sua prospettazione.
Il ricorrente abbina, difatti, nuovamente l’allegazione dell’inesistenza della potestà legislativa regionale – insita nella denunciata violazione di un titolo di competenza statale esclusiva – con una censura che attiene, per converso, unicamente alle modalità con le quali detta potestà è stata concretamente esercitata, tali da porre le disposizioni impugnate in asserito contrasto con un precetto posto dalla legge statale.
6. – Da ultimo, la Presidenza del Consiglio dei ministri impugna l’art. 26 della legge regionale, il quale prevede che la polizia locale «disporrà di un numero telefonico unico (a 3 o 4 cifre) per il pronto intervento».
Secondo il ricorrente, la norma violerebbe l’art. 117, primo comma, Cost., ponendosi in contrasto con la direttiva 2002/22/CE, recepita con d.lgs. 1° agosto 2003, n. 259 (Codice delle comunicazioni elettroniche a livello statale), che ha imposto agli Stati membri di istituire il numero unico di emergenza «112». La disposizione regionale vanificherebbe, difatti, la finalità della direttiva comunitaria e, conseguentemente, della normativa statale di recepimento: finalità che consisterebbe nel «garantire la certezza per la cittadinanza in ordine al numero o ai numeri di emergenza cui fare riferimento onde evitare il rischio di sovrapposizioni».
La questione è infondata.
L’intento della richiamata direttiva è quello di fornire ai cittadini il medesimo codice di accesso («112») ai servizi di emergenza su tutto il territorio dell’Unione, eliminando le differenze preesistenti relative ai numeri per le chiamate di emergenza. Detta uniformità non implica, tuttavia, l’esclusione di ulteriori numeri di emergenza nazionali o anche locali. Al contrario – analogamente a quanto già stabilito dalla decisione 91/396/CEE del Consiglio, la quale aveva introdotto il numero unico europeo «parallelamente a ogni altro numero nazionale esistente per tali chiamate» (art. 1) – la citata direttiva 2002/22/CE consente espressamente agli Stati membri di prevedere ulteriori numeri di emergenza nazionali (art. 26).
A conferma di ciò, nel recepire la direttiva, il d.lgs. n. 259 del 2003, all’art. 76, ha ribadito la possibilità che siano previsti numeri di emergenza nazionali e ha stabilito le modalità per la loro determinazione.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 4, comma 2, lettera c), della legge della Regione Basilicata 29 dicembre 2009, n. 41 (Polizia locale e politiche di sicurezza urbana);
2) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 4, commi 2, lettera q), e 4, della legge della Regione Basilicata n. 41 del 2009, nella parte in cui prevede che possano essere raggiunte intese di collaborazione nell’attività di pubblica sicurezza tra le amministrazioni locali, anche al di fuori dei rispettivi territori di appartenenza, inviandone comunicazione al prefetto solo nel caso in cui riguardino personale avente la qualità di agente in servizio armato;
3) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 11, comma 1, lettera d), 19, con l’allegato A, 20, 21, con l’allegato E, e 22, con l’allegato D, della legge della Regione Basilicata n. 41 del 2009, sollevate dal Presidente del Consiglio dei ministri, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera h), della Costituzione, con il ricorso indicato in epigrafe;
4) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 26 della legge della Regione Basilicata n. 41 del 2009, sollevata dal Presidente del Consiglio dei ministri, in riferimento all’art. 117, primo comma, della Costituzione, con il ricorso indicato in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 febbraio 2011.
F.to:
Ugo DE SIERVO, Presidente
Giuseppe FRIGO, Redattore
Maria Rosaria FRUSCELLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 9 febbraio 2011.
Il Cancelliere
F.to: FRUSCELLA

Corte Costituzionale: postacelere arriva tardi? Si può chiedere il risarcimento del danno


SENTENZA N. 46
ANNO 2011

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
-           Ugo                             DE SIERVO                      Presidente
-           Paolo                           MADDALENA                 Giudice
-           Alfio                            FINOCCHIARO                      "
-           Alfonso                       QUARANTA                           "
-           Franco                         GALLO                                    "
-           Luigi                            MAZZELLA                            "
-           Gaetano                       SILVESTRI                              "
-           Sabino                         CASSESE                                 "
-           Giuseppe                     TESAURO                               "
-           Paolo Maria                 NAPOLITANO                        "
-           Giuseppe                     FRIGO                                      "
-           Alessandro                  CRISCUOLO                           "
-           Paolo                           GROSSI                                   "
-           Giorgio                        LATTANZI                              "
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’articolo 6 del decreto del Presidente della Repubblica 29 marzo 1973, n. 156 (Approvazione del testo unico delle disposizioni legislative in materia postale, di bancoposta e di telecomunicazioni), promosso dal Tribunale ordinario di Napoli, nel procedimento vertente tra Gestione Epurazione Ambiente GEA S.p.A. e Poste Italiane S.p.A., con ordinanza del 5 gennaio 2007, iscritta al n. 214 del registro ordinanze 2010 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 33, prima serie speciale, dell’anno 2010.
            Visto l’atto di costituzione, fuori termine, di Poste Italiane S.p.A.;
            udito nella camera di consiglio del 26 gennaio 2011 il Giudice relatore Giuseppe Tesauro.
Ritenuto in fatto
            1. – Con ordinanza del 5 gennaio 2007, il Tribunale ordinario di Napoli ha sollevato, in riferimento agli articoli 3 e 24 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’articolo 6 del decreto del Presidente della Repubblica 29 marzo 1973, n. 156 (Approvazione del testo unico delle disposizioni legislative in materia postale, di bancoposta e di telecomunicazioni).
            1.1. – Il rimettente premette che, con atto notificato in data 27 ottobre 2003, la società Gestione Epurazione Ambiente GEA S.p.A. aveva convenuto in giudizio Poste Italiane S.p.A. al fine di ottenere il risarcimento dei danni subiti a seguito del ritardato recapito di un plico spedito con il servizio di postacelere. A sostegno della pretesa, la società attrice esponeva di aver spedito a mezzo postacelere la documentazione necessaria per la partecipazione ad una gara per l’affidamento, tramite procedura negoziata, di alcuni lavori concernenti un impianto di depurazione. Per una evidente ed ingiustificabile responsabilità da parte del vettore, la spedizione era stata effettuata non a Reggio Emilia ma a Reggio Calabria, con conseguente esclusione dell’istante dalla partecipazione alla gara, essendo scaduto il termine fissato. La società attrice, assumendo che, ove il plico fosse giunto tempestivamente, sarebbe rimasta aggiudicataria della gara, avendo offerto un ribasso maggiore delle altre concorrenti, aveva chiesto l’integrale risarcimento del danno subito, non risultando in alcun modo soddisfacente l’assegno di € 7,23, per «ritardo recapito invio dell’8 novembre 2002», inviatole dalla convenuta come previsto dal decreto ministeriale 9 aprile 2001, Carta della qualità del servizio pubblico postale.
            Costituitasi nel giudizio, Poste Italiane S.p.A. riconosceva il proprio inadempimento ma, rilevava di avere correttamente provveduto ad effettuare il solo rimborso delle spese sostenute, in virtù del d.P.R. n.156 del 1973, nonché della Carta della qualità sui servizi postali.
            1.2. – Tanto premesso, il Tribunale di Napoli sostiene che la pretesa risarcitoria dell’attrice incontrerebbe un ostacolo insuperabile nelle disposizioni legislative vigenti all’epoca dei fatti, in quanto, in virtù del rinvio all’articolo 6 del d.P.R. n. 156 del 1973, operato dall’articolo 19, primo comma del decreto legislativo 22 luglio 1999, n. 261 (Attuazione della direttiva 97/67/CE concernente regole comuni per lo sviluppo del mercato interno dei servizi postali comunitari e per il miglioramento della qualità del servizio), risultava ancora in vigore l’esclusione o limitazione di responsabilità dell’amministrazione che all’epoca gestiva i servizi postali.
            Sebbene, infatti, il predetto articolo 6 sia stato abrogato dall’articolo 218 del decreto legislativo 1° agosto 2003, n. 259 (Codice delle comunicazioni elettroniche), tale norma continuerebbe a trovare applicazione per tutte le fattispecie verificatesi anteriormente all’entrata in vigore della norma abrogatrice.
            1.3. – Il rimettente dubita, in conseguenza, della legittimità costituzionale dell’articolo 6 del d.P.R. n. 156 del 1973, poiché la tale disciplina in essa contenuta si porrebbe in contrasto con il canone di ragionevolezza e con il principio di eguaglianza garantiti dall’articolo 3 della Costituzione, «rappresentando un anacronistico privilegio in favore del concessionario del servizio postale, nonostante la natura privatistica della rapporto».
            Il Tribunale di Napoli richiama, poi, la sentenza di questa Corte n. 254 del 2002, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della norma in questione con riferimento al mancato recapito di telegramma, sottolineando che, secondo i principi da essa desumibili, sebbene debba «ritenersi sempre possibile delineare, in materia di responsabilità per danni causati agli utenti del servizio postale, una disciplina speciale ispirata a criteri più restrittivi di quella ordinaria», tuttavia la previsione, contenuta nella Carta della qualità sui servizi postali, del solo rimborso del costo sostenuto per la spedizione – trattandosi di plico postacelere giunto a destinazione con un ritardo inferiore al sesto giorno lavorativo successivo alla spedizione – non assolverebbe ad alcuna funzione risarcitoria. Tale situazione determinerebbe per il gestore di servizi postali un completo ed ingiustificato esonero da ogni responsabilità nei confronti degli utenti del servizio, analogamente alla fattispecie del mancato recapito di telegramma, esaminata dalla Consulta con la citata sentenza n. 254 del 2002.
            1.4. – La norma censurata si porrebbe altresì in contrasto con l’articolo 24 della Costituzione, «non consentendo all’utente danneggiato di far valere in giudizio il diritto ad ottenere un risarcimento in misura superiore a quella predeterminata dalla legge».
            2. – Si è costituita tardivamente la società Poste Italiane S.p.A., depositando nel contempo un’istanza di rimessione in termini, sostenendo che la pubblicazione dell’ordinanza nella Gazzetta Ufficiale in pieno periodo estivo avrebbe impedito alla medesima di depositare tempestivamente la memoria di costituzione.
Considerato in diritto
            1. – Il Tribunale ordinario di Napoli dubita, in riferimento agli articoli 3 e 24 della Costituzione, della legittimità costituzionale dell’articolo 6 del decreto del Presidente della Repubblica 29 marzo 1973, n. 156 (Approvazione del testo unico delle disposizioni legislative in materia postale, di bancoposta e di telecomunicazioni), nella parte in cui stabilisce che il gestore del servizio «non incontra alcuna responsabilità per i servizi postali, di bancoposta e delle telecomunicazioni fuori dei casi e dei limiti espressamente stabiliti dalla legge», per il caso del servizio di postacelere.
            Tale esclusione di responsabilità, violerebbe il canone di ragionevolezza e il principio di eguaglianza, «rappresentando un anacronistico privilegio in favore del concessionario del servizio postale, nonostante la natura privatistica del rapporto» e non «consentirebbe all’utente danneggiato di far valere in giudizio il diritto ad ottenere un risarcimento in misura superiore a quella predeterminata dalla legge».
            2. – Preliminarmente, deve essere disattesa, in quanto infondata, l’istanza di rimessione in termini avanzata da Poste Italiane S.p.A.
            Secondo la giurisprudenza di questa Corte, infatti, l’istituto della sospensione feriale dei termini non è applicabile al processo costituzionale, in considerazione delle peculiari esigenze di rapidità e certezza cui il medesimo processo deve rispondere (da ultimo sentenza n. 278 del 2010).
            3. – La questione di legittimità costituzionale dell’art. 6 del d.P.R. n. 156 del 1973, sollevata in riferimento all’art. 3 Cost., è fondata.
            4. – La norma, nonostante sia stata abrogata dall’art. 218 del decreto legislativo 1° agosto 2003, n. 259 (Codice delle comunicazioni elettroniche), risulta, secondo la motivazione non implausibile del giudice rimettente, applicabile ratione temporis nel giudizio a quo.
            5. – L’impugnato art. 6 è richiamato dall’art. 19, primo comma, del decreto legislativo 22 luglio 1999, n. 261 (Attuazione della direttiva 97/67/CE concernente regole comuni per lo sviluppo del mercato interno dei servizi postali comunitari e per il miglioramento della qualità del servizio), il quale, nel disciplinare la responsabilità «per la fornitura del servizio universale», applica al gestore di tale servizio (attualmente, Poste Italiane S.p.A.) la generale regola di irresponsabilità prevista per l’Amministrazione postale pubblica per i servizi postali, di bancoposta e delle telecomunicazioni «fuori dei casi e dei limiti espressamente stabiliti dalla legge».
            6. – Come già affermato da questa Corte, per il caso del servizio telegrafico, sebbene sia «sempre possibile delineare, in materia di responsabilità per danni causati agli utenti del servizio postale, una disciplina speciale ispirata a criteri più restrittivi di quella ordinaria, in rapporto alla complessità tecnica della gestione del servizio ed all’esigenza del contenimento dei costi», tuttavia la carenza di siffatta disciplina della responsabilità del gestore del servizio è in grado di tradursi in un «privilegio, privo di connessione con obiettive caratteristiche del servizio e, perciò, lesivo, al tempo stesso, del canone di ragionevolezza e del principio di eguaglianza garantiti dall’articolo 3 della Costituzione» (sentenza n. 254 del 2002).
            6.1. – Anche nel caso di specie, infatti, per il servizio di postacelere, il legislatore ha inteso, attraverso il citato rinvio all’art. 6, determinare un’esclusione di responsabilità secondo un criterio soggettivo, escludendo per il gestore del servizio universale, che il ritardato recapito determini una responsabilità di tipo risarcitorio, se non nei limiti espressamente previsti, in questo caso, ratione temporis, dal decreto ministeriale 9 aprile 2001, Carta della qualità del servizio pubblico postale.
            La previsione della mera corresponsione del costo per la spedizione determina, anche nel caso del servizio di postacelere, una totale esclusione di responsabilità, non essendo in grado di assolvere ad una funzione risarcitoria del danno arrecato all’utente, che utilizza il predetto servizio proprio in vista della celerità del medesimo e di quel quid pluris garantito dalle caratteristiche prefissate nell’atto della sua istituzione (Decreto ministeriale 28 luglio 1987, n. 564 – istituzione del servizio di postacelere interna).
            6.2. – La norma impugnata, pertanto, determina in favore del gestore un ingiustificato privilegio, svincolato da qualsiasi esigenza connessa con le caratteristiche del servizio, senza dunque realizzare alcun ragionevole equilibrio tra le esigenze del gestore e quelle degli utenti del servizio, equilibrio che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, il legislatore avrebbe invece dovuto realizzare, essendo venuta meno la concezione puramente amministrativa del servizio postale, e quindi «la possibilità di collegare tali limitazioni di responsabilità alla necessità di garantire la discrezionalità dell’Amministrazione» (sentenza n. 463 del 1997).
            Tale privilegio determina, quindi, la dedotta violazione del canone di ragionevolezza e del principio di eguaglianza garantiti dall’art. 3 Cost., con conseguente illegittimità costituzionale dell’art. 6 del codice postale nella parte in cui esclude, in mancanza di speciali norme di legge, qualsiasi responsabilità delle Poste per il ritardato recapito delle spedizioni di postacelere.
            7. – La pronuncia di illegittimità costituzionale con riferimento all’art. 3, della Costituzione, determina l’assorbimento della questione posta con riferimento all’art. 24 Cost..
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
            dichiara l’illegittimità costituzionale dell’articolo 6 del decreto del Presidente della Repubblica 29 marzo 1973, n. 156 (Approvazione del testo unico delle disposizioni legislative in materia postale, di bancoposta e di telecomunicazioni), nella parte in cui dispone che l’Amministrazione ed i concessionari del servizio telegrafico non incontrano alcuna responsabilità per il ritardato recapito delle spedizioni effettuate con il servizio postacelere.
            Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 febbraio 2011.
F.to:
Ugo DE SIERVO, Presidente
Giuseppe TESAURO, Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria l'11 febbraio 2011.

I.N.P.S. (Istituto nazionale della previdenza sociale) Msg. 11-2-2011 n. 3566 Bonus fiscale di cui all’art. 44 del D.L. 1° ottobre 2007, n. 159, convertito dalla L. 29 novembre 2007, n. 222. Richiesta di restituzione del beneficio da parte dell’Agenzia delle entrate. Emanato dall'Istituto nazionale della previdenza sociale, Direzione centrale pensioni.

Msg. 11 febbraio 2011, n. 3566 (1).

Bonus fiscale di cui all’art. 44 del D.L. 1° ottobre 2007, n. 159, convertito dalla L. 29 novembre 2007, n. 222. Richiesta di restituzione del beneficio da parte dell’Agenzia delle entrate.

(1) Emanato dall'Istituto nazionale della previdenza sociale, Direzione centrale pensioni.



Ai


Direttori regionali

Ai


Direttori delle strutture territoriali




L'articolo 44 del D.L. 1° ottobre 2007, n. 159, convertito dalla L. 29 novembre 2007, n. 222 ha previsto che a favore dei soggetti passivi dell'imposta sul reddito delle persone fisiche, per i quali è risultata nel 2006 un'imposta netta pari a zero, venisse corrisposta nell'anno 2007 una somma a titolo di rimborso forfetario pari a 150 euro.

Ai medesimi soggetti, ai sensi del comma 2 dello stesso articolo spetta la medesima somma per ciascun familiare fiscalmente a carico.

Il D.M. 8 novembre 2007 del Ministro dell'Economia e delle Finanze ha stabilito le categorie dei soggetti aventi diritto e le modalità di erogazione del rimborso in esame.

Il decreto ministeriale appena menzionato all'articolo 1, comma 2, ha ricompreso fra i destinatari del rimborso forfetario anche i soggetti percettori di pensione.

L'articolo 2, comma 2 ha inoltre disposto che ai pensionati cui l'Istituto aveva rilasciato il CUD per l'anno 2006 e ai quali viene erogato il rateo pensionistico nel mese di dicembre 2007 sia corrisposto l'importo in esame ad integrazione di quanto spettante nello stesso mese e sulla base delle informazioni possedute.

Alla luce delle disposizioni stabilite dal decreto legge in oggetto e dal successivo decreto ministeriale attuativo si è provveduto a porre in pagamento l'importo di 150 euro, laddove spettante, a ciascun pensionato, insieme alla mensilità di dicembre e al rateo di tredicesima.

Inoltre, a favore di tali soggetti, sono stati messi in pagamento anche i 150 euro spettanti per ciascun familiare a carico il cui codice fiscale fosse conosciuto dall'Istituto.

Le modalità di corresponsione del beneficio sono state illustrate con il Msg. 14 dicembre 2007, n. 30203.



1. Richiesta di restituzione del rimborso da parte dell'Agenzia delle Entrate

L'agenzia delle Entrate ha provveduto ad effettuare i controlli sulla effettiva spettanza del beneficio, e a richiedere ai pensionati l'importo a suo tempo corrisposto, maggiorato degli interessi previsti per legge e delle sanzioni.

Tenuto conto però che gli istituti previdenziali hanno proceduto all'erogazione dei bonus fiscali in via automatica, sulla sola base delle informazioni in loro possesso, come stabilito dall' art. 2, comma 2 del citato D.M. 8 novembre 2007, ed in considerazione della particolare tipologia dei contribuenti interessati, l'Agenzia ha stabilito di escludere la sanzione applicata relativa ai bonus.

La riduzione potrà essere concessa dietro presentazione di apposita istanza da parte dell'interessato formulata sulla base del fac simile fornito dall'Agenzia stessa (allegato 1), a seguito della valutazione delle singole fattispecie, e, comunque, limitatamente ai pensionati che hanno ricevuto il beneficio in via automatica e non hanno prodotto alcuna dichiarazione dei redditi (UNICO o 730).


Il Direttore generale

Nori



Allegato


Istanza di autotutela parziale


All'Ufficio territoriale di ..............................................................................


Il/la sottoscritt ............................................................................ nato/a il ................

a .................................................................................................... pr. ..............

codice fiscale ...................................................................................................................

residente a ............................................... pr. ........ Via ................................................

n. ..... cap. ......................


Premesso


che in data ................... ha ricevuto la comunicazione del recupero del bonus fiscale percepito in via automatica per il tramite dell'Istituto pensionistico ................ ed indicato nel modello CUD 2008, per un importo complessivo di euro ................... (di cui euro ............... a titolo di sanzione ridotta da versare)


consapevole che ai sensi dell'art. 76 del D.P.R. n. 445/2000 le dichiarazioni mendaci sono punite ai sensi del codice penale e delle leggi speciali in materia


Dichiara


- di non aver presentato alcuna richiesta per il riconoscimento del citato bonus fiscale;

- di non aver avuto alcuna consapevolezza dei requisiti richiesti per poter accedere a tale beneficio.


Tanto premesso:


Chiede


a codesto ufficio di riesaminare la comunicazione del bonus fiscale procedendo all'annullamento della sanzione irrogata per assenza dell'elemento soggettivo della violazione, ai sensi del combinato disposto degli articoli 5 e 6 del D.Lgs. n. 472/1997.


Luogo e data ......................... Firma ...............................................................



D.L. 1 ottobre 2007, n. 159, art. 44
D.M. 8 novembre 2007, art. 1
D.M. 8 novembre 2007, art. 2

Nuovi servizi on line dei Vigili del Fuoco per i cittadini, i professionisti e le imprese (link dretto al sito dell'autore)

Nuovi servizi on line dei Vigili del Fuoco per i cittadini, i professionisti e le imprese

Sono disponibili sul sito due nuovi servizi online a supporto degli utenti, cittadini e imprese.
Il primo è la consultazione on-line di quesiti di prevenzione incendi. Consente a tutti gli utenti di trovare le interpretazioni fornite dagli Uffici preposti sui quesiti di rilevanza generale, riguardanti l'applicazione delle norme di prevenzione incendi.
Il secondo, consultazione on-line di norme di prevenzione incendi, permette di individuare le norme e le regole tecniche di prevenzione incendi redatte dal Corpo nazionale dei Vigili del fuoco e quelle sulla sicurezza sul lavoro di interesse generale.
Il servizio è stato realizzato dall'Area Sistemi Informativi Automatizzati e la pubblicazione del materiale normativo e tecnico è curata dall'Area Prevenzione Incendi del Dipartimento dei Vigili del Fuoco, del Soccorso pubblico e della Difesa Civile.
Anche questi servizi si inquadrano nell'ambito delle azioni volte alla semplificazione ed alla trasparenza nell'accesso alle interpretazioni giuridiche ed alle disposizioni riguardanti i procedimenti amministrativi rilevanti per cittadini e imprese, in attuazione del Codice dell'Ammnistrazione digitale e della legge n.241 del 1990

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SICUREZZA STRADALE: SR LABS, DIMMI DOVE GUARDI E TI DIRO' COME GUIDI = PRIMO PROGETTO AL MONDO PER L'ANALISI DEI MOVIMENTI OCULARI DURANTE LA GUIDA

SICUREZZA STRADALE: SR LABS, DIMMI DOVE GUARDI E TI DIRO' COME GUIDI =
PRIMO PROGETTO AL MONDO PER L'ANALISI DEI MOVIMENTI OCULARI
DURANTE LA GUIDA

Milano, 13 mar. (Adnkronos) - Dimmi dove guardi e ti diro' come
guidi. SR Labs, azienda italiana specializzata nella tecnologia di eye
tracking, annuncia la partecipazione a un innovativo progetto che,
grazie all'analisi dei movimenti oculari effettuati dalle persone alla
guida di un veicolo, permettera' di fornire importanti indicazioni per
aumentare la sicurezza stradale.L'iniziativa e' la prima nel suo
genere mai realizzata al mondo con queste finalita' e nasce da un'idea
del pilota e istruttore di guida Stefano Livio, che ha potuto contare
sul supporto scientifico del dottor Giorgio Guidetti (uno dei maggiori
esperti a livello internazionale di disturbi dell'equilibrio oltre che
direttore del Servizio di Audio-Vestibologia e Rieducazione
Vestibolare dell'Azienda USL di Modena) e sulla partnership
tecnologica di SR Labs.

"Da 10 anni operiamo esclusivamente nel settore dell'eye
tracking e delle sue applicazioni -afferma Gianluca Dal Lago,
amministratore delegato di SR Labs- e abbiamo maturato competenze
elevate in tutti i settori: dal marketing all'usabilita' dei sistemi,
al medicale, all'integrazione nei sistemi industriali, fino al mondo
scientifico. Per questo progetto stiamo utilizzando uno strumento di
misurazione davvero innovativo: degli occhiali speciali che apriranno
nuove strade applicative nello sport e nel marketing."

La teoria alla base dello studio, confermata dalle risultanze
dei primi test effettuati con la strumentazione di eye tracking sia su
strada normale sia in circuito durante i corsi di guida sicura, e' che
si possa migliorare il grado di sicurezza nelle diverse condizioni
attivando meccanismi di attenzione selettiva e quindi "insegnando" ai
nostri occhi cosa e dove guardare. (segue)

(Sec/Opr/Adnkronos)
13-MAR-11 15:37
SICUREZZA STRADALE: SR LABS, DIMMI DOVE GUARDI E TI DIRO' COME GUIDI (2) =

(Adnkronos) - "Nella mia pluriennale esperienza di istruttore di
guida -ha dichiarato Stefano Livio- ho notato come molto spesso le
persone non sappiano esattamente dove guardare. Questo le porta per
esempio a spostare continuamente lo sguardo nell'avvicinarsi ad una
curva e durante la sua percorrenza, riducendo la percezione visiva
della strada."

Per la registrazione dei movimenti oculari sono stati impiegati
degli innovativi e rivoluzionari occhiali dotati di due telecamere:
una registra cio' che la persona ha davanti a se' e l'altra, a raggi
infrarossi, misura e registra i movimenti oculari (tempi e direzioni)
ben 30 volte al secondo. In questo modo e' possibile capire in ogni
momento dove il guidatore sta guardando e da che cosa e' attratta la
sua attenzione in quell'attimo.

L'obiettivo e' migliorare le prestazioni in particolari
condizioni di guida (notevoli sollecitazioni ambientali, alta
velocita' o terreno sconnesso, ridotte informazioni visive, come nel
buio o nella nebbia) attraverso la conoscenza dei meccanismi
anatomo-fisiologici alla base dei movimenti oculari e correggere anche
eventuali difetti soggettivi del conducente. (segue)

(Sec/Opr/Adnkronos)
13-MAR-11 15:48

NNNN
SICUREZZA STRADALE: SR LABS, DIMMI DOVE GUARDI E TI DIRO' COME GUIDI (3) =

(Adnkronos) - "Uscire dal vicolo cieco della soggettivita' e
poter ottenere un'indicazione oggettiva del tracciato oculare seguito
dal guidatore -ha osservato Giorgio Guidetti- ci permette di valutare
con grande precisione i movimenti oculari, tanto nella loro sequenza
quanto nella durata, e di vederli sovrapposti all'immagine osservata,
ottenendo quindi un immediato riscontro di assoluta precisione."

Gli speciali occhiali utilizzati per misurare lo sguardo
rappresentano uno strumento rivoluzionario, preciso ed efficace di
"mobile eyetracking", ideale per studiare il comportamento naturale
delle persone ed effettuare ricerche qualitative e quantitative in
diversi settori: sportivo, marketing, commerciale e scientifico.

I risultati emersi dallo studio e la tecnologia alla base di
questo strumento saranno infatti estremamente utili in tutti gli
aspetti della vita quotidiana in cui e' necessario conoscere
esattamente dove sta guardando una persona e quali elementi attirano
la sua attenzione. Pensiamo ad esempio alle applicazioni in ambito
sportivo (sci, tennis) dove la capacita' di concentrazione permette
all'atleta di migliorare le prestazioni. Oppure agli uffici marketing
e vendite, che possono usufruire di una tecnologia avanzata e non
invasiva per studiare le caratteristiche del packaging o l'efficacia
di un particolare posizionamento del prodotto sullo scaffale. Infine
gli ambienti lavorativi, in cui capire dove si concentra l'attenzione
delle persone e' di fondamentale importanza: dalla guida dei treni
alla gestione di sale controllo, dove devono essere in grado di
seguire quello che accade su piu' schermi. (segue)

(Sec/Opr/Adnkronos)
13-MAR-11 15:56

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SICUREZZA STRADALE: SR LABS, DIMMI DOVE GUARDI E TI DIRO' COME GUIDI (4) =

(Adnkronos) - Grazie a tecnologie sofisticate questi occhiali
possono essere utilizzati in qualunque situazione reale, dove il
design discreto e ultraleggero permette alle persone sottoposte al
test di comportarsi in modo naturale e quindi di ottenere misurazioni
scevre (non inficiate) da influenze esterne.

Tutti i dati registrati vengono poi analizzati grazie alle
applicazioni software sviluppate da SR Labs. In sostanza, sapendo dove
la persona ha guardato, in che sequenza e per quanto tempo lo sguardo
e' rimasto fisso su un singolo punto, si possono derivare elementi di
grandissimo valore utili alla comprensione dei comportamenti.

Per come e' fatta la fisiologia dell'occhio umano, durante i
movimenti rapidi degli occhi (chiamati movimenti saccadici) le
persone, senza esserne consapevoli, non possiedono una percezione
visiva: in altre parole sono cieche. Per fortuna i meccanismi
cerebrali cognitivi, parzialmente diversi per ciascun individuo, sono
in grado di ricostruire, in tempo reale, tutti i dettagli mediante un
processo di "riempimento" basato soprattutto sulla memoria, attraverso
il confronto con esperienze passate. Per questo non ci rendiamo conto
di questi continui flash di cecita'. (segue)

(Sec/Opr/Adnkronos)
13-MAR-11 16:08

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SICUREZZA STRADALE: SR LABS, DIMMI DOVE GUARDI E TI DIRO' COME GUIDI (5) =

(Adnkronos) - Quando invece lo sguardo e' fermo su un punto e
durante i movimenti lenti la percezione visiva si basa su quanto
effettivamente vede l'occhio.

Quando guidiamo, il nostro comportamento e' influenzato da
numerosi fattori: quelli dipendenti da elementi esterni non
modificabili (il tipo di strada o il clima) o poco modificabili (il
mezzo meccanico); quelli dipendenti dal nostro organismo come le
informazioni visive (oggetti, persone, animali, edifici, etc.),
acustiche (suoni, voci, rumori), e provenienti dal labirinto
dell'orecchio interno (accelerazioni lineari e angolari, inclinazione
del capo e del corpo); le caratteristiche fisiche e psicologiche; le
capacita' di adattamento.

Con un minimo di insegnamento e di impegno nell'applicazioni di
pochi e semplici principi e' possibile riuscire a controllare
adeguatamente i vari meccanismi riflessi di fissazione visiva e quindi
ridurre il numero dei movimenti saccadici, ottenendo un aumento del
grado di sicurezza in condizioni di guida normale.

(Sec/Opr/Adnkronos)
13-MAR-11 16:22

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