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martedì 21 novembre 2023

Corte d'Appello 2023-Specificamente l'appellante deduceva che il recesso era stato determinato dalla circostanza che ella aveva fruito dei permessi di cui alla L. n. 104 del 1992

 



Corte d'Appello Roma Sez. lavoro, Sent., 04-10-2023

Fatto - Diritto P.Q.M. 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

CORTE DI APPELLO DI ROMA

SEZIONE CONTROVERSIE LAVORO, PREVIDENZA E ASSISTENZA OBBLIGATORIA La Corte, composta dai seguenti magistrati:

Dott.ssa Maria Antonia Garzia - Presidente rel.

Dott. ssa Alessandra Trementozzi - Consigliere

Dott.ssa Sabrina Mostarda - Consigliere

ha pronunciato, mediante lettura del dispositivo, all'udienza del 29/09/2023 la seguente

SENTENZA

nella controversia in materia di lavoro in grado di appello iscritta al n. RG 767/ 2023 vertente

TRA

OMISSISrappresentata e difesa dall'Avv.  

APPELLANTE

E

OMISSIS S.R.L. rappresentato e difeso   ;

APPELLATO

Oggetto : appello avverso l'ordinanza del tribunale di Tivoli nel procedimento rg 3219/21 dell'8.3.23


Svolgimento del processo - Motivi della decisione


A.C.A. proponeva appello avverso l'ordinanza emessa dal tribunale del lavoro di Tivoli in data 8 marzo 2023, in esito al procedimento ex articolo 702 bis del codice procedura civile e ex articolo 28 del D.Lgs. n. 150 del 2011. La signora A. chiedeva nuovamente a questa Corte dichiararsi che la società a responsabilità limitata OMISSIS aveva posto in essere una condotta discriminatoria nei suoi confronti in occasione dell'intimazione del licenziamento in data 18.1.21 ; per l'effetto chiedeva ulteriormente ordinarsi la reintegra di essa medesima nel posto di lavoro precedentemente occupato e il pagamento delle retribuzioni nelle more maturate , nonché il risarcimento del danno non patrimoniale patito . Specificamente l'appellante deduceva che il recesso era stato determinato dalla circostanza che ella aveva fruito dei permessi di cui alla L. n. 104 del 1992 . Lamentava che il tribunale non avesse tenuto conto del fatto che non aveva mai usufruito di permessi per assistere la figlia disabile fino allo scoppio della pandemia e che invece il recesso era stato intimato dopo che , per la prima volta , aveva palesato l'intenzione di avvalersi di siffatti permessi; contestava l'attendibilità delle dichiarazioni del teste M. e lamentava che non fosse stata disposta l'acquisizione d'ufficio delle sue buste paga per verificare la correttezza delle dichiarazioni. .Lamentava che fosse stata negata valenza probatoria alla documentazione prodotta attestante la prassi di comunicare verbalmente la richiesta di permessi. In ogni caso la signora A. deduceva l'assenza di un illecito disciplinarmente rilevante , l'incongruenza delle dichiarazioni del teste S. , la credibilità e specificità delle dichiarazioni della teste S. , il mancato accertamento dell'esistenza di un chiaro e illecito disegno della società finalizzata ad espellerla dal lavoro , l'errata indicazione di un obbligo di comunicazione scritta della fruizione dei permessi ex L. n. 104 del 1992 , la mancata considerazione dell'ulteriore motivo di discriminazione rappresentato dal fatto che la ricorrente era associata ad un sindacato scomodo.

Si costituiva la società OMISSIS srl contestando le avverse deduzioni e chiedendo la conferma dell'impugnata ordinanza.

Deve preliminarmente respingersi l'eccezione di inammissibilità del ricorso per intervenuta decadenza in ragione della mancata notifica dell'atto di citazione al termine di 30 giorni dal deposito dell'ordinanza impugnata . Trattandosi di rito lavoristico la decadenza è impedita dal solo deposito del ricorso introduttivo , fermo l'obbligo di notifica nel termine fissato dalla Corte : il deposito è intervenuto il 6 Aprile 2023 a fronte di una ordinanza emessa l'otto marzo 2023 nel pieno rispetto dei termini di legge.

Nel merito il D.Lgs. 10 settembre 2011, n. 150 ha ricondotto il procedimento contro le discriminazioni al modello del rito sommario di cognizione ex art. 702 bis e ss. cod. proc. civ.. L'art. 28 del menzionato decreto stabilisce infatti: "1. Le controversie in materia di discriminazione di cui all'articolo 44 del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286,quelle di cui all'articolo 4 del D.Lgs. 9 luglio 2003, n. 215, quelle di cui all'articolo 4 del D.Lgs. 9 luglio 2003, n. 216, quelle di cui all'articolo 3 della L. 1 marzo 2006, n. 67, e quelle di cui all'articolo 55-quinquies del D.Lgs. 11 aprile 2006, n. 198, sono regolate dal rito semplificato di cognizione, ove non diversamente disposto dal presente articolo. 2. E' competente il tribunale del luogo in cui il ricorrente ha il domicilio. 3. Nel giudizio di primo grado le parti possono stare in giudizio personalmente. 4. Quando il ricorrente fornisce elementi di fatto, desunti anche da dati di carattere statistico, dai quali si puo' presumere l'esistenza di atti, patti o comportamenti discriminatori, spetta al convenuto l'onere di provare l'insussistenza della discriminazione. I dati di carattere statistico possono essere relativi anche alle assunzioni, ai regimi contributivi, all'assegnazione delle mansioni e qualifiche, ai trasferimenti, alla progressione in carriera e ai licenziamenti dell'azienda interessata"

Come è noto , costituisce discriminazione diretta qualsiasi disposizione, criterio, prassi, atto, patto o comportamento, nonché l'ordine di porre in essere un atto o un comportamento, che produca un effetto pregiudizievole discriminando il titolare del fattore di rischio e, comunque, il trattamento meno favorevole rispetto a quello di un'altra lavoratrice o di un altro lavoratore in situazione analoga.

Quel che rileva, dunque, è che, in presenza di situazioni analoghe, sia stato posto in essere un atto o un comportamento pregiudizievole e comunque sia stato attribuito un trattamento meno favorevole ad un lavoratore in ragione del fattore qualificato di diversità di cui sia portatore

Quanto alla concreta dimostrazione di una situazione di tal genere i criteri di riparto dell'onere probatorio non seguono i canoni ordinari di cui all'art. 2729 cod. civ. (finendosi altrimenti per porre a carico di chi agisce l'onere di una prova piena del fatto discriminatorio, ancorché raggiunta per via presuntiva), bensì quelli speciali, che non stabiliscono un'inversione dell'onere probatorio, ma solo un'agevolazione del regime probatorio in favore del ricorrente; ne consegue che il lavoratore deve provare il fattore di rischio, e cioè il trattamento che assume come meno favorevole rispetto a quello riservato a soggetti in condizioni analoghe e non portatori del fattore di rischio, ed il datore di lavoro, le circostanze inequivoche, idonee a escludere, per precisione, gravità e concordanza di significato, la natura discriminatoria della condotta, in quanto dimostrative di una scelta che sarebbe stata operata con i medesimi parametri nei confronti di qualsiasi lavoratore privo del fattore di rischio, che si fosse trovato nella stessa posizione (v. in tal senso Cass. 2 gennaio 2020, n. 1; Cass. 12 ottobre 2018, n. 25543).

Il legislatore ha posto a carico del lavoratore, dunque, solo la dimostrazione di una ingiustificata differenza di trattamento o anche solo una posizione di particolare svantaggio, dovute al fattore di rischio tipizzato dalla legge in termini tali da integrare una presunzione di discriminazione, restando, per il resto, a carico del datore di lavoro l'onere di dimostrare che non vi sia stata violazione del principio di non discriminazione.

Laddove dunque il lavoratore sia in grado di provare il fattore di rischio, e cioè il trattamento che assume come meno favorevole rispetto a quello riservato a soggetti in condizioni analoghe e non portatori del fattore di rischio, il datore di lavoro è onerato di provare le circostanze inequivoche, idonee a escludere, per precisione, gravità e concordanza di significato, la natura discriminatoria della condotta, in quanto dimostrative di una scelta che sarebbe stata operata con i medesimi parametri nei confronti di qualsiasi lavoratore privo del fattore di rischio, che si fosse trovato nella stessa posizione. (Cass. Ordinanza n. 3361 del 03/02/2023; Cass. Sentenza n. 1 del 02/01/2020; Cassazione Sentenza n. 5476 del 26/02/2021 )

L'attore deve fornire elementi fattuali che, anche se privi delle caratteristiche di gravità, precisione e concordanza, devono rendere plausibile l'esistenza della discriminazione, pur lasciando comunque un margine di incertezza in ordine alla sussistenza dei fatti costitutivi della fattispecie discriminatoria; il rischio della permanenza dell'incertezza grava sul convenuto, tenuto a provare l'insussistenza della discriminazione una volta che siano state dimostrate le circostanze di fatto idonee a lasciarla desumere (Cass., Sentenza n. 9870 del 28/03/2022, Cass. Ordinanza n. 3361 del 03/02/2023 ).

Nel caso che ci occupa la società OMISSIS srl ha contestato un'assenza ingiustificata protratta per quattro giornate alla sua dipendente A.C.A.. La ricorrente assume la discriminatorietà di tale contestazione e del successivo licenziamento in ragione del fatto che ella fruiva dei permessi per l'assistenza alla figlia disabile ex L. n. 104 del 1992 e al contempo aderiva ad un'associazione sindacale non gradita alla parte datoriale. Ad avviso della lavoratrice siffatte due condizioni singolarmente o cumulativamente considerate avevano determinato la discriminazione in suo danno che si era manifestata nella intimazione di un atto di recesso in difetto di presupposti legittimanti.

Il licenziamento fu disposto per assenza ingiustificata , ma la ricorrente assume che, nelle quattro giornate di pretesa assenza ingiustificata, ella aveva fruito di permessi per assistenza alla figlia disabile; deduce , ulteriormente , che il comportamento discriminatorio poteva presumersi in ragione del fatto che la sanzione del licenziamento era intimata alla lavoratrice che per la prima volta in concomitanza con il periodo pandemico aveva palesato l'intenzione di fruire dei permessi ex L. n. 104 del 1992 , permessi di cui in passato non aveva mai beneficiato.

Operate queste premesse non v'è chi non veda come , al fine di argomentare l'esistenza stessa della dedotta discriminazione, a prescindere dalla illegittimità dell'intimato recesso che poterebbe anche mancare, la dipendente avrebbe dovuto provare che il licenziamento per assenza ingiustificata protratta oltre i 3 giorni previsti contrattualmente , pur se previsto quale causa di licenziamento dalla contrattazione collettiva di settore , costituiva un trattamento meno favorevole che la società destinava esclusivamente al lavoratore portatore del fattore di discriminazione . In effetti la prova della unicità e determinatezza del motivo non rileva nel caso di licenziamento discriminatorio, che ben può accompagnarsi ad altro motivo legittimo ed essere comunque nullo (cfr. Cass. n. 2414 del 2022). Ma la dipendente avrebbe però dovuto argomentare che il recesso per assenza ingiustificata , pur previsto normativamente , non era istituto applicato nei confronti di lavoratori non portatori di fattori di discriminazione . Avrebbe cioè dovuto provare che il dipendente non portatore del fattore di discriminazione in situazione analoga non sarebbe stato licenziato, deducendo una correlazione significativa fra questi elementi che rendeva plausibile la discriminazione. Se il lavoratore avesse assolto tale onere, il datore di lavoro avrebbe dovuto dimostrare l'insussistenza della discriminazione, deducendo e provando circostanze idonee ad escludere la natura discriminatoria del recesso, in quanto dimostrative di una scelta che sarebbe stata operata con i medesimi parametri nei confronti di qualsiasi lavoratore privo del fattore di rischio, che si fosse trovato nella stessa posizione (in questi termini cfr. Cass. n. 9870 del 2022).

Tale prova non è stata fornita dalla dipendente, e neppure la circostanza meramente allegata. La signora A., in effetti, si è limitata ad allegare un generico atteggiamento discriminatorio della società nei confronti dei dipendenti che fruivano di benefici ex L. n. 104 del 1992 e pure nei confronti degli esponenti della organizzazione sindacale cui ella stessa aderiva, atteggiamento manifestato anche verbalmente in occasioni di incontri sindacali dal preposto. Da tale atteggiamento asseritamente discriminatorio , l'appellante ha fatto derivare la discriminatorietà del recesso intimatole. L'accertamento svolto ha dunque avuto ad oggetto, alla stregua delle allegazioni di parte, più in generale , l'atteggiamento aziendale nei confronti del personale avente diritto ai benefici di cui alla L. n. 104 del 1992 per prestare assistenza al familiare portatore di handicap grave e l'atteggiamento della società nei confronti degli iscritti alla CISL, sindacato di appartenenza della ricorrente. Orbene , a prescindere dalla scarsa significatività di tale accertamento , dovendosi viceversa calare il carattere discriminatorio della condotta aziendale in relazione alla specifica situazione di cui si controverte, l'istruttoria svolta ha consentito di escludere che la società avesse nei confronti del personale che fruiva di benefici ex L. n. 104 del 1992 un atteggiamento discriminatorio. Analoghe considerazioni valgono con riferimento agli esponenti dell'organizzazione sindacale cui la ricorrente aderiva.

Nel corso del giudizio di primo grado , infatti , il tribunale ha proceduto alla istruttoria testimoniale su conforme richiesta delle parti. Sono stati escussi come testi la signora F.S. , il signor A.S. , il signor C.B. , il signor D.M..

Il signor D.M. è stato escusso come teste in quanto fruitore , come la ricorrente , di permessi ex L. n. 104 del 1992 avendo una sorella disabile. Il teste ha dichiarato di lavorare per la società appellata dal dicembre 2017 e di star fruendo - alla data della deposizione testimoniale, il 20.9.22 - di permessi   sindacali di permessi per l'assistenza alla congiunta da almeno due anni ( pertanto da epoca antecedente al licenziamento della ricorrente, diversamente da quanto dalla stessa dedotto), mediamente tutti i mesi ; precisava di aver sempre fatto richiesta per iscritto di siffatti permessi compilando un modulo che veniva consegnato al direttore T.: l'azienda firmava il foglio per ricevuta e ne consegnava una copia al dipendente . Inoltre il teste riferiva di essere stato iscritto al sindacato Fisascat Cisl , lo stesso sindacato della ricorrente e di aver partecipato ad assemblee delle rappresentanze sindacali aziendali , ma di non aver mai ricevuto contestazioni disciplinari; ha pure escluso che la società avesse cambiato atteggiamento nei suoi confronti successivamente alla sua iscrizione al sindacato e di aver cancellato la propria iscrizione per volontà datoriale. Il teste ha riferito di aver preferito recedere dal sindacato Cisl perché non condivideva alcune decisioni dell'organizzazione sindacale in quanto eccessivamente conflittuali, ma che lo aveva fatto liberamente Non v'è ragione di presumere l'inattendibilità del teste il quale ha reso dichiarazioni confermate anche dal teste S. . Non v'era ragione pertanto di acquisire , d'ufficio, a conforto delle dichiarazioni del teste, le buste paga del dipendente.

Dalla deposizione del teste emerge dunque:

1. che la procedura per la richiesta di permessi ex L. n. 104 del 1992 prevedeva un modulo compilato dal lavoratore che veniva sottoscritto dall'azienda e per il quale veniva rilasciato una copia al richiedente ;

2. che l'azienda non ha mai non aveva mai opposto alcun rifiuto , quanto meno dal 2020 al 2022 alle istanze di permesso ex L. n. 104 del 1992 dai suoi dipendenti , anche per quei dipendenti , come lui, che richiedevano un giorno di permesso al mese ;

3. che egli fu iscritto al medesimo sindacato CISL della ricorrente e che non subì alcun procedimento disciplinare in quel periodo , né ebbe percezione di ostilità dell'azienda verso il sindacato, né gli fu richiesto mai di recedere dal sindacato medesimo ( che tuttavia, assumeva il teste avere un atteggiamento eccessivamente conflittuale con l'azienda)

È stato ulteriormente escusso come teste C.B. sindacalista della Fisascat Cisl Roma presso la società appellata . Il teste ha dichiarato che la rappresentanza sindacale aziendale ha avuto in azienda un massimo di sei iscritti , ha rappresentato l'esistenza di un clima ostile sul luogo di lavoro , laddove la rappresentanza sindacale aziendale rivendicava il rispetto dell'orario contrattuale da parte dei dipendenti , mentre i vertici della società opponevano un rifiuto a tale istanza tale da indurre l’ organizzazione a proclamare lo stato di agitazione. Il teste ha ulteriormente dichiarato che nel 2020 , in esito allo stato di agitazione prodottosi in azienda , i lavoratori iscritti alla Cisl avevano ricevuto delle lettere di contestazione che - a suo avviso-avevano una funzione punitiva , come la sospensione cautelare di un lavoratore per ritardo, ravvisando una sproporzione dell'atteggiamento datoriale nei confronti dei lavoratori iscritti. Il teste lamentava che il signor M., al primo incontro presso la sede di Sora, disse che il sindacato rappresentava un problema per l'azienda , così come la rappresentanza sindacale aziendale , e che senza il sindacato si stava meglio . Egli interpretava queste dichiarazioni come finalizzate a presagire un licenziamento degli iscritti a sindacato non gradito. B. lamentava un clima intimidatorio che si manifestava anche attraverso toni di voce alterati in occasione di incontri sindacali per i procedimenti disciplinari e denunciava che dei 5 dipendenti ancora iscritti alla Cisl , quattro avevano ricevuto contestazioni disciplinari e due di essi erano stati licenziati mentre altri due avevano disdetto d'iscrizione al sindacato , tra cui il M. , quest'ultimo per quanto noto al teste , su suggerimento del direttore. Il teste ha poi rammentato che , da ultimo , i rapporti sindacali risultavano meno tesi ; in relazione alla vicenda occorsa alla signora A. rammentava che la dipendente era stata licenziata per assenza ingiustificata in regione di un problema di comunicazione della lavoratrice all'azienda , ma che il sindacato non ritenne di promuovere la procedura per comportamento discriminatorio ai danni della dipendente in difetto di elementi di prova in senso favorevole alla dipendente medesima.

Dalla deposizione del B. emerge indubbiamente una situazione di conflittualità tra l'organizzazione sindacale CISL ,che rivendicava il rispetto dei diritti dei lavoratori , e l'azienda. Invero il B. aveva una visione limitata di rapporti all'interno dell'azienda in quanto egli non era dipendente della società appellata, ma era stato coinvolto da alcuni dipendenti che si erano rivolti a lui per costituire una rappresentanza sindacale aziendale della Cisl all'interno della OMISSIS srl . Il suo contatto con l'azienda era dunque limitato alle occasioni di confronto sindacale , per loro natura conflittuali. Peraltro l'atteggiamento che si imputa al M. in occasione di divergenze sull'applicazione del contratto di lavoro rientra nell'ordinaria dinamica di contrapposizione tra la parte datoriale e l'organismo posto a protezione degli interessi dei lavoratori, senza da questo volersi far derivare alcuna posizione preconcetta e ancor meno atteggiamenti persecutori o discriminatori. Non è d'altronde emerso neppure che le procedure disciplinari avviate nei confronti dei 4 sindacalisti CISL fossero illegittime, sproporzionate o discriminatorie. E l'esercizio del potere disciplinare al ricorrere di violazioni contrattuali effettive, non può di tutta evidenza presumersi discriminatorio. La società ha prodotto in atti la contestazione disciplinare mossa nei confronti dei dipendenti P. e D.. In effetti nei confronti del P. le contestazioni disciplinari non avevano alcuna connessione con l'attività sindacale . Si rappresentava che il dipendente si recava abitualmente nei locali della cucina, senza essere autorizzato , e assaggiava i prodotti in preparazione ; che si era rivolto, con tono di voce alto e linguaggio scurrile , contro il T. che intendeva consegnargli degli ordini di servizio; che, nonostante l'esplicito divieto , si era intrattenuto al telefonino in una conversazione durata 10 minuti all'interno del laboratorio della pescheria ; che era stato richiamato in quanto in almeno due occasioni, durante il turno di lavoro ,mentre serviva i clienti , aveva il cellulare sopra il frigorifero del reparto con la musica a volume alto , infastidendo i clienti e rendendo problematico comunicare con loro . Il D'antoni , a sua volta era stato licenziato per essere risultato assente in occasione della visita del medico incaricato del controllo durante la malattia il giorno 19 Febbraio 2021 : in relazione a tale condotta si contestava al dipendente la recidiva posto che egli era già stato sanzionato con i precedenti provvedimenti al 29 Aprile 2020 e dell'undici novembre 2020 per le stesse condotte.

D'altra parte l'affermazione del teste secondo cui la sospensione di un altro lavoratore, diverso dal D. e dal P., per ritardi reiterati fosse intimidatoria da parte dell'azienda , palesa esclusivamente una percezione del teste, e nulla di più. Con riferimento alla signora A. , lo stesso teste ha dichiarato che il sindacato ritenne di non dover denunciare la discriminatorietà del licenziamento intimato, difettando i presupposti probatori per tale rivendicazione. Ed anche in occasione della formulazione delle proprie difese la A. preferì farsi tutelare da altro sindacato nei confronti dell'azienda. In conclusione, l'istruttoria testimoniale sul punto non ha consentito di accertare che l'intimazione del recesso potesse essere riconducibile a un atteggiamento discriminatorio nei confronti della ricorrente in quanto iscritta al sindacato Cisl. La circostanza che più iscritti all'organizzazione sindacale Cisl siano stati sanzionati per condotte violativa degli obblighi contrattuali assunti nei confronti dell'azienda non consente di ritenere integrata una presunzione di discriminatorietà in danno della A. poiché ancora una volta manca la correlazione tra la condotta e la titolarità del fattore di rischio : la parte non ha neppure allegato che le contestazioni mosse nei confronti di sindacalisti della Cisl non sarebbero state parimenti mosse nei confronti di iscritti ad altri sindacati , ovvero di soggetti non iscritti ai sindacati medesimi . Anche avuto riguardo alla deposizione del teste B., deve dunque escludersi la discriminatorietà della condotta aziendale in quanto non è neppure allegata la prova della connessione tra un trattamento svantaggioso e il fattore di rischio , non è cioè allegato che la contestazione disciplinare mossa alla A. non sarebbe stata mossa nei confronti di altro dipendente che avesse tenuto condotte simili ( come non è dimostrato per gli altri sindacalisti CISL sanzionati), neppure in via presuntiva

E’ stato ulteriormente sentito come teste nel corso del giudizio di primo grado A.S. dipendente della C. , addetto al reparto ortofrutta. Il teste non rammentava di aver mai visto o conosciuto F.S. , amica della ricorrente e presente quando la ricorrente dichiarava di aver richiesto verbalmente i permessi ex L. n. 104 del 1992 al T., non rammentava che la ricorrente fosse stata assente dal lavoro dal mese di novembre 2020 , non rammentava un colloquio tra la ricorrente e T. in cui la A. chiedeva di fruire dei permessi ex L. n. 104 del 1992 alla presenza di una sua amica . Per contro il teste , in relazione ai congedi parentali , rammentava di aver sempre mandato una richiesta scritta al T. , pur senza l'utilizzo di moduli prestampati , così come faceva anche per le richieste di ferie , confermando che tutti i dipendenti sottoscrivevano richieste scritte per ferie , aspettative, congedi. Il teste ha invece escluso che il M. si fosse mai rivolto ai dipendenti iscritti alla Cisl minacciando di volerli licenziare e di non essersi mai avveduto di un suo atteggiamento ostile nei confronti del sindacato. Ha poi confermato di aver saputo dal collega D. che la richiesta di permessi ex 104/02 che questi rivolgeva all'azienda, era formulata per iscritto.

La deposizione del S., seppure non ha consentito di fare luce sull'incontro del novembre 2020 della A. col T., alla presenza della signora S. , non rammentando egli di avervi partecipato , ha consentito di appurare che le richieste di congedo , ferie e permessi ex L. n. 104 del 1992 erano sempre operate per iscritto dei dipendenti ; anch'egli ha negato l'esistenza di un atteggiamento prevenuto dell'azienda nei confronti del sindacato Cisl.

Infine è stata sentita come teste F.S. , esterna all'azienda e amica della A. . La teste rammentava di essersi recata, nei primi giorni di novembre 2020 , presso il C. di Tivoli per discutere su alcuni elementi della busta paga della A. ("cose che non tornavano nella busta paga ")e per richiedere dei giorni di permesso ex L. n. 104 del 1992 . Deve premettersi che la teste rammentava che all'incontro erano presenti E.T. e A.S. e che l'incontro ebbe luogo nella zona box , nelle vicinanze della casse. La teste dichiarava di non ricordare le parole precise della A., ma che questa comunicò i giorni di congedo che avrebbe voluto prendere a E.T. il quale accordò siffatte giornate , richieste in prossimità della data del colloquio . La teste non ricordava quali fossero siffatte giornate.

La deposizione della teste S. non è idonea a provare l'assunto della A. di avere presentato una richiesta verbale di permessi ex L. n. 104 del 1992 al signor E.T. e che questi accordò tali permessi nell'incontro avuto presso la sede del C. di Tivoli nei primi giorni di novembre 2020

Depongono in senso contrario alla verosimiglianza delle circostanze che si vorrebbero provare con la deposizione della teste S. i seguenti elementi:

1. il teste S. asseritamente presente all'incontro in cui si discuteva della richiesta della ricorrente di permessi ex L. n. 104 del 1992, nel novembre 2020, non rammentava invece di aver partecipato ad un colloquio della A. con il T. avente questo contenuto , né rammentava di aver mai visto la signora S.;

2. la teste S. non ricorda quali furono le giornate di permesso ex L. n. 104 del 1992 richieste dalla ricorrente, pur rappresentando che si trattava di giornate in prossimità dell'incontro medesimo;

3. i dipendenti della società, sentiti quali testi, hanno confermato che la richiesta di permessi , ferie o congedi era operata sempre per iscritto dal dipendente. Alcuni testi rammentano la presenza di un modulo predisposto dall'azienda e compilato dal lavoratore , che veniva poi restituito sottoscritto per ricevuta in copia al lavoratore medesimo , altri , comunque, rammentano la formalizzazione per iscritto di siffatte richieste. La prova delle formulazioni per iscritto delle richieste di ferie , permessi e congedi è stata offerta anche documentalmente considerato che per disposizione del contratto collettivo le richieste di permesso in generale sono comunicate per iscritto alla parte datoriale. Tale procedura ( con richiesta scritta) risulta anche la più adeguata al fine di attivare la copertura assicurativa dell'ente previdenziale ( cfr documentazione di accoglimento delle istanze di permesso per i periodi precedenti dell'INPS per la signora A.) . D'altronde la necessità della formulazione di una richiesta per iscritto dei permessi ex L. n. 104 del 1992, diversamente da quanto opinato dalla A., non è smentita dal documento allegato 16 di parte datoriale, ma trova conferma in tale produzione. L'allegato 16 della società contiene tutte le richieste di permessi ex L. n. 104 del 1992 formulati via email proprio dalla A. , palesemente consapevole della necessarietà di una siffatta formalizzazione della istanza;

4. la ricorrente era in malattia dal 23 ottobre 2020. Tale situazione di malattia si è protratta fino al 24 dicembre 2020 con le sole soluzioni di continuità rappresentate dalla pretesa fruizione di quattro giorni di congedo ex L. n. 104 del 1992, dalle festività nazionali e dai fine settimana; nei primi giorni di novembre , quando l'incontro in azienda dovrebbe aver avuto luogo , la ricorrente certamente non poteva conoscere in quali giorni ella avrebbe avuto interesse a fruire di permessi ex L. n. 104 del 1992 poiché era in malattia e la situazione di malattia si protraeva - salvo le interruzioni per festività e per la fruizione di 4 permessi ex L. n. 104 del 1992 - fino al 24 dicembre 2020. Più specificamente la ricorrente era in malattia dal 23 ottobre 2020 e il primo periodo di congedo cessava il 14 novembre 2020, nella giornata di sabato per poi riprendere il 18 novembre, dopo avere la dipendente fruito del sabato e della domenica di ordinario riposo e di due giorni che avrebbe voluto imputare a permesso ex L. n. 104 del 1992; la malattia riprendeva poi il 18 novembre per interrompersi nuovamente il sabato 28 e riprendere, dopo il fine settimana di riposo e un giorno ancora da imputarsi a permessi ex L. n. 104 del 1992, l'1 dicembre; la malattia riprendeva fino al sabato 5 dicembre , quando si interrompeva in occasione del sabato e domenica di riposo , per riprendere il 9 dicembre, dopo la festività dell'8 dicembre e intendendosi imputare il 7 dicembre , giorno intermedio , a permesso ex L. n. 104 del 1992 . Le 4 giornate di permesso si "incistavano" tra più periodi di congedo per malattia che avevano determinato l'assenza protratta della lavoratrice dal 23 ottobre 2020 al 24dicembre 2020 , eliminando di fatto qualsivoglia soluzione di continuità

E’ dunque inverosimile che la teste possa aver sentito la ricorrente richiedere specifici giorni di congedo ex L. n. 104 del 1992 - individuati con la precisione richiesta dal fine di ottenere una autorizzazione datoriale - e ciò in quanto risulta inverosimile che la ricorrente , già assente per malattia dal 23 ottobre potesse conoscere le tre soluzioni di continuità dei periodi di malattia che si sarebbero verificate nelle settimane successive, a cavallo tra un periodo di congedo straordinario e l'altro

Conclusivamente , esclusa la prova del comportamento discriminatorio da parte della lavoratrice , l'istruttoria svolta nel giudizio di primo grado, anche attraverso l'audizione dei testi , ha consentito di appurare l'assenza di qualsivoglia atteggiamento di prevenzione o discriminazione nei confronti della ricorrente . E’ mancata in effetti, in relazione ad entrambi i profili , la prova del fattore di rischio inteso come trattamento meno favorevole rispetto a quello riservato ad altri soggetti in situazioni analoghe , in ragione della fruizione da parte sua di permessi per assistenza al congiunto disabile e della sua iscrizione al sindacato CISL. E’ d'altronde stato accertato il comportamento violativo della previsione contrattuale che impone la giustificazione delle assenze e sanziona con il licenziamento il superamento di 4 giorni di assenza. Inoltre , per completezza di argomentazione, la A. neppure può lamentare che l'azienda non avesse di volta in volta contestato le singole assenze ingiustificate , per evitare di superare il tetto delle quattro giornate (che legittimava il licenziamento ). Non sussiste alcun obbligo per la società datoriale di contestare le specifiche assenze al lavoratore ; inoltre queste assenze si sono prodotte in un arco temporale limitato e all'interno di un periodo ininterrotto di congedo straordinario per malattia di cui la ricorrente ha fruito nei mesi di ottobre, novembre e dicembre 2020 , rendendo anche difficile verificare che l'assenza di volta in volta potesse essere ricondotta alla certificazione di malattia ovvero ad altra causale.

Per le considerazioni che precedono l'appello deve essere respinto e confermata la sentenza impugnata . Le spese di lite seguono la soccombenza. Occorre dare atto - ai sensi dell'art. 1, comma 17, della L. 24 dicembre 2012, n. 228, che ha aggiunto il comma 1-quater all'art. 13 del testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 - della sussistenza dell'obbligo di versamento, da parte dell'appellante, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la impugnazione integralmente rigettata

Difatti la circostanza che il ricorso sia stato proposto in tempo posteriore al 30 gennaio 2013 impone di dar atto dell'applicabilità dell'art. 13, comma 1 quater, D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall'art. 1, comma 17, L. 24 dicembre 2012, n. 228. Invero, in base al tenore letterale della disposizione, il rilevamento della sussistenza o meno dei presupposti per l'applicazione dell'ulteriore contributo unificato costituisce un atto dovuto, poiché l'obbligo di tale pagamento aggiuntivo non è collegato alla condanna alle spese, ma al fatto oggettivo - ed altrettanto oggettivamente insuscettibile di diversa valutazione - del rigetto integrale o della definizione in rito, negativa per l'impugnante, dell'impugnazione, muovendosi, nella sostanza, la previsione normativa nell'ottica di un parziale ristoro dei costi del vano funzionamento dell'apparato giudiziario o della vana erogazione delle, pur sempre limitate, risorse a sua disposizione (così Cass., Sez. Un., n. 22035/2014 e di recente Cass. n. 25386/2016).


P.Q.M.


Rigetta l'appello. Condanna l'appellante al pagamento delle spese di lite liquidate in complessivi Euro 3500,00 oltre iva , cpa e spese generali al 15%. Si dà atto che sussistono le condizioni oggettive richieste dall'art. 13 comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002 per il versamento da parte dell'appellante dell'ulteriore importo del contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, il 29 settembre 2023.

Depositata in Cancelleria il 4 ottobre 2023.


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