Agenzia delle Entrate
Circ. 07/11/2024, n. 21/E
Istruzioni operative agli Uffici in materia di autotutela tributaria, a seguito delle novità introdotte con gli articoli 10-quater e 10-quinquies dello Statuto dei diritti del contribuente.
Emanata dall'Agenzia delle entrate.
Epigrafe
Premessa
1.Il quadro normativo di riferimento
2.La presentazione delle richieste di autotutela
3.Lo svolgimento dell'istruttoria e l'adozione del provvedimento
4La responsabilità amministrativo-contabile
Circ. 7 novembre 2024, n. 21/E (1)
Istruzioni operative agli Uffici in materia di autotutela tributaria, a seguito delle novità introdotte con gli articoli 10-quater e 10-quinquies dello Statuto dei diritti del contribuente.
(1) Emanata dall'Agenzia delle entrate.
Premessa
La presente circolare ha lo scopo di fornire chiarimenti in merito all'esercizio del potere di autotutela tributaria, alla luce della nuova disciplina dell'istituto, contenuta negli articoli 10-quater e 10-quinquies della legge 27 luglio 2000, n. 212 (di seguito, Statuto dei diritti del contribuente), introdotti dall'articolo 1, comma 1, lett. m), del decreto legislativo 30 dicembre 2023, n. 219, emanato in attuazione della legge 9 agosto 2023, n. 111, recante Delega al Governo per la riforma fiscale.
In particolare, il citato decreto legislativo ha:
- introdotto una regolamentazione distinta ed espressa delle ipotesi di autotutela obbligatoria (articolo 10-quater) e facoltativa (articolo 10-quinquies), avendo riguardo anche ai riflessi di queste ultime sulla responsabilità amministrativo-contabile dell'amministrazione finanziaria (art. 10-quater, comma 3);
- abrogato la previgente disciplina in materia di autotutela tributaria e, in particolare, l'articolo 2-quater del decreto-legge 30 settembre 1994, n. 564, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 novembre 1994, n. 656, nonché il decreto ministeriale 11 febbraio 1997, n. 37.
Al fine di tenere conto delle novità introdotte dalle citate disposizioni e coordinarle con le regole del contenzioso tributario, il decreto legislativo 30 dicembre 2023, n. 220, ha inserito nell'elenco degli atti impugnabili, mediante l'aggiunta delle lettere g-bis) e g-ter) all'articolo 19 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, "il rifiuto espresso o tacito sull'istanza di autotutela nei casi previsti dall'articolo 10-quater (…) e "il rifiuto espresso sull'istanza di autotutela nei casi previsti dall'articolo 10-quinquies (…)", stabilendo, altresì, che il ricorso avverso il rifiuto tacito di cui all' articolo 19, comma 1, g-bis), "(…) può essere proposto dopo il novantesimo giorno dalla domanda (…) di autotutela (…)".
All'introduzione della nuova disciplina dell'autotutela di cui al citato decreto legislativo n. 219 del 2023, ha fatto seguito, ad opera del decreto legislativo 14 giugno 2024, n. 87, l'inserimento nel corpus del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472, dell'articolo 17-bis, rubricato "Definizione agevolata delle sanzioni in caso di autotutela parziale".
Tanto premesso, con la presente circolare, in ossequio al principio del buon andamento della Pubblica Amministrazione, si forniscono istruzioni operative agli Uffici per garantirne l'uniformità di azione in relazione all'applicazione della nuova disciplina dell'autotutela.
Resta fermo che tutte le indicazioni già fornite in precedenza dall'amministrazione finanziaria con propri documenti di prassi sono da intendersi confermate, ove risultino coerenti con la nuova disciplina dell'istituto e con i chiarimenti forniti con la presente circolare.
1. Il quadro normativo di riferimento
1.1 della disciplina dell'autotutela tributaria
L'autotutela tributaria è oggetto di una disciplina speciale rispetto a quella dell'autotutela amministrativa contenuta, in via generale, nella legge 7 agosto 1990, n. 241.
L'autotutela tributaria è stata disciplinata, autonomamente, dall'articolo 68 del decreto del Presidente della Repubblica 27 marzo 1992, n. 287, il quale, al primo comma, stabiliva che "salvo che sia intervenuto giudicato, gli uffici dell'amministrazione finanziaria possono procedere all'annullamento, totale o parziale, dei propri atti riconosciuti illegittimi o infondati con provvedimento motivato comunicato al destinatario dell'atto" [1].
Successivamente, l'articolo 2-quater del decreto-legge n. 564 del 1994 ha delegato il Ministro delle Finanze ad individuare "gli organi dell'amministrazione finanziaria competenti per l'esercizio del potere di annullamento d'ufficio o di revoca, anche in pendenza di giudizio o in caso di non impugnabilità, degli atti illegittimi o infondati. Con gli stessi decreti sono definiti i criteri di economicità sulla base dei quali si inizia o si abbandona l'attività dell'amministrazione".
In attuazione del citato articolo 2-quater è stato emanato il decreto ministeriale 11 febbraio 1997, n. 37, intitolato "Regolamento recante norme relative all'esercizio del potere di autotutela da parte degli organi dell'amministrazione finanziaria".
Come indicato in premessa, l'istituto dell'autotutela tributaria risulta attualmente disciplinato dagli articoli 10-quater e 10-quinquies dello Statuto dei diritti del contribuente, introdotti dal decreto legislativo n. 219 del 2023 in attuazione dell'articolo 4, comma 1, lett. h), della legge n. 111 del 2023, il quale ha delegato il Governo a "potenziare l'esercizio del potere di autotutela estendendone l'applicazione agli errori manifesti nonostante la definitività dell'atto, prevedendo l'impugnabilità del diniego ovvero del silenzio nei medesimi casi nonché, con riguardo alle valutazioni di diritto e di fatto operate, limitando la responsabilità nel giudizio amministrativo-contabile dinanzi alla Corte dei conti alle sole condotte dolose".
Più precisamente, l'articolo 10-quater, rubricato "Esercizio del potere di autotutela obbligatoria", al primo comma, stabilisce che "L'amministrazione finanziaria procede in tutto o in parte all'annullamento di atti di imposizione ovvero alla rinuncia all'imposizione, senza necessità di istanza di parte, anche in pendenza di giudizio o in caso di atti definitivi" nelle ipotesi di "manifesta illegittimità dell'atto o dell'imposizione" espressamente elencate dalla richiamata disposizione (cfr. paragrafo 1.2).
L'articolo 10-quinquies, rubricato "Esercizio del potere di autotutela facoltativa", prevede, inoltre, la facoltà in capo all'amministrazione finanziaria di esercitare comunque il potere di autotutela al di fuori dei casi di autotutela obbligatoria (cfr. paragrafo 1.3).
Sempre in attuazione della legge delega per la riforma fiscale, come anticipato in premessa, il decreto legislativo 30 dicembre 2023, n. 220 [2] ha inserito nell'elenco degli atti impugnabili di cui all'articolo 19 (nuove lettere g-bis) e g-ter)) del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 [3], "il rifiuto espresso o tacito sull'istanza di autotutela nei casi previsti dall'articolo 10-quater della legge 27 luglio 2000, n. 212" e "il rifiuto espresso sull'istanza di autotutela nei casi previsti dall'articolo 10-quinquies della legge 27 luglio 2000, n. 212".
Nell'elenco degli atti impugnabili non è stato inserito il rifiuto tacito sull'istanza di autotutela facoltativa di cui al richiamato articolo 10-quinquies, in quanto l'autotutela facoltativa - anche nell'ambito della "nuova disciplina" - continua a rappresentare un potere esercitabile dagli Uffici sulla base di valutazioni discrezionali e non uno strumento di protezione del contribuente. Il privato può sollecitarne l'esercizio, ma questo non trasforma il procedimento officioso e discrezionale in un procedimento di parte da concludere con un provvedimento espresso (ex multis, Corte di Cassazione, sezione tributaria, sentenza 15 aprile 2016 n. 7511; Corte di Cassazione, sezione tributaria, sentenza 20 novembre 2015, n. 23765).
Ne consegue che, mancando tale dovere e in assenza di una norma specifica in tal senso, il silenzio dell'amministrazione finanziaria sull'istanza di autotutela facoltativa non è contestabile davanti al giudice.
Per quanto riguarda il termine per la proposizione dell'azione, si rileva che non è stata introdotta una disciplina ad hoc con riferimento al ricorso avverso il rifiuto espresso sull'istanza di autotutela obbligatoria (ex articolo 10-quater) o facoltativa (ex articolo 10-quinquies). Di conseguenza, il ricorso avverso il rifiuto espresso di autotutela dovrà essere proposto, a pena di inammissibilità, entro l'ordinario termine fissato in linea generale dal comma 1 dell'articolo 21 del decreto legislativo n. 546 del 1992 (rubricato "Termine per la proposizione del ricorso"), ossia entro sessanta giorni dalla data di notificazione dell'atto.
Limitatamente alle ipotesi di autotutela obbligatoria, per l'impugnazione del silenzio rifiuto tacito, si applica il comma 2 del citato articolo 21 in base al quale "Il ricorso avverso il rifiuto tacito di cui all'articolo 19, comma 1, (...) g-bis), può essere proposto dopo il novantesimo giorno dalla domanda (…) di autotutela […]" [4].
Il quadro normativo di riferimento è completato dalle seguenti disposizioni dello Statuto dei diritti del contribuente:
- articolo 7, comma 2, lettera b), in base al quale gli atti dell'amministrazione finanziaria devono indicare "l'organo o l'autorità amministrativa presso i quali è possibile promuovere un riesame, anche nel merito, dell'atto in sede di autotutela";
- articolo 9-bis, sul divieto di bis in idem nel procedimento tributario, ai sensi del quale il contribuente può essere sottoposto, per ciascun tributo, una sola volta per ogni periodo di imposta all'azione accertativa dell'amministrazione finanziaria. In particolare, tale disposizione stabilisce che "Salvo che specifiche disposizioni prevedano diversamente e ferma l'emendabilità di vizi formali e procedurali, il contribuente ha diritto a che l'amministrazione finanziaria eserciti l'azione accertativa relativamente a ciascun tributo una sola volta per ogni periodo d'imposta";
- articolo 10, comma 1, secondo cui i rapporti tra contribuente e amministrazione finanziaria devono essere improntati al principio della collaborazione e della buona fede.
La disciplina di riferimento deve essere interpretata alla luce dei principi e dei criteri direttivi dettati dalla legge delega di riforma fiscale, che mira, da un lato, a "potenziare l'esercizio del potere di autotutela" e, dall'altro, a "valorizzare il principio del legittimo affidamento del contribuente e il principio di certezza del diritto".
Anche dalla Relazione Illustrativa al citato decreto legislativo n. 219 del 2023 (di seguito, Relazione) possono trarsi utili indicazioni ai fini dell'interpretazione delle nuove disposizioni in materia di autotutela tributaria.
In particolare, con riferimento all'articolo 10-quater, la Relazione chiarisce che l'introduzione di una disciplina che prevede "come obbligatoria l'autotutela in taluni specifici casi" è stata ritenuta opportuna "non solo per ripristinare un rapporto di correttezza tra il fisco ed i contribuenti, ma anche per gli effetti deflattivi che produrrebbe sul contenzioso".
Con riguardo all'articolo 10-quinquies, che invece mira a riconoscere all'amministrazione finanziaria un generalizzato potere di autotutela facoltativa, la Relazione precisa che, nel perimetro applicativo dell'istituto, devono essere ricompresi "anche la sospensione o revoca, esercitabile, anche d'ufficio e in pendenza di giudizio o in presenza di atti definitivi, quando ricorrono casi di illegittimità o infondatezza dell'atto o dell'imposizione".
Con riferimento alla natura giuridica dell'autotutela tributaria, la giurisprudenza formatasi sotto il vigore della previgente disciplina aveva avuto modo di porre l'accento sul suo carattere discrezionale, esprimendosi nei seguenti termini: "l'autotutela tributaria - che non si discosta, in questo essenziale aspetto, dall'autotutela nel diritto amministrativo generale - costituisce un potere esercitabile d'ufficio da parte delle Agenzie fiscali sulla base di valutazioni largamente discrezionali, e non uno strumento di protezione del contribuente (…) Affermare il dovere dell'amministrazione di rispondere all'istanza di autotutela significherebbe, in altri termini, creare una nuova situazione giuridicamente protetta del contribuente, per giunta azionabile sine die dall'interessato, il quale potrebbe riattivare in ogni momento il circuito giurisdizionale, superando il principio della definitività del provvedimento amministrativo e della correlata stabilità della regolazione del rapporto che ne costituisce oggetto (…) La non irragionevolezza della disciplina esaminata non comporta che siano precluse al legislatore altre possibili scelte (…). "In via di principio, il momento discrezionale del potere della pubblica amministrazione di annullare i propri provvedimenti non gode in sé di una copertura costituzionale" (cfr. Corte Costituzionale n. 75 del 2000). La previsione legislativa di casi di autotutela obbligatoria è dunque possibile, così come l'introduzione di limiti all'esercizio del potere di autoannullamento, ma non può certo dirsi costituzionalmente illegittima, per le ragioni sopra viste, una disciplina generale che escluda il dovere dell'amministrazione e, per quanto qui interessa, delle Agenzie fiscali di pronunciarsi sulle istanze di autotutela" (cfr. Corte Cost., sentenza 13 luglio 2017, n. 181).
Anche la giurisprudenza della Corte di Cassazione [5], con diverse pronunce, aveva contribuito a esplicitare i presupposti fondanti e le regole di funzionamento dell'istituto dell'autotutela sul presupposto della natura discrezionale della stessa.
Il legislatore della riforma, dando seguito alle indicazioni della Corte Costituzionale, con l'introduzione dell'autotutela obbligatoria, ha ritenuto, almeno in parte, di superare l'orientamento giurisprudenziale secondo il quale l'autotutela "costituisce un potere esercitabile d'ufficio da parte delle Agenzie fiscali sulla base di valutazioni largamente discrezionali, e non uno strumento di protezione del contribuente".
Al riguardo, nella Relazione viene evidenziato che "Com'è noto, la normativa vigente, per come interpretata dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione (cfr. Cass. 18992/2019), prevede che l'esercizio in capo all'amministrazione finanziaria dell'autotutela in campo tributario (sotto forma di annullamento d'ufficio, rinuncia alla imposizione o rimborso di somme non dovute) abbia essenzialmente natura discrezionale. Tale posizione, che risente evidentemente del consolidato orientamento formatosi con riferimento all'analogo istituto esistente in campo amministrativo, non sembra tuttavia tenere in debita considerazione la peculiarità del rapporto tributario che afferisce a diritti soggettivi (e non interessi legittimi) e che trova il suo fondamento nell'articolo 53 della Costituzione, sia in senso positivo (obbligo di pagare le imposte previste dalla legge), sia in senso negativo (divieto di pagare imposte non dovute in base alla legge)".
I principi e i criteri individuati dalla giurisprudenza in relazione all'autotutela discrezionale appaiono, però, tuttora applicabili con riferimento alle ipotesi in cui l'esercizio del potere di autotutela non è obbligatorio, bensì "facoltativo"; ipotesi nelle quali l'amministrazione finanziaria, come in passato, "può" procedere all'annullamento di atti di imposizione, ovvero alla rinuncia all'imposizione, in presenza di una illegittimità o dell'infondatezza non manifeste dell'atto o dell'imposizione (articolo 10-quinquies dello Statuto dei diritti del contribuente).
1.2 L'autotutela obbligatoria ex art. 10 - quater dello Statuto dei diritti del contribuente
L'articolo 10-quater dello Statuto dei diritti del contribuente, rubricato "Esercizio del potere di autotutela obbligatoria", dispone, al comma 1, che "L'amministrazione finanziaria procede in tutto o in parte all'annullamento di atti di imposizione ovvero alla rinuncia all'imposizione, senza necessità di istanza di parte, anche in pendenza di giudizio o in caso di atti definitivi, nei seguenti casi di manifesta illegittimità dell'atto o dell'imposizione:
a) errore di persona;
b) errore di calcolo;
c) errore sull'individuazione del tributo;
d) errore materiale del contribuente, facilmente riconoscibile dall'amministrazione finanziaria;
e) errore sul presupposto d'imposta;
f) mancata considerazione di pagamenti di imposta regolarmente eseguiti;
g) mancanza di documentazione successivamente sanata, non oltre i termini ove previsti a pena di decadenza.
In linea con le esigenze di certezza alle quali la disposizione si ispira, come emerge da diversi passaggi della stessa Relazione, le ipotesi ivi richiamate devono ritenersi tassative e, quindi, di stretta interpretazione.
La tassatività si evince anche dal raffronto tra il tenore letterale dell'articolo 10-quater e l'articolo 2 dell'abrogato decreto ministeriale n. 37 del 1997, il cui carattere meramente esemplificativo era stato reso esplicito mediante l'utilizzo dell'espressione "quali tra l'altro", anteposta alla puntuale elencazione delle fattispecie che potevano dare luogo all'esercizio dell'autotutela.
In via preliminare, è opportuno chiarire che, coerentemente con la volontà del legislatore delegante di "potenziare l'esercizio del potere di autotutela", rientra nella nozione di atto di imposizione qualunque atto mediante il quale l'amministrazione finanziaria eserciti il proprio potere autoritativo con effetti di natura patrimoniale pregiudizievoli nei riguardi del contribuente. In tale nozione, rientrano, tra l'altro, gli "atti recanti una pretesa impositiva" [6] (come, ad esempio, gli avvisi di accertamento e di rettifica) e quelli di chiusura della partita IVA [7].
La disposizione normativa sopra richiamata pone, dunque, a carico dell'amministrazione finanziaria, l'obbligo di esercitare il potere di autotutela di atti di imposizione, ivi inclusi gli atti di accertamento catastale, (i) quando ricorrano i vizi tassativamente elencati dalla stessa e (ii) sempre che gli stessi diano luogo a forme di manifesta illegittimità dell'atto o dell'imposizione.
Al riguardo, la Relazione precisa che "il riferimento alla evidente illegittimità o infondatezza si richiama espressamente al concetto di "errori manifesti" utilizzato dalla delega ed incorpora il significato attribuito dalle vigenti norme di legge al profilo oggettivo dell'istituto dell'autotutela (oltre all'abrogato articolo 68 del D.P.R. n. 287/1992 anche l'articolo 2-quater del D.L. n. 564/1994 si riferisce congiuntamente agli atti "illegittimi o infondati" per individuare l'oggetto dell'autotutela)".
Emerge, dunque, con chiarezza dai lavori preparatori della disposizione in esame e in particolare dalla Relazione, che deve escludersi "l'obbligatorietà dell'autotutela in tutti i casi in cui la questione appaia dubbia, anche per l'esistenza di contrasti giurisprudenziali".
In linea con tali indicazioni della Relazione, si ritiene, che, in caso di autotutela ad istanza di parte, il contribuente sia tenuto ad indicare puntualmente il tipo di vizio da cui è affetto l'atto e le ragioni in virtù delle quali il predetto vizio sia riconducibile ad una delle fattispecie tassative di cui all'articolo 10-quater.
Ciò non esclude, tuttavia, che, ove sussistano obiettive condizioni di incertezza relative al corretto inquadramento della fattispecie, "anche per l'esistenza di contrasti giurisprudenziali", l'amministrazione finanziaria, in sede istruttoria, tenuto conto anche degli elementi indicati nell'istanza, può rilevare che la fattispecie rappresentata non rientri tra quelle che legittimano il ricorso all'articolo 10-quater per l'assenza della condizione di "manifesta illegittimità dell'atto o dell'imposizione".
In definitiva, alla luce della ratio sottesa alla distinzione tra autotutela obbligatoria e autotutela facoltativa, si ritiene che i vizi elencati dall'articolo 10-quater, configurino ipotesi di autotutela obbligatoria laddove il loro apprezzamento non presupponga la soluzione di questioni interpretative obiettivamente incerte, come, ad esempio, per l'esistenza di contrasti giurisprudenziali, dovendosi tali vizi manifestare, in ogni caso, in errori rilevabili ictu oculi.
L'amministrazione finanziaria è tenuta a rispondere all'istanza di autotutela obbligatoria entro il termine di 90 giorni dalla sua ricezione.
Tale conclusione discende dal combinato disposto di cui agli articoli 19, comma 1, lettera g-bis) - che, come detto, inserisce tra gli atti impugnabili anche il rifiuto espresso o tacito sull'istanza di autotutela nei casi previsti dall'articolo 10-quater - e 21, comma 2 del decreto legislativo n. 546 del 1992, che stabilisce che il ricorso avverso il rifiuto tacito sulle istanze di autotutela obbligatoria può essere proposto decorsi novanta giorni dalla loro presentazione.
Il comma 2 dell'articolo 10-quater dispone che "L'obbligo di cui al comma 1 non sussiste in caso di sentenza passata in giudicato favorevole all'amministrazione finanziaria, nonché decorso un anno dalla definitività dell'atto viziato per mancata impugnazione".
Al riguardo, la Relazione ha fornito alcuni elementi utili a circoscrivere meglio le ipotesi di esclusione dell'obbligo di autotutela in presenza dei presupposti di cui al comma 1.
In particolare, la stessa chiarisce che "per evidenti esigenze di certezza, al comma 2 si prevede il divieto di esercitare l'autotutela per motivi sui quali sia intervenuta sentenza passata in giudicato favorevole all'amministrazione finanziaria", con l'ulteriore precisazione che "non è ostativo all'autotutela né un giudicato meramente processuale, né un giudicato sostanziale basato su motivi diversi da quelli che giustificano l'autotutela".
Pertanto, pur in presenza di un giudicato sostanziale, il potere di autotutela deve, comunque, essere esercitato per vizi che dimostrino la manifesta illegittimità dell'atto o dell'imposizione diversi da quelli sui quali si è pronunciato il giudice.
Per le medesime ragioni di certezza, il legislatore ha individuato in un anno il limite temporale dell'autotutela obbligatoria relativa ad atti definitivi e ha disposto che il termine annuale decorre "dalla definitività dell'atto viziato per mancata impugnazione".
In tali ipotesi, ai fini del rispetto del computo del termine di un anno dalla definitività dell'atto, rileva la data di presentazione dell'istanza di autotutela da parte del contribuente. Pertanto, l'amministrazione finanziaria è tenuta a rispondere anche oltre l'anno dalla definitività dell'atto di imposizione purché l'istanza di autotutela sia stata presentata prima di tale termine.
Tenuto conto dei principi della legge delega che hanno guidato l'introduzione degli articoli 10-quater e 10-quinquies in esame, deve considerarsi, tuttavia, riconosciuta al contribuente la facoltà di presentare, anche oltre la scadenza del predetto termine annuale, un'istanza di autotutela facoltativa, rappresentando quest'ultima una categoria residuale che, in quanto tale, ricomprende i casi in cui ci si trovi al di fuori del perimetro, espressamente delineato, dell'autotutela obbligatoria.
Per ragioni di certezza dei rapporti giuridici, richiamate dal legislatore delegato, l'istanza di autotutela - sia essa facoltativa che obbligatoria - non può più essere presentata o, comunque, una volta presentata, il provvedimento di autotutela non può più intervenire quando l'atto di imposizione è stato oggetto, anche parzialmente, di qualunque forma di definizione della pretesa, anche agevolata (ad esempio, nel caso di accertamento con adesione, conciliazione, acquiescenza).
Ad esempio, qualora il contribuente - pur impugnando un avviso di accertamento - abbia definito in via agevolata le sanzioni, ai sensi dell'articolo 17, comma 2, del decreto legislativo n. 472 del 1997, la richiesta di autotutela e l'eventuale provvedimento dell'Ufficio potranno interessare esclusivamente la pretesa avanzata a titolo d'imposta, dovendosi ritenere ferma l'irripetibilità delle somme versate per la definizione agevolata delle sanzioni.
Per quanto concerne l'indicazione tassativa dei vizi che configurano, nei casi di manifesta illegittimità, ipotesi di autotutela obbligatoria, l'elenco contenuto nell'articolo 10-quater dello Statuto dei diritti del contribuente non coincide con quello contenuto nel citato articolo 2 del decreto ministeriale n. 37 del 1997.
L'articolo 10-quater non contempla espressamente, infatti, le seguenti fattispecie:
- l'evidente errore logico;
- la doppia imposizione;
- la sussistenza dei requisiti per fruire di deduzioni, detrazioni o regimi agevolativi, precedentemente negati.
Al riguardo, si ritiene che tali ipotesi possano confluire nella fattispecie dell'errore sul presupposto d'imposta. In particolare, rileverà:
- l'errore logico, qualora lo stesso determini una palese infondatezza dell'atto che si traduca nel ritenere indebitamente realizzato il presupposto d'imposta;
- la doppia imposizione, qualora sia espressamente vietata da una norma e la cui violazione determini la mancata realizzazione del presupposto d'imposta;
- la sussistenza di requisiti per fruire di deduzioni, detrazioni ed agevolazioni qualora l'errore riguardi i presupposti per fruire delle predette deduzioni, detrazioni o regimi agevolativi.
Resta inteso, comunque, che anche in tali ipotesi deve sussistere la manifesta illegittimità dell'atto di imposizione.
L'elenco di cui all'articolo 10-quater contempla, invece, una fattispecie che l'articolo 2 del decreto ministeriale n. 37 del 1997 non prevedeva expressis verbis, e cioè l'errore sull'individuazione del tributo.
In tale ipotesi, potrebbero rientrare i casi di erronea applicazione di un'imposta in luogo di un'altra, come, ad esempio, in caso di non corretta applicazione dei principi di alternatività IVA-imposta di registro ovvero di imposta sulle donazioni - imposta di registro.
Le fattispecie non riprodotte nell'elenco contenuto nell'articolo 10-quater e che, comunque, non integrano altre ipotesi ivi contemplate, non rilevano ai fini dell'autotutela obbligatoria e, dunque, l'amministrazione non ha l'obbligo di esercitare il relativo potere; resta ferma, in tali ipotesi, la possibilità di esercitare il potere di autotutela facoltativa.
1.3 L'autotutela facoltativa ex art. 10 quinquies dello Statuto dei diritti del contribuente
L'articolo 10-quinquies, rubricato "Esercizio del potere di autotutela facoltativa", dispone che "Fuori dei casi di cui all'articolo 10-quater, l'amministrazione finanziaria può comunque procedere all'annullamento, in tutto o in parte, di atti di imposizione, ovvero alla rinuncia all'imposizione, senza necessità di istanza di parte, anche in pendenza di giudizio o in caso di atti definitivi, in presenza di una illegittimità o dell'infondatezza dell'atto o dell'imposizione".
In virtù della disposizione sopra richiamata, il potere di autotutela "può", pertanto, essere esercitato dall'amministrazione finanziaria nelle seguenti ipotesi:
- in presenza di vizi dell'atto o dell'imposizione non riconducibili ad alcuna delle fattispecie elencate dal comma 1 dell'articolo 10-quater o in relazione ai quali, comunque, non ricorre la condizione della manifesta illegittimità;
- nel caso in cui ricorrano i vizi indicati dal comma 1 dell'articolo 10-quater, ma sia già decorso il termine "di un anno dalla definitività dell'atto viziato per mancata impugnazione" previsto dal comma 2 dell'articolo da ultimo citato.
Al riguardo, infatti, la Relazione chiarisce che l'articolo 10-quinquies riconosce all'amministrazione finanziaria un generalizzato potere di autotutela facoltativa "(…) esercitabile, anche d'ufficio e in pendenza di giudizio o in presenza di atti definitivi, quando ricorrono casi di illegittimità o infondatezza dell'atto o dell'imposizione".
In ogni caso, come per le ipotesi di autotutela obbligatoria, anche l'autotutela facoltativa non può più essere esercitata in presenza di un giudicato sostanziale favorevole all'amministrazione finanziaria o quando l'atto di imposizione è stato oggetto, anche parzialmente, di qualunque forma di definizione, anche agevolata (ad esempio, accertamento con adesione, acquiescenza, conciliazione).
A tal proposito è, altresì, necessario puntualizzare che, in ossequio al principio di buon andamento dell'azione amministrativa, davanti ad un'istanza di autotutela facoltativa, gli Uffici non sono tenuti a fornire risposte alle istanze che vertono su questioni già trattate in sede di contraddittorio, ovvero che riguardano procedimenti che già comportano una partecipazione preventiva del contribuente, come nelle procedure DOCTE e DOCFA.
[1] Tale articolo è stato abrogato dall'articolo 23, comma 1, lett. mm), n. 7, del decreto del Presidente della Repubblica 26 marzo 2001, n. 107.
[2] Recante "Disposizioni in materia di contenzioso tributario".
[3] Ai sensi di quanto disposto dall'articolo 4, comma 2, del citato decreto legislativo n. 220 del 2023, tale disposizione si applica ai giudizi instaurati, in primo e in secondo grado, nonché in Cassazione, a decorrere dal 5 gennaio 2024.
[4] A norma dell'articolo 4, comma 2, del citato decreto legislativo n. 220 del 2023, la disposizione si applica ai giudizi instaurati, in primo e in secondo grado, con ricorso notificato successivamente al 1° settembre 2024.
[5] In tal senso, cfr. Cass. civ., Sez. V, Ordinanza, 21 febbraio 2018, n. 4160 e Cass. civ., Sez. V, Ordinanza, 22 febbraio 2019, n. 5332, secondo cui "In tema di autotutela tributaria, la decisione dell'amministrazione sull'annullamento di un atto impositivo inoppugnabile è espressione di un potere discrezionale, il cui esercizio è funzionale alla soddisfazione di esigenze di rilevante interesse generale, e nella valutazione del quale deve essere considerata l'esigenza della certezza dei rapporti giuridici da bilanciare rispetto a quelle rappresentate dal contribuente".
[6] Cfr., articolo 7-bis comma 1, del decreto-legge del 29 marzo 2024 n. 39, convertito con modificazioni dalla legge del 23 maggio 2024 n. 67.
[7] Cfr. articolo 35 del decreto del Presidente della Repubblica del 26 ottobre 1972 n. 633.
2. La presentazione delle richieste di autotutela
2.1 Le modalità di presentazione della richiesta di autotutela
La richiesta di autotutela va indirizzata all'Ufficio che ha emesso l'atto di cui si chiede l'annullamento.
Al riguardo, in via preliminare, appare opportuno evidenziare che la competenza a esercitare il potere di autotutela sussiste in capo alle strutture territoriali mentre quelle centrali non sono coinvolte nei relativi procedimenti, ad eccezione delle ipotesi di richieste di autotutela aventi a oggetto atti a rilevanza esterna emessi da queste ultime.
Pertanto, in capo agli Uffici centrali non è configurabile alcun potere di intervento rispetto agli atti rientranti nell'esclusiva competenza delle strutture territoriali, provinciali o regionali, che abbiano provveduto alla loro adozione.
Nell'ipotesi in cui il contribuente presenti, per errore, la richiesta a una struttura non competente (come, ad esempio, a una Direzione regionale per un atto emesso da un Ufficio di una Direzione provinciale), la struttura ricevente deve trasmettere tempestivamente detta richiesta all'Ufficio competente, informandone contestualmente il contribuente all'indirizzo indicato nella richiesta stessa o, in assenza, a quello risultante come domicilio fiscale in anagrafe tributaria, analogamente a quanto previsto, nella previgente disciplina, dall'articolo 5 del DM n. 37 del 1997, secondo il quale "in caso di invio di richiesta ad un Ufficio incompetente, questo è tenuto a trasmetterla all'Ufficio competente dandone comunicazione al contribuente" e in ossequio ai principi di leale collaborazione e buona fede previsti dall'art. 10 dello Statuto dei diritti del contribuente.
In questi termini, d'altronde, si è orientata la giurisprudenza di legittimità, la quale, seppur con riguardo a fattispecie concernenti il rimborso delle agevolazioni concesse in relazione alle spese per la ristrutturazione di immobili, ha affermato che "è pacifico che - nel quadro della leale collaborazione con i contribuenti - l'ufficio che riceva una comunicazione di spettanza di altro ufficio (appartenente alla stessa struttura amministrativa) sia tenuto a trasmetterla all'ufficio competente" (Cass. ordinanza del 28 ottobre 2014, n. 22877).
Allo stesso modo, la Suprema Corte di Cassazione, con l'ordinanza del 22 dicembre 2018 n. 30229, ha precisato che "la presentazione della istanza ad un organo incompetente, ma comunque appartenente alla medesima amministrazione, è di per sé idonea ad impedire la decadenza del contribuente dal diritto alla detrazione, dovendo i rapporti tra il Fisco ed il contribuente essere sempre improntati ai principi di collaborazione e buona fede. Infatti, va ribadito il principio costantemente affermato da questa Corte in tema di rimborso delle imposte sui redditi, secondo cui la presentazione della relativa istanza ad un organo diverso da quello territorialmente competente a provvedere costituisce atto idoneo non solo ad impedire la decadenza del contribuente dal diritto al rimborso, ma anche a determinare la formazione del silenzio-rifiuto impugnabile dinanzi al giudice tributario, sia perché l'ufficio non competente (purché non estraneo all'amministrazione finanziaria) è tenuto a trasmettere l'istanza a quello competente, in conformità delle regole di collaborazione tra organi della stessa amministrazione, sia alla luce dell'esigenza di una sollecita definizione dei diritti delle parti, ai sensi dell'art. 111 Cost. (Cass. n. 27117 del 28/12/2016; n. 5203 del 6/3/2018)".
Tale conclusione appare coerente con i chiarimenti già resi con la circolare 12 aprile 2002, n. 31/E nella quale, con riferimento ai Centri operativi di Pescara e Venezia, è stato affermato che "nel rispetto dei principi enunciati nello Statuto del contribuente, nel caso di presentazione di comunicazioni e istanze di qualsiasi tipo (anche di rimborso) presentate erroneamente ad un centro di servizio soppresso o ad un ufficio diverso da quello attualmente competente, nessuna conseguenza negativa dovrà gravare sul contribuente, in quanto i documenti in questione saranno inviati tempestivamente d'ufficio a quello territorialmente competente".
In applicazione dei richiamati principi, si ritiene che, in ipotesi di autotutela obbligatoria, l'istanza - anche se presentata ad un Ufficio incompetente - deve, comunque, considerarsi idonea ad impedire la decadenza, prevista dall'articolo 10-quater, comma 2, del termine annuale "dalla definitività dell'atto viziato per mancata impugnazione".
Tuttavia, resta inteso che, al fine di garantire il rispetto del principio del buon andamento dell'azione amministrativa ed assicurare l'economicità, l'efficienza e l'efficacia della stessa, il dies a quo del termine di novanta giorni, decorso il quale, in ipotesi di autotutela obbligatoria, il contribuente può impugnare l'eventuale rifiuto tacito, deve essere individuato nel giorno in cui l'istanza è pervenuta all'Ufficio competente, il quale ne darà tempestiva comunicazione al contribuente.
Si ricorda, inoltre, che la presentazione delle richieste di autotutela non sospende né interrompe la decorrenza di alcun termine previsto dal legislatore, in primis quello per la proposizione del ricorso giurisdizionale.
Nell'ipotesi in cui la richiesta di autotutela dovesse produrre effetti anche su atti emessi da uffici diversi dell'Agenzia (come, ad esempio, in ipotesi di accertamento di utili extracontabili, nei rapporti tra società e soci) e la stessa non dovesse essere stata indirizzata a tutte le strutture competenti, l'Ufficio (che riceve l'istanza) dovrà attivare ogni opportuno coordinamento con le altre strutture interessate.
2.2 Il contenuto della richiesta di autotutela
Nel rispetto dei principi di leale collaborazione, di tutela dell'affidamento e della reciproca buona fede già sopra richiamati, l'istanza deve rappresentare in modo esaustivo tutti gli elementi (di fatto e di diritto) su cui si fonda la richiesta di autotutela e va corredata di tutta la documentazione in possesso del richiedente idonea a dimostrare la sussistenza dei vizi che giustificano la revisione dell'atto.
L'istanza deve essere presentata avvalendosi di strumenti atti a certificarne l'invio da parte del soggetto legittimato a presentarla, tramite, ad esempio, l'utilizzo dei servizi telematici (accesso tramite SPID, CIE o CNS), tramite posta elettronica certificata o in alternativa tramite consegna a mano con accesso fisico allo sportello.
Nel quadro dei principi enunciati dall'articolo 10 dello Statuto del contribuente, al fine di garantire l'efficienza dell'azione amministrativa, è opportuno che le richieste di autotutela riportino:
- i dati identificativi del contribuente o del suo eventuale rappresentante a cui è stato notificato l'atto di cui si chiede l'annullamento;
- i dati di contatto a cui inviare comunicazioni e notificare l'eventuale provvedimento di accoglimento o diniego della richiesta indicando l'indirizzo di posta elettronica certificata presente nei registri pubblici di cui agli articoli 6-bis, 6-ter e 6-quater del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82. In particolare, i soggetti tenuti a dotarsi di un domicilio digitale iscritto nell'elenco di cui agli articoli 6-bis (c.d. INIPEC) o 6-ter (c.d. IPA) devono indicare l'unico o uno dei domicili digitali ivi iscritti; i soggetti di cui all'art. 6-quater devono indicare il domicilio digitale professionale risultante dall'Indice di cui al suddetto articolo o, in mancanza, l'unico domicilio digitale ivi presente, oppure, se eletto, il domicilio digitale speciale comunicato ai sensi dell'articolo 60-ter, comma 5, del decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973 [8].
Fermo restando quanto previsto dall'articolo 60-ter del dPR n. 600 del 1973, qualora l'istante non sia titolare di indirizzo di posta elettronica certificata, oppure essendo titolare di un indirizzo PEC lo stesso non sia inserito nei pubblici registri, si potrà indicare nell'istanza di autotutela, quale dato di contatto utile ai fini delle comunicazioni e delle notifiche, l'indirizzo PEC del difensore/procuratore/intermediario munito di mandato o procura alle liti per la presentazione dell'istanza, da cui risulti l'elezione di domicilio presso lo stesso;
- in mancanza di uno dei predetti domicili digitali, la notifica del provvedimento deve essere eseguita al domicilio fiscale del contribuente istante risultante dall'anagrafe tributaria;
- gli estremi dell'atto di cui si chiede l'annullamento;
- una dettagliata descrizione della fattispecie e ogni documentazione utile allo svolgimento della fase istruttoria da parte degli Uffici;
- i vizi dell'atto e le ragioni di fatto e di diritto, in modo chiaro ed esaustivo, per le quali si chiede l'annullamento;
- la sottoscrizione del richiedente o del suo legale rappresentante ovvero del procuratore generale o speciale incaricato ai sensi dell'articolo 63 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, previa procura, in calce o a margine dell'atto, ovvero allegata all'istanza.
[8] Cfr. Provvedimento del Direttore dell'Agenzia del 7 ottobre 2024, prot. 379575
3. Lo svolgimento dell'istruttoria e l'adozione del provvedimento
3.1 Le modalità di svolgimento della fase istruttoria
Fermo restando che il contribuente, già nell'istanza di autotutela, deve rappresentare in modo esaustivo la questione e fornire tutta la documentazione necessaria per l'esame della stessa, l'Ufficio competente, ricevuta la richiesta di autotutela, procede tempestivamente all'istruttoria dell'istanza garantendo:
- la piena e trasparente collaborazione con il contribuente, eventualmente richiedendo, se necessario, informazioni, elementi o documenti necessari per il corretto approfondimento della fattispecie rappresentata;
- l'esame accurato degli elementi oggettivi evidenziati dal contribuente e di quelli già in proprio possesso e/o eventualmente accertati in sede giurisdizionale, anche extra-tributaria e un'approfondita analisi dei vizi formali e sostanziali denunciati dal contribuente nella richiesta;
- gli opportuni riscontri, come sopra evidenziato (cfr. par. 2.1), al fine di verificare che la richiesta di autotutela sia connessa ad altri atti diversi da quelli oggetto della stessa richiesta, emessi da differenti Uffici.
Nonostante l'avvenuta abrogazione del decreto ministeriale n. 37 del 1997, che all'articolo 4, comma 1 stabiliva che "nel caso in cui l'importo dell'imposta, sanzioni ed accessori oggetto di annullamento o di rinuncia all'imposizione in caso di autoaccertamento o dell'agevolazione superi lire un miliardo, l'annullamento è sottoposto al preventivo parere della direzione regionale da cui l'ufficio dipende", si ritiene opportuno che gli Uffici competenti continuino a richiedere il preventivo parere delle Direzioni regionali in relazione alle istanze di autotutela di maggiore complessità o di maggior valore.
Al riguardo, si ritiene che la richiesta di un parere preventivo della Direzione regionale, pur in assenza di un'apposita previsione normativa, come quella prevista dal citato decreto ministeriale, possa essere adottata sulla base dell'autonomia organizzativa dell'Agenzia delle Entrate prevista dall'articolo 61 del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300, nonché sulla base del Regolamento di amministrazione, essendo la predetta funzione consultativa in materia di autotutela riconducibile alle funzioni di indirizzo e coordinamento attribuite alle Direzioni Regionali dall'articolo 2, comma 2, del citato Regolamento.
Pertanto, gli Uffici, compresi quelli competenti sui grandi contribuenti, in relazione a questioni di particolare complessità o per importi di imposta (o crediti), sanzioni ed interessi complessivamente superiori a soglie individuate da ciascuna Direzione regionale tenendo conto della specifica realtà economica ed operativa, continueranno a interessare la propria Direzione regionale al fine di ottenere il preventivo parere.
L'Ufficio, quando adotta un provvedimento espresso di accoglimento o di diniego, motiva in fatto e in diritto, prendendo posizione sugli elementi in proprio possesso e sulla documentazione fornita dal contribuente; per esigenze di economia procedimentale, è possibile motivare il provvedimento per relationem con riferimento a motivi, reiterati nell'istanza di autotutela, che sono stati discussi, prima dell'emanazione dell'atto oggetto di autotutela, in sede di contraddittorio preventivo.
Si evidenzia che, in nessun caso, agli Uffici è possibile prendere in considerazione elementi presentati dal contribuente in violazione dell'articolo 32, comma 3, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, a tenore del quale "le notizie ed i dati non addotti e gli atti, i documenti, i libri ed i registri non esibiti o non trasmessi in risposta agli inviti dell'ufficio non possono essere presi in considerazione a favore del contribuente, ai fini dell'accertamento in sede amministrativa e contenziosa", o dell'articolo 51, ultimo comma, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, il quale prevede che "per l'inottemperanza agli inviti di cui al secondo comma, numeri 3) e 4), si applicano le disposizioni di cui ai commi terzo e quarto dell'articolo 32 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e successive modificazioni", oppure di analoghe disposizioni normative, a meno che non ricorrano eccezioni espressamente previste dal legislatore.
In ogni caso, tenuto conto di quanto disposto dal comma 4 del richiamato articolo 32, secondo cui "le cause di inutilizzabilità previste dal terzo comma non operano nei confronti del contribuente che depositi in allegato all'atto introduttivo del giudizio di primo grado in sede contenziosa le notizie, i dati, i documenti, i libri e i registri, dichiarando comunque contestualmente di non aver potuto adempiere alle richieste degli uffici per causa a lui non imputabile", il contribuente può presentare documentazione mai prodotta in precedenza qualora possa dimostrare che tale omissione è dovuta a causa a sé non imputabile.
Il provvedimento conclusivo dell'iter amministrativo finora descritto è notificato al domicilio digitale indicato nell'istanza di autotutela, in conformità all'articolo 60-ter del decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, ovvero, al domicilio digitale del professionista indicato nell'istanza, o, in assenza di tale indicazione, presso il domicilio fiscale risultante dall'anagrafe tributaria.
3.2 La sospensione amministrativa dell'esecuzione dell'atto
I commi da 1-bis a 1-quinquies dell'articolo 2-quater del decreto-legge n. 564 del 1994 disciplinavano il potere dell'Ufficio di disporre la sospensione amministrativa degli effetti dell'atto oggetto della richiesta di autotutela, qualora esso apparisse illegittimo o infondato.
In particolare, il richiamato comma 1-bis stabiliva che "nel potere di annullamento o di revoca di cui al comma 1 deve intendersi compreso anche il potere di disporre la sospensione degli effetti dell'atto che appaia illegittimo o infondato".
L'esercizio da parte dell'Ufficio del richiamato potere di sospensione si rendeva necessario affinché non si producessero effetti lesivi nei confronti dei contribuenti derivanti dall'esecutività dell'atto.
Nonostante l'avvenuta abrogazione delle richiamate previsioni di cui all'articolo 2-quater, tale esigenza non è venuta meno. Infatti, come confermato dalla Relazione - nella quale, come già anticipato prima, viene evidenziato che il potere di autotutela facoltativa "(…) comprende ovviamente anche la sospensione o revoca (…) - il potere di sospensione deve intendersi compreso in quello di disporre l'eventuale annullamento.
Per esigenze di coerenza del sistema, il medesimo potere di sospensione, espressamente fatto salvo dalla Relazione per l'autotutela facoltativa, deve considerarsi, ovviamente, esercitabile anche nelle ipotesi di autotutela obbligatoria in relazione alla quale viene escluso "l'automatismo dell'effetto sospensivo (…) rispetto all'ambito processuale, ovvero all'azione dell'amministrazione, (…), poiché (…) risultano salvaguardate le facoltà difensive del contribuente in ragione dell'impugnabilità degli atti di autotutela (…)".
In ogni caso, la sospensione disposta in sede di autotutela non comporta la sospensione dei termini processuali e l'atto eventualmente sospeso si continua a considerare legittimo e fondato fino all'eventuale accoglimento totale o parziale dell'autotutela.
3.3 La fase decisoria del procedimento di autotutela
Quando l'Ufficio, al termine della fase istruttoria, conclude il relativo iter con un provvedimento espresso di accoglimento o di diniego, adeguatamente motivato, [9] lo notifica al contribuente secondo quanto indicato nel precedente paragrafo 3.1.
Qualora, invece, l'Ufficio ritenga di accogliere solo parzialmente la richiesta di annullamento, lo stesso notifica al contribuente un provvedimento di autotutela parziale contenente la rideterminazione delle somme dovute.
Considerato che il provvedimento di autotutela parziale comporta un rifiuto espresso sulla parte di richieste non accolte, divenute impugnabili ai sensi dell'articolo 19, comma 1, lett. g-bis) e g-ter) del decreto legislativo n. 546 del 1992, gli Uffici sono tenuti a motivare l'atto, in punto di fatto e di diritto, anche per relationem ove ne ricorrono le condizioni, indicando le ragioni per le quali non ritengono accoglibile l'istanza del contribuente.
Nel caso in cui siano ancora pendenti i termini di emissione di un nuovo provvedimento e non sia intervenuta una pronuncia giudiziale passata in giudicato che abbia deciso il merito della controversia, l'Ufficio può riemettere l'atto emendato dai vizi riscontrati, notificandolo al contribuente unitamente al provvedimento di autotutela (c.d. autotutela sostitutiva) [10].
La facoltà di sostituzione del primo atto emesso trova fondamento nel potere di autotutela dell'amministrazione finanziaria di correggere eventuali errori in esso presenti o di applicare il principio del favor rei [11], annullando l'originario provvedimento viziato nella forma o nel merito e sostituendolo con un nuovo atto, il quale può avere anche un dispositivo e/o una motivazione differente in quanto emendato dal vizio originario.
La richiamata facoltà di sostituzione deve essere, tuttavia, contemperata con il divieto di bis in idem nel procedimento tributario stabilito espressamente dal nuovo articolo 9-bis dello Statuto dei diritti del contribuente.
In particolare, con la richiamata disposizione, da un lato, viene riconosciuto, in linea di principio, il diritto del contribuente "a che l'amministrazione finanziaria eserciti l'azione accertativa relativamente a ciascun tributo una sola volta per ogni periodo d'imposta", dall'altro viene stabilito che il richiamato principio di unicità dell'azione accertativa consente "l'emendabilità dei vizi formali e procedurali dell'atto" e può essere derogato laddove "specifiche disposizioni prevedano diversamente".
Pertanto, in base alla richiamata disposizione, l'amministrazione finanziaria ha sempre la possibilità, entro i termini di decadenza dell'attività di accertamento, di emendare i vizi formali e procedurali dell'atto d'imposizione adottato, mentre può modificare e/o integrare, a proprio favore, la pretesa impositiva originariamente esercitata solo al ricorrere delle condizioni previste da specifiche disposizioni, ad esempio - come chiarito anche nella Relazione - nell'ipotesi di accertamento parziale (articoli 41-bis del dPR n. 600/73 e 54-bis del dPR n. 633 del 1972) e di accertamento integrativo di cui agli articoli 43, comma 3, del dPR n. 600 del 1973 e 57, comma 4, del dPR n. 633 del 1972, in ragione della sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi da parte dell'Agenzia.
Quanto alla portata del divieto di bis in idem nel procedimento tributario, è opportuno specificare che lo stesso trova applicazione:
- sia con riferimento ai tributi diversi da quelli periodici, come ad esempio le imposte di bollo, di registro o sulle successioni, come confermato dalla stessa rubrica dell'articolo de quo ("Divieto di bis in idem nel procedimento tributario");
- sia con riferimento ai tributi periodici, come evincibile dalla lettera della disposizione ("…il contribuente ha diritto a che l'amministrazione finanziaria eserciti l'azione accertativa relativamente a ciascun tributo una sola volta per ogni periodo d'imposta") e in relazione ai quali l'obbligo di unicità dell'accertamento deve essere circoscritto al singolo periodo di imposta.
Il principio può, altresì, essere derogato nell'ipotesi di cui all'articolo 10-bis, comma 6 dello Statuto dei diritti del contribuente che, in tema di accertamento dell'abuso del diritto, riproduce letteralmente nel suo incipit l'espressione utilizzata dal citato articolo 41-bis ("Senza pregiudizio dell'ulteriore azione accertatrice…").
Ne consegue, dunque, che, in conformità ai principi di cui agli articoli 53 e 97 della Costituzione, finché non siano scaduti i termini per l'accertamento fissati dalle singole leggi d'imposta, e sempre che non si sia formato un giudicato sostanziale favorevole all'amministrazione finanziaria sul rapporto tributario controverso, l'Ufficio può sempre procedere alla correzione dei vizi formali e procedurali mediante l'adozione un nuovo atto, previo annullamento di quello precedente, ovvero esercitare nuovamente la propria potestà impositiva al ricorrere, tuttavia, delle condizioni previste da specifiche disposizioni, "in particolare, quelle di cui agli articoli 41-bis e 43, comma 3, del dPR n. 600 del 1973 e di cui all'articolo 57, comma 4, del dPR n. 633 del 1972, con riferimento agli elementi nuovi" o nell'ipotesi di contestazioni fondate sulla disciplina dell'abuso del diritto di cui all'articolo 10-bis dello Statuto dei diritti del contribuente.
Tale nuovo provvedimento, in quanto sostitutivo dell'originario, comporterà una nuova decorrenza dei termini relativi a tutti gli istituti di definizione (compreso il pagamento) e agli adempimenti di riscossione previsti dal legislatore, nonché del termine per l'impugnazione.
L'Ufficio che ha esercitato il potere di autotutela procederà, poi, con i successivi adempimenti di competenza conseguenti all'annullamento dell'atto, compresi quelli legati alla riscossione, al pari di quanto accade nel caso di annullamento dell'atto, parziale o totale, a seguito di una decisione giudiziale.
Nel vigore della precedente disciplina, con circolare n. 198/S del 1998 è stato chiarito che l'annullamento in autotutela di un atto travolge tutti gli altri atti a esso consequenziali e comporta l'obbligo di restituzione delle somme indebitamente riscosse.
Conseguentemente, compete all'Ufficio che ha curato il procedimento di autotutela provvedere, altresì, anche in assenza di specifica richiesta del contribuente, al rimborso delle somme già versate da questo e allo sgravio di quanto già iscritto a ruolo.
Come già evidenziato in precedenza, sia che si tratti di ipotesi di autotutela obbligatoria che di autotutela facoltativa, posto che la definizione agevolata (totale o parziale) della pretesa inibisce il potere di autotutela, l'Ufficio non procede alla restituzione delle somme che siano state versate dal contribuente a seguito della suddetta definizione agevolata.
L'adesione agli istituti di definizione agevolata comporta, infatti, l'irripetibilità delle somme versate dal contribuente. Ciò in quanto:
- in alcune ipotesi (come, ad esempio, nei casi di accertamento con adesione o conciliazione), l'adesione presuppone un accordo tra amministrazione finanziaria e contribuente sicché, una volta che il contribuente manifesti la propria volontà irrevocabile di prestare acquiescenza alla pretesa fiscale come rideterminata concordemente con l'Ufficio, a quest'ultimo, così come è inibita la possibilità di intervenire successivamente per modificare l'atto sottoscritto, del pari è precluso l'esercizio del potere di autotutela;
- in altre ipotesi (come, ad esempio, nel caso di acquiescenza ex articolo 15 del decreto legislativo n. 218 del 1997), l'adempimento dell'obbligazione tributaria rappresenta il frutto di una libera scelta del contribuente non suscettibile, anche in questo caso, di ripensamento.
Tali conclusioni sono in linea con il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità sulla base del quale si sostiene che, ad esempio, nelle ipotesi in cui il contribuente, pur impugnando l'avviso di accertamento, abbia deciso di definire in via agevolata le sole sanzioni, ai sensi dell'articolo 17, comma 2, del decreto legislativo n. 472 del 1997, il pagamento delle stesse in misura ridotta "definisce irrevocabilmente ogni questione inerente l'aspetto sanzionatorio del rapporto tributario in contestazione, precludendo all'amministrazione finanziaria di irrogare maggiori sanzioni ed al contribuente di ripetere quanto già pagato" [12].
3.4 La definibilità delle sanzioni a seguito di provvedimento di autotutela parziale
L'articolo 17-bis del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472 - introdotto recentemente, nell'ambito della riforma delle sanzioni tributarie, dal decreto legislativo 14 giugno 2024, n. 87 - ha ripristinato, a determinate condizioni, la possibilità per il contribuente - prima prevista dall'abrogato articolo 2-quater, comma 1-sexies, del decreto-legge n. 564 del 1994 - di avvalersi degli istituiti di definizione agevolata delle sanzioni a seguito della notifica di un provvedimento di autotutela parziale.
In particolare, con la disposizione di cui all'articolo 17-bis viene previsto che "Nei casi di annullamento parziale dell'atto il contribuente può avvalersi degli istituti di definizione agevolata delle sanzioni di cui all'articolo 16 del presente decreto e 15 del decreto legislativo 19 giugno 1997, n. 218, alle medesime condizioni esistenti alla data di notifica dell'atto, purché rinunci al ricorso e l'atto non risulti definitivo. In caso di rinuncia al ricorso le spese del giudizio restano a carico delle parti che le hanno sostenute".
Al riguardo, la Relazione al citato decreto legislativo n. 87 ha chiarito che con tale disposizione il legislatore ha inteso "(…) ripristinare il beneficio della riduzione delle sanzioni in sede di autotutela parziale tenendo conto delle nuove disposizioni in tema di autotutela e condizionando tale beneficio alla rinuncia al ricorso e agli atti non definitivi" (enfasi aggiunta).
Coerentemente con la ricordata finalità di ripristinare un beneficio (i.e. la definizione agevolata delle sanzioni) già previsto, a favore del contribuente, dall'abrogata disciplina in materia di autotutela, si ritiene che la definizione agevolata delle sanzioni disciplinata dall'articolo 17-bis sia applicabile, alle condizioni ivi previste, anche ai provvedimenti di autotutela parziale emessi dopo l'abrogazione dell'articolo 2-quater del decreto-legge n. 564 del 1994 (18 gennaio 2024).
Ciò premesso, per quanto riguarda l'ambito di applicazione della disposizione in esame, come si evince dal tenore letterale del richiamato articolo 17-bis, il beneficio della definizione agevolata delle sanzioni può essere fruito solo in relazione a provvedimenti di autotutela parziale che abbiano ad oggetto atti di imposizione per i quali il contribuente abbia proposto ricorso o risulti ancora pendente il termine di impugnazione. In quest'ultimo caso, la definizione agevolata delle sanzioni deve avvenire entro il termine per la proposizione del ricorso.
Ad esempio, in caso di atto annullato parzialmente dopo 30 giorni dalla notifica dello stesso, per poter beneficiare della riduzione delle sanzioni prevista dagli articoli 15 del decreto legislativo 19 giugno 1997, n. 218 (di seguito, decreto legislativo adesione), nonché 16 e 17 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472 (di seguito, decreto legislativo sanzioni), la definizione agevolata deve perfezionarsi nel termine per proporre ricorso, ovvero, entro sessanta giorni dalla notifica dell'atto oggetto di autotutela parziale.
Ne consegue, dunque, che non è possibile accedere alla definizione agevolata delle sanzioni di cui all'articolo 17-bis nelle ipotesi in cui l'atto d'imposizione sia divenuto definitivo per mancata impugnazione da parte del contribuente.
In tal senso, devono intendersi confermati i chiarimenti già resi con la Circolare 8 aprile 2016, n. 12/E, nella quale è stato evidenziato che all'ipotesi di autotutela parziale relativa a un atto impugnato "vada assimilata quella dell'autotutela parziale intervenuta in assenza di impugnazione ma antecedentemente alla scadenza del termine di impugnazione".
Inoltre, per poter beneficiare della definizione agevolata delle sanzioni, l'articolo 17-bis richiede che il contribuente rinunci al ricorso.
A tali fini, assumono rilevanza non solo la rinuncia espressa al ricorso, ma anche comportamenti concludenti quali l'omessa notifica del medesimo e la mancata costituzione in giudizio, sempre che, ai fini della definizione, sia intervenuto il puntuale e tempestivo versamento degli importi dovuti in unica soluzione o della prima rata, in caso di rateazione.
L'articolo 17-bis prevede che la definizione agevolata delle sanzioni possa avvenire esclusivamente ai sensi dell'articolo 15 del decreto legislativo adesione e dall'articolo 16 del decreto legislativo sanzioni.
Non è possibile, invece, avvalersi della definizione di cui l'articolo 17 del medesimo decreto legislativo sanzioni, in quanto l'applicazione di tale disposizione - non richiamata, coerentemente, dall'articolo 17-bis - fa salva la possibilità per il contribuente di impugnare la pretesa impositiva, laddove, invece, il richiamato articolo 17-bis condiziona la definizione agevolata delle sanzioni alla rinuncia al contenzioso.
Ed invero, l'articolo 17, comma 2, del decreto legislativo sanzioni consente la definizione agevolata esclusivamente delle sanzioni collegate ai tributi cui si riferiscono, mediante il versamento di un importo pari a un terzo delle stesse, "entro il termine previsto per la proposizione del ricorso". In tale ipotesi, il versamento delle sanzioni in misura ridotta entro i termini d'impugnazione non definisce interamente la pretesa impositiva, poiché l'atto contiene anche quella fondata sulle maggiori imposte accertate, la quale può essere oggetto, eventualmente, di ricorso.
Per quanto riguarda la definizione agevolata delle sanzioni in sede di acquiescenza, si ricorda che l'articolo 15, comma 1, del decreto legislativo adesione prevede il beneficio della riduzione delle sanzioni nella misura pari a un terzo "se il contribuente rinuncia ad impugnare l'avviso di accertamento o di liquidazione e a formulare istanza di accertamento con adesione, provvedendo a pagare, entro il termine per la proposizione del ricorso, le somme complessivamente dovute, tenuto conto della predetta riduzione".
Ne consegue che, coerentemente con le regole generali previste per l'accesso a tale ultima definizione, il contribuente, oltre al versamento di quanto previsto, deve rinunciare a impugnare l'atto di autotutela parziale in relazione alle richieste non accolte.
L'articolo 16, comma 3, del decreto legislativo sanzioni, rubricato "provvedimento di irrogazione delle sanzioni", ammette la definizione agevolata dell'intero atto di contestazione tramite il versamento delle sanzioni nella misura ridotta pari a un terzo "entro il termine previsto per la proposizione del ricorso".
In tale ipotesi, la definizione delle sanzioni è subordinata al solo versamento delle stesse nella misura ridotta a un terzo, entro i termini di impugnazione dell'atto di contestazione, il quale risulta, di conseguenza, interamente definito, avendo come unico contenuto quello sanzionatorio.
Al riguardo, appare opportuno evidenziare che il citato articolo 16 delinea una speciale procedura definitoria, in base alla quale l'Ufficio notifica un atto di contestazione contenente, oltre l'invito al pagamento delle somme dovute nel termine previsto per la proposizione del ricorso, con l'indicazione dei benefici connessi al perfezionamento della definizione agevolata, anche l'invito a produrre nello stesso termine, se non si intende addivenire a definizione agevolata, le deduzioni difensive, in assenza delle quali l'atto di contestazione si considera provvedimento di irrogazione delle sanzioni [13] (articolo 16, comma 4, del decreto legislativo sanzioni).
Le deduzioni difensive prodotte in questa sede rientrano nella speciale forma di contraddittorio che precede la formazione dell'atto di irrogazione delle sanzioni e ad esse non è dunque applicabile la disciplina sull'autotutela a prescindere dal nomen iuris utilizzato dal contribuente.
In definitiva, ai sensi del nuovo articolo 17-bis del decreto legislativo sanzioni, mentre il contribuente può avvalersi delle definizioni agevolate di cui ai citati articoli 15 del decreto legislativo adesione e 16 del decreto legislativo sanzioni indipendentemente dalla circostanza che il provvedimento di autotutela parziale intervenga prima o dopo la proposizione del ricorso, sempre che ricorrano le condizioni previste dalle citate disposizioni, il contribuente può avvalersi della definizione agevolata prevista dall'articolo 17 del decreto legislativo sanzioni soltanto nelle ipotesi in cui il provvedimento di autotutela parziale venga adottato dall'Ufficio prima della proposizione del ricorso.
Al riguardo, appare opportuno precisare che nelle ipotesi in cui il provvedimento di autotutela parziale intervenga dopo l'impugnazione dell'atto originario, la definizione agevolata delle sanzioni di cui ai richiamati articoli 15 del decreto legislativo adesione e 16 del decreto legislativo sanzioni deve avvenire entro il termine per l'eventuale impugnazione del predetto provvedimento di autotutela ovvero entro sessanta giorni dalla sua notifica.
Infine, in base al tenore letterale del più volte citato articolo 17-bis, nel caso in cui il provvedimento di autotutela parziale sia notificato oltre la scadenza dei termini di impugnazione dell'atto d'imposizione e quest'ultimo si sia reso definitivo per mancata impugnazione, il contribuente non potrà usufruire di alcuna delle misure premiali innanzi richiamate.
Per quanto riguarda il versamento delle sanzioni in misura agevolata richiesto ai fini del perfezionamento della definizione ai sensi del citato articolo 17-bis, si evidenzia che lo stesso deve avvenire "alle medesime condizioni esistenti alla data di notifica dell'atto".
Ciò comporta che la misura e le modalità di definizione delle sanzioni devono essere individuate avendo riguardo alle disposizioni vigenti al momento della notifica dell'atto originario, poi successivamente annullato in autotutela, anche se successivamente abrogate o modificate, fermo restando l'applicazione del favor rei.
A tali fini, restano, dunque, confermare le indicazioni della Circolare n. 12 del 2016, nelle quale è stato sostenuto che "(…) al contribuente destinatario di un provvedimento di autotutela parziale relativo a un atto impugnato (…)" è consentito "(…) prestare acquiescenza alla pretesa come rideterminata in autotutela, alle stesse condizioni esistenti al momento della notifica dell'atto oggetto di parziale annullamento d'ufficio. In altri termini, si applica il regime di definizione agevolata dell'atto in vigore al tempo della sua notifica a prescindere dalla circostanza che sia stato successivamente abrogato o modificato".
In conclusione, in assenza di una specifica previsione normativa, si ritiene che, ferma restando la possibilità di applicare gli istituti definitori vigenti, il pagamento delle somme richieste col provvedimento di autotutela parziale deve effettuarsi con le stesse modalità ed entro i medesimi termini previsti dal legislatore al momento della notifica dell'atto oggetto di annullamento, decorrenti dalla data di notifica del provvedimento di autotutela e, comunque, deve avvenire non oltre il termine per impugnare il predetto provvedimento di autotutela. Trascorsi ulteriori trenta giorni dal predetto termine per il pagamento, le somme sono prontamente iscritte a ruolo ovvero affidate all'agente della riscossione da parte del competente Ufficio. Ricorrendone i presupposti, anche il provvedimento di autotutela parziale può essere oggetto di sospensione amministrativa della riscossione ai sensi dell'articolo 39 del dPR n. 602 del 1973.
[9] Sul punto è consentita anche una motivazione per relationem. In argomento si veda la sentenza della Cass., 21 novembre 2022, n. 31412: "Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, in tema di atto amministrativo finale di imposizione tributaria, la motivazione "per relationem", con rinvio alle conclusioni contenute nel verbale redatto dalla Guardia di Finanza nell'esercizio dei poteri di polizia tributaria, non è illegittima, per mancanza di autonoma valutazione da parte dell'Ufficio degli elementi da quella acquisiti, significando semplicemente che l'Ufficio stesso, condividendone le conclusioni, ha inteso realizzare una economia di scrittura che, avuto riguardo alla circostanza che si tratta di elementi già noti al contribuente, non arreca alcun pregiudizio al corretto svolgimento del contraddittorio (Cass. n. 30560 del 20/12/2017; Cass. n. 29002 del 5/12/2017; Cass., Sez. 5 -, Sentenza n. 32957 del 20/12/2018; Cass., Sez. 5, Sentenza n. 32957 del 20/12/2018)". Tali conclusioni sono da considerarsi valide anche per gli atti di annullamento totale o parziale, ovvero di diniego di autotutela. Le regole espresse dalla Suprema Corte in argomento, infatti, sono attuative del più volte menzionato principio di economicità dell'azione amministrativa, qui declinato sotto il profilo della "economia di scrittura", e come tali sono applicabili a ogni provvedimento di natura tributaria, quale è anche quello conclusivo del procedimento di autotutela.
[10] Cass., 28 aprile 2022, n. 13332, ammette espressamente la possibilità di riemissione di un atto, sostitutivo del precedente, emendato dai vizi riscontrati, purché non siano decorsi i termini di legge per la sua emissione (c.d. autotutela sostitutiva).
[11] Su quest'ultima casistica si veda, di recente, Cass., 20 febbraio 2023, n. 5306.
[12] Cfr. in tal senso, Cassazione 27 ottobre 2017, n. 25577; Cass. civ., Sez. V, Ordinanza, 16 febbraio 2021, n. 3984. Ad analoghe conclusioni giunge anche Cassazione, Ordinanza, 22 settembre 2015, n. 18740 "In materia di violazioni di norme tributarie, l'atto di contestazione ed irrogazione delle sanzioni è autonomo rispetto al procedimento di accertamento del tributo cui le sanzioni ineriscono, sicché, qualora il contribuente abbia optato, ex art. 17, comma 2, del d.lgs. n. 472 del 1997, per la definizione agevolata di queste ultime, va esclusa la ripetizione delle somme pagate bonariamente a prescindere dall'esito del processo avente ad oggetto l'avviso di accertamento relativo alle imposte (nella specie, favorevole al contribuente), dovendosi ritenere definitivamente chiuso, a quel momento, il rapporto tra contribuente e fisco in ordine alle altre conseguenze sanzionatorie delle violazioni già rilevate".
[13] Appare opportuno evidenziare che può costituire oggetto di autotutela l'atto di irrogazione delle sanzioni di cui al comma 7 dell'art. 16 del decreto legislativo sanzioni
4 La responsabilità amministrativo-contabile
Il comma 3 dell'articolo 10-quater dispone che "Con riguardo alle valutazioni di fatto operate dall'amministrazione finanziaria ai fini del presente articolo, in caso di avvenuto esercizio dell'autotutela, la responsabilità di cui all'articolo 1, comma 1, della legge 14 gennaio 1994, n. 20, e successive modificazioni, è limitata alle ipotesi di dolo".
In virtù di quanto statuito dal comma 2 dell'articolo 10-quinquies, la medesima disciplina si applica anche in ipotesi di autotutela facoltativa.
La Relazione chiarisce che "Il comma 3 recepisce il principio di delega afferente alla responsabilità amministrativa dei soggetti tenuti ad esercitare l'autotutela obbligatoria, riproducendo l'analoga norma già prevista, per alcune ipotesi riguardanti la sola Agenzia delle entrate, dall'articolo 29, comma 7, e successive modificazioni, del D.L. 31 maggio 2010, n. 78, convertito nella legge 30 luglio 2010, n. 322" [14].
Giova rammentare che, ai sensi di quanto disposto dall'articolo 1 della legge 14 gennaio 1994, n. 20, recante "Disposizioni in materia di giurisdizione e controllo della Corte dei conti", "La responsabilità dei soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei conti in materia di contabilità pubblica è personale e limitata ai fatti e alle omissioni commessi con dolo o colpa grave, ferma restando l'insindacabilità nel merito delle scelte discrezionali".
Sulla base della disciplina generale dettata dal citato articolo 1 della legge n. 20 del 1994, il funzionario che, nell'esercizio delle proprie funzioni, arrechi un danno patrimoniale all'amministrazione di appartenenza o ad altro ente pubblico, per l'inosservanza, dolosa o gravemente colposa, dei suoi obblighi di servizio, è tenuto al risarcimento del danno.
Al fine di non scoraggiare l'esercizio del potere di autotutela, il legislatore della riforma fiscale ha dettato una norma speciale, derogatoria rispetto a quella generale sopra richiamata, con la quale ha stabilito che, "in caso di avvenuto esercizio dell'autotutela", la responsabilità amministrativo-contabile è limitata alle sole ipotesi in cui sussista il "dolo" [15]: in altre parole, affinché sia configurabile una responsabilità del funzionario, che abbia disposto l'annullamento dell'atto o la rinuncia all'imposizione in assenza dei presupposti previsti dagli artt. 10-quater e 10-quinquies, il "fatto dannoso" [16] deve essere sorretto dall'intenzione di procurare un danno all'erario; se, invece, l'erroneità delle "valutazioni di fatto", compiute ai fini dell'esercizio del potere di autotutela obbligatoria o facoltativa, deriva da una grave violazione degli obblighi di diligenza, prudenza e perizia (ossia da "colpa grave"), la responsabilità è del tutto esclusa [17].
[14] L'articolo 29, comma 7, e successive modificazioni, del decreto legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito nella legge 30 luglio 2010, n. 322 dispone che "[…] Con riguardo alle valutazioni di diritto e di fatto operate ai fini della definizione del contesto mediante gli istituti previsti dall'articolo 182-ter del Regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, dal decreto legislativo 19 giugno 1997, n. 218, dall'articolo 48 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, e successive modificazioni, dall'articolo 8 del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326, e successive modificazioni, dagli articoli 16 e 17 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472, e successive modificazioni, nonché al fine della definizione delle procedure amichevoli relative a contribuenti individuati previste dalle vigenti convenzioni contro le doppie imposizioni sui redditi, dalla convenzione 90/436/CEE, resa esecutiva con legge 22 marzo 1993, n. 99, e dalla direttiva (UE) 2017/1852 del Consiglio del 10 ottobre 2017, attuata con decreto legislativo 10 giugno 2020, n. 49, e al fine della definizione delle procedure amichevoli interpretative di carattere generale e degli atti dell'Agenzia delle entrate adottati in attuazione di tali procedure amichevoli, la responsabilità di cui all'articolo 1, comma 1, della legge 14 gennaio 1994, n. 20, e successive modificazioni, è limitata alle ipotesi di dolo".
[15] Ai sensi del secondo periodo del comma 1 dell'articolo 1, legge 14 gennaio 1994, n. 20, inserito dall'articolo 21, comma 1, del decreto-legge 16 luglio 2020, n. 76, convertito con modificazioni dalla legge 11 settembre 2020, n. 120, "La prova del dolo richiede la dimostrazione della volontà dell'evento dannoso". La Relazione al richiamato decreto legge n. 76 del 2020 chiarisce che "il dolo va riferito all'evento dannoso in chiave penalistica e non in chiave civilistica, come invece risulta da alcuni orientamenti della giurisprudenza contabile che hanno ritenuta raggiunta la prova del dolo inteso come dolo del singolo atto compiuto"; si veda in argomento anche il dossier n. 275 del 21 luglio 2020 del Servizio studi del Senato e della Camera, ove si osserva che "la volontà del legislatore sembrerebbe quella di escludere ipotesi di dolo che non siano conformi al dettato dell'art. 43 c.p.. [...] Il dolo in chiave penalistica è quindi, costituito da due componenti: - la cosiddetta rappresentazione, che consiste nella pianificazione dell'azione od omissione volta a creare l'evento dannoso; - la risoluzione, cioè la decisione di realizzare effettivamente lo sforzo esecutivo del piano, per giungere alla realizzazione del fatto dannoso o pericoloso".
[16] Questo è il termine utilizzato dall'ormai abrogato articolo 20 del decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3, e attualmente impiegato dal decreto legislativo 27 agosto 2016, n. 174, emanato sulla base della delega contenuta nell'articolo 20 della legge 7 agosto 2015, n. 174, che ha approvato il "Nuovo codice di giustizia contabile", pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 7 settembre 2016 ed entrato in vigore il 7 ottobre 2016.
[17] Si rammenta che, ai sensi dell'articolo 1-quinquies, della legge n. 20 del 1994, in caso di concorso di persone nell'illecito erariale, la responsabilità dei concorrenti che abbiano agito con dolo è "solidale".
Il Direttore dell'agenzia
Ernesto Maria Ruffini
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