Translate

domenica 18 febbraio 2024

Corte d’Appello 2023- Più in generale, del resto, in tema di indennizzo INAIL da malattia professionale ai sensi del D.P.R. n. 1124 del 1965, derivante da lavorazione non tabellata o ad eziologia multifattoriale, la prova della causa di lavoro grava sul lavoratore e deve essere valutata in termini di ragionevole certezza, nel senso che, esclusa la rilevanza della mera possibilità dell'origine professionale, questa può essere ravvisata in un rilevante grado di probabilità, Cass. n. 8773/2018.


REPUBBLICA ITALIANA 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO 

La Corte di Appello di Firenze 

Sezione lavoro 

nelle persone dei Magistrati: 

dr. Flavio Baraschi - Presidente, relatore 

dr. Elisabetta Tarquini - Consigliera 

dr. Paola Mazzeo - Consigliera 

nella causa iscritta al n. 584/ 2021 RG 

promossa da 

appellante 

nei confronti di 

MINISTERO DELLA DIFESA e MINISTERO DELL'ECONOMIA E DELLE FINANZE 

Avvocatura Dello Stato 

appellati 

avente ad oggetto: appello avverso la sentenza del Tribunale di Livorno, giudice del lavoro, n. 76/2021, pubblicata il 9.2.2021. 

All'udienza 21 settembre 2023, con separato dispositivo, ha emesso la seguente 

SENTENZA 

Svolgimento del processo - Motivi della decisione 

Il Tribunale di Livorno, con la decisione oggi impugnata, ha respinto la domanda proposta da OMISSIS nei confronti dei Ministeri della Difesa e dell'Economia e Finanze con la quale era chiesto il riconoscimento dello status di vittima del dovere ai sensi della L. n. 266 del 2005 in relazione alle patologie contratte durante la partecipazione a missioni internazionali in Kosovo ed in Libano tra il 2002 ed il 2007. 

In particolare, l'odierno appellante, maresciallo ordinario dell'Esercito Italiano, è attualmente affetto da linfoma di Hodgkin, insufficienza renale cronica, Fenomeno di Raynaud, depressione maggiore. Sostiene che l'insorgenza di tali patologie sia dovuta alla sua partecipazione alle suddette missioni internazionali durante le quale è stato esposto in modo rilevante a radiazioni conseguenti ai massicci bombardamenti effettuati in quelle zone, con proiettili ad uranio impoverito. Precisa di essere stato adibito alla missione di ricercare, sequestrare, catalogare e quindi distruggere le armi in possesso dei civili. Tutte queste attività erano svolte in ambienti fortemente danneggiati dai bombardamenti e gravemente insalubri. 

Il primo giudice, svolta la CTU medico legale, ha respinto la domanda sul presupposto che non fosse dimostrata la sussistenza di un nesso causale tra l'attività svolta durante le missioni internazionali e le patologie del D.S.. 

È stata respinta anche la domanda avente ad oggetto il riconoscimento della "speciale elargizione" prevista dalla legge in misura massima, a causa della cessazione dell'attività lavorativa. Secondo il Tribunale di Livorno, questa domanda sarebbe comunque infondata in quanto il D.S. è stato giudicato idoneo al passaggio nei ruoli civili dell'Amministrazione, soluzione che egli non ha voluto accettare. Questa domanda viene riproposta con l'appello senza che vi sia, nell'atto di impugnazione, una specifica contestazione di questa parte della motivazione. 

Le spese di lite sono state compensate. 

OMISSIS appella, con i seguenti motivi, la sentenza di primo grado che ritiene: 

a) errata in quanto fondata su un dato storico errato, rappresentato dalla mancata partecipazione dell'appellante a conflitti a fuoco o dal non essersi trovato in prossimità delle esplosioni; 

b) manifestamente errata laddove ha ritenuto i tempi di esposizione ai menzionati fattori di rischio come non idonei a provocare l'insorgenza della patologia, tenuto conto che sia la scienza medica che la giurisprudenza hanno a più riprese sottolineato che rileva l'intensità dell'esposizione a fattori nocivi e non la durata; 

c) opinabile e fondata su un elaborato peritale che si è espresso negativamente in termini di oggettiva certezza laddove un'oggettiva certezza, non solo è mai stata palesata nell'atto introduttivo (essendo stata paventata una eventuale incidenza patogenetica dell'esposizione all'uranio in termini di elevata probabilità e, quindi, da valutare quanto meno alla luce di una concausalità efficiente e determinante), ma non è affatto necessaria ai fini per cui è causa; 

d) incompleta, non avendo tenuto affatto conto delle recenti conclusioni cui è pervenuta la giurisprudenza ma anche di alcuni recenti lavori scientifici, come quello effettuato dalla Commissione Parlamentare di inchiesta conclusosi nell'estate scorsa; 

e) errata in quanto non tiene in alcun conto degli ulteriori fattori di rischio ben evidenziati nel ricorso e sopra richiamati; 

f) censurabile in quanto non ha tenuto in alcun conto del rischio tipizzato dal legislatore con i D.P.R. n. 37 del 2009, D.P.R. n. 90 del 2010 e D.P.R. n. 40 del 2012 cioè della presenza di nanoparticelle di metalli pesanti causate da esplosioni belliche, rinvenute peraltro proprio nelle cellule tumorali del ricorrente e quindi della presenza della prova inconfutabile del cd. rischio tipizzato; 

g) viziata per non aver considerato la copiosissima giurisprudenza in materia versata in atti (di ogni grado ed ordine giurisdizionale) che afferma a contrario la presenza del nesso di causalità, secondo il criterio del "più probabile che non", dei dedotti fattori di rischio e di identiche e/o analoghe patologie tumorali che hanno colpito numerosissimi militari impiegati nelle medesime condizioni di impiego del ricorrente. 

Il MINISTERO DELLA DIFESA e quello DELL'ECONOMIA E DELLE FINANZE si sono costituiti ed hanno chiesto il rigetto dell'appello. 

Così riassunti i termini della controversia e le difese delle parti, secondo la Corte l'appello è infondato e non può essere accolto. 

Come detto, il militare appellante ha partecipato a tre missioni in Kosovo ed una in Libano nel periodo compreso tra il giugno 2002 ed il novembre 2007. Nel ricorso di primo grado descrive sia l'ambiente nel quale si è trovato ad operare, che rappresenta come estremamente malsano, sia l'attività concretamente svolta ossia la ricerca, il sequestro e la catalogazione delle armi in possesso dei cittadini locali. Queste circostanze non sono in contestazione. 

La sentenza di primo grado, nel respingere la domanda del D.S., ha fatto riferimento all'esito della CTU espletata. 

Questi gli argomenti del Consulente nominato dal Tribunale di Livorno: 

"In merito ai periodi in cui il ricorrente è stato impegnato in missioni, riporto di seguito le date indicate nel verbale della Commissione Medica di La Spezia effettuata in data 29/11/2010. In altri documenti sono riportati solamente i mesi, non il giorno di inizio e fine della missione e nel documento "rapporto Informativo" rilasciato dal Ten. Col. Abbamonte, a proposito della fine della seconda missione in Kosovo, è riportato novembre 2005 : -Kosovo dal 26/03/2002 al 11/08/2002; dal 02/05/2005 al 02/08/2005 e dal 21/06/2006 al 07/07/2006. In totale circa 10 mesi, suddivisi in tre periodi. E' stato inoltre impiegato in Libano nel periodo dal 01/08/2007 al 10/10/2007. Quindi, è noto che esiste una relazione tra la dose e la probabilità di comparsa dell'effetto, ma nella presente causa è verosimile che l'eventuale esposizione possa essere ritenuta limitata per il breve periodo di tempo ed inoltre non continuativa. b) la neoplasia in questione non risulta essere radioinducibile; c) il tempo di induzione latenza (2002 la prima esposizione, 2009 la diagnosi di tumore, della massa mediastinica) è da ritenersi breve per poter attribuire un ruolo alla esposizione. La risposta stocastica all'irradiazione non è immediata, si ritiene necessario un periodo minimo di 5 anni con un graduale e lento incremento della probabilità di comparsa fino a 

10 anni, seguito da un incremento costante, sempre in termini probabilistici nel periodo successivo fino ad un massimo di 40 anni dalla esposizione; d) negli studi recenti, non risulta un aumento significativo dell'incidenza di tumori fra i militari veterani della Guerra del Golfo e dei Balcani (studi di coorte); e) Per quanto riguarda il ruolo delle nanoparticelle, in relazione all'uranio impoverito, valgono le stesse considerazione espresse in precedenza. Per quanto riguarda la responsabilità nella insorgenza del tumore per altri tipi di particelle, ritengo che non sia possibile correlare il tumore alla esposizione alle nanoparticelle dal momento che gli studi non ne hanno mostrato la cancerogenicità sull'uomo. Inoltre, nel tessuto neoplastico sono state trovate particelle di metalli che con facilità si possono ritrovare nei tessuti dei soggetti che vivono in zono industrializzate. Sull'eventuale ruolo di altri agenti cancerogeni, non è possibile avanzare delle considerazioni in merito. Il ricorrente ha parlato in generale di solventi. Con il termine "solvente" si intende una serie di prodotti con caratteristiche chimico-fisiche varie e aventi azioni estremamente diverse sull'uomo anche in relazione alla esposizione. Quindi nella presente causa rimane estremamente difficile poter valutare il ruolo dei "solventi" nella insorgenza della neoplasia. Concludendo, per quanto illustrato nella relazione di CTU e per quanto riportato in queste considerazioni ritengo, utilizzando il criterio probabilistico, che non sia possibile associare la neoplasia alla esposizione del D.S. a fattori ed a particolari condizioni ambientali ed operative". 

Parte appellante, come detto, contesta la sentenza di primo grado sotto vari aspetti. 

In primo luogo si duole del fatto che il Tribunale di Livorno abbia aderito in modo acritico alla CTU espletata senza considerare le osservazioni critiche del CTP e senza prendere posizione al riguardo. La CTU poi aveva escluso la sussistenza del nesso causale in termini di certezza scientifica mentre, come è noto, è sufficiente la dimostrazione di una probabilità o possibilità qualificata. 

In punto di fatto, contesta la sentenza appellata per aver evidenziato la mancata partecipazione del ricorrente alle fasi belliche senza considerare che tutte le attività in questione si sono svolte dopo la conclusione delle ostilità. Tutta la copiosa giurisprudenza depositata si è pronunciata in senso favorevole ai militari che avevano partecipato a missioni successive al bombardamento con DU. 

Erra la sentenza appellata anche per aver ritenuto decisiva, in senso sfavorevole al ricorrente, la brevità dell'esposizione mentre, come affermato in altre pronunce, quel che rileva è l'intensità dell'esposizione più che la sua durata. 

L'appello poi insiste sul tema della presunzione per quanto riguarda il nesso di causalità. È stato infatti il Legislatore (si veda il D.P.R. n. 37 del 2009), avuta consapevolezza della estrema nocività degli ambienti nei quali i nostri militari si sono trovati ad operare, a tipizzare il rapporto causale con la conseguenza che il militare altro non dovrebbe provare se non la presenza nei luoghi ove erano presenti radiazioni da uranio impoverito. 

Oltre tutto l'accertamento non dovrebbe limitarsi all'uranio impoverito in quanto il D.S., come dedotto sin dal primo grado, si è trovato anche esposto a nanoparticelle di metalli pesanti. 

Orbene, i motivi d'appello possono essere esaminati congiuntamente in quanto, tra loro, strettamente connessi. 

È bene premettere, prima di tutto, che questa Corte ha disposto la rinnovazione della CTU nominando a tal fine due consulenti esperti ed altamente qualificati. In particolare, il Collegio si è avvalso della consulenza di uno specialista in Fisica Medica, Esperto di Radioprotezione di III, Esperto di Radioprotezione dell'Istituto Europeo di Oncologia di Milano e di un medico-chirurgo, specialista in Medicina del Lavoro, Medico Autorizzato alla Radioprotezione Responsabile Medicina del Lavoro e Radioprotezione Medica - CNR - Roma 

Possono quindi considerarsi superati, in ragione del nuovo accertamento peritale effettuato, tutti i motivi d'appello che riguardano la CTU resa in primo grado e l'adesione alla stessa - che viene definita acritica - da parte del Tribunale di Livorno. 

È bene anche ricordare che questa stessa Corte territoriale si è già pronunciata in cause aventi analogo oggetto (dopo aver disposto la medesima CTU) con argomenti in diritto ai quali questo Collegio intende dare continuità (sentenza del 25.10.2022, RG 294 del 2020). 

In particolare, Il Collegio osserva prima di tutto che, anche volendo seguire il ragionamento della giurisprudenza richiamata dall'appellante, era comunque necessario disporre una perizia di contenuto tecnico che, da un lato, verificasse la esistenza e la entità di esposizione ad uranio impoverito e, dall'altro lato, a fronte di una patologia tumorale di origine multifattoriale prendesse posizione sulla sua derivazione causale, concausale in modo efficiente e determinante, dalla medesima esposizione. 

Del resto, è la stessa giurisprudenza citata in appello ad affermare che l'indennità spetti a chi ha dimostrato che la patologia tumorale sia stata contratta verosimilmente a causa di "particolari condizioni ambientali ed operative", fra le quali nel caso in esame il ricorso indicava appunto l'uranio impoverito. 

La parte appellante richiama inoltre copiosa giurisprudenza civile, di merito e di legittimità. 

Fra tutte le pronunce richiamate, sono utili per il caso in esame quelle relative a prestazioni rivendicate quali vittime del dovere ex art. 1 commi 563, 564 L. n. 266 del 2005 (ovvero quali soggetti ex D.P.R. n. 90 del 2010), con motivazioni che entrino nel merito della fondatezza del diritto controverso in caso di patologie tumorali conseguenti alle particolari condizioni ambientali o operative subìte da personale civile o militare in occasioni di missioni all'estero (Cass. n. 14018/2020, n. 14605/2020, n. 23300/2016). 

Non vi è dubbio che le prestazioni per i soggetti equiparati alle vittime del dovere (art. 1 comma 564 L. n. 266 del 2005) oltre che sulle conseguenze lesive di incidenti subìti in servizio, possono fondarsi anche su vere e proprie malattie contratte per esposizioni morbigene subìte in servizio, come espressamente previsto per le prestazioni del D.P.R. n. 90 del 2010, appositamente dedicato alle patologie tumorali derivanti dalla esposizione ad uranio impoverito. 

Non si discute del fatto che la esposizione a tale sostanza, o più in generale quella a nanoparticelle di metalli pesanti prodotti da esplosione di materiale bellico, possa integrare le particolari condizioni ambientali o operative che siano causa, o concausa efficiente e determinante, di patologie tumorali indennizzabili con le prestazioni in esame. 

Piuttosto, il punto sul quale il Collegio dissente dall'appellante risiede nel fatto che l'esposizione a tale sostanza tossica, ed il collegamento con la patologia, non possono comunque presumersi in termini assoluti per la mera partecipazione a missioni in scenari di guerra ove si è fatto uso di armi ad uranio impoverito. 

Al contrario, come si ricava anche dalla giurisprudenza di legittimità ora citata (che, ai fini dell'onere della prova, tratta a vario titolo motivazioni in fatto su esposizione / nesso causale), l'accoglimento della domanda presuppone un accertamento tecnico che verifichi in concreto, oltre alla presenza di uranio impoverito nei luoghi ove si era svolto il servizio, anche: 

- la effettiva esposizione del singolo a tale sostanza, e la relativa intensità (considerando la durata delle missioni, oltre che il contenuto concreto dei compiti svolti e la tipologia degli ambienti frequentati) 

- il collegamento causale /concausale efficiente e determinante, fra tale condizione concreta e la patologia tumorale del medesimo dipendente (considerando la eventuale presenza di nanoparticelle in tessuti della persona malata, il tipo e la stadiazione della patologia tumorale, con ogni caratteristica connessa al momento della diagnosi ed alla sua evoluzione precedente e successiva). 

Per quanto riguarda il nesso causale - che nel presente giudizio rappresenta il punto critico finale per l'accoglimento della domanda - si può discutere esclusivamente del relativo criterio di giudizio. 

In proposito, secondo il Collegio va applicato il generale principio del "più probabile che non" adottato dalla giurisprudenza civile anche in materia di indennizzi posti per legge a carico di soggetti pubblici, predeterminati sia nel loro importo sia nella individuazione dei legittimati a richiederli. 

Si tratta infatti del medesimo criterio che la giurisprudenza di legittimità adotta anche in materie analoghe a quella in esame, che riguardano tutte prestazioni di tipo assistenziale - solidaristico, fra cui: 

- in tema di danni da vaccinazione obbligatoria, l'indennizzo di cui alla L. n. 210 del 1992 richiede il nesso causale tra la somministrazione vaccinale e il danno alla salute da valutare secondo un criterio di ragionevole probabilità scientifica ispirato al principio del "più probabile che non", da ancorarsi non esclusivamente alla determinazione quantitativo-statistica delle frequenze di classe di eventi (cd. probabilità quantitativa), ma riconducendone il grado di fondatezza all'ambito degli elementi di conferma disponibili nel caso concreto (cd. probabilità logica), Cass. n. 2474/2021 

- in tema di indennizzo per menomazioni da assunzione del farmaco talidomide ai sensi della L. n. 244 del 2007, Cass. n. 4602/2021 

Più in generale, del resto, in tema di indennizzo INAIL da malattia professionale ai sensi del D.P.R. n. 1124 del 1965, derivante da lavorazione non tabellata o ad eziologia multifattoriale, la prova della causa di lavoro grava sul lavoratore e deve essere valutata in termini di ragionevole certezza, nel senso che, esclusa la rilevanza della mera possibilità dell'origine professionale, questa può essere ravvisata in un rilevante grado di probabilità, Cass. n. 8773/2018. 

Non ignora questa Corte territoriale che recentemente, la Corte di Cassazione (sentenza n. 7408 del 2023) ha precisato che: "Il complesso di tali previsioni (ossia artt. 1878 e ss. D.Lgs. n. 66 del 2010 (codice dell'ordinamento militare) nonché dagli artt. 1078 e 1079 del t.u. n. 90 del 2010 (Testo unico delle disposizioni regolamentari in materia di ordinamento militare, a norma dell'articolo 14 della L. 28 novembre 2005, n. 246) rende evidente l'intento del legislatore di settore di istituire un apposito sistema di tutela dei danneggiati dall'esposizione all'uranio impoverito, posto che il citato T.U. n. 90 del 2010, al Capo II, nel titolo si rivolge ai < Soggetti che hanno contratto infermità o patologie tumorali per particolari condizioni ambientali od operative> rende evidente la consapevolezza del legislatore, sulla base delle conoscenze scientifiche via via emerse, del carattere fortemente nocivo derivante dalla esposizione alle nanoparticelle ivi descritte e degli effetti della stessa esposizione, correlandovi il riconoscimento dei benefici di cui si discute; 

il citato dato normativo, come si è riportato, richiede che la dispersione nell'ambiente abbia costituito <la causa ovvero la concausa efficiente e determinante delle menomazioni> ed è questo il punto che va correttamente interpretato; non può non attribuirsi a tale espressione il senso di porre in favore di chi richiede le prestazioni assistenziali in parola, e si è trovato nelle situazioni di vicinanza all'ambiente nocivo dettagliatamente descritte dalla medesima disposizione, una presunzione di sussistenza del nesso causale tra la malattia contratta e l'esposizione all'ambiente descritto dalla norma; i destinatari della tutela, infatti, si trovano all'interno di una platea selezionata dagli artt. 1078 e 1079 cit., in ragione del rischio specifico di esposizione, e sono tali disposizioni, come sovente avviene nei sistemi di sicurezza sociale basati sulla rilevanza epidemiologica della peculiare relazione che si pone tra talune attività e certe malattie, che incide sulla disciplina dell'accertamento del nesso causale; i destinatari della fattispecie in esame devono provare i fatti e cioè di essersi trovati in uno degli ambienti selezionati dal legislatore nel quale in concreto si è verificato l'utilizzo di proiettili all'uranio impoverito ed è quindi avvenuta la dispersione nell'ambiente di nanoparticelle di minerali pesanti prodotte da esplosione di materiale bellico e tali circostanze fannodi per sé presumere la dipendenza della forma tumorale contratta dall'esposizione all'uranio impoverito, pur essendo naturalmente possibile fornire la prova contraria" 

Sembra tuttavia a questa Corte che, anche ricondotta in questi termini, la questione non possa prescindere dall'accertamento del dato storico e fattuale del contatto con uranio impoverito o nanoparticelle di metalli pesanti, "contatto" che dovrebbe essere qualificato in termini di efficienza causale, altrimenti anche una insignificante presenza di nanoparticelle o uranio impoverito farebbe scattare la presunzione per quanto riguarda il nesso causale. 

Del resto, l'art. 1079 del D.P.R. n. 90 del 2010 richiede pur sempre che "l'esposizione e l'utilizzo di proiettili all'uranio impoverito e la dispersione nell'ambiente di nanoparticelle di minerali pesanti prodotte da esplosione di materiale bellico abbiano costituito la causa ovvero la concausa efficiente e determinante delle menomazioni". 

Tanto premesso la CTU resa in questo giudizio, come anche quelle dei precedenti specifici, ha dato esito sfavorevole alle tesi dell'appellante. 

I CTU della Corte hanno potuto ricavare le informazioni di carattere ambientali relative al livello di contaminazione ambientale da DU presente nelle aree oggetto delle missioni del M.OMISSIS per via deduttiva sulla base delle conclusioni relative alle campagne di monitoraggio effettuate dall'UNEP (United Nations Environment Assembly) 

Per quanto attiene la rilevanza e l'attendibilità della documentazione citata, hanno precisato che UNEP è l'organo decisionale di più alto livello mondiale in materia di ambiente ed ha effettuato le sue ricognizioni nell'ambito di missioni multilaterali condotte da esperti di molte nazionalità. 

Esaminati quindi i dati riportati da UNEP, i CTU hanno evidenziato che anche nelle zone di pertinenza del contingente italiano in Kosovo, "non è stata rilevata una contaminazione diffusa e rilevabile della superficie del suolo da parte dell'uranio impoverito. Ciò significa che qualsiasi contaminazione diffusa è presente a livelli così bassi da non poter essere rilevata o differenziata dalla concentrazione naturale di uranio che si trova nelle rocce e nel suolo. I corrispondenti rischi radiologici e tossicologici sono insignificanti e addirittura inesistenti" 

Anche il Libano è stato oggetto di una missione UNEP 85 nel 2006 con lo scopo di effettuare un monitoraggio ambientale teso a valutare anche le conseguenze del conflitto. In particolare, una squadra di specialisti dell'UNEP ha visitato i siti caratterizzati dalla più alta probabilità di essere stati attaccati con munizioni a penetrazione profonda anche nel sud del Libano, oggetto della permanenza del M.D.S. e pertanto potenzialmente contenenti DU. Il team ha anche visitato siti che si dice siano stati attaccati con armi contenenti DU, incluso un sito a K.. Le analisi effettuate non hanno rilevato né DU, né uranio arricchito, né un contenuto di uranio superiore a quello naturale. Non è stata pertanto trovata evidenza di utilizzo di penetratori di DU, di metalli contenenti DU o di qualsiasi altro materiale radioattivo che potrebbe essere collegato a un'arma. Inoltre, i risultati delle analisi effettuate non hanno mostrato alcuna prova dell'uso di penetratori contenenti DU e, nei siti indagati, non sono state trovate schegge di DU o altri residui radioattivi. Non essendoci alcuna evidenza di presenza di DU in Libano, la missione compiuta dal M.D.S. in L. non è stata presa in considerazione al fine della valutazione della possibile incorporazione di D. 

Si riportano, in quanto molto chiare ed esaustive, le risposte ai quesiti rese dai CTU nella presente causa: 

6.1 Quesito n. 1 Accertare se dalla documentazione prodotta dalle parti, dall'istruttoria svolta in primo grado, dalla consulenza tecnica d'ufficio di primo grado, dalle altre informazioni tratte dalla giurisprudenza sui temi controversi prodotta dalle parti nonché dalle relazioni delle Commissioni parlamentari di inchiesta sull'uranio impoverito (reperibili sul sito del Senato della Repubblica), sia possibile ricostruire il grado e l'intensità della contaminazione riscontrabile nelle basi militari ove si erano svolte le missioni di OMISSIS, indicate nel ricorso di primo grado. 

6.1.1 Risposta al quesito n.1 

Non è possibile ricostruire con adeguata accuratezza il livello di contaminazione ambientale riscontrabile nelle basi militari dove si sono svolte le missioni di OMISSIS. 

In relazione alle testimonianze, alle evidenze di letteratura e ai rilievi oggettivi citati nella presente 

CTU: • in relazione alla testimonianza del Cap. D.C. e alle evidenze del monitoraggio ambientale effettuato dall'UNEP nel novembre 2000 (quindi in un periodo antecedente le missioni che hanno coinvolto il M.OMISSIS), appare "più probabile che improbabile" il fatto che l'attività condotta al di fuori della base militare durante l'attività svolta nel 2006 in Kosovo nell'ambito della missione Determinet Effort dal M.D.S. lo abbia portato in aree con presenza di DU; 

- appare "più improbabile che probabile" il fatto che l'attività condotta al di fuori delle basi militari durante le attività svolte in Kosovo nel 2002 e nel 2005 nell'ambito delle missioni Joint Guardian e Joint Guardian Decisive Endeavour dal M.D.S. lo abbia portato in aree con presenza significativa di DU; 

- appare "altamente improbabile" il fatto che l'attività condotta durante le attività svolte in Libano nel 2007 nell'ambito della missione Leonte dal M.D.S. lo abbia portato in aree con presenza di D. 

Sulla base di queste considerazioni ed utilizzando la più qualificata letteratura scientifico-tecnica a disposizione, ai fini di questa CTU, è stato comunque ipotizzato il livello massimo di contaminazione ambientale ascrivibile a DU, e conseguentemente il massimo livello di esposizione del M.D.S. a DU, dovuto all'attività da lui condotta durante le sue missioni all'estero. Di tale valutazione si è dato riscontro all'interno dei paragrafi precedenti, arrivando a concludere che nel complessivo periodo trascorso all'estero in aree potenzialmente contaminate, l'incorporazione di DU, nel peggiore dei casi, risulterebbe non superiore a 61 mg. Per quanto attiene alla radiotossicità, la conseguente dose equivalente ricevuta dal midollo risulterebbe di 

gran lunga inferiore a 1 mSv, e la dose efficace impegnata pari a circa 6 - 7 mSv. 

6.2 Quesito n. 2 

Accertare inoltre quando siano state contratte dal D.S. le patologie ivi denunciate (linfoma di Hodgkin, insufficienza renale cronica, fenomeno di Raynaud, depressione maggiore) e se queste possano ritenersi con certezza, o ragionevole probabilità, collegate in senso causale alla esposizione ad uranio impoverito presente nelle medesime basi militari. 

6.2.1 Risposta al quesito n.2 

È noto agli atti che la diagnosi di linfoma di Hodgkin è stata effettuata tra il settembre e l'ottobre 2009. La diagnosi di Insufficienza renale cronica nel 2013 presso l'Ospedale Regina Margherita di Roma, UO Nefrologia e Dialisi, la diagnosi di Depressione nel 2013, dall' UOC Salute Mentale 3 Distretto Azienda U.R., la diagnosi di Fenomeno di Raynaud simile nel 2013, presso l'Istituto Toscano Tumori e certificata anche dall'UOC Salute Mentale 3 Distretto Azienda U.R.. Sulla base delle valutazioni effettuate in ordine alla causalità generale e alla causalità individuale (comprensiva del calcolo della Probabilità di Causa), si valuta estremamente improbabile (PC pari allo 0 %) l'ipotesi che la patologia oncologica diagnosticata al M.D.S. (Linfoma di Hodgkin) sia collegata in senso causale alla esposizione ad uranio impoverito subita in occasione delle operazioni militari. 

Analogamente per la patologia renale (IRC), si valuta estremamente improbabile (di fatto impossibile) l'ipotesi che la patologia in questione sia collegata in senso causale alla esposizione ad uranio impoverito subita in occasione delle operazioni militari, laddove maggiormente rilevanti ai fini causali potrebbero risultare le terapie (radio e chemio) effettuate a seguito della diagnosi di Linfoma di Hodgkin. 

Per quanto riguarda infine le altre patologie indicate (Depressione maggiore e Fenomeno di Raynaud), non sono reperibili nella letteratura scientifica internazionale elementi che possano supportare, o anche solo suggerire ai fini della presente CTU, una correlazione causale con il fattore di rischio Uranio Depleto, che pertanto si esclude. 

Si conclude quindi complessivamente che le patologie diagnosticate non possano essere, con ragionevole (qualificata) probabilità, collegate in senso causale o anche solo concausale alla esposizione ad uranio impoverito subita in occasione delle missioni militari svolte dal D.S.. 

6.3 Quesito n. 3 

In proposito, specificare se in base alla scienza medica, inalare, ingerire, subire il contatto o più in generale essere presenti in zone dove si trova, in varia misura, uranio impoverito possa determinare l'insorgenza delle medesime patologie. 

6.3.1 Risposta al quesito n.3 

A giudizio degli scriventi, la sola presenza nelle zone oggetto delle missioni non è sufficiente a dimostrare introduzioni di DU tali da determinare una probabilità significativa di induzione delle patologie oggetto della CTU. È però possibile, sulla base della letteratura scientifica disponibile e formulando ipotesi realistiche ma ragionevolmente conservative a favore del periziando, effettuare una valutazione del worst case che descriva la situazione in cui si potrebbe essere trovato il periziando M.D.S. durante le sue missioni all'estero e, sulla base di tale valutazione, formulare un'ipotesi di grado e intensità della contaminazione da lui subita in occasione delle missioni all'estero e delle possibili conseguenze da essa derivanti. 

In sostanza è possibile formulare un'ipotesi dell'estremo superiore di tale grado. Di tale valutazione si è dato riscontro all'interno dei paragrafi precedenti, arrivando a concludere che nel complessivo periodo trascorso all'estero in aree potenzialmente contaminate, l'incorporazione di DU, nel peggiore dei casi, risulterebbe non superiore a 61 mg. 

Per quanto attiene alla radiotossicità, ed alla patologia oncologica diagnosticata, la conseguente dose equivalente ricevuta dal midollo risulterebbe, come anticipato, di gran lunga inferiore a 1 mSv e la dose efficace impegnata pari a circa 6 - 7 mSv. 

Nelle condizioni in cui ragionevolmente può essersi trovato il M.D.S., inalare, ingerire, subire il contatto o più in generale essere presenti in zone dove si trova, in varia misura, uranio impoverito, può pertanto aver determinato l'insorgenza della patologia oncologica da cui è risultato affetto con una probabilità trascurabile e praticamente indistinguibile da quella che determina la spontanea insorgenza di tale patologia nella popolazione generale. 

Per quanto attiene alla chemiotossicità del DU, ed alla patologia renale diagnosticata, aver inalato una quantità di DU pari a quella calcolata in questa CTU avrebbe comportato una concentrazione massima a livello renale molto inferiore a quella comunque ritenuta "sicura" dal WHO. Nelle condizioni in cui ragionevolmente può essersi trovato il M.D.S. quindi, inalare, ingerire, subire il contatto o più in generale essere presenti in zone dove si trova, in varia misura, uranio impoverito, non avrebbe potuto determinare, sulla base della conoscenza a disposizione, l'insorgenza della patologia renale diagnosticata. 

6.4 Quesito n. 4 

Quindi, individuare il grado di intensità, le modalità e la durata dell'esposizione adeguate a determinare l'insorgenza della stessa patologia. 

6.4.1 Risposta al quesito n.4 

Metodi e modelli utilizzati hanno permesso di stimare che, nelle condizioni ipotizzate, soltanto incorporazioni di DU di diversi ordini di grandezza più elevati rispetto a quelli valutati avrebbero potuto comportare un plausibile/probabile rischio di insorgenza di Linfoma di Hodgkin o di Insufficienza Renale Cronica (con il criterio della maggiorazione di tutte le approssimazioni effettuate), ma che queste incorporazioni sarebbero di entità tale da determinare con certezza gravi conseguenze sanitarie acute di altra natura (ad esempio respiratorie). 

In conclusione, sulla base dell'accertamento peritale svolto in modo ampio ed altamente qualificato ritiene la Corte che la domanda del D.S. sia infondata e che la sentenza appellata debba essere confermata. 

Alla stessa conclusione si giunge per quanto riguarda le nanoparticelle di metalli pesanti. Al riguardo osserva la Corte che la domanda del D.S., sin dal primo grado, è stata in massima parte incentrata sulla dedotta esposizione a uranio impoverito. In ogni caso, la CTU del primo grado aveva precisato che: "Per quanto riguarda la responsabilità nella insorgenza del tumore per altri tipi di particelle, ritengo che non sia possibile correlare il tumore alla esposizione alle nanoparticelle dal momento che gli studi non ne hanno mostrato la cancerogenicità sull'uomo. Inoltre, nel tessuto neoplastico sono state trovate particelle di metalli che con facilità si possono ritrovare nei tessuti dei soggetti che vivono in zono industrializzate". 

In definitiva, l'appello non può essere accolto. 

Spese 

L'estrema complessità della materia e dell'accertamento in fatto necessario per la definizione del giudizio inducono alla compensazione integrale delle spese del secondo grado tra le parti. 

Per le stesse ragioni le spese di CTU, liquidate in separato decreto, vanno poste a carico delle parti in solido. 

Per il rigetto dell'appello sussistono i presupposti processuali di cui all'art. 13, comma 1-quater, D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, introdotto dall'art. 1, comma 17, L. 24 dicembre 2012, n. 228, per l'obbligo di parte appellante di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato. 

P.Q.M. 

La Corte, definitivamente pronunciando, respinta ogni diversa istanza, eccezione e deduzione: 

Respinge l'appello avverso la sentenza del Tribunale di Livorno, giudice del lavoro, n. 76/2021, pubblicata il 9.2.2021. 

Dichiara le spese di lite del secondo grado interamente compensate tra le parti. 

Pone le spese di CTU, liquidate in separato decreto, in solido a carico delle parti in causa. 

Dichiara che sussistono i presupposti processuali di cui all'art. 13, comma 1-quater, D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, introdotto dall'art. 1, comma 17, L. 24 dicembre 2012, n. 228, per l'obbligo di parte appellante di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato. 

Così deciso in Firenze, il 21 settembre 2023. 

Depositata in Cancelleria il 31 ottobre 2023. 


Nessun commento: