Tar 2024-“ Il sig. OMISSIS e gli altri soggetti indicati in epigrafe - dipendenti ovvero ex dipendenti del Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco e della Polizia Penitenziaria - riferiscono di essere stati assunti successivamente al 31 dicembre 1995 o che, a quella data, avevano maturato un'anzianità di servizio inferiore a 18 anni - e di essere, pertanto, soggetti alla L. 8 agosto 1995, n. 335, di "Riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare" (c.d. riforma Dini), introduttiva del sistema di calcolo contributivo, meno favorevole rispetto al precedente sistema di calcolo retributivo, in quanto basato sulla diretta correlazione fra quanto versato da ciascun contribuente e quanto sarà dallo stesso percepito, causando una notevole riduzione dell'assegno pensionistico.”
T.A.R. Lazio Roma Sez. I quater, Sent., (ud. 21/05/2024) 13-09-2024, n. 16369
Fatto Diritto P.Q.M.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Prima Quater)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 7018 del 2021, proposto dai signori OMISSIS ed altri, rappresentati e difesi dall'avvocato;
contro
Ministero della Giustizia, Ministero dell'Interno, Ministero dell'Economia e delle Finanze, Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento per la Funzione Pubblica, in persona dei legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12; Inps, Inps-Direzione Regione Lazio, Ministero per la Pubblica Amministrazione-Presidenza del Consiglio dei Ministri, in persona dei legali rappresentanti pro tempore, non costituiti in giudizio;
per l'accertamento
del diritto dei ricorrenti al risarcimento dei danni e per la condanna dei resistenti alla liquidazione del quantum debeatur dovuto, nella misura che verrà ritenuta equa e di giustizia, per la mancata attivazione della previdenza integrativa, così come prevista dall''art. 26, comma 20 della L. n. 448 del 1998 e dal D.Lgs. n. 195 del 1995.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero della Giustizia, del Ministero dell'Interno, del Ministero dell'Economia e delle Finanze e della Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento per la Funzione Pubblica;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 21 maggio 2024 il Cons. Mariangela Caminiti e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Svolgimento del processo
1.Il sig. OMISSIS e gli altri soggetti indicati in epigrafe - dipendenti ovvero ex dipendenti del Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco e della Polizia Penitenziaria - riferiscono di essere stati assunti successivamente al 31 dicembre 1995 o che, a quella data, avevano maturato un'anzianità di servizio inferiore a 18 anni - e di essere, pertanto, soggetti alla L. 8 agosto 1995, n. 335, di "Riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare" (c.d. riforma Dini), introduttiva del sistema di calcolo contributivo, meno favorevole rispetto al precedente sistema di calcolo retributivo, in quanto basato sulla diretta correlazione fra quanto versato da ciascun contribuente e quanto sarà dallo stesso percepito, causando una notevole riduzione dell'assegno pensionistico.
Espongono che, al fine di ridimensionare tale pregiudizio economico, sono state previste forme pensionistiche integrative per i dipendenti pubblici, in particolare con la L. 23 dicembre 1998, n. 448, recante "Misure di finanza pubblica per la stabilizzazione e lo sviluppo", che , all'art.26, comma 20, ha stabilito che "le procedure di negoziazione e di concertazione previste dal D.Lgs. 12 maggio 1995, n. 195, potranno definire, per il personale ivi contemplato, la disciplina del trattamento di fine rapporto ai sensi dell'articolo 2, commi da 5 a 8, della L. 8 agosto 1995, n. 335, e successive modificazioni, nonché l'istituzione di forme pensionistiche complementari, di cui all'articolo 3 del D.Lgs. 21 aprile 1993, n. 124, e successive modificazioni".
Lamentano che le amministrazioni datrici di lavoro non avrebbero avviato tempestivamente le procedure di negoziazione e di concertazione previste, non consentendo loro la possibile adesione alle forme di previdenza complementare, con conseguente impossibilita` per i dipendenti pubblici appartenenti al comparto difesa e sicurezza e a quello del soccorso pubblico di incrementare il proprio trattamento pensionistico.
Pertanto hanno proposto il ricorso in esame, notificato il 9/07/2021 e depositato il successivo 10/07/2021, ed hanno chiesto l'accertamento del loro diritto al risarcimento dei danni, nonché la condanna delle amministrazioni intimate alla liquidazione del quantum debeatur, nella misura ritenuta equa e giusta dal Tribunale, per la mancata attivazione della previdenza integrativa prevista dalle suddette norme ed hanno allegato al ricorso il seguente motivo di gravame: "Violazione e falsa applicazione di legge ex art. 26, comma 20, L. n. 448 del 1998, D.Lgs. n. 252 del 2005 art. 3, comma 2, per mancata attuazione della previdenza complementare, con conseguente diritto al risarcimento dei danni in favore dei ricorrenti": la rilevante lesione cagionata ai ricorrenti dalla mancata attivazione del sistema di previdenza complementare si ripercuoterebbe direttamente sulle garanzie sancite dall'art. 38 Cost., come emergente dall'art. 1, della L. 8 agosto 1995, n. 335, applicativo della predetta norma costituzionale, la cui ratio sarebbe quella di elidere gli effetti svantaggiosi del nuovo meccanismo di calcolo pensionistico. In tale ottica sarebbero state previste procedure di negoziazione o concertazione del trattamento di fine rapporto e della previdenza complementare, c.d. "secondo pilastro" del sistema pensionistico ex art. 26, comma 20, della L. 23 dicembre 1998, n. 448 e art.3, comma 2, del D.Lgs. 5 dicembre 2005, n. 252, da aggiungere alla previdenza di base obbligatoria, denominata "primo pilastro", in modo tale da concorrere ad assicurare al lavoratore, pro futuro, più elevati livelli di copertura previdenziali. In altri termini, la prestazione pensionistica costituente il "secondo pilastro" sarebbe complementare rispetto a quella obbligatoria posta a carico dello Stato e, dunque, si tratterebbe di una prestazione, seppur collegata, sostanzialmente distinta da quest'ultima, essendo rimessa alla determinazione negoziale in una logica di composizione degli interessi contrapposti delle parti del rapporto di impiego.
Le pubbliche amministrazioni intimate sarebbero incorse nella violazione dell'art.26, comma 20 della L. n. 448 del 1998 e dell'art.3 comma 2, del D.Lgs. n. 252 del 2005, con conseguente diritto dei ricorrenti al risarcimento dei danni conseguenti all'inerzia delle medesime al riguardo; per tali ragioni, i ricorrenti hanno chiesto l'accertamento delle responsabilità delle amministrazioni intimate per il mancato tempestivo avvio delle procedure in esame, in quanto agli appartenenti al comparto difesa, sicurezza e soccorso pubblico, non sarebbe stata consentita l'adesione a forme di previdenza complementare, con la conseguente impossibilità di incrementare il proprio trattamento pensionistico.
Lo strumento per compensare le ripercussioni negative economiche subite dai ricorrenti sarebbe l'azione risarcitoria, in cui sia il petitum che la causa petendi troverebbero la loro giustificazione in un inadempimento contrattuale, al di fuori così della materia strettamente pensionistica e, dunque, involgendo il rapporto di impiego. La giurisdizione, pertanto, non apparterrebbe alla Corte dei conti, ma al giudice del rapporto di lavoro che, nella fattispecie in esame, sarebbe il Tribunale amministrativo, rientrando il rapporto di impiego dei ricorrenti nel regime di diritto pubblico non contrattualizzato. Nel caso in esame, inoltre, l'autorità giudiziaria sarebbe chiamata ad accertare il diritto al risarcimento del danno, per la mancata attuazione della previdenza complementare, in relazione a ciascuno dei lavoratori, con la conseguente legittimazione processuale appartenente a questi ultimi, e non alle organizzazioni sindacali, le quali, sebbene costituiscano parte delle procedure negoziali, non sarebbero legittimate a chiedere ed ottenere il risarcimento spettante ai ricorrenti dipendenti.
2.Le amministrazioni intimate si sono costituite in giudizio in resistenza con comparsa di stile. 3.Previa istanza di prelievo, con ordinanza presidenziale n.806/2024 sono stati disposti incombenti istruttori, ordinando alle amministrazioni intimate, ai sensi dell'art. 2, comma 2, c.p.a., il deposito di una dettagliata relazione sulla vicenda dedotta in contenzioso, nonché di ogni altro atto e/o documentato chiarimento ritenuto utile ai fini del presente giudizio.
4. In adempimento alla suddetta ordinanza, il Ministero della giustizia resistente ha depositato articolata relazione del Dipartimento dell'Amministrazione penitenziaria competente con cui è stata esclusa la legittimazione ad agire dei singoli dipendenti nel procedimento per l'accertamento dell'obbligo di provvedere all'attuazione della previdenza complementare. I dipendenti pubblici destinatari dell'attività contrattuale collettiva o del decreto presidenziale di recepimento degli esiti della procedura di concertazione sarebbero, infatti, titolari di un interesse indiretto e riflesso e non di un interesse concreto, attuale e direttamente tutelabile in ordine all'avvio e alla conclusione dei procedimenti negoziali di cui è causa che, invece, dovrebbe ritenersi appartenente ex lege in via esclusiva alle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative e ai Comitati centrali di rappresentanza, quali organismi esponenziali di interessi collettivi, chiamati entrambi a partecipare ai predetti procedimenti negoziali; ciò in ragione della natura normativa dell'atto conclusivo, destinato a disciplinare una serie indeterminata di rapporti di pubblico impiego. Dalla configurazione normativa secondo cui i singoli dipendenti sarebbero privi di legittimazione ad agire deriverebbe, altresì, l'infondatezza nel merito dell'azione proposta avverso il silenzio, non sussistendo, nel caso in esame, un preciso obbligo di provvedere e un termine per individuare il ritardo nell'adempimento in capo alle amministrazioni intimate; il sistema della previdenza complementare, infatti, sarebbe stato integralmente rimesso alle procedure di negoziazione e di concertazione, con la conseguenza che le amministrazioni non avrebbero alcun autonomo obbligo di provvedere, non potendo disciplinare unilateralmente la materia; né sarebbero previsti termini nei quali debba essere data attuazione alla previdenza integrativa. La non configurabilità della responsabilità amministrativa da ritardo determinerebbe, infine, l'infondatezza della pretesa risarcitoria avanzata dai singoli dipendenti a fronte del pregiudizio lamentato per effetto della mancata attuazione del sistema integrativo previdenziale, mancando la prova del presupposto soggettivo minimo della colpa, della sussistenza del nesso di causalità tra il comportamento amministrativo e i danni dedotti e dell'esistenza ed entità del danno. Parte resistente, pertanto, ha chiesto la dichiarazione di inammissibilità e/o infondatezza del ricorso con la contestuale condanna dei ricorrenti ai sensi dell'art. 96 c.p.c.
All'udienza pubblica del 21 maggio 2024, previe note di udienza di parte ricorrente per il passaggio in decisione, la causa è stata trattenuta per essere decisa.
Motivi della decisione
1.Il ricorso è inammissibile per difetto di legittimazione attiva dei ricorrenti, in disparte la insussistenza dei presupposti per la proposizione del ricorso collettivo.
1.1. Con un unico articolato motivo di gravame i ricorrenti lamentano, nella sostanza, la violazione e la falsa applicazione dell'art.26, comma 20, della L. 23 dicembre 1998, n. 448 e dell'art.3, comma 2, del D.Lgs. 5 dicembre 2005, n. 252, per mancata attuazione della previdenza complementare, con conseguente diritto al risarcimento del danno consistente nella liquidazione del quantum debeatur dovuto, nella misura ritenuta equa.
In forza della prima delle suddette norme, si osserva che il legislatore ha stabilito "ai fini dell'armonizzazione al regime generale del trattamento di fine rapporto e dell'istituzione di forme di previdenza complementare dei dipendenti pubblici, le procedure di negoziazione e di concertazione previste dal D.Lgs. 12 maggio 1995, n. 195, potranno definire, per il personale ivi contemplato, la disciplina del trattamento di fine rapporto ai sensi dell'articolo 2, commi da 5 a 8, della L. 8 agosto 1995, n. 335, e successive modificazioni, nonché l'istituzione di forme pensionistiche complementari, di cui all'articolo 3 del D.Lgs. 21 aprile 1993, n. 124, e successive modificazioni. Per la prima applicazione di quanto previsto nel periodo precedente saranno attivate le procedure di negoziazione e di concertazione in deroga a quanto stabilito dall'articolo 7, comma 1, del citato D.Lgs. n. 195 del 1995".
Il successivo art. 3, comma 2, del D.Lgs. 5 dicembre 2005, n. 252 ha previsto che "per il personale dipendente dalle amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, del D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, le forme pensionistiche complementari possono essere istituite mediante i contratti collettivi di cui al titolo III del medesimo decreto legislativo. Per il personale dipendente di cui all'articolo 3, comma 1, del medesimo decreto legislativo, le forme pensionistiche complementari possono essere istituite secondo le norme dei rispettivi ordinamenti ovvero, in mancanza, mediante accordi tra i dipendenti stessi promossi da loro associazioni".
Dal tenore letterale delle disposizioni in esame si evince che la materia della previdenza complementare è attribuita alla contrattazione e alla concertazione sindacale: essa, pertanto, è sottratta alle posizioni soggettive dei singoli dipendenti, i quali non possono intraprendere autonome azioni per la tutela di posizioni affidate alla contrattazione collettiva.
A sostegno della suddetta considerazione si pongono altresì i principi generali in tema di legittimazione ad agire e di interesse al ricorso, requisiti rientranti nel novero delle condizioni dell'azione.
In generale va rilevato che la legittimazione ad agire si sostanzia nella titolarità del diritto di agire in giudizio e trova il suo fondamento normativo negli artt. 24 Cost. e 2907 c.c., pertanto, spetta a chiunque faccia valere nel processo un diritto assumendo di esserne titolare: in forza dell'art. 81 c.p.c., infatti, l'istituto della sostituzione processuale, ossia la possibilità di far valere nel giudizio in nome proprio un diritto altrui, è tipico, tassativo ed eccezionale, non essendo ammissibile al di fuori delle ipotesi espressamente previste dalla legge. Sotto tale profilo, dunque, l'analisi del giudice si sostanzia nella valutazione astratta della titolarità dell'azione.
L'interesse al ricorso, invece, da un lato, implica la sussistenza di un pregiudizio diretto, attuale e concreto derivante alla parte dagli atti impugnati e, dall'altro, postula l'esistenza di un'utilità che la parte ricorrente potrebbe ricavare dall'eventuale accoglimento della domanda. Nella fattispecie in esame l'atto conclusivo del procedimento, di cui i ricorrenti lamentano la mancata attuazione, ha natura normativa, in quanto è volto a disciplinare una serie indeterminata di rapporti di pubblico impiego.
Ne deriva che i dipendenti non sono portatori di un interesse concreto, attuale e direttamente tutelabile in ordine all'avvio e alla conclusione delle procedure negoziali inerenti alla previdenza complementare, ma sono titolari di un interesse meramente indiretto e riflesso in relazione all'entrata in vigore di tale ultimo regime, in quanto potenziali destinatari delle misure da adottarsi all'esito del procedimento di concertazione.
I suddetti soggetti, pertanto, non sono titolari del diritto di agire in giudizio anche in considerazione del fatto che non sussiste alcuna norma di legge che conferisca loro la facoltà di far valere nel processo in nome proprio un diritto altrui ex art. 81 c.p.c.
A sostegno delle suesposte considerazioni milita la giurisprudenza di questo Tribunale, secondo cui "(...) i dipendenti pubblici destinatari dell'attività contrattuale collettiva e del decreto presidenziale di recepimento degli esiti della procedura di concertazione sono titolari di un interesse "finale" e del tutto indiretto e riflesso, e non già di un interesse concreto, attuale e direttamente tutelabile in ordine all'avvio ed alla conclusione dei procedimenti negoziali di cui all'art. 67, D.P.R. 16 marzo 1999, n. 254, che appartiene esclusivamente alle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative (quanto alle forze di polizia ad ordinamento civile) e ai comitati centrali di rappresentanza, sempre quali organismi esponenziali di interessi collettivi (quanto alle forze di polizia ad ordinamento militare e al personale delle forze armate), chiamate a partecipare ai predetti procedimenti" (cfr. Tar Lazio, Roma, sez. I Stralcio, 1 febbraio 2021, n.1292; id, sez. I Bis, 25 marzo 2022, n. 3405); e inoltre "I dipendenti sono portatori di un interesse soltanto indiretto, in relazione all'effettiva entrata in vigore del nuovo regime previdenziale, in quanto potenziali destinatari delle misure da adottarsi anche all'esito del procedimento di concertazione di cui si lamenta la mancata attuazione, in ragione della natura normativa dell'atto conclusivo, destinato a disciplinare una serie indeterminata di rapporti di pubblico impiego. Non sono, diversamente, legittimati a partecipare al relativo procedimento, non essendo titolari in proposito di un interesse personale, concreto ed attuale, specificamente tutelato dalla norma attributiva del potere con la previsione di un correlato obbligo di provvedere in capo alle Amministrazioni competenti" (cfr. Tar Lazio, Roma, sez. IV, 19 maggio 2022, n.6488). Di conseguenza, si è ritenuto "(...) inammissibile, per difetto di legittimazione attiva dei ricorrenti, il ricorso avverso il silenzio - inadempimento serbato dal Governo della Repubblica circa la previsione legislativa dettata dalla L. 8 agosto 1995, n. 335 sulla previdenza complementare da attuarsi attraverso i cd. "Fondi pensione" relativamente al personale del pubblico impiego (cfr. Tar Lazio, Roma, n. 1292 del 2021, cit.).
Anche la giurisprudenza del Consiglio di Stato è saldamente orientata nel senso che "(...) i dipendenti sono portatori di un interesse soltanto indiretto in relazione all'effettiva entrata in vigore del nuovo regime previdenziale, in quanto potenziale destinatario delle misure da adottarsi anche all'esito del procedimento di concertazione di cui si lamenta la mancata attuazione; ciò in ragione della natura normativa dell'atto conclusivo, destinato a disciplinare una serie indeterminata di rapporti di pubblico impiego; ma non sono legittimati a partecipare al relativo procedimento, non essendo titolari in proposito di un interesse personale, concreto ed attuale, specificamente tutelato dalla norma attributiva del potere con la previsione di un correlato obbligo di provvedere in capo alle Amministrazioni competenti (Cons. Stato Sez. IV, 4 febbraio 2014, n. 502; n. 503, n. 504; 24 ottobre 2011, n. 5697; n. 5698)" (cfr. Cons. Stato, sez. II, 20 dicembre 2021, n. 8440; id., 8 aprile 2022, n.2593; id., 9 dicembre 2022, n.10803).
2.Con specifico riguardo alle domande volte a ottenere il risarcimento del danno derivante dal mancato compimento delle attività necessarie all'attuazione della previdenza complementare, la giurisprudenza ha poi affermato che "(...) il sistema della previdenza complementare è stato integralmente rimesso alle procedure di negoziazione e di concertazione, con la conseguenza che le Amministrazioni (...) non hanno alcun autonomo obbligo di provvedere, non potendo unilateralmente disciplinare la materia né, peraltro, sono previsti termini nei quali debba essere data attuazione alla detta previdenza complementare; con conseguente infondatezza della domanda per l'accertamento dell'obbligo di provvedere e di conseguenza della domanda risarcitoria, non sussistendo alcun ritardo dell'Amministrazione convenuta e non avendo i dipendenti alcuna posizione immediatamente tutelabile nei confronti dell'Amministrazione, ma rimanendo l'intera disciplina attribuita all'attività negoziale nell'ambito della rappresentanza sindacale" (cfr. Cons. Stato, n. 2593 del 2022, cit.; da ultimo, Tar Lazio, Roma, sez. I bis, 6 maggio 2024, n. 9000).
Conclusioni, queste, da ritenere pienamente estensibili alla presente controversia, avente ad oggetto la proposizione di un'analoga domanda risarcitoria che va dichiarata anch'essa, quindi, inammissibile.
3. In definitiva, per le ragioni sin qui esposte, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
Le spese del giudizio possono compensarsi tra le parti avuto riguardo alla particolarità della materia controversa.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Quater), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo dichiara inammissibile.
Spese del giudizio compensate tra le parti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 21 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati:
Concetta Anastasi, Presidente
Mariangela Caminiti, Consigliere, Estensore
Caterina Lauro, Referendario
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