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venerdì 17 gennaio 2014

TAR: ..I ricorrenti, premesso di appartenere al "vecchio" ruolo Sottufficiali dell'Arma dei Carabinieri , già inquadrati nel ruolo sottufficiali (con il grado di vice brigadiere, brigadiere, maresciallo ordinario o maresciallo capo) e successivamente reinquadrati ai sensi del D.Lgs. 12 maggio 1995, n. 198 (Attuazione dell'art. 3 L. 6 marzo 1992, n. 216, in materia di riordino dei ruoli e modifica delle norme di reclutamento, stato ed avanzamento del personale non direttivo)..





CARABINIERI   -   FORZE ARMATE
T.A.R. Lazio Roma Sez. I bis, Sent., 12-11-2013, n. 9623
CARABINIERI

FORZE ARMATE
Promozioni


Fatto Diritto P.Q.M.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Prima Bis)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 6009 del 2005, proposto da:
-
contro
Presidenza del Consiglio Dei Ministri, Ministero della Difesa, Ministero dell'Interno, Comando Generale Arma dei Carabinieri;
per l'accertamento del diritto
dei ricorrenti ad essere reinquadrati, secondo criteri, termine e modalità previsti dal D.Lgs. n. 197 del 1995, nel "nuovo" ruolo Ispettori corrispondente a quello previsto nella Polizia di Stato;
- nonché per la declaratoria del diritto degli stessi alla progressione di carriera nell'ambito del "nuovo" ruolo secondo criteri, termine e modalità previsti dal D.Lgs. n. 197 del 1995;
nonché per la condanna dell'Amministrazione
alla ricostruzione di carriera, alla corresponsione dei relativi emolumenti ed accessori vari, dalla data del primo re inquadramento;
per l'annullamento e/o disapplicazione
di tutti gli atti a ciò ostativi, in particolare delle leggi, decreti ministeriali, circolari, decreti di inquadramento e nomina e tutti gli altri provvedimenti presupposti, connessi e/o consequenziali comunque lesivi dei loro diritti;
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 16 luglio 2013 il dott. Floriana Rizzetto e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Svolgimento del processo
I ricorrenti, premesso di appartenere al "vecchio" ruolo Sottufficiali dell'Arma dei Carabinieri , già inquadrati nel ruolo sottufficiali (con il grado di vice brigadiere, brigadiere, maresciallo ordinario o maresciallo capo) e successivamente reinquadrati ai sensi del D.Lgs. 12 maggio 1995, n. 198 (Attuazione dell'art. 3 L. 6 marzo 1992, n. 216, in materia di riordino dei ruoli e modifica delle norme di reclutamento, stato ed avanzamento del personale non direttivo), agiscono in giudizio per ottenere la declaratoria del diritto "per effetto del D.L. n. 5 del 1992 convertito nella L. n. 216 del 1992" ad essere reinquadrati, in sede di riordino delle carriere (ruoli), secondo i criteri, i termini e le modalità previste dal D.Lgs. n. 197 del 1995, nei gradi del "nuovo" ruolo Ispettori dell'Arma dei Carabinieri corrispondente a quello previsto nella Polizia di Stato, nonché del diritto degli stessi alla progressione di carriera nell'ambito del "nuovo" ruolo secondo criteri, termine e modalità previsti dal d.lvo precisato con conseguente condanna dell'Amministrazione alla ricostruzione di carriera ed alla corresponsione dei relativi emolumenti ed accessori vari, dalla data del primo re-inquadramento. A tal fine essi chiedono l'annullamento e/o la disapplicazione di tutti gli atti a ciò ostativi, in particolare delle leggi, decreti ministeriali, circolari, decreti di inquadramento e nomina e tutti gli altri provvedimenti presupposti, connessi e/o consequenziali comunque lesivi dei loro diritti; previa remissione alla Corte Costituzionale della questione di legittimità costituzionale del D.Lgs. n. 198 del 1995 per contrasto con gli artt. 3, 76 e 97 della Costituzione, in considerazione della mancata equiparazione dei Sottufficiali dell'Arma dei Carabinieri agli Ispettori della Polizia di Stato per quanto riguarda inquadramento, avanzamenti di carriera e trattamento economico.
Detti ricorrenti, premesso un riepilogo dell'evoluzione normativa, e richiamati, in particolare i principi della legge delega 6 marzo 1992, n. 216, ritengono che il relativo D.Lgs. di attuazione 12 maggio 1995, n. 198 - con il quale, in attuazione dell'art. 3 della L. n. 216 del 1992 cit., il Legislatore ha provveduto in materia di riordino dei ruoli, stato e avanzamento del personale non direttivo e non dirigente dell'Arma dei Carabinieri - abbia introdotto un regime ingiustificatamente sfavorevole, sotto tutti i profili del rapporto, rispetto a quello dettato per le analoghe figure professionali della Polizia di Stato dal D.Lgs. di attuazione 12 maggio 1995, n. 197, disciplina, quest'ultima, della quale reclamano l'estensione nei propri confronti.
L'Amministrazione si è costituita in giudizio con memoria di stile.
All'udienza pubblica del 16.7.2013 la causa è trattenuta in decisione.
Motivi della decisione
Il ricorso ripropone all'esame del Collegio questioni già ripetutamente affrontate dalla giurisprudenza costituzionale nonché amministrativa, anche di questo TAR.
Di recente, con sentenza del 21.9.2012 n. 7983, la Sezione ha ribadito la manifesta infondatezza della questione di illegittimità costituzionale degli artt. 12, 13, 14, 15 del D.Lgs. n. 198 del 1995, per contrasto con gli artt. 3, 1 c., 36, 1 c., parte prima, e 97 della Costituzione, nella parte in cui non prevedono l'equiparazione degli Ispettori dell'Arma dei Carabinieri agli Ispettori della Polizia di Stato alla luce dei principi ripetutamente sanciti dalla Corte costituzionale, e recepiti dalla Sezione (TAR Lazio, sez. I bis n. 21 ottobre 2010 n. 32934); precedenti ai quali il Collegio fa riferimento, condividendone pienamente argomentazioni e conclusioni.
La Corte costituzionale, con sentenza n. 63 del 1998, pronunciando in una serie di giudizi in cui erano stati proposti profili riguardanti la posizione del personale proveniente dal ruolo ispettori rispetto a chi rivestiva la qualifica di sovrintendente e di vice sovrintendente, ha dichiarato l'infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale sollevate in riferimento all'art. 3 del D.L. 7 gennaio 1992, n. 5, convertito, con modificazioni, nella L. 6 marzo 1992, n. 216, chiarendo l'evoluzione legislativa successiva alla riforma della polizia del 1981 (caratterizzata dall'inizio della unificazione del trattamento economico per le Forze di polizia mediante estensione di quello previsto per la Polizia di Stato: art. 42 della L. n. 121 del 1981) ed individuando i contenuti della delega del suddetto art. 3. In particolare è stato affermato, con la citata sentenza n. 63 del 1998, che l'art. 3 del D.L. 7 gennaio 1992, n. 5, convertito con modificazioni nella L. 6 marzo 1992, n. 216 è una tipica misura di perequazione del trattamento economico (oltre che del connesso regime ordinamentale) che rientra nella discrezionalità legislativa, fermo il limite generale per ogni intervento normativo della ragionevolezza, come svolgimento dell'art. 3 della Costituzione. Tale discrezionalità - prosegue l'alta Corte - ricomprende tanto la differenziazione del trattamento economico di categorie prima egualmente retribuite, che non incorre di per sé in violazione dei precetti costituzionali di cui agli artt. 3 e 36 (sentenza C. cost. n. 133 del 1985), quanto la possibilità che nell'ambito del pubblico impiego siano attribuite voci retributive o indennità particolari in maniera uniforme per personale appartenente a figure e livelli differenti; ciò, ovviamente, se non vi siano appiattimenti retributivi (sentenza C. cost. n. 65 del 1997) o non si verifichino altre forme sintomatiche di palese arbitrarietà o di manifesta non ragionevolezza (sentenze C.cost. n. 133 del 1996 e n. 217 del 1977). Il legislatore - si legge nelle pronunce testé citate - può modificare nel numero (in riduzione o in aumento) i livelli retributivi, così come può procedere a riunificazioni di trattamenti economici, ampliando l'ambito dei livelli, fermo il limite della non palese arbitrarietà e della non manifesta irragionevolezza (sentenza n. 63 del 1998 cit.). La delega contenuta nell'art. 3 della L. n. 216 del 1992, da esercitarsi con più decreti legislativi sulla base di unici criteri direttivi (diversi da quelli di cui all'art. 2) riguardava "le necessarie modifiche degli ordinamenti del personale" delle forze di polizia e delle forze armate, esclusi dirigenti e direttivi, "per il riordino delle carriere, delle attribuzioni e dei trattamenti economici, allo scopo di conseguire una disciplina omogenea, fermi restando i rispettivi compiti istituzionali, le norme fondamentali di stato, nonché le attribuzioni delle autorità di pubblica sicurezza, previsti dalle vigenti disposizioni di legge". Inoltre, per le anzidette finalità, era espressamente contemplato che i decreti legislativi potessero "prevedere che la sostanziale equiordinazione dei compiti e dei connessi trattamenti economici sia conseguita attraverso la revisione di ruoli, gradi e qualifiche e, ove occorra, anche mediante la soppressione di qualifiche o gradi, ovvero mediante l'istituzione di nuovi ruoli, qualifiche o gradi con determinazione delle relative dotazioni organiche, ferme restando le dotazioni organiche complessive previste" con le occorrenti disposizioni transitorie (art. 3, comma 3, della L. n. 216 del 1992; ordinanza n. 151 del 1999).
Con la più volte citata sentenza n. 63 del 1998, la Corte costituzionale ha escluso che il cambiamento verso l'alto di un livello retributivo tabellare di una categoria di personale dipendente della pubblica amministrazione debba, in ogni caso, comportare la necessità di innalzare i livelli superiori, in modo da esigere l'ulteriore avanzamento di un "gradino" di coloro che erano in precedenza in posizione sovraordinata, potendo i livelli retributivi essere modificati nel numero (in riduzione o in aumento), così come può pervenirsi a riunificazioni di trattamenti economici, ampliando l'ambito dei livelli, ciò naturalmente fermo il limite della non palese arbitrarietà e della non manifesta irragionevolezza. Del resto l'innalzamento in base a legge di un livello retributivo con accorpamento a livello superiore di intere qualifiche non comporta un meccanismo di promozioni con le relative garanzie procedimentali amministrative.
Gli stessi principi, a maggior ragione, possono essere integralmente applicati quando si proceda a modifiche (con operazioni di accorpamento verso l'alto) di qualifiche funzionali o gradi o di posizioni speciali, specialmente in sede di riassetto degli ordinamenti in un disegno di omogeneizzazione di carriere, attribuzioni e trattamenti economici, e di sostanziale equiordinazione dei compiti, raggiungibile anche attraverso modifiche degli ordinamenti e dei ruoli con le occorrenti disposizioni transitorie relative agli inquadramenti.
Del resto, la legge di delega (art. 3 della L. n. 216 del 1992) prevedeva un'ampiezza di interventi sugli ordinamenti - allo scopo di conseguire una disciplina "omogenea" e di raggiungere una "equiordinazione" di compiti e connessi trattamenti economici - per il riordino delle carriere, delle attribuzioni e dei trattamenti economici, con previsione espressa della revisione di ruoli, gradi e qualifiche fino alla soppressione di qualifiche e gradi; di qui - conclude il giudice delle leggi - la piena legittimità della scelta discrezionale del legislatore delegato, che si è attenuto ai criteri e principi direttivi citati. La scelta legislativa di soppressione di gradi e qualifiche o posizioni speciali o comunque di accorpamento di posizioni in precedenza differenziate, proprio perché procedeva alla eliminazione di particolari previsioni non rispondenti alla esigenza di comparabilità ed equiordinazione dei gradi e delle qualifiche e posizioni (e del connesso trattamento economico) di tutte le forze di polizia, doveva comportare la parificazione di livelli per soggetti appartenenti alle precedenti differenti posizioni riunificate, con il consueto limite della non palese arbitrarietà e della non manifesta irragionevolezza, e quindi con esclusione di situazioni di sostanziale scavalcamento.
In sostanza, in operazioni di revisione ordinamentale i benefici conseguiti da singole categorie o livelli di personale non debbono essere necessariamente identici o equivalenti a quelli dell'altro personale non appartenente alla stessa categoria o livello, ma dipendono, come nella specie, dalle esigenze di riassetto organizzativo e di omogeneizzazione tra le varie forze di polizia e forze armate, con il limite inderogabile della esclusione di scavalcamenti retributivi o di trattamenti discriminanti rispetto a precedente identità di compiti e trattamento economico (identità di posizioni retributive e funzionali).
Tali ipotesi non furono ritenute sussistenti né nelle fattispecie allora sottoposte all'esame della Corte (sentenza n. 63/98 concernente la questione di legittimità costituzionale del D.Lgs. 12 maggio 1995, n. 198 nella parte disciplinante la posizione del personale proveniente dal ruolo ispettori rispetto a chi rivestiva la qualifica di sovrintendente e di vice sovrintendente) né in quelle su cui era stata chiamata a pronunciarsi successivamente. In particolare, con l'ordinanza n. 189 del 25.5.1999, la Consulta, investita della questione di legittimità dell'art. 46 con riferimento agli art. 3 e 97 cost. dal Tribunale amministrativo regionale della Lombardia - che prospettava la violazione dei principi di ragionevolezza, buon andamento ed imparzialità assumendo la sussistenza di un limite alla discrezionalità del legislatore nello scegliere i sistemi di progressione di carriera, costituito dai principi secondo i quali l'attività pregressa, l'anzianità maturata ed il grado acquisito devono essere congruamente e razionalmente valutati ("affinché non appaia arbitraria la collocazione in uno stesso grado di dipendenti che, in precedenza, erano collocati sia sotto il profilo gerarchico che professionale in posizione subordinata") - ha dissipato ogni dubbio ed ha dichiarato manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli art. 3, 36 e 97 cost., dell'art. 46 D.Lgs. 12 maggio 1995,. n. 198 nella parte in cui hanno realizzato un accorpamento in un medesimo grado -maresciallo aiutante-sostituto ufficiale di P.S.- di gradi che in precedenza rivestivano una posizione "subordinata", rispettivamente, di maresciallo maggiore aiutante e maresciallo capo.
Tale orientamento è stato recepito dal giudice d'appello in ripetute pronunce concernenti l'analoga problematica dell'inquadramento degli appuntati scelti U.P.G. dell'Arma dei C.C. nel ruolo dei sovrintendenti, anziché in quello degli ispettori previsto dall'art. 47, D.Lgs. n. 198 del 1995 che hanno ribadito, sotto diverso profilo, i principi sopra richiamati (Cons. Stato, Sez. IV, 17 giugno 2003 n. 3417). Il Supremo Consesso ha ritenuto manifestamente infondata la questione di legittimità dell'art. 46 del d.vo 198/95 relativamente al differente trattamento giuridico ed economico del personale delle Forze di polizia, anche ad ordinamento militare, e fra queste ultime ed il personale delle Forze armate (cfr. da ultimo Cons. Stato, sez. IV, 15 dicembre 2000, n. 6674; Corte cost. 17 luglio 2000, n. 296; 9 luglio 1996, n. 241; Cons. Stato, sez. IV, 24 febbraio 2000, n. 973; sez. III, 30 giugno 1999, n. 329\99; sez. IV, 24 febbraio 1997, n. 137; Corte dei Conti, sez. contr. Stato, 24 aprile 1998, n. 35). Ed a tal fine il Consiglio di Stato ha ricordato che, secondo quella giurisprudenza, le modifiche all'assetto organizzatorio della pubblica amministrazione, ivi comprese quelle dettate in via transitoria, rientrano nella sfera di discrezionalità riservata al legislatore, specie se afferenti all'organizzazione ed all'inquadramento del personale delle Forze armate e di polizia, che trova limiti solo nell'arbitrarietà o nella manifesta irragionevolezza, che non sono stati ritenuti superati nel caso di specie. Le conclusioni della Corte, concernenti l'inquadramento degli ex appuntati, hanno portata generale in quanto si fondano sulla considerazione che nessuna norma dell'ordinamento ha inteso perseguire un'assoluta identità di posizioni e trattamenti all'interno delle medesime Forze di polizia - ad ordinamento civile o militare - e fra queste ultime ed il personale delle Forze armate e comunque le diversità insite in ciascun Corpo di Polizia o Forza armata rendono le posizioni dei loro componenti non comparabili, si che la scelta compiuta dal legislatore con la norma censurata non poteva ritenersi palesemente arbitraria.
Seguendo la medesima impostazione ermeneutica il Supremo Consesso ha ritenuto manifestamente infondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 15, comma 3, D.Lgs. n. 197 del 1995, nella parte in cui dispone l'inquadramento dei sovrintendenti capo della Polizia di Stato, in servizio all'entrata in vigore del decreto, nella qualifica di ispettore capo del ruolo ad esaurimento, sotto il profilo della violazione del principio di equiparazione tra la qualifica di sovrintendente della P.S. e quella di maresciallo dell'Arma dei C.C. (Cons. st., sez. IV, 18 febbraio 2003, n. 885) ed ha escluso che sia configurabile, sulla scorta degli artt. 3 e 4, D.L. n. 5 del 1992, convertito in L. n. 216 del 1992, il diritto dei vicebrigadieri della Guardia di finanza dal 1 gennaio 1987 al 1 settembre 1995 al trattamento economico spettante ai sovrintendenti della P.S. (Cons.St., sez. IV, 2 marzo 2001, n. 1154).
Il Collegio, sulla scorta dei principi affermati dalla Corte costituzionale e dal Consiglio di Stato e richiamati nella propria sentenza del 21.9.2012 n. 7983, non può che ribadire, anche in quest'occasione, che le modifiche all'assetto organizzatorio della pubblica amministrazione, ivi comprese quelle dettate in via transitoria, rientrano nella sfera di discrezionalità riservata al legislatore, specie se afferenti all'organizzazione ed all'inquadramento del personale delle Forze armate e di polizia, che trova limiti solo nell'arbitrarietà o nella manifesta irragionevolezza, che non si possono ritenere superati solo per il fatto che residuino differenze di trattamento giuridico o economico tra il personale delle diverse Forze di polizia - ad ordinamento civile o militare - oppure fra queste ed il personale delle Forze armate, in quanto la legge delegata non impone una totale identità di trattamento dato che in tal caso non avrebbe avuto senso la delega che, invece, presuppone proprio la diversità delle funzioni insite in ciascun Corpo di Polizia o Forza armata, anche tra pari grado, che rendono le posizioni dei loro componenti non comparabili; sicchè va anche in questa sede ribadito che la scelta legislativa operata con le norme censurate non può ritenersi palesemente arbitraria.
Il ricorso va pertanto respinto.
Le spese di giudizio seguono, come di regola, la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Bis) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Condanna i ricorrenti a rifondere alla resistente le spese di giudizio liquidate nella misura di complessive Euro 3.000,00
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 16 luglio 2013 con l'intervento dei magistrati:
Silvio Ignazio Silvestri, Presidente
Francesco Riccio, Consigliere
Floriana Rizzetto, Consigliere, Estensore

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