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domenica 16 aprile 2023

Cassazione 2023- Indennità di espropriazione

 

Cassazione 2023- Indennità di espropriazione



Cass. civ. Sez. I, Ord., (ud. 31/01/2023) 13-04-2023, n. 9871 

REPUBBLICA ITALIANA 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE 

SEZIONE PRIMA CIVILE 

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: 

Dott. BISOGNI Giacinto - Presidente - 

Dott. PARISE Clotilde - Consigliere - 

Dott. MARULLI Marco - Consigliere - 

Dott. IOFRIDA Giulia - rel. Consigliere - 

Dott. TERRUSI Francesco - Consigliere - 

ha pronunciato la seguente: 

ORDINANZA 

sul ricorso n. 27520/2018 proposto da: 

AZIENDA SANITARIA LOCALE (Omissis), elettivamente domiciliato in (Omissis), presso lo studio dell'avvocato FIORENTINO LEOPOLDO rappresentato e difeso dagli avvocati PAOLINO GAETANO, ANNUNZIATA MARIA; 

-ricorrente- 

contro 

x

-controricorrenti- 

nonchè contro 

COMUNE DI (Omissis) -intimato- 

avverso ORDINANZA della CORTE D'APPELLO di (Omissis) n. cronol.2085/2018 depositata il 17/07/2018. 

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 31/01/2023 dal Consigliere GIULIA IOFRIDA. 

Svolgimento del processo 

La Corte d'appello di (Omissis), con ordinanza n. cronol. 2085/2018, pubblicata il 17/7/2018, in controversia, ex artt. 29 D.Lgs. n. 150 del 2011 e 702 bis c.p.c., proposta, in riassunzione (a seguito di declaratoria del difetto di giurisdizione del giudice amministrativo con sentenza n. 134/2016 del TAR Campania), da OMISSIS, + Altri Omessi, per sè e quale procuratore di OMISSIS, nei confronti dell'Azienda Sanitaria locale di (Omissis), in opposizione alla stima dell'indennità offerta dalla ASL di (Omissis), in esecuzione delle sentenze del TAR Campania (Omissis) nn. 223/2004 e 2800/2007 (con le quali erano stati annullati gli atti della procedura ablatoria finalizzata alla realizzazione in (Omissis), loc. (Omissis), del poliambulatorio sanitario su area di proprietà dei suddetti privati), nonchè della sentenza sempre del T.A.R. Campania (Omissis) n. 1066/2012, confermata dal Consiglio di Stato, con sentenza n. 306 del 22.1.2014 (comportante la condanna della ASL, responsabile solidalmente con il Comune di (Omissis) per il risarcimento del danno, alla restituzione dei beni oggetto di illegittima occupazione, secondo le modalità e con gli effetti della ordinaria normativa civilistica, in particolare dell'art. 936 c.c., e l'intimazione alla ASL di valutare se acquisire l'area, corrisposte le somme a titolo di risarcimento/indennizzo, o restituire i beni) e della sentenza del T.A.R. Campania (Omissis) n. 228/2015 (con la quale, nel giudizio di ottemperanza, ex art. 114 c.p.a., erano stati resi chiarimenti sulle modalità esecutive), indennità offerta con delibera del D.G. n. 618/2015, a seguito di esercizio dell'opzione per l'acquisizione retroattiva dei beni al patrimonio indisponibile dell'Ente ai sensi dell'art. 42 bis del D.P.R. n. 327 del 2001, - ha liquidato in favore degli opponenti, all'esito di CTU, complessivi Euro 13.902.996,46, a titolo di pregiudizio patrimoniale e non patrimoniale e di indennizzo per il periodo di occupazione, in rapporto al valore venale dell'intero compendio immobiliare, comprensivo del suolo e della struttura sanitaria, poliambulatorio e antistante viale di collegamento. 

In particolare, i giudici della Corte di merito hanno, in via pregiudiziale, disatteso l'eccezione di inammissibilità del ricorso per intempestiva riassunzione del giudizio dinanzi alla Corte d'appello, a seguito di declinatoria del difetto di giurisdizione pronunciata dal TAR (Omissis) con la sentenza del 2016, atteso che il dimezzamento dei termini processuali di cui all'art. 119, comma 1, lett.f), D.Lgs. n. 104 del 2010, si applica ai soli giudizi impugnatori aventi ad oggetto i provvedimenti relativi alle procedure di occupazione e di espropriazione delle aree destinate all'esecuzione di opere pubbliche o di pubblica utilità, non anche alle controversie concernenti pretese risarcitorie/indennitarie, quale quella in esame; cosicchè, il dies ad quem del termine di tre mesi per la riassunzione, ai sensi dell'art. 59 l.69/2009, spirava in data 21/11/2016 (tre gg. dopo il deposito del ricorso in riassunzione), essendo la sentenza del TAR (Omissis), di declinatoria della giurisdizione, passata in giudicato il 21/7/2016, nell'ordinario termine semestrale previsto dall'art. 92, comma 3, D.Lgs. n. 104 del 2010. Inoltre, ad avviso della Corte di merito, non era applicabile il termine di decadenza di trenta giorni previsto dagli artt. 54 D.P.R. n. 327 DEL 2011 e 29 D.Lgs. n. 150 del 2011, operante solo nei casi di opposizione alla stima definitiva dell'indennità di esproprio, trattandosi di azione volta ad ottenere la corretta determinazione giudiziale dell'indennità ex art. 42 bis D.P.R. n. 327 del 2001, esperibile nell'ordinario termine decennale di prescrizione, con conseguente infondatezza dell'ulteriore eccezione di inammissibilità sollevata dalla ASL. In punto di determinazione del valore venale del bene, la Corte d'appello ha sostenuto che, escluso che si fosse formato un giudicato ostativo sul punto per effetto della sentenza n. 1066/2012 del TAR Campania (Omissis), confermata dal Consiglio di Stato, "non avendo il giudice amministrativo neanche incidentalmente statuito che nella relativa determinazione non dovesse essere compreso il valore degli immobili sovrastanti", l'indennizzo per il pregiudizio patrimoniale, ex art. 42 bis D.P.R. n. 327 del 2001, deve essere determinato in misura corrispondente al valore venale del bene "al momento del trasferimento della sua proprietà", comprensivo non solo del valore del suolo ma anche di quello delle opere eventualmente realizzate, che "in mancanza dell'emanazione di un provvedimento di acquisizione sanante, sarebbero inevitabilmente assoggettate ad accessione a beneficio del proprietario (Consiglio di Stato, 25 ottobre 2016, n. 4457), in ossequio al principio generale sancito dall'art. 936 c.c...."; di conseguenza, i ricorrenti, essendo decaduti dal potere di richiedere la rimozione delle opere realizzate sui propri fondi dalla pubblica amministrazione, "come sancito, con efficacia di giudicato, dal T.A.R. (Omissis) con sentenza n. 1066/2012, confermata dal Consiglio di Stato con decisione n. 306/2014, sono divenuti ope legis proprietari del poliambulatorio e dell'antistante viale di collegamento, sicchè l'emanazione, da parte dell'A.S.L., del provvedimento di acquisizione sanante, id est di un atto avente effetti ablatori, ha comportato il trasferimento del diritto di proprietà sotto la condizione sospensiva del pagamento dell'indennizzo non solo dell'area ma anche dei fabbricati ivi edificati"; peraltro, ove l'amministrazione avesse optato per la restituzione dei beni ai privati e per il risarcimento del danno derivante dalla loro mancata utilizzazione, avrebbe dovuto rimettere loro non solo i fondi illegittimamente occupati ma anche, proprio in ragione dell'operatività del principio dell'accessione, i fabbricati ivi realizzati, con insorgenza del diritto di ottenere dalle controparti il pagamento del valore dei materiali e del costo della mano d'opera o in alternativa dell'incremento del valore apportato ai suoli. 

Avverso la suddetta pronuncia, notificata il 29/8/2018, l'Azienda Sanitaria Locale di (Omissis) propone ricorso per cassazione, notificato il 17/9/2018, affidato a due motivi, nei confronti di OMISSIS, + Altri Omessi, per sè e quale procuratore di OMISSIS (che resistono con controricorso, notificato il 26/10/2018), nonchè del Comune di (Omissis) (che non svolge difese). Entrambe le parti costituite hanno depositato memorie. 

Motivi della decisione 

1.La ASL ricorrente lamenta, con il primo motivo, la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, degli artt. 119 D.Lgs. n. 104 del 2010, in combinato disposto con l'art. 11, comma 2, D.Lgs. n. 104 del 2010, 54, comma 1, D.P.R. n. 327 del 2001, 29 D.Lgs. n. 150 del 2011, dovendosi ritenere che il ricorso in riassunzione, ex art. 59 l.69/2009, doveva rispettare i termini dimidiati previsti per i provvedimenti relativi alle procedure di occupazione e di espropriazione, essendo stata impugnata la deliberazione del Direttore Generale ASL (Omissis) n. 618/2018, nonchè il termine di decadenza di cui all'art. 29 D.Lgs. n. 150 del 2011. 

Con il secondo motivo, si denuncia, nel merito, la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, dell'art. 42 bis D.P.R. n. 327 del 2001 e dell'art. 936 c.c., atteso che erroneamente la Corte territoriale aveva rapportato l'indennizzo al valore venale dell'intero compendio immobiliare, anzichè solamente dei suoli occupati e trasformati dalla P.A. ai fini della realizzazione dell'opera pubblica, considerato anche il giudicato amministrativo contenuto nelle sentenze n. 1066/2012 del TAR (Omissis) e n. 306/2014 del Consiglio di Stato; peraltro, i proprietari non avevano esercitato tempestivamente l'opzione di cui all'art. 936 c.c., ritenendo la costruzione realizzata sul proprio suolo e corrispondendo l'indennizzo parametrato al coso dei materiali e della mano d'opera, come chiarito invece dal TAR (Omissis) nella sentenza n. 228/2015 resa nel giudizio di ottemperanza. 

2. La prima censura è infondata. 

2.1. Lamenta, anzitutto, la ASL ricorrente che erroneamente la Corte d'appello ha respinto l'eccezione di inammissibilità del ricorso proposto dai privati, depositato nella Cancelleria della Corte di merito il 18/11/2016 e notificato alla ASL (Omissis) il 15/12/2016, dopo circa sette mesi dal passaggio in giudicato della sentenza del TAR Campania (Omissis) n. 136/2016, pubblicata il 21/1/2016, recante la declaratoria del difetto di giurisdizione in favore del giudice ordinario: l'art. 11 del D.Lgs. n. 104 del 2010 prescrive, invero, che, in caso di declinatoria della giurisdizione dal giudice amministrativo in favore di altro giudice nazionale o viceversa, il processo debba essere riassunto entro il termine di tre mesi dal suo passaggio in giudicato e che, in difetto di notificazione della sentenza amministrativa, ex art. 92 c.p.a., l'appello, la revocazione o il ricorso per cassazione debbano essere notificati entro sei mesi dalla pubblicazione della sentenza, ma l'oggetto del giudizio concerneva proprio l'annullamento del provvedimento amministrativo, cosicchè, operando l'art. 119 c.p.a., sul dimezzamento dei termini processuali, la sentenza del T.A.R. (Omissis), pubblicata il 21/1/2016, era passata in giudicato il 21/4/2016 e non il 21/7/2016, con conseguente tardività della riassunzione. 

2.1. Tale profilo di censura non merita accoglimento. 

La Corte d'appello di Salerno, rilevato che il giudizio definito con la sentenza del giudice amministrativo era stato promosso non per ottenere l'annullamento del provvedimento di acquisizione sanante ex art. 42 bis D.P.R. n. 327 del 2001 ma solo per censurare la determinazione dell'indennizzo patrimoniale connesso all'effetto ablatorio, ha affermato che non si debba applicare il rito accelerato di cui all'art. 119 c.p.a. (secondo cui i termini processuali si intendono dimezzati) e che comunque il termine di tre mesi per la riassunzione, ex art. 11, comma 2, c.p.a., spirava, essendo passata in giudicato la sentenza del giudice amministrativo il 21/7/2016, solo il 21/11/2016, tre gg. dopo il deposito del ricorso dinanzi alla Corte d'appello. 

Anzitutto, la Corte d'appello ha accertato che l'oggetto del giudizio non concerneva l'annullamento della deliberazione del Direttore Generale della ASL di (Omissis) del luglio 2018, recante l'acquisizione ex art. 42 bis D.P.R. n. 327 del 2001, quanto la contestazione della sola quantificazione dell'indennizzo effettuata dalla ASL, poichè l'indennizzo previsto doveva essere parametrato al valore dei beni al momento del trasferimento, comprensivo non solo di quello del suolo occupato ma anche di quello delle opere ivi realizzate. 

Tale statuizione neppure viene efficacemente impugnata. 

L'art. 119, comma 1, lett.f), D.Lgs. n. 104 del 2010, prescrive, tra le altre controversie tipizzate, che "per i provvedimenti relativi alle procedure di occupazione e di espropriazione", i termini processuali sono dimezzati, esclusi quelli previsti per la notifica del ricorso e dei motivi aggiunti. 

Trattasi, tuttavia, in ogni caso, di norma che, prevedendo un rito speciale nel processo amministrativo c.d. abbreviato con conseguenti decadenze, deve ritenersi di stretta interpretazione e che quindi non può essere applicata alle distinte controversie, non espressamente previste dal legislatore, concernenti pretese connesse risarcitorie o indennitarie, quale quella in esame (Consiglio di Stato, sez. IV, 16 febbraio 2012, n. 818 che esplicitamente richiama la sentenza n. 946 del 2008 del sovrapponibile a quella vigente, disposizione dettata dall'art. 23bis della L. 6 dicembre 1971, n. 1034; T.A.R. Campania, Napoli, sez. V, 29 agosto 2017, n. 4184; T.A.R. Calabria, Sezione II, Sentenza 25 gennaio 2019, n. 175). 

Invero, seppure all'istituto della c.d. "acquisizione coattiva sanante", disciplinato dall'art. 42-bis D.P.R. n. 327 del 2001, deve essere riconosciuta valenza "lato sensu espropriativa", atteso che il provvedimento in questione assorbe e sintetizza lo svolgimento dell'intero procedimento ablatorio, cosicchè, in caso di impugnazione del provvedimento, al giudizio si applica il rito dell'art. 119 cod. proc. amm. lett. f), relativo ai provvedimenti espropriativi, in virtù del quale tutti i termini processuali sono dimezzati, tale dimidiazione dei termini processuali prevista dell'art. 119, comma 2, cod. del proc. amm., riguarda i soli giudizi in cui sono impugnati atti e provvedimenti amministrativi ma non quelli aventi ad oggetto, in via esclusiva, istanze risarcitorie o indennitarie. 

Da rilevare che, nella specie, con la tempestiva riassunzione del giudizio dinanzi al giudice ordinario competente, si è prodotto l'effetto della traslatio iudicii voluto dall'art. 59 l. 69/2009 (che prescrive, al comma 2: " Se, entro il termine perentorio di tre mesi dal passaggio in giudicato della pronuncia di cui al comma 1, la domanda è riproposta al giudice ivi indicato, nel successivo processo le parti restano vincolate a tale indicazione e sono fatti salvi gli effetti sostanziali e processuali che la domanda avrebbe prodotto se il giudice di cui è stata dichiarata la giurisdizione fosse stato adito fin dall'instaurazione del primo giudizio, ferme restando le preclusioni e le decadenze intervenute. Ai fini del presente comma la domanda si ripropone con le modalità e secondo le forme previste per il giudizio davanti al giudice adito in relazione al rito applicabile"). 

2.2. Inoltre, sempre nel motivo in esame, la ricorrente ASL si duole del rigetto dell'ulteriore eccezione di inammissibilità della domanda, per violazione del termine di decadenza di trenta giorni previsto dall'art. 29, comma 3, D.Lgs. n. 150 del 2011, cui rinvia l'art. 54 del D.P.R. n. 327 del 2001, per le opposizioni agli atti determinativi dell'indennità di esproprio, cui è equiparabile il provvedimento di acquisizione ex art. 42 bis D.P.R. n. 327 del 2001. Nella specie, il giudizio era stato, invece, promosso dopo circa 16 mesi dall'adozione della Delibera della ASL del luglio 2015 e dopo circa 11 mesi dalla comunicazione della determina del dirigente dell'Ufficio Legale della ASL del dicembre 2015. 

La Corte d'appello ha ritenuto che, nella specie, non fosse stata instaurata una opposizione alla stima vera e propria ma un'azione per la corretta determinazione dell'indennizzo dovuto ex art. 42 bis D.P.R. n. 327 del 2001, soggetta all'ordinario termine decennale di prescrizione. 

2.3. Tale profilo di doglianza è fondato ma irrilevante ai fini del decidere. Questa Corte (Cass. 11687/2020), proprio in relazione alla questione se il termine perentorio, di cui al D.P.R. n. 2001, art. 54, commi 1 e 5, di trenta giorni per l'impugnazione della determinazione dell'indennità sia o meno applicabile anche all'opposizione avverso la determinazione dell'indennizzo contenuta nel provvedimento acquisitivo adottato a norma del medesimo decreto, art. 42 bis, ha ritenuto che il suddetto termine non sia riferibile a tale opposizione, per ragioni di carattere sistematico. Questa Corte ha quindi affermato, in tale pronuncia, che "il termine perentorio di trenta giorni, previsto dall'art. 54, commi 1 e 5, del D.P.R. n. 327 del 2001 per l'impugnazione della determinazione dell'indennità di esproprio, non è applicabile all'opposizione avverso la determinazione dell'indennizzo contenuta nel provvedimento acquisitivo adottato a norma dell'art. 42-bis del medesimo decreto, sia perchè tale termine si riconnette ad un iter procedimentale estraneo all'istituto dell'acquisizione sanante, sia perchè l'art. 42-bis non contiene alcun richiamo all'art. 54, sicchè, vertendosi in tema di termini fissati per la tutela giurisdizionale di diritti, non è consentito ravvisarne la natura perentoria in mancanza di espressa previsione normativa". 

Tuttavia, del D.Lgs. n. 1 settembre 2011, n. 150, art. 29 (in tema di "controversie in materia di opposizione alla stima nelle espropriazioni per pubblica utilità"), il cui comma 3 prevede per l'opposizione il termine di trenta giorni "dalla notifica del decreto di esproprio o dalla notifica della stima peritale, se quest'ultima sia successiva al decreto di espropri", è stata fornita una interpretazione estensiva, tanto da attrarre nella competenza in unico grado della Corte di appello le controversie relative alla determinazione e corresponsione dell'indennizzo previsto per la cd. acquisizione sanante (cfr. Cass. Sez. Un. 28572/2018; Cass. Sez.Un. 15283 del 2016; Cass. Sez.Un. 22096/2015), considerata priva di rilevanza la mancata menzione specifica atteso che il legislatore, nella formulazione dell'art. 29, non avrebbe potuto fare espresso riferimento ad un istituto introdotto nel nostro ordinamento solo in epoca successiva. 

Nella sentenza delle Sezioni Unite del 2016 si è evidenziato che la competenza in unico grado della Corte d'appello costituisce la regola generale prevista dall'ordinamento di settore per la determinazione giudiziale delle indennità dovute, nell'ambito di un procedimento espropriativo, a fronte della privazione o compressione del diritto dominicale dell'espropriato, dovendosi interpretare in via estensiva l'art. 29 del D.Lgs. n. 150 del 2011, tanto più che tale norma non avrebbe potuto fare espresso riferimento a un istituto - quale quello della acquisizione sanante - introdotto nell'ordinamento solo in epoca successiva. Sempre le Sezioni Unite, con la precedente ordinanza n. 22096 del 29.10.2015 avevano affermato che, nella fattispecie espropriativa di cui all'art. 42 bis del D.P.R. n. 327 del 2001, l'illecita o illegittima utilizzazione dell'immobile per scopi di interesse pubblico costituisce solo un presupposto dell'acquisizione del bene, sicchè, ove il provvedimento acquisitivo sia stato adottato in conformità agli altri presupposti normativi, l'indennizzo previsto per la perdita della proprietà non ha natura risarcitoria, ma indennitaria, e la controversia sulla sua determinazione e corresponsione compete al giudice ordinario. 

E la correttezza della qualificazione della controversia sulla determinazione e corresponsione dell'indennizzo, globalmente inteso, previsto per la c.d. acquisizione sanante, in termini di giudizio indennitario, ex art. 54 T.U. del 2001 e D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 29, a seguito del provvedimento acquisitivo ex art. 42 bis T.U. del 2001, è stata confermata dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 20691/2021. 

Questa Corte (Cass. n. 22298/2020) ha, quindi, successivamente alla pronuncia n. 11687/2020, affermato che l'azione proposta avverso il provvedimento ex art. 42 bis D.P.R. n. 327 del 2001, nella parte relativa alla quantificazione della relativa indennità, deve ritenersi assoggettabile al termine breve di decadenza previsto dal D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 29, in quanto " una volta qualificato l'indennizzo di cui al D.P.R. n. 327 del 2001, art. 42 bis, come "indennità in conseguenza dell'adozione di atti di natura espropriativa o ablativo", ai sensi dell'art. 133 c.p.a., lett. g), u.p., lascia applicabile, in via estensiva, all'indennizzo riconosciuto al privato dall'amministrazione in seguito all'adozione del provvedimento di acquisizione sanante, il disposto di cui al D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 29, commi 1 e 2, per il quale sulle "controversie aventi ad oggetto l'opposizione alla stima di cui all'art. 54 del decreto del Presidente della "Repubblica 8 giugno 2001, n. 327... è competente la corte d'appello nel cui distretto si trova il bene espropriato"". 

In definitiva, anche il procedimento che conduce all'emanazione del provvedimento contemplato dall'art. 42 bis D.P.R. n. 327 del 2001 è un procedimento amministrativo espropriativo, soggetto ad obbligo di motivazione, ed il provvedimento emanato, al termine della procedura, ha tutte le caratteristiche, a fronte della privazione o compressione del diritto dominicale dell'espropriato, di un provvedimento espropriativo cui si accompagna un diritto dell'espropriato di natura indennitaria, cosicchè l'impugnazione del decreto di c.d. acquisizione sanante, al pari di quella del decreto di esproprio, laddove si contesti non la legittimità dell'atto (devoluta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo) ma esclusivamente l'ammontare dell'indennità, è devoluta al giudice ordinario, ex artt. 53, comma 2, D.P.R. n. 327 del 2001 e 133, comma 1, lett.g), ult.periodo, c.p.a., la Corte d'appello in unico grado, ed è soggetta sempre al rito previsto e disciplinato dall'art. 54 D.P.R. n. 327 del 2001 e dall'art. 29, comma 3, D.Lgs. n. 150 del 2011 Il rimedio azionabile contro la quantificazione della indennità, che si accompagna al provvedimento di acquisizione sanante, nella tipicità e definitività degli effetti, dunque, non rappresenta una generale azione di riconoscimento della giusta indennità, a fronte della mancata determinazione da parte dell'amministrazione dell'indennità o di una indennità non definitiva, assoggettata alla ordinaria prescrizione decennale, previsto dall'art. 2946 c.c., come riconosciuto da questa Corte di cassazione nel rapporto tra stima provvisoria e definitiva della indennità di esproprio e dei conseguenti rimedi azionabili dal privato (Cass. n. 2193/2016), ma costituisce un rimedio volto a contestare la determinazione dell'indennità operata dall'amministrazione e quindi soggetto al termine breve di decadenza di trenta giorni dalla comunicazione del provvedimento, ai sensi del combinato disposto degli artt. 54, commi 1 e 5, D.P.R. n. 327 del 2001 e 29, comma 3, D.Lgs. n. 150 del 2011. 

2.4. Tanto chiarito, deve rilevarsi che, nella fattispecie, il suddetto termine di decadenza di trenta giorni, prescritto dal citato art. 29, risulta, in ogni caso, essere stato rispettato. 

Invero, come risulta dagli atti, la delibera del Direttore Generale della ASL, ex art. 42 bis D.P.R. n. 327 del 2001, di acquisizione al patrimonio indisponibile della ASL dei beni oggetto di esproprio per la realizzazione del poliambulatorio di (Omissis), del 3/7/2015 è stata notificata ai privati il 16/7/2015 ed il ricorso, originariamente proposto da questi ultimi dinanzi al TAR Campania (Omissis), è stato notificato con atto spedito il 2 settembre 2015 e ricevuto l'11 settembre 2015, nel termine di trenta giorni, considerata la sospensione feriale di cui alla l.749/1969, in difetto di ragioni di deroga. 

La statuizione della Corte di merito sul punto risulta quindi da confermare. 

3. La seconda censura è, invece, fondata. 

3.1. Si duole la ricorrente del fatto che, ai fini della determinazione dell'indennizzo dovuto per il pregiudizio patrimoniale, ex art. 42 bis D.P.R. n. 327 del 2001, il valore venale del bene sia stato considerato come comprensivo non solo del suolo occupato ma anche delle opere sullo stesso eventualmente realizzate, in ossequio al principio generale dell'art. 936 c.c.. Nella suddetta valutazione preliminare, la Corte territoriale non avrebbe tenuto conto del tenore letterale dell'art. 42 bis citato, nonchè del giudicato amministrativo portato dalle sentenze del TAR Campania (Omissis) n. 1066/2012 e del Consiglio di Stato n. 306/2014, secondo le quali l'indennizzo avrebbe dovuto essere parametrato al valore venale "dei suoli" utilizzati. Inoltre, la Corte di merito non avrebbe tenuto conto del fatto che i proprietari, eredi OMISSIS, essendo decaduti dalla facoltà di esercitare l'opzione di cui all'art. 936, comma 2, c.c., come sancito dalla sentenza del TAR Campania (Omissis) n. 228/2015, emessa in sede di giudizio, attivato per chiarimenti dalla stessa ASL, ottemperanza, con nota del 6/3/2015, avevano comunicato che, nel caso in cui la ASL avesse optato per la restituzione dei beni, essi intendevano corrispondere all'Ente, ai sensi dell'art. 936, comma 2, c.c., il valore dei materiali e il prezzo della mano d'opera, cosicchè tali valori avrebbero dovuto comunque essere scomputati, al fine di evitare ogni indebito arricchimento degli stessi. Più corretta era stata quindi la stima operata dal CTP della ASL (Omissis) che aveva applicato il metodo analitico del valore di trasformazione, ripercorrendo la valutazione operata dal consulente tecnico d'ufficio nominato nel giudizio amministrativo (che aveva concluso per la necessità di ricomprendere a fini risarcitori il solo valore venale dei suoli), aggiornandola al 2014. 

3.2. Orbene, la giurisprudenza amministrativa appare consolidata sul momento di determinazione dell'indennizzo, disponendo che lo stesso vada applicato alla attualità, ossia al momento della adozione del provvedimento di c.d. acquisizione sanante (cfr. tra le più recenti: Consiglio di Stato, Sezione IV n. 6255 del 13/09/2021: " nell'ambito dell'art. 42-bis D.P.R. n. 327 del 2001, il valore venale delle aree da acquisire al patrimonio pubblico, ai fini del ristoro del pregiudizio patrimoniale per la perdita della proprietà, deve essere calcolato alla data di adozione del provvedimento acquisitivo"). 

La Corte costituzionale, nella sentenza del 30 aprile 2015, n. 71, ha precisato che "...la norma prevede bensì la corresponsione di un indennizzo determinato in misura corrispondente al valore venale del bene e con riferimento al momento del trasferimento della proprietà di esso, sicchè non vengono in considerazione somme che necessitano di una rivalutazione". 

Anche questa Corte (Cass. n. 18780 del 02/07/2021) ha affermato che " L'art. 42 bis Testo unico espropriazioni, laddove esclude la retroattività della acquisizione sanante, evidentemente impone che il valore venale del bene al quale debba aversi riguardo nella determinazione della indennità dovuta al proprietario ablato debba essere necessariamente quello riferito al momento dell'acquisizione del bene stesso". 

3.3. Sulla questione specifica, qui in esame, del criterio di determinazione del valore venale del bene oggetto del provvedimento di acquisizione, se debba o meno computarsi anche il valore dell'opera pubblica che sullo stesso bene sia stata, anche solo parzialmente, realizzata, risultano, in effetti, alcuni precedenti della giurisprudenza amministrativa che hanno riconosciuto che il valore venale del suolo occupato debba ricomprendere anche le opere su di esso eventualmente realizzate dalla pubblica amministrazione (sentenza n. 4457 del 25 ottobre 2016 della IV Sezione del Consiglio di Stato, secondo cui "La disposizione dell'art. 42 bis D.P.R. n. 327 del 2001 (T.U. Espropriazione per p.u.) risponde ad una finalità di favore per l'espropriato nella misura in cui sottintende che il valore venale del bene cui la norma si riferisce comprende non solo il valore del suolo occupato, ma anche quello delle opere che su di esso siano state eventualmente realizzate (le quali, ove la p.a. non procedesse all'acquisizione, sarebbero soggette ad accessione a favore del privato in applicazione degli ordinari canoni civilistici)", nonchè a TAR Marche, Ancona, sentenza n. 625 del 28 settembre 2018; contra TAR Lazio, Sezione II Roma N. 9107 del 31/08/2018, secondo cui "ai fini della quantificazione del valore del bene oggetto di risarcimento del danno da occupazione illegittima ovvero di indennizzo ex art. 42-bis, il terreno oggetto di occupazione deve essere stimato nella sua mera consistenza materiale senza computare il costo dell'opera costruita dall'amministrazione"). 

Tuttavia, la tesi propugnata dalla ASL ricorrente, secondo cui nel valore venale del bene non debba computarsi anche quello dell'opera pubblica che sul bene stesso è stata realizzata, trova riscontro, anzitutto, nel tenore letterale del comma 3 dell'art. 42 bis in esame: "Salvi i casi in cui la legge disponga altrimenti, l'indennizzo per il pregiudizio patrimoniale di cui al comma 1 è determinato in misura corrispondente al valore venale del bene utilizzato per scopi di pubblica utilità e, se l'occupazione riguarda un terreno edificabile, sulla base delle disposizioni dell'art. 37, commi 3, 4, 5, 6 e 7". 

Il legislatore ha previsto unicamente una misura forfettizzata (5%) per il periodo di occupazione sine titulo e che quanto al danno patrimoniale l'indennità sia commisurata "al valore venale del bene utilizzato per scopi di pubblica utilità" e non a quello del bene "risultante dalla" predetta utilizzazione. L'espressione "utilizzata" vale solo ad individuare il bene oggetto della misura indennitaria, ma non certo a legittimare che venga ricompreso nel valore del bene anche quello dell'opera pubblica su di essa realizzata, non dal privato ma dalla pubblica amministrazione. 

Ne deriva che, se quello che rileva è il valore intrinseco del bene occupato e trasformato, non può essere inglobato in esso anche il valore delle opere realizzate dalla pubblica amministrazione, il quale va dunque scomputato dal calcolo dell'indennizzo, così da evitare che quest'ultimo si traduca in un indebito arricchimento del privato ed in una altrettanto indebita duplicazione di costo per la amministrazione, la quale, dopo avere realizzato le opere a proprie spese, dovrebbe rimborsarne il valore al proprietario del bene occupato a tal fine, senza potere beneficiare dell'indennizzo previsto dagli artt. 936 c.c. per l'ipotesi - alternativa alla acquisizione, nella specie non tempestivamente prescelta dai privati - della restituzione del bene nello stato in cui si trova dopo la trasformazione. 

Si può poi evidenziare che l'art. 42 bis comma 3, in punto di quantificazione del pregiudizio patrimoniale, fa espresso rinvio all'art. 37 commi 3,4,5,6 e 7 D.P.R. n. 327 del 2001 e che l'art. 37, comma 4, fa salva la disposizione dell'art. 32, comma 1, norma che detta le regole generali nel computo dell'indennità di espropriazione e che espressamente prescrive, ai fini della determinazione dell'indennità di espropriazione sulla base delle caratteristiche del bene "alla data dell'emanazione del decreto di esproprio", che si debba valutare "l'incidenza dei vincoli di qualsiasi natura non aventi natura espropriativa" e che non si considerino "gli effetti del vincolo preordinato all'esproprio e quelli connessi alla realizzazione dell'eventuale opera prevista, anche nel caso di espropriazione di un diritto diverso da quello di proprietà o di imposizione di una servitù". In sostanza, gli effetti connessi alla realizzazione dell'opera pubblica non vanno considerati nè in diminuzione nè in accrescimento del valore venale del bene. 

E la Corte Costituzionale, nella sentenza n. 283/1993, nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 5 bis del decreto L. 11 luglio 1992 n. 333, convertito, con modificazioni, nella L. 8 agosto 1992 n. 359, aveva già chiarito, al par. 6.6, che, una volta rispettato il canone di adeguatezza espresso dall'art. 42, comma 3, Cost., "rientra nella discrezionalità del legislatore fissare i criteri di determinazione dell'indennità espropriativa secondo generali valutazioni di politica economico-finanziaria che possono tenere conto anche del fatto che la rendita di posizione, della quale è parzialmente privato il soggetto espropriato, è frutto in larga parte - oggi più ancora che in passato - di investimenti della collettività". 

La Corte EDU, Grande Chambre, nella sentenza Guiso-Gallisay c. Italia del 22/12/2009, ha, inoltre, confermato il revirement della giurisprudenza inaugurato dalla sentenza del 21 ottobre 2008, in tema di calcolo del risarcimento dei danni da espropriazione indiretta finora seguito (consistente nel riconoscere alle vittime una somma pari al valore attuale del fondo espropriato aumentata del plusvalore apportato dalla costruzione delle opere: sentenza Papamichalopoulos del 31/10/1995 e sentenza Carbonara e Ventura dell'11/12/2003), affermando che il criterio secondo cui l'indennizzo equo debba ricomprendere anche il plusvalore apportato dall'opera pubblica reca un pericolo discriminatorio decisivo, quello di differenziare il ristoro dovuto ai proprietari espropriati sulla base di un elemento, indipendente dalla loro volontà, del tutto casuale, quale il valore dell'opera costruita dall'ente pubblico procedente. 3.4. La ricorrente rappresenta anche, al riguardo, di avere, nel giudizio di merito, invocato sul punto il giudicato esterno formatosi per effetto delle sentenze del TA.R.. Campania (Omissis) n. 1066/2012, confermata dal Consiglio di Stato nel 2014, nelle quali si sarebbe fatto esclusivo riferimento al criterio del "valore venale dei suoli o delle aree", non anche dell'opera pubblica costruita. 

La controricorrente afferma invece, anche in memoria, di avere dedotto un giudicato amministrativo di senso contrario. 

Ora, la Corte d'appello, sul punto ha anzitutto affermato che l'eccezione di giudicato non era fondata, "non avendo il giudice amministrativo neanche incidentalmente statuito che nella relativa determinazione non dovesse essere compreso il valore degli immobili sovrastanti", salvo, poi, concludere nel senso che i ricorrenti, essendo "decaduti dal potere di richiedere la rimozione delle opere realizzate sui propri fondi" dalla pubblica amministrazione, "come sancito, con efficacia di giudicato, dal T.A.R. (Omissis) con sentenza n. 1066/2012, confermata dal Consiglio di Stato con decisione n. 306/2014, sono divenuti ope legis proprietari del poliambulatorio e dell'antistante viale di collegamento". 

Risulta dunque chiaro che la preclusione derivante dal giudicato amministrativo sia stata affermata dalla Corte d'appello soltanto con riferimento alla decadenza dei proprietari privati dal potere di chiedere, ex art. 936, comma 4, c.c., la rimozione delle opere realizzate sui propri fondi dalla pubblica amministrazione, non anche in ordine al criterio di determinazione dell'indennizzo dovuto ex art. 42 bis D.P.R. n. 327 del 2001. 

Deve poi aggiungersi che, anche con la sentenza n. 228/2015, esaminata da questa Corte, il T.A.R. Campania (Omissis), interpellato a chiarimenti sulle modalità di esecuzione della sentenza del 2012, ha chiarito che, nel caso in esame: a) il legislatore con l'art. 936 c.c. attribuisce al proprietario, che ha subito la costruzione dell'opera sul proprio fondo, una "doppia scelta: la scelta di ritenere le opere medesime e di corrispondere l'indennizzo, di cui al comma 2 dell'art. 936 c.c., consentendo al proprietario di optare tra il valore dei materiali e il prezzo della mano d'opera oppure l'aumento di valore recato al fondo"; b) nella specie, "le sentenze hanno accertato la decadenza del diritto di ritenzione del proprietario e riconosciuto il potere della p.a. di procedere con l'acquisizione delle aree"; c) nella logica dell'art. 936, comma 2, c.c., l'esercizio dell'opzione è cronologicamente successivo rispetto alla decisione, da parte del proprietario, di ritenere o meno le opere costruite sul proprio fondo, ma la scelta "in ordine alla sorte dei beni" non dipende più dai proprietari, "poichè il relativo diritto di scelta si è estinto", quanto dalla pubblica amministrazione, che deve decidere se esercitare o meno il potere riconosciuto dall'art. 42 bis T.U. sull'espropriazione; d) andava quindi fissato il termine di giorni trenta dalla notificazione e/o comunicazione della presente sentenza ai proprietari per esercitare l'opzione esclusivamente relativa al quantum dell'indennizzo contemplato dall'art. 936, comma 2. c.c. ed alla ASL di novanta giorni, dalla ricezione della comunicazione di esercizio dell'opzione o dalla scadenza del termine previsto per esercitare l'opzione, di decidere se restituire i beni o procedere all'acquisizione delle aree, come già evidenziato dal Tar nella sentenza 1066/2012; e) era inammissibile la richiesta di chiarimenti "in relazione ai criteri da adottare ai fini della quantificazione dell'importo che i proprietari dovrebbero corrispondere in caso di restituzione", apparendo la richiesta meramente esplorativa. 

Alcun accertamento sul valore del bene da indennizzare ai proprietari emerge dunque dalle sentenze amministrative. 

3.5. La censura della ASL ricorrente in esame va dunque accolta in quanto, insussistente un giudicato amministrativo sul punto (come anche affermato dalla Corte territoriale), il valore venale del bene oggetto di acquisizione c.d. sanante va inteso come non comprensivo anche del valore dell'opera pubblica realizzata. 

Deve essere quindi affermato il seguente principio di diritto: " In tema di indennizzo ex art. 42 bis D.P.R. n. 327 del 2001, ai fini della determinazione del valore venale del bene oggetto del provvedimento di c.d. acquisizione sanante, alla data della adozione dello stesso, non deve computarsi, alla luce del tenore della citata disposizione, nonchè del richiamo all'art. 37, comma 4, D.P.R. n. 327 del 2001, che fa salva la disposizione dell'art. 32, comma 1, anche il valore dell'opera pubblica che sullo stesso bene sia stata, anche solo parzialmente, realizzata dalla pubblica amministrazione". 

4. Per tutto quanto sopra esposto, in accoglimento del secondo motivo di ricorso, respinto il primo, va cassata la sentenza impugnata con rinvio alla Corte d'appello di (Omissis) in diversa composizione. Il giudice del rinvio provvederà anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità. 

P.Q.M. 

La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso, respinto il primo, cassa la sentenza impugnata, con rinvio alla Corte d'appello di (Omissis), in diversa composizione, anche in ordine alla liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità. 

Così deciso in Roma, il 31 gennaio 2023. 

Depositato in Cancelleria il 13 aprile 2023 


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