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mercoledì 14 agosto 2013

Cassazione: Falsa identità nell'indirizzo di posta elettronica: è reato, si può rischiare un anno di carcere Spacciarsi per un altro (anche di sesso diverso) configura la sostituzione di persona se poi, nel comunicare con altri in Rete, li si trae in inganno. Va tutelato l'interesse della pubblica fede




Falsa identità nell'indirizzo di posta elettronica: è reato, si può rischiare un anno di carcere
Spacciarsi per un altro (anche di sesso
diverso) configura la sostituzione di persona se poi, nel comunicare
con altri in Rete, li si trae in inganno. Va tutelato l'interesse della
pubblica fede

FALSITA' PERSONALE
Cass. pen. Sez. V, (ud. 08-11-2007)
14-12-2007, n. 46674


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO
ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FAZZIOLI Edoardo -
Presidente

Dott. CALABRESE Renato Luigi - Consigliere

Dott. AMATO
Alfonso - Consigliere

Dott. MARASCA Gennaro - Consigliere

Dott. OLDI
Paolo - Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso
proposto da:

1) A.A.M., N. IL (OMISSIS);

avverso SENTENZA del
25/11/2005 CORTE APPELLO di FIRENZE;

visti gli atti, la sentenza ed il
ricorso;

udita in PUBBLICA UDIENZA la relazione fatta dal Consigliere
Dott. CALABRESE RENATO LUIGI;

Udito il Procuratore Generale in persona
del Dott. MURA Antonello, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito il difensore Avv. ROCCHI Marco.


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Fatto - Diritto P.Q.M.
Svolgimento del processo - Motivi della
decisione
OSSERVA

Con l'impugnata sentenza è stata confermata la
dichiarazione di colpevolezza di A.A.M. in ordine al reato p. e p.
dagli artt. 81, 494 c.p., contestatogli "perchè, al fine di procurarsi
un vantaggio e di recare un danno ad T.A., creava un account di posta
elettronica, (OMISSIS), apparentemente intestato a costei, e
successivamente, utilizzandolo, allacciava rapporti con utenti della
rete internet al nome della T., così induceva in errore sia il gestore
del sito sia gli utenti, attribuendosi il falso nome della T.".

Ricorre per cassazione il difensore deducendo violazione di legge per
l'erronea applicazione dell'art. 494 c.p., e per la mancata
applicazione dell'art. 129 c.p.p..

Lamenta che non siano state
confutate dalla corte fiorentina le critiche rivolte al convincimento
di colpevolezza espresso dal primo giudice siccome basato sul la
duplice errata considerazione,inerente la prima alla tutela di stampo
civilistico al nome e allo pseudonimo, l'altra, più propriamente
tecnica - informatica, alla sostenuta necessità di fornire all'ente
gestore del servizio telefonico l'esatta indicazione anagrafica al
momento della richiesta di fornitura della prestazione telematica.

Tali doglianze non possono essere condivise.

Oggetto della tutela
penale,in relazione al delitto preveduto nell'art. 494 c.p., è
l'interesse riguardante la pubblica fede, in quanto questa può essere
sorpresa da inganni relativi alla vera essenza di una persona o alla
sua indentità o ai suoi attributi sociali. E siccome si tratta di
inganni che possono superare la ristretta cerchia d'un determinato
destinatario, così il legislatore ha ravvisato in essi una costante
insidia alla fede pubblica, e non soltanto alla fede privata e alla
tutela civilistica del diritto al nome.

In questa prospettiva,è
evidente la configurazione, nel caso concreto, di tutti gli elementi
costitutivi della contestata fattispecie delittuosa.

Il ricorrente
disserta in ordine alla possibilità per chiunque di attivare un
"account" di posta elettronica recante un nominativo diverso dal
proprio, anche di fantasia. Ciò è vero, pacificamente.

Ma deve
ritenersi che il punto del processo che ne occupa sia tutt'altro.

Infatti il ricorso non considera adeguatamente che, consumandosi il
reato "de quo" con la produzione dell' evento conseguente all'uso dei
mezzi indicati nella disposizione incriminatrice, vale a dire con
l'induzione di taluno in errore, nel caso in esame il soggetto indotto
in errore non è tanto l'ente fornitore del servizio di posta
elettronica, quanto piuttosto gli utenti della rete, i quali, ritenendo
di interloquire con una determinata persona (la T.), in realtà
inconsapevolmente si sono trovati ad avere a che fare con una persona
diversa.

E non vale obiettare che "il contatto non avviene
sull'intuitus personae, ma con riferimento alle prospettate attitudini
dell'inserzionista, dal momento che non è affatto indifferente, per
l'intercolutore, che "il rapporto descritto nel messaggio" sia offerto
da un soggetto diverso da quello che appare offrirlo, per di più di
sesso diverso.

E' appena il caso di aggiungere,per rispondere ad al
tra,peraltro fugace,contestazione difensiva,che l'imputazione ex art.
494 c.p.p., debitamente menziona pure il fine di recare, con la
sostituzione di persona un danno al soggetto leso: danno poi in effetti,
in tutta evidenza concretizzato, nella specie, come il capo B) della
rubrica (relativo al reato di diffamazione, peraltro poi estinto per
remissione della querela) nitidamente delinea nella, subdola inclusione
della persona offesa in una corrispondenza idonea a ledere l'immagine e
la dignità (sottolinea la sentenza impugnata che la T., a seguito
dell'iniziativa assunta dall'imputato,"si ricevette telefonate da
uomini che le chiedevano incontri a scopo sessuale").

Il ricorso va
pertanto respinto,con le conseguenze di legge.

P.Q.M.
La Corte:

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
del procedimento.

Così deciso in Roma, il 8 novembre 2007.

Depositato
in Cancelleria il 14 dicembre 2007


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c.p. art. 494

 

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