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mercoledì 5 febbraio 2020

N. 9 ORDINANZA 16 - 31 gennaio 2020 Giudizio sull'ammissibilita' di ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato. Referendum - Referendum abrogativo su leggi costituzionalmente necessarie (in particolare, su leggi elettorali) - Eventuale difetto del carattere di auto-applicativita' della normativa "di risulta" - Sospensione de iure dell'entrata in vigore dell'abrogazione referendaria, fino all'adozione di misure attuative che ne rendano gli effetti interamente operativi - Omessa previsione da parte del legislatore - Ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato promosso, nei confronti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica, da cinque Consigli regionali (della Basilicata, del Friuli-Venezia Giulia, della Lombardia, della Sardegna e del Veneto) facenti parte degli otto promotori di richiesta referendaria sul sistema di elezione del Parlamento nazionale - Denunciata mancanza di ragionevole e proporzionato bilanciamento tra il principio della costante operativita' degli organi costituzionali e di rilievo costituzionale e il diritto-potere al referendum, quale corollario del principio di sovranita' popolare - Inammissibilita' del ricorso. - Legge 25 maggio 1970, n. 352, art. 37, terzo comma, secondo periodo. - Costituzione, art. 75. (GU n.6 del 5-2-2020 )



N. 9 ORDINANZA 16 - 31 gennaio 2020

Giudizio sull'ammissibilita' di ricorso per conflitto di attribuzione
tra poteri dello Stato.

Referendum  -  Referendum  abrogativo  su  leggi   costituzionalmente
  necessarie  (in  particolare,  su  leggi  elettorali)  -  Eventuale
  difetto del carattere di auto-applicativita'  della  normativa  "di
  risulta"   -   Sospensione   de   iure   dell'entrata   in   vigore
  dell'abrogazione  referendaria,   fino   all'adozione   di   misure
  attuative che ne rendano gli effetti interamente operativi - Omessa
  previsione da parte del legislatore  -  Ricorso  per  conflitto  di
  attribuzione tra poteri dello Stato promosso, nei  confronti  della
  Camera dei deputati  e  del  Senato  della  Repubblica,  da  cinque
  Consigli regionali (della Basilicata,  del  Friuli-Venezia  Giulia,
  della Lombardia, della Sardegna e del Veneto) facenti  parte  degli
  otto promotori di richiesta referendaria sul  sistema  di  elezione
  del Parlamento nazionale - Denunciata  mancanza  di  ragionevole  e
  proporzionato  bilanciamento  tra  il  principio   della   costante
  operativita'   degli   organi   costituzionali   e    di    rilievo
  costituzionale e il diritto-potere al referendum, quale  corollario
  del  principio  di  sovranita'  popolare  -  Inammissibilita'   del
  ricorso.
- Legge 25 maggio  1970,  n.  352,  art.  37,  terzo  comma,  secondo
  periodo.
- Costituzione, art. 75.
(GU n.6 del 5-2-2020 )
 

                       LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:
Presidente:Marta CARTABIA;
Giudici :Aldo CAROSI,  Mario  Rosario  MORELLI,  Giancarlo  CORAGGIO,
  Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de  PRETIS,  Nicolo'  ZANON,
  Franco  MODUGNO,  Augusto  Antonio  BARBERA,  Giulio   PROSPERETTI,
  Giovanni  AMOROSO,  Francesco  VIGANO',  Luca   ANTONINI,   Stefano
  PETITTI,
     
    ha pronunciato la seguente

                              ORDINANZA

    nel giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato
sorto in relazione all'art. 37, terzo comma, secondo  periodo,  della
legge 25 maggio 1970, n. 352 (Norme  sui  referendum  previsti  dalla
Costituzione e sulla iniziativa legislativa del popolo),  in  ragione
della mancata adozione di una legislazione che imponga,  nell'ipotesi
di referendum abrogativo su leggi costituzionalmente necessarie e, in
particolare, sulle leggi elettorali di  organi  costituzionali  e  di
rilievo costituzionale, la sospensione degli effetti  del  referendum
stesso, allorche'  -  attesa  la  natura  non  autoapplicativa  della
normativa  di  risulta  -  sia  necessario  adottare  una  disciplina
attuativa del  risultato  del  referendum  idonea  ad  assicurare  la
costante  operativita'  degli  organi  costituzionali  e  di  rilievo
costituzionale, e finche' tale disciplina non sia approvata, promosso
dai  Consigli  regionali  delle  Regioni  Basilicata,  Friuli-Venezia
Giulia, Lombardia, Sardegna  e  Veneto,  con  ricorso  depositato  in
cancelleria il 7 gennaio  2020  e  iscritto  al  n.  1  del  registro
conflitti tra poteri dello Stato 2020, fase di ammissibilita'.
    Udito nella camera di consiglio del 15 gennaio  2020  il  Giudice
relatore Daria de Pretis;
    deliberato nella camera di consiglio del 16 gennaio 2020.
    Ritenuto che  i  Consigli  regionali  delle  Regioni  Basilicata,
Friuli-Venezia Giulia, Lombardia, Sardegna e  Veneto  hanno  promosso
ricorso  per  conflitto  di  attribuzione  tra  poteri  dello   Stato
affinche' la Corte costituzionale  dichiari  che  non  spettava  alla
Camera dei deputati e al  Senato  della  Repubblica,  quali  titolari
della funzione legislativa, il «potere di omettere l'adozione di  una
legislazione che imponga, nell'ipotesi di  referendum  abrogativo  su
leggi costituzionalmente necessarie,  e,  in  particolare,  su  leggi
elettorali di organi costituzionali e di rilievo  costituzionale,  la
sospensione degli effetti del referendum stesso, allorche'  -  attesa
la natura non autoapplicativa della relativa normativa di  risulta  -
sia necessario adottare una disciplina attuativa del medesimo, idonea
ad assicurare la costante operativita' degli organi costituzionali  e
di  rilievo  costituzionale,  e  finche'  tale  disciplina  non   sia
approvata», e, per l'effetto, annulli l'art. 37, terzo comma, secondo
periodo, della legge 25 maggio 1970, n.  352  (Norme  sui  referendum
previsti  dalla  Costituzione  e  sulla  iniziativa  legislativa  del
popolo), «nella parte in cui non prevede la sospensione de jure degli
effetti del referendum  approvato,  condizionata  all'adozione  delle
misure applicative sufficienti ad assicurare  la  piena  operativita'
della legge costituzionalmente  necessaria,  e,  segnatamente,  della
legge  elettorale  per  gli  organi  costituzionali  e   di   rilievo
costituzionale»;
    che i ricorrenti premettono di aver depositato, il  30  settembre
2019, presso la cancelleria della Corte di cassazione,  la  richiesta
di referendum  abrogativo  sottoscritta  dai  delegati  dei  Consigli
regionali dell'Abruzzo, della Basilicata, del Friuli-Venezia  Giulia,
della Liguria, della Lombardia, del Piemonte, della  Sardegna  e  del
Veneto, concernente alcune disposizioni del d.P.R. 30 marzo 1957,  n.
361 (Approvazione del testo unico delle leggi recanti  norme  per  la
elezione della Camera  dei  deputati),  del  decreto  legislativo  20
dicembre 1993, n. 533 (Testo unico  delle  leggi  recanti  norme  per
l'elezione del Senato della Repubblica), della legge 27 maggio  2019,
n. 51  (Disposizioni  per  assicurare  l'applicabilita'  delle  leggi
elettorali indipendentemente dal numero  dei  parlamentari)  e  della
legge 3 novembre 2017, n. 165 (Modifiche al sistema di elezione della
Camera dei deputati e del Senato della Repubblica. Delega al  Governo
per  la  determinazione  dei   collegi   elettorali   uninominali   e
plurinominali);
    che, con ordinanza del 16 ottobre 2019, l'Ufficio centrale per il
referendum, costituito presso la Corte di cassazione, ha  invitato  i
delegati dei Consigli  regionali  a  integrare  la  formulazione  del
quesito  e  ha  proposto,  al  fine  di  identificare  l'oggetto  del
referendum, la denominazione  «Abolizione  del  metodo  proporzionale
nell'attribuzione dei seggi  in  collegi  plurinominali  nel  sistema
elettorale della Camera dei Deputati e del Senato della  Repubblica»,
assegnando,  altresi',  termine  sino   all'8   novembre   2019   per
l'anzidetta integrazione e per eventuali osservazioni scritte;
    che, con ordinanza depositata  il  20  novembre  2019,  l'Ufficio
centrale ha dichiarato legittima la richiesta di referendum e, il  26
novembre 2019, i delegati dei Consigli regionali hanno ricevuto dalla
Corte costituzionale la comunicazione della fissazione  della  camera
di consiglio per la discussione  sull'ammissibilita'  del  referendum
per il giorno 15 gennaio 2020;
    che, quanto ai presupposti soggettivi del conflitto, i ricorrenti
affermano la loro legittimazione, ai sensi dell'art. 37, primo comma,
della legge 11 marzo 1953, n. 87  (Norme  sulla  costituzione  e  sul
funzionamento della Corte costituzionale), richiamando,  a  sostegno,
la sentenza n. 69 del 1978 e, soprattutto, l'ordinanza n. 82 del 2016
della Corte costituzionale;
    che non rileverebbe la differenza  tra  il  numero  dei  Consigli
regionali che hanno richiesto il referendum (otto)  e  il  numero  di
quelli che hanno proposto l'odierno conflitto (cinque),  dal  momento
che l'art. 75 Cost. indica in cinque Consigli regionali il centro  di
imputazione del potere di iniziativa referendaria;
    che i Consigli ricorrenti si sarebbero attenuti alle  indicazioni
contenute nell'ordinanza n. 82 del 2016, quanto  alla  necessita'  di
adottare  un'apposita   delibera   di   promozione   del   conflitto,
aggiungendo a quest'ultima, in qualche  caso,  una  delibera  adesiva
della Giunta regionale o anche un atto del Presidente della Giunta;
    che, quanto ai presupposti oggettivi del conflitto, i  ricorrenti
precisano che il requisito della «residualita'», quale condizione  di
ammissibilita' dei conflitti interorganici riguardanti atti di natura
legislativa,  non  avrebbe  un  carattere  «assoluto»,   poiche'   un
conflitto di questo tipo sarebbe da ritenere ammissibile  «se  incide
sulla  materia  costituzionale  e  determina  situazioni   non   piu'
reversibili ne' sanabili anche a seguito della perdita  di  efficacia
della norma» (in proposito sono richiamate le  sentenze  n.  229  del
2018 e n. 161 del 1995 e l'ordinanza n. 480 del 1995);
    che, dunque, l'esigenza di un'immediata ed  efficace  tutela  del
sistema costituzionale delle  competenze  legittimerebbe  il  ricorso
allo strumento del conflitto interorganico in luogo dell'incidente di
costituzionalita';
    che   l'eventuale   giudizio    incidentale    di    legittimita'
costituzionale    potrebbe    essere    avviato     solo     mediante
un'autorimessione della relativa questione da parte della  Corte  nel
corso del giudizio di ammissibilita' del referendum;
    che, in tal caso, pero', la necessita' di  rispettare  i  termini
processuali renderebbe «virtualmente impossibile il rispetto delle  -
altrettanto  -  inderogabili  scadenze  temporali,  sulle  quali   e'
calibrato il procedimento referendario»;
    che,  in  particolare,  l'autopromovimento  della  questione   di
legittimita'  costituzionale  non  consentirebbe  di  rispettare   il
termine del 20 gennaio, previsto dall'art.  33,  primo  comma,  della
legge  n.  352  del   1970   per   la   «deliberazione»   in   merito
all'ammissibilita'  del  referendum,  come  pure  gli  altri  termini
previsti dallo stesso art.  33  e  dall'art.  34,  pregiudicando,  in
maniera definitiva, la possibilita' di apprestare  adeguata  garanzia
alle prerogative spettanti ai Consigli  regionali  ricorrenti,  quali
intestatari del potere di iniziativa ex art. 75 Cost.;
    che questi ultimi vanterebbero, quindi, «un interesse  attuale  e
concreto  alla  reintegrazione  del  proprio  ambito  competenziale»,
asseritamente leso dall'art. 37, terzo comma, secondo periodo,  della
legge n. 352 del 1970, e siffatta reintegrazione - sempre  secondo  i
ricorrenti - potrebbe essere assicurata solo mediante il promovimento
di un conflitto tra poteri;
    che, nel merito, e' richiamata la  giurisprudenza  costituzionale
secondo cui, nell'ipotesi di referendum abrogativi attinenti a  leggi
costituzionalmente necessarie e, in particolare, a leggi  elettorali,
gli organi costituzionali o di rilevanza costituzionale «non  possono
essere esposti alla eventualita', anche soltanto teorica, di paralisi
di funzionamento» (sentenza n. 29 del 1987), con la  conseguenza  che
questi referendum devono riguardare solo parti delle leggi anzidette,
in  modo  che  residui  «una  normativa  complessivamente  idonea   a
garantire il rinnovo, in  ogni  momento,  dell'organo  costituzionale
elettivo» (e' richiamata, tra le altre, la sentenza n. 15 del 2008);
    che dalla disamina di questa giurisprudenza i ricorrenti deducono
che  «il  principio  della  "costante  operativita'"   degli   organi
costituzionali e di rilievo  costituzionale  dispiega  una  pregnante
portata  assiologica,  ostando   all'ammissibilita'   di   referendum
abrogativi su leggi  elettorali,  tutte  le  volte  che  il  relativo
quesito non assicuri una normativa di risulta "autoapplicativa"»;
    che  proprio  la  considerazione  che  l'eventuale   difetto   di
«autosufficienza» della normativa di risulta  possa  determinare  «il
sacrificio integrale del contrapposto interesse dei promotori  e  dei
cittadini,   rispettivamente,   a   dare    impulso    all'iniziativa
referendaria e a pronunciarsi mediante  l'esercizio  del  suffragio»,
renderebbe ineludibile  -  secondo  i  ricorrenti  -  «ricondurre  il
bilanciamento tra i principi costituzionali  menzionati  [...]  entro
canoni di "ragionevolezza" e "proporzionalita'"»;
    che, in proposito, la difesa dei Consigli regionali riconosce che
i criteri di ammissibilita'  dei  referendum  enucleati  dalla  Corte
costituzionale «condizionano e precedono, logicamente,  il  perimetro
dell'interesse  tutelato  (vale  a   dire,   il   diritto-potere   al
referendum)»;
    che,  tuttavia,  «trattandosi  di  parametri  ricavati,  per  via
ermeneutica,     da     "esigenze      supreme"      dell'ordinamento
giuridico-costituzionale»,  sarebbe  necessario   «interrogarsi   sul
"peso" che, nella valutazione operata,  si  sarebbe  dovuto  -  e  si
dovrebbe - attribuire proprio a quell'interesse, quale corollario del
principio di sovranita' popolare»;
    che questa Corte non  potrebbe  accordare  «preferenza  assoluta,
esclusiva e assorbente» al principio di «costante operativita'» degli
organi costituzionali e di  rilievo  costituzionale,  il  quale,  per
questo verso, diverrebbe «tiranno» nei confronti di altre  situazioni
giuridiche costituzionalmente riconosciute e  tutelate,  e  dovrebbe,
piuttosto, bilanciare la tutela di siffatto principio  con  altri  di
pari rango, tra cui quello di sovranita' popolare, cui si  riconnette
l'interesse allo svolgimento del referendum;
    che,  sempre  secondo  la  difesa  dei  Consigli  regionali,   la
giurisprudenza  costituzionale  sarebbe  «approdata,  attraverso   la
valorizzazione del canone di  proporzionalita',  quale  riflesso  del
piu' generale principio di ragionevolezza, alla dottrina del "vincolo
del minor sacrificio possibile", come regola di sindacato (e censura)
sull'utilizzo della discrezionalita' legislativa»;
    che, tuttavia, di questa dottrina non vi  sarebbe  traccia  nella
giurisprudenza relativa all'ammissibilita' dei referendum  abrogativi
su   leggi   elettorali,    sebbene    il    vincolo    rappresentato
dall'«autosufficienza» della normativa di risulta comporti  -  sempre
secondo  i  ricorrenti  -  «una  limitazione  estrema  a  carico  del
diritto-potere al referendum, sancito dall'art. 75 Cost.»;
    che, nel  caso  delle  leggi  costituzionalmente  necessarie,  il
legislatore, asseritamente interessato  a  scongiurare  l'abrogazione
referendaria, potrebbe costruire la struttura dell'atto normativo  in
modo tale da impedire,  di  fatto,  un  intervento  manipolativo  che
garantisca   la   sopravvivenza   di   una   normativa   di   risulta
«autosufficiente»;
    che, pertanto,  la  possibilita'  di  esercitare  i  «diritti  di
democrazia diretta» sarebbe rimessa alla «totale  disponibilita'  del
"controinteressato"  all'iniziativa  referendaria,  il  Legislatore»,
«grazie  ad   un'applicazione   "opportunistica"   dell'usbergo   del
principio di "costante operativita'" degli organi costituzionali e di
rilievo costituzionale»;
    che l'esigenza di tener conto della  dottrina  del  «vincolo  del
minor  sacrificio  possibile»,   che   costituirebbe   «la   premessa
"metodologica" indispensabile»  per  bilanciare  il  principio  della
«costante  operativita'»  con  quello  di  sovranita'  popolare,   si
tradurrebbe in concreto nella necessita' di  una  «modulazione  degli
effetti temporali dell'abrogazione referendaria»;
    che, in particolare, secondo i ricorrenti il «punto di equilibrio
normativo»  dovrebbe  essere  individuato  nella  «previsione   della
sospensione dell'entrata  in  vigore  dell'abrogazione  referendaria,
sino  all'adozione,  ad   opera   del   Legislatore,   delle   misure
applicative, che ne rendano gli effetti interamente operativi»;
    che la sospensione degli  effetti  dell'abrogazione  referendaria
non rappresenterebbe «una fattispecie  meramente  ipotetica,  tra  le
possibili soluzioni di bilanciamento tra principi  costituzionali  in
gioco» (e' richiamato, sul punto, quanto previsto dall'art. 37, terzo
comma, secondo  periodo,  della  legge  n.  352  del  1970  e  quanto
eccezionalmente disposto dall'art. 2 della legge 7  agosto  1987,  n.
332, recante «Deroghe alla legge 25 maggio 1970, n. 352,  in  materia
di referendum»);
    che nella medesima  prospettiva  si  inquadrerebbe  anche  quanto
stabilito dall'art. 10 della legge 4 agosto 1993, n. 276  (Norme  per
l'elezione del Senato della Repubblica) e dall'art. 10 della legge  4
agosto 1993, n. 277 (Nuove norme  per  l'elezione  della  Camera  dei
deputati), disposizioni, queste, con le quali  era  stata  introdotta
una disciplina transitoria che subordinava la produzione dell'effetto
abrogativo  della  pregressa  disciplina  elettorale  all'entrata  in
vigore di quella di attuazione della nuova;
    che   gli   eventuali   inconvenienti    applicativi    derivanti
dall'introduzione di una nuova disciplina  sarebbero  stati  risolti,
dunque,  «attraverso  la  scelta,  propria   della   discrezionalita'
legislativa, di utilizzare  l'istituto  della  condizione  sospensiva
dell'operativita'  della  novella,  in  modo   tale   da   bilanciare
l'interesse e/o valore  riconducibile  all'esercizio  della  funzione
legislativa  stessa  con  quello  della  "continuita'"  degli  organi
costituzionali e/o di rilievo costituzionale»;
    che da quanto detto i ricorrenti deducono l'assenza  nella  legge
n.  352  del  1970  di  «un  dispositivo  che,   nella   logica   del
bilanciamento - ragionevole  e  proporzionato  -  tra  interessi  e/o
valori costituzionali confliggenti, contempli  la  sospensione  degli
effetti  dell'abrogazione,   sino   all'adozione   della   disciplina
necessaria al fine di garantire l'"autosufficienza"  della  normativa
di risulta, si' da attenuare l'entita'  del  sacrificio  (attualmente
integrale)  a  carico  del  principio  della  sovranita'  popolare  a
vantaggio  di  quello  della  "costante  operativita'"  degli  organi
costituzionali e di rilievo costituzionale, permettendo, comunque, al
corpo elettorale di esprimersi e manifestare la  propria  (eventuale)
volonta' abrogatrice»;
    che, muovendo da  queste  considerazioni,  la  disciplina  recata
dall'art. 37, terzo comma, secondo periodo, della legge  n.  352  del
1970  costituirebbe  «una  soluzione  irragionevole  -  e,   percio',
costituzionalmente illegittima -, nella  misura  in  cui,  nella  sua
attuale formulazione, non [sarebbe] in grado di far fronte -  per  il
caso di approvazione di un referendum abrogativo  da  cui  scaturisca
una normativa non "autoapplicativa"  -  al  rischio  di  una  lesione
integrale del bene giuridico  della  "continuita'  funzionale"  delle
istituzioni coinvolte, a meno di non rinunziare, completamente,  alla
tutela del principio di sovranita' popolare»;
    che, in occasione del giudizio di ammissibilita'  del  referendum
deciso con la sentenza n. 13 del 2012,  l'allora  Comitato  promotore
eccepi' l'incostituzionalita'  dell'art.  37,  terzo  comma,  secondo
periodo, della legge n. 352 del 1970, chiedendo  alla  Corte,  previa
rimessione   davanti   a   se'   della   questione,   di   dichiarare
l'illegittimita'  di  tale  disposizione  nella  parte  in  cui   non
stabilisce  «che  il  Capo  dello   Stato   possa   reiterare,   sino
all'intervento  delle  Camere,   il   differimento   di   60   giorni
dell'entrata in vigore del referendum stesso»;
    che l'eccezione fu,  pero',  respinta  in  quanto  manifestamente
infondata, poiche' il suo eventuale accoglimento, oltre  a  rimettere
alla mera volonta' dei parlamentari la determinazione del momento  di
produzione   dell'effetto   abrogativo   del   referendum,    avrebbe
comportato,  in  caso  di  inerzia  del  legislatore  e  di  ripetute
reiterazioni,   «una   grave   incertezza   che   esporrebbe   organi
costituzionali a una paralisi di funzionamento anche solo  teorica  e
temporanea»;
    che per questa ragione, con l'odierno ricorso  per  conflitto,  i
cinque Consigli regionali sollecitano «un  intervento  additivo,  che
estenda la previsione della sospensione, di cui all'art. 37, comma 3,
secondo periodo, l. 25 maggio 1970, n. 352, rendendola automatica,  e
a tempo indeterminato, per il caso in cui la normativa di risulta non
sia "autoapplicativa", sino all'adozione, da parte  del  Legislatore,
delle  misure  attuative   sufficienti   ad   assicurare   la   piena
operativita'   della   legge   costituzionalmente   necessaria,    e,
segnatamente, della legge elettorale stessa»;
    che,   peraltro,   non   mancherebbero    nella    giurisprudenza
costituzionale analoghe pronunce manipolative e additive in  sede  di
conflitto intersoggettivo (e'  richiamata  la  sentenza  n.  127  del
1995);
    che non avrebbero fondamento le possibili  obiezioni  secondo  le
quali l'intervento additivo richiesto alla Corte  rischierebbe  -  in
caso di persistente inerzia del legislatore - di pregiudicare il bene
della vita che si vuole perseguire mediante il referendum e  sarebbe,
altresi', dubbia l'esistenza stessa  di  un  obbligo,  a  carico  del
Parlamento, di intervenire nel senso richiesto dai promotori;
    che,   piuttosto,   l'eventuale   omissione    del    legislatore
integrerebbe «una fattispecie  indiretta  di  violazione  del  limite
[...] per il quale la disciplina abrogata  per  via  popolare  e'  da
reputarsi superata e non piu' "ripristinabile"»;
    che il legislatore, «per non trasgredire il divieto di ripristino
(di cui il mantenimento in  vigore  costituirebbe,  palesemente,  una
variante  "in  frode"  al  divieto  stesso)»,  sarebbe  obbligato   a
introdurre le misure attuative dell'esito referendario o ad  adottare
una nuova disciplina sostanzialmente diversa da quella abrogata;
    che, di conseguenza, la mera inerzia  esporrebbe  il  legislatore
alla censura della responsabilita' politica, ma  costituirebbe  anche
un comportamento «antigiuridico, in quanto commesso  in  spregio  dei
principi costituzionali in tema di "seguito" referendario»;
    che  non  mancherebbero  gli  strumenti   diretti   a   stimolare
l'intervento del legislatore, ben potendo i promotori del  referendum
proporre un conflitto interorganico avverso l'omissione  legislativa,
essendo legittimati ad agire in ragione del mancato  esaurimento  del
procedimento referendario a seguito  della  sospensione  dell'effetto
abrogativo;
    che, inoltre, il Presidente della Repubblica potrebbe  esercitare
il suo potere di messaggio e di esternazione o addirittura sciogliere
le Camere, saldandosi, in questo caso, la  responsabilita'  giuridica
da inadempimento con la verifica della responsabilita' politica;
    che, infine, al ricorso sono  allegate  le  delibere  dei  cinque
Consigli regionali, con le quali  e'  stato  deciso  il  promovimento
dell'odierno conflitto, e un'istanza  con  la  quale  la  difesa  dei
ricorrenti  chiede  che   quest'ultimo   sia   deciso   prima   della
deliberazione  sull'ammissibilita'  della  richiesta  di   referendum
abrogativo,  «eventualmente,  se  ritenuto  opportuno,  rinviando  la
camera di consiglio fissata per il 15 gennaio 2020, e/o prevedendo la
discussione di entrambi i giudizi anche nello stesso giorno»;
    che l'istanza di anticipata fissazione e' motivata in ragione: 1)
del «carattere di pregiudizialita' sostanziale», che la decisione del
presente conflitto avrebbe rispetto a quella sull'ammissibilita'  del
quesito  referendario;  2)  dei  «ritardi  legati   all'esigenza   di
coordinare i Consigli regionali ricorrenti (anche  in  considerazione
dei limitatissimi precedenti in punto di procedura per l'introduzione
del ricorso medesimo [...]), e alla  sovrapposizione  della  relativa
deliberazione con le sessioni di bilancio regionali  di  fine  2019»,
che la presentazione del ricorso avrebbe scontato.
    Considerato che i Consigli regionali  delle  Regioni  Basilicata,
Friuli-Venezia Giulia, Lombardia, Sardegna e  Veneto  hanno  promosso
ricorso  per  conflitto  di  attribuzione  tra  poteri  dello   Stato
affinche' la Corte costituzionale  dichiari  che  non  spettava  alla
Camera dei deputati e al  Senato  della  Repubblica,  quali  titolari
della funzione legislativa, il «potere di omettere l'adozione di  una
legislazione che imponga, nell'ipotesi di  referendum  abrogativo  su
leggi costituzionalmente necessarie,  e,  in  particolare,  su  leggi
elettorali di organi costituzionali e di rilievo  costituzionale,  la
sospensione degli effetti del referendum stesso, allorche'  -  attesa
la natura non autoapplicativa della relativa normativa di  risulta  -
sia necessario adottare una disciplina attuativa del medesimo, idonea
ad assicurare la costante operativita' degli organi costituzionali  e
di  rilievo  costituzionale,  e  finche'  tale  disciplina  non   sia
approvata», e, per l'effetto, annulli l'art. 37, terzo comma, secondo
periodo, della legge 25 maggio 1970, n.  352  (Norme  sui  referendum
previsti  dalla  Costituzione  e  sulla  iniziativa  legislativa  del
popolo), «nella parte in cui non prevede la sospensione de jure degli
effetti del referendum  approvato,  condizionata  all'adozione  delle
misure applicative sufficienti ad assicurare  la  piena  operativita'
della legge costituzionalmente  necessaria,  e,  segnatamente,  della
legge  elettorale  per  gli  organi  costituzionali  e   di   rilievo
costituzionale»;
    che, in  questa  fase  del  giudizio,  la  Corte  e'  chiamata  a
deliberare, in camera di consiglio  e  senza  contraddittorio,  sulla
sussistenza dei requisiti soggettivo e oggettivo prescritti dall'art.
37, primo comma, della legge  11  marzo  1953,  n.  87  (Norme  sulla
costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), ossia a
decidere se il conflitto insorga tra organi competenti  a  dichiarare
definitivamente la volonta' del potere  cui  appartengono  e  per  la
delimitazione della sfera di attribuzioni delineata per i vari poteri
da norme costituzionali;
    che, sotto il profilo soggettivo,  deve  essere  riconosciuta  la
legittimazione ad agire ai cinque Consigli regionali;
    che,  al  riguardo,  questa  Corte  ha  precisato  che,  «essendo
conferita dall'art. 75 Cost. la facolta' di richiedere  i  referendum
ad almeno cinque Consigli regionali, la legittimazione  al  conflitto
tra poteri deve ritenersi attribuita a non meno  di  cinque  Consigli
tra quelli  che  si  sono  attivati»,  «in  quanto  configurati  come
autonomo centro di imputazione  dell'attribuzione  costituzionale  di
cui all'art. 75, [...], non essendo possibile scindere la titolarita'
del potere dalla legittimazione al  ricorso»  (ordinanza  n.  82  del
2016);
    che, nell'odierno  giudizio  per  conflitto,  i  cinque  Consigli
regionali ricorrenti sono tra i promotori  dell'anzidetto  referendum
abrogativo;
    che al ricorso per conflitto sono allegate le delibere dei cinque
Consigli regionali con cui e'  stato  deciso  il  promovimento  dello
stesso;
    che deve  essere,  altresi',  riconosciuta  la  legittimazione  a
resistere del Senato della Repubblica e della  Camera  dei  deputati,
venendo in contestazione il contenuto di un  atto  legislativo  (art.
37, terzo comma, secondo periodo, della legge n. 352 del 1970);
    che, con riferimento ai presupposti oggettivi, i  ricorrenti  non
indicano  uno  o  piu'  parametri  asseritamente  violati,   se   non
genericamente l'art. 75 Cost., limitandosi a  lamentare  una  lesione
della  loro  sfera  di  attribuzioni  determinata  dalla   previsione
dell'art. 37, terzo comma, secondo periodo, della legge  n.  352  del
1970, sull'assunto che questa  Corte  ritenga  che  la  normativa  di
risulta del referendum da essi promosso non sia autoapplicativa;
    che - anche a voler prescindere dal carattere meramente ipotetico
del conflitto - risulta evidente che nel caso di specie non ricorrono
le  condizioni  alle  quali  e'  subordinata   l'ammissibilita'   del
conflitto avente ad oggetto norme recate da una legge o  da  un  atto
con forza di legge;
    che, infatti, in merito all'idoneita' di una legge a  determinare
conflitto di attribuzione,  la  giurisprudenza  di  questa  Corte  ha
ammesso, in linea di principio, la configurabilita' del conflitto  di
attribuzione in relazione ad una norma recata da una legge  o  da  un
atto avente forza di legge tutte le volte in  cui  da  essa  «possano
derivare lesioni dirette all'ordine costituzionale delle  competenze»
(ordinanza n. 343 del 2003), ad eccezione dei casi in cui  esiste  un
giudizio nel quale tale norma debba  trovare  applicazione  e  quindi
possa essere sollevata la questione incidentale sulla legge  (tra  le
piu' recenti, sentenze n. 229 del 2018, n. 284 del 2005 e n. 221  del
2002; ordinanze n. 273 del 2017, n. 17 e n. 16 del 2013, n. 14 e n. 1
del 2009, n. 38 del 2008, n. 296 e n. 69 del 2006);
    che,  pertanto,  «nella   generalita'   dei   casi   va   esclusa
l'esperibilita' del ricorso per conflitto tra poteri, tutte le  volte
che l'atto legislativo - al quale sia in ipotesi imputata una lesione
di  attribuzioni  costituzionali   -   puo'   pacificamente   trovare
applicazione  in  un  giudizio,  nel  corso  del  quale  la  relativa
questione di legittimita'  costituzionale  puo'  essere  eccepita,  e
sollevata» (sentenza n. 229 del 2018);
    che, cio' nondimeno, questa Corte ha riconosciuto ammissibile  il
ricorso per conflitto su atto legislativo anche nell'ipotesi  in  cui
lo stesso soggetto direttamente interessato non sia nella  condizione
di poter rilevare la lesione delle attribuzioni costituzionali  sotto
forma di eccezione di legittimita' costituzionale nel giudizio in via
incidentale (sentenze n. 229 del 2018 e n. 457 del 1999; ordinanza n.
38 del 2001);
    che, tuttavia, nel caso oggetto del presente  giudizio  non  solo
sussiste l'astratta possibilita' per  i  ricorrenti  di  attivare  il
rimedio  della   proposizione   della   questione   di   legittimita'
costituzionale  sulla  norma   oggetto   del   conflitto,   ma   tale
possibilita' i medesimi ricorrenti  hanno  concretamente  esercitato,
sollevando,   nella    veste    di    promotori,    l'eccezione    di
incostituzionalita' della stessa norma nel giudizio di ammissibilita'
del referendum abrogativo (registro referendum n. 172);
    che, pertanto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
     

                          per questi motivi
                       LA CORTE COSTITUZIONALE

    dichiara inammissibile il ricorso per conflitto  di  attribuzione
tra poteri dello Stato, promosso dai Consigli regionali delle Regioni
Basilicata, Friuli-Venezia Giulia, Lombardia, Sardegna e Veneto,  con
il ricorso indicato in epigrafe.
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 16 gennaio 2020.

                                F.to:
                     Marta CARTABIA, Presidente
                     Daria de PRETIS, Redattore
                     Roberto MILANA, Cancelliere

    Depositata in Cancelleria il 31 gennaio 2020.

                   Il Direttore della Cancelleria
                        F.to: Roberto MILANA 

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