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venerdì 24 novembre 2023

Consiglio di Stato 2023-“Il TAR aveva accolto il ricorso di primo grado affermando che “… si deve ritenere, in conformità al consolidato orientamento della Sezione, che la presenza di un tatuaggio non abbia autonoma rilevanza, in assenza delle condizioni previste dal d. m. 198/2003, Tab. 1, punto 2, lett. B, qualora, come nel caso di specie, l’immagine tenda ad essere invisibile”

 Consiglio di Stato 2023-“Il TAR aveva accolto il ricorso di primo grado affermando che “… si deve ritenere, in conformità al consolidato orientamento della Sezione, che la presenza di un tatuaggio non abbia autonoma rilevanza, in assenza delle condizioni previste dal d. m. 198/2003, Tab. 1, punto 2, lett. B, qualora, come nel caso di specie, l’immagine tenda ad essere invisibile”




Pubblicato il 12/10/2023

N. 08902/2023REG.PROV.COLL.

N. 02714/2023 REG.RIC.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2714 del 2023, proposto da -OMISSIS- rappresentato e difeso dall'avvocato x

contro

Ministero dell'Interno, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

per la revocazione

della sentenza del Consiglio di Stato, sezione Seconda, n.-OMISSIS- resa tra le parti.



Visti il ricorso per revocazione e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 19 settembre 2023 il Cons. Stefano Filippini;

Uditi per le parti l’avvocato Antonio Pasca e l'avvocato dello Stato Vittorio Cesaroni;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.



FATTO

1. Con la sentenza in epigrafe indicata il Consiglio di Stato, integralmente riformando la sentenza del TAR per il Lazio n. -OMISSIS-ha respinto il ricorso di primo grado proposto da-OMISSIS- avverso il provvedimento di esclusione dal concorso pubblico per l’assunzione di 1148 allievi agenti della Polizia di Stato (indetto con bando in G.U., 4ª Serie speciale, n. 40 del 26 maggio 2017), disposta perché questi presentava un «Tatuaggio in zona non coperta dall’uniforme art. 3, comma 2, riferimento tab. 1, punto 2, lettera b, dm 30/06/2003 nr. 198 e successive modificazioni e integrazioni», nonché, nei limiti dell’interesse del ricorrente, avverso il provvedimento di approvazione della relativa graduatoria definitiva.

1.1. Il TAR aveva accolto il ricorso di primo grado affermando che “… si deve ritenere, in conformità al consolidato orientamento della Sezione, che la presenza di un tatuaggio non abbia autonoma rilevanza, in assenza delle condizioni previste dal d. m. 198/2003, Tab. 1, punto 2, lett. B, qualora, come nel caso di specie, l’immagine tenda ad essere invisibile. La difesa del ricorrente ha dimostrato, mediante il deposito di idonea documentazione fotografica, che il tatuaggio, presente sull’avanbraccio sinistro, era già in avanzata fase di rimozione al momento della visita e risulta, oggi, completamente invisibile, in esito al trattamento laser di cancellazione. La commissione medico-legale, dunque, non valutando l’eventualità che il tatuaggio tendesse a scomparire per effetto del trattamento di rimozione, è incorsa nel vizio di legittimità dedotto dal ricorrente, ravvisabile nel difetto di istruttoria e nella violazione della normativa sulla rilevanza dei tatuaggi al fine dell’accertamento dell’idoneità psicofisica dei candidati al concorso per agenti di Polizia”.

1.2. Appellando tale sentenza l’Amministrazione aveva sostenuto essenzialmente che (i) risultava in modo chiaro dal verbale di accertamento che al momento della visita medica il tatuaggio era perfettamente visibile per forma e dimensione e che (ii) l’appellato non aveva affatto provato che al momento della visita il tatuaggio fosse già in fase di rimozione, dato che le fotografie prodotte in giudizio risalivano a quattro mesi dopo quella data.

1.3. Con la revocanda sentenza il Consiglio di Stato, rigettata la preliminare eccezione di acquiescenza da parte della P.A. alla sentenza di primo grado, ha accolto l’appello, richiamando giurisprudenza condisibile (C.d.S., sez. II, n. 958/22) e rilevando in fatto che nella fattispecie “non è contestabile che alla data della visita medica (7 febbraio 2018) il tatuaggio, situato in zona non coperta dalla divisa, fosse esattamente percepibile quanto a consistenza, dimensione e nitidezza dell’immagine impressa sulla cute, poiché, altrimenti, non sarebbe stato possibile descriverlo con l’esattezza dimostrata dal verbale («1 tatuaggio sulla faccia esterna del III superiore e medio dell’avambraccio sinistro che raffigura uno scorpione di cm 9 x 6 cm (parte non coperta dall’uniforme)»). D’altronde anche dalla fotografia del 10 febbraio 2018 prodotta in primo grado dall’appellato, nonostante l’immagine fotografica sia sfocata, emerge che la percepibilità sull’avambraccio sinistro del tatuaggio non era stata ancora eliminata. A nulla rileva, perciò, la successiva certificazione medica ospedaliera del 28 marzo 2018.

2. Il signor -OMISSIS- ha chiesto la revocazione di tale sentenza ai sensi dell’art. 395 n. 4 c.p.c., articolando i motivi che possono così riassumersi:

2.1. l’eccezione di inammissibilità dell’appello per acquiescenza da parte dell’Amministrazione sarebbe inficiata dall’errore di fatto revocatorio per non aver il giudice d’appello considerato il tesserino di appartenenza alla P.S. rilasciatogli e la sua data di rilascio (egli era stato nominato Agente di Polizia sin dall’8 maggio 2019, prima cioè della sentenza di primo grado, pronunciata in esito dell’udienza del 25 settembre 2019); di conseguenza l’Amministrazione appellante avrebbe dovuto essere considerata carente di interesse alla introduzione e alla prosecuzione dell’appello;

2.2. nel merito della vicenda l’errore di fatto revocatorio sarebbe consistito nell’aver considerato come esistente un tatuaggio che invece la fotografia del 10.2.2018, pure citata dalla sentenza revocanda, escludeva categoricamente;

2.3. ugualmente sussisterebbe un errore revocatorio per non avere il giudice d’appello esaminato il primo motivo di ricorso riproposto con il gravame (“Eccesso di potere per istruttoria inadeguata e per travisamento dei fatti”, in relazione al fatto che le indagini mediche che lo avevano riguardato erano successive al giudizio impugnato ed erano testimoniate da una certificazione medica rilasciata il 28 marzo 2018 dall’Ospedale di -OMISSIS- Dipartimento di Medicina Specialistica, S.C. di Dermatologia).

2.4. Sono stati poi riproposti, quanto al merito del giudizio d’appello, i motivi già articolati nell’atto di gravame.

3. L’Amministrazione, costituitasi in giudizio, ha chiesto il rigetto del ricorso per revocazione, siccome inammissibile o infondato.

4. Con ordinanza n. 2216 del 31 maggio 2023 le esigenze cautelari prospettate dal ricorrente in revocazione sono state ritenute adeguatamente soddisfatte con la già avvenuta fissazione dell’udienza di trattazione del merito.

5. Entrambe le parti hanno depositato documentazione, memorie e note di udienza.

6. All’udienza pubblica del 19 settembre 2023 (cui la trattazione dell’affare originariamente fissata per l’11 luglio 2023 è stata differita), dopo la rituale discussione, la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

7. Il ricorso per revocazione è inammissibile.

7.1. L'art. 106 c.p.a. stabilisce che "salvo quanto previsto dal comma 3, le sentenze dei Tribunali amministrativi regionali e del Consiglio di Stato sono impugnabili per revocazione, nei casi e nei modi previsti dagli articoli 395 e 396 del codice di procedura civile".

L’art. 395 c.p.c. prevede tra i casi di revocazione quello in cui (n. 4), "la sentenza è l'effetto di un errore di fatto risultante dagli atti o documenti della causa. Vi è questo errore quando la decisione è fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa, oppure quando è supposta l'inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita, e tanto nell'uno quanto nell'altro caso se il fatto non costituì un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare."

La giurisprudenza amministrativa ha da tempo precisato i presupposti dell'errore di fatto revocatorio distinguendolo dall'errore di diritto che, come tale, non dà luogo ad esito positivo della fase rescindente del giudizio di revocazione, evidenziando, in primis, che l'istituto della revocazione è rimedio eccezionale, che non può convertirsi in un terzo grado di giudizio. Invero, secondo un ormai consolidato orientamento giurisprudenziale, nel processo amministrativo “il rimedio della revocazione ha natura straordinaria e l'errore di fatto - idoneo a fondare la domanda di revocazione, ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 106 del c.p.a. e 395 n. 4 del c.p.c. - deve rispondere a tre requisiti: a) derivare da una pura e semplice errata od omessa percezione del contenuto meramente materiale degli atti del giudizio, la quale abbia indotto l'organo giudicante a decidere sulla base di un falso presupposto fattuale, ritenendo così un fatto documentale escluso, ovvero inesistente un fatto documentale provato; b) attenere ad un punto non controverso e sul quale la decisione non abbia espressamente motivato; c) essere stato un elemento decisivo della decisione da revocare, necessitando perciò di un rapporto di causalità tra l'erronea presupposizione e la pronuncia stessa. Inoltre, l'errore deve apparire con immediatezza ed essere di semplice rilevabilità, senza necessità di argomentazioni induttive o indagini ermeneutiche; esso è configurabile nell'attività preliminare del giudice, relativa alla lettura ed alla percezione degli atti acquisiti al processo quanto alla loro esistenza ed al loro significato letterale, ma non coinvolge la successiva attività d'interpretazione e di valutazione del contenuto delle domande e delle eccezioni, ai fini della formazione del convincimento; in sostanza l'errore di fatto, eccezionalmente idoneo a fondare una domanda di revocazione, è configurabile solo riguardo all'attività ricognitiva di lettura e di percezione degli atti acquisiti al processo, quanto alla loro esistenza ed al loro significato letterale, per modo che del fatto vi siano due divergenti rappresentazioni, quella emergente dalla sentenza e quella emergente dagli atti e dai documenti processuali; ma non coinvolge la successiva attività di ragionamento e apprezzamento, cioè di interpretazione e di valutazione del contenuto delle domande, delle eccezioni e del materiale probatorio, ai fini della formazione del convincimento del giudice; si versa pertanto nell'errore di fatto di cui all'art. 395 n. 4, c.p.c. allorché il giudice, per svista sulla percezione delle risultanze materiali del processo, sia incorso in omissione di pronunzia o abbia esteso la decisione a domande o ad eccezioni non rinvenibili negli atti del processo; se ne esula allorché si contesti l'erroneo, inesatto o incompleto apprezzamento delle risultanze processuali o di anomalia del procedimento logico di interpretazione del materiale probatorio, ovvero quando la questione controversa sia stata risolta sulla base di specifici canoni ermeneutici o di un esame critico della documentazione acquisita (cfr. tra le tante Cons. Stato, sez. IV, 14/06/2018, n. 3671; Consiglio di Stato, sez. IV, 22 gennaio 2018 n. 406; Id., sez. V, 25 ottobre 2017, n. 4928; sez. V, 6 aprile 2017, n. 1610; sez. V, 12 gennaio 2017 n. 56).

7.2. Anche recentemente questa Sezione ha evidenziato (sentenza 9 maggio 2023, n. 4706), per le ipotesi di revocazione in cui si lamenti l’omessa pronuncia su una censura o su un’eccezione, che l’errore di fatto idoneo a costituire un vizio revocatorio ai sensi dell’art. 395, n. 4, c.p.c. è solo quello identificabile con l’errore di percezione sull’esistenza o sul contenuto di un atto processuale; non costituisce invece motivo di revocazione per errore di fatto la circostanza che il giudice, nell’esaminare la domanda di parte, non si sia espressamente pronunciato su tutte le argomentazioni proposte dalla parte a sostegno delle proprie censure.

Nè può giustificare la revocazione una contestazione sull’attività di valutazione del giudice, perché essa riguarderebbe un profilo diverso dall’erronea percezione del contenuto dell’atto processuale, in cui si sostanzia l’errore di fatto; di conseguenza il vizio revocatorio non può mai riguardare il contenuto concettuale delle tesi difensive delle parti, come esposte negli atti di causa, perché le argomentazioni giuridiche non costituiscono atti ai sensi dell’art. 395, n. 4, c.p.c. e perché un tale errore si configura necessariamente non come errore percettivo, bensì come errore di giudizio, investendo per sua natura l’attività valutativa ed interpretativa del giudice.

Neppure può giustificare la revocazione una contestazione concernente il mancato esame di un qualsivoglia documento (come, ad esempio, un allegato a una relazione istruttoria) o di qualsiasi altra prova offerta dalle parti, dal momento che in casi del genere si potrebbero configurare soltanto errores in iudicando, come tali non contemplati dall’art. 395 c.p.c. quale motivo di ricorso per revocazione.

Inoltre, affinché possa dirsi sussistente il vizio revocatorio contemplato dalla norma, è necessario che l’errore di fatto sia stato determinante, secondo un nesso di causalità necessaria, nel senso che l’errore deve aver costituito il motivo essenziale e determinante della decisione impugnata per revocazione. È stato puntualizzato al riguardo che il nesso causale non inerisce alla realtà storica, ma costituisce un nesso logico-giuridico, nel senso che la diversa soluzione della controversia deve imporsi come inevitabile sul piano, appunto, della logica e del diritto e non degli accadimenti concreti; la falsa percezione della realtà processuale deve dunque riguardare un punto decisivo, anche se non espressamente controverso della causa.

L’errore infine deve poi essere caduto su un punto non espressamente controverso della causa e in nessun modo deve coinvolgere l’attività valutativa svolta dal giudice circa situazioni processuali esattamente percepite nella loro oggettività.

7.3. Sulla base di queste premesse ermeneutiche può passarsi alla disamina dei motivi di revocazione.

7.3.1. Con il primo motivo il ricorrente di duole del rigetto dell’eccezione di inammissibilità dell’appello per la dedotta intervenuta acquiescenza dell’Amministrazione, determinato dall’errore di fatto revocatorio consistito nel non aver il Consiglio di Stato considerato il tesserino da poliziotto (rilasciato all’interessato dall’Amministrazione all’atto dell’inquadramento dell’agente con contratto di lavoro a tempo indeterminato) e la data del suo rilascio (8 maggio 2019), ben antecedente alla sentenza di primo grado (pubblicata in data 8.10.2019), così da rendere evidente – a suo avviso - che l’Amministrazione, al momento della proposizione dell’appello (notificato in data 4.5.2020), aveva oramai dato esecuzione al decisum del TAR e non avrebbe perciò più interesse alla introduzione e alla prosecuzione del gravame.

La censura non è meritevole di favorevole considerazione, atteso che la questione prospettata attiene ad un punto che è stato controverso tra le parti in causa e sul quale la decisione ha espressamente motivato.

Infatti la questione dell’interesse dell’Amministrazione appellante (a proporre il gravame ed alla prosecuzione del giudizio) risulta espressamente affrontata e risolta dalla sentenza d’appello, laddove si legge che “…se è vero che con istanza depositata il 17 giugno 2020 il Ministero aveva chiesto e ottenuto un rinvio della trattazione dell’istanza cautelare per poter verificare la sussistenza di un interesse attuale alla sospensione della sentenza e alla coltivazione della proposta impugnativa, vero è pure che l’Amministrazione non ha mai rappresentato in seguito la cessazione dell’interesse a una decisione nel merito e anzi, nelle note d’udienza prodotte il 12 dicembre 2022, non solo ha sostenuto che l’appellato è stato avviato con riserva alla frequenza del corso di formazione e sempre con riserva è stato nominato dapprima agente in prova e poi agente della Polizia di Stato, ma ha anche dichiarato espressamente la persistenza del suo interesse alla decisione del proposto gravame, confermato pure in sede di discussione orale.

L’espressa dichiarazione di persistenza dell’interesse alla decisione nel merito priva a monte di ogni rilevanza l’obiezione mossa dall’appellato, nelle note d’udienza, della pretesa tardività della contestazione dell’assenza di riserve nell’assunzione.

D’altronde secondo la giurisprudenza di questo Consiglio (ex multis, C.d.S., sez. II, 27 aprile 2020, n. 2666; sez. V, 21 ottobre 2019, n. 7134) l’acquiescenza non può desumersi dall’esecuzione della sentenza di primo grado che, se non sospesa, è doverosa per l’Amministrazione soccombente, a meno che nell’ambito dell’esecuzione così intrapresa quest’ultima dichiari in modo espresso di accettare la decisione - il che non è avvenuto nel caso di specie - o comunque tale accettazione sia inequivocabilmente evincibile dal complessivo comportamento tenuto – il che pure è da escludersi, poiché la volontà dell’Amministrazione di non accettare la sentenza di primo grado è evidente nel fatto che l’appello è successivo ai provvedimenti di inquadramento.”

Ciò evidenziato, il rilascio del tesserino, la cui omessa considerazione avrebbe configurato secondo il ricorrente l’errore di fatto revocatorio, risulta essere anche una semplice conseguenza della ammissione con riserva del -OMISSIS- al prosieguo della procedura concorsuale in questione (adempimento disposto con ordinanza cautelare del TAR in data 29 maggio 2018, confermata dalla sentenza di primo grado); infatti, a seguito del superamento delle prove selettive, vi sono state l’inserimento del ricorrente nella graduatoria definitiva del concorso (cfr. atto prodotto in primo grado dove l’interessato figura al n. 281), la nomina di vincitore “Con Riserva”, la lettera di assegnazione alla Questura -OMISSIS-e, appunto, il rilascio del tesserino da poliziotto. Da ciò deriva che il possesso del tesserino non può neppure essere considerato come elemento ex se dirimente e decisivo, utile a costituire valido presupposto per il rimedio di revocazione esperito.

7.3.2. Con il secondo motivo di revocazione si lamenta che la sentenza d’appello, “a causa di un clamoroso errore di semplice osservazione della foto prodotta dal ricorrente innanzi al TAR (cfr. Doc. 4), arriva a ritenere “evidente” il tatuaggio”, reputandolo così motivo di esclusione dal Concorso e di accoglimento dell’appello…”; così che l’errore di fatto revocatorio consisterebbe nell’avere il giudice d’appello considerato come esistente un tatuaggio che invece, in base alla fotografia del 10.2.2018, pure citata dalla sentenza revocanda, doveva ritenersi categoricamente escluso.

Neppure tale censura può essere accolta.

Invero secondo la sentenza d’appello (dopo aver ribadito in diritto la rilevanza, nella procedura concorsuale in questione, dei tatuaggi posti in parti del corpo non coperte dall’uniforme che all’atto della visita medica erano in fase di rimozione) ha affermato che “Nel caso in esame non è contestabile che alla data della visita medica (7 febbraio 2018 ) il tatuaggio, situato in zona non coperta dalla divisa, fosse esattamente percepibile quanto a consistenza, dimensione e nitidezza dell’immagine impressa sulla cute, poiché, altrimenti, non sarebbe stato possibile descriverlo con l’esattezza dimostrata dal verbale («1 tatuaggio sulla faccia esterna del III superiore e medio dell’avambraccio sinistro che raffigura uno scorpione di cm 9 x 6 cm (parte non coperta dall’uniforme)»). Quanto alla fotografia del 10 febbraio 2018, prodotta in primo grado dall’interessato, la sentenza afferma espressamente che l’immagine fotografica è sfocata, ma, nonostante ciò, “emerge che la percepibilità sull’avambraccio sinistro del tatuaggio non era stata ancora eliminata. A nulla rileva, perciò, la successiva certificazione medica ospedaliera del 28 marzo 2018”.

In realtà anche per il secondo motivo di revocazione deve rilevarsi che trattasi di questione che è stata controversa, che ha formato oggetto di esplicita trattazione nella sentenza in questione e che la soluzione al riguardo raggiunta non è certamente esclusa, incontrastabilmente, dalla richiamata fotografia del 10 febbraio 2018, ancorché sfocata.

Risulta per converso del tutto indimostrata l’affermazione contenuta nel ricorso per revocazione secondo la quale sarebbero stati i membri della Commissione medica ad ottenere dallo stesso -OMISSIS- la descrizione della forma e delle dimensioni del tatuaggio (altrimenti impossibile da descrivere), per poi esporle con precisione nel verbale d’inidoneità.

7.3.3. Con il terzo motivo di revocazione si lamenta l’errore del giudice d’appello che non avrebbe esaminato il primo motivo dell’originario ricorso al TAR, riproposto con l’atto di appello in tema di eccesso di potere per istruttoria inadeguata e per travisamento dei fatti.

Anche tale motivo non merita favorevole considerazione.

Invero, quanto agli elementi di fatto, la sentenza d’appello ha pure considerato, come appena evidenziato, la certificazione medica rilasciata il 28 marzo 2018 dal Presidio Ospedaliero di -OMISSIS- giudicandola però irrilevante poiché posteriore alla visita medica concorsuale; in ogni caso, il motivo de quo ha trovato trattazione, ancorché indiretta, nel rilievo che il tatuaggio, all’atto della visita, era ancora visibile ed è stato oggetto di analitica descrizione da parte della Commissione medica.

Quanto ai profili di censura in diritto, connessi alla circostanza che il tatuaggio fosse “in fase di scomparsa”, gli stessi non possono legittimare, per quanto esposto ai superiori punti 6.1. e 6.2., il ricorso per revocazione.

8. Le considerazioni espresse conducono all’inammissibilità del ricorso per revocazione, con assorbimento delle ulteriori questioni poste dal ricorrente.

9. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo, tenuto conto della natura della controversia.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sul ricorso per revocazione, come in epigrafe proposto, lo dichiara inammissibile.

Condanna il ricorrente al pagamento, in favore dell’Amministrazione resistente, delle spese processuali, liquidate in euro 3.000,00 (tremila) oltre accessori di legge se dovuti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e all'articolo 9, paragrafi 1 e 4, del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016 e all’articolo 2-septies del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, come modificato dal decreto legislativo 10 agosto 2018, n. 101, manda alla Segreteria di procedere, in qualsiasi ipotesi di diffusione del presente provvedimento, all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi dato idoneo a rivelare lo stato di salute delle parti o di persone comunque ivi citate.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 19 settembre 2023 con l'intervento dei magistrati:

Carlo Saltelli, Presidente

Maria Stella Boscarino, Consigliere

Alessandro Enrico Basilico, Consigliere

Stefano Filippini, Consigliere, Estensore

Francesco Cocomile, Consigliere

 

 

L'ESTENSORE IL PRESIDENTE

Stefano Filippini Carlo Saltelli

 

 

 

 

 

IL SEGRETARIO




In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.


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