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sabato 16 dicembre 2023

Corte d’Appello 2023- L'INPS ha chiesto alla pensionata la restituzione di tale somma con lettera raccomandata del 20.03.2019, ricevuta il 4.04.2019, da cui ha avuto origine il giudizio di primo grado.

 




Corte d'Appello Lecce Sez. lavoro, Sent., 06/11/2023 

REPUBBLICA ITALIANA 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO 

LA CORTE DI APPELLO DI LECCE 

Sezione Lavoro 

Riunita in Camera di Consiglio e composta dai Magistrati: 

Dott.ssa Daniela Cavuoto - Presidente 

Dott.ssa Silvana Botrugno - Consigliere 

Dott.ssa Luisa Santo - Consigliere relatore 

ha pronunciato la presente 

SENTENZA 

nella causa civile in materia previdenziale, in grado di appello, 

tra 

INPS, rappresentato e difeso dagli avv.ti Anna Paola Ciarelli, Marcello Raho e Renato Vestini 

Appellante 

x

Appellata 

Svolgimento del processo - Motivi della decisione 

Con ricorso depositato in data 5.11.2019 innanzi al Tribunale di Lecce, G.P. -premesso di essere stata titolare di pensione cat. (...) e di aver ricevuto, in data 4.04.2019, missiva datata 20.03.2019, con cui l'INPS comunicava che "per il periodo dal 01.01.06 al 30.04.2009 sono stati pagati 10.927,15 Euro in più sulla pensione cat. (...) n. (...)", non spettanti in quanto "l'ammontare dei redditi personali e del coniuge ha determinato il ricalcolo della stessa in misura inferiore a quella corrisposta"- chiedeva accertarsi l'irripetibilità della somma chiesta in restituzione deducendo la genericità della motivazione posta a base delle richiesta, la mancanza di dolo, la violazione dell'art. 13 L. n. 412 del 1991 e, infine, la prescrizione del credito. 

L'INPS si costituiva in giudizio evidenziando che l'indebito era scaturito dalla revoca della prestazione assistenziale, in godimento alla ricorrente quale invalida civile parziale, per il venir meno del requisito reddituale, in quanto nel periodo oggetto di causa la stessa risultava assunta a tempo indeterminato presso la OMISSIS; quanto alla eccepita prescrizione, deduceva che il termine decennale era stato interrotto come da documentazione in atti e chiedeva, quindi, il rigetto del ricorso. 

Con la sentenza indicata in epigrafe, il Tribunale di Lecce accoglieva la domanda attorea, richiamando i principi espressi dalla giurisprudenza della Suprema Corte, secondo cui l'indebito assistenziale determinato da motivi reddituali è ripetibile solo successivamente al momento in cui intervenga il provvedimento che accerta il venir meno delle condizioni di legge, a meno che non ricorrano ipotesi che escludano qualsivoglia affidamento, ritenute nella specie non sussistenti. 

L'INPS ha impugnato tale decisione, invocando un approfondimento dei principi espressi dalla Suprema Corte e recepiti dal Tribunale, alla luce del disposto dell'art. 35, commi 8-13 D.L. n. 207 del 2008, per come modificato dall'art. 13 D.L. n. 78 del 2010, che ha inserito nell'art. 35 il comma 10-bis. In particolare ha evidenziato che l'art. 13 D.L. n. 78 del 2010 cit. ha introdotto, anche a carico dei percettori di prestazioni assistenziali, l'obbligo di comunicare all'INPS -ai fini dei controlli di cui all'art. 13 L. n. 412 del 1991- i redditi non già integralmente comunicati all'amministrazione finanziaria; ad avviso dell'appellante il richiamo agli adempimenti di cui all'art. 13 L. n. 412 del 1991 renderebbe possibile, anche in materia di indebito assistenziale, la ripetizione delle somme erogate per errore imputabile all'Istituto, in considerazione della "fisiologica sfasatura temporale" tra il momento dell'erogazione della prestazione e il momento in cui può essere accertato il requisito reddituale. In ogni caso, ha rimarcato la scorrettezza della condotta della pensionata -che nella specie aveva omesso di comunicare la sopravvenuta instaurazione del rapporto di lavoro- e anche per questo motivo ha sostenuto la ripetibilità delle somme erroneamente erogate. Ha chiesto, pertanto, la riforma della sentenza impugnata e il rigetto della domanda introdotta con ricorso depositato il 5.11.2019. 

Si è costituita in giudizio P.G., che ha reiterato preliminarmente l'eccezione di prescrizione già proposta innanzi al Tribunale, richiamando la documentazione depositata nel corso del giudizio di primo grado; ha insistito, inoltre, in tutte le difese già svolte e ha chiesto il rigetto dell'appello. 

All'udienza del 17.10.2023 la causa è stata decisa come da dispositivo. 

RAGIONI DELLA DECISIONE 

L'appello è solo in parte fondato e va accolto nei limiti di cui in motivazione. 

Preliminarmente deve essere esaminata l'eccezione di prescrizione del credito chiesto in restituzione dall'Istituto, già formulata nel giudizio di primo grado e tempestivamente reiterata dalla parte appellata nel presente giudizio. 

L'eccezione è parzialmente fondata. 

Invero, come evidenziato in premessa, l'indebito per cui è causa è riferito alla somma di Euro 10.927,15, indebitamente erogata dall'INPS a titolo di assegno di invalidità civile per il periodo compreso dall'1.01.2006 al 30.04.2009. 

L'INPS ha chiesto alla pensionata la restituzione di tale somma con lettera raccomandata del 20.03.2019, ricevuta il 4.04.2019, da cui ha avuto origine il giudizio di primo grado. 

In risposta all'eccezione di prescrizione decennale proposta nel ricorso introduttivo, l'INPS, costituendosi nel giudizio di primo grado -ai fini di dimostrare l'interruzione del termine di prescrizione-, ha prodotto il modello TE08 datato 6.04.2009 (recante comunicazione di ricostituzione della pensione e della revoca della stessa) e una successiva lettera di sollecito di pagamento datata 26.01.2011. 

E tuttavia, ai predetti documenti non può riconoscersi efficacia interruttiva della prescrizione. 

Infatti, quanto al modello TE08, l'INPS non ha fornito prova che lo stesso (che peraltro reca un indirizzo sconosciuto, di cui si dirà in seguito) sia mai stato ricevuto dalla pensionata. 

Quanto alla missiva datata 26.01.2011, la stessa è stata spedita all'indirizzo "Via R.-M.", in località L., ed è stata ricevuta, in data 1.02.2011, da tale S.I., la cui firma risulta apposta sull'avviso di ricevimento, senza ulteriori indicazioni circa il legame tra la ricevente e la destinataria della lettera (cfr. documentazione allegata agli atti dell'INPS). 

Ciò posto, deve ritenersi che alla suddetta missiva non possa essere attribuita efficacia interruttiva del termine di prescrizione, in quanto la stessa risulta spedita ad un indirizzo che non corrisponde a quello dell'appellata (che risulta invece residente, sin dal 31.01.1990, in via S.F. n. 2, nel Comune di Lizzanello, cfr. certificato storico di residenza prodotto nel corso del giudizio di primo grado), sicché -a prescindere da ogni ulteriore approfondimento circa i rapporti esistenti tra l'appellata e S.I., che ha ricevuto l'atto- deve ritenersi che tale atto non abbia prodotto effetti nei confronti dell'appellata. 

Si rammenta, infatti, che alle diffide di pagamento, in quanto atti unilaterali ricettizi, si devono applicare le disposizioni degli artt. 1334 e 1335 c.c., ai sensi dei quali la presunzione di conoscenza opera per il fatto oggettivo dell'arrivo della dichiarazione all'indirizzo del destinatario, laddove per indirizzo del destinatario si deve intendere il luogo più idoneo per la ricezione, che, in base ad un criterio di collegamento ordinario (dimora o domicilio), o di normale frequenza (luogo di esplicazione di un'attività lavorativa), o per preventiva comunicazione o pattuizione dell'interessato, risulti in concreto nella sfera di dominio o controllo del destinatario. 

Nella specie, per come già detto, la missiva del 2011 è stata inviata a un indirizzo diverso da quello di residenza dell'appellata, né l'INPS ha fornito elementi, anche solo presuntivi, per ritenere l'esistenza di un collegamento tra la residenza dell'appellata e il luogo in cui tale missiva è stata consegnata. Non può quindi ritenersi operante la presunzione di conoscenza, di cui all'art. 1335 c.c., con conseguente inefficacia della predetta missiva ai fini dell'interruzione dei termini prescrizionali. 

Da quanto detto consegue che il primo atto interruttivo della prescrizione coincide con la comunicazione del 20.03.2019, ricevuta il 4.04.2019, con l'effetto che, alla data di ricezione di detta lettera raccomandata, era già decorso il termine decennale di prescrizione con riferimento ai crediti relativi al periodo 1.01.2006-31.03.2009, che, pertanto, devono essere dichiarati irripetibili. 

La questione della ripetibilità dell'indebito rimane circoscritta, allora, unicamente al rateo di pensione erogato per il mese di aprile 2009, pari a Euro 265,46 (così quantificato nel modello TE08, allegato agli atti dell'INPS), rispetto al quale il termine di prescrizione è stato efficacemente interrotto con la lettera ricevuta il 4.04.2019. 

Solo limitatamente a tale somma, sussiste l'obbligo di restituzione a carico della parte appellata. 

Infatti, deve evidenziarsi che l'art.13 L. n. 118 del 1971 (come modificato dall'art.1, comma 35, L. n. 247 del 2007) prevede espressamente che: "1. Agli invalidi civili di età compresa fra il diciottesimo e il sessantaquattresimo anno nei cui confronti sia accertata una riduzione della capacità lavorativa, nella misura pari o superiore al 74 per cento, che non svolgono attività lavorativa e per il tempo in cui tale condizionesussiste, è concesso, a carico dello Stato ed erogato dall'INPS, un assegno mensile di Euro 242,84 per tredici mensilità, con le stesse condizioni e modalità previste per l'assegnazione della pensione di cui all' articolo 12. 

2. Attraverso dichiarazione sostitutiva, resa annualmente all'INPS ai sensi dell'articolo 46 e seguenti del testounico di cui al D.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445, il soggetto di cui al comma 1 autocertifica di non svolgereattività lavorativa. Qualora tale condizione venga meno, lo stesso è tenuto a darne tempestiva comunicazione all'INPS.". 

Successivamente, l'art. 12-ter. D.L. n. 146 del 2021 convertito con l. n. 215/, ha disposto che "1. Il requisito dell'inattività lavorativa previsto dall'articolo 13 della L. 30 marzo 1971, n. 118, deve intendersi soddisfatto qualora l'invalido parziale svolga un'attività lavorativa il cui reddito risulti inferiore al limite previsto dall'articolo 14-septies del D.L. 30 dicembre 1979, n. 663, convertito, con modificazioni, dalla L. 29 febbraio 1980, n. 33, per il riconoscimento dell'assegno mensile di cui al predetto articolo 13". 

Alla luce del suesposto dato normativo, deve ritenersi che il requisito della inoccupazione, nel senso inteso dalle norme sopra riportate, rappresenti un requisito costitutivo del diritto all'assegno di invalidità. 

Sul punto giova richiamare la consolidata giurisprudenza della Suprema Corte secondo cui, in tema di assegno di invalidità previsto a favore degli invalidi civili dalla L. n. 118 del 1971, i requisiti socioeconomici (reddituale e dello stato di incollocazione al lavoro) rappresentano elementi costitutivi del diritto alla prestazione assistenziale, la cui prova è a carico del soggetto richiedente, non potendo qualificarsi gli stessi, quindi, come mere condizioni di erogazione del beneficio, accertabili in sede extragiudiziale (cfr. Cass. nn. 4067/2002; 13967/2002; 14035/2002; 13046/2003; 13279/2003; 13966/2003; 14696/2007; 22899/2011). Con le modifiche apportate dalla L. n. 247 del 2007, art. 1, comma 35, il requisito sociale è cambiato, in quanto non si richiede più la "incollocazione al lavoro", ma semplicemente lo "stato di inoccupazione" (la legge, infatti, individua il requisito in termini di invalidi "che non svolgono attività lavorativa e per il tempo in cui tale condizione sussiste"); la nuova disciplina ha però lasciato immutato l'onere del disabile di fornire la prova di non aver lavorato nel periodo interessato dalla domanda proposta (cfr. Cass. n. 8856/2017, n. 17932/2015). 

Alla luce delle suesposte considerazioni, allora, deve ritenersi che l'appellata -che pacificamente, all'epoca dei fatti, prestava attività lavorativa alle dipendenze della OMISSIS, percependo un reddito superiore ai limiti di legge (cfr. estratto contributivo allegato agli atti dell'INPS)- non avesse diritto all'assegno di invalidità civile per il periodo oggetto di contestazione sottratto alla prescrizione, con l'effetto che correttamente l'INPS ha chiesto in restituzione le somme erogate a tale titolo. 

Tanto si deve ritenere anche alla luce del più recente orientamento della Suprema Corte (Cass. n. 13917/2021, n.16080/2020) secondo il quale vale la regola, propria del sottosistema assistenziale, che esclude la ripetizione in presenza di situazioni di fatto variamente articolate, aventi generalmente come minimo comune denominatore la non addebitabilità all'accipiens della erogazione non dovuta ed una situazione idonea a generare affidamento. Nella specie, infatti, non può ritenersi che si sia ingenerato alcun affidamento in capo alla pensionata, in quanto l'erogazione indebita delle somme è stata determinata dalla condotta della stessa, inadempiente rispetto alla previsione di cui al citato art. 1, comma 35, L. n. 247 del 2007, che impone al pensionato l'obbligo di autocertificare la mancata prestazione di attività lavorativa e richiede che "qualora tale condizione venga meno, lo stesso è tenuto a darne tempestiva comunicazione all'INPS". 

Nei limiti della suesposta motivazione, quindi, l'appello deve essere accolto parzialmente, riconoscendo l'irripetibilità della somma chiesta in restituzione con nota del 20.03.2019, fatta eccezione per il minor importo di Euro 265,46, alla cui restituzione l'appellata è tenuta. 

Tenuto conto dell'esito complessivo del giudizio e della prevalente soccombenza dell'INPS -per effetto del parziale accoglimento dell'eccezione di prescrizione proposta dall'appellata- le spese di lite del doppio grado devono essere compensate nella misura di un quarto, mentre la parte residua, liquidata come da dispositivo, va posta a carico dell'INPS ai sensi dell'art. 91 c.p.c. 

P.Q.M. 

La Corte d'Appello di Lecce-Sezione lavoro 

visto l'art. 437 c.p.c., definitivamente pronunziando sull'appello proposto con ricorso del 19.04.2022 da INPS nei confronti di G.P. avverso la sentenza del 13.04.2022 n. 1133 del Tribunale di Lecce, così provvede: 

Accoglie parzialmente l'appello e, per l'effetto, dichiara l'irripetibilità delle somme chieste in restituzione con nota del 20.03.2019, fatta eccezione per il minor importo di Euro 265,46, che è ripetibile. Compensa per un quarto le spese del doppio grado e condanna l'appellante al pagamento in favore dell'appellato delle spese del giudizio liquidate in Euro 1.398,75 per il primo grado ed in Euro 1.488,00 per il secondo grado, oltre accessori e rimborso spese forfettarie (15%) come per legge, con distrazione per l'avv. Alessandro Calò. 

Riserva il deposito della sentenza entro 60 giorni. 

Così deciso in Lecce, il 17 ottobre 2023. 

Depositata in Cancelleria il 6 novembre 2023. 









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