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sabato 13 gennaio 2024

Corte d’Appello 2023-“La Corte, decidendo in sede di rinvio, annulla il licenziamento comminato a OMISSIS in data 05/04/OMISSIS dall'Associazione OMISSIS e condanna il datore di lavoro alla reintegrazione del lavoratore con le medesime mansioni e livello di inquadramento; dichiara il diritto di OMISSIS a percepire un'indennità risarcitoria pari a 12 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto per un importo complessivo di Euro 33.841,32, somma già corrisposta dal datore di lavoro in esecuzione della sentenza di primo grado del Tribunale di Roma; condanna altresì l'Associazione OMISSIS al versamento dei contributi previdenziali ed assistenziali dal giorno del licenziamento a quello dell'effettiva reintegra, oltre interessi nella misura di legge”

 

Corte d’Appello 2023-“La Corte, decidendo in sede di rinvio, annulla il licenziamento comminato a OMISSIS in data 05/04/OMISSIS dall'Associazione OMISSIS e condanna il datore di lavoro alla reintegrazione del lavoratore con le medesime mansioni e livello di inquadramento; dichiara il diritto di OMISSIS a percepire un'indennità risarcitoria pari a 12 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto per un importo complessivo di Euro 33.841,32, somma già corrisposta dal datore di lavoro in esecuzione della sentenza di primo grado del Tribunale di Roma; condanna altresì l'Associazione OMISSIS al versamento dei contributi previdenziali ed assistenziali dal giorno del licenziamento a quello dell'effettiva reintegra, oltre interessi nella misura di legge”






Corte d'Appello Roma Sez. lavoro, Sent., 14-11-2023

Fatto - Diritto P.Q.M. 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE DI APPELLO DI ROMA

- Sezione Lavoro e Previdenza -

composta dai Signori Magistrati

Dott. Guido ROSA - Presidente -

Dott.ssa Francesca DEL VILLANO ACETO - Consigliere -

Dott.ssa Bianca Maria SERAFINI - Consigliere est.-

all'esito dell'udienza del 21/09/2023 ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa civile in grado di appello iscritta al n. 255 del Ruolo Generale Affari Contenziosi dell'anno 2023, vertente

TRA

OMISSIS, rappresentato e difeso dall'avv. Beatrice Cavaleri, come da procura in atti, elettivamente domiciliato presso lo studio del difensore in Roma, via Andrea Millevoi n. 503;

Ricorrente in riassunzione

E

ASSOCIAZIONE OMISSIS, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa, come da procura in atti, congiuntamente e disgiuntamente dagli avv.ti Raffaele De Luca Tamajo, Franco Toffoletto, Federica Paternò, Benedetta Garofalo, elettivamente domiciliata presso il loro studio in Roma, via della Conciliazione n. 10;

Resistente in riassunzione

Oggetto: ricorso in riassunzione a seguito della sentenza n. 34051/22, depositata in data 18.11.2022, della Suprema Corte di Cassazione che ha cassato con rinvio la sentenza della Corte di Appello di Roma n. 3859/2019.


Svolgimento del processo - Motivi della decisione


OMISSIS premesso di aver lavorato alle dipendenze dell'Associazione OMISSIS dal 1.5.2008 al 5.4.OMISSIS, data del suo licenziamento senza preavviso per asserito "giustificato motivo oggettivo" per "soppressione della posizione lavorativa" da lui ricoperta e per l'affidamento ed esternalizzazione del servizio di "Comunicazione istituzionale" a fornitori esterni; di essere tale motivazione solo apparente celando un motivo discriminatorio quale quello della non appartenenza del ricorrente all'Opus Dei- ha citato in giudizio davanti al Tribunale di Roma l'Associazione OMISSIS per sentire dichiarare nullo e/o illegittimo il licenziamento intimato, con la condanna della parte resistente alla sua reintegra nel posto di lavoro, al pagamento dell'indennità risarcitoria, commisurata all'ultima retribuzione globale di fatto pari ad Euro 2.820,11 mensili, dal giorno del licenziamento a quello dell'effettiva reintegra, oltra all'ulteriore risarcimento del danno da demansionamento e mobbing.

Il Tribunale di Roma, in funzione di giudice del lavoro, con la sentenza n. 1382/2018, pubblicata il 17/7/2018, esclusa la fattispecie del licenziamento discriminatorio, ha accolto parzialmente in ricorso argomentando che: i) risultava confermato che a base dell'esigenza di soppressione della posizione di responsabile della CIE (Comunicazione Istituzionale dell'Elis) vi era un'effettiva esigenza di riduzione dei costi rappresentata dall'andamento in crescita delle perdite di bilancio dell'associazione, per cui il fatto posto a base del licenziamento, ovvero la soppressione della posizione di responsabile della CIE, non poteva dirsi manifestamente inesistente; ii) la parte datoriale non aveva però assolto all'onere di provare la mancanza di posizioni compatibili con la professionalità acquisita nel tempo dal ricorrente che avrebbe potuto essere diversamente collocato nel settore delle risorse umane, rimasto vacante, o poteva essergli assegnata la docenza per l'insegnamento di diverse discipline o, infine, poteva essere adibito a mansioni da svolgere in uno degli altri enti collegati al OMISSIS o poteva essergli offerta una collaborazione come consulente esterno.

Il giudice di prime cure, ritenendo il mancato assolvimento dell'obbligo di repechage elemento estraneo al fatto materiale, ha applicato la tutela indennitaria di cui all'art. 18 comma 5 L. n. 300 del 1970 e successive modifiche, come richiamata dal comma 7, e ha quindi dichiarato risolto il rapporto di lavoro e ha condannato la parte convenuta all'indennità risarcitoria quantificata - in considerazione del lungo periodo di lavoro intercorso tra le parti, del contegno della parte convenuta che aveva limitato la propria offerta al di sotto delle 12 mensilità, della mancanza di reperimento di un'occupazione lavorativa- in 16 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto, pari a complessivi Euro 45.121,76. Ha compensato per la metà le spese di lite e ha rigettato ogni altra domanda, compresa quella del risarcimento del danno in quanto non provata.

La Corte di Appello di Roma, con la sentenza n. 3859/2019, pubblicata il 24/12/2019, decidendo sugli appelli, principale ed incidentale, presentati da OMISSIS e dall'Associazione OMISSIS, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Roma sopra richiamata, confermata nel resto, ha ritenuto sussistente il danno non patrimoniale invocato dall'originario ricorrente, in considerazione delle modalità di svolgimento dei fatti che avevano portato al provvedimento espulsivo con profonde ricadute sulla persona del lavoratore, quantificandolo in via equitativa in Euro 15.000,00 e ha così disposto: " a) rigettato l'appello incidentale ed in parziale riforma della sentenza impugnata, che conferma nel resto, condanna l'Associazione OMISSIS al risarcimento del danno ulteriore in favore di OMISSIS, liquidato in complessivi Euro 15.000,00 oltre rivalutazione e interessi dalla decisione al saldo; b) dichiara compensate tra le parti nella misura di un terzo le spese del doppio grado di giudizio e condanna l'Associazione OMISSIS al pagamento dei restanti due terzi che liquida, per l'intero, in complessivi Euro 6.400,00 quanto al primo grado e in Euro 5.000,00 per il presente grado di giudizio, oltre rimborso delle spese generali forfettarie al 15%, Iva e Cpa come per legge; c) ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater, D.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza …"

La Corte di Cassazione con la sentenza n. 34051/22, decidendo sul ricorso principale proposto dal P. e su quello incidentale proposto dalla Associazione OMISSIS, ha deciso nei seguenti termini "accoglie per quanto di ragione il primo motivo di ricorso principale, dichiara inammissibili il secondo, il terzo, il quarto e il quinto, assorbito il sesto motivo del ricorso principale ed il terzo motivo del ricorso incidentale, dichiara inammissibili il primo ed il secondo motivo del ricorso incidentale. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia anche ai fini del regolamento delle spese di lite alla Corte d'appello di Roma, in diversa composizione".

La Corte di Cassazione ha ritenuto di accogliere le censure sollevate nell'ambito del primo motivo del ricorso principale, "incentrate sul diritto del P. alla tutela reintegratoria, collegato alla mancata dimostrazione da parte dell'Associazione E. dell'impossibilità di utile ricollocazione lavorativa del dipendente", in conformità dell'attuale assetto normativo delineato dall'art. 18 L. n. 300 del 1970, quale definito dalle sentenze della Corte Costituzionale n. 59 del 2021 e n. 125 del 2022, successive al deposito dell'impugnazione, intervenute sul precedente quadro normativo relativo al tipo di tutela applicabile in presenza di licenziamento intimato per giustificato motivo oggettivo del quale sia dichiarata l'illegittimità per "insussistenza del fatto" alla base dello stesso.

Nella pronuncia rescindente la SC. ha rilevato che " In particolare la sentenza della Corte Costituzionale n. 59 del 2021 ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 18, settimo comma,secondo periodo, della L. 20 maggio 1970, n. 300 come modificato dall'art. 1, comma 42, lettera b) della L. 28 giugno 2012, n. 92, nella parte in cui prevede che il giudice, quando accerti la manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo " può altresì applicare " - invece che " applica altresì" - la disciplina di cui al medesimo art. 18, quarto comma. La sentenza costituzionale n. 125/2022, con prospettiva ancor più radicale, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 18, settimo comma, secondo periodo, della L. 20 maggio 1970, n. 300, come modificato dall'art. 1, comma 42, lettera b) della L. 28 giugno 2012, n. 92 limitatamente alla parola " manifesta". Il testo dell'art. 18 comma 7, L. n. 300 del 1970, quale risultante all'esito degli interventi della Corte Costituzionale comporta che in ipotesi di insussistenza del fatto alla base del giustificato motivo oggettivo di licenziamento il giudice deve applicare la tutela di cui al comma 4 dell'art. 18 quale risultante dalla novella della L. n. 92 del 2012 implicante la reintegra del lavoratore ed il pagamento di un'indennità risarcitoria nei limiti definiti dal comma medesimo".

Osserva ancora la Corte che "Per orientamento consolidato di questa Corte, riaffermato anche nel vigore della modifica al testo dell'art. 18 St. lav. introdotta dalla L. n. 92 del 2012, fatto costitutivo del giustificato motivo oggettivo è rappresentato sia dalle ragioni inerenti all'attività produttiva, all'organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa sia l'impossibilità di ricollocare altrove il lavoratore ( cd. "repechage") ( v. tra le altre Cass. 20/10/OMISSIS n. 24882; Cass. 05/01/OMISSIS n. 160; Cass. 13/06/2016 n. 12101) e tale ricostruzione è stata avallata dalla Corte Costituzionale la quale, nella sentenza n. 125/2022 cit., dopo avere ricordato che è onere del datore di lavoro dimostrare i presupposti legittimanti il licenziamento, alla luce dell'art. 5 della L. 15 luglio 1966, n. 604, che completa e rafforza, sul versante processuale, la protezione del lavoratore contro i licenziamenti illegittimi, con riferimento al licenziamento intimato per " ragioni inerenti all'attività produttiva, all'organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa ( art. 3 della L. n. 604 del 1966) ha precisato che " il fatto che è all'origine del licenziamento per giustificato motivo oggettivo include tali ragioni e, in via prioritaria, il nesso causale tra le scelte organizzative del datore di lavoro e il recesso dal contratto, che si configura come extrema ratio, per l'impossibilità di collocare altrove il lavoratore".

In parziale accoglimento del ricorso principale la S.C. ha cassato in parte qua la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di Appello di Roma, in diversa composizione, per il riesame della fattispecie alla luce del modificato quadro normativo della tutela applicabile per l'ipotesi di illegittimità del licenziamento per insussistenza del fatto quale definito dai richiamati interventi del giudice costituzionale.

OMISSIS ha provveduto a riassumere il giudizio chiedendo di applicare la tutela reale reintegratoria piena con condanna del datore di lavoro a reintegrare il lavoratore nel posto di lavoro in precedenza occupato di responsabile della comunicazione istituzionale, con condanna al pagamento dell'indennità risarcitoria commisurata all'ultima retribuzione globale di fatto maturata dal giorno del licenziamento a quello dell'effettiva reintegra, e al versamento dei contributi previdenziali ed assistenziali maggiorati degli interessi legali. Ha, altresì, chiesto di " d) condannare il datore di lavoro al risarcimento del danno ulteriore…; f) condannare il datore di lavoro al pagamento del restante terzo delle spese del doppio grado senza la parziale compensazione di un terzo, prevista nella sentenza impugnata della Corte di Appello".

L'Associazione OMISSIS si è costituita deducendo di aver adempiuto alla condanna disposta in primo grado avendo provveduto in data 2.3.2018 al pagamento a mezzo di bonifico bancario della somma netta di Euro 39.575,67, pari all'importo liquidato in favore di OMISSIS a titolo di indennità risarcitoria ( importo lordo Euro 45.256,96) e a titolo di spese legali. Ha, inoltre, eccepito l'inammissibilità delle conclusioni sub d) ed f) del ricorso in riassunzione, estranee al presente giudizio di rinvio, circoscritto dalla pronunzia della Suprema Corte, essendo passato in giudicato quanto non aveva formato oggetto del ricorso per cassazione e del relativo giudizio. Ha, preliminarmente, evidenziato la necessità di sollevare questione di legittimità costituzionale dell'art. 3 della L. n. 604 del 1966, in relazione all'art. 41 Cost., per come interpretato dalla giurisprudenza in merito all'ampiezza dell'obbligo di repechage nel licenziamento per giustificato motivo oggettivo.

All'odierna udienza, all'esito degli adempimenti previsti dall'art. 437 c.p.c., la causa è stata decisa come da separato dispositivo.

La Corte, in merito alla prospettata questione di legittimità costituzionale, rileva come la stessa appaia manifestamente infondata alla luce dei principi espressi dalla Corte Costituzionale sull'obbligo del repechage gravante sul datore di lavoro, da ultimo con la sentenza n. 125/2022 richiamata dalla Corte di Cassazione nella pronuncia che ha cassato la sentenza impugnata e ha rinviato alla Corte di Appello di Roma, in diversa composizione, proprio "per il riesame della fattispecie alla luce del modificato quadro normativo in tema di tutela applicabile per l'ipotesi di illegittimità del licenziamento per insussistenza del fatto quale definito dai richiamati interventi del giudice costituzionale".

Osserva il Collegio che il bilanciamento tra la libertà di iniziativa economica, sancita dalla Costituzione all'art. 41, ed il diritto al lavoro, di derivazione costituzionale, ha portato all'elaborazione giurisprudenziale di limiti e vincoli alla libertà di riorganizzazione del datore di lavoro, introducendo, quindi, l'onere di provare l'impossibilità al rimpiego del dipendente in altre mansioni anche inferiori, dovendo intendersi il licenziamento quale extrema ratio, come espresso dalla S.C. nella sentenza che ha cassato "in parte qua" la decisione impugnata ed ha rinviato davanti a questa Corte di Appello per il riesame della fattispecie.

Ancora in via preliminare deve osservarsi che nel giudizio di rinvio è precluso alle parti di ampliare il "thema decidendum" e di formulare nuove domande ed eccezioni ed al giudice - il quale è investito della controversia esclusivamente entro i limiti segnati dalla sentenza di cassazione ed è vincolato da quest'ultima relativamente alle questioni da essa decisa - non è, pertanto, consentito qualsiasi riesame dei presupposti di applicabilità del principio di diritto enunciato, sulla scorta di fatti o profili non dedotti, né egli può procedere ad una diversa qualificazione giuridica del rapporto controverso ovvero all'esame di ogni altra questione, anche rilevabile d'ufficio, che tenda a porre nel nulla o a limitare gli effetti della sentenza di cassazione in contrasto con il principio della sua intangibilità (Cass. civ. Sez. I, 07-03-2011, n. 5381).

Tanto premesso devono ritenersi inammissibili, in quanto coperte da giudicato, le ulteriori richieste avanzate dal ricorrente in riassunzione, che non siano quelle della sola tutela applicabile.

In applicazione del principio di diritto espresso dalla Corte di Cassazione nella pronuncia rescindente, alla fattispecie in esame, in cui è stata accertata e dichiarata l'illegittimità del licenziamento per giustificato motivo oggettivo per violazione dell'obbligo di rechepage, deve quindi trovare applicazione la tutela prevista dall'art. 18, comma 4 Stat. Lav, per cui il licenziamento comminato a OMISSIS in data 05/05/OMISSIS dall'Associazione OMISSIS deve essere annullato con conseguente condanna del datore di lavoro alla reintegrazione del lavoratore con le medesime mansioni e livello di inquadramento. Il datore di lavoro deve essere, altresì, condannato al pagamento in favore del lavoratore di un'indennità risarcitoria che, considerato il lungo periodo del rapporto di lavoro intercorso tra le parti, è determinata nella misura pari a 12 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto per un importo complessivo di Euro. 33.841,32, somma che risulta essere stata già corrisposta dal datore di lavoro, in esecuzione della sentenza di primo grado del Tribunale di Roma, a mezzo di bonifico bancario in data 2.3.2018, oltre al versamento dei contributi previdenziali ed assistenziali dal giorno del licenziamento a quello dell'effettiva reintegra, ed accessori di legge. Nulla può essere dedotto, a titolo di "aliunde perceptum", come richiesto dalla parte resistente in riassunzione, per mancato assolvimento da parte del datore di lavoro del relativo onere probatorio, in base al consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, di recente ribadito secondo cui "l'onere della prova relativo all'aliunde perceptum e all'aliunde percipiendum compete al datore di lavoro, posto che la circostanza che il lavoratore ingiustamente licenziato abbia, nelle more del giudizio, lavorato e percepito comunque un reddito rappresenta un fatto impeditivo della pretesa attorea e deve di conseguenza essere provato da colui che lo eccepisce, non da chi invoca ilrisarcimento, in applicazione del generale precetto di cui all'art. 2697 cod. civ." (Cass. Sentenza n. 11706 del 20 giugno 2020).

Le spese di tutti i gradi di giudizio, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.


P.Q.M.


La Corte, decidendo in sede di rinvio, annulla il licenziamento comminato a OMISSIS in data 05/04/OMISSIS dall'Associazione OMISSIS e condanna il datore di lavoro alla reintegrazione del lavoratore con le medesime mansioni e livello di inquadramento; dichiara il diritto di OMISSIS a percepire un'indennità risarcitoria pari a 12 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto per un importo complessivo di Euro 33.841,32, somma già corrisposta dal datore di lavoro in esecuzione della sentenza di primo grado del Tribunale di Roma; condanna altresì l'Associazione OMISSIS al versamento dei contributi previdenziali ed assistenziali dal giorno del licenziamento a quello dell'effettiva reintegra, oltre interessi nella misura di legge.

Condanna parte resistente al pagamento delle spese di tutti i gradi di giudizio che liquida in Euro 6.400,00 quanto al primo grado, in Euro 5.000,00 per il grado di appello, in Euro 4.000,00 per il giudizio di legittimità ed in e 3.500, per il presente giudizio di rinvio.

Così deciso in Roma, il 21 settembre 2023.

Depositata in Cancelleria il 14 novembre 2023.


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