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sabato 21 ottobre 2023

Cassazione 2023-"Il Consiglio di Stato ha in premessa riassunto la complessa vicenda processuale, che aveva tratto origine da un episodio avvenuto in (Omissis) il (Omissis), nel quale il ricorrente, all'epoca dei fatti agente scelto della Polizia di Stato, era rimasto coinvolto. Era accaduto che il A.A., libero dal servizio, mentre si trovava alla guida della propria autovettura, aveva notato tre persone, poi rivelatesi essere appartenenti all'Arma dei Carabinieri, che stavano tentando di sedare, con l'uso di armi, l'aggressione posta in essere da un gruppo di cittadini extracomunitari in danno di un motociclista. Aveva, quindi, arrestato l'autovettura ed era sceso a terra, con l'intento di intervenire, venendo subito attinto al volto da un proiettile vagante, esploso dalla pistola di uno dei militari. "

 

Cass. civ. Sez. Unite, Ord., (ud. 12/09/2023) 18-10-2023, n. 29009 

Fatto Diritto P.Q.M. 

REPUBBLICA ITALIANA 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE 

SEZIONI UNITE CIVILI 

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: 

Dott. DE CHIARA Carlo - Primo Presidente f.f. - 

Dott. MANNA Felice - Presidente di Sezione - 

Dott. SESTINI Danilo - Consigliere - 

Dott. ORILIA Lorenzo - Consigliere - 

Dott. GIUSTI Alberto - Consigliere - 

Dott. MARULLI Marco - Consigliere - 

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa - rel. Consigliere - 

Dott. NAZZICONE Loredana - Consigliere - 

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe - Consigliere - 

ha pronunciato la seguente: 

ORDINANZA 

sul ricorso 15376-2022 proposto da: 

OMISSIS, elettivamente domiciliato  ; 

- ricorrente - 

contro 

MINISTERO DELL'INTERNO, MINISTERO DELLA DIFESA, in persona dei rispettivi Ministri pro tempore, PREFETTURA DI (Omissis), in persona del Prefetto pro tempore, COMANDO GENERALE DELL'ARMA DEI CARABINIERI, in persona del legale rappresentante pro tempore, domiciliati ope legis in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l'AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, dalla quale sono rappresentati e difesi; 

- controricorrenti - 

avverso la sentenza n. 8306/2021 del CONSIGLIO DI STATO, depositata il 13/12/2021. 

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 12/09/2023 dal Consigliere ANNALISA DI PAOLANTONIO. 

Svolgimento del processo 

1. Con sentenza n. 8306 del 13 dicembre 2021, impugnata in questa sede, il Consiglio di Stato, adito con ricorso per revocazione da OMISSIS, ha accolto la domanda di revocazione, proposta nei confronti del Ministero dell'Interno, del Ministero della Difesa, del Comando Generale dell'Arma dei Carabinieri e della Prefettura di (Omissis), e, in fase rescindente, ha annullato la sentenza n. 6513/2020, pronunciata dallo stesso Consiglio il 26 ottobre 2020, mentre in fase rescissoria, in accoglimento dell'appello proposto dal Ministero dell'Interno, ha dichiarato il difetto di giurisdizione sulla domanda proposta dal OMISSIS con il ricorso indirizzato al T.A.R. per l'Emilia Romagna ed iscritto al n. 276/2016 R.G.. 

2. Il Consiglio di Stato ha in premessa riassunto la complessa vicenda processuale, che aveva tratto origine da un episodio avvenuto in (Omissis) il (Omissis), nel quale il ricorrente, all'epoca dei fatti agente scelto della Polizia di Stato, era rimasto coinvolto. 

Era accaduto che il OMISSIS, libero dal servizio, mentre si trovava alla guida della propria autovettura, aveva notato tre persone, poi rivelatesi essere appartenenti all'Arma dei Carabinieri, che stavano tentando di sedare, con l'uso di armi, l'aggressione posta in essere da un gruppo di cittadini extracomunitari in danno di un motociclista. Aveva, quindi, arrestato l'autovettura ed era sceso a terra, con l'intento di intervenire, venendo subito attinto al volto da un proiettile vagante, esploso dalla pistola di uno dei militari. 

A seguito del sinistro il OMISSIS aveva riportato lesioni gravissime, in ragione delle quali era stato dispensato dal servizio per inabilità fisica, con decreto del Ministero dell'Interno del 19 marzo 2004. 

3. Il 21 luglio 2003 aveva indirizzato al Comando generale dell'Arma dei Carabinieri la richiesta di risarcimento del danno subito ed aveva invocato l'applicazione del D.P.R. n. 18 aprile 1994 n. 388, con il quale era stato emanato il "regolamento recante semplificazione del procedimento di risarcimento dei danni provocati a persone e a cose a seguito di operazioni di polizia giudiziaria". 

Con nota del 30 marzo 2006 n. 2780 la Prefettura di (Omissis) aveva rigettato l'istanza, ritenendo non esperibile, nella fattispecie, lo speciale procedimento disciplinato dal D.P.R. citato. 

4. Il ricorrente aveva, quindi, assunto una prima iniziativa giudiziaria e, con ricorso al Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia sede di Lecce, aveva domandato l'annullamento dell'atto che aveva precluso l'accesso alla procedura. 

Il T.A.R., con sentenza n. 3456 del 9 ottobre 2007, aveva dichiarato inammissibile il ricorso, rilevando, da un lato, che la posizione giuridica soggettiva dedotta in giudizio aveva natura di diritto soggettivo, non di interesse legittimo; dall'altro, che l'azione proposta non poteva essere convertita in azione di accertamento o di condanna al risarcimento del danno, perchè il ricorrente aveva dichiarato espressamente di avere interesse al solo annullamento della nota impugnata. 

5. La decisione era stata, però, annullata con rinvio dal Consiglio di Stato che, con sentenza n. 2383 del 20 aprile 2009, aveva evidenziato che l'azione proposta non aveva ad oggetto la pretesa risarcitoria correlata alla violazione di diritti soggettivi, in quanto il ricorrente aveva fatto valere unicamente l'interesse legittimo a fruire della procedura semplificata prevista dal D.P.R. n. 388 del 1994, di carattere amministrativo. 

6. Riassunto il giudizio, il T.A.R. Lecce, con sentenza n. 860 del 25 marzo 2010, aveva accolto il ricorso e annullato l'atto amministrativo impugnato, innanzitutto perchè privo di motivazione e inoltre perchè non condivisibili erano le ragioni del diniego della procedura, chiarite ex post dall'amministrazione nella nota del 7 luglio 2006, con la quale l'Ufficio Territoriale del Governo di (Omissis) aveva precisato che il personale dell'Arma dei Carabinieri coinvolto nell'evento non stava espletando un servizio di ordine pubblico o di polizia giudiziaria. 

Rilevava al riguardo il giudice amministrativo che, poichè gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria sono considerati in servizio permanente e non cessano dalla loro qualità di pubblici ufficiali anche quando non sono comandati di servizio, l'intervento attuato dagli appartenenti all'Arma, al pari di quello del ricorrente, andava ritenuto connesso allo svolgimento delle funzioni di istituto e, pertanto, si era in presenza di un espletamento del servizio, che legittimava l'accesso alla procedura richiesta. 

7. A seguito del disposto annullamento, il procedimento amministrativo, nuovamente sollecitato con istanza del 16 luglio 2010, veniva avviato dalla Prefettura di (Omissis), che lo concludeva con la nota del 24 giugno 2013, con la quale veniva comunicato all'istante che la richiesta di risarcimento del danno non poteva trovare accoglimento, in quanto il richiedente aveva già ottenuto le prestazioni previste in favore delle vittime del dovere, l'equo indennizzo per la menomazione dell'integrità fisica conseguente all'infermità dovuta a causa di servizio, nonchè lo speciale assegno vitalizio non reversibile soggetto a perequazione automatica. Per il principio della compensatio lucri cum damno null'altro poteva essere richiesto, giacchè le somme liquidate superavano di gran lunga l'importo risarcibile a titolo di danno patrimoniale e non patrimoniale. 

8. Il ricorrente, quindi, instaurava un nuovo giudizio dinanzi al Tribunale Amministrativo Regionale per l'Emilia Romagna e domandava in quella sede la condanna del Ministero dell'Interno al risarcimento dei danni. 

Il TAR, con sentenza n. 11 del 10 gennaio 2020, accoglieva parzialmente la domanda e condannava il Ministero a "corrispondere al ricorrente le somme secondo i criteri indicati in motivazione sia quanto al danno patrimoniale che a quello non patrimoniale". 

Il giudice amministrativo premetteva che il D.P.R. n. 388 del 1994 riconosce il diritto al risarcimento del danno unicamente per effetto della circostanza che lo stesso sia conseguente all'espletamento dei servizi di ordine pubblico e di polizia giudiziaria, sicchè il giudizio aveva ad oggetto solo la quantificazione del risarcimento che, tenuto conto di quanto emerso in sede di verificazione sulla natura e l'entità delle lesioni, andava liquidato, quanto al danno biologico, applicando le tabelle predisposte per l'anno 2018 dal Tribunale di Milano in relazione all'invalidità permanente del 34% e, quanto all'invalidità temporanea, tenendo conto della maggiorazione massima ivi prevista. 

Il danno patrimoniale andava liquidato in misura pari alla differenza fra il reddito medio netto che il ricorrente avrebbe potuto conseguire qualora avesse proseguito la carriera di agente di polizia di Stato e l'importo della pensione privilegiata allo stesso concessa. 

Dalla somma complessivamente spettante a titolo di risarcimento del danno dovevano essere detratti gli importi delle prestazioni già erogate dal Ministero in relazione al medesimo fatto lesivo a titolo di indennizzo o di provvidenza assistenziale, dovendo operare anche nella fattispecie il principio della compensatio lucri cum damno, come interpretato dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione con la sentenza n. 12567 del 2018. 

9. Il Consiglio di Stato con sentenza n. 6513 del 26 ottobre 2020, poi impugnata per revocazione, rilevava d'ufficio l'irricevibilità del ricorso introduttivo del giudizio e, richiamate le precedenti statuizioni intervenute fra le stesse parti sulla natura del procedimento disciplinato dal D.P.R. n. 388 del 1994 e degli atti adottati dalla pubblica amministrazione, riteneva che anche il provvedimento finale di diniego del richiesto risarcimento fosse espressione di un potere autoritativo e, in quanto tale, dovesse essere impugnato dall'interessato nei termini di legge. 

10. Come già anticipato, con la sentenza impugnata in questa sede il Consiglio di Stato ha accolto la domanda di revocazione ed ha ravvisato il denunciato errore di fatto, caduto sull'atto processuale, perchè la pronuncia revocanda aveva erroneamente presupposto che il ricorso indirizzato al TAR dell'Emilia Romagna avesse ad oggetto, come il precedente, l'impugnazione di un atto provvedimentale reso all'esito del procedimento disciplinato dal D.P.R. n. 388 del 1994. Il ricorrente, invece, nel nuovo giudizio aveva fatto valere il suo diritto soggettivo al risarcimento del danno ed aveva dedotto di agire dinanzi al giudice amministrativo, ai sensi del combinato disposto dell'art. 133, comma 1, lettera i) cod. proc. amm. e del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 3, in qualità di dipendente della Polizia di Stato e, quindi, in relazione ad un rapporto di impiego non contrattualizzato e soggetto alla disciplina di diritto pubblico. 

11. In fase rescissoria, peraltro, il Consiglio di Stato ha accolto il primo motivo dell'appello principale proposto dal Ministero, che aveva eccepito il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo, ed ha ritenuto che la cognizione della controversia attinente al risarcimento del danno rientrasse nella giurisdizione del giudice ordinario, al quale è riservata la decisione delle domande risarcitorie proposte nei confronti della Pubblica Amministrazione in relazione ad illeciti commessi, attraverso condotte materiali, da un suo agente. 

Ha escluso, in particolare, che dal principio, rilevante solo in sede penale, secondo cui gli appartenenti alle Forze dell'ordine sono in servizio permanente, si potesse trarre la conseguenza che nella specie si configurasse una pretesa risarcitoria fondata sul rapporto di impiego pubblico. 

12. Per la cassazione della sentenza OMISSIS ha proposto ricorso sulla base di un unico motivo, articolato in due distinti punti ed illustrato da memoria, al quale hanno opposte difese, con controricorso, il Ministero dell'Interno, la Prefettura di (Omissis), il Ministero della Difesa ed il Comando Generale dell'Arma dei Carabinieri. 

Motivi della decisione 

1. Con l'unico motivo il ricorrente denuncia l'eccesso di potere giurisdizionale e addebita al Consiglio di Stato di avere erroneamente declinato la giurisdizione in favore dell'autorità giudiziaria ordinaria in una fattispecie in cui sulla giurisdizione e sulla riferibilità della pretesa al rapporto di impiego pubblico non contrattualizzato si era già formato il giudicato, a seguito della pronuncia n. 860 del 2010 del Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia sede di (Omissis). 

Richiama l'orientamento espresso da queste Sezioni Unite secondo cui le sentenze di merito che contengono anche il riconoscimento, sia pure implicito, della giurisdizione del giudice che le ha pronunciate sono vincolanti al di fuori del processo cui sono state emanate e ostano a che la giurisdizione di quel giudice possa essere contestata in successive controversie tra le stesse parti aventi titolo nel medesimo rapporto. Sostiene che il Tar (Omissis), con la pronuncia citata, ha accertato, con efficacia di giudicato, che l'evento lesivo dedotto in giudizio è da ricondurre a servizio di ordine pubblico, perchè tutti gli ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria sono considerati in servizio permanente ed hanno l'obbligo di assumere l'esercizio delle funzioni, anche se a ciò non espressamente comandati, allorquando se ne verifichino le condizioni di legge. 

Aggiunge che l'espletamento di attività connessa al rapporto di impiego pubblico è stato riconosciuto anche in via amministrativa con la liquidazione dell'equo indennizzo e delle prestazioni spettanti alle vittime del dovere. 

Rileva, inoltre, che, una volta ritenuta applicabile la disciplina dettata dal D.P.R. n. 388 del 1994 e riconosciuto che il danno è derivato dall'espletamento di un servizio di ordine pubblico, il giudizio risarcitorio può avere ad oggetto solo il quantum della pretesa, come affermato dal TAR per l'Emilia Romagna nella sentenza n. 11/2020, non appellata in parte qua, e, pertanto, la cognizione della controversia non può che essere attribuita al giudice amministrativo, competente a conoscere della legittimità degli atti adottati nello speciale procedimento che viene in rilievo. 

2. Sono infondate le eccezioni di inammissibilità del ricorso sollevate dalle amministrazioni controricorrenti. 

Risulta dalla intestazione della sentenza impugnata che erano stati parti di quel giudizio amministrativo, oltre al Ministero dell'Interno, anche il Ministero della Difesa, la Prefettura di (Omissis) e il Comando Generale dell'Arma dei Carabinieri, non costituitisi, sicchè all'evidenza infondata è l'eccezione di inammissibilità del ricorso per cassazione, che fa leva sulla presunta estraneità al giudizio di cassazione delle citate amministrazioni. 

E' consolidato nella giurisprudenza di queste Sezioni Unite l'orientamento secondo cui è da intendere proposto per motivi inerenti alla giurisdizione, ai sensi della Cost., artt. 111, comma 8, e 362, comma 1, c.p.c., il ricorso per cassazione contro una decisione del Consiglio di Stato con il quale si contesti l'omesso rilievo dell'esistenza di un giudicato esterno sulla giurisdizione. Alla Corte di Cassazione, infatti, spetta non solo il giudizio sull'interpretazione della norma attributiva della giurisdizione, ma anche il sindacato sull'applicazione delle disposizioni che regolano la deducibilità ed il rilievo del difetto di giurisdizione, perchè in tal caso l'error in procedendo non è violazione meramente processuale, interna ai limiti della giurisdizione, e si sostanzia in una decisione sulla giurisdizione, sindacabile dalle Sezioni Unite. 

Tale sindacato è pieno ed investe la portata delle norme processuali di riferimento e, con esse, l'esistenza o meno della formazione di un giudicato processuale sulla giurisdizione, a prescindere, dunque, dall'interpretazione che sul punto possa averne dato la decisione impugnata (cfr. fra le tante più recenti Cass. S.U. 7 dicembre 2022 n. 36005; Cass. S.U. 6 dicembre 2021 n. 38737; Cass. S.U. 6 dicembre 2021 n. 38597; Cass. S.U. 24 novembre 2021 n. 36375). E' da escludere, pertanto, che nella fattispecie vengano in rilievo, come sostenuto dai controricorrenti, solo limiti interni alla giurisdizione del giudice amministrativo. 

3. Il ricorso, peraltro, è infondato. 

In premessa va richiamato e ribadito il principio secondo cui il passaggio in cosa giudicata di una pronuncia del giudice ordinario, ovvero del giudice amministrativo, recante statuizioni sul merito di una pretesa attinente ad un determinato rapporto, estende i suoi effetti al presupposto della sussistenza della giurisdizione di detto giudice su tale rapporto, indipendentemente dal fatto che essa sia stata o meno oggetto di esplicita declaratoria e, quindi, osta a che la giurisdizione di quel giudice possa essere contestata in successive controversie fra le stesse parti aventi titolo nel medesimo rapporto, avendo il giudicato esterno la medesima autorità di quello interno, giacchè entrambi corrispondono all'unica finalità dell'eliminazione dell'incertezza delle situazioni giuridiche e della stabilità delle decisioni (cfr. fra le più recenti Cass. S.U. 10 dicembre 2020 n. 28179 e la giurisprudenza ivi richiamata in motivazione). 

Detto orientamento, peraltro, può essere invocato nei soli casi in cui il giudizio definito e quello successivamente instaurato siano fondati sul medesimo rapporto giuridico, perchè presuppone che la prima pronuncia sulla giurisdizione implichi una statuizione, anche implicita, sulla sussistenza o meno del potere giurisdizionale in relazione alle questioni controverse che da quel rapporto scaturiscono. 

Non è, quindi, sufficiente la sola identità soggettiva delle parti e, pertanto, nessuna efficacia preclusiva della questione di giurisdizione può essere riconosciuta alla pronuncia, qualora le azioni intraprese in successione, oltre ad avere diverso petitum e causa petendi, non scaturiscano dallo stesso rapporto giuridico intercorrente fra le parti. 

Quest'ultima evenienza ricorre nel caso di specie perchè, come si è evidenziato nello storico di lite, la prima iniziativa giudiziaria non aveva ad oggetto l'azione di risarcimento del danno (contrattuale o extracontrattuale) ma, unicamente, l'interesse legittimo ad accedere allo speciale procedimento amministrativo disciplinato dal D.P.R. n. 388 del 1994, procedimento non riservato ai soggetti legati all'amministrazione pubblica da rapporto di impiego, bensì previsto in favore di tutti coloro che, in occasione di operazioni di polizia e di ordine pubblico, subiscano danni in conseguenza di quelle operazioni. La pronuncia del Consiglio di Stato n. 2383 del 2009 ha fatto leva proprio sull'azione proposta, di solo annullamento dell'atto, e sulla natura del procedimento al quale il ricorrente domandava l'accesso per affermare l'ammissibilità del ricorso nonchè la giurisdizione del giudice amministrativo. Non a caso la sentenza qui impugnata, nell'accogliere l'istanza di revocazione, ha ritenuto che l'errore revocatorio fosse caduto sull'atto processuale e fosse consistito nel non avere percepito che, a differenza di quanto accaduto in occasione della prima iniziativa giudiziaria, nel giudizio successivamente instaurato non era stato impugnato alcun atto del procedimento ex D.P.R. n. 388 del 1994 (il che avrebbe richiesto il rispetto del termine fissato dalla legge per l'impugnazione dell'atto amministrativo), bensì era stato fatto valere il diritto al risarcimento del danno. 

Nel giudizio definito con la sentenza del TAR (Omissis) n. 860 del 2010, quindi, la statuizione ha riguardato unicamente gli aspetti procedimentali e, inoltre, il richiamo al principio secondo cui gli ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria sono considerati in servizio permanente è stato fatto in relazione alla natura dell'intervento attuato dai tre appartenenti all'Arma dei Carabinieri, per inferirne l'applicabilità alla fattispecie del D.P.R. n. 388 del 1994, negata dall'autorità amministrativa, e per qualificare operazione di polizia giudiziaria la condotta, finalizzata a porre fine all'aggressione in atto, che aveva, poi, cagionato danni al ricorrente. 

L'affermazione che si legge nella sentenza in parola sull'analoga natura dell'intervento attuato da quest'ultimo, si deve ritenere fatta ad abundantiam, atteso che, come si è detto, il procedimento amministrativo che veniva in discussione in quella sede è esperibile anche dal cittadino che rimanga coinvolto negli interventi di ordine pubblico e subisca un danno, sicchè nessun rilievo assumeva, ai fini di quanto richiesto in quel giudizio, l'accertamento sulla sussistenza o meno di un rapporto di servizio fra la Pubblica Amministrazione ed il soggetto che si apprestava ad intervenire nell'operazione medesima. 

4. Una volta esclusa l'invocata efficacia preclusiva del giudicato esterno, si deve parimenti escludere che sussista eccesso di potere giurisdizionale, denunciato sotto il profilo dell'erronea negazione della giurisdizione del giudice amministrativo in una materia alla stessa riservata. 

Il D.P.R. n. 388 del 1994, atto di normazione secondaria, è stato adottato, ai sensi della L. n. 400 del 1988, art. 17, in forza del potere espressamente attribuito dalla L. 24 dicembre 1993 n. 537, art. 2, commi da 7 a 9, con il quale il legislatore ha consentito l'adozione di regolamenti volti a disciplinare tempi, modi e forme dei procedimenti amministrativi nelle materie indicate nell'elenco annesso alla stessa legge ed in quelle connesse. Le finalità dell'attribuzione del potere ed i criteri ai quali i regolamenti dovevano attenersi sono espressamente indicati nel comma 9 dell'art. 2, dalla cui lettura emerge che l'attività di normazione secondaria doveva restare limitata alla disciplina del procedimento, con l'intento di semplificarla, quanto alle fasi ed al numero delle amministrazioni intervenienti, di accelerarla e di pervenire alla regolazione uniforme di procedimenti dello stesso tipo o inerenti alle medesime attività. 

Ai criteri indicati si è attenuto il D.P.R. citato, con il quale è stata prevista la "semplificazione del procedimento di risarcimento dei danni provocati a persone e a cose a seguito di operazioni di polizia giudiziaria". 

Il regolamento, che nel preambolo richiama anche il R.d. 18 giugno 1931 n. 773, art. 7 (secondo cui nessun indennizzo è dovuto per i provvedimenti dell'autorità di pubblica sicurezza nell'esercizio delle facoltà ad essa attribuite dalla legge), prevede, in sintesi, che la richiesta di risarcimento dei danni debba essere inoltrata alla Questura o al Comando provinciale dell'Arma dei Carabinieri territorialmente competente, qualora le operazioni di polizia siano state condotte da quest'ultima. Espletata l'istruttoria, con l'acquisizione della documentazione elencata nell'art. 2, gli atti devono essere trasmessi alla Prefettura la quale, come prescrive l'art. 3 del decreto, provvede a verificare "la completezza della documentazione e la congruità della richiesta", ed a richiedere al competente servizio del Ministero dell'interno l'autorizzazione al pagamento o alla transazione. Precisa il comma 2 dell'art. 3 che per le richieste di risarcimento per importi superiori, all'epoca, a dieci milioni di lire le determinazioni della Prefettura devono essere precedute da due distinti pareri da richiedere, rispettivamente, all'Avvocatura dello Stato competente, quanto alla "fondatezza o meno della pretesa" ed alla "convenienza per l'amministrazione di addivenire ad una transazione", ed agli uffici indicati nella lettera b) (Ufficio Tecnico Erariale, Ufficio Motorizzazione dipendente dal Dipartimento della P.S., medico dei ruoli dei sanitari della Polizia di Stato, esperto in medicina legale) in relazione alla congruità della somma. Infine l'art. 4 riserva all'Ufficio competente del Ministero dell'Interno l'autorizzazione al pagamento o alla stipula dell'atto di transazione. 

Si tratta, quindi, di una disciplina che attiene unicamente alle forme ed ai termini del procedimento e che non deroga in alcun modo (nè poteva farlo trattandosi di atto di normazione secondaria da adottare nel rispetto dei criteri indicati dalla L. n. 537 del 1993) alle norme sostanziali che stabiliscono in quali casi ed in presenza di quali condizioni è possibile esperire l'azione di risarcimento del danno. 

Da ciò discende che qualora, come nella fattispecie, venga in rilievo un danno alla salute ed il procedimento amministrativo si concluda negativamente, l'azione risarcitoria sarà regolata dalla disciplina sostanziale sua propria, con l'ulteriore conseguenza che, quanto alla giurisdizione, la regola di riparto non potrà che essere quella generale secondo cui appartiene alla giurisdizione del giudice ordinario la domanda risarcitoria proposta dal privato nei confronti della Pubblica Amministrazione per i danni derivati da comportamenti che non si siano tradotti in atti autoritativi dell'amministrazione medesima (cfr. fra le più recenti in motivazione Cass. S.U. 19 aprile 2022 n. 12443; Cass. S.U. 27 luglio 2022 n. 23436; Cass. S.U. 12 novembre 2020 n. 25578; cfr. anche in relazione al danno alla salute Cass. S.U. 13 aprile 2023 n. 9837). 

4.1. Il ricorrente, per escludere l'applicabilità alla fattispecie del principio sopra richiamato, fa leva sul rapporto di impiego, di diritto pubblico, intercorrente con l'amministrazione resistente e sulla circostanza che egli, seppure libero dal servizio, nel momento in cui arrestava il mezzo condotto e si apprestava ad intervenire nell'operazione di polizia giudiziaria già in atto agiva nell'esercizio di una pubblica funzione ed in adempimento di uno specifico obbligo scaturente dal rapporto di impiego. 

Detto argomento, disatteso dal Consiglio di Stato, seppure in ipotesi fondato quanto alla qualificazione dell'attività resa, non è idoneo a far configurare il denunciato eccesso, giacchè anche per i rapporti di impiego pubblico rientranti nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, l'azione risarcitoria può essere attratta nell'ambito della cognizione esclusiva solo qualora abbia natura contrattuale e sia stata intentata nei confronti del datore di lavoro per violazione dell'obbligo di sicurezza su quest'ultimo gravante ex art. 2087 c.c.. 

E' stato affermato, infatti, da queste Sezioni Unite che la devoluzione della giurisdizione in ordine alla domanda di risarcimento danni per la lesione dell'integrità psico-fisica proposta da un pubblico dipendente in regime di diritto pubblico è strettamente connessa alla determinazione del petitum sostanziale giacchè, se è fatta valere la responsabilità contrattuale dell'ente datore di lavoro, la cognizione della domanda rientra nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, mentre se è stata dedotta la responsabilità extracontrattuale, la giurisdizione spetta al giudice ordinario. Al fine di accertare la natura dell'azione proposta occorre avere riguardo ai tratti propri dell'illecito, sicchè l'azione va qualificata extracontrattuale ove si sia in presenza di una condotta dell'amministrazione la cui idoneità lesiva possa esplicarsi indifferentemente nei confronti della generalità dei cittadini come nei confronti dei propri dipendenti, costituendo in tal caso il rapporto di lavoro mera occasione dell'evento dannoso; viceversa, qualora la condotta medesima si presenti con caratteri tali da escluderne qualsiasi incidenza nella sfera giuridica di soggetti ad essa non legati da rapporto di impiego, la natura contrattuale della responsabilità non può essere revocata in dubbio, poichè l'ingiustizia del danno non è configurabile se non come conseguenza della violazione delle obbligazioni che dal rapporto scaturiscono (Cass. S.U. 15 febbraio 2022 n. 4872; Cass. S.u. 21 dicembre 2028 n. 33211; Cass. S.U. 15 novembre 2016 n. 23228; Cass. S.U. 5 maggio 2014 n. 9573). 

Sulla base del richiamato principio, qui ribadito, va dunque escluso il denunciato eccesso di potere perchè nessun inadempimento contrattuale dell'amministrazione di appartenenza è stato dedotto dal ricorrente a fondamento dell'azione risarcitoria proposta e perchè l'illecito in relazione al quale il giudizio è stato instaurato (esplosione da parte di altri pubblici ufficiali di un colpo di arma da fuoco che ha attinto il ricorrente ancor prima che prendesse parte attiva all'operazione di polizia) presenta un'idoneità lesiva che poteva esplicarsi, con le medesime modalità, anche nei confronti di un qualsivoglia passante. 

5. In via conclusiva il ricorso deve essere rigettato. 

La complessità della vicenda processuale e la novità della questione giuridica attinente alla natura del procedimento disciplinato dal citato D.P.R. n. 388 del 1994, giustificano l'integrale compensazione delle spese del giudizio di cassazione. 

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. 24.12.12 n. 228, si deve dare atto, ai fini e per gli effetti precisati da Cass. S.U. 20 febbraio 2020 n. 4315, della ricorrenza delle condizioni processuali previste dalla legge per il raddoppio del contributo unificato, se dovuto dal ricorrente. 

P.Q.M. 

La Corte, a Sezioni Unite, rigetta il ricorso e compensa le spese del giudizio di cassazione. 

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla l. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso art. 13, se dovuto. 

Ai sensi del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52 andranno omesse in caso di diffusione le generalità e gli altri dati identificativi del ricorrente. 

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 12 settembre 2023. 

Depositato in Cancelleria il 18 ottobre 2023 


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