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domenica 25 febbraio 2024

Cassazione 2024- con la sentenza impugnata, per quanto qui interessa, è stata confermata la pronunzia del Tribunale di Milano con la quale era stata rigettata la domanda risarcitoria per "mobbing" o "straining" proposta da OMISSIS nei confronti della "OMISSISSpa";



Cass. civ. Sez. lavoro, Ord., (ud. 18/01/2024) 21-02-2024, n. 4629 

Fatto Diritto P.Q.M. 

REPUBBLICA ITALIANA 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE 

SEZIONE LAVORO CIVILE 

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: 

Dott. LEONE Margherita Maria - Presidente 

Dott. PONTERIO Carla - Consigliere 

Dott. PANARIELLO Francescopaolo - Consigliere 

Dott. CINQUE Guglielmo - Consigliere 

Dott. DI PAOLA LUIGI - Rel. Consigliere 

ha pronunciato la seguente 

ORDINANZA 

sul ricorso 28873-2022 proposto da: 

OMISSIS, elettivamente domiciliato in  

- ricorrente ¬ 

contro 

OMISSISSpa, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in  

- controricorrente ¬ 

avverso la sentenza n. 611/2022 della CORTE D'APPELLO di MILANO, depositata il 24/06/2022 R.G.N. 271/2022; 

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 18/01/2024 dal Consigliere Dott. LUIGI DI PAOLA. 

Svolgimento del processo 

1 con la sentenza impugnata, per quanto qui interessa, è stata confermata la pronunzia del Tribunale di Milano con la quale era stata rigettata la domanda risarcitoria per "mobbing" o "straining" proposta da OMISSIS nei confronti della "OMISSISSpa"; 

a sostegno della decisione il giudice del gravame, nel dichiarare inammissibili per genericità due delle tre censure formulate, ha in proposito affermato, da un lato, che il giudice di primo grado aveva esaminato ogni singola condotta che, secondo l'assunto attoreo, costituiva "mobbing" o "straining", nonché precisato le ragioni per le quali ciascuna di esse non potesse considerarsi persecutoria e/o discriminante e/o offensiva, evidenziando inoltre che, oltre a non esser stata provata la pretesa conflittualità del lavoratore con il capo area dello Store Milano-Linate, sig. OMISSIS, le asserzioni del lavoratore medesimo, tra cui una richiesta, rimasta inevasa, di corretto inquadramento, non inficiavano il percorso motivazionale della pronunzia, ben più articolato e non specificamente aggredito dall'appellante; dall'altro lato, ha rilevato che l'unico evento riferito "de relato" da una teste, concernente un atteggiamento inquisitorio tenuto dal predetto capo area nei confronti del lavoratore, non poteva integrare la dedotta fattispecie di "mobbing" o di "straining", dovendosi per di più tenere conto della circostanza che anche il rapporto professionale con gli altri dipendenti addetti al punto vendita non era improntato al garbo ed alla cordialità; 

per la cassazione della decisione ha proposto ricorso OMISSIS, affidato ad un articolato motivo; 

la "OMISSISSpa" ha resistito con controricorso; 

il P.G. non ha formulato richieste; 

chiamata la causa all'adunanza camerale del 18 gennaio 2024, il Collegio ha riservato il deposito dell'ordinanza nel termine di giorni sessanta (art. 380 bis 1, secondo comma, c.p.c.). 

CONSIDERATO CHE: 

con l'unico motivo, OMISSIS - denunciando erronea e falsa applicazione dell'art. 2087 OMISSIS, in relazione all'art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c. - si duole che il giudice di appello - a fronte di ripetute comunicazioni con le quali esso ricorrente aveva chiesto, senza ricevere riscontro, di essere ascoltato in merito alla posizione di "store manager" ricoperta dal giugno 2017 e di conseguire il giusto inquadramento contrattuale, nonché di poter trattare le altre questioni del negozio, venendo di fatto progressivamente isolato, ostacolato, prevaricato e umiliato dal capo area sig. OMISSIS persino di fronte ai clienti ed altre colleghe - non abbia riconosciuto il "mobbing" o lo "straining", riaffermando, sulla scorta di quanto già ritenuto dal giudice di primo grado, che sussisteva solo una generica difficoltà nell'organizzare un incontro per discutere le dedotte problematiche; 

lamenta, inoltre, che il predetto giudice - anche richiamando il passo della sentenza del Tribunale in cui era affermato che "in relazione all'episodio di cui al punto n. 14 del ricorso, non si evince dalla documentazione in atti (...) che la mancata autorizzazione del permesso del 5.1.2019 fosse legata a ragioni di ostilità nei confronti dell'attore, tenuto conto che l'area manager aveva autorizzato il permesso per il 28.12.2018 e aveva giustificato la mancata autorizzazione del 5.1.2019 in quanto "primo giorno di saldi"" - abbia interpretato tutti gli episodi di cui era stato protagonista il predetto capo area, dal 2018 in avanti, senza inquadrarli quali dirette azioni del mancato inquadramento iniziale, benché si evincesse dal contenuto delle comunicazioni degli episodi in questione che il medesimo imponeva con intento esclusivamente afflittivo al lavoratore "tutte le scelte dei turni di lavoro e di modifica di permessi e ferie richieste o già in precedenza autorizzati"; 

censura, infine, la sentenza nella parte in cui, valutando le risultanze istruttorie testimoniali dell'udienza in data 27 aprile 2021, ha deciso in merito all'episodio accaduto in data 24 luglio 2019 - allorquando il sig. OMISSIS, visto l'approssimarsi del trasferimento del lavoratore al punto vendita di Bergamo e la chiusura dell'aeroporto di Linate, si era presentato al negozio per la riconsegna del badge e delle chiavi - omettendo di rilevare che nell'ordinanza istruttoria del 17 dicembre 2020 il Tribunale aveva limitato i testi indicati dal lavoratore, nonché di considerare che la teste OMISSIS aveva dichiarato che il sig. OMISSIS aveva un fare minaccioso e dava spesso chiaramente a vedere che non sopportava il sig. Losito, anche nel negozio davanti ai clienti; peraltro, altra teste aveva dichiarato, sia pur "de relato", che il capo area si era rivolto al lavoratore con tono inquisitorio; senza contare, infine, che le risultanze della relazione medico-legale dell'Ospedale Maggiore di Milano-Medicina del Lavoro del 22 maggio 2019 costituivano conferma del contesto afflittivo e "stressogeno" a cui era sottoposto il lavoratore. 

Motivi della decisione 

il motivo va disatteso, poiché - lungi dal denunziare, nella sostanza, un errore di diritto - si risolve in una censura di errato apprezzamento dei fatti e delle prove ad opera del giudice di merito, in netto contrasto con l'orientamento secondo cui "Il ricorrente per cassazione non può rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l'apprezzamento in fatto dei giudici del merito, tratto dall'analisi degli elementi di valutazione disponibili ed in sé coerente, atteso che l'apprezzamento dei fatti e delle prove è sottratto al sindacato di legittimità, in quanto, nell'ambito di quest'ultimo, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l'esame e la valutazione del giudice di merito, a cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e, all'uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra esse, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione» (così, da ultimo, Cass. 22 novembre 2023, n. 32505); 

segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese, liquidate come in dispositivo; 

ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso art. 13, se dovuto. 

P.Q.M. 

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in Euro 4.500,00 per compensi e in Euro 200,00 per esborsi, oltre 15% per spese generali e accessori di legge. 

Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali 

per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto. 

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 18 gennaio 2024. 

Depositata in Cancelleria il 21 febbraio 2024. 


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