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lunedì 8 gennaio 2024

Cassazione 2024-I sacerdoti ricevono la remunerazione dagli enti ecclesiastici presso i quali esercitano il ministero, in osservanza delle norme stabilite dal Vescovo diocesano, sentito il Consiglio presbiterale (art. 33, lettera a, della legge n. 222 del 1985).

 Cassazione 2024-I sacerdoti ricevono la remunerazione dagli enti ecclesiastici presso i quali esercitano il ministero, in osservanza delle norme stabilite dal Vescovo diocesano, sentito il Consiglio presbiterale (art. 33, lettera a, della legge n. 222 del 1985).


Cass. civ. Sez. IV, Sent., (ud. 10/10/2023) 04-01-2024, n. 220 

Fatto Diritto P.Q.M. 

REPUBBLICA ITALIANA 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE 

SEZIONE QUARTA CIVILE 

Composta dagli Ill.mi Signori Magistrati: 

Dott. BERRINO Umberto - Presidente 

Dott. MANCINO Rossana - Consigliere 

Dott. MARCHESE Gabriella - Consigliere 

Dott. CALAFIORE Daniela - Consigliere 

Dott. CERULO Angelo - Consigliere Rel. 

ha pronunciato la seguente 

SENTENZA 

sul ricorso 13624-2021 proposto da: 

OMISSIS, rappresentato e difeso, in virtù di procura rilasciata in calce al ricorso per cassazione, dall'avvocato  

- ricorrente - 

contro 

ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE (INPS), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso, in forza di procura conferita in calce al controricorso, dagli avvocati MANUELA MASSA, CLEMENTINA PULLI, PATRIZIA CIACCI, con domicilio eletto presso l'Avvocatura centrale dell'Istituto, in ROMA, VIA CESARE BECCARIA, 29 

- controricorrente - 

per la cassazione della sentenza n. 3109 del 2020 della CORTE D'APPELLO DI NAPOLI, depositata il 9 novembre 2020 (R.G.N. 2049/2019). 

Udita la relazione della causa, svolta in udienza dal Consigliere Angelo Cerulo. 

Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale MARIO FRESA, che ha concluso per l'accoglimento del ricorso. 

Udito, per il ricorrente, l'avvocato CARLO ROSA, che ha chiesto l'accoglimento del ricorso. 

Udito, per il controricorrente, l'avvocato MANUELA MASSA, che ha insistito per l'accoglimento delle conclusioni rassegnate nel controricorso. 

Svolgimento del processo 

1. Con sentenza n. 3109 del 2020, depositata il 9 novembre 2020, la Corte d'appello di Napoli ha respinto il gravame del signor OMISSIS e, per l'effetto, ha confermato la pronuncia del Tribunale di Benevento, che ha rigettato la richiesta di dichiarare illegittima la revoca dell'assegno d'invalidità, disposta nel dicembre 2015 per ragioni di reddito, connesse con la remunerazione percepita in qualità di sacerdote. 

A fondamento della decisione, la Corte territoriale ha argomentato che l'appellante non può vantare alcun diritto alla prestazione assistenziale, in ragione della conclamata e non contestata insussistenza del requisito reddituale di legge2 (pagina 2 della sentenza impugnata). 

Nella specie, invero, si deve avere riguardo anche alla remunerazione che spetta all'appellante alla stregua dell'art. 24 della legge 20 maggio 1985, n. 222, equiparata ai fini IRPEF a redditi di lavoro dipendente e dunque computabile ai fini del diritto alle prestazioni riservate agl'invalidi civili, in difetto di previsioni di diverso tenore. 

2. Il signor OMISSIS impugna per cassazione la sentenza della Corte d'appello di Napoli, con ricorso notificato il 4 maggio 2021 e affidato a due motivi. 

3. L'INPS resiste con controricorso, notificato il 4 giugno 2021. 

4. Il ricorso è stato fissato per la trattazione alla pubblica udienza del 10 ottobre 2023. 

5. Il Pubblico Ministero ha depositato una memoria prima dell'udienza (art. 378, primo comma, cod. proc. civ.) e ha chiesto di accogliere il ricorso. 

Motivi della decisione 

1. Con il primo motivo (art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.), il ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione degli artt. 12 e 13 della legge 30 marzo 1971, n. 118, in relazione agli artt. 24, 25, 33, lettera a), e 34 della legge n. 222 del 1985. 

Avrebbe errato la Corte di merito nel pretermettere la natura assistenziale della remunerazione corrisposta ai sacerdoti e nel reputarla rilevante ai fini dell'osservanza dei limiti di reddito vigenti per la concessione dell'assegno d'invalidità civile. 

2. Con il secondo mezzo (art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.), il ricorrente censura la violazione e/o la falsa applicazione dell'art. 50, comma 1, lettera d), del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, in relazione agli artt. 24, 25, 33, lettera a), e 34 della legge n. 222 del 1985. 

La sentenza impugnata sarebbe erronea, inoltre, in quanto l'equiparazione della sustentatio clericalis ai redditi da lavoro dipendente varrebbe ai soli fini fiscali, senza mutare la natura assistenziale dell'assegno alimentare erogato al sacerdote. Ne consegue che tale assegno non sarebbe computabile ai fini dei redditi rilevanti per l'erogazione dell'assegno d'invalidità, in coerenza con gli artt. 2 e 38 Cost. 

3. I motivi, per la connessione che li unisce, possono essere scrutinati congiuntamente. 

Essi sono infondati. 

4. Ai fini dell'inquadramento della questione controversa, occorre ricostruire, nei suoi tratti salienti, la disciplina applicabile, per quel che concerne, da un canto, i requisiti di reddito che condizionano l'erogazione dell'assegno mensile di cui all'art. 13 della legge n. 118 del 1971 e, dall'altro, le prestazioni corrisposte al clero. 

4.1. Quanto al primo profilo, l'art. 13, primo comma, della legge n. 118 del 1971 prevede l'erogazione di un assegno mensile di euro 242,84 per tredici mensilità, con le stesse condizioni e modalità previste per l'assegnazione della pensione di cui all'articolo 122. 

L'art. 12, secondo comma, della legge n. 118 del 1971, cui la disciplina dell'assegno d'invalidità fa richiamo, rinvia, quanto alle condizioni economiche per la concessione della pensione d'inabilità, a quelle stabilite dall'art. 26 della legge 30 aprile 1969, n. 153, sulla revisione degli ordinamenti pensionistici. 

A sua volta, l'art. 26, primo comma, della legge n. 153 del 1969, nel regolare i presupposti per il riconoscimento della pensione sociale, così stabilisce: 2 Ai cittadini italiani, residenti nel territorio nazionale, che abbiano compiuto l'età di 65 anni, che posseggano redditi propri assoggettabili all'imposta sul reddito delle persone fisiche per un ammontare non superiore a lire 336.050 annue e, se coniugati, un reddito, cumulato con quello del coniuge, non superiore a lire. 1.320.000 annue è corrisposta, a domanda, una pensione sociale non riversibile di lire 336.050 annue da ripartirsi in 13 rate mensili di lire 25.850 annue ciascuna. La tredicesima rata è corrisposta con quella di dicembre ed è frazionabile. Non si provvede al cumulo del reddito con quello del coniuge nel caso di separazione legale2. 

L'art. 26, secondo comma, della legge n. 153 del 1969 puntualizza che dal computo del reddito suindicato sono esclusi gli assegni familiari ed il reddito della casa di abitazione. 

4.2. Quanto al secondo aspetto delle prestazioni erogate al clero, vengono in rilievo, anzitutto, le previsioni dettate dalla legge n. 222 del 1985, che reca Disposizioni sugli enti e beni ecclesiastici in Italia e per il sostentamento del clero cattolico in servizio nelle diocesi e recepisce la disciplina degli enti e beni ecclesiastici e del sostentamento del clero, delineata dal Protocollo di Roma del 15 novembre 1984 tra la Santa Sede e la Repubblica Italiana, ratificato con la legge 20 maggio 1985 n. 206. Nella legge n. 222 del 1985, in particolare, è trasfuso il testo redatto da un'apposita Commissione paritetica, con i successivi emendamenti. 

In virtù dell'art. 24, comma 1, della legge n. 222 del 1985, 2Dal 1° gennaio 1987 ogni Istituto provvede, in conformità allo statuto, ad assicurare, nella misura periodicamente determinata dalla Conferenza episcopale italiana, il congruo e dignitoso sostentamento del clero che svolge servizio in favore della diocesi, salvo quanto previsto dall'articolo 512. 

I sacerdoti ricevono la remunerazione dagli enti ecclesiastici presso i quali esercitano il ministero, in osservanza delle norme stabilite dal Vescovo diocesano, sentito il Consiglio presbiterale (art. 33, lettera a, della legge n. 222 del 1985). 

Qualora i proventi così ricevuti non raggiungano 2la misura determinata dalla Conferenza episcopale italiana a norma dell'articolo 24, primo comma, supplisce l'Istituto diocesano per il sostentamento del clero, che 2stabilisce la integrazione spettante, dandone comunicazione all'interessato (art. 34, comma 1, della legge n. 222 del 1985). 

L'art. 25, comma 1, della legge n. 222 del 1985 equipara la remunerazione spettante al clero, ai sensi degli artt. 24, 33, lettera a, e 34, al reddito da lavoro dipendente, 2ai soli fini fiscali2. 

Tale equiparazione è confermata dall'art. 50, comma 1, lettera d), del D.P.R. n. 917 del 1986, che, per le remunerazioni in esame, prevede che siano "assimilate" ai redditi da lavoro dipendente. 

5. Questa Corte ha affermato che occorre considerare il reddito imponibile e, pertanto, secondo la formulazione dell'art. 3 del D.P.R. n. 917 del 1986, la base imponibile da assoggettare a tassazione IRPEF, ai fini del riconoscimento della pensione d'invalidità civile, che rappresenta il paradigma di riferimento, quanto ai requisiti reddituali, anche per l'assegno mensile di cui all'art. 13 della legge n. 118 del 1971. 

La base imponibile è costituita dal reddito complessivo del contribuente al netto degli oneri deducibili indicati nell'art. 10 del medesimo Testo unico (tra gli altri, le spese mediche, gli assegni periodici corrisposti al coniuge legalmente separato, i contributi). 

Invero, la funzione della prestazione assistenziale di sostegno, destinata a sovvenire a una situazione di bisogno, impone di fare riferimento al reddito nell'effettiva disponibilità di chi richieda la prestazione, in carenza di previsioni di segno diverso (Cass., sez. lav., 25 ottobre 2016, n. 21529). 

6. Il dato normativo è inequivocabile nel conferire rilievo al reddito assoggettato a tassazione ai fini dell'imposta sul reddito delle persone fisiche (art. 26 della legge n. 153 del 1969, richiamato dall'art. 13 della legge n. 118 del 1971, per il tramite del rinvio all'art. 12 della legge n. 118 del 1971) e nell'enucleare tassative ipotesi di esclusione e di deroga, correlate a situazioni che il legislatore reputa meritevoli di speciale considerazione. 

Quel che rileva è, dunque, l'indice formale dell'assoggettamento all'imposta sul reddito delle persone fisiche. 

Alla disciplina in esame si deve avere esclusivo riguardo, poiché adempie alla precipua finalità di definire le condizioni economiche necessarie per accedere alla prestazione dedotta in causa. 

La legge, nel suo univoco tenore letterale, che si configura come elemento ermeneutico primario (art. 12 delle preleggi), non postula un'indagine sulla finalità e sulle caratteristiche del singolo provento, demandata a un mutevole apprezzamento casistico. 

Al fine di fugare ogni dubbio e di salvaguardare l'uniforme applicazione di una disciplina che garantisce prestazioni fondamentali, il dettato testuale valorizza un parametro oggettivo, che non si presta a valutazioni discrezionali. 

La correlazione con un indice eminentemente formale, plausibile nella valenza significativa che il legislatore gli annette, obbedisce all'esigenza di delimitare le situazioni meritevoli di tutela e attua un bilanciamento non irragionevole tra i contrapposti interessi, senza comprimere in modo arbitrario e sproporzionato i diritti presidiati dall'art. 38 Cost. 

7. Tali premesse avvalorano la conformità a diritto della pronuncia impugnata. 

La remunerazione spettante al clero è riconducibile a pieno titolo al reddito rilevante ai fini dell'IRPEF, in conseguenza dell'assimilazione ai redditi da lavoro dipendente sancita dalla normativa speciale di cui alla legge n. 222 del 1985 (art. 25) e ribadita dalla disciplina generale del Testo unico delle imposte sui redditi (art. 50, comma 1, lettera d). 

Come rimarca la Corte territoriale, la rilevanza di tale remunerazione non è neppure contraddetta da disposizioni speciali, che deroghino ex professo alla normativa generale. 

8. Ne giova opporre che l'equiparazione ai redditi da lavoro dipendente è circoscritta ai fini fiscali, in quanto è proprio la normativa fiscale, con l'individuazione del reddito tassato ai fini dell'IRPEF, ad assurgere a pietra di paragone per la definizione dei requisiti economici prescritti dalla legge per accedere all'assegno mensile. 

9. Alla luce del nesso che intercorre tra il reddito assoggettato a tassazione IRPEF e il reddito rilevante ai fini della concessione dell'assegno mensile, non rivestono rilievo decisivo, in senso contrario, i principi enunciati da questa Corte in tema di prestazione integrativa a carico dell'Istituto ecclesiastico (Cass., sez. lav., 27 maggio 1996, n. 4871 e, nel medesimo senso, Cass., sez. lav., 5 dicembre 2019, n. 31840). 

Questa Corte, nei precedenti richiamati nella memoria del Procuratore Generale, ha negato che tale integrazione si configuri come corrispettivo del servizio ministeriale. Essa persegue, difatti, la diversa finalità di assicurare il trattamento minimo stabilito dalla Conferenza episcopale italiana quale adeguato sostentamento e presenta, pertanto, la struttura e la funzione di una prestazione assistenziale. 

Tuttavia, tale funzione assistenziale, posta in risalto ad altri fini e in un diverso contenzioso, non può elidere il dato normativo che, con valenza generale, regola la definizione dei redditi rilevanti, senza far leva sulla funzione insita nei proventi di volta in volta conseguiti. 

10. Per le ragioni esposte, il ricorso dev'essere, dunque, respinto, in applicazione del seguente principio di diritto: 2Ai fini dell'erogazione dell'assegno mensile disciplinato dall'art. 13 della legge 30 marzo 1971, n. 118, occorre tener conto della remunerazione corrisposta per il sostentamento del clero, ai sensi degli artt. 24, 33, lettera a), e 34, comma 1, della legge 20 maggio 1985, n. 222, in quanto equiparata, a fini fiscali, al reddito da lavoro dipendente e dunque computabile nella valutazione delle condizioni economiche prescritte per accedere alla prestazione in esame, in difetto di previsioni di diverso tenore. 

11. Occorre statuire sulle spese del presente giudizio, in quanto, nel ricorso (pagine 10 e 11), non si dà conto, riguardo al presente giudizio, di una rituale dichiarazione ai sensi dell'art. 152 disp. att. cod. proc. civ. 

Le spese possono essere integralmente compensate, per la novità delle questioni dibattute, che sottendono un problema interpretativo non ancora scandagliato dalla giurisprudenza di questa Corte. 

12. L'integrale rigetto del ricorso, proposto dopo il 30 gennaio 2013, impone di dare atto dei presupposti per il sorgere dell'obbligo del ricorrente di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la stessa impugnazione, ove sia dovuto (Cass., S.U., 20 febbraio 2020, n. 4315). 

13. A tutela dei diritti del ricorrente, in considerazione dell'attinenza della controversia a dati inerenti, in pari tempo, alla salute e alle convinzioni religiose, si deve disporre, in caso di riproduzione in qualsiasi forma della presente sentenza, l'omissione delle generalità e degli altri dati identificativi del ricorrente, ai sensi dell'art. 52, comma 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196. 

P.Q.M. 

La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese. 

Dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la stessa impugnazione, a norma del comma 1-bis dell'art. 13 del D.P.R. n. 115 del 2002, ove dovuto. 

Dispone, in caso di riproduzione in qualsiasi forma della presente sentenza, l'omissione delle generalità e degli altri dati identificativi della parte ricorrente, ai sensi dell'art. 52, comma 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196. 

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Quarta Sezione civile del 10 ottobre 2023. 

Depositato in Cancelleria il 4 gennaio 2024. 


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