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domenica 10 aprile 2011
Omicidio Roma: Silp Cgil, problema no immigrati é criminalità
OMICIDIO ROMA:SILP-CGIL,PROBLEMA NO IMMIGRATI E'CRIMINALITA'
(ANSA) - ROMA, 10 APR - ''Se si pensasse di piu' ai problemi
reali di Roma e non alla rincorsa quotidiana degli immigrati e
delle prostitute, forse i problemi si potrebbero affrontare
diversamente. Cogliamo l'occasione per chiedere nuovamente un
confronto sul tavolo della legalita''': lo dichiarano i
segretari generali del sindacato di polizia (Silp) della Cgil di
Roma e Lazio, Gianni Ciotti e Cosmo Bianchini, in relazione
all'omicidio di un imprenditore avvenuto due giorni fa a Roma.
''Non conosciamo ancora l'esito delle indagini sul delitto di
Prati - aggiungono - e siamo fiduciosi e rispettosi
dell'attivita' di magistrati e organi inquirenti, ma che oggi il
problema della criminalita' organizzata esista a Roma e' sotto
gli occhi di tutti, e' inutile che il delegato Ciardi dichiari
che Roma e' una citta' sicura se poi succedono queste cose in
pieno centro''. (ANSA).
YJ4-TZ
10-APR-11 15:35 NNNN
(ANSA) - ROMA, 10 APR - ''Se si pensasse di piu' ai problemi
reali di Roma e non alla rincorsa quotidiana degli immigrati e
delle prostitute, forse i problemi si potrebbero affrontare
diversamente. Cogliamo l'occasione per chiedere nuovamente un
confronto sul tavolo della legalita''': lo dichiarano i
segretari generali del sindacato di polizia (Silp) della Cgil di
Roma e Lazio, Gianni Ciotti e Cosmo Bianchini, in relazione
all'omicidio di un imprenditore avvenuto due giorni fa a Roma.
''Non conosciamo ancora l'esito delle indagini sul delitto di
Prati - aggiungono - e siamo fiduciosi e rispettosi
dell'attivita' di magistrati e organi inquirenti, ma che oggi il
problema della criminalita' organizzata esista a Roma e' sotto
gli occhi di tutti, e' inutile che il delegato Ciardi dichiari
che Roma e' una citta' sicura se poi succedono queste cose in
pieno centro''. (ANSA).
YJ4-TZ
10-APR-11 15:35 NNNN
PATENTE SOSPESA A GAY: MINISTERI CONDANNATI ANCHE IN APPELLO
PATENTE SOSPESA A GAY: MINISTERI CONDANNATI ANCHE IN APPELLO
GIUDICI RIDUCONO DI 80MILA EURO DANNO, LUI RICORRE IN CASSAZIONE
(ANSA) - CATANIA, 10 APR - I ministeri della Difesa e dei
Trasporti dovranno versare 20 mila euro come risarcimento danni
a Danilo Giuffrida, 28 anni, nei cui confronti fu avviato l'iter
di sospensione della patente di guida dopo che alla visita di
leva aveva rivelato di essere omosessuale. Lo ha deciso la Corte
d'appello civile di Catania che ha confermato la sentenza di
primo grado emessa nel luglio del 2008, ma ha ridotto di 80 mila
euro il risarcimento che inizialmente era stato fissato in 100
mila euro.
Contro questa decisione ha presentato ricorso in cassazione
il legale di Danilo Giuffrida, l'avvocato Giuseppe Lipera,
chiedendo l'annullamento della sentenza di secondo grado, con
rinvio a altra Corte d'appello per ''omessa motivazione,
illogita' e erroneita' nella quantificazione del danno morale''.
La vicenda prese avvio dalla visita di leva. Ai medici di
Augusta Giuffrida dichiaro' la sua omosessualita'. L' ospedale
militare informo' la Motorizzazione civile che il giovane non
era in possesso dei ''requisiti psicofisici richiesti'' e gli
sospese la patente di guida in attesa di una revisione
all'idoneita'. Giuffrida, tramite l'avvocato Giuseppe Lipera,
presento' ricorso al Tar di Catania che sospese il provvedimento
osservando che l'omosessualita' ''non puo' considerarsi una
malattia psichica''. (ANSA).
TR
10-APR-11 12:02 NNNN
GIUDICI RIDUCONO DI 80MILA EURO DANNO, LUI RICORRE IN CASSAZIONE
(ANSA) - CATANIA, 10 APR - I ministeri della Difesa e dei
Trasporti dovranno versare 20 mila euro come risarcimento danni
a Danilo Giuffrida, 28 anni, nei cui confronti fu avviato l'iter
di sospensione della patente di guida dopo che alla visita di
leva aveva rivelato di essere omosessuale. Lo ha deciso la Corte
d'appello civile di Catania che ha confermato la sentenza di
primo grado emessa nel luglio del 2008, ma ha ridotto di 80 mila
euro il risarcimento che inizialmente era stato fissato in 100
mila euro.
Contro questa decisione ha presentato ricorso in cassazione
il legale di Danilo Giuffrida, l'avvocato Giuseppe Lipera,
chiedendo l'annullamento della sentenza di secondo grado, con
rinvio a altra Corte d'appello per ''omessa motivazione,
illogita' e erroneita' nella quantificazione del danno morale''.
La vicenda prese avvio dalla visita di leva. Ai medici di
Augusta Giuffrida dichiaro' la sua omosessualita'. L' ospedale
militare informo' la Motorizzazione civile che il giovane non
era in possesso dei ''requisiti psicofisici richiesti'' e gli
sospese la patente di guida in attesa di una revisione
all'idoneita'. Giuffrida, tramite l'avvocato Giuseppe Lipera,
presento' ricorso al Tar di Catania che sospese il provvedimento
osservando che l'omosessualita' ''non puo' considerarsi una
malattia psichica''. (ANSA).
TR
10-APR-11 12:02 NNNN
Consulta ...Con ordinanza del 2 dicembre 2009 (r.o. n. 282 del 2010), il Giudice di pace di Verona ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 23, 27 e 117, primo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 168, comma 10, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), che estende alle sanzioni amministrative per le violazioni della «disciplina del trasporto su strada dei materiali pericolosi» la previsione del precedente art. 167, comma 9, in forza della quale le sanzioni «si applicano sia al conducente che al proprietario del veicolo, nonché al committente, quando si tratta di trasporto eseguito per suo conto esclusivo». ...
SENTENZA N. 118
ANNO 2011
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori: Presidente: Ugo DE SIERVO; Giudici : Paolo MADDALENA, Alfio FINOCCHIARO, Alfonso QUARANTA, Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI, Giorgio LATTANZI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 168, comma 10, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), promosso dal Giudice di pace di Verona nel procedimento vertente tra la Nobel Sport Martignoni s.p.a. e il Ministero dell’Interno con ordinanza del 2 dicembre 2009, iscritta al n. 282 del registro ordinanze 2010 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 40, prima serie speciale, dell’anno 2010.
Visti l’atto di costituzione della Nobel Sport Martignoni s.p.a. nonchè gli atti di intervento dell’A.N.P.A.M. (Associazione Nazionale Produttori Armi e Munizioni) e del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 23 febbraio 2011 il Giudice relatore Giuseppe Frigo;
uditi l’avvocato Giovanni Serges per la Nobel Sport Martignoni s.p.a. e l’avvocato dello Stato Chiarina Aiello per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1. – Con ordinanza del 2 dicembre 2009 (r.o. n. 282 del 2010), il Giudice di pace di Verona ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 23, 27 e 117, primo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 168, comma 10, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), che estende alle sanzioni amministrative per le violazioni della «disciplina del trasporto su strada dei materiali pericolosi» la previsione del precedente art. 167, comma 9, in forza della quale le sanzioni «si applicano sia al conducente che al proprietario del veicolo, nonché al committente, quando si tratta di trasporto eseguito per suo conto esclusivo».
Il rimettente riferisce di essere investito del giudizio di opposizione a processo verbale di accertamento e contestazione di violazione amministrativa proposto da una società, quale «committente esclusivo» di un trasporto su strada di merci pericolose: trasporto in relazione al quale identica contestazione era stata elevata, a seguito di controllo della polizia stradale, anche nei confronti del conducente e del proprietario del veicolo. Di qui la rilevanza della questione, la quale inciderebbe sulla stessa «legittimità [della] identificazione dei soggetti passivi della verbalizzazione».
Quanto alla non manifesta infondatezza, il rimettente deduce, innanzitutto, il contrasto della disposizione censurata con il principio di personalità della responsabilità, enunciato in rapporto alle sanzioni amministrative dall’art. 3 della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale) e che – secondo il giudice a quo – costituirebbe espressione dell’analogo principio sancito, in materia penale, dall’art. 27 Cost.
L’art. 168, comma 10, cod. strada sottoporrebbe, infatti, a sanzione il proprietario del mezzo e il «committente esclusivo» a titolo di responsabilità oggettiva, non essendo le violazioni in alcun modo imputabili ai predetti soggetti, privi di qualsiasi «facoltà» di effettuare controlli sulle modalità di esercizio del trasporto.
In particolare, il committente si limiterebbe a rivolgersi a un professionista abilitato al trasporto di merci pericolose e dotato di mezzi omologati a tal fine: il che gli consentirebbe – anche in forza dei principi di affidamento del pubblico e della clientela, sanciti dall’art. 5, comma 1, del d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 30 (Ricognizione dei princìpi fondamentali in materia di professioni, ai sensi dell’articolo 1 della legge 5 giugno 2003, n. 131) – di confidare nel rispetto della normativa vigente e nell’esecuzione della prestazione secondo le regole della buona tecnica. Il committente non potrebbe essere, pertanto, chiamato a rispondere delle conseguenze negative derivanti dall’inadempimento del professionista, in relazione al quale sarebbe piuttosto il soggetto danneggiato.
Sanzionando soggetti ai quali l’infrazione stradale non è addebitabile, la norma censurata violerebbe anche il principio di ragionevolezza.
Al riguardo, il rimettente rileva come la disposizione in esame si differenzi da quella dall’art. 196, comma 1, cod. strada, che, sulla falsariga di quanto previsto nell’art. 6 della legge n. 689 del 1981, stabilisce che «per le violazioni punibili con sanzione amministrativa pecuniaria il proprietario del veicolo […] è obbligato in solido con l’autore della violazione al pagamento della somma da questi dovuta»: regola generale la cui ratio – come chiarito dalla giurisprudenza costituzionale – risiede nella duplice necessità di evitare che numerose norme sulla circolazione stradale restino eluse e che i danneggiati da sinistri stradali possano non ottenere il giusto risarcimento. Di contro, l’art. 168, comma 10, cod. strada configurerebbe in capo al proprietario del mezzo e al «committente esclusivo» del trasporto una responsabilità, non solidale e alternativa, ma «parallela» e per fatto altrui: assetto da reputare privo di razionale giustificazione, poiché il responsabile materiale della violazione risulterebbe «già necessariamente individuato» e nessuna norma rischierebbe di venire elusa. Ciò, senza considerare che – proprio perché si tratta di responsabilità distinte e non solidali – la possibile coincidenza tra le varie figure sanzionate potrebbe determinare «la paradossale evenienza che un soggetto, seppure responsabile, venga sanzionato due volte per il medesimo fatto».
Un ulteriore profilo di violazione dell’art. 3 Cost., per trattamento differenziato di situazioni uguali, si connetterebbe alla circostanza che la norma censurata sottoponga a sanzione il solo committente «in via esclusiva». Nella grande maggioranza dei casi, infatti, il committente non è in grado di controllare se i propri prodotti vengano trasportati da soli o insieme a quelli di altri committenti: con la conseguenza che l’elemento differenziale, ai fini dell’assoggettabilità a sanzione, non rientrerebbe nella «disponibilità» dell’interessato. La stessa distinzione tra committente in via esclusiva o meno apparirebbe, d’altra parte, irragionevole, «dal momento che tutti i committenti usufruiscono di un medesimo servizio».
Sarebbe, altresì, violato l’art. 117, primo comma, Cost., per inadempimento di obblighi internazionali e mancato rispetto dei vincoli «di omogeneità e di parità di trattamento di tutti i cittadini europei derivanti dall’ordinamento comunitario». La disciplina dettata dalla disposizione censurata risulterebbe, infatti, non conforme all’Accordo europeo relativo al trasporto internazionale su strada delle merci pericolose (ADR), concluso a Ginevra il 30 settembre 1957, ratificato e reso esecutivo in Italia con legge 12 agosto 1962, n. 1839, successivamente recepito anche in ambito comunitario (in particolare, con la direttiva n. 94/55/CE, ora sostituita dalla direttiva n. 2008/68/CE). Il citato Accordo contemplerebbe, infatti, nelle sezioni 1.4.2 e 1.4.3 dell’allegato A, una dettagliata ripartizione delle responsabilità tra i diversi soggetti coinvolti nelle operazioni di trasporto (speditore, trasportatore, destinatario, caricatore, riempitore, imballatore), della quale l’art. 168, comma 10, cod. strada non avrebbe tenuto affatto conto.
Ne deriverebbe una concorrente lesione dell’art. 3 Cost. per difetto di «coerenza interna dell’ordinamento giuridico», ove si consideri che lo stesso art. 168 cod. strada, ai commi da 7 a 9-ter, delinea un sistema sanzionatorio volto a garantire proprio il rispetto dell’Accordo ADR, specificamente richiamato dal comma 1.
Risulterebbe leso, per altro verso, l’art. 23 Cost., giacché, nel comminare una sanzione a carattere «patrimoniale» nei confronti di soggetti esenti da ogni responsabilità, la norma denunciata oltrepasserebbe i limiti del legittimo «esercizio del potere impositivo attribuito allo Stato […] dal parametro in parola».
Irragionevole risulterebbe, infine, l’estensione al trasporto delle merci pericolose della disciplina sanzionatoria relativa all’eccesso di carico dei veicoli adibiti al trasporto di cose, cui si riferisce il richiamato art. 167, comma 9, cod. strada. In quest’ultima ipotesi, infatti, la responsabilità del «committente esclusivo», almeno sotto il profilo della culpa in vigilando, potrebbe essere fatta discendere dalla circostanza che egli è a conoscenza della quantità di merce trasportata e, quindi, dell’eventuale sovraccarico del veicolo, dal quale potrebbe trarre vantaggio in termini di risparmio di spesa dovuto all’utilizzazione di un singolo mezzo di trasporto. Al contrario, nel caso di trasporto di merci pericolose, il committente non acquisirebbe alcun vantaggio dalla violazione delle norme sulla sicurezza del trasporto, ma ne sarebbe danneggiato, dal momento che i beni di sua proprietà verrebbero messi in pericolo. D’altro canto, egli non avrebbe alcuna possibilità di effettuare i controlli necessari sui mezzi utilizzati e sulle loro dotazioni nel corso dell’intero viaggio. Da ciò conseguirebbe la violazione del principio di eguaglianza, perché la norma disporrebbe un trattamento uguale di situazioni differenti.
2. – È intervenuto nel giudizio di costituzionalità il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, il quale ha chiesto che la questione sia dichiarata non fondata.
Ad avviso della difesa dello Stato, la norma in esame andrebbe coordinata con la nuova disciplina in materia di autotrasporto introdotta dal d.lgs. 21 novembre 2005 n. 286 (Disposizioni per il riassetto normativo in materia di liberalizzazione regolata dell’esercizio dell’attività di autotrasportatore), disciplina che ruota intorno al principio della «responsabilità condivisa», tra gli operatori della cosiddetta «filiera del trasporto» (vettore, committente, caricatore e proprietario della merce), per le violazioni di alcune delle norme in materia di sicurezza della circolazione stradale. Il relativo meccanismo, attivato con l’accertamento da parte della polizia stradale della violazione commessa dal conducente, mira segnatamente a favorire la contrattazione in forma scritta, al fine di garantire la certezza dei rapporti tra le parti. Se, infatti, l’operatore di polizia verifica che dal contratto, presente a bordo del mezzo, e dall’eventuale documentazione di accompagnamento risultano modalità di esecuzione della prestazione incompatibili con il rispetto, da parte del conducente, delle norme del codice della strada, egli contesta la violazione al soggetto che vi ha dato causa con le istruzioni, e, inoltre, al committente, al caricatore e al proprietario delle merci: questi ultimi, dunque, risponderanno per fatto proprio, in concorso con il conducente.
Diversamente, se la copia del contratto, stipulato in forma scritta, non fosse a bordo del veicolo, l’organo accertatore ne richiede la presentazione, unitamente all’eventuale documentazione di accompagnamento; in caso di mancata esibizione sono previste apposite sanzioni.
Infine, nel caso in cui il contratto sia stato stipulato oralmente, il committente viene invitato a produrre la documentazione da cui risulti che le istruzioni impartite al vettore non contrastano con il rispetto della norma che il conducente ha violato.
L’elemento soggettivo richiesto per la configurabilità della responsabilità in capo al vettore e al committente sarebbe, quindi, almeno la colpa: essi rispondono, infatti, dell’infrazione commessa dal conducente solo se vi abbiano cooperato, non predisponendo adeguate e vincolanti istruzioni di sicurezza.
Escluso, dunque, che la norma censurata preveda una forma di responsabilità oggettiva, essa non contrasterebbe neppure con l’Accordo ADR, relativo al trasporto internazionale di merci pericolose su strada. L’art. 168 cod. strada si limiterebbe, infatti, a prevedere le sanzioni applicabili in caso di inosservanza delle prescrizioni contenute in detto Accordo; quest’ultimo, d’altro canto, al punto 1.4.2.1.3 dell’allegato A, stabilisce specificamente che «quando lo speditore agisce per conto di un terzo, questi deve segnalare per iscritto allo speditore che si tratta di merci pericolose e mettere a sua disposizione tutte le informazioni e i documenti necessari all’esecuzione dei suoi obblighi»: donde l’infondatezza dell’assunto del giudice a quo, secondo il quale l’atto internazionale in parola non sarebbe riferibile al committente.
L’Avvocatura dello Stato ricorda, da ultimo, come la norma censurata riproduca la disposizione contenuta nell’art. 121, nono comma, del previgente codice della strada (d.P.R. 15 giugno 1959, n. 393), come sostituito dall’art. 12 della legge 10 febbraio 1982, n. 38 (Modifiche ad alcuni articoli del codice della strada, e della legge 27 novembre 1980, n. 815, riguardanti i pesi e le misure dei veicoli): disposizione che questa Corte ha ritenuto non contrastante con l’art. 3 Cost., escludendo, in particolare, che essa configurasse «una sorta di responsabilità oggettiva concorsuale» (ordinanza n. 3 del 1989). Alla luce di una corretta esegesi della norma, condotta sulla base dei lavori parlamentari, il conducente, il proprietario e il committente dovevano ritenersi, infatti, gravati da autonomi obblighi di comportamento, consistenti segnatamente in un dovere di vigilanza: con la conseguenza che ciascuno di detti soggetti rispondeva per fatto proprio.
3. – Si è costituita la s.p.a. Nobel Sport Martignoni, opponente nel giudizio a quo.
Ribadita la rilevanza della questione, la parte privata ha chiesto che la stessa venga accolta sulla base di argomentazioni del tutto analoghe a quelle svolte nell’ordinanza di rimessione.
4. – È intervenuta, inoltre, la A.N.P.A.M. (Associazione Nazionale Produttori Armi e Munizioni), ritenendosi a ciò legittimata – alla luce della giurisprudenza costituzionale relativa all’ammissibilità dell’intervento di soggetti investiti di funzioni di rappresentanza di interessi generali, quali gli ordini professionali – in quanto chiamata a svolgere, ai sensi dell’art. 2 dello Statuto sociale, compiti di tutela delle imprese italiane produttrici di armi, munizioni ed esplosivi per il mercato civile, nonché di rappresentanza delle medesime nei rapporti con le istituzioni e le pubbliche amministrazioni. L’intervento sarebbe finalizzato, nella specie, a tutelare un interesse comune delle imprese associate, le quali, nell’attività quotidiana, devono ricorrere al trasporto di prodotti pericolosi.
L’interveniente ha, quindi, riproposto le considerazioni già svolte dalla s.p.a. Nobel Sport Martignoni, concludendo per la declaratoria di incostituzionalità della norma oggetto di giudizio.
5. – Con memorie depositate il 2 febbraio 2011, di contenuto sostanzialmente identico, la s.p.a. Nobel Sport Martignoni e la A.N.P.A.M. hanno insistito per l’accoglimento della questione.
In particolare, hanno ribadito l’irragionevolezza dell’equiparazione del regime sanzionatorio relativo al trasporto di merci pericolose a quello previsto per l’eccesso di carico. Solo nel caso dell’eccesso di carico, sanzionato dall’art. 167 cod. strada, infatti, il committente esclusivo potrebbe trarre un ingiusto vantaggio dalla violazione delle norme sulla circolazione, perché egli sarebbe consapevole della quantità di carico eccedente la misura trasportabile; inoltre, il solo comma 7 dell’art. 168 cod. strada sanziona l’eccesso di carico delle merci pericolose, mentre le disposizioni contenute negli altri commi non riguardano detta violazione.
Considerato in diritto
1. – Il Giudice di pace di Verona dubita della legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3, 23, 27 e 117, primo comma, della Costituzione, dell’art. 168, comma 10, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), che estende alle sanzioni amministrative per le violazioni della «disciplina del trasporto su strada dei materiali pericolosi» la previsione del precedente art. 167, comma 9, in forza della quale le sanzioni si applicano «sia al conducente che al proprietario del veicolo, nonché al committente, quando si tratta di trasporto eseguito per suo conto esclusivo».
Ad avviso del giudice a quo, la disposizione censurata violerebbe, anzitutto, i principi di ragionevolezza e di personalità della responsabilità penale (artt. 3 e 27 Cost.), configurando in capo al proprietario del veicolo e al committente una responsabilità per fatto altrui e a carattere oggettivo: detti soggetti sarebbero, infatti, estranei alla violazione commessa ed esenti da ogni colpa, perché privi della possibilità di effettuare controlli sulle modalità di esercizio del trasporto. La natura autonoma, e non solidale, della responsabilità comporterebbe, d’altro canto, che, nel caso di cumulo di più qualità fra quelle contemplate dalla norma in capo allo stesso soggetto, quest’ultimo, se pure responsabile, verrebbe sanzionato due volte per il medesimo fatto.
Con l’assoggettare a sanzioni pecuniarie persone estranee all’illecito commesso, la disposizione denunciata si porrebbe in contrasto anche con l’art. 23 Cost., oltrepassando i limiti del legittimo esercizio del potere dello Stato di imporre prestazioni patrimoniali.
La norma censurata violerebbe l’art. 3 Cost. anche sotto due ulteriori e distinti profili. In primo luogo, in quanto la responsabilità del committente è prevista unicamente quando si tratti di trasporto eseguito «per suo conto esclusivo»: previsione che risulterebbe irragionevole e foriera di una disparità di trattamento fra situazioni uguali, giacché il committente non sarebbe normalmente in grado di controllare se le proprie merci vengano trasportate da sole o assieme a merci altrui, né usufruirebbe di un servizio diverso a seconda della sua esclusività o meno.
In secondo luogo, in quanto l’estensione al trasporto di merci pericolose della disciplina relativa al sovraccarico dei mezzi adibiti al trasporto di cose, alla quale si riferisce il richiamato art. 167, comma 9, cod. strada, implicherebbe una irrazionale equiparazione di situazioni differenti. In quest’ultimo caso, il «committente esclusivo» sarebbe infatti a conoscenza della quantità di merce trasportata e, quindi, dell’eccesso di carico del veicolo, dal quale potrebbe trarre vantaggio in termini di risparmio di spesa. Al contrario, nel caso di trasporto di merci pericolose, il committente non solo non sarebbe in grado di controllare l’osservanza delle norme di sicurezza, ma verrebbe altresì danneggiato dalla loro violazione, la quale metterebbe in pericolo i beni di sua proprietà.
Il censurato art. 168, comma 10, cod. strad. violerebbe, ancora, l’art. 117, primo comma, Cost., non tenendo conto della dettagliata ripartizione delle responsabilità fra i vari soggetti coinvolti (speditore, trasportatore, destinatario, caricatore, riempitore, imballatore) prefigurata dall’Accordo europeo relativo al trasporto internazionale su strada delle merci pericolose (ADR), adottato a Ginevra il 30 settembre 1957, ratificato e reso esecutivo in Italia con legge 12 agosto 1962, n. 1839, e indi recepito anche in ambito comunitario (in particolare, con la direttiva n. 94/55/CE, ora sostituita dalla direttiva n. 2008/68/CE). Di qui anche un conclusivo profilo di violazione dell’art. 3 Cost., connesso al fatto che l’art. 168 cod. strada, ai commi da 7 a 9-ter, delinea un sistema sanzionatorio volto proprio ad assicurare il rispetto del citato Accordo ADR, con conseguente incoerenza interna della normativa.
2. – In via preliminare, deve essere dichiarata l’inammissibilità dell’intervento dell’A.N.P.A.M. (Associazione Nazionale Produttori Armi e Munizioni).
Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, infatti, non possono partecipare al giudizio incidentale di legittimità costituzionale soggetti che non siano parti in causa nel giudizio a quo al momento del deposito o della lettura in dibattimento dell’ordinanza di rimessione (tra le ultime, sentenza n. 48 del 2010); principio ritenuto derogabile soltanto in favore di soggetti titolari di un interesse qualificato, immediatamente inerente al rapporto sostanziale dedotto in giudizio e non semplicemente regolato, al pari di ogni altro, dalla norma oggetto di censura (ex plurimis, sentenze n. 263 e n. 151 del 2009; ordinanze n. 393 e n. 96 del 2008).
Nel caso in esame, l’A.N.P.A.M. si dichiara portatrice di un interesse a carattere generale di tutte le imprese produttrici di armi, munizioni ed esplosivi per il mercato civile, le quali, nella loro quotidiana attività, devono inevitabilmente ricorrere al trasporto del prodotto pericoloso. La posizione giuridica dell’A.N.P.A.M., quindi, non risulta suscettibile di essere pregiudicata in modo immediato e irrimediabile dall’esito del giudizio incidentale, dal momento che la categoria – di cui l’interveniente assume essere ente esponenziale – potrebbe ricevere nocumento solo in via indiretta, allorché ad uno dei produttori venissero irrogate le sanzioni previste nella richiamata disposizione.
3. – Nel merito, la questione non è fondata, in relazione a tutti i parametri invocati.
4. – Quanto alla prima censura, inerente all’asserita violazione dei principi di ragionevolezza e di personalità della responsabilità penale (artt. 3 e 27 Cost.), è dirimente, a prescindere da ogni altro rilievo, la considerazione che le doglianze del rimettente poggiano su un erroneo presupposto interpretativo. Tale deve ritenersi l’assunto in forza del quale la norma censurata configurerebbe, a carico del proprietario del veicolo e del committente del trasporto, una responsabilità per fatto altrui e a carattere oggettivo.
Questa Corte ha già avuto modo di escludere la correttezza di tale lettura, pronunciando su questione parzialmente analoga avente ad oggetto l’art. 121, nono comma, del codice della strada abrogato (d.P.R. 15 giugno 1959, n. 303, recante il «Testo unico delle norme sulla circolazione stradale»), come sostituito dall’art. 12 della legge 10 febbraio 1982, n. 38 (Modifiche ad alcuni articoli del codice della strada, e della legge 27 novembre 1980, n. 815, concernenti i pesi e le misure dei veicoli): norma di tenore identico a quello del primo periodo dell’art. 167, comma 9, del vigente codice della strada, cui la disposizione censurata rinvia (ordinanza n. 3 del 1989).
Nell’occasione, questa Corte ha disatteso la tesi secondo cui la disposizione dianzi citata avrebbe delineato «una sorta di responsabilità oggettiva concorsuale», rilevando come essa, al contrario, ponesse a carico dei soggetti coinvolti – conducente, proprietario del veicolo e committente – «autonomi obblighi di comportamento che si sostanziano […] in un dovere di vigilanza, quando sia escluso il concorso». Con la conseguenza che «i tre soggetti rispondono ciascuno per fatto proprio, sicché la prova della responsabilità di ognuno resta regolata dai principi generali». A sostegno della conclusione, si è fatto leva, in particolare, sull’avvenuto superamento, a seguito dei rilievi mossi nel corso dei lavori preparatori, dell’originaria impostazione della proposta di legge n. 299, presentata alla Camera dei deputati il 10 luglio 1979, in forza della quale proprietario e committente avrebbero dovuto rispondere delle violazioni «in solido» con il conducente.
La circostanza – su cui lo stesso rimettente pone l’accento – che la responsabilità prevista dalla norma censurata non abbia carattere solidale, diversamente da quella sancita in via generale dall’art. 196 cod. strada a carico del proprietario del veicolo, dimostra, in effetti, il contrario di quello che il giudice a quo intenderebbe provare: e, cioè, che la responsabilità in questione resta regolata dai principi generali in materia di sanzioni amministrative e, in particolare, da quello della responsabilità almeno per colpa, sancito dall’art. 3 della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale); principi ai quali non consta che il legislatore abbia inteso nella specie derogare.
Le indicazioni fornite da questa Corte sono state, d’altro canto, recepite dalla giurisprudenza di legittimità sia con riguardo al citato art. 121, nono comma, del codice della strada abrogato (Cass., 26 maggio 1995, n. 5854), sia in relazione all’art. 167, comma 9, del codice della strada vigente, in cui esso è stato trasfuso: essendosi ribadito, in specie, che tale disposizione pone a carico del committente un obbligo, distinto da quello del conducente e del proprietario, di vigilanza sull’idoneità del veicolo da utilizzare all’esecuzione del trasporto, in relazione alle prescrizioni normative (Cass., 29 novembre 2001, n. 15194).
Ad analoga conclusione deve quindi pervenirsi anche con riguardo al trasporto dei materiali pericolosi, al quale dalla norma denunciata viene esteso il regime di responsabilità in questione. Per il resto, sarà compito del giudice verificare, in rapporto alle specificità delle singole violazioni che vengono in rilievo – descritte dai commi da 7 a 9-ter dello stesso art. 168 cod. strada – e tenuto conto della particolare regolamentazione della materia, se ed entro quali limiti l’adempimento del predetto dovere di vigilanza possa considerarsi concretamente esigibile, trattandosi di presupposto per la configurabilità della colpa. Tutto ciò, indipendentemente dall’operatività della normativa, evocata dall’Avvocatura generale dello Stato, di cui al d.lgs. 21 novembre 2005, n. 286 (Disposizioni per il riassetto normativo in materia di liberalizzazione regolata dell’esercizio dell’attività di autotrasportatore) e dalla riferibilità, per quanto attiene alla cosiddetta responsabilità condivisa del vettore, del committente, del caricatore e del proprietario della merce, di detta disciplina anche alle violazioni dell’art. 168 cod. strada, testualmente applicabile solo alle violazioni dell’art. 167 cod. strada (art. 7, comma 6, lettera e, del citato decreto legislativo).
5. – Quanto, poi, al denunciato rischio di una duplice punizione dello stesso soggetto per il medesimo fatto, nel caso di cumulo di più qualifiche fra quelle contemplate dalla norma (rischio che deriverebbe proprio dal carattere autonomo delle singole responsabilità), vale osservare, da un lato, come l’eventualità che il committente del trasporto sia anche il conducente o il proprietario del veicolo per esso utilizzato appaia meramente teorica, e in fatto non ricorra nel giudizio a quo; dall’altro, come il risultato paventato possa essere in ogni caso evitato in via interpretativa – laddove la regola cautelare violata risultasse unitaria – tramite l’applicazione del principio del ne bis in idem sostanziale.
6. – Le considerazioni che precedono comportano anche l’insussistenza dell’ipotizzata violazione dell’art. 23 Cost.: censura basata, peraltro, su un argomento non pertinente rispetto al parametro, venendo il vulnus costituzionale fatto discendere – non già dall’inosservanza della riserva di legge ivi sancita – ma esclusivamente dalla circostanza che la norma in esame sottoponga a sanzioni pecuniarie soggetti in tesi estranei all’illecito, e dunque dal medesimo rilievo posto a fondamento della denunciata lesione del principio di ragionevolezza.
7. – Per quanto attiene agli ulteriori profili di pretesa violazione dell’art. 3 Cost., parimenti insussistente è quello legato alla circostanza che il committente sia chiamato a rispondere delle violazioni in discorso unicamente «quando si tratta di trasporto eseguito per suo conto esclusivo».
La censura poggia, in effetti, sul presupposto che la formula «per suo conto esclusivo» attenga alla merce caricata sul singolo veicolo, la quale dovrebbe appartenere, in tesi, ad un unico committente affinché la responsabilità divenga operante. Per converso, tanto nella terminologia del codice civile (si veda, in specie, l’art. 1737, recante la definizione del contratto di spedizione), quanto nell’ambito della disciplina speciale del trasporto (si consideri, in particolare, la distinzione fra il trasporto «in conto proprio» e il trasporto «per conto di terzi», quali definiti dagli artt. 31 e 40 della legge 6 giugno 1974, n. 298, recante «Istituzione dell’albo nazionale degli autotrasportatori di cose per conto di terzi, disciplina degli autotrasporti di cose e istituzione di un sistema di tariffe a forcella per i trasporti di merci su strada») l’espressione «per conto» assume la valenza di «nell’interesse». In questa prospettiva, la nozione di trasporto eseguito «per […] conto esclusivo» del committente si contrappone, non già a quella di trasporto eseguito a favore di più committenti, ma all’altra di trasporto eseguito anche nell’interesse del trasportatore, e cioè per soddisfare anche esigenze dell’impresa di quest’ultimo.
Tale lettura esclude le incongruenze denunciate dal giudice a quo, essendo la situazione appena sopra indicata, da un lato, agevolmente verificabile dal committente nella generalità dei casi, e, dall’altro, atta a determinare una differenziazione non irragionevolmente valorizzabile dal legislatore ai fini che qui rilevano.
8. – Contrariamente a quanto assume il rimettente, il principio di eguaglianza non può ritenersi violato neppure dalla avvenuta equiparazione, sotto l’aspetto considerato, delle violazioni relative al trasporto di materiali pericolosi, sanzionate dall’art. 168 cod. strada, a quelle concernenti il sovraccarico dei veicoli, di cui al precedente art. 167 (il quale punisce, in realtà, anche violazioni di altro tipo, attinenti ai limiti alla circolazione dei veicoli che effettuano trasporti in condizioni di eccezionalità: art. 167, commi 4 e 7, cod. strada).
Le fattispecie poste a confronto non presentano, infatti, gli elementi differenziali che, ad avviso del giudice a quo, renderebbero irragionevole detto allineamento.
Quanto alla culpa in vigilando del committente – ipotizzabile, secondo il rimettente, solo in rapporto all’eccesso di carico – si è già rimarcato come la sua configurabilità in concreto condizioni, in base ai principi generali, la responsabilità di detto soggetto anche in rapporto alle infrazioni alla disciplina del trasporto di materiali pericolosi (infrazioni tra le quali rientra, peraltro, anche il sovraccarico del veicolo: art. 168, comma 7, cod. strada).
Inoltre, non diversamente dalle restanti violazioni delle regole cautelari attinenti al trasporto di materiali pericolosi, anche l’eccessivo carico del mezzo di trasporto, rendendone meno sicura la circolazione, ingenera il rischio della perdita o del danneggiamento della merce: sicché non è condivisibile nemmeno l’altro argomento del giudice a quo, secondo il quale il committente trarrebbe vantaggio dagli illeciti amministrativi previsti dall’art. 167 cod. strada, mentre potrebbe essere soltanto danneggiato da quelli contemplati nell’articolo che segue.
9. – Parimenti infondata, infine, è la censura di violazione degli artt. 117, primo comma, e 3 Cost., conseguente all’asserita non conformità della norma censurata alle previsioni dell’Accordo europeo relativo al trasporto internazionale su strada di merci pericolose (ADR).
Al riguardo, va rilevato che il comma 2 dell’art. 168 cod. strada rinvia specificamente agli allegati a detto Accordo per la disciplina della circolazione dei veicoli che trasportano merci pericolose, nonché «per le prescrizioni relative all’etichettaggio, all’imballaggio, al carico, allo scarico ed allo stivaggio sui veicoli stradali». In tal modo, le prescrizioni contenute negli allegati all’Accordo ADR vengono ad integrare – anche per quanto attiene alla determinazione degli obblighi gravanti sui diversi soggetti coinvolti nelle operazioni – la componente precettiva degli illeciti amministrativi previsti dai commi 9, 9-bis e 9-ter dello stesso art. 168 cod. strada, i quali sanzionano specificamente le violazioni del citato comma 2: il che assicura la piena aderenza della disciplina interna all’atto internazionale di cui si tratta.
Il richiamo all’art. 167, comma 9, operato dal censurato comma 10 dell’art. 168 cod. strada, ha, a sua volta, una valenza estensiva, e non già delimitativa dell’area della responsabilità (basti considerare, al riguardo, l’esplicito riferimento del comma 9, secondo periodo, dell’art. 168 cod. strada alla responsabilità del «trasportatore», in contrapposizione a quella del conducente: soggetto – il trasportatore – contemplato dall’Accordo ADR, e non pure dall’art. 167, comma 9, cod. strada).
Detta estensione non può reputarsi, d’altra parte, contrastante con l’Accordo, il cui art. 5 stabilisce espressamente che i trasporti da esso regolati restano soggetti alle norme nazionali riguardanti, in via generale, la circolazione stradale: norme che, per quanto qui rileva, prevedono, come principio di massima, la corresponsabilizzazione del proprietario del veicolo e del committente per le violazioni relative ai trasporti di cose, come emerge non soltanto dall’art. 167, comma 9, ma anche dall’art. 10, comma 23, cod. strada, con particolare riguardo ai trasporti eccezionali o in condizioni di eccezionalità.
Inoltre, l’allegato A all’Accordo, se da un lato contempla uno specifico dovere di cooperazione del terzo nell’esecuzione del trasporto, il quale deve segnalare per iscritto allo speditore che si tratta di merci pericolose e mettere a sua disposizione tutte le informazioni e i documenti necessari all’esecuzione dei suoi obblighi (punto 1.4.2.); dall’altro, fornisce un’indicazione dichiaratamente non esaustiva degli obblighi degli altri «operatori» (punto 1.4.3), consentendo, in tal modo, ai singoli Stati di ampliarne l’area.
10. – La questione sollevata va, in conclusione, dichiarata non fondata.
per questi motivi
la corte costituzionale
dichiara inammissibile l’intervento della A.N.P.A.M. (Associazione Nazionale Produttori Armi e Munizioni);
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 168, comma 10, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), sollevata, in riferimento agli artt. 3, 23, 27 e 117, primo comma, della Costituzione, dal Giudice di pace di Verona con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 4 aprile 2011.
F.to:
Ugo DE SIERVO, Presidente
Giuseppe FRIGO, Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 7 aprile 2011.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: MELATTI
Consulta...A parere del rimettente la capacità «invasiva» che il comma 4 dell’art. 54 conferisce ai provvedimenti sindacali rispetto a materie riservate alle attribuzioni consiliari (come ad esempio il regolamento di polizia urbana) comporta un’irragionevole alterazione del riparto di competenze all’interno della stessa organizzazione comunale. L’assunzione delle decisioni spettanti all’assemblea, che rappresenta la generalità dei cittadini, da parte di un organo monocratico che nella specie agisce quale ufficiale di Governo, «finisce per contraddire» la necessità di pluralismo della quale sono espressione gli artt. 2, 6, 8, 18, 21, 33, 39 e 49 Cost. ...
SENTENZA N. 115
ANNO 2011
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori: Presidente: Ugo DE SIERVO; Giudici : Paolo MADDALENA, Alfio FINOCCHIARO, Alfonso QUARANTA, Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI, Giorgio LATTANZI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 54, comma 4, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, come sostituito dall’art. 6 del decreto-legge 23 maggio 2008, n. 92 (Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 24 luglio 2008, n. 125, promosso dal Tribunale amministrativo regionale per il Veneto, nel procedimento vertente tra l’associazione «Razzismo Stop» onlus e il Comune di Selvazzano Dentro ed altri, con ordinanza del 22 marzo 2010, iscritta al n. 191 del registro ordinanze 2010, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 26, prima serie speciale, dell’anno 2010.
Visti l’atto di costituzione della associazione «Razzismo Stop» onlus, nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 22 marzo 2011 il Giudice relatore Gaetano Silvestri;
uditi gli avvocati Francesco Caffarelli per l’associazione «Razzismo Stop» onlus e l’avvocato dello Stato Gabriella Palmieri per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1. – Il Tribunale amministrativo regionale per il Veneto, con ordinanza del 22 marzo 2010, ha sollevato – in riferimento agli artt. 2, 3, 5, 6, 8, 13, 16, 17, 18, 21, 23, 24, 41, 49, 70, 76, 77, 97, 113, 117 e 118 della Costituzione – questioni di legittimità costituzionale dell’art. 54, comma 4, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali), come sostituito dall’art. 6 del decreto-legge 23 maggio 2008, n. 92 (Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 24 luglio 2008, n. 125, nella parte in cui consente che il sindaco, quale ufficiale del Governo, adotti provvedimenti a «contenuto normativo ed efficacia a tempo indeterminato», al fine di prevenire e di eliminare gravi pericoli che minaccino la sicurezza urbana, anche fuori dai casi di contingibilità e urgenza.
In particolare, la norma indicata sarebbe illegittima «nella parte in cui ha inserito la congiunzione “anche” prima delle parole “contingibili e urgenti”».
Nel giudizio principale è censurato un provvedimento sindacale con il quale si è fatto divieto di «accattonaggio» in vaste zone del territorio comunale, prevedendo, per i trasgressori, una sanzione amministrativa pecuniaria, con possibilità di pagamento in misura ridotta solo per le prime due violazioni accertate. Oggetto del divieto, in particolare, è la richiesta di denaro in luoghi pubblici, effettuata «anche» in forma petulante e molesta, di talché il provvedimento sindacale si estende, secondo il rimettente, alle forme di mendicità non «invasiva o molesta».
1.1. – Il giudizio a quo è stato introdotto dal ricorso di una associazione onlus denominata «Razzismo Stop», che ha dedotto molteplici vizi del provvedimento impugnato. Tale provvedimento sarebbe stato deliberato, anzitutto, in violazione del principio di proporzionalità, nonché dell’art. 54, comma 4, del d.lgs. n. 267 del 2000 e dell’art. 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi). In particolare, non risulterebbe allegato e documentato alcun grave pericolo per l’incolumità pubblica e la sicurezza urbana, e non sussisterebbero quindi, nel caso concreto, le necessarie condizioni di contingibilità e urgenza. L’atto impugnato sarebbe illegittimo anche in forza della sua efficacia a tempo indeterminato, incompatibile, appunto, con i limiti propri delle ordinanze contingibili e urgenti.
Farebbero inoltre difetto, nella specie, i requisiti di proporzionalità e coerenza, posto che almeno il divieto di mendicità «non invasiva» contrasterebbe con le «statuizioni» della sentenza della Corte costituzionale n. 519 del 1995 (dichiarativa della parziale illegittimità dell’art. 670 del codice penale) e con le indicazioni recate dal decreto ministeriale 5 agosto 2008 (deliberato dal Ministro dell’interno a norma del comma 4-bis dell’art. 54 del d.lgs. n. 267 del 2000), che si riferiscono solo a forme di mendicità moleste, o attuate mediante lo sfruttamento di minori o disabili.
La previsione della confisca del denaro versato in violazione del divieto, a titolo di sanzione accessoria, avrebbe derogato alle norme del codice civile in materia di donazione ed ai criteri di proporzionalità e pari trattamento. Inoltre sarebbe illegittima, sempre secondo l’associazione ricorrente, la deroga alle disposizioni ordinarie in materia di ammissione al pagamento in misura ridotta per le infrazioni amministrative (art. 18 della legge 24 novembre 1981, n. 689, recante «Modifiche al sistema penale»).
1.2. – Il Comune interessato, secondo quanto riferito dal Tribunale rimettente, si è costituito nel giudizio amministrativo, chiedendo fosse dichiarata l’inammissibilità del ricorso. L’eccezione è stata respinta dal giudice adito con provvedimento del 4 marzo 2010, mentre è stata accolta la domanda, proposta dalla ricorrente, per una sospensione cautelare degli effetti del provvedimento impugnato.
1.3. – Il giudice a quo osserva preliminarmente, in punto di rilevanza della questione, che sussiste la legittimazione al ricorso dell’associazione «Razzismo Stop», la quale risulta da lungo tempo impegnata, anche nello specifico ambito territoriale, in azioni mirate allo sviluppo dei diritti umani e civili, della solidarietà nei confronti degli indigenti e della integrazione in favore degli stranieri. La stessa associazione, inoltre, è iscritta all’elenco ed al registro previsti rispettivamente dagli artt. 5 e 6 del decreto legislativo 9 luglio 2003, n. 215 (Attuazione della direttiva 2000/43/CE per la parità di trattamento tra le persone indipendentemente dalla razza e dall’origine etnica).
Il rimettente evidenzia, in particolare, che le associazioni iscritte in un apposito elenco (approvato con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali e del Ministro per le pari opportunità) sono legittimate ad agire, anche in assenza di specifiche deleghe, nei casi di discriminazione collettiva, qualora non siano individuabili in modo diretto e immediato le persone offese dal comportamento discriminatorio. La ricorrente è poi iscritta nel registro, istituito presso la Presidenza del Consiglio dei ministri - Dipartimento per le pari opportunità, delle associazioni e degli enti che svolgono attività nel campo della lotta alle discriminazioni e della promozione della parità di trattamento, e che rispondono a determinate caratteristiche di stabilità ed affidabilità.
La pertinenza del provvedimento impugnato al tema della discriminazione su base razziale, nella prospettazione del rimettente, deriva dal chiaro rapporto tra «accattonaggio», povertà ed esclusione sociale, e dal rischio elevato che in tali condizioni si trovino persone nomadi o migranti, appartenenti a gruppi etnici minoritari. D’altro canto – prosegue il Tribunale – la legge sanziona anche la discriminazione esercitata in forma indiretta, e cioè i casi nei quali «una disposizione, un criterio, una prassi, un atto, un patto o un comportamento apparentemente neutri possono mettere le persone di una determinata razza od origine etnica in una posizione di particolare svantaggio rispetto ad altre persone» (art. 2, comma 1, lettera b, del d.lgs. n. 215 del 2003). Esattamente quel che accadrebbe nella specie, ove un divieto, pure formalmente riferibile alla generalità dei dimoranti nel territorio comunale interessato, avrebbe assunto specifico e particolare rilievo per gli appartenenti a minoranze etniche ed a gruppi di migranti.
Ciò premesso, il rimettente valuta che sussistano l’interesse e la legittimazione ad agire della onlus «Razzismo Stop», posta l’integrazione, nel caso concreto, dei criteri elaborati dalla stessa giurisprudenza amministrativa (posizione dell’ente quale stabile punto di riferimento del gruppo portatore dell’interesse pregiudicato, corrispondenza della tutela di detto interesse alle finalità annoverate nello statuto della formazione, collegamento specifico e non occasionale con l’ambito territoriale interessato dalla lesione denunciata).
La natura fondamentale del diritto eventualmente violato, e la previsione ad opera della legge di una specifica azione civile contro gli atti discriminatori (art. 44 del d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, recante «Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero»), non varrebbero ad escludere, sotto un diverso profilo, l’ammissibilità del ricorso al giudice amministrativo. Questi può infatti conoscere vizi dell’atto che risultino pertinenti alla lesione di diritti fondamentali della persona (è citata, tra l’altro, la sentenza della Corte costituzionale n. 140 del 2007). Al tempo stesso, la disponibilità di un mezzo specifico di tutela contro i fatti di discriminazione non potrebbe inibire il ricorso agli ordinari strumenti di garanzia nei confronti della pubblica amministrazione.
1.4. – Il Tribunale amministrativo del Veneto osserva, sempre in punto di rilevanza della questione, come le censure della ricorrente siano prevalentemente costruite sulla carenza delle condizioni di contingibilità ed urgenza per l’adozione del provvedimento impugnato. Il Comune resistente, dal canto proprio, ha rivendicato la legittimazione del sindaco ad emettere ordinanze ad efficacia non limitata nel tempo, evidenziando il contenuto innovativo della disposizione applicata, che consente ormai l’adozione di ordinanze «anche» contingibili e urgenti, e dunque non solo di provvedimenti destinati a regolare situazioni transitorie od eccezionali.
Il giudice a quo ritiene che, in ragione dell’attuale sua formulazione, la norma censurata conferisca effettivamente al sindaco, in assenza di elementi utili a delimitarne la discrezionalità, un potere normativo vasto e indeterminato, idoneo ad esplicarsi in deroga alle norme di legge ed all’assetto vigente delle competenze amministrative, semplicemente in forza del dichiarato orientamento a fini di protezione della sicurezza urbana. Proprio tale potere sarebbe stato esercitato nella specie, fuori da concrete condizioni di contingibilità e urgenza, cosicché l’accoglimento della questione sollevata esplicherebbe sicuri effetti sulla decisione del ricorso.
1.5. – A parere del rimettente la portata della norma oggetto di censura non sarebbe suscettibile di un’interpretazione restrittiva, che valga a recuperarne la compatibilità con i parametri costituzionali evocati.
Sarebbe inequivoco, in particolare, il significato letterale e logico che alla norma deriva dall’inserimento della congiunzione «anche», tale appunto da estendere la competenza sindacale a provvedimenti non contingibili e urgenti. Detto inserimento non potrebbe d’altra parte definirsi casuale o «involontario», dato che deriva dall’approvazione di uno specifico emendamento del Governo nel corso dei lavori parlamentari per la conversione del decreto-legge n. 92 del 2008.
La possibilità per il sindaco di adottare provvedimenti efficaci a tempo indeterminato sull’intero territorio comunale conferirebbe alle «nuove» ordinanze una marcata valenza normativa, indipendentemente dalla formale persistenza dell’obbligo di motivazione, che la legge del resto esclude per gli atti normativi e quelli a contenuto generale (è citato il comma 2 dell’art. 3 della legge n. 241 del 1990).
Non potrebbe d’altro canto condividersi l’orientamento restrittivo che, muovendo dalla perdurante necessità di osservanza dei principi generali dell’ordinamento, include tra detti principi quello della tipicità e della conformità alla legge degli atti amministrativi, della riserva di legge e della competenza. La soluzione, nella sua attitudine ad escludere ogni iniziativa extra ordinem del sindaco, «anche» per i casi di contingibilità e urgenza, finirebbe col sopprimere una risorsa tradizionale e indispensabile allo scopo di fronteggiare gravi pericoli che incombano sulla sicurezza dei cittadini e non siano governabili mediante gli strumenti ordinari.
La Corte costituzionale, già chiamata a valutare in diversa prospettiva la legittimità della norma censurata, avrebbe riconosciuto la portata essenzialmente normativa dei nuovi poteri conferiti al sindaco, là dove ha evidenziato la possibilità che questi emani anche «provvedimenti di ordinaria amministrazione a tutela di esigenze di incolumità pubblica e sicurezza urbana» (è citata la sentenza n. 196 del 2009).
Il rimettente ricorda come la stessa Corte, pronunciando sulla norma concernente i poteri di ordinanza del prefetto (art. 2 del regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, recante «Approvazione del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza»), abbia dapprima optato per una sentenza interpretativa di rigetto, in base all’assunto che detta norma non conferisse il potere di emanare provvedimenti ad efficacia illimitata nel tempo (sentenza n. 8 del 1956). Qualche anno dopo, tuttavia, la Corte ha constatato il perdurare della prassi prefettizia di adottare ordinanze a carattere permanente, e per tale ragione si è determinata ad una dichiarazione di illegittimità costituzionale parziale della norma censurata (sentenza n. 26 del 1961).
Il Tribunale assume che un fenomeno analogo segnerebbe le «nuove» ordinanze sindacali, posto che numerosi provvedimenti sono stati deliberati, in applicazione del comma 4 dell’art. 54, con il più vario oggetto, spesso imponendo divieti od obblighi di tenere comportamenti significativi sul piano religioso o su quello delle tradizioni etniche. Una «interpretazione adeguatrice» risulterebbe quindi «impraticabile», a fronte di una realtà che vede esercitare in modo incontrollato poteri di normazione, secondo le opzioni politiche individuali dei sindaci, su materie inerenti ai diritti ed alle libertà fondamentali.
1.6. – Nel merito, secondo il rimettente, la disposizione oggetto di censura, interpretata come impone la presenza della congiunzione «anche» prima delle parole «contingibili e urgenti», contrasterebbe con i principi costituzionali di legalità, tipicità e delimitazione della discrezionalità, enucleabili dagli artt. 23, 97, 70, 76, 77 e 117 Cost. (sono citate, quali decisioni della Corte costituzionale che avrebbero «chiaramente sancito» il rilievo costituzionale dei principi richiamati, le sentenze n. 8 del 1956, n. 26 del 1961, n. 4 del 1977 e n. 201 del 1987).
Contingibilità e urgenza, infatti, dovrebbero rappresentare «presupposto, condizione e limite» per una disciplina che consenta il superamento, sia pure nell’ambito dei principi generali dell’ordinamento, delle disposizioni vigenti in rapporto ad una determinata materia, e che attribuisca un potere siffatto «in capo ad un organo monocratico, in luogo di quello ordinariamente deputato». Per tale ragione, le norme in materia di ordinanze dovrebbero assicurare indefettibilmente il contenuto provvedimentale delle medesime, in rapporto all’obbligo di motivazione e all’efficacia nel tempo.
Anche nel caso di provvedimenti a contenuto normativo – prosegue il rimettente – non sarebbe consentita alcuna funzione innovativa del diritto oggettivo, ma solo una funzione di deroga, in via eccezionale e provvisoria, alle norme ordinarie. La disposizione censurata, invece, avrebbe disegnato una vera e propria fonte normativa, libera nel contenuto ed equiparata alla legge, così violando tutte le regole costituzionali che riservano alle assemblee legislative il compito di emanare atti aventi forza e valore di legge (artt. 23 e 97, nonché artt. 70, 76, 77 e 117 Cost.).
1.7. – Il comma 4 dell’art. 54 del d.lgs. n. 267 del 2000, a parere del giudice a quo, viola anche la riserva di legge ed il principio di legalità sostanziale in materia di sanzioni amministrative (artt. 3, 23 e 97 Cost.).
L’art. 23 Cost., in particolare, stabilisce che le prestazioni personali e patrimoniali sono imposte ai singoli in base alla legge. Tale riserva è solo relativa, ma la giurisprudenza costituzionale avrebbe da tempo chiarito come gli spazi discrezionali per la pubblica amministrazione non possano estendersi all’oggetto della prestazione ed ai criteri per identificarla (sono citate le sentenze n. 4 del 1957 e n. 447 del 1988).
La norma censurata, invece, avrebbe attribuito un potere normativo sganciato dai presupposti fattuali della contingibilità ed urgenza, dunque tendenzialmente illimitato e capace di incidere sulla libertà dei singoli di tenere ogni comportamento che non sia vietato dalla legge. Una indeterminatezza non ridotta, nella prospettazione del rimettente, dal decreto ministeriale adottato (il 5 agosto 2008) a norma del comma 4-bis dello stesso art. 54, dato che il provvedimento sarebbe a sua volta generico, e privo di una chiara definizione del concetto di «sicurezza urbana».
A conferma della situazione descritta varrebbe, ancora una volta, la casistica dei provvedimenti assunti in applicazione della norma censurata: da casi di sovrapposizione con norme penali (come per talune ordinanze che vietano la vendita di alcolici a minori infrasedicenni o proibiscono la cessione di stupefacenti) a casi nei quali vengono incise libertà fondamentali direttamente garantite da precetti costituzionali. Assumerebbero particolare rilievo, in tale prospettiva, l’art. 13 Cost. in materia di libertà personale, l’art. 16 Cost. sulla libertà di circolazione e soggiorno, l’art. 17 Cost. sulla libertà di riunione, l’art. 41 Cost. in materia di iniziativa economica (è fatto a questo proposito l’esempio di ordinanze che fissano limiti minimi di reddito, ed obblighi di documentazione circa la fonte, per ottenere iscrizioni anagrafiche). Anche la potestà legislativa riservata alle Regioni sarebbe direttamente vulnerata (art. 117 Cost.).
1.8. – La possibilità, introdotta dalla norma censurata, che l’esercizio di diritti fondamentali della persona venga diversamente regolato sulla ristretta base territoriale dei singoli Comuni comporta, secondo il Tribunale amministrativo del Veneto, un irragionevole frazionamento, ed un regime di disuguaglianza incompatibile con l’art. 3 Cost. Sarebbero violati inoltre i principi di unità ed indivisibilità della Repubblica (art. 5 Cost.), di legalità (art. 97 Cost.), di riparto delle funzioni amministrative (art. 118 Cost.).
1.9. – A parere del rimettente la capacità «invasiva» che il comma 4 dell’art. 54 conferisce ai provvedimenti sindacali rispetto a materie riservate alle attribuzioni consiliari (come ad esempio il regolamento di polizia urbana) comporta un’irragionevole alterazione del riparto di competenze all’interno della stessa organizzazione comunale. L’assunzione delle decisioni spettanti all’assemblea, che rappresenta la generalità dei cittadini, da parte di un organo monocratico che nella specie agisce quale ufficiale di Governo, «finisce per contraddire» la necessità di pluralismo della quale sono espressione gli artt. 2, 6, 8, 18, 21, 33, 39 e 49 Cost.
1.10. – Sarebbero violati infine, secondo il Tribunale, gli artt. 24 e 113 Cost., in ragione della vastità e della indeterminatezza dei poteri attribuiti al sindaco, tali da rendere eccessivamente difficoltosa la possibilità di un sindacato giurisdizionale effettivo delle singole fattispecie.
2. – Con atto depositato il 20 luglio 2010, è intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato.
La difesa statale, dopo aver riassunto le questioni proposte dal rimettente, chiede che le stesse siano dichiarate inammissibili o infondate.
2.1. – La norma censurata avrebbe potenziato gli strumenti a disposizione del sindaco alla luce dell’esigenza di valorizzare il ruolo degli enti locali anche in materia di sicurezza pubblica (è citata, in proposito, la relazione al decreto-legge n. 92 del 2008).
La Corte costituzionale, con la sentenza n. 196 del 2009, avrebbe già rimarcato come la novella abbia introdotto, al fianco del potere di provvedere in situazioni di contingibilità e urgenza, la possibilità per i sindaci «di adottare provvedimenti di ordinaria amministrazione a tutela di esigenze di incolumità pubblica e sicurezza urbana». Lo stesso art. 54, d’altra parte, avrebbe fissato alcuni parametri di contenimento e indirizzo del potere sindacale. Sarebbe infatti richiesta una situazione di «pericolo, attuale o potenziale, di minaccia all’incolumità pubblica e alla sicurezza urbana». Il pericolo, in tale contesto, dovrebbe essere «grave», ed il provvedimento dovrebbe assicurare, per essere legittimo, una «funzione risolutiva». Di tali condizioni l’ordinanza del sindaco dovrebbe dare conto nella relativa motivazione, espressamente richiesta dalla legge.
Proprio dall’obbligo di motivazione, secondo l’Avvocatura generale, dovrebbe desumersi l’erroneità dell’assunto che attribuisce la valenza di provvedimento normativo alle nuove ordinanze. D’altro canto il dovere di osservanza dei principi generali dell’ordinamento implicherebbe la necessaria applicazione dei criteri di proporzionalità e di ragionevolezza, inteso quest’ultimo come elemento di coerenza interna del provvedimento sindacale e di sua congruenza rispetto alla fattispecie da regolare.
Una ulteriore definizione dell’ambito applicativo della norma censurata è poi intervenuta, secondo la difesa statale, ad opera del d.m. 5 agosto 2008, cui la giurisprudenza amministrativa avrebbe già riconosciuto tale efficacia e la capacità di contemperare esigenze locali e carattere unitario dell’ordinamento. Il decreto in particolare, con le previsioni contenute nelle lettere da a) ad e) dell’art. 2, avrebbe delimitato specifiche aree di intervento, tutte riconducibili all’attività di prevenzione e repressione dei reati, di competenza esclusiva dello Stato (è citata la sentenza della Corte costituzionale n. 196 del 2009). Lo stesso decreto, inoltre, prescriverebbe che l’azione amministrativa «si eserciti nel rispetto delle leggi vigenti», ponendo quindi un ulteriore e più stringente limite, tale da escludere la funzione normativa delle ordinanze, e da configurare le medesime quali strumenti per concrete prescrizioni a tutela della vita associata.
L’indeterminatezza dei poteri attribuiti al sindaco sarebbe esclusa anche in forza della necessaria interlocuzione preventiva con il prefetto, che varrebbe ad assicurare l’efficace coordinamento tra competenze locali e competenze statali, ulteriormente favorito dalle possibilità di intervento sostitutivo e di convocazione della conferenza prevista dal comma 5 dello stesso art. 54.
Tale ultima norma, in definitiva, avrebbe semplicemente perfezionato l’inserimento dell’ente locale nel sistema nazionale della sicurezza pubblica, senza alcuna violazione dei principi di legalità, tipicità e delimitazione della discrezionalità.
3. – Con atto depositato il 15 giugno 2010, si è costituita nel giudizio l’associazione onlus «Razzismo Stop», in persona del Presidente in carica, costituito allo scopo procuratore speciale dall’assemblea dei soci.
Secondo la parte privata, la norma censurata dovrebbe essere dichiarata costituzionalmente illegittima.
3.1. – Il comma 4 dell’art. 54 del d.lgs. n. 267 del 2000, in effetti, avrebbe dato vita ad una fonte normativa «libera», di valore equiparato a quello della legge, con conseguente violazione della riserva di legge di cui agli artt. 23 e 97 Cost., e delle competenze legislative che la Costituzione affida in via esclusiva alle assemblee elettive dello Stato e delle Regioni (artt. 70, 76, 77 e 117 Cost.).
La giurisprudenza costituzionale avrebbe già chiarito – si osserva – che solo situazioni straordinarie e temporanee possono legittimare l’assunzione di poteri extra ordinem da parte delle autorità amministrative. La norma censurata consentirebbe invece veri e propri atti di normazione a carattere generale, come documentato dallo stesso caso di specie (ove è stato introdotto a tempo indeterminato, mediante ordinanza sindacale, un divieto di donazione). La legge non delimiterebbe, in particolare, né l’oggetto né i margini discrezionali della potestà conferita al sindaco, una volta reciso il legame con i presupposti fattuali della contingibilità ed urgenza, ed una volta stabilito quale unico limite contenutistico la necessaria osservanza dei principi generali dell’ordinamento (senza che possano valere, in senso contrario, le generiche indicazioni provenienti dal decreto ministeriale del 5 agosto 2008).
In questo contesto, oltre che i parametri espressivi del principio di legalità (l’art. 23 e l’art. 97 Cost.), la parte costituita evoca il principio di legalità sostanziale, argomentando come la riconosciuta possibilità di introdurre precetti assistiti da una sanzione possa condurre ad arbitrarie limitazioni delle libertà individuali (art. 3 Cost.).
3.2. – Al sindaco sarebbe stata riconosciuta addirittura, secondo l’associazione «Razzismo Stop», la possibilità di sovrapporre proprie arbitrarie prescrizioni alle norme penali e, comunque, alle regole di garanzia dei diritti individuali. La norma censurata determinerebbe quindi una violazione di competenze esclusive dello Stato, in contrasto con gli artt. 13, 16, 17 e 41 Cost., nonché (quanto alle competenze legislative regionali) con l’art. 117 Cost. Non sono legittimi – si osserva – provvedimenti non legislativi che conculchino libertà individuali, fino a disciplinare «a livello condominiale» una variabile conformazione di obblighi e divieti.
Lo stesso inevitabile frazionamento delle fonti, con regole di comportamento diverse su ristretta base territoriale, in violazione del principio di pari garanzia delle libertà fondamentali, implicherebbe la pratica impossibilità per i consociati di conoscere e rispettare le regole vigenti in tutte le porzioni di territorio da loro attraversate. Di qui l’asserita violazione del principio di ragionevolezza (art. 3 Cost.), di «uguaglianza di cui all’art. 2» Cost., di unità ed indivisibilità della Repubblica (art. 5 Cost.), di legalità (art. 97 Cost.), di riparto delle funzioni amministrative (art. 118 Cost.).
3.3. – L’associazione costituita in giudizio riprende anche le osservazioni del rimettente circa l’attrazione alla competenza sindacale di scelte e provvedimenti che, per la loro natura normativa, dovrebbero essere rimessi alla dialettica ed al pluralismo tipici dell’assemblea comunale elettiva. Un’attrazione che, oltretutto, il sindaco esercita in quanto ufficiale del Governo, sganciandosi finanche dal «mandato» che gli deriva in esito alle elezioni municipali. Viene prospettata, di conseguenza, una violazione degli artt. 2, 6, 8, 18, 21, 33, 39 e 49 Cost.
3.4. – Da ultimo, la parte privata prospetta una concomitante violazione degli artt. 24 e 113 Cost., posto che vastità ed indeterminatezza dei poteri conferiti al sindaco sarebbero tali da rendere eccessivamente difficoltoso l’esercizio di un sindacato giurisdizionale effettivo delle singole fattispecie.
4. – In data 22 febbraio 2011, la stessa associazione «Razzismo Stop» ha depositato una memoria, insistendo affinché sia dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 54, comma 4, del d.lgs. n. 267 del 2000, in riferimento agli artt. 2, 3, 5, 6, 8, 13, 16, 17, 18, 21, 23, 24, 41, 49, 70, 76, 77, 97, 113, 117 e 118 Cost.
La memoria ribadisce gli argomenti già proposti con l’atto di costituzione. Si aggiunge che l’art. 54 del d.lgs. n. 267 del 2000 sarebbe illegittimo anche nella parte in cui attribuisce al Ministro dell’interno il potere di regolamentare l’ambito applicativo dei nuovi poteri sindacali, e dunque una funzione normativa non conforme all’ordinamento costituzionale. Tra l’altro, il decreto ministeriale 5 agosto 2008 avrebbe introdotto anche disposizioni innovative rispetto alla stessa previsione censurata, così palesando ulteriori profili di illegittimità.
La correttezza delle ordinanze extra ordinem legittimate dalla novella del 2008 non sarebbe assicurata, secondo la parte privata, né dalla troppo generica prescrizione del rispetto dei principi generali dell’ordinamento, né dalla necessaria interlocuzione del sindaco con il prefetto. Tale interlocuzione non integra un rapporto di subordinazione gerarchica tra il primo ed il secondo, né una immedesimazione organica tra il sindaco e l’Amministrazione dell’interno. Tanto che – si osserva – la giurisprudenza riferisce al Comune, e non allo Stato, la responsabilità risarcitoria per danni derivati da ordinanze contingibili e urgenti (è citata la sentenza del Consiglio di Stato n. 4529 del 2010).
5. – In data 1° marzo 2011 il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha depositato memoria, al fine di ribadire la richiesta d’una pronuncia di inammissibilità e, comunque, di infondatezza delle questioni sollevate.
La difesa statale assume, nell’occasione, che la norma censurata, pur nella versione scaturita dal recente intervento di riforma, avrebbe conservato sostanzialmente l’impianto originario. In particolare, aumentando poteri già tipicamente riconosciuti al sindaco quale ufficiale di Governo, la norma avrebbe implementato gli strumenti di raccordo tra l’azione sindacale e l’attività del prefetto, cui la legge attribuisce funzione di interlocuzione preventiva, di sostituzione e di stimolo. Sarebbe dunque smentito l’assunto del rimettente circa l’ampiezza e l’indeterminatezza dei provvedimenti oggi consentiti al sindaco.
La norma censurata – si ammette – configura una nuova classe di provvedimenti «ordinari», non condizionati dalla contingibilità e dall’urgenza. Tali provvedimenti, tuttavia, sarebbero vincolati nel fine, dovrebbero rispettare i «principi fondamentali» (espressi, secondo la memoria, dalle norme costituzionali, sovranazionali e comunitarie), principi tra i quali sono comprese la proporzionalità e la ragionevolezza, e infine richiederebbero adeguata motivazione (dal che risulterebbe smentita la loro natura normativa). La discrezionalità riconosciuta al sindaco sarebbe ulteriormente limitata, sempre a parere del Presidente del Consiglio dei ministri, dalle definizioni e dalle prescrizioni contenute nel decreto del Ministro dell’interno in data 5 agosto 2008.
La pertinenza della fonte alla materia della sicurezza pubblica, ribadita dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 226 del 2010, varrebbe a documentare che i provvedimenti sindacali non servono «a introdurre nuove discipline tendenzialmente generali, ma contengono le misure concrete» volte ad assicurare «il risultato dell’effettivo rispetto delle norme poste da altre fonti a tutela della vita associata». Non solo, quindi, sarebbe confermata la compatibilità tra la norma censurata e la previsione costituzionale di cui all’art. 117, secondo comma, lettera h), Cost., ma andrebbe «superato ogni dubbio di indeterminatezza» della norma medesima.
Infine, e comunque, la piena sindacabilità delle ordinanze in sede giurisdizionale, confermata dalla giurisprudenza già pronunciatasi in materia, renderebbe inammissibili le questioni sollevate dal Tribunale amministrativo veneto.
Considerato in diritto
1. – Il Tribunale amministrativo regionale per il Veneto, con ordinanza del 22 marzo 2010, ha sollevato – in riferimento agli artt. 2, 3, 5, 6, 8, 13, 16, 17, 18, 21, 23, 24, 41, 49, 70, 76, 77, 97, 113, 117 e 118 della Costituzione – questioni di legittimità costituzionale dell’art. 54, comma 4, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali), come sostituito dall’art. 6 del decreto-legge 23 maggio 2008, n. 92 (Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 24 luglio 2008, n. 125, nella parte in cui consente che il sindaco, quale ufficiale del Governo, adotti provvedimenti a «contenuto normativo ed efficacia a tempo indeterminato», al fine di prevenire e di eliminare gravi pericoli che minaccino la sicurezza urbana, anche fuori dai casi di contingibilità e urgenza.
In particolare, la norma indicata sarebbe illegittima «nella parte in cui ha inserito la congiunzione “anche” prima delle parole “contingibili e urgenti”».
1.1. – La disposizione censurata violerebbe anzitutto, ed in particolare, gli artt. 23, 70, 76, 77, 97 e 117 Cost., ove sono espressi i principi costituzionali di legalità, tipicità e delimitazione della discrezionalità. In base ai principi citati, una disciplina che consenta l’adozione di disposizioni derogatorie alle norme vigenti in rapporto ad una determinata materia, e che attribuisca un potere siffatto «in capo ad un organo monocratico, in luogo di quello ordinariamente deputato», sarebbe legittima solo in quanto configuri una situazione di contingibilità ed urgenza quale «presupposto, condizione e limite» per l’esercizio del potere in questione.
Gli stessi parametri costituzionali sarebbero violati anche perché la disposizione censurata, secondo il rimettente, istituisce una vera e propria fonte normativa, libera nel contenuto ed equiparata alla legge (in quanto idonea a derogare alla legge medesima), in contrasto con le regole costituzionali che riservano alle assemblee legislative il compito di emanare atti aventi forza e valore di legge.
Il Tribunale propone poi un’ulteriore questione con riferimento agli artt. 3, 23 e 97 Cost., che pongono la riserva di legge ed il principio di legalità sostanziale in materia di sanzioni amministrative. Infatti la norma censurata, rimuovendo i presupposti fattuali della contingibilità ed urgenza, avrebbe conferito al sindaco un potere discrezionale e tendenzialmente illimitato di conculcare la libertà dei singoli di tenere ogni comportamento che non sia vietato dalla legge.
Ancora, il comma 4 dell’art. 54 del d.lgs. n. 267 del 2000 violerebbe gli artt. 13, 16, 17 e 41 Cost., ciascuno dei quali espressivo di una riserva di legge a tutela di diritti e libertà fondamentali della persona (in particolare, la libertà personale, la libertà di soggiorno e circolazione, la libertà di riunione, la libertà in materia di iniziativa economica), che la disposizione censurata renderebbe suscettibili di compressione per effetto di provvedimenti non aventi rango di legge.
Una censura ulteriore è proposta dal rimettente in relazione all’art. 117 Cost., perché il potere di normazione conferito dalla disposizione censurata consentirebbe l’invasione degli ambiti di competenza legislativa regionale.
Ancora, la norma in oggetto sarebbe illegittima in ragione del suo contrasto con gli artt. 2 e 3 Cost., poiché implica che la disciplina di identici comportamenti – anche quando espressivi dell’esercizio di diritti fondamentali, e dunque necessariamente garantiti in modo uniforme sull’intero territorio nazionale – venga irragionevolmente differenziata in rapporto ad ambiti territoriali frazionati (fino al limite rappresentato dal territorio ripartito di tutti i Comuni italiani). L’indicato frazionamento, d’altra parte, comporrebbe una lesione dei principi di unità ed indivisibilità della Repubblica (art. 5 Cost.), di legalità (art. 97 Cost.), di riparto delle funzioni amministrative (art. 118 Cost.).
Il Tribunale rimettente prospetta poi un’ulteriore violazione, relativamente agli artt. 2, 6, 8, 18, 21, 33, 39 e 49 Cost., che pongono il principio costituzionale del pluralismo, anche sotto il profilo culturale, politico, religioso e scientifico: la norma censurata, infatti, conferirebbe una potestà normativa, tendenzialmente libera se non nell’orientamento finalistico, ad un organo monocratico che nella specie opera quale ufficiale di Governo, derogando alle competenze ordinarie dell’assemblea comunale elettiva, in materia tra l’altro di regolamento della polizia urbana.
Infine, con il comma 4 del d.lgs. n. 267 del 2000, si sarebbe determinata una violazione degli artt. 24 e 113 Cost., in ragione della vastità ed indeterminatezza dei poteri attribuiti al sindaco e della conseguente ampia discrezionalità esercitabile dal sindaco medesimo, tale da rendere eccessivamente difficoltosa la possibilità di un effettivo sindacato giurisdizionale delle singole fattispecie.
2. – Preliminarmente, deve essere disattesa l’eccezione di inammissibilità sollevata dalla difesa dello Stato, sulla scorta del rilievo che le ordinanze oggetto del presente giudizio sarebbero pienamente sindacabili in sede giurisdizionale, e che i vizi di legittimità costituzionale denunciati dal rimettente costituirebbero in realtà vizi dell’atto amministrativo, i quali ben potrebbero determinare, se accertati, l’annullamento o la disapplicazione delle ordinanze stesse nelle sedi giudiziarie competenti.
Il giudice a quo ha adottato un significato della disposizione censurata, in base al quale non sarebbe rinvenibile, all’interno della stessa, una configurazione di limiti specifici, che possano consentire al giudice adito di valutare in concreto la legittimità degli atti impugnati.
Il rimettente è pervenuto a tale conclusione dopo aver esplicitamente scartato possibili interpretazioni conformi a Costituzione, che pure sono state proposte da una parte della dottrina. L’atto amministrativo impugnato si presentava quindi, a parere del giudice rimettente, non in contrasto con l’art. 54, comma 4, del d.lgs. n. 267 del 2000 (nel nuovo testo introdotto nel 2008) e pertanto il ricorso contro lo stesso avrebbe dovuto essere rigettato. Tuttavia lo stesso giudice, dubitando della legittimità costituzionale della norma legislativa che è posta a fondamento dell’atto, e denunciando una serie di presunti vizi riscontrati, ha sollevato la questione oggetto del presente giudizio.
In definitiva, la rilevanza della questione nel processo principale è motivata in modo plausibile.
3. – Nel merito, la questione è fondata.
3.1. – Occorre innanzitutto procedere ad una analisi dell’enunciato normativo contenuto nella disposizione censurata.
Si deve notare, al riguardo, che nell’art. 54, comma 4, del d.lgs. n. 267 del 2000 è scritto: «Il sindaco, quale ufficiale del Governo, adotta con atto motivato provvedimenti, anche contingibili e urgenti nel rispetto dei principi generali dell’ordinamento, al fine di prevenire e di eliminare gravi pericoli che minacciano l’incolumità pubblica e la sicurezza urbana».
Si può osservare agevolmente che la frase «anche contingibili e urgenti nel rispetto dei principi generali dell’ordinamento» è posta tra due virgole. Si deve trarre da ciò la conclusione che il riferimento al rispetto dei soli principi generali dell’ordinamento riguarda i provvedimenti contingibili e urgenti e non anche le ordinanze sindacali di ordinaria amministrazione. L’estensione anche a tali atti del regime giuridico proprio degli atti contingibili e urgenti avrebbe richiesto una disposizione così formulata: «adotta con atto motivato provvedimenti, anche contingibili e urgenti, nel rispetto dei principi generali dell’ordinamento […]».
La dizione letterale della norma implica che non è consentito alle ordinanze sindacali “ordinarie” – pur rivolte al fine di fronteggiare «gravi pericoli che minacciano l’incolumità pubblica e la sicurezza urbana» – di derogare a norme legislative vigenti, come invece è possibile nel caso di provvedimenti che si fondino sul presupposto dell’urgenza e a condizione della temporaneità dei loro effetti. Questa Corte ha infatti precisato, con giurisprudenza costante e consolidata, che deroghe alla normativa primaria, da parte delle autorità amministrative munite di potere di ordinanza, sono consentite solo se «temporalmente delimitate» (ex plurimis, sentenze n. 127 del 1995, n. 418 del 1992, n. 32 del 1991, n. 617 del 1987, n. 8 del 1956) e, comunque, nei limiti della «concreta situazione di fatto che si tratta di fronteggiare» (sentenza n. 4 del 1977).
Le ordinanze oggetto del presente scrutinio di legittimità costituzionale non sono assimilabili a quelle contingibili e urgenti, già valutate nelle pronunce appena richiamate. Esse consentono ai sindaci «di adottare provvedimenti di ordinaria amministrazione a tutela di esigenze di incolumità pubblica e sicurezza urbana» (sentenza n. 196 del 2009).
Sulla scorta del rilievo sopra illustrato, che cioè la norma censurata, se correttamente interpretata, non conferisce ai sindaci alcun potere di emanare ordinanze di ordinaria amministrazione in deroga a norme legislative o regolamentari vigenti, si deve concludere che non sussistono i vizi di legittimità che sono stati denunciati sulla base del contrario presupposto interpretativo.
4. – Le considerazioni che precedono non esauriscono tuttavia l’intera problematica della conformità a Costituzione della norma censurata. Quest’ultima attribuisce ai sindaci il potere di emanare ordinanze di ordinaria amministrazione, le quali, pur non potendo derogare a norme legislative o regolamentari vigenti, si presentano come esercizio di una discrezionalità praticamente senza alcun limite, se non quello finalistico, genericamente identificato dal legislatore nell’esigenza «di prevenire e di eliminare gravi pericoli che minacciano l’incolumità pubblica e la sicurezza urbana».
Questa Corte ha affermato, in più occasioni, l’imprescindibile necessità che in ogni conferimento di poteri amministrativi venga osservato il principio di legalità sostanziale, posto a base dello Stato di diritto. Tale principio non consente «l’assoluta indeterminatezza» del potere conferito dalla legge ad una autorità amministrativa, che produce l’effetto di attribuire, in pratica, una «totale libertà» al soggetto od organo investito della funzione (sentenza n. 307 del 2003; in senso conforme, ex plurimis, sentenze n. 32 del 2009 e n. 150 del 1982). Non è sufficiente che il potere sia finalizzato dalla legge alla tutela di un bene o di un valore, ma è indispensabile che il suo esercizio sia determinato nel contenuto e nelle modalità, in modo da mantenere costantemente una, pur elastica, copertura legislativa dell’azione amministrativa.
5. – Le ordinanze sindacali oggetto del presente giudizio incidono, per la natura delle loro finalità (incolumità pubblica e sicurezza urbana) e per i loro destinatari (le persone presenti in un dato territorio), sulla sfera generale di libertà dei singoli e delle comunità amministrate, ponendo prescrizioni di comportamento, divieti, obblighi di fare e di non fare, che, pur indirizzati alla tutela di beni pubblici importanti, impongono comunque, in maggiore o minore misura, restrizioni ai soggetti considerati. La Costituzione italiana, ispirata ai principi fondamentali della legalità e della democraticità, richiede che nessuna prestazione, personale o patrimoniale, possa essere imposta, se non in base alla legge (art. 23).
La riserva di legge appena richiamata ha indubbiamente carattere relativo, nel senso che lascia all’autorità amministrativa consistenti margini di regolazione delle fattispecie in tutti gli ambiti non coperti dalle riserve di legge assolute, poste a presidio dei diritti di libertà, contenute negli artt. 13 e seguenti della Costituzione. Il carattere relativo della riserva de qua non relega tuttavia la legge sullo sfondo, né può costituire giustificazione sufficiente per un rapporto con gli atti amministrativi concreti ridotto al mero richiamo formale ad un prescrizione normativa “in bianco”, genericamente orientata ad un principio-valore, senza una precisazione, anche non dettagliata, dei contenuti e modi dell’azione amministrativa limitativa della sfera generale di libertà dei cittadini.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, costante sin dalle sue prime pronunce, l’espressione «in base alla legge», contenuta nell’art. 23 Cost., si deve interpretare «in relazione col fine della protezione della libertà e della proprietà individuale, a cui si ispira tale fondamentale principio costituzionale»; questo principio «implica che la legge che attribuisce ad un ente il potere di imporre una prestazione non lasci all’arbitrio dell’ente impositore la determinazione della prestazione» (sentenza n. 4 del 1957). Lo stesso orientamento è stato ribadito in tempi recenti, quando la Corte ha affermato che, per rispettare la riserva relativa di cui all’art. 23 Cost., è quanto meno necessario che «la concreta entità della prestazione imposta sia desumibile chiaramente dagli interventi legislativi che riguardano l’attività dell’amministrazione» (sentenza n. 190 del 2007).
È necessario ancora precisare che la formula utilizzata dall’art. 23 Cost. «unifica nella previsione i due tipi di prestazioni “imposte”» e «conserva a ciascuna di esse la sua autonomia», estendendosi naturalmente agli «obblighi coattivi di fare» (sentenza n. 290 del 1987). Si deve aggiungere che l’imposizione coattiva di obblighi di non fare rientra ugualmente nel concetto di “prestazione”, in quanto, imponendo l’omissione di un comportamento altrimenti riconducibile alla sfera del legalmente lecito, è anch’essa restrittiva della libertà dei cittadini, suscettibile di essere incisa solo dalle determinazioni di un atto legislativo, direttamente o indirettamente riconducibile al Parlamento, espressivo della sovranità popolare.
6. – Nella materia in esame è intervenuto il decreto del Ministro dell’interno 5 agosto 2008 (Incolumità pubblica e sicurezza urbana: definizione e ambiti di applicazione). In tale atto amministrativo a carattere generale, l’incolumità pubblica è definita, nell’art. 1, come «l’integrità fisica della popolazione», mentre la sicurezza urbana è descritta come «un bene pubblico da tutelare attraverso attività poste a difesa, nell’ambito delle comunità locali, del rispetto delle norme che regolano la vita civile, per migliorare le condizioni di vivibilità nei centri urbani, la convivenza civile e la coesione sociale». L’art. 2 indica le situazioni e le condotte sulle quali il sindaco, nell’esercizio del potere di ordinanza, può intervenire, «per prevenire e contrastare» le stesse.
Il decreto ministeriale sopra citato può assolvere alla funzione di indirizzare l’azione del sindaco, che, in quanto ufficiale del Governo, è sottoposto ad un vincolo gerarchico nei confronti del Ministro dell’interno, come è confermato peraltro dallo stesso art. 54, comma 4, secondo periodo, del d.lgs. n. 267 del 2000, che impone al sindaco l’obbligo di comunicazione preventiva al prefetto dei provvedimenti adottati «anche ai fini della predisposizione degli strumenti ritenuti necessari alla loro attuazione». Ai sensi dei commi 9 e 11 dello stesso articolo, il prefetto dispone anche di poteri di vigilanza e sostitutivi nei confronti del sindaco, per verificare il regolare svolgimento dei compiti a quest’ultimo affidati e per rimediare alla sua eventuale inerzia.
La natura amministrativa del potere del Ministro, esercitato con il decreto sopra citato, se assolve alla funzione di regolare i rapporti tra autorità centrale e periferiche nella materia, non può soddisfare la riserva di legge, in quanto si tratta di atto non idoneo a circoscrivere la discrezionalità amministrativa nei rapporti con i cittadini. Il decreto, infatti, si pone esso stesso come esercizio dell’indicata discrezionalità, che viene pertanto limitata solo nei rapporti interni tra Ministro e sindaco, quale ufficiale del Governo, senza trovare fondamento in un atto avente forza di legge. Solo se le limitazioni e gli indirizzi contenuti nel citato decreto ministeriale fossero stati inclusi in un atto di valore legislativo, questa Corte avrebbe potuto valutare la loro idoneità a circoscrivere la discrezionalità amministrativa dei sindaci. Nel caso di specie, al contrario, le determinazioni definitorie, gli indirizzi e i campi di intervento non potrebbero essere ritenuti limiti validi alla suddetta discrezionalità, senza incorrere in un vizio logico di autoreferenzialità.
Si deve, in conclusione, ritenere che la norma censurata, nel prevedere un potere di ordinanza dei sindaci, quali ufficiali del Governo, non limitato ai casi contingibili e urgenti – pur non attribuendo agli stessi il potere di derogare, in via ordinaria e temporalmente non definita, a norme primarie e secondarie vigenti – viola la riserva di legge relativa, di cui all’art. 23 Cost., in quanto non prevede una qualunque delimitazione della discrezionalità amministrativa in un ambito, quello della imposizione di comportamenti, che rientra nella generale sfera di libertà dei consociati. Questi ultimi sono tenuti, secondo un principio supremo dello Stato di diritto, a sottostare soltanto agli obblighi di fare, di non fare o di dare previsti in via generale dalla legge.
7. – Si deve rilevare altresì la violazione dell’art. 97 Cost., che istituisce anch’esso una riserva di legge relativa, allo scopo di assicurare l’imparzialità della pubblica amministrazione, la quale può soltanto dare attuazione, anche con determinazioni normative ulteriori, a quanto in via generale è previsto dalla legge. Tale limite è posto a garanzia dei cittadini, che trovano protezione, rispetto a possibili discriminazioni, nel parametro legislativo, la cui osservanza deve essere concretamente verificabile in sede di controllo giurisdizionale. La stessa norma di legge che adempie alla riserva può essere a sua volta assoggettata – a garanzia del principio di eguaglianza, che si riflette nell’imparzialità della pubblica amministrazione – a scrutinio di legittimità costituzionale.
La linea di continuità fin qui descritta è interrotta nel caso oggetto del presente giudizio, poiché l’imparzialità dell’amministrazione non è garantita ab initio da una legge posta a fondamento, formale e contenutistico, del potere sindacale di ordinanza. L’assenza di limiti, che non siano genericamente finalistici, non consente pertanto che l’imparzialità dell’agire amministrativo trovi, in via generale e preventiva, fondamento effettivo, ancorché non dettagliato, nella legge.
Per le ragioni esposte, la norma censurata viola anche l’art. 97, primo comma, della Costituzione.
8. – L’assenza di una valida base legislativa, riscontrabile nel potere conferito ai sindaci dalla norma censurata, così come incide negativamente sulla garanzia di imparzialità della pubblica amministrazione, a fortiori lede il principio di eguaglianza dei cittadini davanti alla legge, giacché gli stessi comportamenti potrebbero essere ritenuti variamente leciti o illeciti, a seconda delle numerose frazioni del territorio nazionale rappresentate dagli ambiti di competenza dei sindaci. Non si tratta, in tali casi, di adattamenti o modulazioni di precetti legislativi generali in vista di concrete situazioni locali, ma di vere e proprie disparità di trattamento tra cittadini, incidenti sulla loro sfera generale di libertà, che possono consistere in fattispecie nuove ed inedite, liberamente configurabili dai sindaci, senza base legislativa, come la prassi sinora realizzatasi ha ampiamente dimostrato.
Tale disparità di trattamento, se manca un punto di riferimento normativo per valutarne la ragionevolezza, integra la violazione dell’art. 3, primo comma, Cost., in quanto consente all’autorità amministrativa – nella specie rappresentata dai sindaci – restrizioni diverse e variegate, frutto di valutazioni molteplici, non riconducibili ad una matrice legislativa unitaria.
Un giudizio sul rispetto del principio generale di eguaglianza non è possibile se le eventuali differenti discipline di comportamenti, uguali o assimilabili, dei cittadini, contenute nelle più disparate ordinanze sindacali, non siano valutabili alla luce di un comune parametro legislativo, che ponga le regole ed alla cui stregua si possa verificare se le diversità di trattamento giuridico siano giustificate dalla eterogeneità delle situazioni locali.
Per i motivi esposti, la norma censurata viola anche l’art. 3, primo comma, della Costituzione.
9. – Si devono ritenere assorbite le altre censure di legittimità costituzionale contenute nell’atto introduttivo del presente giudizio.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 54, comma 4, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali), come sostituito dall’art. 6 del decreto-legge 23 maggio 2008, n. 92 (Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 24 luglio 2008, n. 125, nella parte in cui comprende la locuzione «, anche» prima delle parole «contingibili e urgenti».
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 4 aprile 2011.
F.to:
Ugo DE SIERVO, Presidente
Gaetano SILVESTRI, Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 7 aprile 2011.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: MELATTI
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