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sabato 21 settembre 2024

L’altro giorno, nel noto simposio di giureconsulti L’aria che tira, il patteggiatore seriale Giovanni Toti mi ha impartito una lezione di Diritto penale: “Un patteggiamento non è un’ammissione di colpa. Sono stato accusato di essere Al Capone, poi è uscito fuori che Toti non ha mai preso un euro”.

 

L’altro giorno, nel noto simposio di giureconsulti L’aria che tira, il patteggiatore seriale Giovanni Toti mi ha impartito una lezione di Diritto penale: “Un patteggiamento non è un’ammissione di colpa. Sono stato accusato di essere Al Capone, poi è uscito fuori che Toti non ha mai preso un euro”. In attesa di sapere perché uno che non ha mai preso un euro prega il giudice non di assolverlo al processo, ma di infliggergli una “pena detentiva” di 2 anni e 1 mese per corruzione con interdizione dai pubblici uffici senza processo (ma in base alle accuse del pm), cito dal sito del ministero della Giustizia del suo amico Carletto Nordio: “Presupposto del patteggiamento è l’implicita ammissione di colpevolezza da parte dell’imputato”. E la Corte di Cassazione: “La richiesta di accettazione della pena deve essere considerata come ammissione del fatto”. Tant’è che ora il giudice, se accetterà il patteggiamento, potrà confiscare a Toti i soldi che non ha mai preso e intanto scatterà sia l’interdizione dai pubblici uffici sia la legge Severino, che dichiara incandidabile chi è stato condannato o ha patteggiato (per la legge è la stessa cosa) una pena superiore a 2 anni per un delitto contro la PA.

Purtroppo è inutile spiegare queste cose a Toti, che ha studiato Diritto nei prestigiosi atenei serali del Psi e di Cologno Monzese. Il Tribunale del Riesame di Genova, rigettando la sua prima istanza di revoca degli arresti domiciliari, scrisse che poteva ripetere i reati perché non li capiva: “Se è necessario per l’indagato farsi spiegare ogni volta dagli inquirenti che cosa sia lecito e che cosa non lo sia, continua indubbiamente a sussistere il concreto e attuale pericolo che egli commenta altri fatti di analoga indole, nella convinzione di operare legittimamente”. Confondeva le “erogazioni liberali” (cioè gratuite e disinteressate) degli imprenditori ai politici (consentite dalla legge) con le mazzette che incassava da Spinelli &C. mentre concordava concessioni, licenze e appalti (vietate dalla legge). Poi le manette devono avergli fatto intuire la differenza, infatti s’è dimesso e ha patteggiato la pena. Non una, ma due volte e sempre per corruzione, cioè per soldi che non ha preso: prima per quelli del ras del porto Aldo Spinelli, poi per quelli di Luigi Alberto Amico, patron degli omonimi cantieri navali. Se un patteggiamento è un indizio di innocenza, due patteggiamenti sono una prova schiacciante. Purtroppo s’è scordato di coordinarsi con Matteo Salvini, che proprio a Genova, al Salone Nautico, alla domanda se patteggerà per Open Arms, ha risposto adorabile: “Non ho nulla di cui pentirmi o su cui patteggiare, non sono mica un delinquente!”. Mica è Toti, lui. (Marco Travaglio – Il Fatto Quotidiano)

T.me/GiuseppeSalamone

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