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domenica 27 ottobre 2024

Cassazione 2024-“ La Corte di Appello di OMISSIS, in riforma della sentenza del Tribunale della stessa sede, ha dichiarato il carattere discriminatorio della condotta posta in essere nei confronti di A.A. dal Comune di OMISSIS, e consistita nell'adozione in data 28.5.2018 del bando di selezione pubblica per la copertura di 22 posti a tempo indeterminato del profilo professionale di agente di polizia municipale, categoria C, posizione economica C1, nella parte in cui aveva previsto la partecipazione alla selezione a coloro che non avevano compiuto i 30 anni di età alla data di scadenza del bando, ed aveva elevato il limite massimo di età nella misura di un anno per gli aspiranti coniugati, di un anno per ogni figlio vivente, e di un periodo pari all'effettivo servizio prestato, comunque non superiore a tre anni, in favore degli aspiranti che avevano prestato servizio militare volontario, di leva e di leva prolungata, ai sensi della legge n. 958/1986, escludendo che potesse superare i 35 anni in caso di cumulo di benefici.”

 



Cass. civ. Sez. lavoro, Ord., (ud. 24/09/2024) 22-10-2024, n. 27294 

Fatto Diritto P.Q.M. 

REPUBBLICA ITALIANA 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE 

SEZIONE LAVORO CIVILE 

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati 

Dott. TRIA Lucia - Presidente 

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa - Consigliere 

Dott. MAROTTA Caterina - Consigliere 

Dott. ZULIANI Andrea - Consigliere 

Dott. BUCONI Maria Lavinia - Relatore 

ha pronunciato la seguente 

ORDINANZA 

sul ricorso iscritto al n. 34132/2019 R.G. proposto da 

COMUNE DI OMISSIS, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in Roma, Via Polibio n. 15, presso lo studio dell'Avv.  

contro 

A.A., rappresentata e difesa dall'Avv.  

-controricorrente- 

avverso la sentenza n. 695/2019 della Corte d'Appello di OMISSIS, pubblicata in data 16.05.2019, N.R.G. 1378/2018. 

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 24.09.2024 dal Consigliere Dott.ssa MARIA LAVINIA BUCONI. 

Svolgimento del processo 

1. La Corte di Appello di OMISSIS, in riforma della sentenza del Tribunale della stessa sede, ha dichiarato il carattere discriminatorio della condotta posta in essere nei confronti di A.A. dal Comune di OMISSIS, e consistita nell'adozione in data 28.5.2018 del bando di selezione pubblica per la copertura di 22 posti a tempo indeterminato del profilo professionale di agente di polizia municipale, categoria C, posizione economica C1, nella parte in cui aveva previsto la partecipazione alla selezione a coloro che non avevano compiuto i 30 anni di età alla data di scadenza del bando, ed aveva elevato il limite massimo di età nella misura di un anno per gli aspiranti coniugati, di un anno per ogni figlio vivente, e di un periodo pari all'effettivo servizio prestato, comunque non superiore a tre anni, in favore degli aspiranti che avevano prestato servizio militare volontario, di leva e di leva prolungata, ai sensi della legge n. 958/1986, escludendo che potesse superare i 35 anni in caso di cumulo di benefici. 

2. La Corte territoriale ha rilevato che le doglianze della ricorrente (che all'epoca della scadenza del bando aveva 34 anni e non era coniugata), reiterate nel giudizio di appello, avevano riguardato la previsione di un primo limite generale di età e di un superiore limite riferito a categorie ristrette di soggetti, in assenza di ragioni legate all'attività richiesta o ad esplicite necessità oggettive dell'Amministrazione ed ha osservato che, a fronte della previsione contenuta nel bando di un doppio limite di età per l'ammissione al corpo di Polizia Municipale, la fattispecie rientra nell'ambito di applicazione della Direttiva 2000/78/CE. 

3. Richiamata la giurisprudenza UE relativa al carattere discriminatorio di limiti di età previsti per l'assunzione presso i corpi di polizia, ed in particolare il principio secondo cui la differenza di trattamento basata sull'età deve essere giustificata sulla base di comprovati elementi scientifici ed organizzativi, il giudice di appello ha escluso che dalle generiche e tautologiche prospettazioni del Comune sulla revisione di turni serali e notturni (esclusi dalla contrattazione decentrata integrativa solo al raggiungimento di determinati coefficienti, ottenuti sommando l'età anagrafica a quella del servizio) potesse desumersi che il limite dei 30 anni (o dei 35 in presenza di determinati requisiti) fosse funzionale all'obiettivo di garantire il carattere operativo ed il buon funzionamento del Corpo degli agenti di Polizia Locale ed ha affermato che le rigorose ed eliminatorie prove fisiche previste una volta superata la selezione consentivano di verificare la speciale condizione fisica richiesta per lo svolgimento della professione di Agenti di Polizia Municipale, con una modalità meno restrittiva rispetto alla fissazione di un'età massima. 

4. Ha pertanto ritenuto sproporzionato il requisito del limite di età imposto dal bando ed ha ravvisato la sussistenza di una discriminazione diretta fondata sull'età; ha ritenuto tale conclusione valida a fortiori per il doppio limite di età, che prescinde del tutto dalla necessità di una particolare condizione fisica in capo al neo assunto. 

5. Avverso tale sentenza il Comune di OMISSIS ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi, illustrati da memoria. 

6. A.A. ha resistito con controricorso. 

Motivi della decisione 

1. Con il primo motivo il ricorso denuncia violazione dell'art. 112 cod. proc. civ. e degli artt. 24 e 111 Cost.; omesso esame di un fatto decisivo, in relazione all'art. 360, comma primo, nn. 3 e 5 cod. proc. civ. 

Lamenta che la Corte territoriale ha emesso una pronuncia ultra petita; evidenzia che la domanda proposta dalla A.A. non aveva ad oggetto l'apposizione del limite funzionale massimo di 30 anni di età per la partecipazione alla selezione, ma lo aveva ritenuto legittimo. 

Lamenta inoltre la lesione del diritto alla difesa e del diritto al giusto processo. 

Critica la sentenza impugnata per avere omesso di considerare il riconoscimento, da parte del giudice di primo grado e dell'appellante, della legittimità del limite funzione dei 30 anni per la partecipazione alla selezione. 

2. Con il secondo motivo il ricorso denuncia erronea e/o falsa applicazione dell'art. 3, comma 6, legge n. 127/1997, dell'art. 3 del Regolamento del Corpo di Polizia Municipale, dell'art. 2 del D.P.R. n. 487/1994, dell'art. 7, comma 2, del C.D.D.I. Municipale", del 18 considerando e dell'art. 4 n. 1 della Direttiva 2000/78, nonché degli artt. 3, 4 bis e 4 ter D.Lgs. n. 2016/2003, in relazione all'art. 360, comma primo, n. 3 cod. proc. civle. 

Sostiene la legittimità del limite massimo di 30 anni, previsto per l'ammissione alla prova selettiva dal Regolamento del Corpo di Polizia Municipale in osservanza dell'art. 2 del D.P.R. n. 487/1994; evidenzia che la gravosità delle mansioni di Agente della Polizia Locale nella Città di M aveva portato le parti sociali in sede di contrattazione decentrata integrativa ad escluderli dai turni serali e notturni al raggiungimento di determinati coefficienti. 

Addebita alla Corte territoriale di avere valutato in modo contraddittorio ed astratto la sussistenza del requisito di proporzionalità del limite di età di 30 anni, rispetto all'obiettivo perseguito, peraltro sulla base di premesse errate; critica la sentenza impugnata per avere sostanzialmente omesso di valutare la gravosità delle mansioni di Agente della Polizia Locale nel contesto della Città di M. 

Censura le statuizioni della sentenza impugnata relative al carattere astratto e tautologico delle deduzioni del Comune riguardanti la revisione di turni serali e notturni; evidenzia che la mancata produzione dei dati scientifici riguardanti le attività della Polizia Locale era dipesa dall'insussistenza del relativo onere probatorio, a fronte del riconoscimento della legittimità del termine funzionale dei 30 anni da parte della A.A. 

Torna a sostenere che la sentenza impugnata ha omesso di valutare la riconosciuta legittimità del limite di età di 30 anni per la partecipazione alla selezione. 

Lamenta che la Corte territoriale ha valutato esclusivamente il possesso dei requisiti al momento dell'assunzione; contesta il carattere rigoroso ed eliminatorio delle prove fisiche per l'accesso al Corpo, evidenziando che la gravosità delle mansioni era stata riconosciuta dal medico competente sulla valutazione dei rischi e che la valutazione sul lungo periodo era stata effettuata dall'Amministrazione nel Regolamento e nel CDDI. 

3. Con il terzo motivo il ricorso denuncia erronea e/o falsa interpretazione dell'art. 2 D.P.R. n. 487/1994, recepito nell'art. 13 del Regolamento del Corpo di Pulizia Locale e nel bando di selezione oggetto di causa. 

Evidenzia che il Regolamento ed il bando non hanno stabilito un secondo e più elevato limite di età di accesso al concorso, ma hanno introdotto una deroga all'unico limite di età dei 30 anni. 

Aggiunge che le condizioni previste dal bando per l'innalzamento del limite di età sono previste dall'art. 2 del D.P.R. n. 487/1994. 

4. Va premesso che il ricorso non contiene censure sostanziali alle statuizioni che costituiscono il fulcro della sentenza impugnata, ossia sui parametri (individuati nel diritto dell'Unione Europea e nella giurisprudenza comunitaria) in base ai quali è stata ritenuta la sussistenza di una discriminazione diretta sia rispetto al primo limite di età, che in relazione all'estensione del suddetto limite a 35 anni in presenza di determinati requisiti. 

5. Il primo motivo è inammissibile, in quanto lamenta la violazione dell'art. 112 cod. proc. civ. senza tuttavia denunciare la nullità della sentenza impugnata. 

Deve in proposito rammentarsi che qualora il ricorrente lamenti un errore processuale non è indispensabile che faccia esplicita menzione della ravvisabilità della fattispecie di cui all'art. 360, comma primo, n. 4 cod. proc. civ. riguardo alla norma processuale violata, purché il motivo rechi univoco riferimento alla nullità della decisione derivante dalla relativa violazione (Cass. n. 24247/2016). 

Inoltre l'omessa valutazione di questioni processuali non rientra nel paradigma dell'art. 360 n. 5 cod. proc. civ., che ha introdotto nell'ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all'omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, ossia ad un preciso accadimento o ad una precisa circostanza in senso storico naturalistico, la cui esistenza risulti dagli atti processuali che hanno costituito oggetto di discussione tra le parti, avente carattere decisivo (Cass. n. 13024/2022 e Cass. n. 14082/2017). 

6. Anche il secondo motivo è inammissibile. 

Infatti, a seguito della riformulazione dell'art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., disposta dall'art. 54 del D.L. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla legge n. 134 del 2012, non sono più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica della violazione del "minimo costituzionale" richiesto dall'art. 111, sesto comma, Cost., individuabile nelle ipotesi -che si convertono in violazione dell'art. 132, secondo comma, n. 4, c.p.c. e danno luogo a nullità della sentenza- di "mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale", di "motivazione apparente", di "manifesta ed irriducibile contraddittorietà" e di "motivazione perplessa od incomprensibile", mentre al di fuori di tali ipotesi il vizio di motivazione può essere dedotto solo per omesso esame di un "fatto storico", che abbia formato oggetto di discussione e che appaia "decisivo" ai fini di una diversa soluzione della controversia (Cass. Sez. 1 - Ordinanza n. 7090 del 03/03/2022; Cass. Sez. 6 - 3, Ordinanza n. 22598 del 25/09/2018; Cass. Sez. 3 - Sentenza n. 23940 del 12/10/2017). 

Nella restante parte, il motivo censura inammissibilmente la violazione di disposizioni regolamentari (che non costituiscono norme di legge) e del C.C.D.I., e non denuncia la violazione dei criteri di ermeneutica contrattuale contenuti negli artt. 1362 e 1363 cod. civ. 

Deve infatti rammentarsi che, ai sensi dell'art. 63 del D.Lgs. n. 165 del 2001 come modificato dal D.Lgs. n. 40 del 2006, la denuncia della violazione e falsa applicazione dei contratti collettivi di lavoro, ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., è ammessa solo con riferimento ai contratti collettivi di carattere nazionale, per i quali è previsto il particolare regime di pubblicità di cui all'art. 47, comma 8, del D.Lgs. n. 165 del 2001. Mentre i contratti integrativi, attivati dalle amministrazioni sulle singole materie e nei limiti stabiliti dal contratto nazionale, tra i soggetti e con le procedure negoziali che questi ultimi prevedono, se pure parametrati al territorio nazionale in ragione dell'amministrazione interessata, hanno una dimensione di carattere decentrato rispetto al comparto, con la conseguenza che la loro interpretazione è riservata al giudice di merito, ed è censurabile in sede di legittimità soltanto per violazione dei criteri legali di ermeneutica contrattuale ovvero per vizio di motivazione, nei limiti fissati dall'art. 360 n. 5 cod. proc. civ. nel testo applicabile ratione temporis (cfr. fra le tante Cass. n. 5565/2004; Cass. n. 20599/2006; Cass. n. 28859/2008; Cass. n. 6748/2010; Cass. n. 15934/2013; Cass. n. 4921/2016, Cass. n. 16705/2018; Cass. n. 33312/2018; Cass. n. 20917/2019; Cass. n.7568/2020; Cass. n. 25626/2020 e Cass. n. 3829/2021). 

A detti contratti non si estende, inoltre, il particolare regime di pubblicità di cui all'art. 47, ottavo comma, del D.Lgs. n. 165 del 2001, sicché, venendo in rilievo gli oneri di specificazione e di allegazione di cui agli artt. 366 n. 6 e 369 n. 4 cod. proc. civ., il ricorrente è tenuto a depositarli, a fornire precise indicazioni sulle modalità e sui tempi della produzione nel giudizio di merito, a trascrivere nel ricorso le clausole che si assumono erroneamente interpretate dalla Corte territoriale (Cass. nn. 7981, 7216, 6038, 2709, 95 del 2018; Cass. n. 3829/2021). 

Una volta esclusa l'applicabilità ai contratti integrativi dell'art. 360 n. 3 cod. proc. civ., opera il principio, parimenti consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, secondo cui in tema di ermeneutica contrattuale, l'accertamento della volontà delle parti in relazione al contenuto del negozio si traduce in una indagine di fatto, affidata al giudice di merito e censurabile in sede di legittimità nella sola ipotesi di motivazione inadeguata ovvero di violazione di canoni legali di interpretazione contrattuale di cui agli artt. 1362 e seguenti cod. civ. 

Pertanto, al fine di far valere una violazione sotto i due richiamati profili, il ricorrente per cassazione deve non solo fare esplicito riferimento alle regole legali di interpretazione mediante specifica indicazione delle norme asseritamene violate ed ai principi in esse contenuti, ma è tenuto, altresì, a precisare in quale modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai canoni legali assunti come violati o se lo stesso li abbia applicati sulla base di argomentazioni illogiche od insufficienti, sempre nei limiti fissati dall'art. 360 n. 5 cod. proc. civ. nel testo applicabile ratione temporis e non essendo consentito il riesame del merito in sede di legittimità (Cass. n. 17168/2012; Cass. n. 9054/2013; Cass. n. 10271/2016 e Cass. n. 3829/2021). 

Nella specie, la censura, di mancata valorizzazione della valutazione dei rischi da parte del medico competente (documento non menzionato dalla sentenza impugnata), non denuncia l'omessa pronuncia sul punto né indica l'atto del giudizio di merito nel quale abbia già dedotto tale questione. 

Deve in proposito rammentarsi il principio ribadito dalle Sezioni Unite di questa Corte con sentenza n. 19874/2018, secondo cui nel giudizio di cassazione, che ha per oggetto solo la revisione della sentenza impugnata in rapporto alla regolarità formale del processo e alle questioni di diritto proposte, non sono proponibili nuove questioni di diritto o temi di contestazione diversi da quelli dedotti nel giudizio di merito, tranne che si tratti di questioni rilevabili di ufficio o, nell'ambito delle questioni trattate, di nuovi profili di diritto compresi nel dibattito e fondati sugli stessi argomenti di fatto già dedotti (vedi, sul punto Cass. SU n.19874/2018; Cass. n. 2190/2014; Cass. n. 4787/2012; Cass. n. 8993/2003; Cass. n. 3881/2000; Cass. n. 5845/2000; Cass. n. 12020/1995). 

Pertanto, nel caso in cui il ricorrente per cassazione proponga una determinata questione giuridica che implichi un accertamento in fatto e non risulti in alcun modo trattata nella sentenza impugnata, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura deve denunciarne l'omessa pronuncia indicando, in conformità con il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, in quale atto del giudizio di merito abbia già dedotto tale questione, per dar modo alla Corte di controllare ex actis la veridicità e la ritualità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la relativa censura (vedi, per tutte Cass. SU n.19874/2018 cit.; Cass. n.1273/2003; Cass. n. 6542/2004; Cass. n. 3664/2006; Cass. n. 20518/2008; Cass. n. 2190/2014; Cass. n. 18719/2016). 

7. Anche il terzo motivo è inammissibile. 

A prescindere dalla qualificazione dell'estensione a 35 anni come limite o come deroga, la sentenza impugnata ha ritenuto discriminatoria tale estensione in quanto prescinde del tutto dalla necessità che il neo assunto abbia una particolare condizione fisica e possa pertanto essere impiegato per un congruo numero di anni di lavoro, e la censura sul punto si limita a dedurre la corrispondenza del bando al D.P.R. n. 487/1994, senza confutare la ritenuta sussistenza di una discriminazione in base alle norme dell'Unione Europea e alla giurisprudenza comunitaria. 

8. Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile. 

9. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo. 

10. Sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi dell'art.13, comma 1 quater, del D.P.R. n.115 del 2002, dell'obbligo, per parte ricorrente, di versare l'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l'impugnazione integralmente rigettata, se dovuto. 

P.Q.M. 

La Corte dichiara l'inammissibilità del ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese di giudizio, che liquida in Euro 200,00 per esborsi ed in Euro 4.500,00 per compensi, oltre spese generali in misura del 15% e accessori di legge; 

dà atto della sussistenza dell'obbligo per parte ricorrente, ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater, del D.P.R. n.115 del 2002, di versare l'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l'impugnazione integralmente rigettata, se dovuto. 

Così deciso in Roma il 24 settembre 2024. 

Depositato in Cancelleria il 22 ottobre 2024. 


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