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giovedì 2 dicembre 2010

Reato di ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato

CORTE COSTITUZIONALE, Ordinanza n. 343 del 26/11/2010
composta dai signori: Presidente: Ugo DE SIERVO; Giudici : Paolo MADDALENA, Alfonso QUARANTA, Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Sabino CASSESE, Maria Rita SAULLE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI,
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 10-bis del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), aggiunto dall’art. 1, comma 16, lettera a), della legge 15 luglio 2009, n. 94 (Disposizioni in materia di sicurezza pubblica), e degli artt. 20-bis e 20-ter del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274 (Disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace, a norma dell’articolo 14 della L. 24 novembre 1999, n. 468), aggiunti dall’art. 1, comma 17, lettera b), della citata legge n. 94 del 2009, promossi dal Giudice di pace di Albano Laziale con quattro ordinanze del 5 novembre 2009, dal Giudice di pace di Cuorgnè con ordinanza del 30 novembre 2009 e dal Giudice di pace di Albano Laziale con ordinanza del 24 marzo 2010 e con tre ordinanze del 5 maggio 2010 rispettivamente iscritte ai nn. da 67 a 70, 124, 172, da 197 a 199 del registro ordinanze 2010 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 11, 18, 24 e 27, prima serie speciale, dell’anno 2010.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 20 ottobre 2010 il Giudice relatore Paolo Maria Napolitano.
Ritenuto che con quattro ordinanze identiche nella parte motiva (R.O. n. 67, n. 68, n. 69 e n. 70 del 2010), emesse tutte il 5 novembre 2009, il Giudice di pace di Albano Laziale, nell’ambito di distinti procedimenti penali, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 10-bis del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), aggiunto dall’art. 1, comma 16, lettera a), della legge 15 luglio 2009, n. 94 (Disposizioni in materia di sicurezza pubblica), e degli artt. 20-bis e 20-ter del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274 (Disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace, a norma dell’articolo 14 della L. 24 novembre 1999, n. 468), aggiunti dall’art. 1, comma 17, lettera b), della citata legge n. 94 del 2009, per violazione degli artt. 3, 10, 24, 25, 27, 97, 102, 111 e 112 della Costituzione;
che il giudice a quo, in tutte le ordinanze, premette in fatto di dover giudicare cittadini extracomunitari, imputati del reato di «ingresso o soggiorno illegale nel territorio dello Stato»;
che, in particolare, il rimettente afferma che l’art. 1, comma 16, lettera a), della legge n. 94 del 2009 ha introdotto nel d.lgs. n. 286 del 1998 l’art. 10-bis, il quale prevede la nuova fattispecie criminosa dell’ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato, sanzionando con l’ammenda da 5.000 a 10.000 euro «lo straniero che fa ingresso ovvero si trattiene nel territorio dello Stato, in violazione delle disposizioni del presente testo unico nonché di quelle di cui all’articolo 1 della legge 28 maggio 2007 n. 68»;
che, a parere del giudice rimettente, la nuova norma incriminatrice è in contrasto innanzitutto con il principio di eguaglianza di cui all’art. 3 Cost. inteso sia come necessità di diverso trattamento di situazioni differenti, sia come necessità di pari trattamento di situazioni simili;
che tale violazione, anche in relazione agli artt. 102 e 112 Cost., si realizzerebbe mediante gli art. 20-bis e 20-ter del d.lgs. n. 274 del 2000 che prevedono la richiesta di citazione contestuale per l’udienza da parte della polizia giudiziaria quando «ricorrono gravi e comprovate ragioni di urgenza che non consentono di attendere la fissazione dell’udienza ai sensi del comma 3 del medesimo articolo, ovvero se l’imputato si trova a qualsiasi titolo sottoposto a misure di limitazione o privazione della libertà personale»;
che, secondo il Giudice di pace di Albano Laziale, tali disposizioni delineerebbero un nuovo rito, ossia il giudizio a presentazione immediata (art. 20-bis), prevedendone una variante per i casi di urgenza o per gli imputati sottoposti a misure restrittive della libertà, vale a dire il giudizio a citazione contestuale (art. 20-ter), con una procedura unica nell’ordinamento che configurerebbe una sorta di tertium genus tra reati procedibili a querela e reati procedibili d’ufficio;
che, in altri termini, il legislatore avrebbe previsto un singolare rito, relativo ad una singola fattispecie, per di più delegando ad un’autorità amministrativa l’inizio dell’azione penale obbligatoria;
che, secondo il rimettente, «il vulnus rappresentato dal delegare a una autorità amministrativa l’inizio dell’azione penale obbligatoria, peraltro per un reato contravvenzionale che più che far riferimento alla notitia criminis fa riferimento a uno status, sembra riportare a epoca non solo antecedente la Costituzione ma forse antecedente la Rivoluzione francese (principio della divisione dei poteri) o addirittura la Magna Charta Libertatum»;
che, inoltre, nell’ordinanza di rimessione si evidenzia come, nei confronti dello straniero di cui si accerti la condizione di soggiorno illegale, si debbano aprire due distinti procedimenti: uno, amministrativo, destinato a sfociare nel provvedimento prefettizio di espulsione da eseguirsi a cura del questore e l’altro, penale, nelle forme del citato art. 20-bis e 20-ter del d.lgs. n. 274 del 2000, con una evidente duplicazione di procedimenti;
che tale duplicazione, in sede penale, della procedura esistente in via amministrativa violerebbe il principio di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost. e anche il principio di buon andamento della pubblica amministrazione di cui all’art. 97 Cost.;
che il Giudice di pace di Albano Laziale lamenta anche la disparità di trattamento, asseritamente introdotta dalla disciplina in esame, in relazione all’ipotesi di cui all’art. 14, comma 5-ter, del d.lgs. n. 286 del 2000 a causa della mancata previsione della esclusione della colpevolezza in caso di «giustificato motivo», differenza di trattamento non giustificabile neanche dalla maggiore gravità del reato e rilevante nel caso di specie in quanto nei casi sottoposti al suo esame gli imputati verserebbero tutti in uno stato di indigenza (mancanza di una fissa dimora) tale da far ritenere sussistente una obiettiva difficoltà a ottemperare alla nuova fattispecie incriminatrice;
che, per tali motivi, il rimettente ritiene non manifestamente infondata la questione di costituzionalità relativa alla asserita violazione del principio di uguaglianza e del principio di personalità della responsabilità penale (artt. 3 e 27 Cost.) «in quanto il reato equipara ope legis la condizione di soggiorno illegale del clandestino a una posizione soggettiva di presunta pericolosità sociale che, invece, deve essere accertata in concreto in relazione a determinati fatti, circostanze e persone»;
che la norma censurata lederebbe anche il diritto di difesa e il diritto ad un giusto processo, in quanto non sarebbe conforme agli artt. 24 e 111 Cost. un processo non basato sul contraddittorio e nel quale non è garantita l’adeguata preparazione del diritto di difesa;
che tale diritto sarebbe leso dalla possibilità di eseguire l’espulsione dello straniero senza il nulla osta dell’autorità giudiziaria competente di cui all’art. 13, comma 3, del d.lgs. n. 286 del 1998, con la conseguente concreta possibilità che l’azione penale si concluda prima dello svolgimento del processo o durante il medesimo, dopo che «sia intervenuta l’esecuzione della pena voluta dal legislatore (l’espulsione dello straniero)»;
che, infine, sarebbe violato l’art. 10 Cost. con riguardo ai principi affermati in materia di immigrazione dal diritto internazionale e dalle convenzioni internazionali e con gli obblighi assunti dall’Italia in materia di trattamento dei migranti: in particolare la Convenzione OIL 24 giugno 1975, n. 143, ratificata dalla legge 10 aprile 1981, n. 158 (Ratifica ed esecuzione delle convenzioni numeri 92, 133 e 143 dell’Organizzazione internazionale del lavoro);
che, con ordinanza del 30 novembre 2009 (R.O. n. 124 del 2010), il Giudice di pace di Cuorgnè ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 10-bis del d.lgs. n. 286 del 1998, aggiunto dall’art. 1, comma 16, lettera a), della legge n. 94 del 2009, per violazione degli artt. 2, 3, primo comma, 10 e 97, primo comma, Cost.;
che il rimettente, nell’ambito di un procedimento penale che vede un cittadino straniero imputato del reato di cui all’art. 10-bis del d.lgs. n. 286 del 1998, ritiene rilevante e non manifestamente infondata la eccezione di costituzionalità sollevata, nel corso del giudizio, dalla Procura della Repubblica di Ivrea; che l’ordinanza di non riporta le argomentazioni addotte a sostegno della ritenuta incostituzionalità della norma censurata;
che con quattro ordinanze, identiche nella parte motiva (R.O. n. 172, n. 197, n. 198 e n. 199 del 2010), emesse, la prima, il 24 marzo 2010 e, le altre, il 5 maggio 2010, nell’ambito di distinti procedimenti penali, il Giudice di pace di Albano Laziale, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 10-bis del d.lgs. n. 286 del 1998, aggiunto dall’art. 1, comma 16, lettera a), della legge n. 94 del 2009, per violazione degli artt. 3, 25 e 27 Cost.;
che, a parere del rimettente, la norma censurata non rispetterebbe il principio di offensività delle condotte ex art.25, secondo comma, Cost. secondo il quale il ricorso alla sanzione penale è ammesso nel nostro ordinamento esclusivamente a protezione di beni giuridici di rilievo costituzionale e solo come scelta estrema del legislatore, mentre le condotte incriminate dall’art. 10-bis del d.lgs. n. 286 del 1998 non sarebbero lesive del bene della sicurezza pubblica né sarebbero di particolare pericolosità sociale, ma piuttosto espressione di una condizione individuale, quale quella di migrante, la cui incriminazione sarebbe discriminatoria;
che, inoltre, la sanzione penale sarebbe caratterizzata da una forma di subordinazione nei confronti dell’azione amministrativa diretta all’espulsione o al respingimento, dato che l’art. 10-bis, al comma 2 e al comma 5, prevede la non applicabilità della norma incriminatrice o la pronuncia di una sentenza di non luogo a procedere nel caso di respingimento e espulsione, così violando il «principio della estrema ratio» già citato;
che risulterebbe violato anche il principio di uguaglianza, a causa della possibilità di applicare la sanzione penale non «in funzione di volontà o atti del soggetto incriminato», ma in funzione della discrezionalità e disponibilità di mezzi della pubblica amministrazione che deve disporre il provvedimento di espulsione, potendo così verificarsi che uno stesso comportamento venga o meno sanzionato a causa di circostanze estranee alla sfera di intervento degli imputati;
che il rimettente lamenta, sempre in violazione del principio di uguaglianza, la mancata previsione della scriminante del giustificato motivo, così come per l’analogo reato di cui all’art. 14, comma 5, d.lgs. n. 286 del 1998;
che, infine, i principi di ragionevolezza e di buon andamento della pubblica amministrazione di cui agli artt. 3 e 97 Cost., verrebbero violati dalla previsione di una sanzione penale «fuori della solvibilità della stragrande maggioranza degli stranieri incriminati», in tal modo compromettendo l’effettività della sanzione stessa e la sua funzione deterrente e rieducativa, con una irragionevole proliferazione di processi e un dispendio di risorse pubbliche;
che nel giudizio relativo all’ordinanza n. 67 del 2010 è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o infondata;
che, a parere dell’Avvocatura dello Stato, l’individuazione delle condotte penalmente punibili e delle relative sanzioni è materia riservata alla più ampia discrezionalità del legislatore, come costantemente affermato dalla Corte costituzionale;
che, ad avviso della difesa statale, la questione relativa alla violazione del principio di eguaglianza sarebbe inammissibile, perché il parametro costituzionale è solo evocato e non è neanche indicata la fattispecie posta a raffronto;
che la questione sarebbe, comunque, infondata nel merito trattandosi di scelte riservate alla discrezionalità del legislatore;
che sarebbe infondata anche la denunciata violazione degli artt. 102 e 112 Cost., in quanto la norma in esame non inciderebbe sull’esercizio della funzione giurisdizionale né dell’azione penale, poiché rimette al pubblico ministero la piena valutazione dell’ammissibilità e della fondatezza della richiesta di giudizio o di citazione contestuale presentate dalla polizia giudiziaria;
che sarebbe errata la ricostruzione del rimettente circa la duplicazione del procedimento di espulsione (l’uno in via amministrativa, l’altro in sede penale), in quanto il processo penale tende all’accertamento della responsabilità dell’imputato e, nel suo contesto, l’espulsione del condannato «rappresenta un effetto della condanna; più precisamente di irrogazione di una sanzione sostitutiva, coerente con l’interesse punitivo dello Stato»;
che inconferente sarebbe, altresì, il riferimento all’art. 97 Cost., trattandosi di disposizione inapplicabile all’amministrazione della giustizia;
che, per quel che concerne la mancata previsione della «quasi esimente» del «giustificato motivo», la fattispecie criminosa in questione resterebbe comunque soggetta ai principi generali applicabili in materia penale, che comprendono varie cause di non punibilità quali l’inesigibilità del comportamento «virtuoso»;
che la questione relativa alla asserita violazione degli articoli 24 e 111 Cost. appare mal posta, atteso che il diritto di difesa e il diritto ad un giusto processo non impongono la celebrazione del processo penale pur in presenza di un evento (nel caso, l’avvenuta espulsione) che comporta il venir meno dell’interesse dello Stato alla sua pretesa punitiva;
che, da ultimo, la questione relativa alla violazione dell’art. 10 Cost. risulta inammissibile, risultando solamente enunciata ma non motivata.
Considerato che le ordinanze di rimessione sollevano questioni identiche o analoghe, onde i relativi giudizi vanno riuniti per essere definiti con unica decisione;
che i giudici a quibus dubitano, in riferimento a plurimi parametri, della legittimità costituzionale dell’art. 10-bis del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), aggiunto dall’art. 1, comma 16, lettera a), della legge 15 luglio 2009, n. 94 (Disposizioni in materia di sicurezza pubblica), che punisce con l’ammenda da 5.000 a 10.000 euro, salvo che il fatto costituisca più grave reato, lo straniero che fa ingresso o si trattiene illegalmente nel territorio dello Stato;
che il Giudice di pace di Albano Laziale in alcune ordinanze estende le sue censure anche agli artt. 20-bis e 20-ter del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274 (Disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace, a norma dell’articolo 14 della L. 24 novembre 1999, n. 468), nella parte in cui rispettivamente prevedono il giudizio a presentazione immediata a richiesta della polizia giudiziaria (art. 20-bis) e, nei casi di urgenza o per gli imputati sottoposti a misure restrittive della libertà personale, la possibilità per la polizia giudiziaria di formulare la richiesta di citazione contestuale (art. 20-ter);
che tutte le ordinanze di rimessione presentano carenze in punto di descrizione della fattispecie e di motivazione sulla rilevanza tali da precludere lo scrutinio nel merito delle questioni;
che quanto all’ordinanza di rimessione del Giudice di pace di Cuorgnè (R.O. n. 124 del 2010), l’indicato difetto di descrizione e di motivazione è totale;
che le restanti ordinanze, provenienti dal Giudice di pace di Albano Laziale, si limitano, quanto alla descrizione della fattispecie, a far cenno alla circostanza che, nel giudizio a quo, si procede per il reato di cui l’art. 10-bis del d.lgs. n. 286 del 1998, così che la declaratoria di incostituzionalità della norma comporterebbe l’assoluzione dell’imputato, mancando, tuttavia, in esse ogni specifico riferimento alla vicenda concreta che ha dato origine all’imputazione, idoneo a permettere la verifica dell’asserita rilevanza della questione;
che, con riferimento alle censure relative agli artt. 20-bis e 20-ter del d.lgs. n. 274 del 2000, il rimettente non riferisce quali siano state, in concreto, le modalità di citazione degli imputati e, trattandosi di censure relative a norme che prevedono differenti modalità di citazione, tale omissione impedisce di valutare la rilevanza della questione;
che, inoltre, dalla scarna motivazione sulla non manifesta infondatezza, emerge un’erronea interpretazione delle disposizioni impugnate, dal momento che il rimettente censura l’illegittimità costituzionale dell’attribuzione del potere di esercizio dell’azione penale alla polizia giudiziaria, mentre tale potere è chiaramente attribuito al pubblico ministero;
che le questioni vanno dichiarate, pertanto, manifestamente inammissibili.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi;
dichiara la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 10-bis del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), aggiunto dall’art. 1, comma 16, lettera a), della legge 15 luglio 2009, n. 94 (Disposizioni in materia di sicurezza pubblica), e degli artt. 20-bis e 20-ter del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274 (Disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace, a norma dell’articolo 14 della L. 24 novembre 1999, n. 468), aggiunti dall’art. 1, comma 17, lettera b), della citata legge n. 94 del 2009, sollevate, in riferimento agli artt. 3, 10, 24, 27, 97, 102, 111 e 112 della Costituzione, dal Giudice di pace di Albano Laziale e dal Giudice di pace di Cuorgnè con le ordinanze indicate in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 17 novembre 2010.
F.to:
Ugo DE SIERVO, Presidente
Paolo Maria NAPOLITANO, Redattore
Depositata in Cancelleria il 26 novembre 2010.

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