Translate

mercoledì 23 gennaio 2019

N. 7 SENTENZA 5 dicembre 2018- 17 gennaio 2019 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. Caccia ‒ Divieto di cacciare determinate specie di animali. - Legge della Regione Piemonte 22 dicembre 2015, n. 26 (Disposizioni collegate alla manovra finanziaria per l'anno 2015), art. 39, comma 1, e legge della Regione Piemonte 27 dicembre 2016, n. 27, recante «Modifiche alla legge regionale 4 maggio 2012, n. 5 (Legge finanziaria per l'anno 2012)», art. 1, comma 1. - (GU n.4 del 23-1-2019 )



N. 7 SENTENZA 5 dicembre 2018- 17 gennaio 2019

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.

Caccia ‒ Divieto di cacciare determinate specie di animali.
- Legge della Regione Piemonte 22 dicembre 2015, n. 26  (Disposizioni
  collegate alla manovra finanziaria per l'anno 2015), art. 39, comma
  1, e legge della Regione Piemonte 27 dicembre 2016, n. 27,  recante
  «Modifiche  alla  legge  regionale  4  maggio  2012,  n.  5  (Legge
  finanziaria per l'anno 2012)», art. 1, comma 1.

(GU n.4 del 23-1-2019 )
 

                       LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:
Presidente:Giorgio LATTANZI;
Giudici  :Aldo  CAROSI,  Marta  CARTABIA,  Mario   Rosario   MORELLI,
  Giancarlo CORAGGIO,  Giuliano  AMATO,  Silvana  SCIARRA,  Daria  de
  PRETIS, Nicolo' ZANON, Franco  MODUGNO,  Augusto  Antonio  BARBERA,
  Giulio  PROSPERETTI,  Giovanni  AMOROSO,  Francesco  VIGANO',  Luca
  ANTONINI,
     
    ha pronunciato la seguente

                              SENTENZA

    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art.  39,  comma
1, della legge  della  Regione  Piemonte  22  dicembre  2015,  n.  26
(Disposizioni collegate alla manovra finanziaria per l'anno 2015),  e
dell'art. 1, comma 1, della legge della Regione Piemonte 27  dicembre
2016, n. 27, recante «Modifiche alla legge regionale 4  maggio  2012,
n. 5 (Legge finanziaria per l'anno  2012)»,  promosso  dal  Tribunale
amministrativo  regionale  per  il  Piemonte,  seconda  sezione,  nel
procedimento vertente tra la  Federazione  Italiana  della  Caccia  e
altri e la Regione Piemonte e altri, con ordinanza  del  23  novembre
2017, iscritta al n. 29 del  registro  ordinanze  2018  e  pubblicata
nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 8, prima serie speciale,
dell'anno 2018.
    Visti gli atti di costituzione della Federazione  Italiana  della
Caccia e altri, della Regione Piemonte e della Lega per  l'Abolizione
della Caccia e altri, nonche' l'atto di intervento  dell'Associazione
Nazionale Libera Caccia con sede in Roma;
    udito nella udienza pubblica  del  4  dicembre  2018  il  Giudice
relatore Luca Antonini;
    uditi gli avvocati Antonella Anselmo per l'Associazione Nazionale
Libera Caccia, Paolo Scaparone  per  la  Federazione  Italiana  della
Caccia  e  altri,  Giulietta  Magliona  per  la  Regione  Piemonte  e
Francesco Mainetti per la Lega per l'Abolizione della Caccia e altri.

                          Ritenuto in fatto

    1.- Con ordinanza del 23 novembre 2017 (r.o. n. 29 del 2018),  il
Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte, seconda  sezione,
ha sollevato questioni di legittimita' costituzionale  dell'art.  39,
comma 1, della legge della Regione Piemonte 22 dicembre 2015,  n.  26
(Disposizioni collegate alla manovra finanziaria per l'anno 2015),  e
dell'art. 1, comma 1, della legge della Regione Piemonte 27  dicembre
2016, n. 27, recante «Modifiche alla legge regionale 4  maggio  2012,
n. 5 (Legge finanziaria per l'anno 2012)», in riferimento agli  artt.
102, primo comma, e 117, primo e secondo  comma,  lettera  s),  della
Costituzione, in relazione al considerando n. 32 della  decisione  n.
1600/2002/CE del Parlamento europeo e del  Consiglio  del  22  luglio
2002, che istituisce il sesto  programma  comunitario  di  azione  in
materia di ambiente,  e  agli  artt.  114  e  193  del  Trattato  sul
funzionamento dell'Unione europea (TFUE), come modificato dall'art. 2
del Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007 e ratificato dalla legge
2 agosto 2008, n. 130.
    2.- Il TAR rimettente e'  chiamato  a  decidere  un  ricorso  per
l'annullamento  della  deliberazione  della  Giunta   della   Regione
Piemonte 11 aprile 2016, n. 21-3140 (Art. 18  l.  157/1992,  art.  40
l.r. 5/2012. Approvazione del Calendario venatorio  per  la  stagione
2016/2017 e delle relative Istruzioni operative  supplementari),  con
la quale e' stato approvato il calendario venatorio per  la  stagione
2016-2017  e  dalle  cui  determinazioni  deriva  l'esclusione  della
possibilita' di cacciare alcune specie di animali che  sono,  invece,
considerate cacciabili dall'art. 18, comma 1, della legge 11 febbraio
1992, n. 157 (Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma
e per il prelievo venatorio).
    2.1.- Secondo quanto riferito dal giudice a  quo,  il  ricorso  -
proposto dalla Federazione italiana della caccia - Federazione  della
caccia Regione Piemonte, dall'Unione  nazionale  Enalcaccia  pesca  e
tiro  -  Delegazione  regionale   del   Piemonte,   dall'Associazione
nazionale   libera   caccia   (ANLC)   con   sede   in   Alessandria,
dall'Associazione dei migratoristi italiani, dai  Comprensori  alpini
(CA) To1, To2, To3, To4, Cn1, Cn2,  Cn4,  Cn5  e  Cn7,  dagli  Ambiti
territoriali di caccia (ATC) Al1 e Al4 nonche'  dall'Ente  produttori
selvaggina - e' articolato in quattro motivi, due dei quali  rilevano
in questa sede.
    Nello specifico, uno di essi investe l'art. 39,  comma  1,  della
legge reg. Piemonte n. 26 del 2015, giacche'  il  divieto  di  caccia
alle specie pernice bianca, allodola e lepre variabile, stabilito  da
questa  norma  e   recepito   nel   calendario   venatorio,   sarebbe
costituzionalmente illegittimo, in riferimento all'art. 117,  secondo
comma, lettera s), Cost.; un altro, invece, si fonda sulla violazione
dell'art. 18 della legge n. 157 del 1992 e dell'art. 40  della  legge
della Regione Piemonte 4 maggio 2012, n.  5  (Legge  finanziaria  per
l'anno 2012), dal momento che  la  Regione  avrebbe  illegittimamente
omesso di inserire, nell'elenco delle specie cacciabili contenuto nel
calendario venatorio, numerose specie di uccelli acquatici.
    Il rimettente, quindi, espone che - dopo  la  costituzione  della
Regione  Piemonte  e  l'intervento  ad  opponendum  della  Lega   per
l'Abolizione della Caccia (LAC), della LAC - Sezione Piemonte,  della
Fondazione per l'ecospiritualita'  Onlus,  della  Pro  natura  Torino
Onlus e della Lega antivivisezione (LAV) - in sede cautelare e' stato
accolto  il  motivo  da  ultimo  descritto,  mentre   l'esame   della
prospettata illegittimita' costituzionale e' stato rinviato alla fase
di merito; le ulteriori censure mosse nei  confronti  della  suddetta
deliberazione regionale, che qui non rilevano,  sono  state,  infine,
disattese.
    Secondo  quanto  precisato  dal  giudice  a  quo,  inoltre,   con
successiva deliberazione della Giunta della Regione Piemonte 4 agosto
2016, n. 97-385 (recte:  n.  97-3835),  recante  «Ordinanza  del  TAR
Piemonte n. 280 del 27/07/2016.  Adeguamento  della  DGR  n.  21-3140
dell'11/04/2016 di  approvazione  del  Calendario  venatorio  per  la
stagione 2016/2017», e' stato modificato il calendario  venatorio  in
ottemperanza all'ordinanza cautelare.
    E' in seguito intervenuta la legge reg. Piemonte n. 27 del  2016,
il cui art. 1, comma 1, ha vietato di abbattere o catturare anche  le
specie  oggetto  della  pronuncia  cautelare.  Conseguentemente,  con
deliberazione della Giunta della Regione Piemonte 9 gennaio 2017,  n.
10-4551, recante «Legge regionale n.  27  del  27/12/2016  "Modifiche
alla legge regionale 4 maggio 2012 n. 5 (Legge finanziaria per l'anno
2012)". Modifica al calendario venatorio 2016/2017 di cui alla D.G.R.
n. 97-3835 del 4.8.2016»,  e'  stato  adottato  un  nuovo  calendario
venatorio nel quale sono  state  espunte,  dall'elenco  delle  specie
cacciabili, quelle indicate dalla norma appena menzionata.
    I ricorrenti hanno, pertanto,  chiesto  l'annullamento,  mediante
motivi  aggiunti,  anche  di  questa  deliberazione,  sostenendo   la
illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 1, della legge  reg.
Piemonte n. 27 del 2016, in riferimento agli artt. 102 e 117, secondo
comma, lettera s), Cost.
    Con sentenza non definitiva 20 novembre 2017,  n.  1235,  il  TAR
Piemonte ha, infine, respinto i  motivi  del  ricorso  estranei  alle
questioni  di   legittimita'   costituzionale   poi   sollevate   con
l'ordinanza di rimessione del 23 novembre 2017.
    2.2.- Fatte tali premesse, in punto di rilevanza il giudice a quo
evidenzia che entrambe  le  deliberazioni  impugnate,  nell'escludere
numerose specie dall'elenco di quelle che possono essere  oggetto  di
prelievo venatorio, si fondano sui  divieti  di  caccia  posti  dalle
norme  denunciate:  le  questioni  di   legittimita'   costituzionale
avrebbero, pertanto, natura pregiudiziale ai fini della decisione  da
assumere nel processo principale, dal momento che  esse  in  sostanza
coincidono con le  censure  mosse  nei  confronti  dei  provvedimenti
gravati.
    2.3.- In ordine alla non manifesta  infondatezza,  il  rimettente
osserva che, secondo il consolidato  orientamento  di  questa  Corte,
tanto l'individuazione dei contenuti minimi della sfera sottoposta  a
protezione - e, quindi, nel caso in esame le specie non cacciabili  -
quanto l'elencazione delle possibili eccezioni - e, quindi, nel  caso
in esame le specie cacciabili - investirebbero un interesse  unitario
proprio della comunita' nazionale  e  sarebbero,  pertanto,  affidate
allo Stato, la cui normativa  sarebbe  inderogabile  da  parte  della
legislazione regionale.
    Rammentato il rilievo attribuito  dal  legislatore  statale  alle
linee guida e ai pareri dell'Istituto superiore per la  protezione  e
la ricerca ambientale (ISPRA) al fine di  garantire  l'osservanza  di
livelli minimi e uniformi di protezione ambientale, il giudice a quo,
richiamando la giurisprudenza di  questa  Corte,  sostiene  che,  pur
costituendo la caccia materia affidata  alla  competenza  legislativa
residuale delle Regioni (art. 117, quarto comma, Cost.), il  disposto
dell'art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.  imporrebbe  comunque
il rispetto, da parte  della  legislazione  regionale,  delle  regole
minime uniformi dettate dallo  Stato  a  tutela  dell'ambiente  nella
legge n. 157 del 1992.
    In particolare, nel caso in esame, l'art. 18 della  legge  appena
menzionata individua puntualmente le specie cacciabili e i periodi di
caccia per ciascuna di esse, attribuendo  alle  Regioni  soltanto  il
potere di modificare tali periodi  e  di  predisporre  il  calendario
venatorio, previo parere dell'ISPRA.
    Le norme censurate, vietando  la  caccia  a  numerose  specie  di
animali, introducono, invece,  una  disciplina  piu'  restrittiva  in
assenza di una legge dello Stato che contempli siffatta possibilita':
esse  lederebbero,  conseguentemente,  l'art.  117,  secondo   comma,
lettera s), Cost.
    Sotto altro profilo, il rimettente ravvisa il  vulnus  al  teste'
citato parametro costituzionale  nella  violazione  del  principio  -
desumibile dall'art. 18, commi 2 e 4, della legge n. 157 del 1992  ed
enunciato nella sentenza n. 20 del 2012, di cui sono richiamati  ampi
passaggi motivazionali - secondo cui  il  calendario  venatorio  deve
essere approvato necessariamente mediante  atto  amministrativo,  non
potendo essere adottato con legge.
    Questo principio sarebbe, del resto, confermato dal rilievo  che,
secondo quanto previsto dal comma 3 dell'art. 18 della  legge  appena
menzionata,  al  livello  statale,  la  possibilita'  di   modificare
l'elenco delle  specie  cacciabili  e'  affidata  a  un  decreto  del
Presidente del Consiglio dei ministri.
    L'art. 1, comma 1, della legge reg. Piemonte n. 27  del  2016  si
porrebbe in contrasto anche con l'art. 102, primo comma, Cost.
    La disposizione censurata,  infatti,  stabilisce  il  divieto  di
cacciare diverse specie di uccelli ed e' stata  approvata  nel  corso
del giudizio pendente dinanzi al TAR Piemonte, dopo che,  proprio  in
conseguenza dell'omessa inclusione della maggior parte delle medesime
specie nell'elenco di quelle cacciabili, era stata sospesa,  in  sede
cautelare, l'efficacia del calendario venatorio approvato con  delib.
Giunta reg. Piemonte n. 21-3140 del 2016 per la  stagione  2016-2017:
ad avviso del rimettente,  pertanto,  tale  intervento  normativo  si
connoterebbe quale  vera  e  propria  legge-provvedimento  e  sarebbe
«potenzialmente idoneo ad intaccare la separazione dei  poteri  e  la
riserva di giurisdizione prevista dall'art. 102 Cost., da  intendersi
quale divieto per il  legislatore  di  incidere  intenzionalmente  su
concrete fattispecie sub iudice,  secondo  l'autorevole  insegnamento
della Corte (sent. n. 525 del 2000)».
    Infine, il TAR Piemonte dubita della legittimita'  costituzionale
di entrambe le norme denunciate in riferimento  all'art.  117,  primo
comma, Cost., in relazione al considerando n. 32 della  decisione  n.
1600/2002/CE e agli artt. 114 e 193 del TFUE.
    Le disposizioni oggetto dell'odierno  scrutinio  contrasterebbero
con i principi del  diritto  europeo  in  materia  ambientale  -  che
imporrebbero, prima dell'adozione di misure di maggior  tutela  della
fauna, l'obbligo  di  un'accurata  istruttoria  e  di  motivazione  -
segnatamente per essere  state  approvate  in  assenza,  appunto,  di
«un'adeguata istruttoria tecnico-scientifica e  senza  richiedere  il
parere dell'ISPRA».
    In  particolare,  il  giudice  a  quo  richiama,  anzitutto,   il
considerando n. 32  della  decisione  n.  1600/2002/CE,  secondo  cui
«[...] l'attivita' legislativa  in  campo  ambientale  deve  fondarsi
sulla migliore valutazione scientifica  ed  economica  disponibile  e
sulla conoscenza dello stato dell'ambiente e delle tendenze in  atto,
secondo quanto stabilito dall'art. 174  del  Trattato».  Quindi,  gli
artt. 114 e 193 del TFUE, dai quali deriverebbe che gli Stati  membri
possono «incrementare il livello di tutela ambientale previsto  dalle
norme comunitarie» a condizione che le misure piu' restrittive  siano
non discriminatorie, adeguatamente  motivate  e  supportate  da  dati
scientifici ulteriori e documentati. Il principio, desumibile da tali
norme, per cui le decisioni normative o amministrative devono  essere
precedute  dall'attivita'  istruttoria,  con  il  coinvolgimento   di
organismi indipendenti e riconosciuti  dalla  comunita'  scientifica,
sarebbe stato affermato anche dalla giurisprudenza sovranazionale.
    3.- Si e' costituita in giudizio la Regione  Piemonte,  chiedendo
la declaratoria d'inammissibilita' o il rigetto delle questioni.
    3.1.- L'eccezione d'inammissibilita' investe, in particolare,  le
censure attinenti  alla  violazione  dell'art.  117,  secondo  comma,
lettera s), Cost. ed e' basata su un duplice rilievo critico.
    Sotto un aspetto, non si comprenderebbe se il giudice  rimettente
reputi che le Regioni non  possano  comunque  adottare  provvedimenti
derogatori della disciplina  statale  ovvero  se  ad  esse  sia  solo
consentito,  in  sede  di  approvazione  del  calendario   venatorio,
modificare i periodi di prelievo: di qui l'eccepita  inammissibilita'
delle   questioni   per   asserita   oscurita'   della    motivazione
dell'ordinanza sul punto.
    Sotto  altro   aspetto,   la   difesa   regionale   sostiene   la
contraddittorieta' del ragionamento del giudice a quo, il  quale,  da
un lato, sembrerebbe ritenere che le Regioni non possano impedire  la
caccia ad alcune specie neppure mediante  l'adozione  del  calendario
venatorio; dall'altro, dopo  aver  richiamato  la  giurisprudenza  di
questa Corte  che  impone,  per  l'approvazione  del  calendario,  il
provvedimento amministrativo  quale  unica  forma  che  assicura  una
flessibilita'  della  disciplina   in   materia,   circoscrive   tale
flessibilita' ai soli limiti temporali del prelievo venatorio.
    3.2.- Nel merito, la  Regione  Piemonte  prende  le  mosse  dalla
censura inerente alla  violazione  dell'art.  102  Cost.,  osservando
preliminarmente che essa non puo' investire l'art. 39, comma 1, della
legge reg. Piemonte n. 26 del 2015, poiche' questa norma era gia'  in
vigore quando e' stato instaurato il giudizio a quo.
    Quindi, la difesa regionale evidenzia, in primo luogo, che l'art.
1, comma 1, della legge reg. Piemonte n. 27 del 2016 avrebbe soltanto
reintrodotto un divieto di caccia che nell'ambito regionale era stato
vigente - per effetto del disposto dell'art.  38  della  legge  della
Regione Piemonte 17 ottobre 1979, n. 60 (Norme per  la  tutela  della
fauna e la disciplina della caccia),  e,  in  seguito,  dell'art.  44
della legge della Regione Piemonte 4 settembre 1996, n. 70 (Norme per
la protezione della fauna  selvatica  omeoterma  e  per  il  prelievo
venatorio) - sin dal 1979.
    Tale divieto era poi venuto  meno  a  causa  di  un  «difetto  di
coordinamento  normativo»,  allorche'  l'art.  40  della  legge  reg.
Piemonte n. 5 del 2012, se da un lato aveva abrogato  la  legge  reg.
Piemonte n. 70 del 1996, dall'altro si era limitato a richiamare  (al
comma 3), al  fine  della  individuazione  delle  specie  cacciabili,
l'art. 18 della legge n. 157 del 1992.
    Con la disposizione censurata, il legislatore regionale  avrebbe,
pertanto, «solo cercato di regolare la situazione di fatto che si era
venuta  a  creare  dopo  l'abrogazione  della  legge  sulla   caccia,
ristabilendo quello che era il quadro normativo da sempre vigente  in
Piemonte quanto all'individuazione delle specie prelevabili».
    La norma denunciata non sarebbe volta a determinare  l'esito  del
giudizio pendente anche perche' si tratterebbe  di  una  disposizione
«"super partes" ispirata alla (superiore) esigenza  di  tutela  della
fauna selvatica», oltretutto coerente con il principio di precauzione
che, secondo la giurisprudenza della Corte di  giustizia  dell'Unione
europea, legittimerebbe l'adozione di misure restrittive in  caso  di
carenza di studi e di  dati  tecnico-scientifici  sullo  stato  delle
specie interessate.
    Infine,  la  Regione  sostiene  che  debbano  escludersi  sia  la
retroattivita'  della  norma  in  parola  sia   la   ricorrenza   dei
presupposti per la configurabilita' di una legge-provvedimento, sotto
tale ultimo aspetto sottolineando che il divieto  da  essa  posto  ha
carattere astratto e generale e, d'altra parte, non e'  destinato  ad
esaurire i propri effetti con la chiusura della stagione venatoria.
    Anche le censure afferenti alla violazione dell'art. 117, secondo
comma, lettera s), Cost. sarebbero prive  di  fondamento,  alla  luce
dell'orientamento  di  questa  Corte  secondo   cui   la   competenza
legislativa residuale regionale in materia di caccia puo'  esplicarsi
prevedendo livelli di protezione maggiori rispetto a  quelli  fissati
dalla  legislazione   statale   per   la   tutela   dell'ambiente   e
dell'ecosistema.
    Ne'  tale  principio  sarebbe  scalfito  dalla  norma   contenuta
nell'art. 18, comma 3, della legge n. 157 del 1992, dal  momento  che
l'attribuzione a un d.P.C.m.  della  possibilita'  di  modificare  le
specie cacciabili avrebbe il fine di adeguare l'ordinamento interno a
quello sovranazionale: l'esercizio di questo potere sarebbe,  quindi,
necessariamente indirizzato all'intero territorio  nazionale,  mentre
l'intervento  regionale  si  collocherebbe  su  un  piano  del  tutto
diverso, in quanto destinato alle singole realta' territoriali.
    L'asserito vulnus all'art. 117, secondo comma, lettera s),  Cost.
sarebbe insussistente anche con riguardo  al  profilo  inerente  alla
violazione del principio, desumibile dall'art.  18,  comma  4,  della
legge n. 157 del  1992,  della  necessaria  adozione  del  calendario
venatorio mediante atto amministrativo, dovendosi tenere distinta  la
disciplina legislativa regionale  dalla  successiva  regolamentazione
amministrativa: la prima, vietando la caccia ad alcune specie,  fissa
con portata generale livelli di maggiore  tutela  rispetto  a  quelli
previsti dalla legislazione statale, mentre la  seconda,  nell'ambito
delineato dal legislatore regionale,  adegua  l'elenco  delle  specie
cacciabili agli «eventuali repentini ed imprevedibili mutamenti delle
circostanze di  fatto  che  durante  la  singola  stagione  venatoria
possano interessare la fauna»; e cio' avviene  attraverso  l'adozione
del  calendario  venatorio,  nel  caso  di   specie   approvato   con
deliberazione della Giunta regionale.
    In merito alla violazione dell'art. 117, primo comma,  Cost.,  la
difesa regionale, da un lato, sostiene che la legge reg. Piemonte  n.
27 del 2016 sarebbe stata  preceduta  da  idonea  istruttoria  e  che
l'ISPRA considererebbe le specie individuate nell'art. 1, comma 1, di
detta  legge  poco  presenti  sul  territorio  e  in  uno  stato   di
conservazione insoddisfacente; dall'altro, rileva, quanto al  divieto
di caccia introdotto con la legge reg. Piemonte n. 26 del  2015,  che
l'ISPRA stesso riterrebbe la  pernice  bianca  e  l'allodola  specie,
l'una «vulnerabile» e in «evidente declino»,  l'altra  «in  stato  di
conservazione sfavorevole [...]».
    Peraltro, la Regione Piemonte sottolinea anche,  nell'ottica  del
principio di precauzione, che la Commissione  Europea,  nella  «Guida
alla disciplina della caccia nell'ambito della  Direttiva  79/409/CEE
sulla conservazione degli uccelli acquatici», avrebbe  rilevato,  tra
l'altro, che «per  la  maggior  parte  delle  medesime  specie»  sono
sconosciuti i livelli di prelievo sostenibili che  ne  garantirebbero
un idoneo stato di conservazione.
    4.- La  LAC,  la  LAC  -  Sezione  Piemonte,  la  Fondazione  per
l'ecospiritualita' Onlus, la Pro natura  Torino  Onlus  e  la  LAV  -
intervenute nel processo principale - si sono costituite nel presente
giudizio limitandosi a richiamare le difese svolte dinanzi al giudice
amministrativo e chiedendo la declaratoria  d'inammissibilita'  o  il
rigetto delle questioni sollevate.
    5.- Si sono costituiti anche la Federazione italiana della caccia
- Federazione  della  caccia  Regione  Piemonte,  l'Unione  nazionale
Enalcaccia pesca e tiro - Delegazione regionale del Piemonte,  l'ANLC
Piemonte con sede in Alessandria e i CA To1, To2,  To3  e  To4,  gia'
ricorrenti nel processo principale, chiedendo che le questioni  siano
accolte sulla scorta di argomentazioni  sostanzialmente  riproduttive
di quelle addotte dal giudice rimettente.
    5.1.-  Inoltre,  queste   parti   richiamano,   quale   normativa
sovranazionale interposta, la direttiva  2009/147/CE  del  Parlamento
europeo  e  del  Consiglio  del  30  novembre  2009  concernente   la
conservazione degli uccelli selvatici.
    In merito alla violazione dell'art. 117, secondo  comma,  lettera
s), Cost., esse evocano altresi', da  un  lato,  l'art.  3-quinquies,
comma 2, del decreto legislativo 3 aprile  2006,  n.  152  (Norme  in
materia ambientale), sostenendo che questa disposizione consentirebbe
alle Regioni e alle Province autonome  di  Trento  e  di  Bolzano  di
adottare forme di tutela giuridica dell'ambiente piu' restrittive, ma
solo a condizione che cio' sia richiesto  da  situazioni  particolari
del territorio; dall'altro, l'art. 1, comma 1-bis, della legge n. 157
del 1992,  evidenziando  che  la  normativa  statale  in  materia  di
protezione ambientale, nell'equilibrio da  essa  definito,  tiene  in
considerazione anche altri interessi incisi  dalla  disciplina  della
materia  stessa,  quali,  nel  caso  in  esame,   quelli   economici,
turistico-paesaggistici, agricoli e venatori.
    Le parti ricorrenti nel processo  principale  ritengono,  ancora,
che, siccome il legislatore statale ha stabilito dei  livelli  minimi
di protezione individuando le specie cacciabili, la sottrazione anche
di una sola  di  queste  al  prelievo  venatorio  determinerebbe  una
riduzione della tutela ambientale.
    Esse  deducono,  infine,  che  la   necessita'   dell'istruttoria
precedente  all'esercizio  del  potere  legislativo  rappresenterebbe
anche un parametro per il  giudizio  di  ragionevolezza  della  legge
(art. 3 Cost.).
    6.- E' intervenuta nel presente giudizio l'ANLC con sede in Roma,
premettendo  che  le  questioni  oggetto  dell'odierno  incidente  di
costituzionalita' sono pregiudiziali anche ai fini della decisione di
un diverso ricorso da essa proposto dinanzi al TAR Piemonte e  avente
ad oggetto la deliberazione della Giunta della  Regione  Piemonte  10
aprile 2017, n. 14-487 (recte:  n.  14-4867),  recante  «Art.  18  l.
157/1992, art. 40 l.r. 5/2012. Approvazione del Calendario  venatorio
per la stagione  2017-2018  e  delle  relative  Istruzioni  operative
supplementari»,  con  la  quale  e'  stato  approvato  il  calendario
venatorio per la stagione 2017/2018. In proposito,  l'ANLC  riferisce
altresi' che, durante il giudizio instauratosi a seguito del  ricorso
appena citato, il TAR Piemonte ha pronunciato un'ordinanza in cui  ha
precisato che i  dedotti  profili  di  illegittimita'  costituzionale
sarebbero stati sottoposti all'esame di  questa  Corte  con  separata
ordinanza resa nell'ambito di un distinto giudizio.
    6.1.-   Nel   merito,   la   menzionata    associazione    chiede
l'accoglimento delle questioni di legittimita' costituzionale.
    7.- In prossimita' dell'udienza pubblica, tutte  le  parti  hanno
depositato memorie illustrative, insistendo  sulle  conclusioni  gia'
rassegnate.
    7.1.- In particolare, la  difesa  regionale  contesta  l'asserita
preclusione, per le Regioni, di  introdurre  norme  che  limitano  le
specie cacciabili e ribadisce che le disposizioni censurate sarebbero
coerenti  con  il  principio  di  precauzione  e  con   le   evidenze
scientifiche disponibili.
    7.2.- Le associazioni intervenute nel giudizio a quo sottolineano
che la legislazione piemontese sin dal 1979 avrebbe sempre ridotto le
specie oggetto di prelievo venatorio rispetto a quanto previsto dalle
leggi statali. Questa  tendenza  si  sarebbe,  peraltro,  manifestata
anche attraverso l'indizione, nel  lontano  1987,  di  un  referendum
regionale volto, appunto, ad ottenere  un'ulteriore  riduzione  delle
specie cacciabili.
    Le associazioni  in  questione,  inoltre,  da  un  lato,  pongono
l'accento sulla circostanza che  nel  caso  in  esame  il  calendario
venatorio e' stato  adottato  con  atto  amministrativo;  dall'altro,
ritengono che, come al livello  statale  l'indicazione  delle  specie
cacciabili  e'  stata  fatta  con  legge,  cosi'  sarebbe   legittimo
l'intervento legislativo della Regione - in via generale e astratta e
salvi  il  rispetto  degli  standard   minimi   e   la   possibilita'
d'intervenire  con  provvedimento  amministrativo  in  relazione   ad
esigenze contingenti - nel proprio ambito competenziale.
    Ad  avviso  di  queste  parti,  del  resto,  le  norme  censurate
sarebbero  coerenti  con  i  dati  che  emergerebbero   dalla   guida
dell'ISPRA, con la conseguenza che dovrebbe  escludersi  altresi'  la
violazione dell'art. 117, primo comma, Cost.
    Sarebbe, infine, insussistente il vulnus all'art. 102  Cost.,  in
considerazione della portata generale e astratta  della  disposizione
di cui all'art. 1, comma 1, della legge reg. Piemonte n. 27 del 2016,
che    non    potrebbe,    pertanto,    essere    qualificata    come
legge-provvedimento e che, in ogni caso, sarebbe stata approvata  con
l'intento  di  tutelare  un   bene,   quello   ambientale-faunistico,
costituzionalmente protetto.
    7.3.-  Le  parti  ricorrenti  nel  giudizio  a  quo,  ribadite  e
illustrate  le  deduzioni  svolte  nella  memoria  di   costituzione,
osservano che nel corso del presente incidente  di  costituzionalita'
e' stata approvata la legge della Regione Piemonte 19 giugno 2018, n.
5 (Tutela della fauna e gestione faunistico-venatoria), il  cui  art.
2, comma 5, avrebbe sostanzialmente riprodotto i  precetti  normativi
oggetto del presente giudizio.
    Sulla scorta di tale considerazione, esse chiedono che, ai  sensi
dell'art.  27  della  legge  11  marzo  1953,  n.  87  (Norme   sulla
costituzione e sul funzionamento  della  Corte  costituzionale),  sia
dichiarata, in via  consequenziale,  l'illegittimita'  costituzionale
anche della norma sopravvenuta.
    7.4.- Infine, l'ANLC con sede in  Roma,  dopo  aver  diffusamente
ribadito  quanto  dedotto  nell'atto  di  intervento,  insiste  nella
declaratoria di fondatezza delle questioni.

                       Considerato in diritto

    1.- Il Tribunale amministrativo  regionale  per  il  Piemonte  ha
sollevato questioni  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  39,
comma 1, della legge della Regione Piemonte 22 dicembre 2015,  n.  26
(Disposizioni collegate alla manovra finanziaria per l'anno 2015),  e
dell'art. 1, comma 1, della legge della Regione Piemonte 27  dicembre
2016, n. 27, recante «Modifiche alla legge regionale 4  maggio  2012,
n. 5 (Legge finanziaria per l'anno 2012)», per violazione degli artt.
102, primo comma, e 117, primo e secondo  comma,  lettera  s),  della
Costituzione, in relazione al considerando n. 32 della  decisione  n.
1600/2002/CE del Parlamento europeo e del  Consiglio  del  22  luglio
2002, che istituisce il sesto  programma  comunitario  di  azione  in
materia di ambiente,  e  agli  artt.  114  e  193  del  Trattato  sul
funzionamento dell'Unione europea (TFUE), come modificato dall'art. 2
del Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007 e ratificato dalla legge
2 agosto 2008, n. 130.
    Le disposizioni denunciate vietano la caccia ad alcune specie  di
animali che sono, invece, considerate cacciabili dall'art. 18,  comma
1, della legge 11 febbraio 1992, n.  157  (Norme  per  la  protezione
della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio).
    In particolare, la prima  norma  censurata  aggiunge  la  lettera
f-ter) all'art. 40, comma 4, della legge  della  Regione  Piemonte  4
maggio 2012, n. 5 (Legge  finanziaria  per  l'anno  2012),  il  quale
conseguentemente dispone che «[o]ltre a quanto previsto  dalla  legge
157/1992 e' vietato: [...] f-ter) abbattere, catturare o cacciare  le
specie pernice bianca (Lagopus mutus), allodola (Alauda  arvensis)  e
lepre variabile (Lepus timidus)».
    L'art. 1, comma 1, della legge reg.  Piemonte  n.  27  del  2016,
aggiungendo la lettera f-quater) all'art. 40, comma  4,  della  legge
reg. Piemonte n. 5 del  2012,  prevede  il  divieto  di  abbattere  o
catturare  ulteriori  specie  di  uccelli,  quali,  nello  specifico:
«fischione (Anas penelope),  canapiglia  (Anas  strepera),  mestolone
(Anas clypeata), codone (Anas acuta), marzaiola  (Anas  querquedula),
folaga  (Fulica  atra),  porciglione  (Rallus  aquaticus),   frullino
(Lymnocryptes  minimum),  pavoncella  (Vanellus  vanellus),   moretta
(Aythya   fuligula),   moriglione   (Aythya   ferina),    combattente
(Philomachus pugnax), merlo (Turdus merula)».
    2.- Prima di esaminare nel merito le  questioni  sollevate,  deve
essere  anzitutto  confermata  la  dichiarazione   d'inammissibilita'
dell'intervento spiegato dall'Associazione  nazionale  libera  caccia
(ANLC) con sede in Roma, per le ragioni esposte nell'ordinanza  letta
nel corso dell'udienza pubblica e allegata alla presente sentenza.
    3.- Occorre, inoltre, in limine osservare che, dopo la  pronuncia
dell'ordinanza di rimessione del TAR, la legge della Regione Piemonte
19   giugno   2018,   n.   5   (Tutela   della   fauna   e   gestione
faunistico-venatoria), da un lato, all'art. 29, comma 1, ha  abrogato
l'art. 40 della legge  reg.  Piemonte  n.  5  del  2012;  dall'altro,
all'art. 2, comma 5, ha riprodotto il divieto di  prelievo  venatorio
per tutte le specie oggetto delle norme censurate, eccetto che per la
moretta (Aythya fuligula).
    Il citato ius superveniens  non  influisce,  in  ogni  caso,  sul
presente giudizio, dal momento che il TAR  e'  chiamato  a  giudicare
sulla richiesta di annullamento di due atti  della  Giunta  regionale
che hanno regolato l'attivita' venatoria per la  stagione  2016-2017,
nel corso della quale erano in vigore  le  norme  censurate,  sicche'
queste hanno trovato attuazione.
    Secondo il consolidato orientamento di questa Corte,  d'altronde,
la legittimita' di un atto amministrativo deve essere  esaminata,  in
virtu' del principio tempus regit actum, con riguardo alla situazione
di fatto e di diritto esistente al momento  della  sua  adozione  (ex
plurimis, ordinanza n. 76 del 2018).
    Conseguentemente - poiche' e' palese che nel processo  principale
le norme censurate devono trovare applicazione e non viene in rilievo
lo ius novum - sono insussistenti i presupposti per  la  restituzione
degli atti al giudice a quo al fine di un nuovo esame della rilevanza
e della non manifesta infondatezza delle questioni sollevate.
    4.- Tanto chiarito, deve  essere  preliminarmente  precisato,  al
fine di delimitare il thema decidendum  dell'odierno  scrutinio,  che
l'evocazione, da parte della difesa delle parti private, dell'art.  3
Cost. e della direttiva 2009/147/CE  del  Parlamento  europeo  e  del
Consiglio del 30 novembre 2009  concernente  la  conservazione  degli
uccelli selvatici, nonche' la prospettazione del possibile  contrasto
delle norme oggetto del presente  giudizio  con  l'art.  3-quinquies,
comma 2, del decreto legislativo 3 aprile  2006,  n.  152  (Norme  in
materia ambientale), e con l'art. 1, comma 1-bis, della legge n.  157
del  1992  si  traducono  in  questioni  non  sollevate  dal  giudice
rimettente.
    Esse sono, di conseguenza, inammissibili.
    Secondo il consolidato orientamento  di  questa  Corte,  infatti,
l'oggetto  del  giudizio  di  legittimita'  costituzionale   in   via
incidentale e' limitato alle disposizioni  e  ai  parametri  indicati
nell'ordinanza di rimessione, sicche' non  possono  essere  presi  in
considerazione ulteriori questioni  o  profili  di  costituzionalita'
dedotti dalle parti, sia eccepiti, ma non fatti propri dal giudice  a
quo, sia volti ad ampliare o modificare successivamente il  contenuto
della stessa ordinanza (ex plurimis, sentenza n. 194 del 2018).
    5.- La Regione Piemonte ha sollevato eccezione d'inammissibilita'
assumendo l'oscurita' e la contraddittorieta' della motivazione della
censura relativa all'art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.
    Non si comprenderebbe, infatti, se il rimettente reputi che  alle
Regioni sia in ogni caso vietato  adottare  provvedimenti  derogatori
rispetto alla disciplina statale oppure se esse possano soltanto,  in
sede  di  approvazione  del  calendario  venatorio  e  previo  parere
dell'ISPRA, modificare i periodi di prelievo delle specie cacciabili.
    Per altro verso, il giudice a quo  sembrerebbe  ritenere,  prima,
che le Regioni non  possano  impedire  la  caccia  ad  alcune  specie
neppure con il calendario venatorio; poi,  contraddittoriamente,  che
tale  calendario  rappresenti  l'unica  modalita'  che  assicura  una
flessibilita' della disciplina della materia,  circoscritta  tuttavia
ai soli limiti temporali del prelievo.
    5.1.- L'eccezione non puo' trovare accoglimento.
    Quanto  al  primo  aspetto  dianzi  evidenziato,   va,   infatti,
osservato che da una lettura complessiva dell'ordinanza di rimessione
emerge con sufficiente chiarezza che il TAR Piemonte sostiene, da  un
canto, che alla legislazione regionale sarebbe inibita, in assenza di
un'espressa norma dello Stato che la contempli,  la  possibilita'  di
derogare alle previsioni della legislazione  statale  afferenti  alle
specie  cacciabili;  d'altro   canto,   in   evidente   rapporto   di
subordinazione logica rispetto a quanto appena  detto,  che  in  ogni
caso l'adozione  del  calendario  venatorio  non  puo'  avvenire  con
legge-provvedimento bensi' necessariamente con atto amministrativo.
    Non e', del resto,  di  per  se'  contraddittorio,  essendo  anzi
coerente, ritenere che le Regioni non possano impedire il prelievo di
alcune specie nemmeno attraverso  il  calendario  venatorio  e,  poi,
assumere  che  con  questo  si  potrebbero  introdurre  deroghe  alla
disciplina statale, ma solo limitatamente  ai  periodi  di  esercizio
della caccia.
    6.- Nel merito, le norme censurate innanzitutto invaderebbero, ad
avviso del rimettente, la competenza  legislativa  esclusiva  statale
nella  materia  «tutela  dell'ambiente  e  dell'ecosistema»   perche'
introducono il divieto di  abbattere,  catturare  o  cacciare  alcune
specie di animali che sono, invece, considerate cacciabili  dall'art.
18, comma 1, della legge n. 157 del 1992.
    Tale ultima disposizione,  infatti,  nel  dettare  regole  minime
uniformi di tutela del bene  ambiente,  concernenti  l'individuazione
tanto delle  specie  cacciabili  quanto  di  quelle  non  cacciabili,
precluderebbe alle Regioni, in assenza di una  diversa  norma  che  a
tanto le  autorizzi,  finanche  di  introdurre  una  disciplina  piu'
restrittiva in materia.
    In altri termini, secondo l'assunto del giudice a quo, le Regioni
potrebbero  esclusivamente  modificare  i   periodi   di   caccia   e
predisporre il calendario  venatorio,  mentre  sarebbe  loro  inibito
disciplinare in modo piu' restrittivo,  rispetto  a  quanto  previsto
dalla normativa statale, le specie  che  possono  essere  oggetto  di
prelievo.
    6.1.- Sotto altro profilo, le norme denunciate si  porrebbero  in
contrasto con l'art. 18, commi 2 e 4, della legge n. 157 del 1992,  e
quindi violerebbero l'art. 117, secondo  comma,  lettera  s),  Cost.,
perche' non rispetterebbero il principio, enunciato da  questa  Corte
nella sentenza n. 20 del 2012, secondo cui  il  calendario  venatorio
deve necessariamente assumere la forma dell'atto amministrativo,  non
essendo consentito alle Regioni adottarlo con  legge;  principio  che
troverebbe, del resto,  conferma  anche  nella  previsione  normativa
(contenuta nel secondo periodo del comma 3 del medesimo art. 18) che,
al livello statale, riconosce la possibilita' di modificare  l'elenco
delle specie cacciabili a un decreto del Presidente del Consiglio dei
ministri.
    6.2.- Quanto al primo profilo della censura, va rilevato che esso
in buona sostanza si fonda sull'assunto in base al quale - poiche' la
materia «tutela dell'ambiente e  dell'ecosistema»,  a  seguito  della
riforma  del  Titolo  V,  Parte  II,  della  Costituzione,  e'  stata
assegnata espressamente alla competenza esclusiva statale - la  legge
n. 157 del 1992 avrebbe perso la natura di «legge quadro» o di «legge
di principi» e sarebbe divenuta una «legge a  contenuto  strettamente
ambientale», che definisce un «rigido quadro normativo statale» e non
tollera piu'  alcuna  forma  di  intervento  derogatorio  legislativo
regionale.
    6.2.1.- Tale argomentazione non e' condivisibile.
    Come puntualmente rilevato dalla giurisprudenza di questa  Corte,
infatti, «[g]ia' prima della riforma del titolo V della parte seconda
della Costituzione, la protezione  dell'ambiente  aveva  assunto  una
propria autonoma consistenza  che,  in  ragione  degli  specifici  ed
unitari obiettivi perseguiti, non si esauriva ne' rimaneva  assorbita
nelle  competenze  di   settore   (sentenza   n.   356   del   1994),
configurandosi l'ambiente come  bene  unitario,  che  puo'  risultare
compromesso  anche  da  interventi   minori   e   che   va   pertanto
salvaguardato nella sua interezza  (sentenza  n.  67  del  1992).  La
natura di valore trasversale, idoneo ad incidere anche su materie  di
competenza di altri  enti  nella  forma  degli  standards  minimi  di
tutela, gia' ricavabile dagli artt. 9 e 32 della Costituzione,  trova
ora conferma nella previsione contenuta nella lettera s) del  secondo
comma dell'art. 117 della Costituzione,  che  affida  allo  Stato  il
compito di  garantire  la  tutela  dell'ambiente  e  dell'ecosistema»
(sentenza n. 536 del 2002).
    Dalla nuova collocazione  costituzionale  della  materia  «tutela
dell'ambiente e dell'ecosistema», pertanto, non discende, come invece
sostenuto nell'argomentazione  del  giudice  rimettente,  un  vincolo
capace di imporsi in ogni caso all'autonomia delle Regioni,  anche  a
prescindere dalla  presenza  di  competenze  regionali  incise  dalla
disciplina statale. Il carattere trasversale della materia, e  quindi
la sua potenzialita' di estendersi anche nell'ambito delle competenze
riconosciute alle Regioni, mantiene, infatti, salva  la  facolta'  di
queste  di   adottare,   nell'esercizio   delle   loro   attribuzioni
legislative, norme di tutela piu' elevata.
    6.2.2.- Cio' vale in particolar modo in relazione alla disciplina
in esame: come noto, a seguito  della  riforma  del  Titolo  V  della
Costituzione, la  mancata  indicazione  della  materia  «caccia»  nel
novellato art. 117  Cost.  -  in  precedenza,  invece,  espressamente
annoverata  tra  le  materie  rimesse   alla   potesta'   legislativa
concorrente - determina la sua  certa  riconduzione  alla  competenza
residuale  regionale.   Difatti,   tra   le   materie   in   astratto
riconducibili  al  quarto  comma   dell'art.   117   Cost.,   occorre
distinguere quelle  che  prima  della  riforma  del  Titolo  V  erano
esplicitamente elencate nell'ambito della competenza  concorrente  da
quelle che, invece, non lo erano: per le prime, ancor piu' nettamente
che per le seconde, e' del tutto evidente la volonta' del legislatore
costituzionale di farle assurgere al rango della competenza residuale
regionale, che, come tale, non  incontra  piu'  i  limiti  di  quella
concorrente.
    Tanto premesso, va pero' ribadito che, pur costituendo la  caccia
materia certamente affidata  alla  competenza  legislativa  residuale
della  Regione  -  senza  che  possa  ritenersi  ricompresa,  neppure
implicitamente, in altri settori della competenza statale -, anche in
tale ambito «e' tuttavia necessario, in base  all'art.  117,  secondo
comma, lettera s), Cost., che la legislazione regionale  rispetti  la
normativa  statale  adottata  in  tema  di  tutela  dell'ambiente   e
dell'ecosistema, ove essa esprima regole minime  uniformi»  (sentenza
n. 139 del 2017).
    Da cio' consegue che,  se  da  un  lato  i  precipui  livelli  di
protezione fissati  dalla  legge  n.  157  del  1992  a  salvaguardia
dell'ambiente e dell'ecosistema «non sono derogabili in  peius  dalla
legislazione regionale (da ultimo,  sentenze  n.  139  e  n.  74  del
2017)», dall'altro quest'ultima ben puo', invece, intervenire su tale
disciplina «innalzando il livello della tutela» (sentenza n. 174  del
2017) nell'esercizio delle proprie competenze.
    Ed e' proprio in tale ottica, d'altronde,  che  questa  Corte  ha
disatteso la censura avente ad  oggetto  una  legge  della  Provincia
autonoma di Bolzano nella parte in cui, per alcune specie di animali,
aveva modificato il periodo del  prelievo  venatorio,  restringendolo
rispetto a quanto previsto dall'art. 18, comma 1, della legge n.  157
del 1992 (sentenza n. 278 del 2012).
    6.2.3.-  I  medesimi  principi   sono   stati   affermati   dalla
giurisprudenza costituzionale, peraltro gia' prima della riforma  del
Titolo V, Parte II, della Costituzione, non solo su un piano generale
ma anche con riguardo all'oggetto  precipuo  del  presente  giudizio,
ovvero rispetto a norme regionali che attenevano specificamente  alla
individuazione delle specie cacciabili.
    La stessa sentenza n. 577 del 1990 richiamata nella ordinanza  di
rimessione - benche' abbia affermato che «tanto l'individuazione  dei
contenuti minimi della sfera  sottoposta  a  protezione  (specie  non
cacciabili) quanto l'elencazione delle  possibili  eccezioni  (specie
cacciabili) investono "un interesse unitario proprio della  comunita'
nazionale, la cui valutazione e la cui salvaguardia restano in  primo
luogo  affidati  allo  Stato  ed   ai   poteri   dell'amministrazione
centrale"» - ha poi precisato che da  cio'  consegue  che  «anche  le
Regioni e le  Province  ad  autonomia  speciale  sono  tenute  a  non
oltrepassare,  nell'esercizio   della   loro   potesta'   legislativa
esclusiva, la soglia  minima  di  tutela  del  patrimonio  faunistico
fissata dalla  legge  statale  e  dai  successivi  atti  governativi,
potendo soltanto limitare e  non  ampliare  il  numero  delle  specie
cacciabili quali eccezioni al divieto generale  enunciato  nel  primo
comma del richiamato art. 11 [della legge n. 968 del 1977]».
    Anche nella sentenza n. 227 del 2003 questa Corte ha continuato a
ritenere che «[a] fronte dell'esigenza di garantire un nucleo  minimo
di salvaguardia della fauna selvatica va riconosciuta alle Regioni la
facolta' di modificare l'elenco delle specie cacciabili soltanto "nel
senso di limitare e non di ampliare  il  numero  delle  eccezioni  al
divieto generale di caccia" (sentenze n. 272 del 1996 e n.  1002  del
1988)».
    Nella sentenza n. 233 del 2010 si e', poi, precisato  che  l'art.
18 della legge n. 157 del 1992 - nel contemplare appositi elenchi nei
quali sono individuate le specie cacciabili e i relativi  periodi  in
cui ne e' autorizzato il prelievo venatorio, nonche'  i  procedimenti
diretti  a  consentire  eventuali  modifiche  a  tali  previsioni   -
garantisce  «standard  minimi  e  uniformi  di  tutela  della   fauna
sull'intero territorio nazionale»  e  indica  «il  nucleo  minimo  di
salvaguardia della  fauna  selvatica  il  cui  rispetto  deve  essere
assicurato sull'intero territorio nazionale».
    Infine, nella piu' recente sentenza n. 139 del 2017 si e'  ancora
ribadito che le norme statali volte «ad assicurare la sopravvivenza e
la riproduzione delle specie cacciabili» possono  essere  oggetto  di
integrazione da parte della  legge  regionale  «esclusivamente  nella
direzione dell'innalzamento del livello di tutela».
    In questi termini  si  e',  pertanto,  consolidato  il  principio
secondo cui anche la normativa regionale in tema di specie cacciabili
e' abilitata a derogare alla disciplina statale in materia di  tutela
dell'ambiente e dell'ecosistema, purche',  ove  quest'ultima  esprima
regole  minime  e  uniformi  di  tutela,  innalzi  tale  livello   di
protezione.
    Tanto chiarito, si deve concludere che sia l'art.  39,  comma  1,
della legge reg. Piemonte n. 26 del 2015,  sia  l'art.  1,  comma  1,
della legge reg. Piemonte n. 27 del 2016, estendendo  il  divieto  di
caccia a specie che, sulla scorta dell'art. 18, comma 1, della  legge
n. 157 del 1992,  sarebbero  cacciabili,  non  si  risolvono  in  una
riduzione della soglia minima di tutela  della  fauna  selvatica,  ma
risultano, al  contrario,  piu'  rigorosi  rispetto  alla  disciplina
statale, nella direzione quindi  di  un  legittimo  incremento  della
suddetta protezione minima.
    6.2.4.-  Queste  disposizioni,  pertanto,  nell'esercizio   della
competenza residuale in materia di caccia, hanno anche  concretizzato
una coerente attuazione del principio autonomista: con esse, infatti,
un centro di vita territoriale, tramite i propri  rappresentanti  che
se ne sono assunti la relativa responsabilita' politica, ha delineato
un particolare modo di essere  diretto  a  innalzare,  rispetto  alla
disciplina statale, il livello del valore costituzionalmente protetto
della tutela dell'ambiente e dell'ecosistema.
    In tal modo, peraltro, le norme censurate hanno, di  fatto,  dato
seguito a una tradizione normativa che, come  rilevato  dalla  difesa
regionale,  ha  costantemente  caratterizzato,  in  tema  di   specie
cacciabili, la disciplina legislativa piemontese, da tempo  connotata
da previsioni notevolmente piu'  rigorose  rispetto  a  quelle  della
legislazione statale.
    Un tale indirizzo restrittivo ha preso a manifestarsi  gia'  dopo
pochi anni dalla entrata in vigore della legge 27 dicembre  1977,  n.
968 (Principi generali e disposizioni per la protezione e  la  tutela
della fauna  e  la  disciplina  della  caccia),  che  ha  segnato  il
superamento dei principi in tema di caccia posti dal regio decreto  5
giugno 1939, n. 1016 (Approvazione del Testo unico delle norme per la
protezione della selvaggina o per esercizio  della  caccia),  e  che,
determinando un affievolimento del tradizionale "diritto di  caccia",
ha qualificato la fauna selvatica come patrimonio indisponibile dello
Stato, per cui il divieto di prelievo venatorio e' stato  elevato  al
rango di  nuova  regola  generale,  ammettendosi  solo  delimitate  e
specifiche eccezioni.  A  fronte,  infatti,  di  sessantanove  specie
cacciabili previste dalla normativa statale, la legge  della  Regione
Piemonte 17 ottobre 1979, n. 60 (Norme per la tutela della fauna e la
disciplina della caccia), ne aveva  individuate,  all'art.  38,  solo
trentacinque, divenute poi quarantuno a  seguito  della  legge  della
Regione Piemonte 18 aprile 1985,  n.  38  (Modificazioni  alla  legge
regionale 17 ottobre 1979, n. 60 - "Norme per la tutela della fauna e
la disciplina della caccia" e abrogazione delle  leggi  regionali  10
dicembre 1980, n. 80, 30 settembre 1983, n. 17 e 29  marzo  1984,  n.
20), e quindi ulteriormente ridotte addirittura a sedici per  effetto
della  legge  della  Regione  Piemonte  22   aprile   1988,   n.   22
(Modificazioni alla legge regionale 17 ottobre 1979, n. 60 'Norme per
la tutela della fauna e la disciplina della caccia', modificata dalla
legge regionale 18 aprile 1985, n. 38).
    Quando, poi, con la legge n. 157 del 1992, abrogativa della legge
n. 968 del 1977, il legislatore statale ha individuato, all'art.  18,
comma 1, sessanta specie cacciabili, la legge della Regione  Piemonte
4 settembre  1996,  n.  70  (Norme  per  la  protezione  della  fauna
selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio),  le  ha  ridotte  a
ventinove.
    Quest'ultima legge regionale e' stata, quindi, abrogata dall'art.
40, comma 1, della legge reg. Piemonte n. 5 del 2012,  ma  il  quadro
normativo e' stato presto  reintegrato  dalle  norme  censurate,  che
hanno aggiunto le lettere f-ter) e f-quater) all'art.  40,  comma  4,
della legge appena menzionata,  stabilendo  che:  «[o]ltre  a  quanto
previsto dalla legge 157/1992 e'  vietato:  [...]  f-ter)  abbattere,
catturare o  cacciare  le  specie  pernice  bianca  (Lagopus  mutus),
allodola  (Alauda  arvensis)  e  lepre  variabile  (Lepus   timidus);
f-quater) abbattere o catturare le specie fischione (Anas  penelope),
canapiglia (Anas strepera), mestolone (Anas clypeata),  codone  (Anas
acuta),  marzaiola  (Anas   querquedula),   folaga   (Fulica   atra),
porciglione  (Rallus  aquaticus),  frullino  (Lymnocryptes  minimum),
pavoncella (Vanellus vanellus), moretta (Aythya fuligula), moriglione
(Aythya ferina),  combattente  (Philomachus  pugnax),  merlo  (Turdus
merula)».
    La particolare sensibilita' della comunita' regionale  piemontese
al  valore  costituzionale  dell'ambiente   e   dell'ecosistema   e',
peraltro, dimostrata anche dalla peculiare vicenda - ripercorsa dalle
associazioni intervenute nel  giudizio  a  quo  -  di  un  referendum
abrogativo  regionale,  diretto  a  un'ulteriore  e   piu'   drastica
riduzione delle specie cacciabili, che, indetto sin dal lontano 1987,
non si e' pero' mai tenuto in  ragione  della  successione  normativa
illustrata (e, segnatamente, delle modifiche e dell'abrogazione delle
norme oggetto della consultazione).
    6.2.5.- Se quindi questa Corte viene chiamata a  pronunciarsi  su
leggi  regionali  che,  nell'esercizio  della  competenza  residuale,
anziche' ampliare - come  sempre  e'  avvenuto  in  passato,  con  la
conseguente  declaratoria  di  illegittimita'  costituzionale   delle
relative disposizioni (sentenze n. 227 del 2003 e n. 577 del 1990) -,
riducono il numero delle specie  cacciabili,  in  conformita'  a  una
specifica  tradizione  attenta  al   mantenimento   degli   esistenti
equilibri ecologici, il giudizio non  puo'  che  concludersi  con  la
dichiarazione di infondatezza  della  censura  prospettata  sotto  il
profilo scrutinato.
    6.3.-  Quanto  al  secondo  aspetto,  dianzi  evidenziato,  della
censura in esame, va precisato che, se e' fuor di dubbio  che  questa
Corte ha enunciato il principio per cui il calendario venatorio  deve
necessariamente essere adottato con atto amministrativo, nondimeno e'
altrettanto evidente che le  norme  denunciate  lo  hanno  pianamente
rispettato: queste, infatti, non hanno approvato, ne' la prima ne' la
seconda, alcun calendario venatorio, bensi' hanno introdotto, in  via
generale e astratta, un divieto di  caccia  per  determinate  specie,
prescindendo da una specifica  stagione  venatoria.  Esse,  pertanto,
hanno solo stabilito un precetto normativo suscettibile  di  ripetuta
applicazione nel tempo, privo del  contenuto  tipico  del  calendario
venatorio, nonche' dei relativi effetti temporanei e contingenti.
    Ne e' ulteriore riprova il fatto che nella  dinamica  complessiva
della fattispecie qui in  considerazione  sono  intervenute  ben  tre
deliberazioni della Giunta regionale di  approvazione  dei  calendari
venatori: la delibera 11 aprile 2016, n. 21-3140, con cui la  Regione
Piemonte  ha  approvato  il  calendario  venatorio  per  la  stagione
2016-2017 e che e' stata oggetto di impugnativa dinnanzi al giudice a
quo; la delibera 4 agosto 2016, n. 97-3835, con cui,  come  riferisce
lo stesso rimettente, la Regione ha dato ottemperanza alla  pronuncia
cautelare; la delibera 9 gennaio 2017, n. 10-4551, con cui  e'  stato
adottato  un  nuovo  calendario   venatorio   in   conformita'   alle
previsioni, nel frattempo intervenute, dell'art. 1,  comma  1,  della
legge reg. Piemonte n. 27 del 2016.
    E',  quindi,  evidente  che  i  calendari  venatori  sono   stati
approvati con atti amministrativi, senza che  il  potere  legislativo
esercitato  dalla  Regione  sia  in  alcun  modo   ascrivibile   alla
disciplina di cui all'art. 18, commi 2 e 4, della legge  n.  157  del
1992, su cui, invece, si e' incentrata questa Corte con  la  sentenza
n. 20 del 2012 (poi confermata dalla  successiva  giurisprudenza:  ex
plurimis, sentenze n. 90 del 2013 e n.  310  del  2012)  evocata  dal
rimettente.
    Nel  caso  in  esame,  dunque,  le  norme  censurate,   in   cio'
legittimate dalla competenza residuale in materia  di  caccia,  hanno
avuto l'effetto, non  di  attrarre  alla  disciplina  legislativa  il
calendario  venatorio,  bensi'  di  innalzare,  in  via  generale   e
astratta, il livello della  tutela  faunistica:  esse,  pertanto,  in
nessun modo hanno inciso in peius sugli standard minimi e uniformi di
protezione  della  fauna,  la  cui  disciplina  e'  ascrivibile  alla
potesta' legislativa esclusiva dello Stato.
    Le medesime ragioni sopra esposte, infine, conducono  a  ritenere
privo di pregio l'argomento, addotto dal rimettente sotto il  profilo
in esame, basato sull'art. 18, comma 3, della legge n. 157 del  1992,
il quale, nel secondo periodo, prevede che le  variazioni  all'elenco
delle specie cacciabili di cui al precedente comma 1  sono  disposte,
sentito  l'Istituto  superiore  per  la  protezione  e   la   ricerca
ambientale (ISPRA), dal Presidente del Consiglio dei ministri.
    Una volta riconosciuto che le norme legislative  censurate  hanno
determinato l'effetto di incrementare la  tutela  minima  ascrivibile
alla  potesta'  legislativa  statale,  si  deve  ritenere   che,   in
quest'ambito   di   maggiore   protezione   faunistica,   del   tutto
legittimamente si sia esplicata la potesta' legislativa residuale  in
materia di caccia.
    D'altro canto, la legge n. 157 del 1992, se da un  lato  prevede,
all'art. 18, comma 3, che la variazione delle specie cacciabili possa
essere disposta anche con d.P.C.m., dall'altro prevede, sulla  scorta
della  interpretazione  fornita  da  questa   Corte,   che   soltanto
nell'adozione del calendario venatorio - e,  quindi,  per  un'ipotesi
diversa da quella oggetto  della  fattispecie  qui  scrutinata  -  le
Regioni  siano  necessariamente  vincolate   alla   forma   dell'atto
amministrativo.
    6.4.- Alla luce delle considerazioni che precedono, le  questioni
sollevate in riferimento all'art. 117,  secondo  comma,  lettera  s),
Cost. debbono essere dichiarate, dunque, non fondate.
    7.- L'art. 1, comma 1, della legge reg. Piemonte n. 27  del  2016
lederebbe, secondo il giudice rimettente,  anche  l'art.  102,  primo
comma, Cost.
    7.1.-  Il  vulnus  all'evocato  parametro  costituzionale,  e  in
particolare ai principi della separazione dei poteri e della  riserva
di  giurisdizione,  deriverebbe  dalla  circostanza  che   la   norma
denunciata ha introdotto il divieto  di  cacciare  alcune  specie  di
uccelli nel corso del giudizio pendente dinanzi al TAR Piemonte, dopo
che  questo  aveva  sospeso,  in  sede  cautelare,  l'efficacia   del
calendario venatorio per la stagione 2016-2017 proprio a motivo della
mancata inclusione della maggior parte di tali specie nell'elenco  di
quelle cacciabili. Da cio' discenderebbe, ad avviso del giudice a quo
- che al riguardo  richiama  la  sentenza  n.  525  del  2000  -,  la
conclusione che la disposizione oggetto di scrutinio si  connoterebbe
quale legge-provvedimento diretta ad incidere intenzionalmente  sulla
concreta fattispecie sub iudice.
    7.2.- La questione sollevata in riferimento all'art.  102,  primo
comma, Cost. e' inammissibile per l'insufficiente motivazione.
    Il  giudice  a  quo,  infatti,  si  e'  in  sostanza  limitato  a
descrivere in termini del tutto sommari  la  successione  cronologica
degli eventi, ma non ha minimamente illustrato perche' - a suo dire -
nella norma censurata sarebbe ravvisabile  una  legge  specificamente
diretta ad alterare l'esito del giudizio in corso. Ne' il rimettente,
pur avendo richiamato la sentenza n. 525 del 2000 -  nella  quale  la
Corte  ha  in  realta'  affrontato  il  tema   dei   presupposti   di
legittimita'  delle  norme  interpretative  e  della   loro   portata
retroattiva -, ha dato conto delle ragioni per  cui  la  disposizione
sospettata d'incostituzionalita'  dovrebbe  risultare  ascrivibile  a
questa particolare categoria di norme, cosi' come  non  ha  in  alcun
modo motivato sul supposto  effetto  retroattivo  della  disposizione
stessa.
    In  realta'  dal  susseguirsi   degli   avvenimenti,   senz'altro
maggiormente  articolato  rispetto  a  quanto  prospettato  dal   TAR
Piemonte, si evince solo che l'approvazione della norma denunciata  -
ma si tratta di una evenienza di  mero  fatto  -  e'  intervenuta  in
pendenza della controversia, alcuni mesi dopo che, in sede cautelare,
era stato censurato il mancato inserimento nel  calendario  venatorio
delle specie  di  uccelli  acquatici  poi  disciplinate  dalla  norma
stessa.
    Infatti, con la deliberazione n.  21-3140  del  2016,  la  Giunta
della Regione Piemonte ha approvato il calendario  venatorio  per  la
stagione 2016-2017. In tale sede, per quanto rileva, da un  lato,  e'
stato disposto il divieto di caccia alla pernice bianca, all'allodola
e alla lepre variabile, in ossequio al disposto dell'art.  39,  comma
1, della legge reg. Piemonte n. 26 del  2015;  dall'altro,  e'  stato
omesso l'inserimento, nell'elenco delle  specie  cacciabili,  benche'
previste come tali dall'art. 18, comma 1,  della  legge  n.  157  del
1992, del  moriglione,  del  merlo  e  di  altre  specie  di  uccelli
acquatici (successivamente indicate all'art. 1, comma 1, della  legge
reg. Piemonte n. 27 del 2016).
    Con ordinanza cautelare del  28  luglio  2016,  il  TAR  ha,  tra
l'altro, sospeso l'efficacia del calendario  venatorio  limitatamente
alle specie ingiustificatamente escluse da quelle cacciabili  pur  se
considerate tali dalla normativa statale e non comprese  nel  divieto
posto dall'art. 39 della legge reg. Piemonte n. 26 del 2015.
    Dopo la pronuncia cautelare, cui la Regione  ha  ottemperato  con
deliberazione n. 97-3835 del 2016, e' stata approvata, a distanza  di
circa cinque mesi, la legge reg. Piemonte n.  27  del  2016,  che  ha
stabilito il divieto di caccia anche alle specie  appena  menzionate,
oltre che al moriglione e al merlo.
    In seguito, la Giunta regionale, con deliberazione n. 10-4551 del
2017, ha adottato un nuovo calendario venatorio  adeguandosi  a  tale
previsione normativa.
    Alla luce  della  descritta  successione  degli  eventi,  non  si
comprende, quindi, in che termini il rimettente  giunga  a  sostenere
che la norma di cui all'art. 1, comma 1, della legge reg. Piemonte n.
27 del 2016  -  efficace  sul  solo  piano  delle  fonti  generali  e
astratte, volta a stabilire il modello normativo cui la decisione del
giudice deve riferirsi (sentenze n. 170 del 2008 e n. 432  del  1997;
ordinanza n. 263 del 2002) e priva di efficacia retroattiva,  con  la
conseguente inidoneita' a sanare (in parte qua)  gli  eventuali  vizi
della delib. Giunta reg. n. 21-3140 del 2016 (e tanto meno  della  n.
97-3835  del  2016)  impugnata  dinanzi  ad  esso  -   possa   essere
qualificata come legge specificamente diretta a incidere sul giudizio
amministrativo in corso, al punto di essere contestata in riferimento
all'art.  102  Cost.  per  avere  intaccato  l'esercizio  del  potere
giurisdizionale.
    8.- Entrambe le disposizioni censurate, secondo il giudice a quo,
violerebbero, infine, l'art. 117, primo comma, Cost.
    8.1.- Esse, non essendo state precedute  dall'istruttoria  e  dal
parere  dell'ISPRA,  si  porrebbero,  infatti,  in  contrasto  con  i
principi del diritto europeo in materia di  tutela  dell'ambiente  e,
segnatamente, «con l'obbligo di adeguata  istruttoria  e  motivazione
che si impone,  anche  al  legislatore  regionale,  nell'adozione  di
misure di maggior tutela della fauna».
    Tale  obbligo,  che   sarebbe   stato   affermato   anche   dalla
giurisprudenza sovranazionale, si desumerebbe,  in  particolare,  dal
considerando n. 32 della decisione  n.  1600/2002/CE  del  Parlamento
europeo e del Consiglio, nonche' dagli artt. 114 e 193 del TFUE.
    8.2.- Anche  tale  questione  e'  inammissibile  per  difetto  di
adeguata motivazione sulle ragioni dell'asserito vulnus.
    Il rimettente sostiene del  tutto  assertivamente  la  violazione
delle suddette norme  interposte,  senza,  tuttavia,  individuare  lo
specifico contenuto precettivo delle stesse che contrasterebbe con le
disposizioni regionali sospettate d'illegittimita'  costituzionale  e
senza, quindi, spiegare dettagliatamente i  motivi  per  i  quali  si
sarebbe determinata la lesione, con il risultato che  la  censura  e'
formulata in modo generico ed apodittico (ex plurimis, sentenza n. 80
del 2010; ordinanza n. 344 del 2008). Egli, infatti, ritiene che  non
sarebbe stata svolta un'adeguata istruttoria, omettendo, tuttavia, di
illustrare le ragioni per cui il parere  dell'ISPRA  sarebbe  imposto
dalla  normativa  eurounitaria   citata   -   che   peraltro   appare
prevalentemente rivolta piu' alle istituzioni  comunitarie  che  agli
Stati membri - e,  conseguentemente,  omettendo,  in  definitiva,  di
chiarire in cosa sarebbe consistita la violazione denunciata.
     

                          per questi motivi
                       LA CORTE COSTITUZIONALE

    1)  dichiara   non   fondate   le   questioni   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 39,  comma  1,  della  legge  della  Regione
Piemonte 22 dicembre 2015, n. 26 (Disposizioni collegate alla manovra
finanziaria per l'anno 2015), e dell'art. 1,  comma  1,  della  legge
della Regione Piemonte 27 dicembre 2016, n.  27,  recante  «Modifiche
alla legge regionale 4 maggio  2012,  n.  5  (Legge  finanziaria  per
l'anno 2012)», sollevate, in riferimento all'art. 117, secondo comma,
lettera  s),  della  Costituzione,   dal   Tribunale   amministrativo
regionale per il Piemonte, seconda sezione, con l'ordinanza  indicata
in epigrafe;
    2)  dichiara   inammissibili   le   questioni   di   legittimita'
costituzionale del medesimo  art.  39,  comma  1,  della  legge  reg.
Piemonte n. 26 del 2015 e del medesimo art. 1, comma 1,  della  legge
reg. Piemonte n. 27 del 2016, sollevate, in  riferimento  agli  artt.
102, primo  comma,  e  117,  primo  comma,  Cost.,  in  relazione  al
considerando n. 32 della decisione  n.  1600/2002/CE  del  Parlamento
europeo e del Consiglio del 22 luglio 2002, che istituisce  il  sesto
programma comunitario di azione in materia di ambiente, e agli  artt.
114 e 193 del Trattato sul funzionamento  dell'Unione  europea,  come
modificato dall'art. 2 del Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007 e
ratificato  dalla  legge  2  agosto  2008,  n.  130,  dal   Tribunale
amministrativo  regionale  per  il  Piemonte,  seconda  sezione,  con
l'ordinanza indicata in epigrafe.

    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 5 dicembre 2018.

                                F.to:
                    Giorgio LATTANZI, Presidente
                      Luca ANTONINI, Redattore
                     Roberto MILANA, Cancelliere

    Depositata in Cancelleria il 17 gennaio 2019.

                   Il Direttore della Cancelleria
                        F.to: Roberto MILANA


                                                            Allegato:
                     Ordinanza emessa all'udienza del 4 dicembre 2018
                                                            ORDINANZA
    Rilevato che  in  tale  giudizio  e'  intervenuta  l'Associazione
nazionale libera caccia (ANLC) con sede in Roma;
    che, secondo la menzionata  associazione,  le  questioni  oggetto
dell'odierno incidente di costituzionalita' sono pregiudiziali  anche
ai fini della decisione  di  un  diverso  ricorso  da  essa  proposto
dinanzi al TAR Piemonte e avente ad oggetto la delibera della  Giunta
della Regione Piemonte 10 aprile 2017, n. 14-487 (recte: n. 14-4867),
con la quale e'  stato  approvato  il  calendario  venatorio  per  la
stagione 2017/2018;
    che, come riferito dalla medesima  associazione,  nel  corso  del
giudizio originato dal ricorso appena  citato,  il  TAR  Piemonte  ha
emesso una ordinanza in cui ha precisato che  i  dedotti  profili  di
illegittimita' costituzionale sarebbero stati sottoposti all'esame di
questa Corte con separata ordinanza  resa  nell'ambito  di  un  altro
giudizio.
    Considerato che, per costante giurisprudenza di questa Corte,  di
norma,  «nei  giudizi  incidentali  di  legittimita'  costituzionale,
l'intervento  di  soggetti  estranei  al   giudizio   principale   e'
ammissibile, ai sensi dell'art. 4, comma 3, delle  Norme  integrative
per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, soltanto per i terzi
titolari di un interesse qualificato,  inerente  in  modo  diretto  e
immediato  al  rapporto  sostanziale  dedotto  in  giudizio   e   non
semplicemente regolato, al pari di ogni altro, dalla  norma  o  dalle
norme oggetto di censura (ex plurimis, sentenza n. 120 del 2018 e  la
relativa ordinanza letta all'udienza del 10 aprile 2018, sentenze  n.
77 del 2018 e n. 275 del 2017)» (sentenza n. 194 del 2018 e  relativa
ordinanza letta all'udienza del 25 settembre 2018);
    che tale orientamento e' stato  piu'  volte  espresso  da  questa
Corte anche con riguardo alla richiesta di  intervento  da  parte  di
soggetti rappresentativi di interessi collettivi o di  categoria  (ex
plurimis, sentenza n. 194 del 2018  e  la  relativa  ordinanza  letta
all'udienza del 25 settembre 2018);
    che, nel caso odierno, l'associazione interveniente e' parte  non
del giudizio a quo - del quale e' invece parte  l'ANLC  Piemonte  con
sede  in  Alessandria,   costituita   nel   presente   incidente   di
costituzionalita' - ma di un distinto giudizio;
    che, d'altra parte, «la circostanza che un soggetto sia parte  in
un giudizio diverso da quello oggetto dell'ordinanza  di  rimessione,
sul quale la decisione della  Corte  costituzionale  possa  influire,
neppure  e'  sufficiente  a  rendere  ammissibile  l'intervento   (ex
plurimis,  sentenza  n.  69  del  2017  e  allegata  ordinanza  letta
all'udienza del 22 febbraio  2017)»  (sentenza  n.  120  del  2018  e
relativa ordinanza emessa all'udienza del 10 aprile 2018).

                          per questi motivi
                       LA CORTE COSTITUZIONALE

    dichiara inammissibile l'intervento spiegato  dalla  Associazione
nazionale libera caccia con sede in Roma.

                 F.to: Giorgio Lattanzi, Presidente

Nessun commento: