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mercoledì 23 gennaio 2019
N. 7 SENTENZA 5 dicembre 2018- 17 gennaio 2019 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. Caccia ‒ Divieto di cacciare determinate specie di animali. - Legge della Regione Piemonte 22 dicembre 2015, n. 26 (Disposizioni collegate alla manovra finanziaria per l'anno 2015), art. 39, comma 1, e legge della Regione Piemonte 27 dicembre 2016, n. 27, recante «Modifiche alla legge regionale 4 maggio 2012, n. 5 (Legge finanziaria per l'anno 2012)», art. 1, comma 1. - (GU n.4 del 23-1-2019 )
N. 7 SENTENZA 5 dicembre 2018- 17 gennaio 2019
Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
Caccia ‒ Divieto di cacciare determinate specie di animali.
- Legge della Regione Piemonte 22 dicembre 2015, n. 26 (Disposizioni
collegate alla manovra finanziaria per l'anno 2015), art. 39, comma
1, e legge della Regione Piemonte 27 dicembre 2016, n. 27, recante
«Modifiche alla legge regionale 4 maggio 2012, n. 5 (Legge
finanziaria per l'anno 2012)», art. 1, comma 1.
-
(GU n.4 del 23-1-2019 )
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente:Giorgio LATTANZI;
Giudici :Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI,
Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de
PRETIS, Nicolo' ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA,
Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANO', Luca
ANTONINI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 39, comma
1, della legge della Regione Piemonte 22 dicembre 2015, n. 26
(Disposizioni collegate alla manovra finanziaria per l'anno 2015), e
dell'art. 1, comma 1, della legge della Regione Piemonte 27 dicembre
2016, n. 27, recante «Modifiche alla legge regionale 4 maggio 2012,
n. 5 (Legge finanziaria per l'anno 2012)», promosso dal Tribunale
amministrativo regionale per il Piemonte, seconda sezione, nel
procedimento vertente tra la Federazione Italiana della Caccia e
altri e la Regione Piemonte e altri, con ordinanza del 23 novembre
2017, iscritta al n. 29 del registro ordinanze 2018 e pubblicata
nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 8, prima serie speciale,
dell'anno 2018.
Visti gli atti di costituzione della Federazione Italiana della
Caccia e altri, della Regione Piemonte e della Lega per l'Abolizione
della Caccia e altri, nonche' l'atto di intervento dell'Associazione
Nazionale Libera Caccia con sede in Roma;
udito nella udienza pubblica del 4 dicembre 2018 il Giudice
relatore Luca Antonini;
uditi gli avvocati Antonella Anselmo per l'Associazione Nazionale
Libera Caccia, Paolo Scaparone per la Federazione Italiana della
Caccia e altri, Giulietta Magliona per la Regione Piemonte e
Francesco Mainetti per la Lega per l'Abolizione della Caccia e altri.
Ritenuto in fatto
1.- Con ordinanza del 23 novembre 2017 (r.o. n. 29 del 2018), il
Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte, seconda sezione,
ha sollevato questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 39,
comma 1, della legge della Regione Piemonte 22 dicembre 2015, n. 26
(Disposizioni collegate alla manovra finanziaria per l'anno 2015), e
dell'art. 1, comma 1, della legge della Regione Piemonte 27 dicembre
2016, n. 27, recante «Modifiche alla legge regionale 4 maggio 2012,
n. 5 (Legge finanziaria per l'anno 2012)», in riferimento agli artt.
102, primo comma, e 117, primo e secondo comma, lettera s), della
Costituzione, in relazione al considerando n. 32 della decisione n.
1600/2002/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 22 luglio
2002, che istituisce il sesto programma comunitario di azione in
materia di ambiente, e agli artt. 114 e 193 del Trattato sul
funzionamento dell'Unione europea (TFUE), come modificato dall'art. 2
del Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007 e ratificato dalla legge
2 agosto 2008, n. 130.
2.- Il TAR rimettente e' chiamato a decidere un ricorso per
l'annullamento della deliberazione della Giunta della Regione
Piemonte 11 aprile 2016, n. 21-3140 (Art. 18 l. 157/1992, art. 40
l.r. 5/2012. Approvazione del Calendario venatorio per la stagione
2016/2017 e delle relative Istruzioni operative supplementari), con
la quale e' stato approvato il calendario venatorio per la stagione
2016-2017 e dalle cui determinazioni deriva l'esclusione della
possibilita' di cacciare alcune specie di animali che sono, invece,
considerate cacciabili dall'art. 18, comma 1, della legge 11 febbraio
1992, n. 157 (Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma
e per il prelievo venatorio).
2.1.- Secondo quanto riferito dal giudice a quo, il ricorso -
proposto dalla Federazione italiana della caccia - Federazione della
caccia Regione Piemonte, dall'Unione nazionale Enalcaccia pesca e
tiro - Delegazione regionale del Piemonte, dall'Associazione
nazionale libera caccia (ANLC) con sede in Alessandria,
dall'Associazione dei migratoristi italiani, dai Comprensori alpini
(CA) To1, To2, To3, To4, Cn1, Cn2, Cn4, Cn5 e Cn7, dagli Ambiti
territoriali di caccia (ATC) Al1 e Al4 nonche' dall'Ente produttori
selvaggina - e' articolato in quattro motivi, due dei quali rilevano
in questa sede.
Nello specifico, uno di essi investe l'art. 39, comma 1, della
legge reg. Piemonte n. 26 del 2015, giacche' il divieto di caccia
alle specie pernice bianca, allodola e lepre variabile, stabilito da
questa norma e recepito nel calendario venatorio, sarebbe
costituzionalmente illegittimo, in riferimento all'art. 117, secondo
comma, lettera s), Cost.; un altro, invece, si fonda sulla violazione
dell'art. 18 della legge n. 157 del 1992 e dell'art. 40 della legge
della Regione Piemonte 4 maggio 2012, n. 5 (Legge finanziaria per
l'anno 2012), dal momento che la Regione avrebbe illegittimamente
omesso di inserire, nell'elenco delle specie cacciabili contenuto nel
calendario venatorio, numerose specie di uccelli acquatici.
Il rimettente, quindi, espone che - dopo la costituzione della
Regione Piemonte e l'intervento ad opponendum della Lega per
l'Abolizione della Caccia (LAC), della LAC - Sezione Piemonte, della
Fondazione per l'ecospiritualita' Onlus, della Pro natura Torino
Onlus e della Lega antivivisezione (LAV) - in sede cautelare e' stato
accolto il motivo da ultimo descritto, mentre l'esame della
prospettata illegittimita' costituzionale e' stato rinviato alla fase
di merito; le ulteriori censure mosse nei confronti della suddetta
deliberazione regionale, che qui non rilevano, sono state, infine,
disattese.
Secondo quanto precisato dal giudice a quo, inoltre, con
successiva deliberazione della Giunta della Regione Piemonte 4 agosto
2016, n. 97-385 (recte: n. 97-3835), recante «Ordinanza del TAR
Piemonte n. 280 del 27/07/2016. Adeguamento della DGR n. 21-3140
dell'11/04/2016 di approvazione del Calendario venatorio per la
stagione 2016/2017», e' stato modificato il calendario venatorio in
ottemperanza all'ordinanza cautelare.
E' in seguito intervenuta la legge reg. Piemonte n. 27 del 2016,
il cui art. 1, comma 1, ha vietato di abbattere o catturare anche le
specie oggetto della pronuncia cautelare. Conseguentemente, con
deliberazione della Giunta della Regione Piemonte 9 gennaio 2017, n.
10-4551, recante «Legge regionale n. 27 del 27/12/2016 "Modifiche
alla legge regionale 4 maggio 2012 n. 5 (Legge finanziaria per l'anno
2012)". Modifica al calendario venatorio 2016/2017 di cui alla D.G.R.
n. 97-3835 del 4.8.2016», e' stato adottato un nuovo calendario
venatorio nel quale sono state espunte, dall'elenco delle specie
cacciabili, quelle indicate dalla norma appena menzionata.
I ricorrenti hanno, pertanto, chiesto l'annullamento, mediante
motivi aggiunti, anche di questa deliberazione, sostenendo la
illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 1, della legge reg.
Piemonte n. 27 del 2016, in riferimento agli artt. 102 e 117, secondo
comma, lettera s), Cost.
Con sentenza non definitiva 20 novembre 2017, n. 1235, il TAR
Piemonte ha, infine, respinto i motivi del ricorso estranei alle
questioni di legittimita' costituzionale poi sollevate con
l'ordinanza di rimessione del 23 novembre 2017.
2.2.- Fatte tali premesse, in punto di rilevanza il giudice a quo
evidenzia che entrambe le deliberazioni impugnate, nell'escludere
numerose specie dall'elenco di quelle che possono essere oggetto di
prelievo venatorio, si fondano sui divieti di caccia posti dalle
norme denunciate: le questioni di legittimita' costituzionale
avrebbero, pertanto, natura pregiudiziale ai fini della decisione da
assumere nel processo principale, dal momento che esse in sostanza
coincidono con le censure mosse nei confronti dei provvedimenti
gravati.
2.3.- In ordine alla non manifesta infondatezza, il rimettente
osserva che, secondo il consolidato orientamento di questa Corte,
tanto l'individuazione dei contenuti minimi della sfera sottoposta a
protezione - e, quindi, nel caso in esame le specie non cacciabili -
quanto l'elencazione delle possibili eccezioni - e, quindi, nel caso
in esame le specie cacciabili - investirebbero un interesse unitario
proprio della comunita' nazionale e sarebbero, pertanto, affidate
allo Stato, la cui normativa sarebbe inderogabile da parte della
legislazione regionale.
Rammentato il rilievo attribuito dal legislatore statale alle
linee guida e ai pareri dell'Istituto superiore per la protezione e
la ricerca ambientale (ISPRA) al fine di garantire l'osservanza di
livelli minimi e uniformi di protezione ambientale, il giudice a quo,
richiamando la giurisprudenza di questa Corte, sostiene che, pur
costituendo la caccia materia affidata alla competenza legislativa
residuale delle Regioni (art. 117, quarto comma, Cost.), il disposto
dell'art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. imporrebbe comunque
il rispetto, da parte della legislazione regionale, delle regole
minime uniformi dettate dallo Stato a tutela dell'ambiente nella
legge n. 157 del 1992.
In particolare, nel caso in esame, l'art. 18 della legge appena
menzionata individua puntualmente le specie cacciabili e i periodi di
caccia per ciascuna di esse, attribuendo alle Regioni soltanto il
potere di modificare tali periodi e di predisporre il calendario
venatorio, previo parere dell'ISPRA.
Le norme censurate, vietando la caccia a numerose specie di
animali, introducono, invece, una disciplina piu' restrittiva in
assenza di una legge dello Stato che contempli siffatta possibilita':
esse lederebbero, conseguentemente, l'art. 117, secondo comma,
lettera s), Cost.
Sotto altro profilo, il rimettente ravvisa il vulnus al teste'
citato parametro costituzionale nella violazione del principio -
desumibile dall'art. 18, commi 2 e 4, della legge n. 157 del 1992 ed
enunciato nella sentenza n. 20 del 2012, di cui sono richiamati ampi
passaggi motivazionali - secondo cui il calendario venatorio deve
essere approvato necessariamente mediante atto amministrativo, non
potendo essere adottato con legge.
Questo principio sarebbe, del resto, confermato dal rilievo che,
secondo quanto previsto dal comma 3 dell'art. 18 della legge appena
menzionata, al livello statale, la possibilita' di modificare
l'elenco delle specie cacciabili e' affidata a un decreto del
Presidente del Consiglio dei ministri.
L'art. 1, comma 1, della legge reg. Piemonte n. 27 del 2016 si
porrebbe in contrasto anche con l'art. 102, primo comma, Cost.
La disposizione censurata, infatti, stabilisce il divieto di
cacciare diverse specie di uccelli ed e' stata approvata nel corso
del giudizio pendente dinanzi al TAR Piemonte, dopo che, proprio in
conseguenza dell'omessa inclusione della maggior parte delle medesime
specie nell'elenco di quelle cacciabili, era stata sospesa, in sede
cautelare, l'efficacia del calendario venatorio approvato con delib.
Giunta reg. Piemonte n. 21-3140 del 2016 per la stagione 2016-2017:
ad avviso del rimettente, pertanto, tale intervento normativo si
connoterebbe quale vera e propria legge-provvedimento e sarebbe
«potenzialmente idoneo ad intaccare la separazione dei poteri e la
riserva di giurisdizione prevista dall'art. 102 Cost., da intendersi
quale divieto per il legislatore di incidere intenzionalmente su
concrete fattispecie sub iudice, secondo l'autorevole insegnamento
della Corte (sent. n. 525 del 2000)».
Infine, il TAR Piemonte dubita della legittimita' costituzionale
di entrambe le norme denunciate in riferimento all'art. 117, primo
comma, Cost., in relazione al considerando n. 32 della decisione n.
1600/2002/CE e agli artt. 114 e 193 del TFUE.
Le disposizioni oggetto dell'odierno scrutinio contrasterebbero
con i principi del diritto europeo in materia ambientale - che
imporrebbero, prima dell'adozione di misure di maggior tutela della
fauna, l'obbligo di un'accurata istruttoria e di motivazione -
segnatamente per essere state approvate in assenza, appunto, di
«un'adeguata istruttoria tecnico-scientifica e senza richiedere il
parere dell'ISPRA».
In particolare, il giudice a quo richiama, anzitutto, il
considerando n. 32 della decisione n. 1600/2002/CE, secondo cui
«[...] l'attivita' legislativa in campo ambientale deve fondarsi
sulla migliore valutazione scientifica ed economica disponibile e
sulla conoscenza dello stato dell'ambiente e delle tendenze in atto,
secondo quanto stabilito dall'art. 174 del Trattato». Quindi, gli
artt. 114 e 193 del TFUE, dai quali deriverebbe che gli Stati membri
possono «incrementare il livello di tutela ambientale previsto dalle
norme comunitarie» a condizione che le misure piu' restrittive siano
non discriminatorie, adeguatamente motivate e supportate da dati
scientifici ulteriori e documentati. Il principio, desumibile da tali
norme, per cui le decisioni normative o amministrative devono essere
precedute dall'attivita' istruttoria, con il coinvolgimento di
organismi indipendenti e riconosciuti dalla comunita' scientifica,
sarebbe stato affermato anche dalla giurisprudenza sovranazionale.
3.- Si e' costituita in giudizio la Regione Piemonte, chiedendo
la declaratoria d'inammissibilita' o il rigetto delle questioni.
3.1.- L'eccezione d'inammissibilita' investe, in particolare, le
censure attinenti alla violazione dell'art. 117, secondo comma,
lettera s), Cost. ed e' basata su un duplice rilievo critico.
Sotto un aspetto, non si comprenderebbe se il giudice rimettente
reputi che le Regioni non possano comunque adottare provvedimenti
derogatori della disciplina statale ovvero se ad esse sia solo
consentito, in sede di approvazione del calendario venatorio,
modificare i periodi di prelievo: di qui l'eccepita inammissibilita'
delle questioni per asserita oscurita' della motivazione
dell'ordinanza sul punto.
Sotto altro aspetto, la difesa regionale sostiene la
contraddittorieta' del ragionamento del giudice a quo, il quale, da
un lato, sembrerebbe ritenere che le Regioni non possano impedire la
caccia ad alcune specie neppure mediante l'adozione del calendario
venatorio; dall'altro, dopo aver richiamato la giurisprudenza di
questa Corte che impone, per l'approvazione del calendario, il
provvedimento amministrativo quale unica forma che assicura una
flessibilita' della disciplina in materia, circoscrive tale
flessibilita' ai soli limiti temporali del prelievo venatorio.
3.2.- Nel merito, la Regione Piemonte prende le mosse dalla
censura inerente alla violazione dell'art. 102 Cost., osservando
preliminarmente che essa non puo' investire l'art. 39, comma 1, della
legge reg. Piemonte n. 26 del 2015, poiche' questa norma era gia' in
vigore quando e' stato instaurato il giudizio a quo.
Quindi, la difesa regionale evidenzia, in primo luogo, che l'art.
1, comma 1, della legge reg. Piemonte n. 27 del 2016 avrebbe soltanto
reintrodotto un divieto di caccia che nell'ambito regionale era stato
vigente - per effetto del disposto dell'art. 38 della legge della
Regione Piemonte 17 ottobre 1979, n. 60 (Norme per la tutela della
fauna e la disciplina della caccia), e, in seguito, dell'art. 44
della legge della Regione Piemonte 4 settembre 1996, n. 70 (Norme per
la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo
venatorio) - sin dal 1979.
Tale divieto era poi venuto meno a causa di un «difetto di
coordinamento normativo», allorche' l'art. 40 della legge reg.
Piemonte n. 5 del 2012, se da un lato aveva abrogato la legge reg.
Piemonte n. 70 del 1996, dall'altro si era limitato a richiamare (al
comma 3), al fine della individuazione delle specie cacciabili,
l'art. 18 della legge n. 157 del 1992.
Con la disposizione censurata, il legislatore regionale avrebbe,
pertanto, «solo cercato di regolare la situazione di fatto che si era
venuta a creare dopo l'abrogazione della legge sulla caccia,
ristabilendo quello che era il quadro normativo da sempre vigente in
Piemonte quanto all'individuazione delle specie prelevabili».
La norma denunciata non sarebbe volta a determinare l'esito del
giudizio pendente anche perche' si tratterebbe di una disposizione
«"super partes" ispirata alla (superiore) esigenza di tutela della
fauna selvatica», oltretutto coerente con il principio di precauzione
che, secondo la giurisprudenza della Corte di giustizia dell'Unione
europea, legittimerebbe l'adozione di misure restrittive in caso di
carenza di studi e di dati tecnico-scientifici sullo stato delle
specie interessate.
Infine, la Regione sostiene che debbano escludersi sia la
retroattivita' della norma in parola sia la ricorrenza dei
presupposti per la configurabilita' di una legge-provvedimento, sotto
tale ultimo aspetto sottolineando che il divieto da essa posto ha
carattere astratto e generale e, d'altra parte, non e' destinato ad
esaurire i propri effetti con la chiusura della stagione venatoria.
Anche le censure afferenti alla violazione dell'art. 117, secondo
comma, lettera s), Cost. sarebbero prive di fondamento, alla luce
dell'orientamento di questa Corte secondo cui la competenza
legislativa residuale regionale in materia di caccia puo' esplicarsi
prevedendo livelli di protezione maggiori rispetto a quelli fissati
dalla legislazione statale per la tutela dell'ambiente e
dell'ecosistema.
Ne' tale principio sarebbe scalfito dalla norma contenuta
nell'art. 18, comma 3, della legge n. 157 del 1992, dal momento che
l'attribuzione a un d.P.C.m. della possibilita' di modificare le
specie cacciabili avrebbe il fine di adeguare l'ordinamento interno a
quello sovranazionale: l'esercizio di questo potere sarebbe, quindi,
necessariamente indirizzato all'intero territorio nazionale, mentre
l'intervento regionale si collocherebbe su un piano del tutto
diverso, in quanto destinato alle singole realta' territoriali.
L'asserito vulnus all'art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.
sarebbe insussistente anche con riguardo al profilo inerente alla
violazione del principio, desumibile dall'art. 18, comma 4, della
legge n. 157 del 1992, della necessaria adozione del calendario
venatorio mediante atto amministrativo, dovendosi tenere distinta la
disciplina legislativa regionale dalla successiva regolamentazione
amministrativa: la prima, vietando la caccia ad alcune specie, fissa
con portata generale livelli di maggiore tutela rispetto a quelli
previsti dalla legislazione statale, mentre la seconda, nell'ambito
delineato dal legislatore regionale, adegua l'elenco delle specie
cacciabili agli «eventuali repentini ed imprevedibili mutamenti delle
circostanze di fatto che durante la singola stagione venatoria
possano interessare la fauna»; e cio' avviene attraverso l'adozione
del calendario venatorio, nel caso di specie approvato con
deliberazione della Giunta regionale.
In merito alla violazione dell'art. 117, primo comma, Cost., la
difesa regionale, da un lato, sostiene che la legge reg. Piemonte n.
27 del 2016 sarebbe stata preceduta da idonea istruttoria e che
l'ISPRA considererebbe le specie individuate nell'art. 1, comma 1, di
detta legge poco presenti sul territorio e in uno stato di
conservazione insoddisfacente; dall'altro, rileva, quanto al divieto
di caccia introdotto con la legge reg. Piemonte n. 26 del 2015, che
l'ISPRA stesso riterrebbe la pernice bianca e l'allodola specie,
l'una «vulnerabile» e in «evidente declino», l'altra «in stato di
conservazione sfavorevole [...]».
Peraltro, la Regione Piemonte sottolinea anche, nell'ottica del
principio di precauzione, che la Commissione Europea, nella «Guida
alla disciplina della caccia nell'ambito della Direttiva 79/409/CEE
sulla conservazione degli uccelli acquatici», avrebbe rilevato, tra
l'altro, che «per la maggior parte delle medesime specie» sono
sconosciuti i livelli di prelievo sostenibili che ne garantirebbero
un idoneo stato di conservazione.
4.- La LAC, la LAC - Sezione Piemonte, la Fondazione per
l'ecospiritualita' Onlus, la Pro natura Torino Onlus e la LAV -
intervenute nel processo principale - si sono costituite nel presente
giudizio limitandosi a richiamare le difese svolte dinanzi al giudice
amministrativo e chiedendo la declaratoria d'inammissibilita' o il
rigetto delle questioni sollevate.
5.- Si sono costituiti anche la Federazione italiana della caccia
- Federazione della caccia Regione Piemonte, l'Unione nazionale
Enalcaccia pesca e tiro - Delegazione regionale del Piemonte, l'ANLC
Piemonte con sede in Alessandria e i CA To1, To2, To3 e To4, gia'
ricorrenti nel processo principale, chiedendo che le questioni siano
accolte sulla scorta di argomentazioni sostanzialmente riproduttive
di quelle addotte dal giudice rimettente.
5.1.- Inoltre, queste parti richiamano, quale normativa
sovranazionale interposta, la direttiva 2009/147/CE del Parlamento
europeo e del Consiglio del 30 novembre 2009 concernente la
conservazione degli uccelli selvatici.
In merito alla violazione dell'art. 117, secondo comma, lettera
s), Cost., esse evocano altresi', da un lato, l'art. 3-quinquies,
comma 2, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in
materia ambientale), sostenendo che questa disposizione consentirebbe
alle Regioni e alle Province autonome di Trento e di Bolzano di
adottare forme di tutela giuridica dell'ambiente piu' restrittive, ma
solo a condizione che cio' sia richiesto da situazioni particolari
del territorio; dall'altro, l'art. 1, comma 1-bis, della legge n. 157
del 1992, evidenziando che la normativa statale in materia di
protezione ambientale, nell'equilibrio da essa definito, tiene in
considerazione anche altri interessi incisi dalla disciplina della
materia stessa, quali, nel caso in esame, quelli economici,
turistico-paesaggistici, agricoli e venatori.
Le parti ricorrenti nel processo principale ritengono, ancora,
che, siccome il legislatore statale ha stabilito dei livelli minimi
di protezione individuando le specie cacciabili, la sottrazione anche
di una sola di queste al prelievo venatorio determinerebbe una
riduzione della tutela ambientale.
Esse deducono, infine, che la necessita' dell'istruttoria
precedente all'esercizio del potere legislativo rappresenterebbe
anche un parametro per il giudizio di ragionevolezza della legge
(art. 3 Cost.).
6.- E' intervenuta nel presente giudizio l'ANLC con sede in Roma,
premettendo che le questioni oggetto dell'odierno incidente di
costituzionalita' sono pregiudiziali anche ai fini della decisione di
un diverso ricorso da essa proposto dinanzi al TAR Piemonte e avente
ad oggetto la deliberazione della Giunta della Regione Piemonte 10
aprile 2017, n. 14-487 (recte: n. 14-4867), recante «Art. 18 l.
157/1992, art. 40 l.r. 5/2012. Approvazione del Calendario venatorio
per la stagione 2017-2018 e delle relative Istruzioni operative
supplementari», con la quale e' stato approvato il calendario
venatorio per la stagione 2017/2018. In proposito, l'ANLC riferisce
altresi' che, durante il giudizio instauratosi a seguito del ricorso
appena citato, il TAR Piemonte ha pronunciato un'ordinanza in cui ha
precisato che i dedotti profili di illegittimita' costituzionale
sarebbero stati sottoposti all'esame di questa Corte con separata
ordinanza resa nell'ambito di un distinto giudizio.
6.1.- Nel merito, la menzionata associazione chiede
l'accoglimento delle questioni di legittimita' costituzionale.
7.- In prossimita' dell'udienza pubblica, tutte le parti hanno
depositato memorie illustrative, insistendo sulle conclusioni gia'
rassegnate.
7.1.- In particolare, la difesa regionale contesta l'asserita
preclusione, per le Regioni, di introdurre norme che limitano le
specie cacciabili e ribadisce che le disposizioni censurate sarebbero
coerenti con il principio di precauzione e con le evidenze
scientifiche disponibili.
7.2.- Le associazioni intervenute nel giudizio a quo sottolineano
che la legislazione piemontese sin dal 1979 avrebbe sempre ridotto le
specie oggetto di prelievo venatorio rispetto a quanto previsto dalle
leggi statali. Questa tendenza si sarebbe, peraltro, manifestata
anche attraverso l'indizione, nel lontano 1987, di un referendum
regionale volto, appunto, ad ottenere un'ulteriore riduzione delle
specie cacciabili.
Le associazioni in questione, inoltre, da un lato, pongono
l'accento sulla circostanza che nel caso in esame il calendario
venatorio e' stato adottato con atto amministrativo; dall'altro,
ritengono che, come al livello statale l'indicazione delle specie
cacciabili e' stata fatta con legge, cosi' sarebbe legittimo
l'intervento legislativo della Regione - in via generale e astratta e
salvi il rispetto degli standard minimi e la possibilita'
d'intervenire con provvedimento amministrativo in relazione ad
esigenze contingenti - nel proprio ambito competenziale.
Ad avviso di queste parti, del resto, le norme censurate
sarebbero coerenti con i dati che emergerebbero dalla guida
dell'ISPRA, con la conseguenza che dovrebbe escludersi altresi' la
violazione dell'art. 117, primo comma, Cost.
Sarebbe, infine, insussistente il vulnus all'art. 102 Cost., in
considerazione della portata generale e astratta della disposizione
di cui all'art. 1, comma 1, della legge reg. Piemonte n. 27 del 2016,
che non potrebbe, pertanto, essere qualificata come
legge-provvedimento e che, in ogni caso, sarebbe stata approvata con
l'intento di tutelare un bene, quello ambientale-faunistico,
costituzionalmente protetto.
7.3.- Le parti ricorrenti nel giudizio a quo, ribadite e
illustrate le deduzioni svolte nella memoria di costituzione,
osservano che nel corso del presente incidente di costituzionalita'
e' stata approvata la legge della Regione Piemonte 19 giugno 2018, n.
5 (Tutela della fauna e gestione faunistico-venatoria), il cui art.
2, comma 5, avrebbe sostanzialmente riprodotto i precetti normativi
oggetto del presente giudizio.
Sulla scorta di tale considerazione, esse chiedono che, ai sensi
dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla
costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), sia
dichiarata, in via consequenziale, l'illegittimita' costituzionale
anche della norma sopravvenuta.
7.4.- Infine, l'ANLC con sede in Roma, dopo aver diffusamente
ribadito quanto dedotto nell'atto di intervento, insiste nella
declaratoria di fondatezza delle questioni.
Considerato in diritto
1.- Il Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte ha
sollevato questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 39,
comma 1, della legge della Regione Piemonte 22 dicembre 2015, n. 26
(Disposizioni collegate alla manovra finanziaria per l'anno 2015), e
dell'art. 1, comma 1, della legge della Regione Piemonte 27 dicembre
2016, n. 27, recante «Modifiche alla legge regionale 4 maggio 2012,
n. 5 (Legge finanziaria per l'anno 2012)», per violazione degli artt.
102, primo comma, e 117, primo e secondo comma, lettera s), della
Costituzione, in relazione al considerando n. 32 della decisione n.
1600/2002/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 22 luglio
2002, che istituisce il sesto programma comunitario di azione in
materia di ambiente, e agli artt. 114 e 193 del Trattato sul
funzionamento dell'Unione europea (TFUE), come modificato dall'art. 2
del Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007 e ratificato dalla legge
2 agosto 2008, n. 130.
Le disposizioni denunciate vietano la caccia ad alcune specie di
animali che sono, invece, considerate cacciabili dall'art. 18, comma
1, della legge 11 febbraio 1992, n. 157 (Norme per la protezione
della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio).
In particolare, la prima norma censurata aggiunge la lettera
f-ter) all'art. 40, comma 4, della legge della Regione Piemonte 4
maggio 2012, n. 5 (Legge finanziaria per l'anno 2012), il quale
conseguentemente dispone che «[o]ltre a quanto previsto dalla legge
157/1992 e' vietato: [...] f-ter) abbattere, catturare o cacciare le
specie pernice bianca (Lagopus mutus), allodola (Alauda arvensis) e
lepre variabile (Lepus timidus)».
L'art. 1, comma 1, della legge reg. Piemonte n. 27 del 2016,
aggiungendo la lettera f-quater) all'art. 40, comma 4, della legge
reg. Piemonte n. 5 del 2012, prevede il divieto di abbattere o
catturare ulteriori specie di uccelli, quali, nello specifico:
«fischione (Anas penelope), canapiglia (Anas strepera), mestolone
(Anas clypeata), codone (Anas acuta), marzaiola (Anas querquedula),
folaga (Fulica atra), porciglione (Rallus aquaticus), frullino
(Lymnocryptes minimum), pavoncella (Vanellus vanellus), moretta
(Aythya fuligula), moriglione (Aythya ferina), combattente
(Philomachus pugnax), merlo (Turdus merula)».
2.- Prima di esaminare nel merito le questioni sollevate, deve
essere anzitutto confermata la dichiarazione d'inammissibilita'
dell'intervento spiegato dall'Associazione nazionale libera caccia
(ANLC) con sede in Roma, per le ragioni esposte nell'ordinanza letta
nel corso dell'udienza pubblica e allegata alla presente sentenza.
3.- Occorre, inoltre, in limine osservare che, dopo la pronuncia
dell'ordinanza di rimessione del TAR, la legge della Regione Piemonte
19 giugno 2018, n. 5 (Tutela della fauna e gestione
faunistico-venatoria), da un lato, all'art. 29, comma 1, ha abrogato
l'art. 40 della legge reg. Piemonte n. 5 del 2012; dall'altro,
all'art. 2, comma 5, ha riprodotto il divieto di prelievo venatorio
per tutte le specie oggetto delle norme censurate, eccetto che per la
moretta (Aythya fuligula).
Il citato ius superveniens non influisce, in ogni caso, sul
presente giudizio, dal momento che il TAR e' chiamato a giudicare
sulla richiesta di annullamento di due atti della Giunta regionale
che hanno regolato l'attivita' venatoria per la stagione 2016-2017,
nel corso della quale erano in vigore le norme censurate, sicche'
queste hanno trovato attuazione.
Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, d'altronde,
la legittimita' di un atto amministrativo deve essere esaminata, in
virtu' del principio tempus regit actum, con riguardo alla situazione
di fatto e di diritto esistente al momento della sua adozione (ex
plurimis, ordinanza n. 76 del 2018).
Conseguentemente - poiche' e' palese che nel processo principale
le norme censurate devono trovare applicazione e non viene in rilievo
lo ius novum - sono insussistenti i presupposti per la restituzione
degli atti al giudice a quo al fine di un nuovo esame della rilevanza
e della non manifesta infondatezza delle questioni sollevate.
4.- Tanto chiarito, deve essere preliminarmente precisato, al
fine di delimitare il thema decidendum dell'odierno scrutinio, che
l'evocazione, da parte della difesa delle parti private, dell'art. 3
Cost. e della direttiva 2009/147/CE del Parlamento europeo e del
Consiglio del 30 novembre 2009 concernente la conservazione degli
uccelli selvatici, nonche' la prospettazione del possibile contrasto
delle norme oggetto del presente giudizio con l'art. 3-quinquies,
comma 2, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in
materia ambientale), e con l'art. 1, comma 1-bis, della legge n. 157
del 1992 si traducono in questioni non sollevate dal giudice
rimettente.
Esse sono, di conseguenza, inammissibili.
Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, infatti,
l'oggetto del giudizio di legittimita' costituzionale in via
incidentale e' limitato alle disposizioni e ai parametri indicati
nell'ordinanza di rimessione, sicche' non possono essere presi in
considerazione ulteriori questioni o profili di costituzionalita'
dedotti dalle parti, sia eccepiti, ma non fatti propri dal giudice a
quo, sia volti ad ampliare o modificare successivamente il contenuto
della stessa ordinanza (ex plurimis, sentenza n. 194 del 2018).
5.- La Regione Piemonte ha sollevato eccezione d'inammissibilita'
assumendo l'oscurita' e la contraddittorieta' della motivazione della
censura relativa all'art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.
Non si comprenderebbe, infatti, se il rimettente reputi che alle
Regioni sia in ogni caso vietato adottare provvedimenti derogatori
rispetto alla disciplina statale oppure se esse possano soltanto, in
sede di approvazione del calendario venatorio e previo parere
dell'ISPRA, modificare i periodi di prelievo delle specie cacciabili.
Per altro verso, il giudice a quo sembrerebbe ritenere, prima,
che le Regioni non possano impedire la caccia ad alcune specie
neppure con il calendario venatorio; poi, contraddittoriamente, che
tale calendario rappresenti l'unica modalita' che assicura una
flessibilita' della disciplina della materia, circoscritta tuttavia
ai soli limiti temporali del prelievo.
5.1.- L'eccezione non puo' trovare accoglimento.
Quanto al primo aspetto dianzi evidenziato, va, infatti,
osservato che da una lettura complessiva dell'ordinanza di rimessione
emerge con sufficiente chiarezza che il TAR Piemonte sostiene, da un
canto, che alla legislazione regionale sarebbe inibita, in assenza di
un'espressa norma dello Stato che la contempli, la possibilita' di
derogare alle previsioni della legislazione statale afferenti alle
specie cacciabili; d'altro canto, in evidente rapporto di
subordinazione logica rispetto a quanto appena detto, che in ogni
caso l'adozione del calendario venatorio non puo' avvenire con
legge-provvedimento bensi' necessariamente con atto amministrativo.
Non e', del resto, di per se' contraddittorio, essendo anzi
coerente, ritenere che le Regioni non possano impedire il prelievo di
alcune specie nemmeno attraverso il calendario venatorio e, poi,
assumere che con questo si potrebbero introdurre deroghe alla
disciplina statale, ma solo limitatamente ai periodi di esercizio
della caccia.
6.- Nel merito, le norme censurate innanzitutto invaderebbero, ad
avviso del rimettente, la competenza legislativa esclusiva statale
nella materia «tutela dell'ambiente e dell'ecosistema» perche'
introducono il divieto di abbattere, catturare o cacciare alcune
specie di animali che sono, invece, considerate cacciabili dall'art.
18, comma 1, della legge n. 157 del 1992.
Tale ultima disposizione, infatti, nel dettare regole minime
uniformi di tutela del bene ambiente, concernenti l'individuazione
tanto delle specie cacciabili quanto di quelle non cacciabili,
precluderebbe alle Regioni, in assenza di una diversa norma che a
tanto le autorizzi, finanche di introdurre una disciplina piu'
restrittiva in materia.
In altri termini, secondo l'assunto del giudice a quo, le Regioni
potrebbero esclusivamente modificare i periodi di caccia e
predisporre il calendario venatorio, mentre sarebbe loro inibito
disciplinare in modo piu' restrittivo, rispetto a quanto previsto
dalla normativa statale, le specie che possono essere oggetto di
prelievo.
6.1.- Sotto altro profilo, le norme denunciate si porrebbero in
contrasto con l'art. 18, commi 2 e 4, della legge n. 157 del 1992, e
quindi violerebbero l'art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.,
perche' non rispetterebbero il principio, enunciato da questa Corte
nella sentenza n. 20 del 2012, secondo cui il calendario venatorio
deve necessariamente assumere la forma dell'atto amministrativo, non
essendo consentito alle Regioni adottarlo con legge; principio che
troverebbe, del resto, conferma anche nella previsione normativa
(contenuta nel secondo periodo del comma 3 del medesimo art. 18) che,
al livello statale, riconosce la possibilita' di modificare l'elenco
delle specie cacciabili a un decreto del Presidente del Consiglio dei
ministri.
6.2.- Quanto al primo profilo della censura, va rilevato che esso
in buona sostanza si fonda sull'assunto in base al quale - poiche' la
materia «tutela dell'ambiente e dell'ecosistema», a seguito della
riforma del Titolo V, Parte II, della Costituzione, e' stata
assegnata espressamente alla competenza esclusiva statale - la legge
n. 157 del 1992 avrebbe perso la natura di «legge quadro» o di «legge
di principi» e sarebbe divenuta una «legge a contenuto strettamente
ambientale», che definisce un «rigido quadro normativo statale» e non
tollera piu' alcuna forma di intervento derogatorio legislativo
regionale.
6.2.1.- Tale argomentazione non e' condivisibile.
Come puntualmente rilevato dalla giurisprudenza di questa Corte,
infatti, «[g]ia' prima della riforma del titolo V della parte seconda
della Costituzione, la protezione dell'ambiente aveva assunto una
propria autonoma consistenza che, in ragione degli specifici ed
unitari obiettivi perseguiti, non si esauriva ne' rimaneva assorbita
nelle competenze di settore (sentenza n. 356 del 1994),
configurandosi l'ambiente come bene unitario, che puo' risultare
compromesso anche da interventi minori e che va pertanto
salvaguardato nella sua interezza (sentenza n. 67 del 1992). La
natura di valore trasversale, idoneo ad incidere anche su materie di
competenza di altri enti nella forma degli standards minimi di
tutela, gia' ricavabile dagli artt. 9 e 32 della Costituzione, trova
ora conferma nella previsione contenuta nella lettera s) del secondo
comma dell'art. 117 della Costituzione, che affida allo Stato il
compito di garantire la tutela dell'ambiente e dell'ecosistema»
(sentenza n. 536 del 2002).
Dalla nuova collocazione costituzionale della materia «tutela
dell'ambiente e dell'ecosistema», pertanto, non discende, come invece
sostenuto nell'argomentazione del giudice rimettente, un vincolo
capace di imporsi in ogni caso all'autonomia delle Regioni, anche a
prescindere dalla presenza di competenze regionali incise dalla
disciplina statale. Il carattere trasversale della materia, e quindi
la sua potenzialita' di estendersi anche nell'ambito delle competenze
riconosciute alle Regioni, mantiene, infatti, salva la facolta' di
queste di adottare, nell'esercizio delle loro attribuzioni
legislative, norme di tutela piu' elevata.
6.2.2.- Cio' vale in particolar modo in relazione alla disciplina
in esame: come noto, a seguito della riforma del Titolo V della
Costituzione, la mancata indicazione della materia «caccia» nel
novellato art. 117 Cost. - in precedenza, invece, espressamente
annoverata tra le materie rimesse alla potesta' legislativa
concorrente - determina la sua certa riconduzione alla competenza
residuale regionale. Difatti, tra le materie in astratto
riconducibili al quarto comma dell'art. 117 Cost., occorre
distinguere quelle che prima della riforma del Titolo V erano
esplicitamente elencate nell'ambito della competenza concorrente da
quelle che, invece, non lo erano: per le prime, ancor piu' nettamente
che per le seconde, e' del tutto evidente la volonta' del legislatore
costituzionale di farle assurgere al rango della competenza residuale
regionale, che, come tale, non incontra piu' i limiti di quella
concorrente.
Tanto premesso, va pero' ribadito che, pur costituendo la caccia
materia certamente affidata alla competenza legislativa residuale
della Regione - senza che possa ritenersi ricompresa, neppure
implicitamente, in altri settori della competenza statale -, anche in
tale ambito «e' tuttavia necessario, in base all'art. 117, secondo
comma, lettera s), Cost., che la legislazione regionale rispetti la
normativa statale adottata in tema di tutela dell'ambiente e
dell'ecosistema, ove essa esprima regole minime uniformi» (sentenza
n. 139 del 2017).
Da cio' consegue che, se da un lato i precipui livelli di
protezione fissati dalla legge n. 157 del 1992 a salvaguardia
dell'ambiente e dell'ecosistema «non sono derogabili in peius dalla
legislazione regionale (da ultimo, sentenze n. 139 e n. 74 del
2017)», dall'altro quest'ultima ben puo', invece, intervenire su tale
disciplina «innalzando il livello della tutela» (sentenza n. 174 del
2017) nell'esercizio delle proprie competenze.
Ed e' proprio in tale ottica, d'altronde, che questa Corte ha
disatteso la censura avente ad oggetto una legge della Provincia
autonoma di Bolzano nella parte in cui, per alcune specie di animali,
aveva modificato il periodo del prelievo venatorio, restringendolo
rispetto a quanto previsto dall'art. 18, comma 1, della legge n. 157
del 1992 (sentenza n. 278 del 2012).
6.2.3.- I medesimi principi sono stati affermati dalla
giurisprudenza costituzionale, peraltro gia' prima della riforma del
Titolo V, Parte II, della Costituzione, non solo su un piano generale
ma anche con riguardo all'oggetto precipuo del presente giudizio,
ovvero rispetto a norme regionali che attenevano specificamente alla
individuazione delle specie cacciabili.
La stessa sentenza n. 577 del 1990 richiamata nella ordinanza di
rimessione - benche' abbia affermato che «tanto l'individuazione dei
contenuti minimi della sfera sottoposta a protezione (specie non
cacciabili) quanto l'elencazione delle possibili eccezioni (specie
cacciabili) investono "un interesse unitario proprio della comunita'
nazionale, la cui valutazione e la cui salvaguardia restano in primo
luogo affidati allo Stato ed ai poteri dell'amministrazione
centrale"» - ha poi precisato che da cio' consegue che «anche le
Regioni e le Province ad autonomia speciale sono tenute a non
oltrepassare, nell'esercizio della loro potesta' legislativa
esclusiva, la soglia minima di tutela del patrimonio faunistico
fissata dalla legge statale e dai successivi atti governativi,
potendo soltanto limitare e non ampliare il numero delle specie
cacciabili quali eccezioni al divieto generale enunciato nel primo
comma del richiamato art. 11 [della legge n. 968 del 1977]».
Anche nella sentenza n. 227 del 2003 questa Corte ha continuato a
ritenere che «[a] fronte dell'esigenza di garantire un nucleo minimo
di salvaguardia della fauna selvatica va riconosciuta alle Regioni la
facolta' di modificare l'elenco delle specie cacciabili soltanto "nel
senso di limitare e non di ampliare il numero delle eccezioni al
divieto generale di caccia" (sentenze n. 272 del 1996 e n. 1002 del
1988)».
Nella sentenza n. 233 del 2010 si e', poi, precisato che l'art.
18 della legge n. 157 del 1992 - nel contemplare appositi elenchi nei
quali sono individuate le specie cacciabili e i relativi periodi in
cui ne e' autorizzato il prelievo venatorio, nonche' i procedimenti
diretti a consentire eventuali modifiche a tali previsioni -
garantisce «standard minimi e uniformi di tutela della fauna
sull'intero territorio nazionale» e indica «il nucleo minimo di
salvaguardia della fauna selvatica il cui rispetto deve essere
assicurato sull'intero territorio nazionale».
Infine, nella piu' recente sentenza n. 139 del 2017 si e' ancora
ribadito che le norme statali volte «ad assicurare la sopravvivenza e
la riproduzione delle specie cacciabili» possono essere oggetto di
integrazione da parte della legge regionale «esclusivamente nella
direzione dell'innalzamento del livello di tutela».
In questi termini si e', pertanto, consolidato il principio
secondo cui anche la normativa regionale in tema di specie cacciabili
e' abilitata a derogare alla disciplina statale in materia di tutela
dell'ambiente e dell'ecosistema, purche', ove quest'ultima esprima
regole minime e uniformi di tutela, innalzi tale livello di
protezione.
Tanto chiarito, si deve concludere che sia l'art. 39, comma 1,
della legge reg. Piemonte n. 26 del 2015, sia l'art. 1, comma 1,
della legge reg. Piemonte n. 27 del 2016, estendendo il divieto di
caccia a specie che, sulla scorta dell'art. 18, comma 1, della legge
n. 157 del 1992, sarebbero cacciabili, non si risolvono in una
riduzione della soglia minima di tutela della fauna selvatica, ma
risultano, al contrario, piu' rigorosi rispetto alla disciplina
statale, nella direzione quindi di un legittimo incremento della
suddetta protezione minima.
6.2.4.- Queste disposizioni, pertanto, nell'esercizio della
competenza residuale in materia di caccia, hanno anche concretizzato
una coerente attuazione del principio autonomista: con esse, infatti,
un centro di vita territoriale, tramite i propri rappresentanti che
se ne sono assunti la relativa responsabilita' politica, ha delineato
un particolare modo di essere diretto a innalzare, rispetto alla
disciplina statale, il livello del valore costituzionalmente protetto
della tutela dell'ambiente e dell'ecosistema.
In tal modo, peraltro, le norme censurate hanno, di fatto, dato
seguito a una tradizione normativa che, come rilevato dalla difesa
regionale, ha costantemente caratterizzato, in tema di specie
cacciabili, la disciplina legislativa piemontese, da tempo connotata
da previsioni notevolmente piu' rigorose rispetto a quelle della
legislazione statale.
Un tale indirizzo restrittivo ha preso a manifestarsi gia' dopo
pochi anni dalla entrata in vigore della legge 27 dicembre 1977, n.
968 (Principi generali e disposizioni per la protezione e la tutela
della fauna e la disciplina della caccia), che ha segnato il
superamento dei principi in tema di caccia posti dal regio decreto 5
giugno 1939, n. 1016 (Approvazione del Testo unico delle norme per la
protezione della selvaggina o per esercizio della caccia), e che,
determinando un affievolimento del tradizionale "diritto di caccia",
ha qualificato la fauna selvatica come patrimonio indisponibile dello
Stato, per cui il divieto di prelievo venatorio e' stato elevato al
rango di nuova regola generale, ammettendosi solo delimitate e
specifiche eccezioni. A fronte, infatti, di sessantanove specie
cacciabili previste dalla normativa statale, la legge della Regione
Piemonte 17 ottobre 1979, n. 60 (Norme per la tutela della fauna e la
disciplina della caccia), ne aveva individuate, all'art. 38, solo
trentacinque, divenute poi quarantuno a seguito della legge della
Regione Piemonte 18 aprile 1985, n. 38 (Modificazioni alla legge
regionale 17 ottobre 1979, n. 60 - "Norme per la tutela della fauna e
la disciplina della caccia" e abrogazione delle leggi regionali 10
dicembre 1980, n. 80, 30 settembre 1983, n. 17 e 29 marzo 1984, n.
20), e quindi ulteriormente ridotte addirittura a sedici per effetto
della legge della Regione Piemonte 22 aprile 1988, n. 22
(Modificazioni alla legge regionale 17 ottobre 1979, n. 60 'Norme per
la tutela della fauna e la disciplina della caccia', modificata dalla
legge regionale 18 aprile 1985, n. 38).
Quando, poi, con la legge n. 157 del 1992, abrogativa della legge
n. 968 del 1977, il legislatore statale ha individuato, all'art. 18,
comma 1, sessanta specie cacciabili, la legge della Regione Piemonte
4 settembre 1996, n. 70 (Norme per la protezione della fauna
selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio), le ha ridotte a
ventinove.
Quest'ultima legge regionale e' stata, quindi, abrogata dall'art.
40, comma 1, della legge reg. Piemonte n. 5 del 2012, ma il quadro
normativo e' stato presto reintegrato dalle norme censurate, che
hanno aggiunto le lettere f-ter) e f-quater) all'art. 40, comma 4,
della legge appena menzionata, stabilendo che: «[o]ltre a quanto
previsto dalla legge 157/1992 e' vietato: [...] f-ter) abbattere,
catturare o cacciare le specie pernice bianca (Lagopus mutus),
allodola (Alauda arvensis) e lepre variabile (Lepus timidus);
f-quater) abbattere o catturare le specie fischione (Anas penelope),
canapiglia (Anas strepera), mestolone (Anas clypeata), codone (Anas
acuta), marzaiola (Anas querquedula), folaga (Fulica atra),
porciglione (Rallus aquaticus), frullino (Lymnocryptes minimum),
pavoncella (Vanellus vanellus), moretta (Aythya fuligula), moriglione
(Aythya ferina), combattente (Philomachus pugnax), merlo (Turdus
merula)».
La particolare sensibilita' della comunita' regionale piemontese
al valore costituzionale dell'ambiente e dell'ecosistema e',
peraltro, dimostrata anche dalla peculiare vicenda - ripercorsa dalle
associazioni intervenute nel giudizio a quo - di un referendum
abrogativo regionale, diretto a un'ulteriore e piu' drastica
riduzione delle specie cacciabili, che, indetto sin dal lontano 1987,
non si e' pero' mai tenuto in ragione della successione normativa
illustrata (e, segnatamente, delle modifiche e dell'abrogazione delle
norme oggetto della consultazione).
6.2.5.- Se quindi questa Corte viene chiamata a pronunciarsi su
leggi regionali che, nell'esercizio della competenza residuale,
anziche' ampliare - come sempre e' avvenuto in passato, con la
conseguente declaratoria di illegittimita' costituzionale delle
relative disposizioni (sentenze n. 227 del 2003 e n. 577 del 1990) -,
riducono il numero delle specie cacciabili, in conformita' a una
specifica tradizione attenta al mantenimento degli esistenti
equilibri ecologici, il giudizio non puo' che concludersi con la
dichiarazione di infondatezza della censura prospettata sotto il
profilo scrutinato.
6.3.- Quanto al secondo aspetto, dianzi evidenziato, della
censura in esame, va precisato che, se e' fuor di dubbio che questa
Corte ha enunciato il principio per cui il calendario venatorio deve
necessariamente essere adottato con atto amministrativo, nondimeno e'
altrettanto evidente che le norme denunciate lo hanno pianamente
rispettato: queste, infatti, non hanno approvato, ne' la prima ne' la
seconda, alcun calendario venatorio, bensi' hanno introdotto, in via
generale e astratta, un divieto di caccia per determinate specie,
prescindendo da una specifica stagione venatoria. Esse, pertanto,
hanno solo stabilito un precetto normativo suscettibile di ripetuta
applicazione nel tempo, privo del contenuto tipico del calendario
venatorio, nonche' dei relativi effetti temporanei e contingenti.
Ne e' ulteriore riprova il fatto che nella dinamica complessiva
della fattispecie qui in considerazione sono intervenute ben tre
deliberazioni della Giunta regionale di approvazione dei calendari
venatori: la delibera 11 aprile 2016, n. 21-3140, con cui la Regione
Piemonte ha approvato il calendario venatorio per la stagione
2016-2017 e che e' stata oggetto di impugnativa dinnanzi al giudice a
quo; la delibera 4 agosto 2016, n. 97-3835, con cui, come riferisce
lo stesso rimettente, la Regione ha dato ottemperanza alla pronuncia
cautelare; la delibera 9 gennaio 2017, n. 10-4551, con cui e' stato
adottato un nuovo calendario venatorio in conformita' alle
previsioni, nel frattempo intervenute, dell'art. 1, comma 1, della
legge reg. Piemonte n. 27 del 2016.
E', quindi, evidente che i calendari venatori sono stati
approvati con atti amministrativi, senza che il potere legislativo
esercitato dalla Regione sia in alcun modo ascrivibile alla
disciplina di cui all'art. 18, commi 2 e 4, della legge n. 157 del
1992, su cui, invece, si e' incentrata questa Corte con la sentenza
n. 20 del 2012 (poi confermata dalla successiva giurisprudenza: ex
plurimis, sentenze n. 90 del 2013 e n. 310 del 2012) evocata dal
rimettente.
Nel caso in esame, dunque, le norme censurate, in cio'
legittimate dalla competenza residuale in materia di caccia, hanno
avuto l'effetto, non di attrarre alla disciplina legislativa il
calendario venatorio, bensi' di innalzare, in via generale e
astratta, il livello della tutela faunistica: esse, pertanto, in
nessun modo hanno inciso in peius sugli standard minimi e uniformi di
protezione della fauna, la cui disciplina e' ascrivibile alla
potesta' legislativa esclusiva dello Stato.
Le medesime ragioni sopra esposte, infine, conducono a ritenere
privo di pregio l'argomento, addotto dal rimettente sotto il profilo
in esame, basato sull'art. 18, comma 3, della legge n. 157 del 1992,
il quale, nel secondo periodo, prevede che le variazioni all'elenco
delle specie cacciabili di cui al precedente comma 1 sono disposte,
sentito l'Istituto superiore per la protezione e la ricerca
ambientale (ISPRA), dal Presidente del Consiglio dei ministri.
Una volta riconosciuto che le norme legislative censurate hanno
determinato l'effetto di incrementare la tutela minima ascrivibile
alla potesta' legislativa statale, si deve ritenere che, in
quest'ambito di maggiore protezione faunistica, del tutto
legittimamente si sia esplicata la potesta' legislativa residuale in
materia di caccia.
D'altro canto, la legge n. 157 del 1992, se da un lato prevede,
all'art. 18, comma 3, che la variazione delle specie cacciabili possa
essere disposta anche con d.P.C.m., dall'altro prevede, sulla scorta
della interpretazione fornita da questa Corte, che soltanto
nell'adozione del calendario venatorio - e, quindi, per un'ipotesi
diversa da quella oggetto della fattispecie qui scrutinata - le
Regioni siano necessariamente vincolate alla forma dell'atto
amministrativo.
6.4.- Alla luce delle considerazioni che precedono, le questioni
sollevate in riferimento all'art. 117, secondo comma, lettera s),
Cost. debbono essere dichiarate, dunque, non fondate.
7.- L'art. 1, comma 1, della legge reg. Piemonte n. 27 del 2016
lederebbe, secondo il giudice rimettente, anche l'art. 102, primo
comma, Cost.
7.1.- Il vulnus all'evocato parametro costituzionale, e in
particolare ai principi della separazione dei poteri e della riserva
di giurisdizione, deriverebbe dalla circostanza che la norma
denunciata ha introdotto il divieto di cacciare alcune specie di
uccelli nel corso del giudizio pendente dinanzi al TAR Piemonte, dopo
che questo aveva sospeso, in sede cautelare, l'efficacia del
calendario venatorio per la stagione 2016-2017 proprio a motivo della
mancata inclusione della maggior parte di tali specie nell'elenco di
quelle cacciabili. Da cio' discenderebbe, ad avviso del giudice a quo
- che al riguardo richiama la sentenza n. 525 del 2000 -, la
conclusione che la disposizione oggetto di scrutinio si connoterebbe
quale legge-provvedimento diretta ad incidere intenzionalmente sulla
concreta fattispecie sub iudice.
7.2.- La questione sollevata in riferimento all'art. 102, primo
comma, Cost. e' inammissibile per l'insufficiente motivazione.
Il giudice a quo, infatti, si e' in sostanza limitato a
descrivere in termini del tutto sommari la successione cronologica
degli eventi, ma non ha minimamente illustrato perche' - a suo dire -
nella norma censurata sarebbe ravvisabile una legge specificamente
diretta ad alterare l'esito del giudizio in corso. Ne' il rimettente,
pur avendo richiamato la sentenza n. 525 del 2000 - nella quale la
Corte ha in realta' affrontato il tema dei presupposti di
legittimita' delle norme interpretative e della loro portata
retroattiva -, ha dato conto delle ragioni per cui la disposizione
sospettata d'incostituzionalita' dovrebbe risultare ascrivibile a
questa particolare categoria di norme, cosi' come non ha in alcun
modo motivato sul supposto effetto retroattivo della disposizione
stessa.
In realta' dal susseguirsi degli avvenimenti, senz'altro
maggiormente articolato rispetto a quanto prospettato dal TAR
Piemonte, si evince solo che l'approvazione della norma denunciata -
ma si tratta di una evenienza di mero fatto - e' intervenuta in
pendenza della controversia, alcuni mesi dopo che, in sede cautelare,
era stato censurato il mancato inserimento nel calendario venatorio
delle specie di uccelli acquatici poi disciplinate dalla norma
stessa.
Infatti, con la deliberazione n. 21-3140 del 2016, la Giunta
della Regione Piemonte ha approvato il calendario venatorio per la
stagione 2016-2017. In tale sede, per quanto rileva, da un lato, e'
stato disposto il divieto di caccia alla pernice bianca, all'allodola
e alla lepre variabile, in ossequio al disposto dell'art. 39, comma
1, della legge reg. Piemonte n. 26 del 2015; dall'altro, e' stato
omesso l'inserimento, nell'elenco delle specie cacciabili, benche'
previste come tali dall'art. 18, comma 1, della legge n. 157 del
1992, del moriglione, del merlo e di altre specie di uccelli
acquatici (successivamente indicate all'art. 1, comma 1, della legge
reg. Piemonte n. 27 del 2016).
Con ordinanza cautelare del 28 luglio 2016, il TAR ha, tra
l'altro, sospeso l'efficacia del calendario venatorio limitatamente
alle specie ingiustificatamente escluse da quelle cacciabili pur se
considerate tali dalla normativa statale e non comprese nel divieto
posto dall'art. 39 della legge reg. Piemonte n. 26 del 2015.
Dopo la pronuncia cautelare, cui la Regione ha ottemperato con
deliberazione n. 97-3835 del 2016, e' stata approvata, a distanza di
circa cinque mesi, la legge reg. Piemonte n. 27 del 2016, che ha
stabilito il divieto di caccia anche alle specie appena menzionate,
oltre che al moriglione e al merlo.
In seguito, la Giunta regionale, con deliberazione n. 10-4551 del
2017, ha adottato un nuovo calendario venatorio adeguandosi a tale
previsione normativa.
Alla luce della descritta successione degli eventi, non si
comprende, quindi, in che termini il rimettente giunga a sostenere
che la norma di cui all'art. 1, comma 1, della legge reg. Piemonte n.
27 del 2016 - efficace sul solo piano delle fonti generali e
astratte, volta a stabilire il modello normativo cui la decisione del
giudice deve riferirsi (sentenze n. 170 del 2008 e n. 432 del 1997;
ordinanza n. 263 del 2002) e priva di efficacia retroattiva, con la
conseguente inidoneita' a sanare (in parte qua) gli eventuali vizi
della delib. Giunta reg. n. 21-3140 del 2016 (e tanto meno della n.
97-3835 del 2016) impugnata dinanzi ad esso - possa essere
qualificata come legge specificamente diretta a incidere sul giudizio
amministrativo in corso, al punto di essere contestata in riferimento
all'art. 102 Cost. per avere intaccato l'esercizio del potere
giurisdizionale.
8.- Entrambe le disposizioni censurate, secondo il giudice a quo,
violerebbero, infine, l'art. 117, primo comma, Cost.
8.1.- Esse, non essendo state precedute dall'istruttoria e dal
parere dell'ISPRA, si porrebbero, infatti, in contrasto con i
principi del diritto europeo in materia di tutela dell'ambiente e,
segnatamente, «con l'obbligo di adeguata istruttoria e motivazione
che si impone, anche al legislatore regionale, nell'adozione di
misure di maggior tutela della fauna».
Tale obbligo, che sarebbe stato affermato anche dalla
giurisprudenza sovranazionale, si desumerebbe, in particolare, dal
considerando n. 32 della decisione n. 1600/2002/CE del Parlamento
europeo e del Consiglio, nonche' dagli artt. 114 e 193 del TFUE.
8.2.- Anche tale questione e' inammissibile per difetto di
adeguata motivazione sulle ragioni dell'asserito vulnus.
Il rimettente sostiene del tutto assertivamente la violazione
delle suddette norme interposte, senza, tuttavia, individuare lo
specifico contenuto precettivo delle stesse che contrasterebbe con le
disposizioni regionali sospettate d'illegittimita' costituzionale e
senza, quindi, spiegare dettagliatamente i motivi per i quali si
sarebbe determinata la lesione, con il risultato che la censura e'
formulata in modo generico ed apodittico (ex plurimis, sentenza n. 80
del 2010; ordinanza n. 344 del 2008). Egli, infatti, ritiene che non
sarebbe stata svolta un'adeguata istruttoria, omettendo, tuttavia, di
illustrare le ragioni per cui il parere dell'ISPRA sarebbe imposto
dalla normativa eurounitaria citata - che peraltro appare
prevalentemente rivolta piu' alle istituzioni comunitarie che agli
Stati membri - e, conseguentemente, omettendo, in definitiva, di
chiarire in cosa sarebbe consistita la violazione denunciata.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara non fondate le questioni di legittimita'
costituzionale dell'art. 39, comma 1, della legge della Regione
Piemonte 22 dicembre 2015, n. 26 (Disposizioni collegate alla manovra
finanziaria per l'anno 2015), e dell'art. 1, comma 1, della legge
della Regione Piemonte 27 dicembre 2016, n. 27, recante «Modifiche
alla legge regionale 4 maggio 2012, n. 5 (Legge finanziaria per
l'anno 2012)», sollevate, in riferimento all'art. 117, secondo comma,
lettera s), della Costituzione, dal Tribunale amministrativo
regionale per il Piemonte, seconda sezione, con l'ordinanza indicata
in epigrafe;
2) dichiara inammissibili le questioni di legittimita'
costituzionale del medesimo art. 39, comma 1, della legge reg.
Piemonte n. 26 del 2015 e del medesimo art. 1, comma 1, della legge
reg. Piemonte n. 27 del 2016, sollevate, in riferimento agli artt.
102, primo comma, e 117, primo comma, Cost., in relazione al
considerando n. 32 della decisione n. 1600/2002/CE del Parlamento
europeo e del Consiglio del 22 luglio 2002, che istituisce il sesto
programma comunitario di azione in materia di ambiente, e agli artt.
114 e 193 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, come
modificato dall'art. 2 del Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007 e
ratificato dalla legge 2 agosto 2008, n. 130, dal Tribunale
amministrativo regionale per il Piemonte, seconda sezione, con
l'ordinanza indicata in epigrafe.
Cosi' deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 5 dicembre 2018.
F.to:
Giorgio LATTANZI, Presidente
Luca ANTONINI, Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 17 gennaio 2019.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: Roberto MILANA
Allegato:
Ordinanza emessa all'udienza del 4 dicembre 2018
ORDINANZA
Rilevato che in tale giudizio e' intervenuta l'Associazione
nazionale libera caccia (ANLC) con sede in Roma;
che, secondo la menzionata associazione, le questioni oggetto
dell'odierno incidente di costituzionalita' sono pregiudiziali anche
ai fini della decisione di un diverso ricorso da essa proposto
dinanzi al TAR Piemonte e avente ad oggetto la delibera della Giunta
della Regione Piemonte 10 aprile 2017, n. 14-487 (recte: n. 14-4867),
con la quale e' stato approvato il calendario venatorio per la
stagione 2017/2018;
che, come riferito dalla medesima associazione, nel corso del
giudizio originato dal ricorso appena citato, il TAR Piemonte ha
emesso una ordinanza in cui ha precisato che i dedotti profili di
illegittimita' costituzionale sarebbero stati sottoposti all'esame di
questa Corte con separata ordinanza resa nell'ambito di un altro
giudizio.
Considerato che, per costante giurisprudenza di questa Corte, di
norma, «nei giudizi incidentali di legittimita' costituzionale,
l'intervento di soggetti estranei al giudizio principale e'
ammissibile, ai sensi dell'art. 4, comma 3, delle Norme integrative
per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, soltanto per i terzi
titolari di un interesse qualificato, inerente in modo diretto e
immediato al rapporto sostanziale dedotto in giudizio e non
semplicemente regolato, al pari di ogni altro, dalla norma o dalle
norme oggetto di censura (ex plurimis, sentenza n. 120 del 2018 e la
relativa ordinanza letta all'udienza del 10 aprile 2018, sentenze n.
77 del 2018 e n. 275 del 2017)» (sentenza n. 194 del 2018 e relativa
ordinanza letta all'udienza del 25 settembre 2018);
che tale orientamento e' stato piu' volte espresso da questa
Corte anche con riguardo alla richiesta di intervento da parte di
soggetti rappresentativi di interessi collettivi o di categoria (ex
plurimis, sentenza n. 194 del 2018 e la relativa ordinanza letta
all'udienza del 25 settembre 2018);
che, nel caso odierno, l'associazione interveniente e' parte non
del giudizio a quo - del quale e' invece parte l'ANLC Piemonte con
sede in Alessandria, costituita nel presente incidente di
costituzionalita' - ma di un distinto giudizio;
che, d'altra parte, «la circostanza che un soggetto sia parte in
un giudizio diverso da quello oggetto dell'ordinanza di rimessione,
sul quale la decisione della Corte costituzionale possa influire,
neppure e' sufficiente a rendere ammissibile l'intervento (ex
plurimis, sentenza n. 69 del 2017 e allegata ordinanza letta
all'udienza del 22 febbraio 2017)» (sentenza n. 120 del 2018 e
relativa ordinanza emessa all'udienza del 10 aprile 2018).
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara inammissibile l'intervento spiegato dalla Associazione
nazionale libera caccia con sede in Roma.
F.to: Giorgio Lattanzi, Presidente
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