MARTEDÌ 01 DICEMBRE 2020 12.22.42
Privacy: questura non rettifica dati, Garante sanziona Viminale =
(AGI) - Roma, 1 dic. - Una questura comunica in modo errato a vari uffici il contenuto di un provvedimento di ammonimento rivolto ad una donna ma lo corregge, nonostante la richiesta di rettifica avanzata dall'interessata, solo dopo l'apertura di un formale procedimento da parte del Garante per la privacy: l'Autorita' commina al ministero dell'Interno, in quanto titolare del trattamento, una sanzione di 50 mila euro. A renderlo noto nella sua newsletter e' la stessa Authority, spiegando che "la questura, pur sapendo della inesattezza dei dati comunicati, almeno dal giugno 2019, ossia dalla data di richiesta della rettifica della reclamante, non aveva provveduto, considerando sufficiente che fossero corrette le informazioni inserite nel Ced del Dipartimento della pubblica sicurezza". Di diverso avviso il Garante, al quale la donna si era rivolta. L'Autorita' ha affermato infatti che "la presenza dei dati corretti nel Ced del Viminale non esimeva la questura dall'obbligo di rettificare i dati erronei trasmessi ad altri soggetti, obbligo la cui violazione ha determinato una lunga permanenza di dati personali inesatti nei loro archivi. Solo nel luglio 2020, ossia ad oltre un anno dalla richiesta di rettifica e solo dopo la comunicazione dell'avvio del procedimento da parte dell'Autorita', la questura ha inviato a tutti i destinatari della prima comunicazione una nota di rettifica dei dati". L'Autorita' precisa che "la consapevolezza da parte della questura di avere comunicato ad una pluralita' di uffici dati inesatti e la decisione di non procedere subito alla loro rettifica, configura un trattamento illegittimo per violazione del diritto alla tempestiva rettifica dei dati personali errati senza giustificato motivo. Inoltre, contrariamente a quanto sostenuto dalla questura, la condotta omissiva ha leso i diritti della reclamante all'esattezza dei propri dati personali ed alla loro immediata correzione in caso di inesattezza". Il Garante, tenuto anche conto della collaborazione poi fornita dalla questura nel corso del procedimento, ha quindi applicato la sanzione minima, pari a 50 mila euro, nei confronti del Viminale quale titolare del trattamento, ordinando alla stessa amministrazione di valutare "l'opportunita' di promuovere adeguate iniziative formative nei confronti del personale, anche periferico, della Polizia di Stato, per assicurare il rispetto dei diritti degli interessati e l'immediata rettifica dei dati inesatti". (AGI)Bas 011222 DIC 20 NNNN
Questura non rettifica i dati, il Garante privacy sanziona il Ministero dell'interno
Una questura comunica in modo errato a vari uffici il contenuto di un provvedimento di ammonimento rivolto ad una donna. Ma lo corregge, nonostante la richiesta di rettifica avanzata dall'interessata, solo dopo l'apertura di un formale procedimento da parte del Garante per la privacy. E l'Autorità commina al Ministero dell'interno, in quanto titolare del trattamento, una sanzione di 50 mila euro.
La questura, pur sapendo della inesattezza dei dati comunicati, almeno dal giugno 2019, ossia dalla data di richiesta della rettifica della reclamante, non aveva provveduto, considerando sufficiente che fossero corrette le informazioni inserite nel Ced del Dipartimento della Pubblica Sicurezza.
Di diverso avviso il Garante, al quale la donna si era rivolta. L'Autorità ha affermato infatti che la presenza dei dati corretti nel Ced del Viminale non esimeva la Questura dall'obbligo di rettificare i dati erronei trasmessi ad altri soggetti, obbligo la cui violazione ha determinato una lunga permanenza di dati personali inesatti nei loro archivi. Solo nel luglio 2020, ossia ad oltre un anno dalla richiesta di rettifica e solo dopo la comunicazione dell'avvio del procedimento da parte dell'Autorità, la questura ha inviato a tutti i destinatari della prima comunicazione una nota di rettifica dei dati.
L'Autorità ha precisato che la consapevolezza da parte della questura di avere comunicato ad una pluralità di uffici dati inesatti e la decisione di non procedere subito alla loro rettifica, configura un trattamento illegittimo per violazione del diritto alla tempestiva rettifica dei dati personali errati senza giustificato motivo. Inoltre, contrariamente a quanto sostenuto dalla questura, la condotta omissiva ha leso i diritti della reclamante all'esattezza dei propri dati personali ed alla loro immediata correzione in caso di inesattezza.
L'Autorità, tenuto anche conto della collaborazione poi fornita dalla questura nel corso del procedimento, ha quindi applicato la sanzione minima, pari a 50mila euro, nei confronti del Ministero quale titolare del trattamento, ordinando alla stessa amministrazione di valutare l'opportunità di promuovere adeguate iniziative formative nei confronti del personale, anche periferico, della Polizia di Stato, per assicurare il rispetto dei diritti degli interessati e l'immediata rettifica dei dati inesatti.
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Diritto all'oblio, Garante: sì per chi è risultato estraneo a vicende giudiziarie
Una persona ha diritto a veder deindicizzati dai motori di ricerca gli articoli che riportano vicende giudiziarie risalenti nel tempo alle quali è poi risultata estranea.
Il principio è stato affermato dal Garante per la privacy che ha dichiarato fondati i reclami presentati da due persone ed ha ordinato a Google di rimuovere gli url agli articoli reperibili facendo una ricerca online con i loro nominativi. Nel primo caso, il nominativo compariva in alcuni articoli di stampa che riferivano di un collegamento tra la società, nella quale la persona prestava la propria attività, e un'altra azienda direttamente coinvolta in un'inchiesta giudiziaria. Nel secondo caso, il nominativo era riportato in articoli riguardanti una vicenda giudiziaria in cui erano coinvolte altre persone. In entrambi gli episodi i reclamanti, che non erano mai stati sottoposti a provvedimenti giudiziari - come confermato dai certificati penali - si erano rivolti al Garante lamentando il pregiudizio personale e professionale derivante dalla permanenza in rete degli articoli e chiedendo la rimozione degli url.
Respingendo le tesi di Google che aveva ritenuto non vi fossero i presupposti per l'esercizio del diritto all'oblio, l'Autorità ha affermato invece che la perdurante reperibilità in rete degli articoli associati ai nominativi dei reclamanti crea un impatto sproporzionato sui loro diritti, non bilanciato da un interesse pubblico a conoscere notizie che non hanno avuto alcun seguito giudiziario a loro carico. Il Garante ha quindi ordinato a Google la rimozione degli url ed ha disposto l'annotazione nel registro interno dell'Autorità, previsto dal Regolamento Ue, della misura adottate nei confronti del motore di ricerca.
Link
https://www.garanteprivacy.it/web/guest/home/docweb/-/docweb-display/docweb/9494215
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