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giovedì 2 giugno 2011

Cassazione "...Malattia professionale e danno biologico ..."

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BATTIMIELLO Bruno - Presidente

Dott. LA TERZA Maura - Consigliere

Dott. TOFFOLI Saverio - Consigliere

Dott. IANNIELLO Antonio - rel. Consigliere

Dott. ZAPPIA Pietro - Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA


sul ricorso proposto da:

INAIL - ISTITUTO NAZIONALE PER L'ASSICURAZIONE CONTRO GLI INFORTUNI SUL LAVORO (OMESSO) in persona del Dirigente con incarico di livello generale - Direttore della Direzione Centrale Prestazioni, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA IV NOVEMBRE 144, rappresentato e difeso dagli avvocati LA PECCERELLA LUIGI, FAVATA EMILIA, giusta procura speciale in calce al ricorso;

- ricorrente -

contro

---

- intimato -

avverso la sentenza n. 2616/2009 della CORTE D'APPELLO di LECCE del 9.12.09, depositata il 29/12/2009;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 07/04/2011 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONIO IANNIELLO;

è presente il Procuratore Generale in persona del Dott. FINOCCHI GHERSI Renato.


FattoDiritto


La causa è stata chiamata alla adunanza in camera di consiglio del 7 aprile 2011 ai sensi dell'articolo 375 c.p.c. sulla base della seguente relazione redatta a norma dell'articolo 380 c.p.c.:

"Con ricorso notificato in data 20 aprile - 3 maggio 2010, l'INAIL chiede con un unico motivo, relativo alla violazione del Decreto Legislativo n. 38 del 2000, articolo 13 e del Decreto del Presidente della Repubblica n. 1124 del 1965, articolo 74 la cassazione della sentenza depositata il 29 dicembre 2009 e notificata il 5 marzo 2010, con la quale la Corte d'appello di Lecce, riformando la sentenza di primo grado, l'aveva condannato a liquidare a D. B. S. C. l'indennizzo in capitale corrispondente a un danno biologico nella misura dell'8% conseguente ad una malattia professionale denunciata come manifestata in data 2 maggio 1991, con aggravamento denunciato il 30 dicembre 2002.


L'intimato non si è costituito in questa sede.


Il procedimento è regolato dall'articolo 360 c.p.c. e segg. con le modifiche e integrazioni successive, in particolare di quelle apportate dalla Legge 18 giugno 2009, n. 69.

Il ricorso è manifestamente fondato e va pertanto trattato in camera di consiglio per essere accolto.

Come ricordato anche dalla difesa dell'INAIL, il Decreto Legislativo 23 febbraio 2000, n. 38, articolo 13 introduce un nuovo sistema di liquidazione del danno conseguente agli infortuni sul lavoro e alle malattie professionali, prevedendo per la prima volta la liquidazione del danno biologico (pertanto indipendentemente da una riduzione della capacità di produzione di un reddito da parte del lavoratore colpito) - in capitale, in caso di menomazioni di grado pari a 6% e inferiore a 16% e mediante una rendita, per le menomazioni di grado superiore -, aggiungendo in quest'ultimo caso una ulteriore quota di rendita per le conseguenze patrimoniali, commisurata al grado di menomazione, alla retribuzione dell'assicurato e sulla base di una apposita nuova tabella dei coefficienti.

In precedenza, la disciplina relativa alla materia degli infortuni sul lavoro e sulle malattie professionali, stabilita dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 1124 del 1965, prevedeva viceversa un indennizzo dei postumi permanenti rappresentati da una riduzione della capacità lavorativa del dipendente oltre la soglia del 10%, secondo quanto stabilito dall'articolo 74 del decreto presidenziale citato, superata anche solo in caso di aggravamento successivo dipendente dal medesimo infortunio o malattia professionale (Decreto del Presidente della Repubblica n. 1124 del 1965, articolo 83, comma 8).

Tale diversità di disciplina giustifica la disposizione della Legge n. 38 del 2000, articolo 13 secondo la quale il nuovo sistema è applicabile unicamente per "i danni conseguenti ad infortuni sul lavoro e a malattie professionali verificatisi o denunciati a decorrere dalla data di entrata in vigore del decreto ministeriale di cui al comma 5", (poi emanato il 12 luglio 2000), laddove la locuzione "verificatisi o denunciati" si riferisce chiaramente agli infortuni e alle malattie professionali, che sono oggetto della denuncia di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 1124 del 1965, articoli 52 e 53 e non i danni che superino la soglia indicata dalla legge, accettabili unicamente a posteriori anche quanto alla decorrenza degli stessi (diversamente, del resto, ne deriverebbe l'impossibilità di stabilire a priori i criteri con cui operare la valutazione in un caso, come quello
in esame, di aggravamento successivo dei danni da malattia professionale insorta o denunciata prima della nuova disciplina).

Poichè nel caso in esame la malattia professionale, del cui aggravamento si trattava, era stata originariamente denunciata (e quindi si era verificata e manifestata: arg. Decreto del Presidente della Repubblica n. 1124 del 1965, articolo 135) in data 2 maggio 1991, i relativi postumi permanenti andavano valutati in termini di incidenza sulla attitudine al lavoro (ed in tale ottica erano stati considerati dall'originaria domanda del D. B. e dal successivo atto di appello) e avrebbero potuto dar luogo ad una rendita per inabilità permanente solo in caso di riduzione di tale attitudine in misura superiore al 10%.

La Corte territoriale non si è attenuta a tale regola, attribuendo all'assicurato un indennizzo in capitale in relazione ad un danno biologico valutato nella misura dell'8%, senza peraltro tener conto neppure del fatto che il C.T.U. aveva indicato tale misura come percentuale di riduzione della capacità lavorativa, calcolata con criteri legali tutt'affatto diversi da quelli riferibili al danno biologico".

Sono seguite le rituali comunicazione e notifica della suddetta relazione, unitamente al decreto di fissazione della presente udienza in camera di consiglio.

Il Collegio condivide il contenuto della relazione, valutando conseguentemente il ricorso manifestamente fondato, con la conseguente cassazione della sentenza impugnata.

Rilevando che quest'ultima non è stata impugnata dal D. B. , in ipotesi, per lamentare la sua mancata corrispondenza rispetto alla domanda e ribadire la propria tesi di una riduzione della propria capacità lavorativa superiore al 10%, in conseguenza della malattia professionale denunciata, la causa, non richiedendo ulteriori accertamenti in fatto, può essere decisa nel merito, col rigetto della domanda di questi.

Le ragioni illustrate a sostegno dell'accoglimento del ricorso e quanto indicato relativamente allo svolgimento del processo inducono questa Corte a compensare integralmente tra le parti le spese dell'intero processo.


P.Q.M.


LA CORTE

accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e decidendo nel merito, rigetta la domanda del #################### ; compensa integralmente tra le parti le spese dell'intero processo.

1861 - 2011



TAR "...Sulla natura cogente ed inderogabile della disciplina in materia di sicurezza sul lavoro...."

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Prima)
ha pronunciato la presente

SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2064 del 2010, proposto da:
#################### #################### S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, in proprio e nella qualità di mandataria del costituendo raggruppamento con #################### S.r.l. e ####################. Società #################### Interventi S.r.l., rappresentata e difesa dall'avv. --con domicilio eletto presso la Segreteria del T.A.R.

contro
Comune di Campione d'Italia, in persona del Sindaco in carica, rappresentato e difeso dall'avv. -- presso il cui studio è elettivamente domiciliato in Milano, -

nei confronti di
#################### Macchine S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, in proprio e in qualità di capogruppo mandataria del costituendo raggruppamento con Florivivaista #################### ####################, rappresentata e difesa dall'avv. --
Florivivaista #################### #################### e #################### Antonio S.r.l., non costituiti in giudizio

per l'annullamento
- del processo verbale delle operazioni di gara in data 21 agosto 2010, con cui è stata approvata la graduatoria finale della procedura ad evidenza pubblica per l'affidamento del servizio di manutenzione programmata del verde pubblico comunale, triennio 2010 - 2012 e, conseguentemente, classificati utilmente in graduatoria tutti i concorrenti ancorché avessero presentato un'offerta p#################### dell'indicazione specifica dei costi relativi alla sicurezza, ossia in violazione del combinato disposto degli artt. 86, comma 3bis, 87, comma 4, del D.Lgs. 163/2006 e 26, comma 6, del D.Lgs. 81/2008;
- dei restanti processi verbali delle operazioni di gara;
- di ogni altro provvedimento o atto amministrativo, comunque risalente all'amministrazione aggiudicatrice, connesso od attuativo.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Campione d'Italia e di #################### Macchine S.r.l.;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Visti gli artt. 74 e 120, comma 10, cod. proc. amm.;
Visto il dispositivo n. 1029/2011;
Relatore la dott.ssa Laura Marzano;
Uditi, nell'udienza pubblica del giorno 20 aprile 2011, i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO
1. Il Comune di Campione d’Italia ha indetto una procedura aperta per l’affidamento del servizio di manutenzione programmata del verde pubblico comunale per il triennio 2010 - 2012, da aggiudicarsi con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa.
La gara è stata aggiudicata in favore dell’ATI #################### Macchine/Florovivaistica #################### ####################, seguita in graduatoria dalla Ditta #################### e, al terzo posto, dall’ATI #################### ####################/####################/####################.
Quest’ultima ha proposto il ricorso in epigrafe, con cui ha impugnato l’aggiudicazione ed i verbali di gara, deducendo un unico articolato motivo ossia la violazione degli artt. 84, comma 4, del D.lgs. 163/2006 e dell’art. 26, comma 6, del D.lgs. 81/2008, censurando, in particolare, la mancata esclusione di entrambi i concorrenti che la precedono in graduatoria, non avendo nessuno dei due indicato nella propria offerta i costi della sicurezza.
Ha resistito al ricorso il Comune di Campione d’Italia, eccependone l’inammissibilità per mancata impugnazione dell’art. 9 del capitolato speciale laddove è previsto che il piano per la sicurezza sarebbe stato redatto dopo la presentazione dell’offerta e prima della stipula del contratto.
Si è costituita anche la controinteressata.
Nella camera di consiglio del 13 ottobre 2010 è stata disposta la fissazione del merito ai sensi degli artt. 119, comma 3 e 120, comma 6 del c.p.a.
In vista della discussione sono state depositati ulteriori documenti e memorie e, all’udienza pubblica del 20 aprile 2011, sentite le parti, la causa è passata in decisione.
2. Preliminarmente il Collegio osserva come non siano contestati i fatti di causa, ovvero la mancata indicazione dei costi relativi alla sicurezza nelle offerte presentate dai primi due concorrenti in graduatoria, ma sia controverso il punto di diritto concernente gli effetti della mancata indicazione nell’offerta dei costi relativi alla sicurezza, ossia se tale omissione comporti di per sé l’esclusione dalla gara, ancorché tale conseguenza non sia stata espressamente prevista dalla lex specialis.
Invero, nel caso in esame la disciplina di gara tace sui costi per la sicurezza, limitandosi il bando ad indicare la base d’asta espressa in franchi svizzeri e il capitolato d’appalto a stabilire che l’impresa aggiudicataria, prima della stipula del contratto, dovrà redigere il piano per la sicurezza che dovrà essere approvato dall’ente appaltante, nonché predisporre – se ed in quanto previsto dalla vigente normativa – il DUVRI da allegare al contratto unitamente al piano per la sicurezza (art. 9).
2.1. Sul punto si contrappongono due tesi: quella della ricorrente secondo cui la norma contenuta nell’art. 87, comma 4 del codice dei contratti avrebbe forza cogente e dovrebbe essere rispettata anche qualora la relativa prescrizione non sia espressamente contenuta nel bando; quella del Comune resistente per cui la stazione appaltante sarebbe vincolata esclusivamente dalla lex specialis con la conseguenza che la mancata impugnazione dell’art. 9 del capitolato speciale – che non prevede l’obbligo di indicare nell’offerta i costi per la sicurezza, imponendo la presentazione del piano della sicurezza solo prima della stipula del contratto – renderebbe il ricorso inammissibile.
Nello stesso solco si colloca la tesi della controinteressata #################### Macchine S.r.l., la quale aggiunge che l’esclusione delle concorrenti che non hanno indicato i costi per la sicurezza non potrebbe essere disposta in mancanza di espressa previsione in tal senso della lex specialis la quale, peraltro, non prevedeva neanche lo svolgimento della verifica di anomalia dell’offerta.
3. Il Collegio ritiene condivisibile la tesi di parte ricorrente.
Esaminando la disciplina di gara si rileva che, dopo la dichiarazione di carattere generale per cui l’appalto è disciplinato dalle norme del codice civile, dalla vigente normativa, ivi compresa quella comunitaria, relativa ai servizi richiesti e dalle pattuizioni contenute nel capitolato speciale (art. 4 del c.s.a.) precisa che “i concorrenti devono dichiarare, all’atto della presentazione dell’offerta, che nella formulazione della stessa hanno tenuto conto degli obblighi connessi alle disposizioni in materia di sicurezza e protezione dei lavoratori, nonché delle condizioni di lavoro, così come previsto dal comma 2 del D.Lgs. 626/94 e successive integrazioni e modificazioni” (art. 28 u.c. del c.s.a.).
Il richiamo a tale ultimo decreto legislativo deve intendersi riferito al D.Lgs. 9 aprile 2008 n. 81, che lo ha sostituito, abrogandolo.
L’art. 26 del decreto da ultimo richiamato, sotto la rubrica “Obblighi connessi ai contratti d'appalto o d'opera o di somministrazione”, al comma 6 recita: “Nella predisposizione delle gare di appalto e nella valutazione dell'anomalia delle offerte nelle procedure di affidamento di appalti di lavori pubblici, di servizi e di forniture, gli enti aggiudicatori sono tenuti a valutare che il valore economico sia adeguato e sufficiente rispetto al costo del lavoro e al costo relativo alla sicurezza, il quale deve essere specificamente indicato e risultare congruo rispetto all'entità e alle caratteristiche dei lavori, dei servizi o delle forniture…”.
La riportata disposizione è di tenore identico a quello del comma 3bis dell’art. 86 del codice dei contratti il quale prevede, altresì, all’art. 87, nell’ultima parte del comma 4, che “nella valutazione dell'anomalia la stazione appaltante tiene conto dei costi relativi alla sicurezza, che devono essere specificamente indicati nell'offerta e risultare congrui rispetto all'entità e alle caratteristiche dei servizi o delle forniture”.
3.1. Dal quadro normativo fin qui delineato è possibile ricavare che la disciplina in materia di sicurezza sul lavoro deve considerasi di natura cogente e inderogabile: infatti, negli ultimi anni, il legislatore è più volte intervenuto nella materia (da ultimo con la legge n. 123/2007 e il D.Lgs. n. 6/2007), restringendo progressivamente i margini di discrezionalità e di autonomia delle stazioni appaltanti e degli appaltatori in modo da creare una disciplina finalizzata a tutelare il più possibile l'incolumità dei lavoratori.
Come già affermato dalla Sezione (T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. I, 24 novembre 2009, n. 5136), con argomentazioni che il Collegio condivide in toto, l'esplicitazione, da parte del concorrente, degli oneri di sicurezza risponde alla finalità di consentire alla stazione appaltante di verificarne la congruità e l'attendibilità, tenuto conto dell'interesse pubblico a garantire la sicurezza dell'esecuzione dell'appalto.
Conseguentemente, la quantificazione degli oneri in questione deve essere chiara e non può esser né incerta né indeterminata, né può tradursi nell'inclusione dei relativi costi in una voce ampia e generica come quella delle spese generali, senza alcuna ulteriore specificazione.
Diversamente la ratio legis verrebbe vanificata atteso che, mancando l'indicazione dei costi, la stazione appaltante non avrebbe la possibilità di verificarne l'attendibilità e la serietà.
Questa è la ragione per la quale il comma 4 dell'art. 87 del D.Lgs. n. 163 ha imposto ai concorrenti una specifica indicazione degli oneri in questione: la norma ha voluto chiaramente separare l'indicazione del corrispettivo per l'esecuzione della prestazione dai costi per garantirne la sicurezza.
A questo primario interesse pubblico vanno, invero, ricondotte le regole dettate dapprima dalla legge n. 327/2000 e poi dal D.Lgs. n. 163/2006, che hanno sostanzialmente equiparato gli appalti di servizi e di forniture a quelli di lavori pubblici ai fini della tutela della sicurezza dei lavoratori (sul punto cfr. TAR Liguria, Sez. II, 13 novembre 2008, n. 1974).
In proposito è stato affermato (TAR Sardegna, Cagliari, sez. I, 26 giugno 2009, n. 1047), che dalla disposizione contenuta nell’art. 87, comma 4 del codice dei contratti discendono due corollari: il primo è che i concorrenti che intendano partecipare alle procedure di gara devono indicare espressamente, nell'offerta economica, quali siano gli oneri economici che ritengono di dover sopportare al fine di adempiere esattamente agli obblighi di sicurezza sul lavoro; il secondo è che l'amministrazione appaltante è tenuta a valutare la congruità dell'importo destinato ai costi per la sicurezza.
3.2. E’ stato anche rilevato che, sebbene si possa dubitare dell'automaticità dell'esclusione di offerte così formulate, in assenza di una espressa sanzione in tal senso nel bando di gara, tuttavia debba essere considerata la peculiare natura delle norme in materia di sicurezza del lavoro, finalizzate a garantire l'intangibilità dei diritti fondamentali della persona del lavoratore, quali quelli alla vita e alla salute, come emerge dalla ampia produzione legislativa degli ultimi anni.
Il conseguimento di tali fini rappresenta, quindi, un obiettivo essenziale del sistema normativo in materia, che è altresì avvalorato da sicuri riferimenti costituzionali (artt. 2, 3, 32 e 38 della Costituzione).
In particolare, la disciplina della previsione e della valutazione degli oneri di sicurezza nella fase di affidamento dei contratti pubblici esprime l'esigenza che il rispetto della normativa sulla sicurezza del lavoro sia assicurato anche quando la promozione di tale valore essenziale si ponga in contrasto con alcuni dei principi che governano il procedimento di affidamento dei contratti pubblici.
Sotto questo profilo si giustifica, quindi, l’integrazione automatica delle norme del bando di gara (secondo il meccanismo previsto dagli articoli 1374 e 1339 del cod. civ., come ha precisato, per altra ipotesi, Cons. Stato Sez. V, 18 novembre 2004, n. 7555), se queste non prevedano espressamente quanto obbligatoriamente disposto dalle norme dell'ordinamento.
Tale ricostruzione ermeneutica è stata, altresì, recentemente confermata dal Consiglio di Stato (Sez. V, 23 luglio 2010, n. 4849) il quale ha affermato che la circostanza che solo nei bandi di gara relativi agli appalti di lavori, ai sensi dell'art. 131 del codice dei contratti pubblici, debbano essere evidenziati gli oneri di sicurezza non soggetti a ribasso, fa sì che nelle altre procedure di gara, in assenza della preventiva fissazione del costo per la sicurezza da parte dell'amministrazione aggiudicatrice quale specifica componente del costo del lavoro, sia necessario che il relativo importo venga scorporato dalle offerte dei singoli concorrenti e sottoposto a verifica per valutare se sia congruo rispetto alle esigenze di tutela dei lavoratori.
La mancanza di una specifica previsione sugli oneri per la sicurezza in seno alla lex specialis non toglie, quindi, che la norma primaria, immediatamente precettiva ed idonea ad eterointegrare le regole procedurali, imponga agli offerenti di indicare separatamente i costi per la sicurezza per le esposte ragioni.
Secondo la richiamata decisione, nonostante la mancanza di una comminatoria espressa nella disciplina speciale di gara, l'inosservanza della prescrizione primaria che impone l' indicazione preventiva dei costi di sicurezza implica la sanzione dell'esclusione, in quanto rende l'offerta incompleta sotto un profilo particolarmente rilevante alla luce della natura costituzionalmente sensibile degli interessi protetti ed impedisce alla stazione appaltante un adeguato controllo sull'affidabilità dell'offerta stessa (cfr. da ultimo: Cons. Stato, Sez. V, 21 gennaio 2011, n. 17; T.A.R. Lombardia, Brescia, Sez. II, 12 gennaio 2011, n. 26; T.A.R. Campania Napoli, Sez. I, 18 marzo 2011, n. 1497).
3.3. Infine va rilevato come sia inconferente il richiamo alla determinazione dell'Autorità per la Vigilanza sui Contratti Pubblici del 5 marzo 2008, n. 3 (relativa alla "Sicurezza nell'esecuzione degli appalti relativi a servizi e forniture"), effettuato dalla controinteressata.
Secondo l'opinione dell'Autorità per la Vigilanza vi sono appalti di servizi, in cui possono verificarsi rischi da "interferenze”, per i quali è necessaria, da parte della stazione appaltante, la preventiva redazione del Documento Unico di Valutazione dei Rischi (DUVRI) e la conseguente indicazione, nel bando, degli oneri per la sicurezza non ribassabili e altri in cui non può essere postulato alcun onere in tal senso in capo alla stazione appaltante.
Tuttavia la stessa Autorità ha chiarito, ribadendolo da ultimo nella determinazione n. 10 del 25 febbraio 2010, che i concorrenti sono tenuti a indicare in ogni caso, nella propria offerta, i costi per la sicurezza dei quali deve essere dimostrata la congruità.
In definitiva l’omessa indicazione dei costi per la sicurezza non rappresenta un’omissione meramente formale, in quanto essi oltre che essere posti a presidio della tutela della salute dei lavoratori acquistano rilevanza decisiva anche in punto di tutela della concorrenza non ultimo al fine di scongiurare il pericolo di un possibile dumping sociale.
Quanto precede destituisce di fondamento l’eccezione di inammissibilità del ricorso, sollevata dall’Amministrazione resistente, asseritamente de####################nte dalla mancata impugnazione della lex specialis nella parte in cui non prevede esplicitamente l’obbligo di indicare i costi per la sicurezza, essendo detta lacuna, quand’anche apprezzabile come tale in relazione al tipo di appalto, colmata mediante eterointegrazione ex lege.
3.4. Applicando le suindicate coordinate ermeneutiche alla fattispecie all’esame del Collegio si deve concludere per la inadeguatezza delle offerte presentate da tutte le concorrenti, eccettuata quella della ricorrente, nelle quali è mancata l’indicazione dei costi per la sicurezza, e per la obbligatorietà della esclusione delle stesse dalla gara per cui è causa.
Né varrebbe obiettare che la ricorrente non ha mosso censure relative all’incongruità dell’offerta dell’aggiudicataria, atteso che una contestazione di tal genere postulerebbe la conoscenza dei costi per la sicurezza che, nel caso di specie, è appunto mancata.
4. Per quanto precede il ricorso deve essere accolto e, per l’effetto, devono essere annullati l’aggiudicazione e gli atti di gara nella parte in cui non escludono e, quindi, ammettono alla prosecuzione della competizione i concorrenti utilmente collocati in graduatoria che hanno presentato offerte prive dell’indicazione dei costi per la sicurezza.
Alla statuizione che precede consegue l’obbligo per il Comune di Campione d’Italia di aggiudicare l’appalto all’unica concorrente rimasta in gara, ossia al costituendo raggruppamento tra #################### #################### S.r.l., #################### S.r.l. e ####################. Società #################### Interventi S.r.l., previa verifica della sussistenza di tutte le condizioni di legge, stipulando con essa il relativo contratto.
5. Le spese, liquidate in complessivi € 6.000,00 (seimila), oltre rimborso forfetario delle spese generali nella misura del 12,50% e del contributo unificato, nonché di oneri previdenziali e fiscali come per legge, secondo il principio della soccombenza sono poste a carico del Comune di Campione d’Italia e di #################### Macchine S.r.l. che dovranno rifonderle alla ricorrente in solido tra loro.

P.Q.M.
il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia, Milano, Sezione I, definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, lo accoglie nei termini e per gli effetti di cui in motivazione.
Spese a carico come da motivazione.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Milano nella camera di consiglio del giorno 20 aprile 2011 con l'intervento dei magistrati:
Francesco Mariuzzo, Presidente
Mauro Gatti, Referendario
Laura Marzano, Referendario, Estensore

L'ESTENSORE  IL PRESIDENTE
   
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 09/05/2011

Nuova Direttiva Macchine: la guida dell'Unione Europea ora disponibile in italiano

Nuova Direttiva Macchine: la guida dell'Unione Europea ora disponibile in italiano

Pubblicata oltre tre anni fa, la nuova Direttiva macchine CE 2006/42/CE è in vigore dal 29.12.2009 e funge da base giuridica per la prima messa in circolazione delle macchine sul mercato interno europeo.


Pubblicata oltre tre anni fa, la nuova Direttiva macchine CE 2006/42/CE è in vigore dal 29.12.2009 e funge da base giuridica per la prima messa in circolazione delle macchine sul mercato interno europeo.
Come per il precedente documento 98/37/CE, anche per la nuova direttiva la Commissione Europea propone una guida tesa a garantirne un’interpretazione e un’applicazione unitarie e a fornire delucidazioni su concetti e requisiti in essa trattati.
La guida si rivolge a chiunque debba applicare la Direttiva macchine CE: costruttori, importatori e commercianti, ma anche enti notificati, collaboratori di gruppi di normazione, esperti di prevenzione sul lavoro e tutela dei consumatori, autorità di sorveglianza.

La parte più estesa della guida è quella dedicata alle delucidazioni circa i requisiti essenziali di sicurezza e salute (allegato I) che le macchine devono soddisfare. Questi sono oggetto di un'approfondita trattazione (190 pagine) in cui vengono affrontati con particolare attenzione aspetti quali sistemi di comando e pericoli dovuti a macchine mobili e operazioni di sollevamento. Ai requisiti in materia di progettazione ergonomica delle macchine – che nella nuova direttiva sono formulati in modo più dettagliato – è inoltre dedicato maggior spazio.

Diversamente da quanto avvenuto per la vecchia guida, del nuovo documento non verrà pubblicato alcun volume cartaceo. È invece previsto il suo regolare aggiornamento.

fonte: Commissione UE per l'Impresa e l'Industria, Kan.de
12 luglio 2010, aggiornamento 9 maggio 2011

Le linee guida

fonte:sicurweb

Consiglio di Stato "...La  sentenza in epigrafe ha accolto il ricorso del Luogotenente ####################, addetto al NAS di ####################o, promosso da quest'ultimo per l'annullamento del suo trasferimento d'autorità, con movimentazione immediata, al #################### Battaglione Carabinieri #################### con impiego nella Compagnia Comando Servizi, quale "comandate di squadra"...."

FORZE ARMATE
Cons. Stato Sez. IV, Sent., 04-05-2011, n. 2686
Fatto - Diritto P.Q.M.
Svolgimento del processo - Motivi della decisione
La  sentenza in epigrafe ha accolto il ricorso del Luogotenente ####################, addetto al NAS di ####################o, promosso da quest'ultimo per l'annullamento del suo trasferimento d'autorità, con movimentazione immediata, al #################### Battaglione Carabinieri #################### con impiego nella Compagnia Comando Servizi, quale "comandate di squadra".
L'Amministrazione ha chiesto la riforma della sentenza impugnata contestandone il presupposto che ha fondato l'accoglimento
Parte appellata si è costituita in giudizio per resistere, controdeducendo analiticamente agli argomenti di parte appellante.
Chiamata la causa alla camera di consiglio del 12  aprile 2011, il collegio, a norma dell'art.60 c.p.a. ha comunicato alle  parti che il giudizio poteva essere definito con decisione in forma semplificata.
Le parti nulla dichiarato, il ricorso è stato quindi trattenuto per la decisione decisione.
L'appello è fondato.
Il Collegio in tale prospettiva, osservato che nella presente causa si discute della legittimità di un trasferimento per incompatibilità ambientale;
che in ordine ai trasferimenti di tale natura l'orientamento più volte espresso da questo Consesso, dal quale non vi sono ragioni per dissentire, è nel senso che "Il trasferimento per incompatibilità ambientale non postula necessariamente un diretto rapporto di imputabilità di specifici fatti e comportamenti addebitabili  al dipendente, essendo sufficiente a tal fine l'oggettiva sussistenza di una situazione che impedisca il sereno svolgimento dell'attività nella sede di appartenenza e che sia, da un lato, riferibile alla presenza in loco del dipendente in questione e, dall'altro, suscettibile  di rimozione attraverso l'assegnazione del medesimo ad altra sede" (Consiglio Stato, sez. I, 20 ottobre 2010, n. 266);.
che in tal guisa, non colgono nel segno, nella fattispecie, le controdeduzioni di parte appellante volte ad evidenziare  che gli "esposti anonimi" che lo hanno riguardato sono stati tutti archiviati;
che l'Amministrazione non ignara di ciò, ha tuttavia ritenuto (v.proposta di trasferimento prot.nr.####################/32- 2 del 4 giugno 2010), con valutazione che non appare né arbitraria né irrazionale, che la presenza del "Luogotenente" nella sede attuale " -potrebbe incrinare il rapporto di fiducia tra l'A.G. ed il NAS considerato il numero degli esposti prevenuti alla Procura della Repubblica di ####################o";
che per effetto del contestato trasferimento non si verifica, contrariamente a quanto ritenuto da parte appellata, alcun "declassamento" non essendovi all'interno dell'Arma un mansionario che l'ufficiale possa invocare per sostenere la maggiore importanza dell'incarico rivestito.
Consegue che l'appello deve essere accolto con conseguente riforma della sentenza impugnata.
Ricorrono giusti motivi per compensare le spese di entrambi i gradi di giudizioP.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e,per l'effetto, in riforma della sentenza impugnata, respinge il ricorso di primo grado.
Spese del doppio grado compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

TAR "...Con nota dell' Ufficio Personale n°####################/421 di prot.llo del 25.6.2007, notificata l'8.7.2008, il Comando Regione Carabinieri #################### ha disposto che lo stipendio e gli altri assegni di carattere fisso erogati al sig. ####################, infermiere professionale in servizio permanente effettivo presso l'Infermeria Presidiaria del suddetto Comando, a partire dal 9 Agosto 2008, sarebbero ridotti della metà, ove il medesimo militare fosse rimasto in licenza straordinaria di convalescenza per infermità non dipendente da causa di servizio...."

FORZE ARMATE
T.A.R. #################### Napoli Sez. VI, Sent., 27-04-2011, n. 2367
Fatto Diritto P.Q.M.
Svolgimento del processo
Con nota dell' Ufficio Personale n°####################/421 di prot.llo del 25.6.2007, notificata l'8.7.2008, il Comando Regione Carabinieri #################### ha disposto che lo stipendio e gli altri assegni di carattere fisso erogati al sig. ####################, infermiere professionale in servizio permanente effettivo presso l'Infermeria Presidiaria del suddetto Comando, a partire dal 9 Agosto 2008, sarebbero ridotti della metà, ove il medesimo militare fosse rimasto in licenza straordinaria di convalescenza per infermità non dipendente da causa di servizio.
Il suddetto provvedimento risulta spedito in attuazione del disposto di cui all'art. 26 della legge n°187/76, che prevede l'applicazione della riduzione in argomento nell'ipotesi di superamento del dodicesimo mese (gg. 365) di assenza per infermità non dipendente dal servizio.
Avverso il suddetto provvedimento, il ricorrente ha proposto impugnazione, chiedendo, altresì, il riconoscimento della dipendenza da causa di servizio delle infermità contratte, con conseguente concessione dell'equo indennizzo, e la condanna dell'Amministrazione intimata al risarcimento dei danni.
A sostegno della spiegata azione riferisce di essere stato inviato, nel mese di aprile 2001 e fino al mese di agosto dello stesso anno, in Bosnia - Erzegovina, a supporto dei contingenti militari e Nato e che, nell'esercizio delle mansioni assegnategli, sarebbe venuto a contatto con apparecchiature emittenti radiazioni ionizzanti provenienti da uranio impoverito, che gli avrebbero provocato  le patologie di seguito indicate.
Queste le tappe che - secondo la ricostruzione offerta in ricorso - hanno scandito l'emersione dello stato morboso denunciato.
In data 24.5.2007 il ricorrente accusava un forte  dolore all'addome e, a seguito di visita medica, gli veniva prescritto un farmaco antiepilettico ("Lyrica").
La persistenza del dolore lo induceva a sottoporsi (il 19.6.2007) ad accertamenti diagnostici, all'esito dei quali veniva evidenziata una formazione espansiva ipointensa del diametro di circa 8 cm.
Nel corso del successivo ricovero (del 16.7.2007)  presso l'Azienda Universitaria Policlinico, gli veniva diagnosticato un  fegato di dimensioni aumentate e densità disomogenea proprio a causa della suddetta neoformazione, nel frattempo divenuta di circa 9,5 cm.
Sempre di sua iniziativa, il ricorrente si sottoponeva ad intervento chirurgico presso l'ospedale Cardarelli di Napoli "...per segmentectomia del VII sconfinante all'VIII..".
In data 19.2.2008 il ricorrente avanzava istanza per il riconoscimento della dipendenza da causa di servizio della descritta infermità e di concessione dell'equo indennizzo.
In data 22.4.2008 il fascicolo veniva trasmesso alla C.M.O., che però, ancora alla data di presentazione del ricorso, non avrebbe invitato il ricorrente per gli esami clinici.
Nel frattempo, ed a cagione di tutto quanto finora evidenziato, il sig. M. sviluppava una sindrome depressiva reattiva post traumatica, per la quale sarebbe tuttora bisognoso di cure  terapeutiche.
Nel costrutto giuridico di parte ricorrente, lo stato morboso denunciato risulterebbe eziologicamente collegato alle attività di istituto svolte.
Segnatamente, la grave malattia contratta deriverebbe dall'effetto combinato dell'esposizione alle radiazioni ionizzanti e polveri provenienti dall'esplosione di dardi arricchiti da uranio impoverito con la quasi totale assenza dei pur prescritti cicli vaccinali - esami ematochimici (essendo stati questi ultimi somministrati in modo irregolare).
L'Amministrazione non avrebbe, infatti, sottoposto il sig. M. ad alcuna forma di controllo medico sistematico teso a verificare la possibile evoluzione di qualche patologia né lo avrebbe ammonito sui rischi connessi alle missione in cui sarebbe poi stato impiegato.
Peraltro, tale atteggiamento negligente sarebbe rimasto immutato anche dopo che il ricorrente accusava i primi dolori addominali, che, anzi, sarebbero stati curati con terapie del tutto inadeguate.
Sulla scorta delle richiamate premesse, il ricorrente ha impugnato il provvedimento sopraindicato, articolando le seguenti censure:
1) violazione degli artt. 32, 36 e 38 della costituzione, del d.p.r. n. 461 del 29.10.2001, della legge n. 187 del 1976;
Il provvedimento impugnato non terrebbe conto del  vincolo di pregiudizialità rinveniente dalla pendenza del procedimento per il riconoscimento della dipendenza da causa di servizio dell'infermità contratta;
2) il provvedimento impugnato non recherebbe un doveroso approfondimento sulle cause di insorgenza della suddetta patologia.
Con il medesimo atto di gravame il ricorrente ha,  altresì, chiesto il riconoscimento della dipendenza da causa di servizio delle infermità contratte, con conseguente concessione dell'equo indennizzo, e la condanna dell'Amministrazione intimata al risarcimento dei danni, stimati in Euro 1.200.000,00, salva diversa e maggiore quantificazione in corso di causa.
Resiste in giudizio il Ministero della Difesa.
La domanda cautelare spiegata dal ricorrente è stata respinta con ordinanza n°2108 del 30.7.2008.
All'udienza del 9.3.2011 il ricorso è stato trattenuto in decisione.Motivi della decisione
Il ricorso è parzialmente fondato e, pertanto, va accolto nei limiti di quanto di seguito indicato.
Preliminarmente, giova ribadire - giusta quanto già anticipato nella premessa in fatto - che il petitum attoreo riflette  una struttura complessa siccome articolata in tre distinte domande che traggono, però, contemporaneamente alimento dalla medesima premessa fattuale e giuridica.
Il ricorrente, infatti, a fronte delle patologie da cui è stato colpito, ha adito questo Tribunale per ottenere l'annullamento del provvedimento emesso dall'Amministrazione intimata circa l'assetto dei profili economici del rapporto di servizio ed ha contemporaneamente spiegato autonome azione di accertamento e di condanna, rispettivamente in vista del riconoscimento di tali patologie come dipendenti da causa di servizio, con conseguente concessione dell'equo indennizzo, e della condanna dell'Amministrazione intimata al risarcimento dei danni sofferti a cagione delle medesime patologie, evidentemente imputate alla propria Amministrazione come conseguenze di attività illecita.
Ciò nondimeno, a dispetto della divisata complessità della res iudicanda, l'opzione metodologica privilegiata nell'atto di gravame è stata quella di una coeva trattazione delle suddette rivendicazioni, mediante l'elaborazione di un identico costrutto giuridico che non è stato, però, adattato alle peculiarità proprie delle singole iniziative assunte in ambito processuale.
Siffatta impostazione non ha evidentemente giovato alla chiarezza dell'esposizione delle tesi attoree, la cui traiettoria argomentativa, a cagione della inevitabile genericità dei postulati fattuali e giuridici di riferimento, offerti indistintamente a  sostegno di tutte le domande formulate, non è apparsa sufficientemente adeguata a delineare un coerente modello ermeneutico per la compiuta disamina dei temi in discussione.
Tanto premesso, e richiamata la vicenda in fatto come sopra ricostruita, si rende, viceversa, necessario, ai fini di una compiuta valutazione di ciascuna delle diverse questioni introdotte con il medesimo mezzo di gravame, optare per un diverso approccio ermeneutico che riconduca le singole domande proposte nell'ambito della propria cornice giuridica di riferimento.
In coerenza con siffatta metodica, occorre prendere abbrivio dallo scrutinio dell'azione impugnatoria.
A tal riguardo, giova anticipare che il ricorso, in parte qua, deve ritenersi fondato e, pertanto, va accolto, con conseguente annullamento del provvedimento impugnato.
Con tale atto (prot.llo n°####################/421 di prot.llo del 25.6.2007, notificata l'8.7.2008), l'Ufficio del Comando Regione Carabinieri #################### ha disposto che, a partire dal 9 Agosto 2008, lo stipendio e gli altri assegni di carattere fisso erogati al sig. ####################, infermiere professionale in servizio permanente effettivo presso l'Infermeria Presidiaria del suddetto Comando, sarebbero stati ridotti della metà ove  il medesimo militare fosse rimasto in licenza straordinaria di convalescenza per infermità non dipendente da causa di servizio.
Il provvedimento in questione è stato dichiaratamente assunto in attuazione dell'art. 26 della legge n°187 del  5.5.1976, applicabile alla fattispecie in esame ratione temporis, secondo cui, nei periodi di aspettativa per infermità, al personale in servizio permanente dell'Arma dei Carabinieri spettano lo stipendio e gli altri assegni di carattere fisso e continuativo per intero per i primi dodici mesi e ridotti alla metà per i  successivi sei mesi (cfr. art. 1 comma 1). Ai fini in questione, il comma 2 della disposizione suindicata espressamente prevede che "...due periodi di aspettativa per infermità si sommano quando tra essi non intercorre un periodo di servizio attivo superiore a tre mesi".
Le determinazioni assunte traggono alimento dalla  ricostruzione del periodo di aspettativa (già detratto quello spettante  per licenza straordinaria) di cui il ricorrente aveva già fruito, nonché dalla dichiarata non riferibilità a cause riconducibili al servizio d'istituto delle infermità (al momento) accertate.
Quanto a tale ultimo aspetto, è doveroso evidenziare che il provvedimento dell'Amministrazione si pone a valle di  giudizi medico - legali resi dai competenti organi tecnici nell'ambito del procedimento di verifica dell'idoneità del ricorrente allo svolgimento del servizio d'istituto.
Ed, invero, in data 25.1.2008, la Commissione Medico Ospedaliera del Dipartimento Militare di Medicina Legale di Caserta accordava al ricorrente, dopo averlo sottoposto a visita, un ulteriore periodo di convalescenza per giorni 60, attestando, tra l'altro, che le infermità dal medesimo contratte risultavano, allo stato, non dipendenti da causa di servizio.
Il medesimo organo, nella successiva seduta dell'1.4.2008, concludeva gli accertamenti medico - legali esprimendosi per la piena idoneità del ricorrente al servizio militare incondizionato  nell'Arma dei Carabinieri,  evidenziando, al contempo, che la pregressa inabilità era stata determinata da infermità, allo stato attuale, non ancora valutata come dipendente da causa di servizio.
Ciò nondimeno, a giudizio del Collegio, la mentovata statuizione provvedimentale va invalidata, siccome illegittima.
E ciò a cagione del fatto che oblitera del tutto la conclamata pendenza del procedimento attivato dal ricorrente con istanza presentata il 19.2.2008 e volto, giustappunto, al riconoscimento  della dipendenza da causa di servizio delle infermità contratte.
La mancata, preventiva delibazione di siffatta istanza pone le determinazioni assunte dall'Amministrazione intimata in aperta distonia con la speciale disciplina di settore che, in subiecta materia, governa la posizione di stato giuridico ed economico dei militari impiegati in particolari missioni.
Ed, invero, rispetto all'ordinario regime giuridico che regola il trattamento economico del personale militare in aspettativa per infermità temporanee, assume rilievo dirimente, nel caso  in esame, la peculiare condizione soggettiva del richiedente, già militare in servizio permanente nell'Arma dei Carabinieri, impegnato in una missione internazionale di pace.
In siffatte evenienze trova applicazione, ratione  temporis, l'art. 4 ter del D.L. 29122000 n. 393, convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, L. 28 febbraio 2001, n. 27.
Il comma 3 dell'articolo citato prevede che al "..personale militare e della Polizia di Stato in servizio permanente, che presti o abbia prestato servizio in missioni internazionali di pace e  che abbia contratto le infermità nei termini e nei modi di cui al comma  1(e cioè che "...contragga infermità idonee a divenire, anche in un momento successivo, causa di inabilità.."), non è computato nel periodo massimo di aspettativa il periodo di ricovero in luogo di cura o di assenza dal servizio fino a completa guarigione delle stesse infermità, a  meno che queste comportino inidoneità permanente al servizio".
Il successivo comma 3 bis, introdotto dall'art. 3bis, D.L. 19 luglio 2001, n. 294,  nel testo integrato dalla relativa legge di conversione, aggiunge che "Fino alla definizione dei procedimenti medicolegali riguardanti il riconoscimento della dipendenza da causa di servizio, al personale di cui ai commi 1 e 3 (e, dunque, anche al personale militare e della Polizia di Stato in servizio permanente) è corrisposto il trattamento economico continuativo, ovvero la paga, nella misura intera".
Una piana lettura delle suddette disposizioni - più volte riprese dal legislatore (cfr. art 3 del d.l. n°451/2001, art. 4  del d.l. n°8/2008, art. 1 del d.l. n°147/2008, art. 4 del d.l. n°209/2008, art. 3 del d.l. n°108/2009) e da ultimo confluite nell'art. 881 del D.Lgs. 1532010 n. 66, recante il cd. Codice dell'ordinamento militare - consente agevolmente di cogliere la chiara volontà del legislatore di assicurare al personale suddetto, esposto a particolari fattori di rischio, un'ampia copertura normativa mediante la sterilizzazione di ogni possibile implicazione negativa rinveniente dall'impiego in missioni così delicate.
Per quanto di più diretto interesse, il contenuto  precettivo dell'art. 4 ter comma 3 bis, sopra citato, per come fatto palese dallo stesso valore semantico della norma in esso compendiata, inverte l'ordinario rapporto di presupposizione che lega la definizione del trattamento economico allo svolgimento, in via continuativa, dell'attività di servizio.
Ed, invero, nell'economia della richiamata fattispecie normativa, l'assenza dal servizio del militare già impiegato  in missioni internazionali - per infermità potenzialmente idonee a divenire, anche in un momento successivo, causa di inabilità riconoscibile come dipendente da causa di servizio- assume una valenza neutra ai fini della determinazione del trattamento economico provvisorio, che dovrà essere erogato nella misura intera fintantoché non troverà compiuta definizione il procedimento medico - legale (precedentemente attivato e) volto al riconoscimento della dipendenza da  causa di servizio.
In altri termini, in presenza delle condizioni suindicate, la stessa pendenza del ridetto procedimento esplica una valenza pregiudiziale che preclude, in radice, la possibilità di assumere misure modificative peggiorative del trattamento economico in godimento.
Solo all'esito di una compiuta disamina, dal punto di vista medico - legale, della posizione del soggetto istante sarà, viceversa, possibile allineare alle relative risultanze l'assetto (definitivo) dei profili economici del rapporto di servizio.
Fino a quel momento dovrà, invero, essere "... corrisposto il trattamento economico continuativo, ovvero la paga, nella  misura intera".
In altri termini, e per quanto di più diretto interesse, il regime speciale sopra delineato viene a cessare nei soli casi in cui vi è la prova definitiva - acclarata nell'ambito della sede propria del tipico procedimento medico legale previsto dalla disciplina di settore - dell'assenza di un nesso di derivazione causale delle infermità denunciate dal servizio espletato.
Ove il suddetto procedimento si concluda in termini negativi per il soggetto istante la norma speciale (id est comma  3 bis, introdotto dall'art. 3bis, D.L. 19 luglio 2001, n. 294)  diviene recessiva e, viceversa, si riespande, assurgendo a regola del caso concreto, la disposizione generale di cui all'art. 26 della legge n°187 del 5.5.1976 nella parte in cui prevede le riduzioni retributive oggi avversate.
In definitiva, nei particolari casi sopra scrutinati, l'attuazione del modello legale di cui all'art. 26 cit. può aver luogo (anche con effetto retroattivo) solo nel caso di reiezione dell'istanza di riconoscimento della dipendenza da causa di servizio.
Né è possibile valorizzare, ai fini in questione,  gli arresti valutativi di cui l'Amministrazione intimata già disponeva alla data di emanazione del provvedimento impugnato (id est i verbali della C.M.O del 25.1.2008 e dell'1.4.2008).
Come chiaramente può, evincersi, dalla disamina di tali atti, sopra già riportati, si tratta di giudizi medico legali non definitivi, resi in via incidentale nell'ambito del diverso procedimento volto ad accertare l'idoneità del ricorrente allo svolgimento dei suoi compiti di istituto.
Di contro, la disciplina di settore valorizza esclusivamente le conclusioni medico legali conseguite nell'ambito del tipico procedimento di riconoscimento della dipendenza da causa di servizio.
E', in altri termini, necessario un accertamento diretto, condotto, principaliter, proprio sulla possibile efficienza causale o concausale dell'azione d'istituto rispetto all'insorgenza (o all'aggravarsi) dello stato morboso del dipendente.
Nel caso di specie, il giudizio reso dalla Commissione Medico Ospedaliera del Dipartimento Militare di Medicina Legale di Caserta, nella seduta dell'1.4.2008, destinato ad assorbire quello interlocutorio del 25.1.2008, si limita a registrare che la pregressa inabilità era stata determinata da infermità, allo stato attuale, non ancora valutata come dipendente da causa di servizio.
La formula all'uopo utilizzata esaurisce ogni efficacia asseverativa nel rilevare la mancanza - a quel momento - di un  positivo apprezzamento circa l'esistenza di profili di implicazione causale che potessero collegare all'azione di istituto l'insorgenza del fenomeno morboso.
Quanto appena evidenziato riflette, di per sé, l'inettitudine strutturale di siffatta attestazione ad accreditarsi, ai fini in questione, come un definitivo ed appagante giudizio medico legale che, viceversa, proprio in ragione del chiaro valore semantico dell'espressione sopra riportata, doveva intendersi come ancora non svolto.
In definitiva, l'accertamento richiesto dalla disciplina di settore non è stato compiuto, di talchè l'intangibilità del trattamento economico in godimento doveva intendersi ancora presidiata dalla disposizione speciale di cui all'art. 4 ter comma 3 bis  D.L. 29122000 n. 393.
In ragione di quanto fin qui detto, la domanda spiegata dal ricorrente va accolta e, per l'effetto, s'impone l'annullamento del provvedimento impugnato, fatti salvi quelli ulteriori.
Viceversa, priva di pregio si rivela l'ulteriore pretesa azionata in giudizio volta ad ottenere, in via diretta, una pronuncia di riconoscimento della patologia contratta come dipendente da  causa di servizio e, per l'effetto, l'accertamento del diritto alla concessione dell'equo indennizzo.
Su punto, è sufficiente obiettare che il relativo  procedimento, attivato con istanza del 19.2.2008, è tuttora pendente, come, peraltro, ribadito dalla difesa del ricorrente nel corso dell'odierna udienza di discussione.
Di conseguenza resta inibita, in apicibus, l'adozione dei provvedimenti richiesti, la cui spedizione comporterebbe un'impropria sostituzione del Tribunale nell'esercizio di prerogative proprie dell'Autorità procedente, con conseguente compressione del principio generale di divisione dei poteri.
Si è, infatti, affermato in giurisprudenza che la  domanda giurisdizionale con cui il soggetto interessato chiede l'accertamento della dipendenza da causa di servizio dell'infermità contratta ed il riconoscimento del proprio diritto all'equo indennizzo per la medesima causale, va dichiarata inammissibile, in quanto il giudizio esperibile innanzi al G.A., in subiecta materia, è strutturato come giudizio di impugnazione, essendo la posizione azionata dal dipendente di interesse legittimo; mentre una posizione di diritto soggettivo sorge solo una volta che ne sia avvenuto il riconoscimento ad  opera della P.A. (cfr. Cons. di Stato sez. VI, n° 4621 del 23.9.2009; Cons. di Stato sez. VI, n° 4368 dell'8.7.2009; Cons. di Stato sez. VI, n° 5293 del 24.10.2008; Cons. di Stato sez. IV, n° 3914 del 10.7.2007; Cons. di Stato sez. IV, n° 3769 del 27.6.2007; T.A.R. Liguria n° 802 del
3.6.2005; T.A.R. LazioRoma n° 3093 del 26.4.2005; T.A.R. LazioRoma n° 12056 del 29.10.2004; T.A.R. ####################Salerno n° 224 del 27.3.2003).
Siffatta conclusione deve ritenersi coerente anche con il nuovo codice del processo amministrativo: l'art. 34 comma 2  del d. lgs. 104/2010 fa, infatti, espressamente divieto al Giudice di pronunciarsi con riferimento a poteri amministrativi non ancora esercitati.
La reazione difensiva avverso la mancata pronuncia dell'Amministrazione intimata sulla domanda presentata dal ricorrente avrebbe dovuto essere ritualmente convogliata nella tipica azione di cui all'art. 2 della legge n. 241/1990 (ora art. 31 del dlg. 104/2010).
L'impossibilità di cogliere nella domanda in epigrafe gli estremi identificativi della suddetta azione preclude, in radice, ogni sforzo - che sfocerebbe in un evidente vizio di ultrapetizione - del Collegio di accordare siffatta tutela nell'ambito del presente giudizio.
In definitiva, tale domanda va dichiarata inammissibile.
Nel percorso delibativo che il Tribunale è chiamato a svolgere occorre ora procedere allo scrutinio della domanda risarcitoria azionata dal ricorrente.
Tale pretesa è stata, infatti, spiegata in via del tutto autonoma e non già in chiave complementare della domanda impugnatoria, già sopra esaminata.
Segnatamente, il ricorrente deduce di aver contratto, in servizio, gravi patologie per effetto dell'incontrollata esposizione all'uranio impoverito (cd. sindrome dei Balcani, dovuta all'uso massiccio di tale sostanza negli armamenti utilizzati dalle forze armate della NATO durante l'intervento in tale area);
- che egli, infatti, aveva operato nelle zone della Bosnia - Erzegovina dal mese di aprile 2001 fino al mese di agosto  del medesimo anno, quale infermiere professionale;
- che, senza dubbio doveva essere ascritto a causa di servizio l'angioma epatico per il quale era stato operato e che  alla sua insorgenza aveva certo concorso l'Amministrazione intimata, non avendo apprestato idonee misure per contrastare efficacemente la contaminazione dei propri militari.
Orbene, in via preliminare il Collegio è tenuto, anzitutto, a qualificare l'azione proposta in ragione del titolo giuridico (responsabilità extracontrattuale 2043 c.c. ovvero responsabilità contrattuale ex artt. 1218 c.c. e 2087 c.c.) che - in base alla prospettazione di parte - ne costituisce il fondamento giustificativo.
Ciò in ragione delle rilevanti implicazioni, anche di ordine processuale, che si riconnettono, sul piano del regime giuridico di riferimento, al diverso paradigma di illecito desumibile dalla domanda attorea.
Sul punto, il giudice della giurisdizione ha più volte affermato che deve ritenersi non dirimente "...ai fini dell'accertamento della natura giuridica dell'azione di responsabilità proposta, la qualificazione formale data dal danneggiato in termini di responsabilità contrattuale o extracontrattuale, ovvero mediante il richiamo di norme di legge (art. 2043 e ss., 2087 c.c.), indizi di per sé non decisivi, essendo necessario considerare i tratti propri dell'elemento materiale dell'illecito posto a base della pretesa risarcitoria, onde stabilire se sia stata denunciata una condotta dell'amministrazione la cui idoneità lesiva possa esplicarsi, indifferentemente, nei confronti della generalità dei cittadini e nei confronti dei propri dipendenti, costituendo, in tal caso, il rapporto di lavoro mera occasione dell'evento dannoso; oppure se la condotta lesiva dell'amministrazione presenti
caratteri tali da escluderne qualsiasi incidenza nella sfera giuridica di soggetti ad essa non legati  da rapporto d'impiego e le sia imputata la violazione di specifici obblighi di protezione dei lavoratori (art. 2087 c.c.);  nel qual caso la responsabilità ha natura contrattuale conseguendo l'ingiustizia del danno alle violazioni di taluna delle situazioni giuridiche in cui il rapporto di lavoro si articola e sostanziandosi la condotta lesiva nelle specifiche modalità di gestione del rapporto di lavoro. Soltanto nel caso in cui, all'esito dell'indagine condotta secondo gli indicati criteri, non possa pervenirsi all'identificazione dell'azione proposta dal danneggiato, si deve qualificare l'azione come di responsabilità extracontrattuale"(cfr. ex multis Cass. SS.UU. n°5468 del 6.3.2009; Consiglio Stato, sez. V, 27 dicembre 2010, n. 9461).
Orbene, ritiene il Collegio che la domanda risarcitoria, per come concretamente formulata, trovi il proprio fondamento giustificativo nella prospettata inosservanza dei precisi obblighi che l'art. 2087 cod. civ. ("L'imprenditore è tenuto ad adottare nell'esercizio dell'impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro") pone a carico del datore di lavoro onde salvaguardare la salute dei lavoratori dipendenti; norma ritenuta applicabile anche nei confronti della Pubblica Amministrazione.
In ragione di ciò, come peraltro di recente evidenziato anche da questo Tribunale in una controversia del tutto analoga (cfr. TAR ####################, Sez. VII, n°17232 del 5.8.2010), la cognizione della controversia, riguardando una questione riferibile al rapporto di impiego di personale non contrattualizzato della P.A., è devoluta alla giurisdizione esclusiva del G.A.
Ulteriore corollario della riconducibilità dell'azione in argomento al paradigma della responsabilità contrattuale si apprezza in tema di riparto dell'onere della prova quanto ai profili costitutivi dell'illecito da inadempimento.
Sotto tale profilo, ed in aderenza ad un diffuso orientamento giurisprudenziale, può affermarsi che, ai fini dell'accertamento della responsabilità contrattuale, incombe sul lavoratore che lamenti di aver subito, a causa dell'attività lavorativa svolta, un danno alla salute, l'onere di provare l'esistenza di tale danno, come pure la nocività dell'ambiente di lavoro, nonché il nesso tra l'uno e l'altro elemento, mentre grava sul datore di lavoro - una volta che il lavoratore abbia provato le predette circostanze - l'onere di provare di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno, ovvero  di aver adottato tutte le cautele necessarie per impedire il verificarsi del danno medesimo. Pertanto, il lavoratore che agisca nei confronti del datore di lavoro per il risarcimento del danno patito a seguito di infortunio sul lavoro, seppure non debba provare la colpa del  datore di lavoro,
nei cui confronti opera la presunzione posta dall'art. 1218 c.c.,  è pur sempre onerato della prova del fatto costituente l'inadempimento e  del nesso di causalità materiale tra l'inadempimento e il danno (cfr. ex multis Cassazione civile, sez. lav., 20 maggio 2010, n. 12351).
Orbene, nella suddetta prospettiva deve, anzitutto, rilevarsi la manifesta elusione dell'onere probatorio gravante sul ricorrente quanto al rapporto di derivazione causale tra lo  stato morboso da cui è risultato affetto e la complessiva condotta tenuta dall'Amministrazione intimata, essendo - sul punto - la richiesta  attorea rimasta affidata ad astratte enunciazioni del tutto disancorate  da una puntuale verifica della loro concreta predicabilità.
Segnatamente, nel costrutto giuridico di parte ricorrente l'approfondimento medico - legale delle cause che hanno portato alla sviluppo della denunciata malattia oncologica sarebbe quasi  superfluo a fronte della "mole di giurisprudenza che evidenzia il nesso  di causalità tra il servizio prestato nei Balcani e le cosiddette patologie da uranio impoverito, evoluzione logicamente e scientificamente prevedibile".
Secondo tale prospettazione, a fronte delle note interrelazioni (in tema di causa ed effetto) tra gravi forme di neoplasie e l'impiego di personale militare nelle suddette aree, contaminate da radioattività superiore alla norma, l'Amministrazione avrebbe dovuto sottoporre il sig. M., prima dell'impiego, a vaccinazioni  ed esami ematochimici, ammonendolo sui rischi che la missione di guerra  avrebbe comportato per la sua salute, dove era ben noto che sarebbe rimasto esposto all'uranio impoverito ed a radiazioni ionizzanti.
In ogni caso, al termine della missione, avrebbe dovuto assicurare un controllo medico sistematico teso a verificare la possibile evoluzione negativa di eventuali patologie.
Tanto lo stesso sig. M. "...fin dal gennaio 2001 aveva evidenziato ai suoi superiori, proprio perché esperto in materia, in quanto infermiere specializzato".
Di contro, l'Amministrazione resistente, si sarebbe limitata a somministrargli cicli di vaccinazione irregolari e, perfino, dinanzi ad un evento ben preciso - i forti dolori accusati dal ricorrente all'addome in data 24.5.2007 - non si sarebbe peritata di disporre approfonditi accertamenti, limitandosi a prescrivere un farmaco, il "Lyrica", decisamente inadeguato.
Orbene, così ricostruito il perimetro delle deduzioni attoree, a giudizio del Collegio non può essere disconosciuta l'esistenza di un fattore generico di rischio connesso all'impiego del ricorrente, quale infermiere professionale, nel periodo tra il mese di aprile 2011 e quello di agosto del medesimo anno, nella missione internazionale che ha avuto luogo nelle aree di crisi internazionale della Bosnia - Erzegovina a supporto dei contingenti militari della Nato.
Indizi di una possibile situazione di criticità, ancorchè non precisamente dimensionata, si evincono, infatti, dalle stesse iniziative assunte sul piano normativo.
Il legislatore, all'epoca dei fatti per cui è processo, diede, invero, avvio (con legge n. 27 del 2001,  attuata con il decreto del 2 ottobre del 2002 del Ministero della Salute) ad una campagna di monitoraggio sanitario sulle condizioni di salute dei cittadini italiani che, a qualunque titolo, avevano operato o  stavano operando nei territori della Bosnia Herzegovina e del Kossovo.
Ciò nondimeno, il generico fattore di rischio connesso al suddetto contesto ambientale si rivela, di per se stesso, insufficiente a reggere, con la pretesa automaticità, un rapporto di derivazione causale con lo stato di infermità allegata dal ricorrente.
E ciò a cagione della conclamata indisponibilità -  ancor più evidente all'epoca dei fatti - di univoci dati di riferimento  che consentano, in base alla migliore scienza ed esperienza, di strutturare un rapporto di collegamento qualificato tra la sua presenza nelle suddette aree e l'insorgenza della specifica patologia diagnosticatagli.
Ed, invero, già su un piano generale, nella stessa relazione di consulenza tecnica depositata a corredo del ricorso in epigrafe, si dà atto della mancanza di elementi scientifici di sicuro  affidamento, così come dei risultati complessivamente insufficienti cui  sarebbero giunte le commissioni di indagine di nomina governativa, che,  ancora oggi, non avrebbero offerto contributi decisivi, nemmeno dal punto di vista statistico.
Ed è proprio a cagione delle divisate incertezze che il consulente tecnico di parte dà conto della diversa impostazione privilegiata dalla commissione parlamentare di inchiesta, istituita presso il Senato della Repubblica (delibera del Senato dell'11.102006), nella parte in cui ha proposto, a determinati fini (di tipo sostanzialmente indennitario), di sostituire al "nesso di causalità" un "criterio di probabilità". In altri termini, non potendosi affermare - ma neppure escludere - una relazione tra gravi eventi morbosi diagnosticati a personale impegnato nelle suindicate campagne e la relativa causa scatenante, il fatto stesso che l'evento si sia verificato costituirebbe, di per sé, a prescindere dalla dimostrazione di un nesso diretto, motivo sufficiente per il ricorso a strumenti riparatori.
Nella suddetta prospettiva, il criterio di probabilità dovrebbe consentire di riconoscere in capo alle vittime di gravi patologie ed ai loro familiari il diritto "al ricorso agli strumenti indennitari previsti dalla legislazione vigente (compreso il riconoscimento della causa di servizio e della speciale elargizione) in tutti quei casi in cui l'Amministrazione militare non sia in grado di escludere un nesso di causalità".
Tanto premesso, appare di tutta evidenza come - in disparte la diversa questione dei presupposti per la riconoscibilità di misure di carattere cd. indennitario, cui si riferisce il metodo propugnato dal predetto organo parlamentare - siffatto modello non sia esportabile, con la pretesa automaticità, sul versante dell'accertamento  della responsabilità da illecito, che resta tuttora scandita, nei sui presupposti operativi, dai paradigmi fissati (in tema di responsabilità contrattuale) agli artt. 1218 e ss del codice civile.
In tale diversa prospettiva, il Collegio non può che respingere, siccome del tutto inappagante, la metodica suggerita nell'atto di gravame che, riduttivamente, confina in una dimensione astratta, di mera compatibilità, la doverosa indagine euristica sulla effettiva sussistenza degli elementi costitutivi del presunto illecito, la cui imputabilità a terzi implica, per converso, un rigoroso accertamento, da svolgere in concreto e sulla base di indici conoscitivi  sufficientemente attendibili.
In particolare, può ritenersi integrato un rapporto cd. di causalità materiale tra condotta ed evento allorché ricorrano due condizioni:
(a) che la condotta abbia costituito un antecedente necessario dell'evento, nel senso che questo rientri tra le conseguenze "normali" del fatto, secondo la migliore scienza ed esperienza;
(b) che l'antecedente medesimo non sia poi neutralizzato, sul piano eziologico, dalla sopravvenienza di un fatto di  per sé idoneo a determinare l'evento.
Ricondotta, dunque, l'indagine ermeneutica sui binari di una corretta metodica euristica, deve, anzitutto, registrarsi la strutturale deficienza della stessa attività assertiva svolta dal ricorrente nella descrizione della nocività dell'ambiente "di lavoro", solo genericamente affermata per effetto del mero rinvio all'avvenuto impiego nella missione in Bosnia, in siti dove si era da poco combattuto  o dove si erano da poco conclusi i bombardamenti da parte delle forze alleate.
Salvo che per i suddetti generici cenni, le allegazioni di parte ricorrente si sono, infatti, esaurite nella semplice esposizione dei tempi e dei modi di insorgenza e di evoluzione dell'evento morboso, obliterando finanche la descrizione del preciso contesto territoriale in cui il ricorrente ha operato, con conseguente rinuncia, già in partenza, a qualsivoglia sforzo ricostruttivo che consentisse di dimensionare l'intensità dei generici ed astratti rischi connessi alla sua presenza nelle suindicate aree geografiche.
Nell'esposizione offerta nel gravame è mancata, invero, una puntuale descrizioni delle mansioni concretamente assegnate e  delle relative modalità esecutive (se operative o sedentarie), la precisa indicazione dei luoghi in cui il ricorrente ha svolto la sua missione in raffronto di comparazione (spaziale e temporale) con quelli sottoposti a bombardamenti con munizionamento speciale ad uranio depleto, una possibile quantificazione del livello di esposizione ai rischi anche in relazione alla stessa durata della missione.
Del pari, è rimasto del tutto inesplorato il tema  - pur rilevante - della concreta riconducibilità della patologia diagnosticata al ricorrente all'area di rischio specificamente connessa alla presenza di fattori nocivi nell'area della Bosnia. Non può essere obliterato, infatti, che gli studi di settore hanno fatto registrate, da  un punto di vista statistico, un eccesso solo di neoplasie maligne di tipo ematologico (cfr. relazioni della Commissione di indagine cd. Mandelli allegata alla relazione di consulenza tecnica di parte), alle quali non sembra riconducibile quella allegata dal ricorrente.
E' mancato, in definitiva, il raffronto con altri  possibili fonti di rischio e, dunque, l'analisi critica di spiegazioni alternative, che non risultano nemmeno prese in considerazione, di talchè il collegamento tra di due eventi (lo svolgimento della missione e  l'insorgenza dello stato patologico) è rimasto solamente enunciato, in quanto ancorato a generiche basi abduttive, prive di qualsivoglia riscontro anche in termini probabilistici.
Tali lacune assumono viepiù rilievo ove si consideri che - giusta quanto si evince dalla stessa documentazione scientifica allegata a corredo della precitata relazione di consulenza tecnica - l'angioma epatico (infermità diagnosticata al ricorrente) viene definito come "...il più comune tumore benigno del fegato.....non vi sono fattori noti che causino la comparsa di un angioma al fegato".
In altri termini, nel costrutto giuridico attoreo, il generico fattore di rischio, dovuto al luogo in cui il ricorrente ha svolto la propria azione di istituto, è rimasto irrimediabilmente ridimensionato nella sua potenziale valenza dimostrativa, siccome non sviluppato nelle sue concrete implicazioni in riferimento alla peculiare situazione del ricorrente.
In definitiva, le acquisizioni processuali consegnano, quanto al thema decidendum, un risultato probatorio manifestamente insufficiente a reggere l'affermato rapporto di derivazione causale dell'infermità diagnosticata al ricorrente (angioma epatico) dal suo impiego in azioni d'istituto.
Tale qualificato collegamento non può dirsi, ad oggi, riconoscibile sia a cagione della incerta eziopatogenesi dello specifico fenomeno morboso da cui il ricorrente è risultato affetto sia in considerazione della dubbia attitudine causale del descritto contesto  di impiego a generare siffatte malattie, in quanto la potenzialità lesiva dei fattori di inquinamento generati dagli eventi bellici non può  dirsi ancorata a dati scientifici sufficientemente chiari ed è, comunque, nello specifico caso in esame, resa ancora più evanescente dalle divisate lacune che, sul piano assertivo prima ancora che probatorio, hanno caratterizzato il costrutto giuridico attoreo.
Il nesso eziologico che lega la condotta all'evento, in assenza di un rischio specifico, com'è nel caso di specie, non può, infatti, essere desunto da presunzioni di carattere astratto ed ipotetico, ma esige una dimostrazione ancorata a concrete e specifiche situazioni di fatto che, quanto meno in termini di probabilità, consentano di accreditare relazioni significative tra la causa indicata e l'insorgenza della malattia.
Le considerazioni sfavorevoli sopra svolte - già di per se stesse decisive ai fini della reiezione del proposto gravame -  assumono rilievo anche sotto diverso profilo.
La responsabilità del datore di lavoro per violazione dell'obbligo di sicurezza sancito dall'art. 2087 c.c. non ha, infatti, natura oggettiva, ma implica pur sempre l'accertamento  della colpa, occorrendo che il danno sia conseguenza diretta della violazione di norme di prevenzione specifiche o di carattere generale (Cass. 7629/2004, 1575/2000, 7792/98).
Dalla già affermata natura contrattuale della responsabilità ex art. 2087 c.c.,  la giurisprudenza ricava, inoltre, come già sopra anticipato, significative implicazioni sul piano della distribuzione dei relativi oneri probatori.
E' lo stesso datore di lavoro, infatti, che, in deroga ai principi generali di cui all'art. 2697 c.c., viene ad essere gravato (ai sensi dell'art. 1218 c.c.) dell'onere di provare la non imputabilità dell'inadempimento.
Resta, però, pur sempre a carico del lavoratore la prova del suddetto inadempimento e la sua rilevanza causale rispetto al danno lamentato.
Nel caso di specie, nell'economia cioè della fattispecie di cui all'art. 2087 c.c.,  l'inadempimento giuridicamente rilevante è quello che si sostanzia nella violazione e nell'elusione di determinati obblighi di comportamento, che devono risultare imposti dalla legge o suggeriti dalle conoscenze sperimentali o tecniche ed essere idonei ad evitare il danno.
Grava, dunque, sul lavoratore l'onere di indicare  (ed anzi provare) le misure di sicurezza violate (cfr. Cassazione civile, sez. III, 20 febbraio 2006, n. 3650, 10441/2007, 12445/2006), in  quanto proprio in ciò si sostanzia la condotta di inadempimento.
Affatto diverso risulta il contenuto di siffatti oneri probatori a seconda che le misure di sicurezza - asseritamente omesse - siano espressamente e specificamente definite dalla legge (o da  altra fonte parimenti vincolante), in relazione ad una valutazione preventiva di rischi specifici oppure debbano essere ricavate dalla stessa disposizione (art. 2087 c.c., cit.) che impone l'obbligo di sicurezza.
Nel primo caso - di misure di sicurezza (o prevenzione), per così dire, nominate - il lavoratore ha l'onere di provare soltanto la fattispecie costitutiva prevista dalla fonte impositiva della misura stessa - cioè il rischio specifico, che s'intende prevenire o contenere - nonchè, ovviamente, il nesso di causalità materiale tra l'inosservanza della misura ed il danno subito (dopo di che il datore deve provare di non averla potuta adottare per fatto a lui non imputabile, o che il danno si sarebbe verificato comunque).
Nel secondo, ferma la necessità che il lavoratore  indichi la misura di sicurezza asseritamente omessa, occorre altresì che tale misura (oltre ad essere idonea ad evitare il danno o a limitarne le conseguenze) fosse esigibile con riferimento a standard di sicurezza suggeriti dalle conoscenze del tempo e di normale adozione nel  settore (Cass. 12445/2006, 16250/2003, 3740/95).
Ne consegue che la verificazione del sinistro non  è di per sè sufficiente per far scattare a carico del datore di lavoro l'onere probatorio di aver adottato ogni sorta di misura idonea ad evitare l'evento, atteso che la prova liberatoria a suo carico presuppone sempre la previa dimostrazione, da parte dell'attore, che vi è  stata omissione nel predisporre le misure di sicurezza (suggerite dalla  particolarità del lavoro, dall'esperienza e dalla tecnica) necessarie ad evitare il danno, e non può essere estesa ad ogni ipotetica misura di  prevenzione, venendo altrimenti a configurarsi un'ipotesi di responsabilità oggettiva, che la norma invero non prevede (cfr. Cassazione civile, sez. III, 20 febbraio 2006, n. 3650).
Tanto premesso, vanno in questa sede, anzitutto, richiamate le considerazioni già sopra svolte sull'assenza di sicure conoscenze scientifiche che valessero ad orientare, all'epoca dei fatti,  l'azione preventiva dell'Amministrazione nella neutralizzazione dei fattori di rischio connessi all'impiego di militari nelle aree della Bosnia Erzegovina.
Risulta, pertanto, preclusa ab imis la possibilità di ricostruire un comportamento virtuoso oggettivamente esigibile in capo alla Amministrazione, cui comparare la condotta concretamente tenuta onde apprezzarne eventuali profili di distonia e, per l'effetto, radicare un giudizio di complessiva antidoverosità nell'organizzazione e nella gestione degli eventi connessi all'impiego del ricorrente nella campagna in Bosnia.
D'altro canto, di ciò vi è indiretta conferma nella stesse deduzioni di parte ricorrente che - al di là di generiche enunciazioni di principio - non consentono di enucleare, alla stregua delle conoscenze scientifiche e delle norme di comune prudenza all'epoca  disponibili, specifiche regole precauzionali di sicurezza, che nella specie sarebbero state disattese.
Va, dunque, revocata in dubbio la premessa da cui muovono le contestazioni di negligenza sollevate dal ricorrente.
Secondo il costrutto giuridico attoreo sarebbero state già ampiamente note le interrelazione, in tema di causa ed effetto, tra la mera presenza nelle suddette aree, contaminate da radioattività superiore alla norma, e l'insorgenza di gravi patologie.
Lo stesso ricorrente, sig. M., avrebbe espressamente richiamato l'attenzione della sua Amministrazione onde approntare adeguate misure per scongiurare i suddetti rischi: nell'atto di gravame (fol. 4) si legge, infatti, che "...fin dal gennaio 2001 aveva evidenziato ai suoi superiori, proprio perché esperto in materia, in quanto infermiere specializzato".
Nella prospettazione di parte ricorrente, l'Amministrazione - in linea con il cd. "protocollo Mandelli" avrebbe dovuto sottoporre il sig. M., prima dell'impiego, a vaccinazioni ed esami ematochimici, ammonendolo sui rischi che la missione di guerra avrebbe comportato per la sua salute, dove era ben noto che sarebbe rimasto esposto all'uranio impoverito ed a radiazioni ionizzanti.
In ogni caso, al termine della missione, avrebbe dovuto assicurare un controllo medico sistematico teso a verificare la possibile evoluzione negativa di eventuali patologie.
Orbene, contrariamente a quanto sul punto dedotto  dal ricorrente, va evidenziato che le acquisizioni processuali non consegnano alcun dato di rilievo scientifico idoneo ad accreditare l'esistenza, già all'epoca dei fatti, da un lato, di ben individuati fattori di rischio ambientale e, dall'altro, di regole precauzionale idonee a fronteggiarli.
La stessa letteratura scientifica allegata alla consulenza di parte - per quanto successiva al periodo della missione in  esame - non fornisce, sul punto, alcun affidabile elemento di riscontro, ed anzi offre un quadro complessivo di assoluta incertezza: gli studi della Commissione d'indagine di nomina ministeriale, cd. Mandelli, evidenziano patologie tumorali complessivamente inferiori ai casi attesi e si limitano a registrare un eccesso, statisticamente significativo, di casi di Linfoma di Hodgkin, sollecitando al contempo ulteriori ricerche ed un programma di controllo sanitario a lungo termine.
Sul piano normativo, in coerenza con le divisate esigenze conoscitive, a partire dal cd. protocollo Mandelli, le misure introdotte si sono risolte nell'avvio - ex lege n. 27 del 2001,  attuata con il decreto del 2 ottobre del 2002 del Ministero della Salute - di una campagna di monitoraggio sulle condizioni sanitarie dei cittadini italiani che avevano operato nei territori della BosniaHerzegovina e del Kosovo, in relazione a missioni internazionali di pace e di assistenza umanitaria.
Segnatamente, il suddetto programma sanitario consisteva nella predisposizione di una serie di visite mediche e di accertamenti di laboratorio.
Come efficacemente evidenziato dall'Amministrazione resistente, la suddetta campagna di monitoraggio, pur obbligatoria, implicava l'adesione da parte dei soggetti interessati  (in tal senso anche la direttiva del Ministero della Difesa - Direzione  Generale della sanità Militare del 23 luglio 2004).
Di contro, alla stregua delle controdeduzioni offerte dall'Amministrazione intimata - non smentite dal ricorrente - questi, dopo i primi tre prelievi ematici (4 gennaio 2002, 16 luglio 2002, 24 gennaio 2003), "decideva di non sottoporsi ad ulteriori esami avvalendosi, pertanto della facoltà di non aderire alla campagna di monitoraggio, così previsto dalla Direttiva del Ministro".
E ciò sebbene lo stesso ricorrente fosse consapevole dei rischi connessi alle condizioni ambientali dei luoghi in  cui era stata espletata la missione, avendoli egli - esperto del settore - finanche evidenziati ai suoi superiori fin dal gennaio 2001 (cfr. atto di ricorso fol. 4).
Tale sopravvenienza, di rilievo indubbiamente assorbente, varrebbe, di per sé, a concretare, ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 1218 c.c.,  la prova contraria circa la non imputabilità al datore di lavoro dell'inadempimento nell'assolvimento degli obblighi di sicurezza cui era  tenuto.
Ciò nondimeno, sotto diverso profilo occorre, inoltre, chiedersi se l'evento lamentato dal ricorrente (id est insorgenza dell'angioma epatico) rappresenti un'effettiva concretizzazione dello specifico rischio che le norme di condotta (misure di profilassi prescritte dal Protocollo Mandelli e dalle successive circolari) asseritamente violate tendevano a prevenire.
Nella suddetta prospettiva, mette conto evidenziare che gli accertamenti di laboratorio prescritti, in via ordinaria, si risolvevano - come precisato dallo stesso ricorrente - in esami ematochimici.
E' necessario allora capire se l'adozione delle suddette precauzioni avrebbe, e con quale indice di probabilità, evitato  l'insorgenza e, comunque, l'evoluzione dello stato morboso diagnosticato al ricorrente: in altri termini, l'azione ipotizzata, ma (in via di mera ipotesi) omessa, avrebbe impedito l'evento?
Anche tale profilo - del tutto obliterato nel costrutto giuridico attoreo - sembra dover condurre ad esito negativo: l'estratto del trattato di patologia medica anno 2006, allegato alla relazione di consulenza tecnica di parte, evidenzia, infatti, che "...la  presenza di un angioma epatico viene oggi rilevata causalmente durante un'ecografia eseguita per un qualunque motivo".
Alla stregua di quanto detto le uniche misure di sicurezza che, all'epoca dei fatti, governavano la condotta dell'Amministrazione sembrerebbero avere valenza neutra, in quanto - in ogni caso - inidonee all'accertamento dell'infermità poi diagnostica (ma  grazie a tecniche di indagine diverse) al ricorrente.
Di ciò, peraltro, vi è conferma nella stessa vicenda in esame: ed, invero, solo in occasione della risonanza magnetica effettuata il 19.6.2007 - peraltro in epoca successiva al termine di scadenza, fissato in cinque anni, della campagna di monitoraggio prevista dal d.m. del 2002 - ed in modo del tutto fortuito,  veniva rilevata la neoformazione epatica poi diagnosticata come angioma; nel relativo referto si evidenza, infatti, quanto segue "..come  reperto accessorio si segnala formazione espansiva ipotensa..".
Anche in considerazione di quanto fin qui detto si rivelano, infine, del tutto inconferenti le residue osservazioni censoree circa la terapia farmacologica (id est prescrizione del farmaco  Lyrica) consigliata per i dolori all'addome accusati il 24.5.2007, la cui inadeguatezza - al momento di effettuazione della visita - è rimasta, peraltro, del tutto indimostrata.
In definitiva, gli elementi offerti a corredo della spiegata azione risarcitoria non consentono, ad una valutazione complessiva, di ritenere accertata la responsabilità dell'Amministrazione ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 2087 c.c.
Ne discende il rigetto dell'azione di condanna spiegata dal ricorrente.
Quanto al governo delle spese di giudizio, la parziale soccombenza delle pretese attoree induce a privilegiare la soluzione della compensazione tra le parti dei relativi oneri.P.Q.M.
Il  Tribunale Amministrativo Regionale della #################### (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie parzialmente nei sensi e nei limiti indicati in parte motiva e,  per l'effetto, annulla il provvedimento impugnato, fatti salvi quelli ulteriori.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

TAR "...I ricorrenti, appuntati o Sottufficiali dell'Arma dei carabinieri in congedo, e titolari di invalidità e/o infermità riconosciute dipendenti da causa di servizio, ed iscritte alle categorie di menomazione comprese tra la prima e l'ottava della tabella annessa al d.  lgt. n. 876 del 1917 e ss. mm., si dolgono di non godere in virtù di tanto anche dei benefici di cui agli artt. 117 e 120 del r.d. n. 3458/1928 e legge n. 539/1950, consistenti nella anticipazione della maturazione del diritto agli aumenti periodici dello stipendio...."

T.A.R. Lazio Roma Sez. III ter, Sent., 26-04-2011, n. 3574
Fatto Diritto P.Q.M.
Svolgimento del processo
I ricorrenti, appuntati o Sottufficiali dell'Arma dei carabinieri in congedo, e titolari di invalidità e/o infermità riconosciute dipendenti da causa di servizio, ed iscritte alle categorie di menomazione comprese tra la prima e l'ottava della tabella annessa al d.  lgt. n. 876 del 1917 e ss. mm., si dolgono di non godere in virtù di tanto anche dei benefici di cui agli artt. 117 e 120 del r.d. n. 3458/1928 e legge n. 539/1950, consistenti nella anticipazione della maturazione del diritto agli aumenti periodici dello stipendio.
Reclamano, pertanto, il diritto alla percezione di tali benefici, deducendo, al riguardo, l'erronea applicazione degli artt. 117 e 120 del r.d. n. 3458/1928 e della legge n. 539/1950, la violazione degli artt. 3 e 95, Cost., eccesso di potere per disparità di trattamento e manifesta contraddittorietà, illogicità
Concludono, chiedendo la declaratoria del diritto  ai benefici di cui sopra e, per l'effetto, la condanna degli intimati Dicasteri e I.n.p.d.a.p., ognuno per quanto di competenza, al pagamento delle differenze dovute, oltre interessi e rivalutazione monetaria.
Si è costituita in giudizio l'Avvocatura Generale  dello Stato in difesa delle intimate Amministrazioni centrali; con memoria del 2 dicembre 2010, per il Ministero della difesa, ha evidenziato, altresì, l'infondatezza delle richieste avversarie, chiedendo il rigetto del ricorso.
Si è costituito, altresì, l'intimato I.n.p.d.a.p.  che, con memoria difensiva, ha eccepito, in rito, il difetto di giurisdizione a favore della Corte dei Conti, per quanto attiene alle spettanze pensionistiche e la prescrizione del diritto, con riferimento ai ricorrenti collocati a riposo in arco temporale anteriore a cinque anni dalla proposizione del ricorso; nel merito, ha eccepito l'infondatezza del ricorso, di cui ha chiesto, pertanto, il rigetto.
Alla pubblica udienza del 7 aprile 2011 la causa è stata trattenuta a sentenza.Motivi della decisione
1. Devono essere scrutinate, con priorità, le eccezioni sollevate in rito dalla difesa dell'I.n.p.d.a.p..
1.1 I ricorrenti, tutti congedati dal servizio tra il 1992 ed il 1998, hanno introdotto azione di accertamento in ordine al diritto al riconoscimento dei benefici economici in applicazione degli artt. 117 e 120 del r.d. n. 3458/1928 e della legge n. 539/1950,  riconosciuti al personale in servizio, in relazione a vicenda involgente il rapporto di impiego nella fase del servizio attivo, quale il riconoscimento di invalidità e/o infermità dipendente da causa di servizio.
Ritiene, pertanto, il Collegio che il giudice competente nella introdotta controversia non può essere il giudice contabile, in quanto, ai sensi dell'art. 62, R.D. 1214/1934,  la giurisdizione della Corte dei Conti in materia pensionistica riguarda tutte le questioni concernenti propriamente il diritto a pensione, rimanendo escluse, invece, le questioni relative al rapporto di pubblico impiego, anche nel caso in cui i provvedimenti emessi concernano lo sviluppo dello stesso nel senso del collocamento a riposo,  quale fase conclusiva dello stesso.
Lo spartiacque della competenza del giudice amministrativo va ricercato, dunque, nella pretesa azionata, che rimane salva ove quest'ultima riguardi provvedimenti della Amministrazione di dipendenza, che seppure possano indirettamente influire nella determinazione della pensione, attengono pur sempre ad una fase, ancorché conclusiva, del rapporto di lavoro.
Diversamente, rientrano nella giurisdizione esclusiva del giudice contabile le controversie che concernono con immediatezza, anche nella misura, il modificarsi del diritto a pensione,  con riferimento tanto alla liquidazione del trattamento pensionistico, quanto a quelle relative alla determinazione della base pensionabile. (c.fr. Cons. di Stato, VI Sez., 10 aprile 2002, n. 1958; CGARS, 4 luglio  2005, n. 418)
Nel caso in esame, per quanto sopra esposto, l'accertamento del diritto agli aumenti periodici dello stipendio attengono ad una fase procedimentale prodromica a quella concernente il diritto al pensionamento dei ricorrenti, ancorché tale riconoscimento avrebbe poi inevitabili riflessi nel computo del trattamento pensionistico tout court.
Non ha pregio, pertanto, l'eccezione sul punto sollevata.
1.2 E' invece meritevole di positiva considerazione l'eccezione di prescrizione quinquennale del diritto azionato, come spiegata dalla difesa dell'Inpdap, relativamente ai ricorrenti P.G., B.L. e L.R..
E' ormai principio pacifico in giurisprudenza che, ai sensi degli artt. 1, I comma, e 20, II comma, della legge 29/12/1973, n. 1032, il diritto di percepire, in tutto od in parte, l'indennità di buonuscita si prescrive nel termine di cinque anni, decorrente dalla data di collocamento a riposo del dipendente (Cons. Stato, Sez. VI, 26/4/2005, n. 1878; Sez. VI, 28/2004, n. 4571; Sez. VI, 22/4/2004, n. 2324); che detto termine prescrizionale trova applicazione  anche per gli accessori del credito principale, e cioè interessi e rivalutazione monetaria (Cons. Stato, sez. VI, 5 agosto 2005, n. 4134); infine, che, per superare l'eccezione di prescrizione, gli aventi diritto debbono allegare e provare la presenza di atti interruttivi della prescrizione, ma un siffatto valore non può essere attribuito agli  atti di liquidazione della buonuscita, che sono atti dovuti con cui il debitore estingue
la propria obbligazione (Cons. Stato, Ad. Plen., 22 dicembre 2004, n. 13).
Nel caso di specie, è pacifico tra le parti che i  sopra indicati ricorrenti sono stati collocato a riposo, rispettivamente, l'8.04.1993, il 31.12.1994 ed il 28.02.1992, e, pertanto, il ricorso, notificato nel 1999, senza che sia stata data prova di alcun atto interruttivo, risulta azionato ben oltre il termine di prescrizione quinquennale.
A tanto consegue l'accoglimento dell'eccezione sul punto formulata dalla difesa dell'Inpdap.
2. Con il gravame in esame le parti ricorrenti introducono azione di accertamento in ordine al diritto ai benefici di cui agli artt. 117 e 120 del r. d. 31.12.1928, n. 3458, lamentando, in sostanza, che illegittimamente l'intimata Amministrazione della Difesa avrebbe ristretto l'ambito di applicazione della normativa de qua, giusta direttiva n. 6084/142/97 del 16.06.1997, al solo personale militare che al momento della relativa domanda fosse ancora in servizio,  con esclusione, dunque, di quello in congedo, quali essi ricorrenti, creando illogiche situazioni di disparità di trattamento legate ai tempi  di presentazione dell'istanza.
Reclamano, pertanto, l'accertamento del diritto ai benefici de quibus in ragione della sussistenza dell'unico requisito richiesto dalla pertinente normativa, e cioè, il riconoscimento di una malattia o infermità dipendente da causa di servizio.
Il ricorso non può essere accolto.
Gli artt. 117 e 120 del r. d. 3458/28, di cui è invocata l'applicazione, hanno introdotto la concessione dell'abbreviazione di due, o di un anno, dell'anzianità di servizio, agli effetti della determinazione dello stipendio, in favore dei mutilati o invalidi di guerra, in relazione ad infermità ascritte alle differenti categorie di cui alla tabella annessa al decreto luogotenenziale 20 maggio 1917, n. 876, ovvero di cui agli artt. 100 e 101 del regio decreto 21 febbraio 1895, n. 70.
Con legge 15 luglio 1950, n. 539,  i benefici spettanti, secondo le vigenti disposizioni, ai mutilati ed agli invalidi di guerra, nonché ai congiunti dei caduti in guerra, si applicano anche ai mutilati ed invalidi per servizio ed ai congiunti dei  caduti per servizio.
Agli effetti della legge 539/50 si considerano mutilati od invalidi per servizio coloro che alle dirette dipendenze dello Stato e degli enti locali territoriali e istituzionali, hanno contratto, in servizio e per causa di servizio militare o civile, debitamente riconosciuta, mutilazioni od infermità ascrivibili ad una delle categorie di cui alla tabella A, annessa alla legge 19 febbraio 1942, n. 137.
Quanto all'oggetto dell'equiparazione di cui all'art. 1, legge in esame, è fuor di dubbio che riguardi anche tutte le  pregresse norme, purché vigenti, tra cui dunque anche quelle di cui al R.D. 3458/1928.
Peraltro, il beneficio dell'aumento convenzionale  dell'anzianità, di cui si controverte, spetta solo a coloro per i quali  il riconoscimento dell'infermità e la sua iscrizione a categoria siano avvenuti in costanza di servizio, essendo insufficiente che detta infermità sia stata contratta in servizio.
Pure dovendosi dare atto di un indirizzo giurisprudenziale secondo cui il diritto all'anticipazione delle progressioni stipendiali sorge dal momento in cui si è verificata la condizione giuridica prevista dalla legge - id est, avvenuto riconoscimento della dipendenza da causa di servizio delle infermità, nonché l'ascrivibilità delle stesse ad una delle categorie ivi indicate -  senza che rilevi, al riguardo, la costanza in servizio o meno del dipendente, dovendo essere ricondotta la realizzazione della fattispecie  all'unico presupposto giuridico richiesto, (cfr. Tar Lazio, Sez. I bis,  n. 2560/2003; Cons. Stato, Sez. I, parere n. 1399 del 2009) il Collegio  ritiene di aderire all'indirizzo più rigoroso, in quanto più aderente all'espresso dettato di legge e ai principi regolanti la materia (cfr. Cons. di Stato, sez. IV, 8 giugno 2010, n. 3591).
La consolidata giurisprudenza ritiene che l'esercizio di poteri tecnicodiscrezionali nell'attività di riconoscimento della dipendenza delle infermità da causa di servizio qualifica la relativa attività di accertamento costitutivo, mentre l'inerenza di tali poteri all'interesse pubblico alla corretta spendita del pubblico denaro e alla legittimità dell'organizzazione amministrativa oltre che al buon andamento dell'attività amministrativa depongono verso la qualificazione della posizione giuridica soggettiva del dipendente di interesse legittimo nei confronti dell'accertamento dell'effettiva esistenza dello stato morboso, della sua capacità invalidante e del nesso eziologico fra la malattia e la prestazione. (cfr. Cons. di Stato, VI Sez. n. 2644 del 2002).
Tanto precisato, il momento discriminante, in relazione al quale va verificata la costanza del rapporto, è quello del riconoscimento della dipendenza e della sua ascrizione a tabella, trattandosi di attività che qualifica costitutivamente in senso giuridico una realtà prima solamente fattuale.
Alla stregua di quanto ora rilevato, una corretta interpretazione dell' art. 117 r.d. n. 3458/1928 induce a ritenere che l'infermità deve essere effettivamente ascritta a  tabella in costanza di servizio, non essendo sufficiente la mera teorica ascrivibilità della stessa: quindi i pareri degli organi consultivi che ascrivono le infermità dipendenti ad una delle categorie normativamente previste in tab. A devono intervenire prima del collocamento in congedo.
Né rileva, al riguardo, il dato testuale di cui all'art. 117, r.d. 3458/1928,  che contempla nell'ambito dei beneficiari dell'abbreviazione temporale agli effetti della determinazione stipendiale tanto gli ufficiali in servizio permanente quanto quelli delle categorie in congedo, atteso che, dalla lettura congiunta dei successivi artt. 119 (per gli ufficiali) e 120 (per i sottufficiali) si evince che il riconoscimento della dipendenza a favore del personale in posizione di congedo - ausiliaria, riserva etc. - permette l'attribuzione del beneficio unicamente al momento del richiamo in servizio attivo con assegni.
3. Conclusivamente, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile nei confronti di P.G., B.L. e L.R.; nei confronti dei restanti ricorrenti il ricorso deve essere respinto
Sussistono, peraltro, sufficienti motivi per disporre la compensazione delle spese di giudizio tra le parti costituite.P.Q.M.
Il  Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Sezione Terza Ter, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, in parte lo dichiara inammissibile e, in parte, lo respinge, nei limiti di cui in motivazione.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.