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lunedì 19 settembre 2011
MALTEMPO: METRO 'A' DI ROMA, 6 STAZIONI CHIUSE, TRENI NON FERMANO
MALTEMPO: METRO 'A' DI ROMA, 6 STAZIONI CHIUSE, TRENI NON FERMANO =
(AGI) - Roma, 19 set. - Sei stazioni della metropolitana 'A' di
Roma sono chiuse a causa delle forti piogge di stanotte. I
treni non effettuano le fermate di San Giovanni, Ponte Lungo,
Colli Albani, Porta Furba, Numidio Quadrato e Lucio Sestio. Il
resto del servizio prosegue regolarmente. (AGI)
com/Mld
190711 SET 11
NNNNMALTEMPO: METRO 'A' DI ROMA, 6 STAZIONI CHIUSE, TRENI NON FERMANO (2)=
(AGI) - Roma, 19 set. - Sempre a causa del maltempo, Agenzia
per la mobilita' rende noto che e' stato ripristinato il
servizio della linea ferroviaria Termini-Giardinetti,
interrotto precedentemente a causa del malfunzionamento del
semaforo di Porta Maggiore. Per quanto riguarda i bus: il
servizio e' rallentato in via Prenestina, tratta Togliatti-Gra,
sempre per allagamento della sede stradale che e' comunque
transitabile. Per le sei stazioni chiuse della metro A tra le
fermate Giulio Agricola e Travertino e' stato attivato un
servizio di bus di supporto. La stazione Numidio Quadrato e'
chiusa solo in direzione Battistini.(AGI)
com/Mld
190721 SET 11
NNNN
TAR "...Il TAR Campania, con la sentenza in commento, ha annullato il provvedimento emesso dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti avente ad oggetto la sospensione a tempo indeterminato della patente di guida del ricorrente. ..."
T.A.R.
Campania - Napoli
Sezione V
Sentenza 19 maggio - 8 giugno 2011, n. 3008
Campania - Napoli
Sezione V
Sentenza 19 maggio - 8 giugno 2011, n. 3008
N. 03008/2011 REG.PROV.COLL.
N. 02200/2011 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANAN. 02200/2011 REG.RIC.
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania
(Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2200 del 2011, proposto da:####################, rappresentato e difeso dall’Avv. -
contro
MINISTERO DELE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI - DIREZIONE GENERALE PER LA MOTORIZZAZIONE - UFFICIO PROVINCIALE DI NAPOLI, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso ex lege dall’Avvocatura Distrettuale dello stato di Napoli, presso la cui sede alla Via A. Diaz, n. 11 domicilia per legge;
per l’annullamento
del provvedimento n. prot. 0912-10/SR/VII di sospensione a tempo indeterminato della patente di guida n. n. VR5420206N categoria B, emesso dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti - Direzione Generale della Motorizzazione - Ufficio Provinciale di Napoli in data 3.11.2010 e notificato alla figlia minore del ricorrente in data 11.3.2011.
VISTO il ricorso con i relativi allegati;
VISTO l’atto di costituzione in giudizio dell’intimata Amministrazione;
VISTI gli atti tutti della causa;
VISTO l’art. 60 cod. proc. amm.;
VISTA la domanda di sospensione dell’esecuzione del provvedimento impugnato;
UDITA alla Camera di Consiglio del 19 maggio 2011 la relazione del cons. dr. Cernese;
RITENUTO in fatto e CONSIDERATO in diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Preliminarmente il giudizio può essere definito con decisione in forma
semplificata, come rappresentato ai difensori delle parti costituite, presenti
alla Camera di Consiglio del 19 maggio 2011, ai sensi dell’art. 60 cod. proc.
Amm., in luogo dell’ordinanza sull’istanza cautelare, essendo ciò consentito
dall’oggetto della causa, dall’integrità del contraddittorio e dalla completezza
dell’istruttoria; tanto perché il ricorso è manifestamente fondato.2. Esso - notificato il 21.3.2011 e depositato il 21.4.2011 - è rivolto avverso il provvedimento emesso dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti - Direzione Generale Territoriale del Centrosud nei confronti di #################### con cui, sul presupposto di non aver dato seguito al provvedimento n. R.A. - 001743 dell’11.2.201 con cui era stata disposta la revisione della patente di guida in sua titolarità, si dispone la sospensione a tempo indeterminato della patente di guida n. VR5420206N categoria B in sua titolarità.
3. Il ricorso è fondato in relazione alle assorbenti censure di carenza di motivazione (seconda censura) e di violazione dell’art. 7 L. n. 241/1990 per mancata comunicazione di avvio del procedimento (terza censura).
Il ricorrente, in particolare, lamenta che all’impugnato provvedimento di sospensione a tempo indeterminato della patente (conseguente alla circostanza di non essersi sottoposto nel termine prescritto ad un nuovo esame di idoneità tecnica presso un Ufficio Provinciale della Motorizzazione Civile) si era pervenuti, a seguito di alcune infrazioni al Codice della Strada che aveva comportato la decurtazione di punteggio sulla patente di guida in sua titolarità, senza alcuna contestazione delle violazioni commesse, senza le successive “obbligatorie” comunicazione di perdita di punti da parte del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti e, soprattutto, senza la comunicazione ai sensi dell’art. 126 bis comma VI Nuovo Codice della Strada.
4. Nella fattispecie si ritiene di dover censurare il comportamento tenuto dall’Amministrazione resistente nella misura in cui ha violato non solo l’art. 126-bis, commi 2, 3 e 6 del D.L. vo n. 285 del 1992 in combinato disposto con l’art. 6, comma 1, del D.M. 29 luglio 2003, ma anche la complessiva ratio sottesa al meccanismo della patente a punti, atteso che - come fondatamente dedotto da parte ricorrente - gli è stata preclusa la possibilità di partecipare al corso per il recupero di almeno sei punti necessario e sufficiente al fine di evitare la revisione della patente, alla stregua di quanto previsto dall’art. 126 bis, comma 4, del D.L. vo 30.4.1992, n. 285.
5. Con particolare riferimento ai rapporti tra l’Anagrafe Nazionale degli Abilitati alla Guida ed il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti la normativa prevede uno stringente procedimento allo scopo di assicurare, non solo lo scambio ed il tempestivo aggiornamento delle informazioni relativamente alla situazione dei punti inerenti ad ogni patentato, ma anche il tempestivo coinvolgimento, a pieno titolo, di quest’ultimo.
In particolare, l’art. 126 bis del D.L. vo 30 aprile 1992, n. 285, introdotto dall’art. 7 del D. L. vo 15 gennaio 2002, n. 9, al comma 2, prevede che: << L’organo da cui dipende l’agente che ha accertato la violazione, comportante una perdita di punteggio sulla patente di guida, ne dà notizia, nel termine di trenta giorni dalla definizione della contestazione effettuata, all’anagrafe nazionale degli abilitati alla guida.
La contestazione si intende definita quando sia avvenuto il pagamento della sanzione amministrativa pecuniaria o siano conclusi i procedimenti dei ricorsi amministrativi e giurisdizionali ammessi ovvero siano decorsi i termini per la proposizione >>; il successivo terzo comma dispone che: << Ogni variazione di punteggio è comunicata agli interessati dall’anagrafe nazionale degli abilitati alla guida >>.
Ne deriva che una comunicazione cumulativa e finale di più decurtazioni collegate a violazioni diverse nel tempo determina un sostanziale aggiramento della citata normativa ed, in genere, delle norme che il Codice della strada pone a presidio non solo del diritto del privato ad usufruire dei corsi per il recupero dei punti (in modo da ripristinare l’originario punteggio della patente ed evitare il provvedimento di revisione, che è atto gravemente lesivo delle attività del cittadino), ma anche della sicurezza della circolazione.
6. Tale conclusione trova il conforto di giurisprudenza consolidata, secondo la quale: << E’illegittimo il provvedimento con il quale l’Amministrazione comunica uno actu e per la prima volta al titolare di patente di guida che, a causa di infrazioni al Codice dalla strada commesse nel corso di un quinquennio ed in conseguenza della quali si è progressivamente ridotto il suo punteggio di patente, questo deve ritenersi azzerato con conseguente sospensione del titolo abilitativo alla guida ed obbligo di sottoporsi al procedimento di revisione, atteso che questo irregolare modus procedendi l’Autorità emanante ha privato l’interessato della possibilità di frequentare medio tempore gli appositi corsi previsti dal D.M. 29 luglio 2003 ed ha contravvenuto alla finalità alla quale tende la normativa in materia che, con l’obbligo di informare immediatamente l’interessato della disposta decurtazione dei punti di patente collegata a ciascuna violazione, mira a sensibilizzare il titolare della patente a non commettere in futuro ulteriori infrazioni >> (T.A.R. Piemonte, sez. II, 14 gennaio 2010, n. 188, e 28 novembre 2009, n. 3176; T.A.R. Abruzzo, Pescara, sez. I, 8.7.2010, n. 781).
7. La Sezione aveva già in precedenza rilevato come a ritenere legittimo il censurato operato dell’Amministrazione, in buona sostanza, si finirebbe con il vanificare la stessa ragion d’essere dell’istituto della patente a punti, attraverso il quale si è inteso creare un meccanismo volto, mediante l’attivazione di un sistema di afflizione necessaria che può giungere sino alla sospensione della patente di guida (art. 126-bis, comma 6, D.L. vo n. 285 del 1992), a favorire l’educazione degli automobilisti al rispetto delle norme del Codice della Strada; in altri termini la progressiva decurtazione dei punti, collegata a ciascuna violazione commessa dall’utente mira a sensibilizzare il titolare della patente a non commettere ulteriori infrazioni in futuro e a frequentare gli appositi corsi di recupero (disciplinati dal D.M. 29 luglio 2003) al fine di recuperare i punti persi ed allontanare l’eventualità della revisione o, peggio, della sospensione della patente, per cui ad ogni violazione del Codice della strada deve seguire, nei tempi dettati dalla legge, sia la relativa decurtazione di punteggio, sia una specifica ed autonoma comunicazione al contravventore, così da consentire a quest’ultimo di “riparare” alla violazione commessa frequentando gli appositi corsi, allo stesso tempo alimentando il circuito educativo alla conoscenza ed al rispetto del Codice della strada (Cfr: T.A.R. Campania, sez. V, 13.9.2010, n. 17400).
8. Per quanto esibito agli atti del ricorso e non smentito dall’Amministrazione resistente, è proprio questa la mancanza commessa da quest’ultima nel caso di specie, nel senso che non vi è prova dell’avvenuta comunicazione a parte ricorrente delle singole variazioni del punteggio e neanche risulta che al ricorrente siano stati notificati gli atti del Dipartimento dei Trasporti Terrestri di decurtazione e di perdita totale del punteggio, né dal provvedimento impugnato che dispone la sospensione a tempo indeterminato della patente emergono le contestazioni e la definitività delle stesse, pur gravando in capo all’Amministrazione procedente l’obbligo di acquisire, servendosi di tutti i mezzi a disposizione, nonché a mezzo contraddittorio con l’interessato, notizie circa l’esistenza e la definitività dei provvedimenti di decurtazione.
9. Conclusivamente, assorbita ogni altra censura, per le su esposte considerazioni, il ricorso in epigrafe deve essere accolto con conseguente annullamento del provvedimento oggetto di impugnazione, mentre restano ovviamente salve le ulteriori determinazioni dell’Amministrazione da assumersi seguendo un corretto iter procedimentale.
10. Sussistono, comunque, giusti motivi per disporre la compensazione delle spese, mentre resta fermo l’onere di cui all’art. 13 del D.P.R. n. 115/2002, come successivamente modificato, a carico della parte soccombente.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania, Quinta Sezione,
definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe (n. 2200/2011 R.G.)
proposto da ####################, lo accoglie e, per l’effetto, annulla il
provvedimento n. prot. 0912-10/SR/VII con salvezza per gli ulteriori doverosi
provvedimenti amministrativi. Compensa fra le parti le spese, le competenze e gli onorari di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Napoli nella camera di consiglio del giorno 19 maggio 2011 con l'intervento dei magistrati:
Vincenzo Fiorentino, Presidente
Cassazione "...Infortuni sul lavoro: quando il dirigente comunale è responsabile..."
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE
Sentenza 6 giugno 2011, n. 22341
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:Dott. MARZANO Francesco - Presidente
Dott. ZECCA Gaetanino - Consigliere
Dott. MARINELLI Felicetta - Consigliere
Dott. PICCIALLI Patrizia - rel. Consigliere
Dott. MONTAGNI Andrea - Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
1) -
avverso la sentenza n. 2617/2009 CORTE APPELLO di FIRENZE, del 19/02/2010;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 21/04/2011 la relazione fatta dal Consigliere Dott. PATRIZIA PICCIALLI;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Delehaye Enrico, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito il difensore avv. Pariconti Manuela, in sostituzione dell'avv. Lostrucci Francesco, che ha concluso per l'accoglimento del ricorso.
Fatto
#################### #################### ricorre avverso la sentenza di cui in epigrafe che, nel riformare in melius quella di primo grado quanto al trattamento sanzionatorio, ha affermato la sua responsabilità, nella qualità di dirigente comunale, responsabile del settore Lavori Pubblici del Comune di (Omissis), per un infortunio sul lavoro (omicidio colposo in danno dell'operaio #################### #################### ), unitamente ad altro imputato, Mo., (non ricorrente), che aveva investito il ####################
Trattavasi di infortunio verificatosi all'interno del magazzino della sede del reparto cantonieri del Comune di (Omissis): il Mo. , dopo aver trasportato con un escavatore all'interno del locale una fresa, nell'effettuare la manovra di uscita dal magazzino, ostacolata dalla presenza di altro ingombrante automezzo, con la benna agganciata al braccio posteriore del mezzo, lasciato semiaperto, colpiva il #################### , che rimaneva schiacciato tra la benna e lo spigolo della colonna destra del portone, riportando lesioni mortali.
Per quanto interessa, l'addebito formalizzato e ritenuto a carico della Be. era concretizzato nel fatto che questa, violando gli obblighi derivati dalla suddetta qualità, aveva omesso l'adozione di cautele, ivi compresa la segnaletica, per evitare la pericolosa interferenza tra movimenti di persone e mezzi (ex Decreto del Presidente della Repubblica n. 547 del 1955, articolo 8 e articolo 14, comma 8).
L'ulteriore addebito era la violazione del Decreto Legislativo n. 626 del 1994, articolo 35, comma 4, lettera b), per avere omesso di adottare le misure tecniche ed organizzative necessarie ad impedire che le attrezzature (nella specie l'escavatore) potessero essere utilizzate per operazioni ad essi inadatte).
Era accertato che spesso i mezzi tornavano nel deposito per il prelievo di attrezzi o pezzi di ricambio o per rifornimenti di carburante e che il problema della interferenza tra mezzi e pedoni era stato rappresentato all'imputata dal responsabile del servizio di prevenzione e sicurezza, il quale ne aveva rilevato il rischio e lo aveva evidenziato nelle relazioni inoltrate all'Amministrazione comunale.
Era, altresì, accertato il nesso causale tra la violazione delle norme cautelari sopra indicate e l'evento, sostenendo, in particolare, che se vi fosse stata la porta prevista dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 547 del 1955, articolo 14, comma 8, riservata all'uscita dei pedoni, il #################### si sarebbe trovato oltre la colonna del portone ed avrebbe avuto la possibilità di uscire dal deposito senza interferire con la manovra effettuata dal Mo. .
Con il ricorso si censura il giudizio di responsabilità.
Si sostiene la manifesta illogicità della motivazione con riferimento alla ritenuta violazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 547 del 1955, articoli 8 e 14, innanzitutto sul rilievo del travisamento della prova testimoniale afferente le dichiarazioni rese dal responsabile del servizio di prevenzione e protezione.
Sul punto, si sostiene che la Corte territoriale, travisando la prova, avrebbe omesso di considerare che la relazione indirizzata all'Amministrazione comunale, alla quale il teste aveva fatto riferimento, risaliva al (Omissis), precedente all'incidente, e che la Be. , come dichiarato dallo stesso teste, vi aveva dato pronto riscont#################### Quanto all'addebito della omessa adozione della segnaletica, il medesimo teste aveva dichiarato di non avere mai fatto presente all'imputata della necessità della segnaletica perchè della segnaletica non ve ne era bisogno, in quanto quei pochi lavoratori che si trovavano occasionalmente a far accesso al deposito passavano sempre dagli accessi situati sulla parte opposta del capannone, contrariamente a quanto desunto dai giudici di appello dalle prove testimoniali acquisite, delle quali si sostiene il travisamento. Conferma in tal senso si rinviene nelle conclusioni cui era prevenuta l'AUSL, che non aveva impartito alcun a prescrizione dopo l'incidente. D'altra parte, l'obbligo di segnaletica e di portoncino pedonale previsto dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 547 del 1955, articolo 8, comma 5 e articolo 14, comma 8 è subordinato, secondo la tesi difensiva, all'esigenza che l'accesso dei pedoni non sia altrimenti sicu####################
Si sostiene la manifesta illogicità della motivazione anche con riferimento alla ritenuta violazione del Decreto Legislativo n. 626 del 1994, articolo 35 perchè da una parte la sentenza afferma la sufficienza della formazione approntata dall'imputata ai dipendenti in ordine alla movimentazione dei mezzi e, dall'altra, ritiene insufficienti le misure predisposte per prevenire il rischio che i dipendenti utilizzassero detti mezzi in modo non corrispondente alle loro caratteristiche.
Si contesta la manifesta illogicità della motivazione anche con riferimento al ritenuto nesso di causalità tra la dedotta violazione e l'evento sul rilievo che l'incidente si era verificato non durante l'impropria operazione di trasporto della fresa ma quando la fresa era stata già riposta.
Si sostiene l'abnormità delle condotte del coimputato Mo. , già condannato, e della vitti#################### In tal senso viene evidenziato che l'operazione di trasporto della fresa non era stata richiesta, era stata eseguita con un mezzo inidoneo, pur essendo a disposizione quello idoneo, che l'ingresso del l'escavatore nel capannone era vietato, che il mezzo era stato fatto circolare con il braccio inutilmente ed incautamente aperto.
Con il secondo motivo di deduce la manifesta illogicità della motivazione con riferimento alla riconducibilità delle violazioni, se pure ritenute sussistenti, all'imputata, sulla base della sola assunzione della carica di dirigente del servizio. Si evidenzia, inoltre, che la Be. era stata soltanto uno dei 45 dirigenti succedutisi dal 2001 e che, come emergeva dalla stessa sentenza, si era sempre premurata che ai lavoratori fosse stata fornita idonea formazione.
Diritto
Il ricorso è infondato.La prima questione da trattare, in ordine logico, è quella attinente alla individuazione della posizione di garanzia dell'imputata, contestata con il secondo motivo.
Ritiene il Collegio che il giudice di merito abbia fatto corretta applicazione della legge. Sul punto è sufficiente ricordare che, per quanto riguarda gli enti locali territoriali, in particolare il Comune, le responsabilità penali connesse alla violazione delle norme che l'ente è tenuto ad osservare sono ripartite tra gli organi elettivi e quelli burocratici secondo le rispettive attribuzioni quali ricostruite nella disciplina di settore. A tal fine, il Decreto Legislativo 18 agosto 2000, n. 267, articolo 107 (testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali) distingue tra i poteri di indirizzo e di controllo politico-amministrativo, demandati agli organi di governo degli enti locali, e compiti di gestione amministrativa, finanziaria e tecnica, attribuiti ai dirigenti, cui sono conferiti autonomi poteri di organizzazione delle risorse, strumentali e di controllo, compreso quello di adottare atti - non riservati espressamente dalla legge o dallo statuto agli organi di governo dell'ente - che impegnano l'amministrazione verso l'esterno.
Da tale assetto normativo, per quanto qui interessa, deve desumersi che le attività attribuite ai dirigenti amministrativi rientrano in una sfera di competenza primaria, diretta ed esclusiva, rispetto alle quali il Sindaco esercita soltanto un potere di sorveglianza e di controllo collegato ai compiti di programmazione, che gli appartengono quale capo dell'amministrazione comunale, ed alle funzioni di ufficiale di governo, legittimato all'adozione di ordinanze contingibili ed urgenti (cfr., ad esempio, Sezione 3, 7 maggio 2002, Proc. gen. App. Messina ed altro in proc. Pino ed altri).
Nè risulta dagli atti che l'imputata abbia contestato il decreto sindacale del 2 aprile 2001 n. 6 con il quale, nella qualità di dirigente comunale, responsabile del settore lavori pubblici del Comune di (Omissis), le era stata attribuita la posizione di datore di lavoro del reparto cantonieri del medesimo Comune; nè emerge che la funzionaria preposta abbia inutilmente invocato l'intervento degli organi politici, prospettando, ad esempio, difficoltà e/o carenze di natura economico-finanziaria, desolo gli organi politici potevano affrontare e risolvere, sì da poterne dedurre un coinvolgimento colpevole di questi ultimi (ex articolo 40 c.p., comma 2) nell'inadempienza del primo (cfr. per riferimenti, Sezione 3, 28 maggio 2001, Figlia).
Ciò premesso, corretto e congruamente motivato appare il giudizio sulla responsabilità.
La prima doglianza è infondata, per la ragione che evoca una ricostruzione "in fatto" della stato dei luoghi ove si è verificato l'incidente, ampiamente contraddetta, con motivazione immune da censure di illogicità, dal giudice di merito, tra l'altro in modo coerente con la conforme statuizione di primo grado.
Si evoca un travisamento della prova, basato su alcuni, parziali passaggi di deposizione testimoniale, dimenticando il principio in forza del quale, in tema di ricorso per cassazione, alla luce della nuova formulazione dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), come modificato dalla Legge 20 febbraio 2006, n. 46, è sì sindacabile il vizio di "travisamento della prova", che si ha quando nella motivazione si fa uso di un dato di conoscenza considerato determinante, ma non desumibile dagli atti del processo, o quando si omette la valutazione di un elemento di prova decisivo sullo specifico tema o punto in trattazione, tuttavia tale vizio può essere fatto valere nell'ipotesi in cui l'impugnata decisione abbia riformato quella di primo grado, ma non nel caso in cui la sentenza di appello abbia confermato l'anteriore decisione (cosiddetta "doppia conforme"), posto in questo caso il limite posto dal principio devolutivo, che non può essere valicato, con coeva intangibilità della valutazione di merito del risultato probatorio, se non nell'ipotesi in cui il giudice di appello abbia individuato - per superare le censure mosse al provvedimento di primo grado - atti o fonti conoscitive mai prima presi in esame, ossia non esaminati dal primo giudice (Sezione 6, 10 maggio 2007, Contrada).
Qui si è in presenza di una ricostruzione convergente, in primo e secondo grado, mentre il ricorso, al di là del richiamo al preteso travisamento, si limita a proporre una diversa e parziale lettura di alcuni elementi di prova, in termini improponibili in sede di legittimità.
In questa ottica non può trovare accoglimento la pretesa diversa ricostruzione della situazione dei luoghi ove si verificò l'incidente, secondo la quale erano state poste in essere le misure idonee a prevenire il rischio connesso al transito dei veicoli all'interno del capannone segnalati dal responsabile della prevenzione già nel 2001 all'amministrazione comunale. In particolare il riferimento è alla mancanza di una segnaletica che indirizzasse i pedoni in uscita dal deposito verso la porta posta accanto al cancello sul lato opposto rispetto a quello ove si è verificato il sinistro e la realizzazione di una porta riservata ai pedoni immediatamente accanto allo stesso portone destinato alla circolazione dei veicoli.
Ne deriva l'incensurabilità della determinazione afferente l'intervenuta violazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 547 del 1955, articoli 8 e 14.
Analoghe considerazioni valgono con riferimento alla ritenuta violazione di cui al Decreto Legislativo n. 626 del 1994, articolo 35, comma 4.
Come evidenziato dalla Corte territoriale, la presenza del muletto nel deposito non associata alla predisposizione di procedure operative che esigessero l'uso del muletto come mezzo di sollevamento e l'utilizzo dell'escavatore solo per le funzioni proprie del mezzo non esclude la violazione contestata. La norma, infatti, fa obbligo al datore di lavoro, non solo di mettere a disposizione dei lavoratori attrezzature adeguate al lavoro da svolgere ma anche di adottare le misure tecniche ed organizzative necessarie ad impedire che le attrezzature possano essere utilizzate per operazioni alle quali sono inadatte. Nello stesso senso, appare utile sottolineare come l'utilizzo improprio dell'escavatore da parte del Mo. fosse riconducibile non ad una imprevedibile determinazione del lavoratore ma ad una prassi quantomeno tollerata, visto che, come emerge dalla sentenza, nel trasportare la fresa quel giorno il Mo. passò davanti all'ufficio del coordinatore, senza essere fermato.
Quanto all'addebitabilità delle citate violazioni alla prevenuta, una volta accertata la qualifica soggettiva della stessa nei termini sopra indicati, va certamente ricordato che, in tema di reato colposo, per poter addebitare un evento ad un determinato soggetto occorre accertare non solo la sussistenza del "nesso causale materiale" tra la condotta (attiva od omissiva) dell'agente e l'evento, ma anche la cosiddetta "causalità della colpa", rispetto alla quale assumono un ruolo fondante la prevedibilità e l'evitabilità del fatto. Infatti, la responsabilità colposa non si estende a tutti gli eventi che comunque siano derivati dalla violazione della norma, ma è limitata ai risultati che la norma stessa mirava a "prevenire". Inoltre, poichè, come afferma l'articolo 43 c.p., per aversi colpa, l'evento deve essere stato causato da una condotta soggettivamente riprovevole, il nesso eziologico non si configura quando una condotta appropriata (il cosiddetto comportamento alternativo lecito) non avrebbe comunque "evitato" l'evento: potendosi quindi formalizzare l'addebito solo quando il comportamento diligente avrebbe certamente evitato l'esito antigiuridico o anche solo avrebbe determinato apprezzabili, significative probabilità di scongiurare il danno. Così come va ricordato che il giudizio sulla prevedibilità va evidentemente sviluppato ex ante, ponendosi nella prospettiva dell'agente.
Ebbene, la sentenza si è posta in questa prospettiva ermeneutica, allorquando ha analizzato i rapporti tra la "colpa" della prevenuta e l'evento derivatone, in termini tali da giustificare sia la prevedibilità che l'evitabilità dell'evento. A ben vedere, le regole cautelari violate (secondo il ragionamento del giudicante) miravano proprio a prevenire eventi del tipo di quello verificatosi: la regolamentazione di quell'area ove si è verificato l'incidente si imponeva proprio al fine di evitare il rischio dell'interferenza tra mezzi e pedoni.
In questa prospettiva non irragionevole è l'esclusione della interruzione del nesso causale per l'abnormità ed imprevedibilità del comportamento dei lavorato####################
E' vero che in talune ipotesi, si è precisato che la responsabilità del datore di lavoro non si estende anche agli infortuni addebitabili all'imprudenza del lavoratore, quando la condotta la condotta imprudente risulti del tutto imprevedibile, determinando un rischio non governabile: in tale evenienza non può formalizzarsi alcun addebito al datore di lavoro, risultando la condotta abnormemente imprudente quale causa esclusiva dell'evento dannoso (v. Sezione 4, 10 novembre 209, Iglina ed altri, rv. 246695).
Ma tale assunto non può valere allorquando l'evento è imputabile anche alla colpa del datore di lavoro, che è il presupposto del giudizio di responsabilità.
Infatti, per l'addebito dell'infortunio al datore di lavoro è sempre inevitabilmente necessario che questo sia da ricondurre, comunque, anche in presenza dell'imprudenza del lavoratore, alla mancanza o insufficienza di quelle cautele che, se adottate, sarebbero valse a neutralizzare proprio il rischio del comportamento imprudente e eziologicamente ricollegato alla verificazione dell'incidente (efficacemente, in tal senso, Sezione 4, 21 ottobre 2008, Petrillo, non massimata).
Principio questo puntualmente rispettato dai giudici di merito nel caso in esame.
Segue, a norma dell'articolo 616 c.p.p., la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
CARABINIERE TRADITO DA MOGLIE CHIEDE I DANNI PER LE 'CORNA'
ZCZC0566/SXB
OBZ98433
R CRO S0B QBXB
CARABINIERE TRADITO DA MOGLIE CHIEDE I DANNI PER LE 'CORNA'
25 MILA EURO PER DEPRESSIONE E 25 MILA PER SPESE NOZZE
(ANSA) - TRENTO, 18 SET - Pochi mesi dopo le nozze piuttosto
sfarzose, per le quali aveva speso 25 mila euro, lo sposo si e'
accorto che la moglie lo tradiva ed ha ora chiesto al giudice il
rimborso di quanto speso e 25 mila euro per lo stress
psicologico patito. E' accaduto a Trento.
Protagonista della vicenda, raccontata dal quotidiano
L'Adige, un carabiniere di 31 anni. Le nozze erano state
festeggiate a settembre di due anni fa. Per necessita' di
servizio l'uomo abitava in Trentino, mentre la moglie di 35 anni
era rimasta nella casa paterna in Lombardia. Dopo i primi
sospetti, il carabiniere decide di far pedinare la donna da suo
padre e scopre l'infedelta' della moglie. Da qui la causa, alla
quale e' allegata una corposa documentazione sanitaria che
dimostra i danni da stress psicologico e depressione conseguenti
all'infedelta' della sposa. (ANSA).
TT
18-SET-11 11:32 NNNN
OBZ98433
R CRO S0B QBXB
CARABINIERE TRADITO DA MOGLIE CHIEDE I DANNI PER LE 'CORNA'
25 MILA EURO PER DEPRESSIONE E 25 MILA PER SPESE NOZZE
(ANSA) - TRENTO, 18 SET - Pochi mesi dopo le nozze piuttosto
sfarzose, per le quali aveva speso 25 mila euro, lo sposo si e'
accorto che la moglie lo tradiva ed ha ora chiesto al giudice il
rimborso di quanto speso e 25 mila euro per lo stress
psicologico patito. E' accaduto a Trento.
Protagonista della vicenda, raccontata dal quotidiano
L'Adige, un carabiniere di 31 anni. Le nozze erano state
festeggiate a settembre di due anni fa. Per necessita' di
servizio l'uomo abitava in Trentino, mentre la moglie di 35 anni
era rimasta nella casa paterna in Lombardia. Dopo i primi
sospetti, il carabiniere decide di far pedinare la donna da suo
padre e scopre l'infedelta' della moglie. Da qui la causa, alla
quale e' allegata una corposa documentazione sanitaria che
dimostra i danni da stress psicologico e depressione conseguenti
all'infedelta' della sposa. (ANSA).
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18-SET-11 11:32 NNNN
Cassazione "...Corte d'Appello di Roma accoglieva il gravame svolto da #################### contro la sentenza di primo grado che aveva rigettato la domanda proposta nei confronti della #################### s.r.l. per il riconoscimento della qualifica dirigenziale o, in subordine, di quadro, l'accertamento della giusta causa delle dimissioni e la condanna al pagamento dell'indennità sostitutiva del preavviso e delle differenze sul TFR, al risarcimento del danno per dequalificazione professionale, danno biologico, morale e per mobbing; infine, per differenze retributive con condanna della #################### s.r.l. in solido con la #################### s.r.l....
LAVORO (RAPPORTO DI)
Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 07-07-2011, n. 14977
Fatto Diritto P.Q.M.
Svolgimento del processo
1. Con sentenza del 1 settembre 2006, la Corte d'Appello di Roma accoglieva il gravame svolto da #################### contro la sentenza di primo grado che aveva rigettato la domanda proposta nei confronti della #################### s.r.l. per il riconoscimento della qualifica dirigenziale o, in subordine, di quadro, l'accertamento della giusta causa delle dimissioni e la condanna al pagamento dell'indennità sostitutiva del preavviso e delle differenze sul TFR, al risarcimento del danno per dequalificazione professionale, danno biologico, morale e per mobbing; infine, per differenze retributive con condanna della #################### s.r.l. in solido con la #################### s.r.l.
2. La Corte territoriale puntualizzava che :
- la pretesa di J. concerneva il riconoscimento, in relazione alle mansioni svolte nel corso del rapporto di lavoro intercorso con la s.r.l ####################, della qualifica di dirigente o, in subordine, di quadro, a decorrere dal 4 gennaio 1991; l'accertamento della giusta causa delle dimissioni dalla s.r.l ####################, con conseguente condanna di quest'ultima al pagamento dell'indennità di preavviso; il risarcimento del danno conseguente alla dequalificazione subita, nonchè del mobbing sofferto ad opera del datore di lavoro;
l'accertamento che i compensi erogatigli dalla s.r.l ####################, società controllata dalla formale datrice di lavoro s.r.l ####################, erano parte integrante della retribuzione corrispostagli da quest'ultima, con conseguente condanna della stessa al pagamento alle differenze retributive dovutegli in relazione alla tredicesima ed alla quattordicesima mensilità, nonchè al TFR;
alla stregua delle declaratorie contrattuali, le mansioni in concreto svolto da J. erano riconducibili al 6 livello come emerso dal testimoniale acquisito alla causa;
- le mansioni assegnate con lettera del 18 novembre 1998, di ispettore con compiti di visite periodiche e relazioni settimanali in ordine al rispetto delle procedure interne da parte dei preposti alle sale cinematografiche, pur difformi da quelle precedentemente svolte, non determinavano alcuna dequalificazione per essere formalmente riferibili al livello di inquadramento e tali da utilizzare ed arricchire il patrimonio professionale acquisito con la precedente attività;
esclusa la dedotta dequalificazione, le dimissioni non risultavano assistite da giusta causa, onde l'infondatezza della richiesta della relativa indennità di preavviso;
- non risultavano azioni dal carattere persecutorio o discriminatorio, tali caratteri non rinvenendosi nè nell'aggressione verbale, rilevante ad altri fini, nè nel mutamento dell'ambiente di lavoro in favore di una collocazione più angusta e meno confortevole in difetto di elementi aliunde acquisiti, non potendo, a tal fine rilevare un'aggressione verbale;
- nessuna pretesa risarcitoria poteva, pertanto, riferirsi al dedotto mobbing, nè sussisteva nesso eziologico tra l'aggressione verbale e la patologia vascolare sofferta;
- j., sebbene legato da un rapporto di lavoro con la s.r.l.
Radio filmusica non aveva in concreto mai espletato attività lavorativa nè attività libero professionale in favore della predetta società e il compenso da questa formalmente corrisposto doveva imputarsi a corrispettivo della prestazione lavorativa in favore della s.r.l. ####################, onde le differenze retributive richieste in giudizio andavano esaminate tenuto conto delle somme complessivamente percepite da parte di entrambe le società. 5. Avverso l'anzidetta sentenza della Corte territoriale, #################### s.r.l., in persona del legale rappresentate pro-tempore, ha proposto ricorso per cassazione fondato su due motivi. Radio filmusica s.r.l., in persona del legale rappresentate pro-tempore, ha resistito con controricorso, illustrato con memoria. #################### ha resistito con controricorso, eccependo l'inammissibilità ed infondatezza del
ricorso e ha proposto ricorso incidentale, fondato su due motivi.
Entrambe le società hanno resistito con controricorso, eccependo l'inammissibilità ed infondatezza del ricorso incidentale.Motivi della decisione
4. Preliminarmente va disposta la riunione dei ricorsi, ex art. 335 c.p.c., perchè proposti avverso la medesima sentenza.
5. Con il primo motivo di ricorso la ricorrente denuncia erronea interpretazione della L. n. 1369 del 1960, art. 1 e art. 1414 c.c.;
erronea applicazione dei principi di cui agli artt. 1362 e ss. c.c.;
illogicità della motivazione per erronea imputazione alla #################### s.r.l. delle erogazioni effettuate a J. dalla società Radio filmusica (art. 360 c.p.c., n. 5,). Si censura la sentenza impugnata per aver ritenuto la #################### obbligata al pagamento di spettanze di competenza della ####################, senza che J. avesse dimostrato la sussistenza di ipotetiche attività rese per la #################### e che di tali attività avesse concretamente fruito la #################### con conseguente onere in ordine alle obbligazioni retributive, senza compiere alcuna valutazione giuridica di istituti legali o contrattuali e pervenendo alla conclusione di un unitario centro di imputazione economica. Ad avviso della ricorrente, nessuna circostanza relativa all'unitarietà dei due soggetti giuridici è risultata provata. La motivazione si poggia su un'unica
deposizione testimoniale (del responsabile amministrativo della ####################) in ordine ai criteri di imputazione contabile nell'ambito del gruppo.
6. Rileva il Collegio che il quesito che correda il motivo, formulato a conclusione dei due motivi di censura avverso la sentenza impugnata, non si informa alle prescrizioni di cui all'art. 366 bis c.p.c., applicabile ratione temporis, alla luce dei criteri che questa Corte ha già avuto occasione di precisare.
7. A norma della prima parte della citata disposizione del codice di rito, nei casi previsti dall'art. 360 c.p.c., comma 1, nn. da 1) a 4), l'illustrazione di ciascun motivo del ricorso per cassazione deve concludersi, a pena di inammissibilità, con la formulazione di un quesito di diritto proposto in modo tale che la Corte non debba procedere ad una previa attività interpretativa, come accade in presenza di un quesito multiplo la cui formulazione imponga alla Corte di sostituirsi al ricorrente mediante una preventiva opera di semplificazione, onde procedere a singole risposte che potrebbero essere tra loro diversificate (v., ex multis, Cass. 1906/2008).
8. Si è anche osservato che il ricorrente deve necessariamente procedere all'enunciazione di un principio di diritto diverso da quello posto a base della decisione impugnata e che quindi il quesito non può risolversi in una generica istanza di decisione sull'esistenza della violazione di legge denunciata nel motivo o nell'interpello della Corte di cassazione in ordine alla fondatezza della censura illustrata nello svolgimento del motivo, ma deve porre la medesima Corte in condizione di rispondere ad esso con l'enunciazione di una regula iuris, in quanto tale suscettibile di ricevere applicazione in casi ulteriori rispetto a quello sottoposto all'esame del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata (v., ex multis, Cass. 8463/2009; 4044/2009; Cass. S.U. 25117/2008).
9. Inoltre, questa Corte regolatrice, alla stregua della già citata formulazione dell'art. 366 bis c.p.c., è fermissima nel ritenere che, a seguito della novella del 2006, per le censure previste dall'art. 360 c.p.c., n. 5, allorchè, cioè, il ricorrente denunzi la sentenza impugnata lamentando un vizio della motivazione, l'illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione. Ciò importa, in particolare, che la relativa censura deve contenere un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da
non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità Nè è sufficiente che tale fatto sia esposto nel corpo del motivo o che possa comprendersi dalla lettura di questo, atteso che è indispensabile che sia indicato in una parte, del motivo stesso a ciò specificamente e riassuntivamente destinata.
10. Inoltre, ove con un unico articolato motivo d'impugnazione, siano denunziati vizi di violazione di legge e di motivazione in fatto, tale censura è ammissibile solo se corredata da quesiti che contengano un reciproco rinvio, al fine di individuare su quale fatto controverso vi sia stato, oltre che un difetto di motivazione, anche un errore di qualificazione giuridica del fatto (v., ex multis, Cass., SU 7770/2009).
11. Nella specie, la formulazione dei plurimi quesiti in forma meramente ipotetica, senza indicare la regula iuris proposta dal ricorrente, nè individuare su quale fatto controverso vi sia stato, oltre che un difetto di motivazione, anche un errore di qualificazione giuridica del fatto, non rispetta la prescrizione del codice di rito informandosi all'interpretazione datane dalla richiamata giurisprudenza di legittimità. 12. Con il secondo motivo di ricorso la ricorrente denuncia violazione degli artt. 2094, 2222 c.c. in relazione all'art. 1362 c.c.; vizio di motivazione per illogicità della motivazione per erronea attribuzione della valenza retributiva alle spettanze erogate dalla soc. #################### a J. a titolo di compenso ex art. 2225 c.c.. Si censura la sentenza per aver qualificato come retribuzione
mensile, applicando gli istituti indiretti, i corrispettivi di lavoro autonomo erogati dalla Radiofirmusica.
13. Il motivo non è meritevole di accoglimento. Invero, la denuncia di un vizio di motivazione nella sentenza impugnata non conferisce al giudice di legittimità il potere di riesaminare autonomamente il merito dell'intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì soltanto quello di controllare, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico - formale, le argomentazioni - svolte dal giudice del merito, al quale spetta in via esclusiva l'accertamento dei fatti, all'esito dell'insindacabile selezione e valutandone della fonti del proprio convincimento - con la conseguenza che il vizio di motivazione deve emergere dall'esame del ragionamento svolto dal giudice di merito, quale risulta dalla sentenza impugnata, e può ritenersi sussistente solo quando, in quel ragionamento, sia rinvenibile traccia evidente del
mancato (o insufficiente) esame di un fatto decisivo e controverso, ovvero quando esista insanabile contrasto tra le argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire l'identificazione del procedimento logico-giuridico posto a base della decisione, non rilevando la mera divergenza tra valore e significato, attribuiti dallo stesso giudice di merito agli elementi da lui vagliati, ed il valore e significato diversi che, agli stessi elementi, siano attribuiti dal ricorrente ed, in genere, dalle parti.
14 In altri termini, il controllo di logicità del giudizio di fatto - consentito al giudice di legittimità - non equivale alla revisione del ragionamento decisorio, ossia dell'opzione che ha condotto il giudice del merito ad una determinata soluzione della questione esaminata: invero, una revisione siffatta si risolverebbe, sostanzialmente, in una nuova formulazione del giudizio di fatto, riservato al giudice del merito, e risulterebbe affatto estranea alla funzione assegnata dall'ordinamento al giudice di legittimità. 15. La sentenza impugnata ha esaminato tutte le circostanze rilevanti ai fini della decisione, svolgendo, nei termini già indicati nello storico di lite, un iter argomentativo esaustivo, immune da contraddizioni e vizi logici e coerente con le emergenze istruttorie acquisite (in particolare, che il compenso, erogato a J.
dalla s.r.l. ####################, società non operativa, senza che questi avesse mai espletato attività lavorativa, nè attività libero professionale in favore della predetta società, veniva sommato al compenso erogato dalla #################### e che nei preventivi di spesa la sommatoria delle due erogazioni veniva imputata a tìtolo di compenso per J.).
16. Le valutazioni svolte e le coerenti conclusioni che ne sono state tratte configurano, quindi, un'opzione interpretativa del materiale probatorio del tutto ragionevole e che, pur non escludendo la possibilità di altre scelte interpretative anch'esse ragionevoli, è espressione di una potestà propria del giudice del merito che non può essere sindacata nel suo esercizio.
17. In definitiva, quindi, le doglianze della ricorrente si sostanziano nell'esposizione di una lettura delle risultanze probatorie diversa da quella data dal giudice del gravame e nella richiesta di un riesame di merito del materiale probatorio, inammissibile in questa sede di legittimità. 18. Con il primo motivo del ricorso incidentale J. denuncia omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia; violazione e falsa applicazione dell'art. 2103 c.c. Si censura la sentenza impugnata per aver escluso la dequalificazione professionale ponendo il mutamento di mansioni nell'alveo dell'esercizio dello ius variarteli datoriale, non accertando la corrispondenza delle mansioni, nè valutando che nessuna prova era stata offerta dalla società sull'esigenza di esercitare lo
ius variandi per asseriti motivi di riorganizzazione aziendale.
19. Il motivo è inammissibile. Osserva il collegio che spetta in via esclusiva al giudice di merito il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne attendibilità e concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, assegnando prevalenza all'uno o all'altro dei mezzi di prova acquisiti.
20. Per di più, le doglianze del ricorrente si sostanziano nell'esposizione di una lettura delle risultanze probatorie richiamate solo genericamente e per relatiomm (con espressione del tenore "come descritte dai testimoni") infirmando l'autosufficienza del ricorso e deducendo circostanze, quali l'asserita offerta di uscire dalla #################### ed entrare nella società Ionio comprovante la volontà datoriale di allontanarlo, per le quali trascura di indicare la sede e il segmento processuale in cui tale deduzione sarebbe avvenuta, onde consentire alla Corte di controllarne la novità, prima di procedere all'esame nel merito.
21. Con il secondo motivo di ricorso il ricorrente incidentale denuncia violazione degli artt. 2103 e 2087 c.c. ed erronea, insufficiente, contraddittoria motivazione per aver la corte di merito denegato la de qualificazione e il mobbing. Il motivo si conclude con la formulazione di più quesiti di diritto.
22. Il motivo è inammissibile perchè, alla stregua della consolidata giurisprudenza richiamata al punto 10 che precede, i plurimi quesiti non consentono al Collegio di individuare su quale fatto controverso e decisivo vi sia stato, oltre che un difetto di motivazione, anche un errore di qualificazione giuridica del fatto (v., ex multis, Cass., SU, n, 7770/2009).
23. Per le esposte considerazioni il ricorso principale va rigettato e il ricorso incidentale dichiarato inammissibile. La reciproca soccombenza giustifica la compensazione delle spese fra le parti.P.Q.M.
La Corte riunisce i ricorsi; rigetta il ricorso principale e dichiara inammissibile il ricorso incidentale; spese compensate.
Corte Costituzionale "...giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 10, comma 6-bis, del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115 (Testo Unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia - Testo A), introdotto dall'art. 2, comma 212, lettera b), della legge 23 dicembre 2009, n. 191, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2010)»..."
Corte cost., Ord., 24-06-2011, n. 195Fatto - Diritto P.Q.M.
Svolgimento del processo - Motivi della decisione
ORDINANZA
Nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 10, comma 6-bis, del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115 (Testo Unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia - Testo A), introdotto dall'art. 2, comma 212, lettera b), della legge 23 dicembre 2009, n. 191, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2010)», promosso dal Giudice di pace di Rimini nel procedimento vertente tra P.R. e il Comune di #################### con ordinanza del 16 marzo 2010, iscritta al n. 2 del registro ordinanze 2011 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 3, prima serie speciale, dell'anno 2011.
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio dell'11 maggio 2011 il Giudice relatore Luigi Mazzella.
Ritenuto che, con ordinanza del 16 marzo 2010, il Giudice di pace di Rimini ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 10, comma 6-bis, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 (Testo Unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia - Testo A), introdotto dall'art. 2, comma 212, lettera b), della legge 23 dicembre 2009, n. 191, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2010)»;
che, riferisce il rimettente, con ricorso depositato il 4 gennaio 2010, R.P. aveva proposto opposizione contro il verbale redatto da Agenti del Corpo Intercomunale di Polizia Municipale #################### e #################### il 14 agosto 2009, notificato al ricorrente l'11 novembre 2009, con il quale veniva contestata la violazione dell'art. 158, comma 1, del codice della strada (divieto di sosta);
che, secondo il rimettente, in forza della norma censurata, un cittadino, legittimato alla opposizione avverso un provvedimento ritenuto ingiusto, è stato costretto al pagamento del contributo unificato;
che, pertanto, la questione sarebbe rilevante nel giudizio a quo poiché l'imposizione di tale contributo ai giudizi di opposizione a ordinanza ingiunzione non sarebbe equa, in caso di accertamento della fondatezza del ricorso, anche qualora fosse posta a carico dell'Amministrazione soccombente;
che, invero, detta norma, darebbe luogo ad una grave disparità di trattamento tra i cittadini, precludendo ai meno abbienti di poter proporre validamente le proprie ragioni in sede giudiziaria e realizzando in tal modo una violazione non soltanto dell'art. 3 Cost., che sancisce il principio di eguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge, ma altresì dell'art. 24 Cost.;
che, infatti, per effetto della disposizione censurata, i cittadini meno facoltosi si vedrebbero indirettamente privati della possibilità di tutelare i propri diritti in via giudiziaria, con grave pregiudizio al diritto di difesa riconosciuto come inviolabile dall'art. 24 Cost.;
che, in relazione alla disparità fra cittadini introdotta dalla norma de qua, non rileverebbe la circostanza che i soggetti meno abbienti possono comunque presentare il ricorso al Prefetto (che non prevede il pagamento del contributo in questione), in quanto il ricorso al giudice di pace resterebbe un mezzo di tutela riservato unicamente ai cittadini economicamente più abbienti;
che, il principio della inviolabilità del diritto di tutti i cittadini di agire in giudizio per la tutela dei propri diritti ed interessi legittimi in ogni stato e grado del procedimento, sarebbe stato ribadito nella sentenza di questa Corte n. 114 del 2004, con la quale è stata dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'art. 204-bis, comma 30, del d.lgs. 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), introdotto dall'art. 4, comma 1-septies del d.l. 27 giugno 2003, n. 151 (Modifiche ed integrazioni al codice della strada), convertito, con modificazioni, dalla legge 1° agosto 2003, n. 214, relativo all'obbligo di versare presso la cancelleria del Giudice di pace una somma a titolo di cauzione, all'atto del deposito di ricorso contro una sanzione per violazione dello stesso codice della strada;
che le motivazioni formulate in quella sentenza, secondo il rimettente, ben possono essere ritenute applicabili alla norma de qua;
che, secondo il Giudice di pace rimettente, anche nella norma censurata, come nel caso dell'obbligo di versamento della cauzione, l'imposizione, in via generalizzata, del pagamento del contributo unificato all'atto del deposito del ricorso in opposizione a sanzione amministrativa non è in alcun modo funzionale alle esigenze del processo, mostrandosi piuttosto come provvedimento introdotto al fine di restringere il campo dei possibili ricorrenti contro le sanzioni amministrative, scoraggiandone la tutela giurisdizionale;
che è intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri ed ha eccepito preliminarmente l'inammissibilità della questione per difetto di motivazione sulla rilevanza nel giudizio a quo, dal momento che l'inadempimento, da parte del ricorrente, della prestazione patrimoniale imposta dalla censurata disposizione, a differenza da quella censurata nel precedente citato dal rimettente (sentenza n. 114 del 2004), non determinerebbe l'inammissibilità del gravame;
che, secondo l'interveniente, in ogni caso il rimettente non spiega in che modo il costo corrispondente al contributo unificato dovuto possa incidere nella decisione di adire o meno l'autorità giudiziaria;
che il Presidente del Consiglio, inoltre, ha eccepito la estrema genericità delle motivazioni poste a base dell'ordinanza di rimessione, evidenziando che, anche ammesso che l'obbligatorietà del contributo possa determinare un fattore di dissuasione alla proposizione del ricorso, non sarebbe stato individuato in che modo detto costo possa incidere, con modalità discriminatorie, nel caso in cui il giudizio abbia ad oggetto l'impugnazione di un verbale di accertamento della polizia stradale;
che, nel merito, il Presidente del Consiglio ha chiesto che sia dichiarata l'infondatezza del ricorso, dal momento che la ripartizione in fasce di valore dell'entità del contributo assicurerebbe che la copertura dei costi di giustizia sia posta a carico degli utenti in proporzione ai servizi offerti.
Considerato che, in base a quanto riferisce il rimettente nella propria ordinanza, il contributo unificato è stato già versato spontaneamente da parte del ricorrente;
che, dunque, la norma censurata, che impone il pagamento del predetto contributo, è già stata spontaneamente applicata dal ricorrente;
che, pertanto, l'asserito vulnus ai principi costituzionali invocati e, in particolare, a quello dell'uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge ed a quello dell'effettività della tutela giurisdizionale sarebbe, in ipotesi, determinato da una norma di cui il rimettente non deve fare applicazione nel giudizio a quo;
che pertanto, come recentemente affermato da questa Corte in caso analogo (ordinanza n. 143 del 2011), la questione è manifestamente inammissibile per difetto di rilevanza nel giudizio a quo.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.P.Q.M.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 10, comma 6-bis, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia. - Testo A), così come modificati dall'art 2, comma 212, lettera b), della legge 21 dicembre 2009, n. 191 (Disposizioni per la formazione del bilancio dello Stato - legge finanziaria 2010), sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, dal Giudice di pace di Rimini con l'ordinanza indicata in epigrafe;
Svolgimento del processo - Motivi della decisione
ORDINANZA
Nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 10, comma 6-bis, del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115 (Testo Unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia - Testo A), introdotto dall'art. 2, comma 212, lettera b), della legge 23 dicembre 2009, n. 191, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2010)», promosso dal Giudice di pace di Rimini nel procedimento vertente tra P.R. e il Comune di #################### con ordinanza del 16 marzo 2010, iscritta al n. 2 del registro ordinanze 2011 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 3, prima serie speciale, dell'anno 2011.
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio dell'11 maggio 2011 il Giudice relatore Luigi Mazzella.
Ritenuto che, con ordinanza del 16 marzo 2010, il Giudice di pace di Rimini ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 10, comma 6-bis, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 (Testo Unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia - Testo A), introdotto dall'art. 2, comma 212, lettera b), della legge 23 dicembre 2009, n. 191, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2010)»;
che, riferisce il rimettente, con ricorso depositato il 4 gennaio 2010, R.P. aveva proposto opposizione contro il verbale redatto da Agenti del Corpo Intercomunale di Polizia Municipale #################### e #################### il 14 agosto 2009, notificato al ricorrente l'11 novembre 2009, con il quale veniva contestata la violazione dell'art. 158, comma 1, del codice della strada (divieto di sosta);
che, secondo il rimettente, in forza della norma censurata, un cittadino, legittimato alla opposizione avverso un provvedimento ritenuto ingiusto, è stato costretto al pagamento del contributo unificato;
che, pertanto, la questione sarebbe rilevante nel giudizio a quo poiché l'imposizione di tale contributo ai giudizi di opposizione a ordinanza ingiunzione non sarebbe equa, in caso di accertamento della fondatezza del ricorso, anche qualora fosse posta a carico dell'Amministrazione soccombente;
che, invero, detta norma, darebbe luogo ad una grave disparità di trattamento tra i cittadini, precludendo ai meno abbienti di poter proporre validamente le proprie ragioni in sede giudiziaria e realizzando in tal modo una violazione non soltanto dell'art. 3 Cost., che sancisce il principio di eguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge, ma altresì dell'art. 24 Cost.;
che, infatti, per effetto della disposizione censurata, i cittadini meno facoltosi si vedrebbero indirettamente privati della possibilità di tutelare i propri diritti in via giudiziaria, con grave pregiudizio al diritto di difesa riconosciuto come inviolabile dall'art. 24 Cost.;
che, in relazione alla disparità fra cittadini introdotta dalla norma de qua, non rileverebbe la circostanza che i soggetti meno abbienti possono comunque presentare il ricorso al Prefetto (che non prevede il pagamento del contributo in questione), in quanto il ricorso al giudice di pace resterebbe un mezzo di tutela riservato unicamente ai cittadini economicamente più abbienti;
che, il principio della inviolabilità del diritto di tutti i cittadini di agire in giudizio per la tutela dei propri diritti ed interessi legittimi in ogni stato e grado del procedimento, sarebbe stato ribadito nella sentenza di questa Corte n. 114 del 2004, con la quale è stata dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'art. 204-bis, comma 30, del d.lgs. 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), introdotto dall'art. 4, comma 1-septies del d.l. 27 giugno 2003, n. 151 (Modifiche ed integrazioni al codice della strada), convertito, con modificazioni, dalla legge 1° agosto 2003, n. 214, relativo all'obbligo di versare presso la cancelleria del Giudice di pace una somma a titolo di cauzione, all'atto del deposito di ricorso contro una sanzione per violazione dello stesso codice della strada;
che le motivazioni formulate in quella sentenza, secondo il rimettente, ben possono essere ritenute applicabili alla norma de qua;
che, secondo il Giudice di pace rimettente, anche nella norma censurata, come nel caso dell'obbligo di versamento della cauzione, l'imposizione, in via generalizzata, del pagamento del contributo unificato all'atto del deposito del ricorso in opposizione a sanzione amministrativa non è in alcun modo funzionale alle esigenze del processo, mostrandosi piuttosto come provvedimento introdotto al fine di restringere il campo dei possibili ricorrenti contro le sanzioni amministrative, scoraggiandone la tutela giurisdizionale;
che è intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri ed ha eccepito preliminarmente l'inammissibilità della questione per difetto di motivazione sulla rilevanza nel giudizio a quo, dal momento che l'inadempimento, da parte del ricorrente, della prestazione patrimoniale imposta dalla censurata disposizione, a differenza da quella censurata nel precedente citato dal rimettente (sentenza n. 114 del 2004), non determinerebbe l'inammissibilità del gravame;
che, secondo l'interveniente, in ogni caso il rimettente non spiega in che modo il costo corrispondente al contributo unificato dovuto possa incidere nella decisione di adire o meno l'autorità giudiziaria;
che il Presidente del Consiglio, inoltre, ha eccepito la estrema genericità delle motivazioni poste a base dell'ordinanza di rimessione, evidenziando che, anche ammesso che l'obbligatorietà del contributo possa determinare un fattore di dissuasione alla proposizione del ricorso, non sarebbe stato individuato in che modo detto costo possa incidere, con modalità discriminatorie, nel caso in cui il giudizio abbia ad oggetto l'impugnazione di un verbale di accertamento della polizia stradale;
che, nel merito, il Presidente del Consiglio ha chiesto che sia dichiarata l'infondatezza del ricorso, dal momento che la ripartizione in fasce di valore dell'entità del contributo assicurerebbe che la copertura dei costi di giustizia sia posta a carico degli utenti in proporzione ai servizi offerti.
Considerato che, in base a quanto riferisce il rimettente nella propria ordinanza, il contributo unificato è stato già versato spontaneamente da parte del ricorrente;
che, dunque, la norma censurata, che impone il pagamento del predetto contributo, è già stata spontaneamente applicata dal ricorrente;
che, pertanto, l'asserito vulnus ai principi costituzionali invocati e, in particolare, a quello dell'uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge ed a quello dell'effettività della tutela giurisdizionale sarebbe, in ipotesi, determinato da una norma di cui il rimettente non deve fare applicazione nel giudizio a quo;
che pertanto, come recentemente affermato da questa Corte in caso analogo (ordinanza n. 143 del 2011), la questione è manifestamente inammissibile per difetto di rilevanza nel giudizio a quo.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.P.Q.M.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 10, comma 6-bis, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia. - Testo A), così come modificati dall'art 2, comma 212, lettera b), della legge 21 dicembre 2009, n. 191 (Disposizioni per la formazione del bilancio dello Stato - legge finanziaria 2010), sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, dal Giudice di pace di Rimini con l'ordinanza indicata in epigrafe;
Cassazione "...Codice della strada - Accordo europeo relativo al trasporto internazionale su strada delle merci pericolose (ADR), concluso a Ginevra il 30 settembre 1957..."
CIRCOLAZIONE STRADALE - CORTE COSTITUZIONALE
Corte cost., Sent., 07-04-2011, n. 118
Fatto Diritto P.Q.M.
Svolgimento del processo
SENTENZA
Nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 168, comma 10, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), promosso dal Giudice di pace di Verona nel procedimento vertente tra la #################### s.p.a. e il Ministero dell'Interno con ordinanza del 2 dicembre 2009, iscritta al n. 282 del registro ordinanze 2010 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 40, prima serie speciale, dell'anno 2010.
Visti l'atto di costituzione della #################### s.p.a. nonchè gli atti di intervento dell'A.N.P.A.M. (Associazione Nazionale Produttori Armi e Munizioni) e del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell'udienza pubblica del 23 febbraio 2011 il Giudice relatore Giuseppe Frigo;
uditi l'avvocato #################### per la #################### s.p.a. e l'avvocato dello Stato Chiarina Aiello per il Presidente del Consiglio dei ministri.
1. - Con ordinanza del 2 dicembre 2009 (r.o. n. 282 del 2010), il Giudice di pace di Verona ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 23, 27 e 117, primo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 168, comma 10, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), che estende alle sanzioni amministrative per le violazioni della «disciplina del trasporto su strada dei materiali pericolosi» la previsione del precedente art. 167, comma 9, in forza della quale le sanzioni «si applicano sia al conducente che al proprietario del veicolo, nonché al committente, quando si tratta di trasporto eseguito per suo conto esclusivo».
Il rimettente riferisce di essere investito del giudizio di opposizione a processo verbale di accertamento e contestazione di violazione amministrativa proposto da una società, quale «committente esclusivo» di un trasporto su strada di merci pericolose: trasporto in relazione al quale identica contestazione era stata elevata, a seguito di controllo della polizia stradale, anche nei confronti del conducente e del proprietario del veicolo. Di qui la rilevanza della questione, la quale inciderebbe sulla stessa «legittimità [della] identificazione dei soggetti passivi della verbalizzazione».
Quanto alla non manifesta infondatezza, il rimettente deduce, innanzitutto, il contrasto della disposizione censurata con il principio di personalità della responsabilità, enunciato in rapporto alle sanzioni amministrative dall'art. 3 della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale) e che - secondo il giudice a quo - costituirebbe espressione dell'analogo principio sancito, in materia penale, dall'art. 27 Cost.
L'art. 168, comma 10, cod. strada sottoporrebbe, infatti, a sanzione il proprietario del mezzo e il «committente esclusivo» a titolo di responsabilità oggettiva, non essendo le violazioni in alcun modo imputabili ai predetti soggetti, privi di qualsiasi «facoltà» di effettuare controlli sulle modalità di esercizio del trasporto.
In particolare, il committente si limiterebbe a rivolgersi a un professionista abilitato al trasporto di merci pericolose e dotato di mezzi omologati a tal fine: il che gli consentirebbe - anche in forza dei principi di affidamento del pubblico e della clientela, sanciti dall'art. 5, comma 1, del d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 30 (Ricognizione dei princìpi fondamentali in materia di professioni, ai sensi dell'articolo 1 della legge 5 giugno 2003, n. 131) - di confidare nel rispetto della normativa vigente e nell'esecuzione della prestazione secondo le regole della buona tecnica. Il committente non potrebbe essere, pertanto, chiamato a rispondere delle conseguenze negative derivanti dall'inadempimento del professionista, in relazione al quale sarebbe piuttosto il soggetto danneggiato.
Sanzionando soggetti ai quali l'infrazione stradale non è addebitabile, la norma censurata violerebbe anche il principio di ragionevolezza.
Al riguardo, il rimettente rileva come la disposizione in esame si differenzi da quella dall'art. 196, comma 1, cod. strada, che, sulla falsariga di quanto previsto nell'art. 6 della legge n. 689 del 1981, stabilisce che «per le violazioni punibili con sanzione amministrativa pecuniaria il proprietario del veicolo [...] è obbligato in solido con l'autore della violazione al pagamento della somma da questi dovuta»: regola generale la cui ratio - come chiarito dalla giurisprudenza costituzionale - risiede nella duplice necessità di evitare che numerose norme sulla circolazione stradale restino eluse e che i danneggiati da sinistri stradali possano non ottenere il giusto risarcimento. Di contro, l'art. 168, comma 10, cod. strada configurerebbe in capo al proprietario del mezzo e al «committente esclusivo» del trasporto una responsabilità, non solidale e alternativa, ma
«parallela» e per fatto altrui: assetto da reputare privo di razionale giustificazione, poiché il responsabile materiale della violazione risulterebbe «già necessariamente individuato» e nessuna norma rischierebbe di venire elusa. Ciò, senza considerare che - proprio perché si tratta di responsabilità distinte e non solidali - la possibile coincidenza tra le varie figure sanzionate potrebbe determinare «la paradossale evenienza che un soggetto, seppure responsabile, venga sanzionato due volte per il medesimo fatto».
Un ulteriore profilo di violazione dell'art. 3 Cost., per trattamento differenziato di situazioni uguali, si connetterebbe alla circostanza che la norma censurata sottoponga a sanzione il solo committente «in via esclusiva». Nella grande maggioranza dei casi, infatti, il committente non è in grado di controllare se i propri prodotti vengano trasportati da soli o insieme a quelli di altri committenti: con la conseguenza che l'elemento differenziale, ai fini dell'assoggettabilità a sanzione, non rientrerebbe nella «disponibilità» dell'interessato. La stessa distinzione tra committente in via esclusiva o meno apparirebbe, d'altra parte, irragionevole, «dal momento che tutti i committenti usufruiscono di un medesimo servizio».
Sarebbe, altresì, violato l'art. 117, primo comma, Cost., per inadempimento di obblighi internazionali e mancato rispetto dei vincoli «di omogeneità e di parità di trattamento di tutti i cittadini europei derivanti dall'ordinamento comunitario». La disciplina dettata dalla disposizione censurata risulterebbe, infatti, non conforme all'Accordo europeo relativo al trasporto internazionale su strada delle merci pericolose (ADR), concluso a Ginevra il 30 settembre 1957, ratificato e reso esecutivo in Italia con legge 12 agosto 1962, n. 1839, successivamente recepito anche in ambito comunitario (in particolare, con la direttiva n. 94/55/CE, ora sostituita dalla direttiva n. 2008/68/CE). Il citato Accordo contemplerebbe, infatti, nelle sezioni 1.4.2 e 1.4.3 dell'allegato A, una dettagliata ripartizione delle responsabilità tra i diversi soggetti coinvolti nelle operazioni di
trasporto (speditore, trasportatore, destinatario, caricatore, riempitore, imballatore), della quale l'art. 168, comma 10, cod. strada non avrebbe tenuto affatto conto.
Ne deriverebbe una concorrente lesione dell'art. 3 Cost. per difetto di «coerenza interna dell'ordinamento giuridico», ove si consideri che lo stesso art. 168 cod. strada, ai commi da 7 a 9-ter, delinea un sistema sanzionatorio volto a garantire proprio il rispetto dell'Accordo ADR, specificamente richiamato dal comma 1.
Risulterebbe leso, per altro verso, l'art. 23 Cost., giacché, nel comminare una sanzione a carattere «patrimoniale» nei confronti di soggetti esenti da ogni responsabilità, la norma denunciata oltrepasserebbe i limiti del legittimo «esercizio del potere impositivo attribuito allo Stato [...] dal parametro in parola».
Irragionevole risulterebbe, infine, l'estensione al trasporto delle merci pericolose della disciplina sanzionatoria relativa all'eccesso di carico dei veicoli adibiti al trasporto di cose, cui si riferisce il richiamato art. 167, comma 9, cod. strada. In quest'ultima ipotesi, infatti, la responsabilità del «committente esclusivo», almeno sotto il profilo della culpa in vigilando, potrebbe essere fatta discendere dalla circostanza che egli è a conoscenza della quantità di merce trasportata e, quindi, dell'eventuale sovraccarico del veicolo, dal quale potrebbe trarre vantaggio in termini di risparmio di spesa dovuto all'utilizzazione di un singolo mezzo di trasporto. Al contrario, nel caso di trasporto di merci pericolose, il committente non acquisirebbe alcun vantaggio dalla violazione delle norme sulla sicurezza del trasporto, ma ne sarebbe danneggiato, dal momento che i beni di
sua proprietà verrebbero messi in pericolo. D'altro canto, egli non avrebbe alcuna possibilità di effettuare i controlli necessari sui mezzi utilizzati e sulle loro dotazioni nel corso dell'intero viaggio. Da ciò conseguirebbe la violazione del principio di eguaglianza, perché la norma disporrebbe un trattamento uguale di situazioni differenti.
2. - È intervenuto nel giudizio di costituzionalità il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, il quale ha chiesto che la questione sia dichiarata non fondata.
Ad avviso della difesa dello Stato, la norma in esame andrebbe coordinata con la nuova disciplina in materia di autotrasporto introdotta dal d.lgs. 21 novembre 2005 n. 286 (Disposizioni per il riassetto normativo in materia di liberalizzazione regolata dell'esercizio dell'attività di autotrasportatore), disciplina che ruota intorno al principio della «responsabilità condivisa», tra gli operatori della cosiddetta «filiera del trasporto» (vettore, committente, caricatore e proprietario della merce), per le violazioni di alcune delle norme in materia di sicurezza della circolazione stradale. Il relativo meccanismo, attivato con l'accertamento da parte della polizia stradale della violazione commessa dal conducente, mira segnatamente a favorire la contrattazione in forma scritta, al fine di garantire la certezza dei rapporti tra le parti. Se, infatti, l'operatore di polizia verifica
che dal contratto, presente a bordo del mezzo, e dall'eventuale documentazione di accompagnamento risultano modalità di esecuzione della prestazione incompatibili con il rispetto, da parte del conducente, delle norme del codice della strada, egli contesta la violazione al soggetto che vi ha dato causa con le istruzioni, e, inoltre, al committente, al caricatore e al proprietario delle merci: questi ultimi, dunque, risponderanno per fatto proprio, in concorso con il conducente.
Diversamente, se la copia del contratto, stipulato in forma scritta, non fosse a bordo del veicolo, l'organo accertatore ne richiede la presentazione, unitamente all'eventuale documentazione di accompagnamento; in caso di mancata esibizione sono previste apposite sanzioni.
Infine, nel caso in cui il contratto sia stato stipulato oralmente, il committente viene invitato a produrre la documentazione da cui risulti che le istruzioni impartite al vettore non contrastano con il rispetto della norma che il conducente ha violato.
L'elemento soggettivo richiesto per la configurabilità della responsabilità in capo al vettore e al committente sarebbe, quindi, almeno la colpa: essi rispondono, infatti, dell'infrazione commessa dal conducente solo se vi abbiano cooperato, non predisponendo adeguate e vincolanti istruzioni di sicurezza.
Escluso, dunque, che la norma censurata preveda una forma di responsabilità oggettiva, essa non contrasterebbe neppure con l'Accordo ADR, relativo al trasporto internazionale di merci pericolose su strada. L'art. 168 cod. strada si limiterebbe, infatti, a prevedere le sanzioni applicabili in caso di inosservanza delle prescrizioni contenute in detto Accordo; quest'ultimo, d'altro canto, al punto 1.4.2.1.3 dell'allegato A, stabilisce specificamente che «quando lo speditore agisce per conto di un terzo, questi deve segnalare per iscritto allo speditore che si tratta di merci pericolose e mettere a sua disposizione tutte le informazioni e i documenti necessari all'esecuzione dei suoi obblighi»: donde l'infondatezza dell'assunto del giudice a quo, secondo il quale l'atto internazionale in parola non sarebbe riferibile al committente.
L'Avvocatura dello Stato ricorda, da ultimo, come la norma censurata riproduca la disposizione contenuta nell'art. 121, nono comma, del previgente codice della strada (d.P.R. 15 giugno 1959, n. 393), come sostituito dall'art. 12 della legge 10 febbraio 1982, n. 38 (Modifiche ad alcuni articoli del codice della strada, e della legge 27 novembre 1980, n. 815, riguardanti i pesi e le misure dei veicoli): disposizione che questa Corte ha ritenuto non contrastante con l'art. 3 Cost., escludendo, in particolare, che essa configurasse «una sorta di responsabilità oggettiva concorsuale» (ordinanza n. 3 del 1989). Alla luce di una corretta esegesi della norma, condotta sulla base dei lavori parlamentari, il conducente, il proprietario e il committente dovevano ritenersi, infatti, gravati da autonomi obblighi di comportamento, consistenti segnatamente in un dovere di vigilanza: con la
conseguenza che ciascuno di detti soggetti rispondeva per fatto proprio.
3. - Si è costituita la s.p.a. ####################, opponente nel giudizio a quo.
Ribadita la rilevanza della questione, la parte privata ha chiesto che la stessa venga accolta sulla base di argomentazioni del tutto analoghe a quelle svolte nell'ordinanza di rimessione.
4. - È intervenuta, inoltre, la A.N.P.A.M. (Associazione Nazionale Produttori Armi e Munizioni), ritenendosi a ciò legittimata - alla luce della giurisprudenza costituzionale relativa all'ammissibilità dell'intervento di soggetti investiti di funzioni di rappresentanza di interessi generali, quali gli ordini professionali - in quanto chiamata a svolgere, ai sensi dell'art. 2 dello Statuto sociale, compiti di tutela delle imprese italiane produttrici di armi, munizioni ed esplosivi per il mercato civile, nonché di rappresentanza delle medesime nei rapporti con le istituzioni e le pubbliche amministrazioni. L'intervento sarebbe finalizzato, nella specie, a tutelare un interesse comune delle imprese associate, le quali, nell'attività quotidiana, devono ricorrere al trasporto di prodotti pericolosi.
L'interveniente ha, quindi, riproposto le considerazioni già svolte dalla s.p.a. ####################, concludendo per la declaratoria di incostituzionalità della norma oggetto di giudizio.
5. - Con memorie depositate il 2 febbraio 2011, di contenuto sostanzialmente identico, la s.p.a. #################### e la A.N.P.A.M. hanno insistito per l'accoglimento della questione.
In particolare, hanno ribadito l'irragionevolezza dell'equiparazione del regime sanzionatorio relativo al trasporto di merci pericolose a quello previsto per l'eccesso di carico. Solo nel caso dell'eccesso di carico, sanzionato dall'art. 167 cod. strada, infatti, il committente esclusivo potrebbe trarre un ingiusto vantaggio dalla violazione delle norme sulla circolazione, perché egli sarebbe consapevole della quantità di carico eccedente la misura trasportabile; inoltre, il solo comma 7 dell'art. 168 cod. strada sanziona l'eccesso di carico delle merci pericolose, mentre le disposizioni contenute negli altri commi non riguardano detta violazione.Motivi della decisione
1. - Il Giudice di pace di Verona dubita della legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3, 23, 27 e 117, primo comma, della Costituzione, dell'art. 168, comma 10, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), che estende alle sanzioni amministrative per le violazioni della «disciplina del trasporto su strada dei materiali pericolosi» la previsione del precedente art. 167, comma 9, in forza della quale le sanzioni si applicano «sia al conducente che al proprietario del veicolo, nonché al committente, quando si tratta di trasporto eseguito per suo conto esclusivo».
Ad avviso del giudice a quo, la disposizione censurata violerebbe, anzitutto, i principi di ragionevolezza e di personalità della responsabilità penale (artt. 3 e 27 Cost.), configurando in capo al proprietario del veicolo e al committente una responsabilità per fatto altrui e a carattere oggettivo: detti soggetti sarebbero, infatti, estranei alla violazione commessa ed esenti da ogni colpa, perché privi della possibilità di effettuare controlli sulle modalità di esercizio del trasporto. La natura autonoma, e non solidale, della responsabilità comporterebbe, d'altro canto, che, nel caso di cumulo di più qualità fra quelle contemplate dalla norma in capo allo stesso soggetto, quest'ultimo, se pure responsabile, verrebbe sanzionato due volte per il medesimo fatto.
Con l'assoggettare a sanzioni pecuniarie persone estranee all'illecito commesso, la disposizione denunciata si porrebbe in contrasto anche con l'art. 23 Cost., oltrepassando i limiti del legittimo esercizio del potere dello Stato di imporre prestazioni patrimoniali.
La norma censurata violerebbe l'art. 3 Cost. anche sotto due ulteriori e distinti profili. In primo luogo, in quanto la responsabilità del committente è prevista unicamente quando si tratti di trasporto eseguito «per suo conto esclusivo»: previsione che risulterebbe irragionevole e foriera di una disparità di trattamento fra situazioni uguali, giacché il committente non sarebbe normalmente in grado di controllare se le proprie merci vengano trasportate da sole o assieme a merci altrui, né usufruirebbe di un servizio diverso a seconda della sua esclusività o meno.
In secondo luogo, in quanto l'estensione al trasporto di merci pericolose della disciplina relativa al sovraccarico dei mezzi adibiti al trasporto di cose, alla quale si riferisce il richiamato art. 167, comma 9, cod. strada, implicherebbe una irrazionale equiparazione di situazioni differenti. In quest'ultimo caso, il «committente esclusivo» sarebbe infatti a conoscenza della quantità di merce trasportata e, quindi, dell'eccesso di carico del veicolo, dal quale potrebbe trarre vantaggio in termini di risparmio di spesa. Al contrario, nel caso di trasporto di merci pericolose, il committente non solo non sarebbe in grado di controllare l'osservanza delle norme di sicurezza, ma verrebbe altresì danneggiato dalla loro violazione, la quale metterebbe in pericolo i beni di sua proprietà.
Il censurato art. 168, comma 10, cod. strad. violerebbe, ancora, l'art. 117, primo comma, Cost., non tenendo conto della dettagliata ripartizione delle responsabilità fra i vari soggetti coinvolti (speditore, trasportatore, destinatario, caricatore, riempitore, imballatore) prefigurata dall'Accordo europeo relativo al trasporto internazionale su strada delle merci pericolose (ADR), adottato a Ginevra il 30 settembre 1957, ratificato e reso esecutivo in Italia con legge 12 agosto 1962, n. 1839, e indi recepito anche in ambito comunitario (in particolare, con la direttiva n. 94/55/CE, ora sostituita dalla direttiva n. 2008/68/CE). Di qui anche un conclusivo profilo di violazione dell'art. 3 Cost., connesso al fatto che l'art. 168 cod. strada, ai commi da 7 a 9-ter, delinea un sistema sanzionatorio volto proprio ad assicurare il rispetto del citato Accordo ADR, con conseguente
incoerenza interna della normativa.
2. - In via preliminare, deve essere dichiarata l'inammissibilità dell'intervento dell'A.N.P.A.M. (Associazione Nazionale Produttori Armi e Munizioni).
Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, infatti, non possono partecipare al giudizio incidentale di legittimità costituzionale soggetti che non siano parti in causa nel giudizio a quo al momento del deposito o della lettura in dibattimento dell'ordinanza di rimessione (tra le ultime, sentenza n. 48 del 2010); principio ritenuto derogabile soltanto in favore di soggetti titolari di un interesse qualificato, immediatamente inerente al rapporto sostanziale dedotto in giudizio e non semplicemente regolato, al pari di ogni altro, dalla norma oggetto di censura (ex plurimis, sentenze n. 263 e n. 151 del 2009; ordinanze n. 393 e n. 96 del 2008).
Nel caso in esame, l'A.N.P.A.M. si dichiara portatrice di un interesse a carattere generale di tutte le imprese produttrici di armi, munizioni ed esplosivi per il mercato civile, le quali, nella loro quotidiana attività, devono inevitabilmente ricorrere al trasporto del prodotto pericoloso. La posizione giuridica dell'A.N.P.A.M., quindi, non risulta suscettibile di essere pregiudicata in modo immediato e irrimediabile dall'esito del giudizio incidentale, dal momento che la categoria - di cui l'interveniente assume essere ente esponenziale - potrebbe ricevere nocumento solo in via indiretta, allorché ad uno dei produttori venissero irrogate le sanzioni previste nella richiamata disposizione.
3. - Nel merito, la questione non è fondata, in relazione a tutti i parametri invocati.
4. - Quanto alla prima censura, inerente all'asserita violazione dei principi di ragionevolezza e di personalità della responsabilità penale (artt. 3 e 27 Cost.), è dirimente, a prescindere da ogni altro rilievo, la considerazione che le doglianze del rimettente poggiano su un erroneo presupposto interpretativo. Tale deve ritenersi l'assunto in forza del quale la norma censurata configurerebbe, a carico del proprietario del veicolo e del committente del trasporto, una responsabilità per fatto altrui e a carattere oggettivo.
Questa Corte ha già avuto modo di escludere la correttezza di tale lettura, pronunciando su questione parzialmente analoga avente ad oggetto l'art. 121, nono comma, del codice della strada abrogato (d.P.R. 15 giugno 1959, n. 303, recante il «Testo unico delle norme sulla circolazione stradale»), come sostituito dall'art. 12 della legge 10 febbraio 1982, n. 38 (Modifiche ad alcuni articoli del codice della strada, e della legge 27 novembre 1980, n. 815, concernenti i pesi e le misure dei veicoli): norma di tenore identico a quello del primo periodo dell'art. 167, comma 9, del vigente codice della strada, cui la disposizione censurata rinvia (ordinanza n. 3 del 1989).
Nell'occasione, questa Corte ha disatteso la tesi secondo cui la disposizione dianzi citata avrebbe delineato «una sorta di responsabilità oggettiva concorsuale», rilevando come essa, al contrario, ponesse a carico dei soggetti coinvolti - conducente, proprietario del veicolo e committente - «autonomi obblighi di comportamento che si sostanziano [...] in un dovere di vigilanza, quando sia escluso il concorso». Con la conseguenza che «i tre soggetti rispondono ciascuno per fatto proprio, sicché la prova della responsabilità di ognuno resta regolata dai principi generali». A sostegno della conclusione, si è fatto leva, in particolare, sull'avvenuto superamento, a seguito dei rilievi mossi nel corso dei lavori preparatori, dell'originaria impostazione della proposta di legge n. 299, presentata alla Camera dei deputati il 10 luglio 1979, in forza della quale proprietario e
committente avrebbero dovuto rispondere delle violazioni «in solido» con il conducente.
La circostanza - su cui lo stesso rimettente pone l'accento - che la responsabilità prevista dalla norma censurata non abbia carattere solidale, diversamente da quella sancita in via generale dall'art. 196 cod. strada a carico del proprietario del veicolo, dimostra, in effetti, il contrario di quello che il giudice a quo intenderebbe provare: e, cioè, che la responsabilità in questione resta regolata dai principi generali in materia di sanzioni amministrative e, in particolare, da quello della responsabilità almeno per colpa, sancito dall'art. 3 della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale); principi ai quali non consta che il legislatore abbia inteso nella specie derogare.
Le indicazioni fornite da questa Corte sono state, d'altro canto, recepite dalla giurisprudenza di legittimità sia con riguardo al citato art. 121, nono comma, del codice della strada abrogato (Cass., 26 maggio 1995, n. 5854), sia in relazione all'art. 167, comma 9, del codice della strada vigente, in cui esso è stato trasfuso: essendosi ribadito, in specie, che tale disposizione pone a carico del committente un obbligo, distinto da quello del conducente e del proprietario, di vigilanza sull'idoneità del veicolo da utilizzare all'esecuzione del trasporto, in relazione alle prescrizioni normative (Cass., 29 novembre 2001, n. 15194).
Ad analoga conclusione deve quindi pervenirsi anche con riguardo al trasporto dei materiali pericolosi, al quale dalla norma denunciata viene esteso il regime di responsabilità in questione. Per il resto, sarà compito del giudice verificare, in rapporto alle specificità delle singole violazioni che vengono in rilievo - descritte dai commi da 7 a 9-ter dello stesso art. 168 cod. strada - e tenuto conto della particolare regolamentazione della materia, se ed entro quali limiti l'adempimento del predetto dovere di vigilanza possa considerarsi concretamente esigibile, trattandosi di presupposto per la configurabilità della colpa. Tutto ciò, indipendentemente dall'operatività della normativa, evocata dall'Avvocatura generale dello Stato, di cui al d.lgs. 21 novembre 2005, n. 286 (Disposizioni per il riassetto normativo in materia di liberalizzazione regolata dell'esercizio
dell'attività di autotrasportatore) e dalla riferibilità, per quanto attiene alla cosiddetta responsabilità condivisa del vettore, del committente, del caricatore e del proprietario della merce, di detta disciplina anche alle violazioni dell'art. 168 cod. strada, testualmente applicabile solo alle violazioni dell'art. 167 cod. strada (art. 7, comma 6, lettera e, del citato decreto legislativo).
5. - Quanto, poi, al denunciato rischio di una duplice punizione dello stesso soggetto per il medesimo fatto, nel caso di cumulo di più qualifiche fra quelle contemplate dalla norma (rischio che deriverebbe proprio dal carattere autonomo delle singole responsabilità), vale osservare, da un lato, come l'eventualità che il committente del trasporto sia anche il conducente o il proprietario del veicolo per esso utilizzato appaia meramente teorica, e in fatto non ricorra nel giudizio a quo; dall'altro, come il risultato paventato possa essere in ogni caso evitato in via interpretativa - laddove la regola cautelare violata risultasse unitaria - tramite l'applicazione del principio del ne bis in idem sostanziale.
6. - Le considerazioni che precedono comportano anche l'insussistenza dell'ipotizzata violazione dell'art. 23 Cost.: censura basata, peraltro, su un argomento non pertinente rispetto al parametro, venendo il vulnus costituzionale fatto discendere - non già dall'inosservanza della riserva di legge ivi sancita - ma esclusivamente dalla circostanza che la norma in esame sottoponga a sanzioni pecuniarie soggetti in tesi estranei all'illecito, e dunque dal medesimo rilievo posto a fondamento della denunciata lesione del principio di ragionevolezza.
7. - Per quanto attiene agli ulteriori profili di pretesa violazione dell'art. 3 Cost., parimenti insussistente è quello legato alla circostanza che il committente sia chiamato a rispondere delle violazioni in discorso unicamente «quando si tratta di trasporto eseguito per suo conto esclusivo».
La censura poggia, in effetti, sul presupposto che la formula «per suo conto esclusivo» attenga alla merce caricata sul singolo veicolo, la quale dovrebbe appartenere, in tesi, ad un unico committente affinché la responsabilità divenga operante. Per converso, tanto nella terminologia del codice civile (si veda, in specie, l'art. 1737, recante la definizione del contratto di spedizione), quanto nell'ambito della disciplina speciale del trasporto (si consideri, in particolare, la distinzione fra il trasporto «in conto proprio» e il trasporto «per conto di terzi», quali definiti dagli artt. 31 e 40 della legge 6 giugno 1974, n. 298, recante «Istituzione dell'albo nazionale degli autotrasportatori di cose per conto di terzi, disciplina degli autotrasporti di cose e istituzione di un sistema di tariffe a forcella per i trasporti di merci su strada») l'espressione «per conto»
assume la valenza di «nell'interesse». In questa prospettiva, la nozione di trasporto eseguito «per [...] conto esclusivo» del committente si contrappone, non già a quella di trasporto eseguito a favore di più committenti, ma all'altra di trasporto eseguito anche nell'interesse del trasportatore, e cioè per soddisfare anche esigenze dell'impresa di quest'ultimo.
Tale lettura esclude le incongruenze denunciate dal giudice a quo, essendo la situazione appena sopra indicata, da un lato, agevolmente verificabile dal committente nella generalità dei casi, e, dall'altro, atta a determinare una differenziazione non irragionevolmente valorizzabile dal legislatore ai fini che qui rilevano.
8. - Contrariamente a quanto assume il rimettente, il principio di eguaglianza non può ritenersi violato neppure dalla avvenuta equiparazione, sotto l'aspetto considerato, delle violazioni relative al trasporto di materiali pericolosi, sanzionate dall'art. 168 cod. strada, a quelle concernenti il sovraccarico dei veicoli, di cui al precedente art. 167 (il quale punisce, in realtà, anche violazioni di altro tipo, attinenti ai limiti alla circolazione dei veicoli che effettuano trasporti in condizioni di eccezionalità: art. 167, commi 4 e 7, cod. strada).
Le fattispecie poste a confronto non presentano, infatti, gli elementi differenziali che, ad avviso del giudice a quo, renderebbero irragionevole detto allineamento.
Quanto alla culpa in vigilando del committente - ipotizzabile, secondo il rimettente, solo in rapporto all'eccesso di carico - si è già rimarcato come la sua configurabilità in concreto condizioni, in base ai principi generali, la responsabilità di detto soggetto anche in rapporto alle infrazioni alla disciplina del trasporto di materiali pericolosi (infrazioni tra le quali rientra, peraltro, anche il sovraccarico del veicolo: art. 168, comma 7, cod. strada).
Inoltre, non diversamente dalle restanti violazioni delle regole cautelari attinenti al trasporto di materiali pericolosi, anche l'eccessivo carico del mezzo di trasporto, rendendone meno sicura la circolazione, ingenera il rischio della perdita o del danneggiamento della merce: sicché non è condivisibile nemmeno l'altro argomento del giudice a quo, secondo il quale il committente trarrebbe vantaggio dagli illeciti amministrativi previsti dall'art. 167 cod. strada, mentre potrebbe essere soltanto danneggiato da quelli contemplati nell'articolo che segue.
9. - Parimenti infondata, infine, è la censura di violazione degli artt. 117, primo comma, e 3 Cost., conseguente all'asserita non conformità della norma censurata alle previsioni dell'Accordo europeo relativo al trasporto internazionale su strada di merci pericolose (ADR).
Al riguardo, va rilevato che il comma 2 dell'art. 168 cod. strada rinvia specificamente agli allegati a detto Accordo per la disciplina della circolazione dei veicoli che trasportano merci pericolose, nonché «per le prescrizioni relative all'etichettaggio, all'imballaggio, al carico, allo scarico ed allo stivaggio sui veicoli stradali». In tal modo, le prescrizioni contenute negli allegati all'Accordo ADR vengono ad integrare - anche per quanto attiene alla determinazione degli obblighi gravanti sui diversi soggetti coinvolti nelle operazioni - la componente precettiva degli illeciti amministrativi previsti dai commi 9, 9-bis e 9-ter dello stesso art. 168 cod. strada, i quali sanzionano specificamente le violazioni del citato comma 2: il che assicura la piena aderenza della disciplina interna all'atto internazionale di cui si tratta.
Il richiamo all'art. 167, comma 9, operato dal censurato comma 10 dell'art. 168 cod. strada, ha, a sua volta, una valenza estensiva, e non già delimitativa dell'area della responsabilità (basti considerare, al riguardo, l'esplicito riferimento del comma 9, secondo periodo, dell'art. 168 cod. strada alla responsabilità del «trasportatore», in contrapposizione a quella del conducente: soggetto - il trasportatore - contemplato dall'Accordo ADR, e non pure dall'art. 167, comma 9, cod. strada).
Detta estensione non può reputarsi, d'altra parte, contrastante con l'Accordo, il cui art. 5 stabilisce espressamente che i trasporti da esso regolati restano soggetti alle norme nazionali riguardanti, in via generale, la circolazione stradale: norme che, per quanto qui rileva, prevedono, come principio di massima, la corresponsabilizzazione del proprietario del veicolo e del committente per le violazioni relative ai trasporti di cose, come emerge non soltanto dall'art. 167, comma 9, ma anche dall'art. 10, comma 23, cod. strada, con particolare riguardo ai trasporti eccezionali o in condizioni di eccezionalità.
Inoltre, l'allegato A all'Accordo, se da un lato contempla uno specifico dovere di cooperazione del terzo nell'esecuzione del trasporto, il quale deve segnalare per iscritto allo speditore che si tratta di merci pericolose e mettere a sua disposizione tutte le informazioni e i documenti necessari all'esecuzione dei suoi obblighi (punto 1.4.2.); dall'altro, fornisce un'indicazione dichiaratamente non esaustiva degli obblighi degli altri «operatori» (punto 1.4.3), consentendo, in tal modo, ai singoli Stati di ampliarne l'area.
10. - La questione sollevata va, in conclusione, dichiarata non fondata.P.Q.M.
La Corte costituzionale
dichiara inammissibile l'intervento della A.N.P.A.M. (Associazione Nazionale Produttori Armi e Munizioni);
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 168, comma 10, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), sollevata, in riferimento agli artt. 3, 23, 27 e 117, primo comma, della Costituzione, dal Giudice di pace di Verona con l'ordinanza indicata in epigrafe.
domenica 18 settembre 2011
ESCE A FUMARE IN UN PARCO DI BERGAMO E VIENE UCCISO DA UN FULMINE
ESCE A FUMARE IN UN PARCO DI BERGAMO E VIENE UCCISO DA UN FULMINE
=
(AGI) - Bergamo, 18 set. - E' morto colpito da un fulmine
mentre si trovava in un parco a fumare. La vittima
dell'incredibile incidente Cristiano Toscano, 40 anni,
milanese, operaio dell'Atm. Ieri l'uomo era andato a visitare
un collega bergamasco ed erano finiti al paese natale di
quest'ultimo, per guardare in un bar la partita dell'Inter. A
un certo punto, nonostante il temporale, Toscano e' uscito nel
parco pubblico vicino al bar per fumare una sigaretta. Ed e'
stato li' che e' stato colpito dal fulmine, che l'ha ucciso sul
colpo. Il lampo ha provocato un sovraccarico in tutta la zona,
facendo saltare anche il contatore del bar. Visto che il locale
era rimasto al buio il bergamasco e' uscito a cercare il suo
amico e lo ha trovato riverso a terra. Ha subito chiamato il
118 ma ormai per l'uomo non c'era piu' niente da fare. (AGI)
Bg1/Uba
181001 SET 11
NNNN
(AGI) - Bergamo, 18 set. - E' morto colpito da un fulmine
mentre si trovava in un parco a fumare. La vittima
dell'incredibile incidente Cristiano Toscano, 40 anni,
milanese, operaio dell'Atm. Ieri l'uomo era andato a visitare
un collega bergamasco ed erano finiti al paese natale di
quest'ultimo, per guardare in un bar la partita dell'Inter. A
un certo punto, nonostante il temporale, Toscano e' uscito nel
parco pubblico vicino al bar per fumare una sigaretta. Ed e'
stato li' che e' stato colpito dal fulmine, che l'ha ucciso sul
colpo. Il lampo ha provocato un sovraccarico in tutta la zona,
facendo saltare anche il contatore del bar. Visto che il locale
era rimasto al buio il bergamasco e' uscito a cercare il suo
amico e lo ha trovato riverso a terra. Ha subito chiamato il
118 ma ormai per l'uomo non c'era piu' niente da fare. (AGI)
Bg1/Uba
181001 SET 11
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PESCHERECCIO AFFONDATO:APERTO CONTO CORRENTE DI SOLIDARIETA'
PESCHERECCIO AFFONDATO:APERTO CONTO CORRENTE DI SOLIDARIETA'
OBIETTIVO E' RECUPERO DEI CORPI DEI DUE MARINAI DISPERSI
(ANSA) - ERCOLANO (NAPOLI), 18 SET - E' stato aperto un conto
corrente bancario su cui versare una quota per la famiglia dei
marinai Vincenzo e Alfonso Guida, padre e figlio di Ercolano
(Napoli) dispersi dall'11 agosto scorso a seguito dell'incidente
col peschereccio 'Giovanni Padre' nel mare di Ischia.
L'iniziativa e' promossa dal Comitato 'Mare e Solidarieta''
presieduto dal sindaco di Ercolano Vincenzo Strazzullo e ha
l'obiettivo di mettere in campo tutte le azioni a sostegno della
famiglia, vittima del tragico incidente, ed e' tesa al recupero
dei corpi. Il conto corrente e' aperto presso la Banca di
Credito Popolare di Ercolano IBAN IT 75X0514240140103571091510.
Al riguardo Immacolata Ramaglia, madre di Alfonso Guida e moglie
di Vincenzo dice: ''Mi appello al cuore di tutti in particolare
delle mamme ercolanesi perche' possano fare delle offerte per il
recupero di un padre e di un figlio di questa terra''. (ANSA)
YW1-TOR
18-SET-11 10:24 NNNN
OBIETTIVO E' RECUPERO DEI CORPI DEI DUE MARINAI DISPERSI
(ANSA) - ERCOLANO (NAPOLI), 18 SET - E' stato aperto un conto
corrente bancario su cui versare una quota per la famiglia dei
marinai Vincenzo e Alfonso Guida, padre e figlio di Ercolano
(Napoli) dispersi dall'11 agosto scorso a seguito dell'incidente
col peschereccio 'Giovanni Padre' nel mare di Ischia.
L'iniziativa e' promossa dal Comitato 'Mare e Solidarieta''
presieduto dal sindaco di Ercolano Vincenzo Strazzullo e ha
l'obiettivo di mettere in campo tutte le azioni a sostegno della
famiglia, vittima del tragico incidente, ed e' tesa al recupero
dei corpi. Il conto corrente e' aperto presso la Banca di
Credito Popolare di Ercolano IBAN IT 75X0514240140103571091510.
Al riguardo Immacolata Ramaglia, madre di Alfonso Guida e moglie
di Vincenzo dice: ''Mi appello al cuore di tutti in particolare
delle mamme ercolanesi perche' possano fare delle offerte per il
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