Legislatura 17ª - Aula - Resoconto stenografico della seduta n. 018 del 06/05/2013
SENATO DELLA REPUBBLICA------ XVII
LEGISLATURA ------
18a SEDUTA PUBBLICA
RESOCONTO STENOGRAFICO (*)
LUNEDÌ 6 MAGGIO 2013
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Presidenza della vice presidente FEDELI,
indi del vice presidente CALDEROLI
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(*) Include l'ERRATA CORRIGE pubblicato nel Resoconto della
seduta n. 21 del 14 maggio 2013
(N.B. Il testo in formato PDF non è stato modificato in quanto copia conforme all'originale)
(N.B. Il testo in formato PDF non è stato modificato in quanto copia conforme all'originale)
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N.B. Sigle dei Gruppi parlamentari: Grandi Autonomie e
Libertà: GAL; Il Popolo della Libertà: PdL; Lega Nord e Autonomie: LN-Aut;
Movimento 5 Stelle: M5S; Partito Democratico: PD; Per le Autonomie (SVP, UV,
PATT, UPT) - PSI: Aut (SVP, UV, PATT, UPT) - PSI; Scelta Civica per l'Italia:
SCpI; Misto: Misto; Misto-Sinistra Ecologia e libertà:Misto-SEL.
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RESOCONTO STENOGRAFICO
PRESIDENTE. La
seduta è aperta (ore 17,02).
Si dia lettura del processo verbale.
GENTILE, segretario, dà lettura del processo verbale
della seduta del 29 aprile.
Sul processo verbale
PETROCELLI
(M5S). Domando di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
PETROCELLI (M5S). Signora Presidente, in merito
alla comunicazione data in chiusura di seduta lunedì 29 aprile, per quanto
riguarda ciò che è stato riportato nel processo verbale io non concordo con la
trascrizione del processo verbale stesso: avrei bisogno che venisse fatta una
rettifica rispetto a quelle che sono state le mie dichiarazioni, in quanto non
corrispondente al vero. Chiedo pertanto che il processo verbale venga integrato
con quanto io vorrei riportare.
Inoltre, signora Presidente, chiedo la votazione del
processo verbale, previa verifica del numero legale.
PRESIDENTE. Ci dica meglio, senatore, quali sono le
modifiche che lei vuole fare al processo verbale.
PETROCELLI (M5S). Signora Presidente, si faceva
riferimento alle modifiche sul processo verbale che riguardano due consiglieri
regionali del Consiglio regionale di Basilicata e un assessore regionale del
Consiglio di Basilicata, laddove erroneamente indicato nei termini della
proporzione due a uno. Inoltre, si faceva riferimento alla Giunta regionale di
Basilicata interamente composta e al Consiglio regionale di Basilicata per buona
parte dei suoi membri.
PRESIDENTE. La Presidenza prende atto delle osservazioni
fatte. Qui abbiamo dato lettura soltanto del processo verbale, che è cosa
differente dal Resoconto stenografico, per cui faremo la verifica presso gli
Uffici.
PETROCELLI. Signora Presidente, noi chiediamo in questo
momento che l'integrazione avvenga con quanto richiesto e, prima di procedere
alla votazione del processo verbale, modificato nel senso da noi richiesto,
chiediamo la verifica del numero legale.
Verifica del numero legale
PRESIDENTE.
Invito il senatore Segretario a verificare se la richiesta risulta appoggiata
dal prescritto numero di senatori, mediante procedimento elettronico.
(Numerosi senatori del Gruppo M5S alzano la mano). Bisogna mettere la
scheda.
(La richiesta risulta appoggiata).
Invito pertanto i senatori a far constatare la loro
presenza mediante procedimento elettronico.
(Segue la verifica del numero legale). (Alcuni
senatori del Gruppo M5S richiamano l'attenzione della Presidente).
Ci sono i senatori Segretari per il controllo. Chiedo a
ciascuno di fare il proprio lavoro. Ripeto: ho detto che ci sono i senatori
Segretari a fare le verifiche; spetta a loro.
Il Senato non è in numero legale.
Sospendo la seduta per venti minuti.
(La seduta, sospesa alle ore 17,11, è ripresa alle ore
17,32).
Ripresa della discussione sul processo verbale
PRESIDENTE.
Riprendiamo i nostri lavori.
Chiedo al senatore Petrocelli se intende chiedere
nuovamente la verifica del numero legale. Non vedo però il senatore
Petrocelli.
GIARRUSSO
(M5S). Signora Presidente, formulo io la richiesta di verifica del numero
legale.
PRESIDENTE.
Invito il senatore Segretario a verificare se la richiesta risulta appoggiata
dal prescritto numero di senatori, mediante procedimento elettronico. Sempre con
la tessera.
Do lettura dell'esito della verifica. Richiedenti...
(Proteste dal Gruppo M5S).
GIARRUSSO (M5S). Neppure il tempo di sedermi,
Presidente!
PRESIDENTE. Colleghi, dovevate inserire la tessera.
(Proteste dal Gruppo M5S). Avevate a disposizione cinque secondi!
VOCE DAL GRUPPO M5S. Il sistema non ha funzionato!
PRESIDENTE. Come potete vedere dal tabellone il sistema ha
funzionato: risultano infatti sette voti.
GIARRUSSO (M5S). Non mi sono potuto neppure sedere!
Neppure il tempo di sedermi, Presidente! (Proteste dal Gruppo M5S).
PRESIDENTE. A seduta aperta i Regolamenti si rispettano.
Abbiamo sospeso la seduta e poi ripreso i nostri lavori. Si è aperta la verifica
del numero legale: non è un caso che gli altri abbiano potuto votare.
Non ci sono, dunque, i dodici senatori necessari affinché
la richiesta di verifica del numero legale risulti appoggiata.
AIROLA (M5S). Abbiamo votato, ma non si è accesa la
luce corrispondente!
TAVERNA (M5S). Non ci ha dato i cinque secondi!
PRESIDENTE. Guardate, il controllo dei cinque secondi è
stato fatto dal senatore Segretario. (Vive proteste dal Gruppo M5S).
A questo punto pongo in votazione per alzata di mano il
processo verbale. Chi è d'accordo è pregato di alzare la mano. (Vive proteste
dal Gruppo M5S).
VOCE DAL GRUPPO M5S. Non ci sono stati i cinque
secondi!
PRESIDENTE. Vi prego! Ascoltate, non sono io che posso
decidere, perché il Regolamento si deve rispettare. Se non ci fosse stato il
tempo, non avrebbero votato neppure gli altri!
GIARRUSSO (M5S). Questa è una vergogna! È una
vergogna!
AIROLA (M5S). Non sono passati i cinque
secondi!
GIARRUSSO (M5S). Questa non è una democrazia! Non
ci ha dato il tempo, Presidente!
PRESIDENTE. Per favore, chiedo soltanto di abbassare tutti
i toni. Adesso facciamo la votazione sul processo verbale. Chi è d'accordo è
pregato di alzare la mano. (Vive proteste dal Gruppo M5S).
AIROLA (M5S). È vergognoso questo. (Vive,
reiterate proteste dal Gruppo M5S).
PRESIDENTE. Colleghi, vi richiamo all'ordine e al rispetto
dell'Aula. Non si può, secondo me, fare in questo modo. (Vivissime, reiterate
proteste dal Gruppo M5S).
AIROLA (M5S). Ci faccia votare. No, così non va
bene! Avete gravemente violato una regola!
PRESIDENTE. Noi abbiamo completato la procedura; ci sono
gli altri che hanno votato.
TAVERNA (M5S). Prima ha dato cinque secondi.
PRESIDENTE. Chiedo agli Uffici di verificare. Se non
rispettiamo insieme le regole ci sono problemi; fare eccezioni non aiuta.
VOCE DAL GRUPPO M5S. Non ci ha dato il tempo di
votare.
PRESIDENTE. Dichiaro il risultato della votazione del
processo verbale con la votazione prima effettuata. È approvato. (Applausi
dai Gruppi PD, PdL e Aut (SVP, UV, PATT, UPT) - PSI)).
VOCI DAL GRUPPO M5S. Vergognatevi! (Vivissime,
reiterate proteste dal Gruppo M5S).
PRESIDENTE. Colleghi, abbassate la voce, per favore.
Vorrei che mi ascoltaste. Circa la richiesta di integrazione e correzione del
processo verbale, la Presidenza si richiama al dettato dell'articolo 60, il
quale dispone che nel processo verbale devono essere contenuti «soltanto gli
atti e le deliberazioni, indicando per le discussioni l'oggetto e i nomi di
coloro che vi hanno partecipato».
Dunque, gli Uffici potranno tener conto dei rilievi
esposti dal senatore Petrocelli ai fini di un'eventuale modifica del Resoconto
stenografico. (Vive proteste dal Gruppo M5S).
VOCE DAL GRUPPO M5S. Non abbiamo votato. È una vergogna.
(Reiterate, vivissime proteste dal Gruppo M5S).
Comunicazioni della Presidenza
PRESIDENTE.
L'elenco dei senatori in congedo e assenti per incarico ricevuto dal Senato,
nonché ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicati nell'allegato B
al Resoconto della seduta odierna. (Vivissime, reiterate proteste dal Gruppo
M5S).
Preannunzio di votazioni mediante procedimento
elettronico
PRESIDENTE.
Avverto che nel corso della seduta odierna potranno essere effettuate votazioni
qualificate mediante il procedimento elettronico.
Pertanto decorre da questo momento il termine di venti
minuti dal preavviso previsto dall'articolo 119, comma 1, del Regolamento
(ore 17,38).
AIROLA (M5S). Vergognatevi, non ci avete fatto
votare! È una vergogna non votare il processo verbale. (Rivolgendosi ai
banchi del centrosinistra). Vergognatevi!
Sulla scomparsa del senatore a vita Giulio
Andreotti
PRESIDENTE.
Onorevoli colleghi e colleghe, prima di iniziare la seduta vorrei
ricordare...(Vivissime, reiterate proteste dal Gruppo M5S).
VOCE DAL GRUPPO M5S. Non può iniziare la seduta. Non ci è
stato dato il tempo di votare.
PRESIDENTE. La verifica l'hanno fatta i Segretari d'Aula.
(Vivissime proteste dal Gruppo M5S).
GIARRUSSO (M5S). Questo non è un Consiglio comunale
qualunque: è il Parlamento di questo Paese!
PRESIDENTE. Prego tutti di rispettare l'Aula. C'è il
Regolamento, ci sono le persone preposte, non fate così. (Vivissime,
reiterate proteste dal Gruppo M5S).
Adesso che avete detto parole di questa natura, prego
tutti di avere un po' di calma e di stare seduti.
Onorevoli colleghi e colleghe, prima di iniziare la seduta
di oggi, voglio ricordare il senatore a vita Giulio Andreotti... (Vivissime
proteste dal Gruppo M5S. Applausi dai Gruppi PD, PdL, SCpI e LN-Aut)...che è
mancato oggi all'età di 94 anni, dopo una lunghissima esperienza...
(Vivissime proteste dal Gruppo M5S. Applausi dai Gruppi PD, PdL, SCpI e
LN-Aut).
Con questo clima, sospendo la seduta per cinque
minuti.
(La seduta, sospesa alle ore 17,40, è ripresa alle ore
17,48).
Riprendiamo i nostri lavori.
Abbiamo fatto anche una riflessione, quindi possiamo
riprendere serenamente.
Onorevoli colleghe e colleghi, voglio ricordare il
senatore a vita Giulio Andreotti, che è mancato all'età di 94 anni...
(Proteste dal Gruppo M5S).
GIARRUSSO (M5S). Noi avevamo chiesto la verifica
del numero legale!
PRESIDENTE. ...dopo una lunghissima esperienza
parlamentare...
TAVERNA (M5S). Non ci ha fatto votare!
PRESIDENTE. ...a partire dall'Assemblea costituente, e di
Governo...
TAVERNA (M5S). Non ho parole!
PRESIDENTE. ...che lo ha visto sette volte Presidente del
Consiglio.
GIARRUSSO (M5S). Signora Presidente, io voglio
votare!
PRESIDENTE. La sua figura sarà commemorata dal Senato in
seduta solenne in una prossima seduta. (Proteste dal Gruppo M5S).
Manifesto però oggi alla famiglia...
TAVERNA (M5S). E va avanti così!
PRESIDENTE. ...il nostro cordoglio, e chiedo all'Assemblea
di osservare un minuto di raccoglimento. (Molti senatori si levano in piedi e
osservano un minuto di raccoglimento).
GIARRUSSO (M5S). Questo è un precedente
gravissimo.
TAVERNA (M5S). Lei ci sta impedendo di commemorare
quel che è giusto commemorare. Glielo abbiamo chiesto in tutte le maniere.
IURLARO (PdL). (Rivolto ai banchi del Gruppo
M5S). Vergogna!
PRESIDENTE. Per favore, chiedo rispetto per questo minuto
di raccoglimento.
VOCE DAL GRUPPO PDL. Cacciateli fuori!
GIARRUSSO (M5S). Vogliamo votare!
SANTANGELO (M5S). Noi dobbiamo votare.
PRESIDENTE. Per favore, chiedo un minuto di silenzio e di
rispetto per il senatore Andreotti.
AIROLA (M5S). Anche ora è piuttosto irrispettoso
chiedere un minuto di silenzio.
CALIENDO (PdL). Ma discutete dopo, non ora!
LEZZI (M5S). Insomma, signora Presidente, noi
rappresentiamo otto milioni di persone.
GIARRUSSO (M5S). Questo minuto di silenzio è per la
morte della democrazia. (Al termine del minuto di raccoglimento, proteste
dal Gruppo M5S. Applausi dai Gruppi PD, PdL, SCpI, LN-Aut, GAL,
Misto-SEL e Per le Autonomie (SVP, UV, PATT, UPT) - PSI).
Discussione del documento:
(Doc. LVII, n.
1) Documento di economia e finanza 2013 (ore
17,51)
PRESIDENTE.
L'ordine del giorno reca la discussione del documento LVII, n. 1, documento che
interessa tutta l'Italia.
Le relazioni sono state già stampate e distribuite.
Ha chiesto di parlare per integrare la relazione scritta
la relatrice, senatrice Ghedini Rita. Ne ha facoltà. (Proteste dal Gruppo
M5S).
TAVERNA (M5S). Vergognatevi! È il solito
teatrino!
AIROLA (M5S). Signora Presidente, insomma, lei deve
fare il suo lavoro!
PRESIDENTE. Colleghi, la Presidenza ha anche parlato con
alcuni vostri rappresentanti. Vi prego! Abbiamo detto che in seguito compiremo
le dovute verifiche. (Proteste dal Gruppo M5S). Vi prego, colleghi! I
nostri lavori non possono procedere in questo modo.
AIROLA (M5S). Ma quando le fate queste
verifiche?
GIARRUSSO (M5S). Signora Presidente, lei non mi ha
fatto votare. Io voglio votare!
Sull'ordine dei lavori
ZANDA
(PD). Domando di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà. (Proteste dal Gruppo
M5S).
ZANDA (PD). Signora Presidente, chiedo la parola
sull'ordine dei lavori, se i colleghi del Movimento 5 Stelle mi consentono di
intervenire.
Signora Presidente, questo è il Senato della Repubblica:
credo che nel Senato della Repubblica sia necessario tenere un contegno
appropriato al tenore delle istituzioni. (Applausi dai Gruppi PD, PdL,
LN-Aut, GAL, SCpI e Misto-SEL).
SANTANGELO (M5S). È quello che volevamo fare!
ZANDA (PD). Il Senato, come la Camera dei deputati,
ha un Regolamento che consente a ciascun senatore, e a maggior ragione a un
Gruppo importante e così nutrito, di far valere le proprie ragioni secondo le
regole del nostro Senato. (Applausi dai Gruppi PD e SCpI. Proteste dal Gruppo
M5S).
Onorevoli colleghi, noi abbiamo davanti una legislatura da
passare insieme. (Commenti dal Gruppo M5S).
SANTANGELO (M5S). Noi chiediamo il rispetto del
Regolamento!
ZANDA (PD). Il Regolamento non si rispetta urlando
contro la Presidenza e interrompendo il minuto di silenzio osservato per ragioni
di lutto! (Proteste dal Gruppo M5S). Signora Presidente, se questa
gazzarra deve continuare, io le chiedo di sospendere la seduta!
PRESIDENTE. Colleghi, non si può procedere in questo modo!
Si possono esprimere opinioni di dissenso oppure no, ma ci vuole rispetto!
Prego, senatore Zanda.
ZANDA (PD). Signora Presidente, se questa gazzarra
deve continuare, le chiedo formalmente di sospendere la seduta! (Proteste dal
Gruppo M5S).
AIROLA (M5S). Non è una gazzarra!
SANTANGELO (M5S). Noi chiediamo il rispetto delle
regole! (Commenti del senatore Giarrusso).
DELLA VEDOVA
(SCpI). Domando di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
DELLA VEDOVA (SCpI). Signora Presidente, la mia non
è una critica all'uso del Regolamento e ad un uso anche (se fosse il caso)
spregiudicato dello stesso e di tutte le norme che consentono fino al
filibustering parlamentare. Credo però che in questo caso, signora
Presidente, ciò che sarebbe gravissimo, quali che siano le buone o non buone
ragioni, sia creare un precedente per cui nell'Aula del Senato anche una
discussione franca, franchissima, venga surclassata dalle voci e dagli
schiamazzi.
Mi associo pertanto alla richiesta del collega Zanda di
sospendere la seduta, perché quello che abbiamo appena vissuto sarebbe un
precedente ingiustificabile e pericolosissimo per i lavori del Senato, a
prescindere da chiunque dovesse poi comportarsi così in futuro. (Applausi dai
Gruppi SCpI, PD e PdL. Commenti del senatore Airola).
ORELLANA
(M5S). Domando di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
ORELLANA (M5S). Signora Presidente, voi che sedete
in altri banchi non avete assistito a quello che è successo tra i nostri. Io ho
visto i miei colleghi inserire la mano nel dispositivo e, mentre uno risultava
richiedente la verifica, l'altro no. Ciò dimostra che ci sono dei problemi
tecnici.
Non voglio ricordare i vecchi quiz televisivi in cui si
provavano i pulsanti, però in questo caso, evidentemente, c'è stato un problema
tecnico. Quindi, ragionevolezza avrebbe voluto che si fosse nuovamente votato
immediatamente dopo aver rilevato il problema: ci sarebbero voluti due secondi e
tutto questo non sarebbe successo. Invece, c'è stata una rigidità che noi
temiamo sia servita a consentire a più senatori di entrare in Aula. (Applausi
dal Gruppo M5S). È questa l'ingiustizia che noi non accettiamo! È in questo
senso che il Regolamento non viene applicato! (Vivaci applausi dal Gruppo
M5S). Noi che, invece, teniamo a che il Regolamento sia rispettato vorremmo
che questo venisse applicato nella forma e nella sostanza. (Applausi dal
Gruppo M5S).
PRESIDENTE.
Colleghi, nel rispetto di tutti e anche raccogliendo le osservazioni espresse,
credo che quest'Aula debba mantenere l'osservanza delle regole, pur nelle
opinioni differenti e anche nelle verifiche che devono essere effettuate. È
stato infatti stabilito che si procederà ad un accertamento di quanto
accaduto.
Ripresa della discussione del documento LVII, n.
1 (ore 17,57)
PRESIDENTE. Ha
facoltà di parlare la relatrice, senatrice Ghedini Rita.
GHEDINI Rita,
relatrice. Signora Presidente, onorevoli colleghi, ho assunto l'incarico
di relatrice sul Documento di economia e finanza in sostituzione del senatore
Filippo Bubbico, chiamato ad un incarico di Governo. A lui vanno, naturalmente,
così come agli altri membri del Governo, i migliori auguri di buon lavoro.
(Applausi dai Gruppi PD, PdL, SCpI e GAL).
La relazione depositata agli atti è stata predisposta e
presentata alla Commissione speciale per l'esame dei disegni di legge di
conversione dei decreti-legge da chi mi ha preceduto nell'incarico. Chiedo
pertanto di poterla qui brevemente riassumere ed integrare, in ragione
soprattutto degli eventi degli ultimi giorni e per gli aspetti di aggiornamento
più salienti.
La presentazione del Documento di economia e finanza
avviene nei tempi previsti dal nuovo processo di coordinamento ex ante
delle politiche economiche degli Stati membri dell'Unione europea e viene
effettuata alle Camere al fine di consentire loro di esprimersi sugli obiettivi
programmatici di politica economica in tempo utile per l'invio al Consiglio
dell'Unione europea e alla Commissione del Programma di stabilità e del
Programma nazionale di riforma contenuti, rispettivamente, nella prima e nella
terza parte del Documento.
Nella presente fase politica del Paese la presentazione
del Documento di economia e finanza si colloca nel pieno di una fase di
transizione. Il Documento in esame oggi è stato presentato da un Governo già
dimissionario nella precedente legislatura e, conseguentemente, conferma le
linee di politica economica tenute dall'Esecutivo senza assumere impegni per il
futuro.
Con la rielezione del Presidente della Repubblica e la
formazione del nuovo Governo, che lo scorso 29 aprile ha presentato alle Camere
il proprio programma ricevendone la fiducia, si è avviata una nuova fase
politica. La relazione depositata, quindi, si limita a descrivere i contenuti
del DEF predisposti dall'Esecutivo in fase di ordinaria amministrazione,
illustrando, accanto ai dati salienti che caratterizzano il quadro
macroeconomico nella fase congiunturale internazionale ed interna, le
prospettive dell'economia italiana e il quadro di finanza pubblica disegnabile
sulla base delle scelte di politica economica operate ex ante. Intendo
richiamarne qui, pertanto, soltanto gli estremi più salienti contenuti nel
Documento.
Relativamente al Programma di stabilità, si evidenzia il
rallentamento registrato nel 2012 dall'economia mondiale rispetto al 2011,
rallentamento che si è riflesso, in parte, anche nei primi mesi dell'anno in
corso, determinando una revisione al ribasso delle previsioni di crescita
dell'economia globale per il 2013. Secondo le indicazioni contenute nel
Documento, le stime di espansione del PIL mondiale si attesterebbero, per l'anno
in corso, al più 3,2 per cento e quelle del commercio mondiale al più 3,6 per
cento. In questo scenario, nell'area dell'euro è attesa per il 2013 una
contrazione del prodotto dello 0,3 per cento ed una debole ripresa per l'anno
successivo.
L'analisi del quadro macroeconomico italiano nel 2012 e le
previsioni per l'anno in corso e per il periodo 2014-2017 riflettono elementi di
incertezza ancora più marcati rispetto alle prospettive di crescita
dell'economia globale ed europea.
Per il 2013 si prevede una contrazione dell'economia
italiana dell'1,3 per cento, mentre per gli anni successivi la ripresa della
domanda interna dovrebbe garantire gran parte del trend di crescita del
PIL, in media dell'1,3 per cento nel periodo 2014-2017.
Le misure adottate dalle istituzioni europee, finalizzate
al ripristino della stabilità economico-finanziaria dell'Unione europea
attraverso il consolidamento dei bilanci pubblici dei Paesi membri, in
particolare di quelli con più elevato debito sovrano, e alla riduzione degli
effetti della volatilità dei mercati finanziari, hanno consentito un
miglioramento generale della situazione finanziaria dell'area euro e al nostro
Paese, fra quelli maggiormente esposti alle turbolenze dei mercati finanziari,
hanno consentito di raggiungere, attraverso una serie di manovre finanziarie
correttive e di riforme strutturali, l'obiettivo di riduzione dello
spread dei tassi di interesse sui titoli del debito pubblico e del
pareggio di bilancio strutturale già nel 2013 e negli anni successivi fino al
2017.
La linea adottata, concentrata quasi esclusivamente sulla
disciplina di bilancio, tuttavia, ha avuto effetti depressivi sulla capacità
complessiva del sistema economico dell'area euro, e in particolare del nostro
Paese, di produrre ricchezza, con effetti particolarmente negativi
sull'occupazione, che dopo il calo drammatico del 2012 continua a decrescere,
nonché sulla capacità di consumo delle famiglie. Questi fattori si aggiungono e
motivano le difficoltà di ripresa economica dell'area euro e la recessione in
atto nel nostro Paese. In Italia, infatti, tutti gli indicatori macroeconomici
riferiti all'andamento dell'economia reale risultano negativi, con la sola
eccezione dell'andamento delle esportazioni, di per sé comunque insufficiente a
compensare il forte calo dei consumi interni.
Il quadro di finanza pubblica delineato dal DEF risulta
complessivamente positivo, soprattutto se paragonato con la situazione
emergenziale del secondo semestre del 2011. Dal Programma di stabilità emerge
come, nonostante il peggioramento della congiuntura nel 2012, le misure finora
adottate consentano, al netto del ciclo e delle misure una tantum, il
raggiungimento - come dicevo - del pareggio di bilancio in termini strutturali
già nel 2013.
L'indebitamento netto, previsto al 2,9 per cento nel 2013
(che sconta già il peggioramento dovuto all'avvio del pagamento dei debiti
commerciali della pubblica amministrazione), presenta un trend in discesa
nell'arco del periodo di programmazione, posizionandosi in modo deciso al di
sotto della soglia limite del 3 per cento prevista dall'ordinamento europeo,
sorpassata la quale si avvia la procedura di infrazione per deficit
eccessivo.
Le misure di revisione e riduzione della spesa pubblica,
accompagnate da un accentuato incremento delle entrate (dovuto all'incremento
della pressione fiscale), migliorano l'andamento del saldo primario tendenziale
a legislazione vigente, previsto in crescita fino al 2017. La spesa per
interessi, sempre nel quinquennio di riferimento, aumenta progressivamente dal
5,3 per cento del 2013 al 6,1 per cento nel 2017, rimanendo comunque entro
limiti fisiologici, tenuto conto dell'elevato debito sovrano e dell'andamento
ancora altalenante dei mercati finanziari.
La spesa delle pubbliche amministrazioni è stata
sostanzialmente posta sotto controllo, tanto che, per effetto delle misure
finora adottate, in particolare nei confronti delle amministrazioni centrali,
delle Regioni e degli enti locali, la spesa scenderà dal 51,1 per cento nel 2013
al 48,3 per cento nel 2017. Al fine di rendere maggiormente efficiente tale
livello di spesa è ora essenziale completare il processo di spending
review già avviato negli scorsi esercizi, abbandonando definitivamente la
politica dei tagli lineari.
Dal lato delle entrate, proprio in ragione delle manovre
finanziarie correttive, si è registrato nel 2012 un aumento consistente delle
entrate finali che hanno raggiunto un ammontare pari al 47,7 per cento del PIL.
Nel 2013 le entrate finali aumenteranno ancora, attestandosi al 48,2 per cento
del PIL, per poi registrare una debole diminuzione fino a raggiungere nel 2017
il rapporto del 47,3 per cento del PIL. La pressione fiscale, di conseguenza, è
prevista al 44,4 per cento nel 2013, per poi diminuire gradualmente e lentamente
fino al 43,8 per cento nel 2017.
A questo proposito occorre segnalare l'urgenza del
potenziamento delle misure e degli strumenti di lotta all'evasione fiscale e
alla corruzione, indispensabili a recuperare una parte consistente di quei 180
miliardi di euro che oggi sfuggono al circuito dell'economia legale e che - come
evidenziato dalla stessa Corte dei Conti nel corso delle audizioni svolte in
Commissione speciale - potrebbero ridurre il dato della pressione fiscale.
Infine, il rapporto debito pubblico sul PIL, che raggiunge
nel 2013 il valore massimo del 130,4 per cento, anche in ragione del
provvedimento di sblocco dei pagamenti dei debiti commerciali delle pubbliche
amministrazioni verso i fornitori, inizia la propria graduale discesa a partire
dal 2014, rimanendo però su livelli molto elevati e ancora preoccupanti. Dati
questi che non sono senza effetti per il nostro sistema economico, in
considerazione delle cosiddette regole del debito e della spesa recentemente
introdotte nel nostro ordinamento.
Nel complesso, dall'esame del Programma di stabilità e del
Piano nazionale di riforma, pur a fronte dei risultati raggiunti con le misure
adottate nel corso degli ultimi mesi, emerge in tutta evidenza la necessità di
colmare il ritardo di crescita e di competitività accumulato dal nostro Paese
per via della crisi economica e finanziaria internazionale rispetto agli
obiettivi della Strategia Europa 2020 e di ridurre il livello del debito
sovrano. La crescita è la condizione essenziale per recuperare la competitività
e livelli occupazionali di standard europeo e - come è stato
autorevolmente rilevato anche nelle audizioni da parte della maggior parte dei
soggetti istituzionali auditi - per affrontare con successo il percorso di
rientro del debito pubblico che l'Europa ci richiede e di cui il nostro Paese ha
bisogno.
I target nazionali fissati per il 2020 dal Piano
nazionale di riforma risultano significativamente ridotti rispetto agli
obiettivi fissati dalla Strategia Europa 2020, in particolare per gli indicatori
maggiormente sensibili alla condizione materiale di vita delle persone, quali il
tasso di occupazione (in particolare quello giovanile e femminile), il tasso di
istruzione, il tasso di povertà e gli indicatori sensibili per lo sviluppo,
quali gli investimenti in ricerca e sviluppo.
Dall'analisi complessiva del Documento risulta evidente
come le misure di stabilizzazione, da sole, non potranno essere risolutive, né
gli obiettivi di finanza pubblica potranno essere raggiunti e mantenuti nel
tempo in assenza dell'innalzamento del potenziale dell'economia, in particolare
in Paesi in forte recessione come il nostro.
Il Consiglio europeo del 14 marzo scorso ha svolto un
ampio dibattito sulla situazione economica e sociale dell'area euro e ha fissato
gli orientamenti per la politica economica degli Stati membri e dell'Unione
europea nel 2013. Dal dibattito è emersa la necessità di concentrare
l'attenzione sull'attuazione delle decisioni da adottare per quanto riguarda il
patto per la crescita e l'occupazione e di attribuire una particolare priorità
al sostegno dell'occupazione giovanile e alla promozione della crescita e della
competitività. A giugno il Consiglio europeo ritornerà sulla valutazione delle
politiche in fase di definizione a livello nazionale per attuare queste
priorità, nonché sull'attuazione del Patto per la crescita e l'occupazione.
In questa sede il nuovo Governo dovrà prospettare le
proprie linee di politica economica per contrastare la recessione e favorire la
crescita e la coesione.
Nel discorso programmatico il primo ministro Enrico Letta
ha affermato: «Il mantenimento degli impegni presi con il Documento di economia
e finanza è necessario ad uscire, quanto prima, dalla procedura di disavanzo
eccessivo e per recuperare margini di manovra all'interno dei vincoli europei.
Nelle sedi europee e internazionali l'Italia si impegnerà poi per individuare
strategie per ravvivare la crescita senza compromettere il processo di
risanamento della finanza pubblica».
Di questa necessità ha dato ampiamente conto il dibattito
svolto in Commissione speciale, sia nel merito dei contributi dei soggetti
auditi, sia negli interventi dei commissari.
Lo scorso 2 maggio il ministro dell'economia, professor
Fabrizio Saccomanni, che saluto, ha confermato che «il quadro
economico-finanziario delineato nel Documento di economia e finanza consente il
sostanziale rispetto di tutti i vincoli di bilancio previsti sia nel contesto
del rafforzamento della governance europea, che in quello nazionale»,
confermando altresì che il mantenimento del deficit in termini nominali,
per quest'anno e per gli anni successivi, al di sotto del limite del 3 per cento
consentirà all'Italia, intorno alla metà di giugno, di uscire dalla procedura di
deficit eccessivo.
Il raggiungimento di tale risultato e la conferma del
pareggio di bilancio in termini strutturali e di indebitamento netto al di sotto
del 3 per cento per tutto il periodo 2014-2015 rappresentano la condizione
indispensabile per consentire al Governo di richiedere alle istituzioni europee
di beneficiare di maggiori margini di flessibilità rispetto alle regole di
bilancio. Ciò in ragione del fatto che l'uscita dalle procedure di infrazione
per deficit eccessivo è stata stimata capace di liberare diversi miliardi
di euro di risorse in più da destinare alla crescita.
Le politiche di risanamento virtuose in linea con gli
obiettivi europei nel percorso di aggiustamento del deficit e debito, tra
l'altro, hanno già consentito all'Italia di mettere in campo il provvedimento
urgente per la liquidazione di 40 miliardi di debiti commerciali della pubblica
amministrazione verso le imprese (oggetto del decreto-legge 8 aprile 2013, n.
35, in discussione nell'altro ramo del Parlamento).
Dalla chiusura della procedura per deficit
eccessivo deriverebbe altresì un miglioramento del merito di credito del nostro
Paese, con presumibile contenimento dello spread BTP-Bund e,
conseguentemente, del costo del servizio del debito pubblico.
Inoltre, il Ministro ha osservato che l'agenda di politica
europea e i vincoli che essa impone agli Stati membri sono parte integrante e
imprescindibile di ogni riforma strutturale da mettere in cantiere nel prossimo
futuro. Tuttavia, le politiche di contenimento della spesa pubblica rese
necessarie dalla crisi hanno lasciato un'eredità pesante sulle famiglie e sulle
imprese, che si sono trovate a far fronte a un inasprimento della pressione
fiscale e al conseguente indebolimento della domanda di consumi e investimenti.
Pertanto, il percorso che il nuovo Governo traccerà dovrà essere ora più
orientato alla crescita, coniugando le politiche europee di stabilità con azioni
decise per la ripresa dell'attività economica e dell'occupazione.
Queste sono individuate in quelle già enunciate dal primo
ministro Letta nel discorso programmatico: riduzione della pressione fiscale,
in primis sul lavoro; revisione della tassazione vigente sugli immobili,
anche al fine di ridare slancio all'edilizia e stabilità agli incentivi di
ristrutturazione ecologica delle abitazioni; prosecuzione degli interventi di
pagamento dei debiti delle amministrazioni pubbliche nei confronti dei
fornitori; allentamento del Patto di stabilità interno; rinuncia
all'inasprimento dell'IVA; aumento del Fondo centrale di garanzia per la piccola
e media impresa e del Fondo di solidarietà per i mutui; ampliamento degli
incentivi fiscale per chi investe in innovazione; sostegno all'aggregazione e
all'internazionalizzazione delle piccole e medie imprese; semplificazione e
rimozione degli ostacoli burocratici che frenano lo spirito di impresa.
Nel sottolineare che tali interventi dovranno essere
portati avanti senza costituire nuovo indebitamento e negoziando -
auspicabilmente - procedure maggiormente elastiche con l'Unione europea, il
Governo ha richiesto un po' di tempo al fine di presentare al Parlamento
proposte compiute per il breve e medio periodo, invitando il Parlamento stesso
ad approvare il Documento di economia e finanza a saldi invariati ed
impegnandosi a presentare alle Camere i nuovi indirizzi di programmazione
economica e di finanza pubblica in tempi compatibili con la chiusura della
procedura di disavanzo eccessivo, condizione questa necessaria per estrinsecare
gli obiettivi strategici espressi dal Governo. (Applausi dai Gruppi PD, PdL
e SCpI).
Saluto ad una rappresentanza di studenti
PRESIDENTE.
Desidero rivolgere, a nome dell'intero Senato, un saluto alle studentesse e agli
studenti dell'Istituto comprensivo statale «Aldo Moro» di Carosino, in provincia
di Taranto. (Applausi).
Ripresa della discussione del documento LVII, n.
1 (ore 18,14)
PRESIDENTE. Ha
chiesto di parlare per integrare la relazione scritta il senatore Molinari,
relatore di minoranza. Ne ha facoltà.
MOLINARI,
relatore di minoranza. Signora Presidente, signori ministri, signore
senatrici, signori senatori, cittadini tutti, prima ancora di inoltrarmi - con i
pochi minuti messi a disposizione, naturalmente non potrò illustrare la
relazione per intero - nell'arida terra dei dati economici e finanziari, mi sia
consentito chiarire, spero in modo chiaro ed inequivocabile, le ragioni per cui
per noi del Movimento 5 Stelle è prioritario invocare nelle Aule del Parlamento,
prima ancora che la carica istituzionale che incarniamo in virtù del mandato
ricevuto, il nostro essere cittadini, e le ragioni per cui rappresentiamo ormai
l'unica vera opposizione in questo Parlamento. (Applausi dal Gruppo
M5S).Non per sterile populismo demagogico, come qualche sciocco commentatore
potrebbe chiosare, ma per rammentare ai tanti che sembrano averlo dimenticato,
perché sono diventati sordi e ciechi ai tanti drammi che la nostra società sta
soffrendo, che la sovranità appartiene solo al popolo italiano. Quegli stessi 8
milioni appartenenti al popolo italiano che qui ci hanno chiamato e che vi
imputano di avere tradito, più che mai in questi ultimi trent'anni, la Carta
costituzionale e le regole.
Nessuna cambiale in bianco firmata alle forze politiche
che hanno rinnegato questo Paese: questo abbiamo promesso al popolo italiano in
campagna elettorale. Ma ci siamo dichiarati pronti a votare buone leggi in
favore dei cittadini da chiunque proposte.
Nell'espletamento del nostro mandato, che per noi, come
risaputo, è a tempo, ci consideriamo direttamente eredi di altri giovani che nel
momento del bisogno della Nazione hanno capito da quale parte stare, quando
altri stranieri volevano occupare le nostre terre e le nostre istituzioni.
Intendiamo ridare dignità alla politica, che oggi più che
mai ha bisogno di sana coerenza tra parola ed azione.
Con la nascita dolorosa di questo Governo, e della
direttamente collegata elezione del Presidente della Repubblica, anche quella
parte di italiani che ancora immaginava e sperava possibile una riforma dei
partiti ha ormai potuto scoprire che dietro la foglia di fico dei tecnici si
nasconde una sola classe politica, che ha governato e governa questo Paese,
anche laddove qualcuno continua a chiamarla destra o sinistra. Nel portare luce
dove finora c'era buio ci sentiamo già onorati di avere assolto al primo
consistente mandato elettorale ricevuto dai nostri elettori. A testimoniarlo è
il primo atto politico di questo Governo, che ha fatto suo il Documento di
economia e finanza predisposto dal precedente, di cui evidentemente si considera
erede, laddove, se fosse un vero Governo di innovazione, come le forze politiche
che lo compongono hanno inteso far credere ai loro elettori, avrebbe dovuto
denunciarne il disastroso fallimento delle politiche di austerità.
Dall'esame del Documento di economia e finanza sembra che
si stia per uscire dalla procedura di infrazione, su cui spera il Governo per
attuare le politiche economiche cosiddette flessibili di rientro; ma nel leggere
i dati OCSE dell'altro giorno ne dubitiamo fortemente. Infatti, il rapporto
diramato ci parla di un deficit del 3,3 per cento nel 2013 e del 3,8 nel
2014, al netto della sospensione dell'IMU.
Dietro questi numeri, che ci raccontano di una politica di
cieco rigore applicata come un dogma, ci sono gli effetti devastanti che hanno
prodotto e producono sulla società civile; ma gli impegni che abbiamo sentito
prendere dal Governo e ribadire dal ministro Saccomanni sono in una
continuazione: prima il rigore, poi la crescita; promesse in continuità con
quelle che il popolo italiano ha sentito pronunciare dal professor Monti
all'atto della fiducia, che voi tutti avete concesso e conferito, quando
subentrava al Governo Berlusconi, sottoscrittore di quei patti con l'Europa.
Promesse che parlavano di rigore, equità e crescita; di esse in realtà il popolo
ha subito soltanto la prima, pagandone un alto tributo, anche in termini di
suicidi, come ci raccontano drammaticamente le quotidiane cronache
giornalistiche. Troppo spesso, infatti, si riportano casi di piccoli e medi
imprenditori che si sono sentiti abbandonati, e in quell'atto estremo hanno
trovato l'unica forma di protesta; o come il sindacalista Burgarella, che si è
impiccato con in mano la Costituzione che questa classe politica ha tradito nei
suoi principi più profondi.
Ricordiamo bene quelle promesse non mantenute, perché noi
siamo parte di quel popolo che le ha subite sulla propria pelle, e il nostro
primo impegno come unica vera forza di opposizione sarà chiamarvi a risponderne
alla storia, anche perché il grande capitale economico-finanziario di natura
speculativa è rimasto inviolato, come impuniti sono rimasti quegli infedeli
uomini delle istituzioni che hanno agevolato l'opera demolitrice dello Stato
sociale, senza intaccare gli sprechi della politica, lasciando del tutto
inalterati i privilegi di classi parassitarie e improduttive e mettendo in
dubbio, nel contempo, diritti civili e sociali.
Un recente studio del Fondo monetario internazionale ha
rilevato come i piani di austerità fiscale hanno un impatto negativo sulla
crescita, maggiore di quanto finora stimato. Il modello utilizzato anche dalla
Commissione europea e su cui si sono basati tutti i programmi di aggiustamento
indicava il moltiplicatore fiscale poco impattante sulla minor crescita. I nuovi
calcoli dimostrano, invece, che, dallo scoppio della crisi del 2008 a oggi, in
realtà si è innescata una spirale negativa superiore alle previsioni, fra tagli
fiscali e recessioni.
Considerazioni ancor più vere per la clamorosa svista
storica di Reinhart e Rogoff, che fa crollare uno dei dogmi su cui si è retta
per diversi decenni la politica del rigore, e cioè che quando il rapporto tra
debito pubblico e prodotto interno lordo supera il 90 per cento la crescita si
blocca e si entra in recessione, come evidenziava di recente sul «Financial
Times» Martin Wolf.
Nel luglio del 2012 il nostro Parlamento ha ratificato due
importanti trattati, quello sul fiscal compact e quello sul meccanismo
europeo di stabilità, che dreneranno ulteriori spazi finanziari alla nostra
economia: già il fabbisogno di aprile - ha appena diffuso i dati il Ministero
dell'economia e finanza - ne ha risentito con un peggioramento per il pagamento
della sottoscrizione del capitale per circa 2.800 milioni di euro.
L'impianto così precostituito risulta un'enorme
contraddizione: si strangola l'economia reale con misure di austerità per uscire
dalla crisi del debito e nello stesso tempo quest'ultimo lievita a dismisura,
anche per effetto delle stesse strategie volte a ridurne la consistenza, con la
conseguenza che la cosiddetta forbice sociale si è ulteriormente allargata: sono
aumentati i poveri e quelli vicino alla soglia di povertà e i pochissimi ricchi
hanno continuato a guadagnare e ad arricchirsi. In pratica, si è effettuata una
redistribuzione della ricchezza in senso inverso, aumentando quella di coloro
che hanno contribuito a creare la crisi a discapito di coloro che l'hanno
subita.
Il Movimento 5 Stelle ribadisce che, nell'ambito del
descritto quadro congiunturale, che è in peggioramento e non solo per i dati
diffusi dall'OCSE, non è pensabile una nuova manovra economica pesantemente
depressiva. Al contrario, servono scelte coraggiose e innovative. Non è un caso
che sabato la BCE ha ulteriormente ridotto i tassi e per la prima volta ha fatto
intendere che si riserva di portare in negativo i tassi sui depositi che le
banche hanno presso di essa per costringerle a investire: l'unica manovra di
tipo monetario che le è possibile operare, visto che per statuto non può
stampare moneta.
In risposta all'eclatante fallimento del sistema di
austerità, occorre porre in essere una diversa politica europea, attraverso
misure anticicliche che prevedono anche la rinegoziazione del Trattato di
Maastricht e del fiscal compact al fine di rilanciare una nuova Europa.
Serve una maggiore democrazia nella governance europea, che ponga al suo
centro il benessere dei cittadini europei, e non il mito dello sviluppo e della
crescita che ci ha trascinato nella situazione attuale.
Va inoltre ridefinito il ruolo della BCE, che dovrebbe
diventare prestatore di ultima istanza per i diversi debiti pubblici ed inserire
tra i suoi obiettivi il perseguimento della piena occupazione e favorire quegli
investimenti produttivi utili alla riconversione ecologica del nostro sistema
produttivo.
La moneta unica europea, se ha permesso per anni una certa
stabilità dell'Eurozona, nascondendo l'evidente diversità economica tra nazioni,
lo ha fatto a prezzo di una rigidità che oggi è pericolosa in un periodo di
crisi prolungato come questo.
Nonostante tutto, la strategia economica che abbiamo letto
nel DEF 2013 è ancora indirizzata ad imporre sacrifici, è a senso unico, con il
debito che rimane inchiodato, anzi cresce, la disoccupazione che aumenta, così
come le tasse, mentre calano i consumi, e con una totale assenza di un progetto
organico per il raggiungimento degli obiettivi nazionali e soprattutto di un
chiaro coraggio di governare l'Italia per la realizzazione dei target di
Europa 2020.
Sono ormai anni che sentiamo parlare di promesse, di dogmi
sui vincoli di bilancio, di risanamento dei conti, di rapporto
deficit-PIL, di spread, di debito pubblico, di tagli alla spesa
pubblica, di diktat che arrivano dall'Europa e che vorrebbero trasformare
il nostro amato Paese in un'equazione matematica, in nome di un'asserita quando
indimostrata scientificità dell'economia.
Finché la politica e l'economia preferiranno rispettare
dei numeri e dei dogmi contabili, piuttosto che dei principi di umanità, le vite
dei cittadini varranno zero. Sono le azioni e il lavoro degli uomini che danno
valore al denaro, non asettici parametri! E senza uomini, donne e soprattutto
giovani questa nazione è destinata a scomparire. Che forza ha uno Stato se si
inchina all'ideologia dei vincoli contabili che generano solo la miseria
sociale? Potrà mai godere di onore storico uno Stato che ha omesso di garantire
il benessere sociale ai propri giovani, tanto da regalare loro un presente di
disperazione e un futuro senza speranza? Che dignità ha un Paese che toglie la
speranza al suo popolo? Di che cosa è espressione una politica che trascura di
accrescere la cultura, l'istruzione e la civiltà del suo popolo?
La politica e l'economia sono state trasformate in un'arma
di morte, in un ricettacolo di numeri, di vincoli e di parametri che non hanno
più alcun legame con la realtà, con il diritto di ogni persona di vivere
un'esistenza libera e dignitosa.
Chi osanna ideologicamente il rispetto dei vincoli non è
più in grado di vedere la bellezza della vita, non è più in grado di difenderla,
non è più in grado di fare politiche che se ne prendano cura, non è più in grado
di fare leggi che difendono a spada tratta la cultura e l'istruzione dei giovani
come un bene fondamentale per costruire la speranza del futuro.
Invece di idolatrare la contabilità della morte, noi
vogliamo fare leggi e politiche - indicate nella nostra relazione - che si
occupano dell'economia della vita. Vogliamo misurare quel benessere equo e
sostenibile che darà valore alla qualità dell'educazione di un essere umano,
anche se non farà crescere il portafoglio dei soliti noti. E se proprio dobbiamo
mettere dei vincoli, mettiamo dei vincoli di umanità, di dignità della persona
sotto i quali non si può scendere, introduciamo delle procedure di infrazione
che colpiscano tutti coloro che con dolo hanno approvato leggi di bilancio che
hanno determinato disastri economici contrari ai diritti universali
dell'uomo.
Ogni individuo, in quanto membro della comunità, ha
diritto alla sicurezza sociale, nonché alla realizzazione, attraverso lo sforzo
nazionale, dei diritti economici, sociali e culturali indispensabili alla sua
dignità ed al libero sviluppo della sua personalità. Ogni individuo ha diritto
alla libertà di scelta dell'impiego, a giuste e soddisfacenti condizioni di
lavoro e alla protezione contro la disoccupazione. Ogni individuo ha diritto ad
una remunerazione equa e soddisfacente, che assicuri a lui stesso e alla sua
famiglia un'esistenza conforme alla dignità umana. Ogni individuo ha diritto ad
uno Stato a cui stia a cuore il futuro del suo popolo e che si adoperi con tutte
le sue forze per ripudiare i vincoli che generano morte e miseria e propugni,
invece, l'economia della vita.
È arrivata l'ora, prima di ulteriori e più radicali
strappi sociali, che si discutano i trattati, che la politica riprenda a fare
quello a cui è demandata, trattati che non sono legge scritta sulla pietra. Che
si ripensi alla visione di un'Europa dei burocrati e delle banche, perché il
Movimento 5 Stelle è per un'Europa dove i popoli vivono liberamente e in armonia
e in cui deve trovare centralità il Parlamento europeo!
Per questo vi proponiamo di votare un Documento di
economia e finanza che parla di futuro e speranza e di risorse da cui recepire i
fondi per realizzarne gli obiettivi.
Alla luce delle considerazioni su esposte si ritiene che
il DEF 2013 non abbia alcuna programmazione di medio e lungo periodo che dia
speranze al nostro Paese e, pertanto, si invita il Governo a recepire la nostra
relazione e le osservazioni ivi contenute, nonché, la risoluzione che
presenteremo a corredo. Si tratta di proposte delineate al fine di predisporre
le misure più idonee per uscire da una crisi economica e sociale che non ha
precedenti nella storia. (Applausi dal Gruppo M5S).
PRESIDENTE.
Colleghi, ricordo che i tempi per il dibattito sono stati ripartiti tra i Gruppi
secondo quanto stabilito dalla Conferenza dei Capigruppo.
Le proposte di risoluzione dovranno essere presentate
entro la conclusione della discussione.
Dichiaro aperta la discussione.
È iscritto a parlare il senatore Scibona. Ne ha
facoltà.
SCIBONA
(M5S). Signora Presidente, senatrici e senatori, membri del Governo, la
situazione economica in cui versa la finanza dello Stato impone che le scelte
siano adeguate alle reali necessità degli italiani e che le poche risorse
avanzate dal pagamento di situazioni debitorie pregresse siano usate per il bene
della maggior parte dei cittadini.
La premessa fondamentale è che la finanza pubblica è un
bene comune a destinazione comune, generato dai cittadini italiani con le tasse
che tutti paghiamo (o dovremmo).
Voglio qui segnalare all'attenzione dell'Aula alcune
scelte miopi (e basate su falsi presupposti) contenute nell'Allegato V -
Programma delle infrastrutture strategiche del Documento in esame.
Ci saremmo aspettati molto di più dalla cosiddetta due
diligence: in finanza due diligence significa istruttoria, analisi e
previsione di rischio. Ci saremmo aspettati quel rigore tipico di chi è
obbligato a gestire i bilanci familiari senza sufficienti introiti.
Speravamo in un ravvedimento circa l'utilizzo della legge
n. 443 del 2001, una doverosa correzione delle storture di quella legge
obiettivo che scavalca la volontà popolare e cala dall'alto progettualità,
eliminando qualunque controllo di garanzia, utilità, fattibilità e rischio pur
di pervenire all'utilizzo immediato di fondi pubblici a scapito delle tasche dei
contribuenti e dell'ambiente. Ma così non è successo.
Con rammarico notiamo l'assenza di finanziamenti in
infrastrutture per servizi alla cittadinanza, come l'edilizia scolastica, quella
sanitaria, idrica o penitenziaria, a fronte di cifre spropositate per nuovi
collegamenti ferroviari quali la Torino-Lyon, il Terzo Valico dei Giovi o la
Milano-Verona-Padova-Mestre, che i dati di traffico internazionali indicano come
non prioritarie e, in alcuni casi, bollate come inopportune dagli stessi tecnici
chiamati a guidarne il processo progettuale.
Si legge nel primo capitolo dell'allegato V che il
programma delle infrastrutture strategiche «realizza la coincidenza delle
priorità nazionali con quelle degli investimenti di valenza europea (TEN-T
core network)». Nulla di più inveritiero! Prendendo, ad esempio, il
TAV-TAC Torino-Lyon, non vi è assolutamente alcuna coincidenza tra priorità
nazionale ed investimenti europei riferiti agli assi transeuropei (TEN-T). Non è
una priorità nazionale, in quanto esiste già il doppio binario ed è utilizzato
al 27 per cento delle sue potenzialità, persino dopo l'ammodernamento
recentissimo costato oltre 400 milioni di euro. Non è una priorità europea. Non
lo chiede l'Europa. Leggetevi, vi prego, la decisione dell'Unione europea n.
661/2010/UE del Parlamento europeo del 7 luglio 2010 (Allegato III) che ha
confermato la decisione n. 884/2004/UE del Parlamento europeo e del Consiglio
del 29 aprile 2004 (Allegato II), il cosiddetto testo sacro del TEN-T core
network, come indicato dal presidente Monti, che prevede 30 assi
transeuropei (TEN-T). Ebbene, l'asse 6
Lione-Trieste-Divača/Koper-Divača-Lubiana-Budapest-frontiera ucraina
(corrispondente al vecchio corridoio 5) non è previsto ad alta velocità e lo
stesso Commissario incaricato per la parte orientale italiana, l'architetto
Mainardi, esclude la necessità di realizzare una nuova linea, almeno per altri
trent'anni, mentre prevede l'utilizzo ed eventualmente l'ammodernamento delle
tratte esistenti. Ad alta velocità sono invece espressamente previsti gli assi
2, 3, 4 e 19. L'asse 6 in Italia esiste già: ripeto, non vi è alcuna
coincidenza, come vi vogliono far credere, con l'interesse europeo, perché non è
previsto, dall'Europa, ad alta velocità o alta capacità. L'asse 6 è previsto
dall'Europa come linea convenzionale, come dichiarato anche dal Ministero delle
infrastrutture italiano, con la richiesta di finanziamento congiunta
(Italia-Francia) del 18 luglio 2007, firmata dal Ministro delle infrastrutture,
dove, a pagina 1, si ricava che la linea ferroviaria è convenzionale. È la
solita bufala per ingannare sulla necessità della spesa pubblica. Non lo chiede
l'Europa e non è necessario: esiste già, nella parte italiana, l'asse 6!
Mentre gli italiani ci chiedono, a gran voce, maggiore
funzionalità dei servizi, dal trasporto pubblico locale al servizio sanitario,
dall'istruzione al welfare, settori in cui, invece, sono stati fatti
tagli indiscriminati tali da minarne irrimediabilmente l'efficienza.
(Applausi dal Gruppo M5S).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare la senatrice Merloni. Ne
ha facoltà.
MERLONI
(SCpI). Signora Presidente, signori rappresentanti del Governo, colleghi:
abbiamo sostenuto tutti gli esami, scritto la tesi di laurea ed ora dobbiamo
solo discuterla. Vorrei iniziare questo intervento riprendendo le parole
pronunciate dal Ministro dell'economia durante l'audizione di giovedì scorso sul
Documento di economia e finanza davanti alle Commissioni speciali di Camera e
Senato:
La fase del rigore cui siamo stati chiamati ci ha
consentito di arrivare a questo punto ed i sacrifici importanti che abbiamo
dovuto affrontare stanno mostrando i primi risultati. L'azione del Governo
Monti, infatti, ha permesso innanzitutto il riequilibrio delle finanze
pubbliche: un'azione di risanamento e riforma strutturale che ha avuto
un'intensità ed un'ampiezza che non sempre sono state colte pienamente dalla
cronaca giorno per giorno e che nel 2012 hanno riportato il disavanzo pubblico
dell'Italia, sostanzialmente in linea con le raccomandazioni in sede europea,
sotto la soglia del 3 per cento del PIL. (Brusìo).
PRESIDENTE. Mi scusi un attimo, senatrice.
Vorrei pregare i colleghi, anche quelli che si trovano in
corrispondenza dei banchi del Governo, di consentire di seguire il dibattito. Vi
ringrazio. (Applausi dal Gruppo M5S).
MERLONI (SCpI). Non si poteva non mettere i conti
in sicurezza per uscire dalla procedura di infrazione, per liberare risorse da
utilizzare per la fase 2 del rilancio economico del nostro Paese.
Una volta, poi, che l'uscita dalla procedura per
deficit eccessivo da parte della Commissione europea sarà ufficiale - ci
auguriamo che le dichiarazioni della stessa Commissione di venerdì scorso siano
un segnale positivo in questa direzione - si procederà ad una Nota di
integrazione, come annunciato, del resto, dallo stesso ministro Saccomanni.
Dall'Europa potrebbero, dunque, essere sbloccate risorse
per 12 miliardi, che potrebbero essere utilizzate con decreto del Governo per la
rimodulazione dell'IMU, per evitare l'innalzamento dell'IVA previsto per luglio
e per il finanziamento della cassa integrazione in deroga.
Il Ministro dell'economia ha assicurato che si cercherà di
adottare tutte le misure necessarie per consentire un approccio rapido e
soddisfacente ai problemi più urgenti, citando l'IMU ed in generale la
tassazione della casa, gli esodati e il rifinanziamento della cassa integrazione
in deroga. Bene, perché queste rappresentano sicuramente alcune delle priorità
da affrontare nella Nota di integrazione al Documento di economia e finanza,
senza provvedimenti improvvisati o affrettati.
Tuttavia, accanto a tutto ciò che ruota attorno alla
ridefinizione dell'IMU, con il già positivo slittamento del pagamento della rata
prevista per il prossimo giugno, considerata la difficile fase economica che
stiamo attraversando, occorre intervenire sulla tassazione del lavoro andando ad
incidere sul cuneo fiscale, riducendo il carico di imposte per le imprese e per
i dipendenti. Del resto anche l'OCSE, nel rapporto sulla situazione
dell'economia italiana nel 2013 pubblicato e presentato al CNEL giovedì scorso,
ha raccomandato di andare ad incidere sulla riduzione delle tasse sul lavoro,
giudicando questa misura più importante che la riduzione dell'IMU.
Come sappiamo, per le imprese la priorità è IRAP. Per
riavviare politiche di assunzione gli incentivi monetari sono importanti, ma non
bastano; occorre piuttosto ridurre le tasse sui giovani, sui neoassunti, sul
lavoro stabile. Intervenire sull'IRAP deve quindi essere un obiettivo di questo
Governo, perché tale imposta, gravando sul costo del lavoro, penalizza le
aziende anche quando non fanno utili. Dal punto di vista dei lavoratori
dipendenti occorre invece pensare ad un intervento che preveda la riduzione
dell'IRPEF magari attraverso un potenziamento della specifica detrazione. In
entrambi i casi lo scopo è quello di ridurre la forbice tra il costo del lavoro
per l'azienda e la retribuzione netta percepita in busta paga.
Affrontare il costo del lavoro significa affrontare il
nodo della disoccupazione, che ha raggiunto ormai livelli intollerabili per un
Paese degno di questo nome, e significa anche e soprattutto dare speranza a
generazioni che si sentono tagliate fuori da qualsiasi dinamica lavorativa e che
potrebbero quindi minare anche la questione sociale.
Per rilanciare la competitività e la capacità di crescere
del Paese, accanto agli interventi sul cuneo fiscale, sarà importante
sensibilizzare l'attenzione del sistema bancario nei confronti delle imprese.
Gli istituti di credito hanno l'obbligo morale di contribuire in modo
determinante ad incoraggiare il sistema produttivo attraverso un migliore e più
facile accesso al credito. In quest'ottica va vista la decisione del presidente
Draghi della Banca centrale europea e di tutto il board di ridurre di un
quarto di punto il costo del denaro, portandolo ai minimi storici
dall'introduzione dell'euro.
Ci sono quindi tutte le condizioni perché le banche
tornino alla loro missione principale: finanziare con l'erogazione dei crediti
gli investimenti privati. Oggi l'Italia è in emergenza liquidità. È in corso la
terza ondata di credit crunch, dopo quelle 2007-2009 e 2011-2012. I
prestiti alle imprese sono in caduta da più un anno e mezzo e lo stock
erogato si è ridotto di 47 miliardi, un evento senza precedenti dal dopoguerra.
In questo scenario le banche sono sempre più selettive e la scarsità di risorse
disponibili contribuisce all'aumento dei fallimenti. È dunque importante
rimettere in moto la fiducia delle banche per rilanciare con decisione la
crescita economica italiana.
Infine, non si può non fare un cenno anche alla
dismissione del patrimonio immobiliare statale. La costituzione della Società di
gestione del risparmio potrà imprimere la svolta tanto auspicata per confermare
le previsioni del Documento di economia e finanza di far giungere nelle casse
statali risorse pari ad un punto di PIL all'anno nel prossimo quinquennio. È
dunque fondamentale per l'Italia proseguire con determinazione sulla via delle
riforme strutturali che possano gettare le basi per una ripresa economica
duratura e stabile che si manifesterà nel 2014, ma che potrebbe essere
intercettata già negli ultimi mesi di quest'anno.
Un clima nuovo accompagnato da passi concreti nel breve e
medio periodo: di questo il nostro Paese è la necessità e l'urgenza. Questo
Parlamento e questo Governo hanno l'occasione per ridisegnare un futuro migliore
per l'Italia e per gli italiani, abbandonando la conflittualità di questi ultimi
vent'anni e instaurando una nuova fase di lavoro sinergico e costruttivo.
(Applausi dai Gruppi SCpI e PD).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore D'Alì. Ne ha
facoltà.
D'ALI'
(PdL). Signora Presidente, onorevoli colleghi, signori del Governo, il
Documento in esame ha una sua peculiarità (per non dire una sua criticità)
assolutamente originale, che è di carattere procedurale ma anche sostanziale.
Nasce infatti da un Governo che non è quello attuale, viene trasmesso al
Parlamento per il suo dibattito, entra nel vivo del dibattito quando il
Parlamento ha dato la fiducia ad un nuovo Governo. Come dicevo, è una criticità
non solamente procedurale ma anche sostanziale, in quanto consente, deve
consentire e deve prevedere un suo aggiornamento, naturalmente ad iniziativa del
Governo (come già il Ministro ha preannunciato), ma vi è un'apertura anche ai
suggerimenti del Parlamento. Quindi questa sua peculiarità consente al
Parlamento una procedura assolutamente insolita, quella di dibattere in fase
preventiva e suggerire al Governo eventuali interventi di modifica al Documento.
Questo naturalmente non sui presupposti della nostra economia, attuali e
previsionali, perché diversamente faremmo torto - e direi quasi offesa - a chi
ha predisposto questi dati dal punto di vista tecnico ed entreremmo in una
concezione nella quale non ci vogliamo addentrare, ossia il fatto che ogni tanto
i dati possano essere elaborati ad usum Delphini. Noi invece riteniamo
che sui dati attuali, dei quali abbiamo preso coscienza, si debba innescare un
processo assolutamente innovativo di revisione strutturale della nostra
economia.
La relatrice ha accennato, come anche altri colleghi, a
quali sono i punti nodali sui quali occorre intervenire per ridare al Paese
speranza di occupazione e di produttività: il comparto delle tasse e quello
appunto degli incentivi alla produttività. Per il comparto delle tasse si va
dall'IMU, alla TARES, ad una profonda revisione di questi due strumenti fiscali
riconducendoli alla loro filosofia originaria di tributi locali finalizzati a
compensare i servizi resi al cittadino, ma riguarda anche l'IVA, della quale
dobbiamo assolutamente evitare l'aumento, e l'IRAP, di cui dobbiamo certamente
prevedere la progressiva eliminazione.
Se tutto ciò va fatto (ma occorre intervenire anche sulla
produttività, sul pagamento dei debiti verso le imprese, ma soprattutto per un
riassetto degli incentivi), è innegabile ed inevitabile che questi provvedimenti
richiedano una revisione anche dei margini di operatività del Governo, non solo
dal punto di vista delle disponibilità finanziarie, ma anche degli equilibri del
bilancio relativi anche alle prescrizioni comunitarie.
Quindi sono due i settori fondamentali sui quali si deve
incidere strutturalmente per crearsi questi margini: uno è il debito pubblico e
l'altro sono i tagli alla spesa pubblica. Sul debito pubblico bisogna
immaginarsi di prendere in seria considerazione le molte proposte, tra le quali
quelle importanti fatte dal Popolo della Libertà, di revisione della struttura
del debito pubblico attraverso l'enucleazione di una sua parte garantita dagli
immobili pubblici, per i quali non è sufficiente affermare - lo sento in
quest'Aula da parecchi anni nel corso della mia permanenza - che si debbono
valorizzare. Sono stati fatti piani di cartolarizzazione, piani di
smobilitazione; è stata fatta tutta una serie di piani che puntualmente si sono
rivelati inefficaci ed inefficienti e non hanno raggiunto lo scopo a cui si
voleva con essi pervenire.
Pertanto bisogna immaginare di prendere in seria
considerazione l'enucleazione di una parte del debito pubblico, trattare in
Europa affinché questa enucleazione non sia più conteggiata ai fini del rapporto
debito-prodotto interno lordo, e quindi, in considerazione di questa vicenda, si
possa riequilibrare il rapporto tra debito e prodotto interno lordo e
soprattutto tra deficit e prodotto interno lordo, perché nel
deficit non deve essere conteggiata quella quota d'interessi che
verrebbero corrisposti sulle cosiddette cartelle che dovrebbero essere emesse
per enucleare quella parte di patrimonio pubblico che dovrebbe andare poi a
riduzione del debito. Quindi, pur rimanendo nei parametri europei, si potrebbe
creare sicuramente un margine di operatività.
Per quanto riguarda i tagli alla spesa pubblica, sappiamo
bene che i cosiddetti tagli orizzontali e quelli relativi alla riduzione di
alcune parti delle spese della politica sono assolutamente inadeguati a reggere
le esigenze del Paese. I tagli alla spesa pubblica vanno confrontati e misurati
su una grande riforma istituzionale del nostro Paese che deve riguardare le
autonomie.
Abbiamo ormai constatato ed accertato, soprattutto
attraverso i numeri dei bilanci, che il grande spreco della parte pubblica in
questo Paese è costituito dalle autonomie: soprattutto le Regioni, l'eccessivo
numero delle Province, l'eccessivo numero dei Comuni. I tagli alla spesa
pubblica devono allora incidere sui punti di spesa, sul numero dei punti di
spesa, non solo di questi enti, ma anche di tutti gli enti intermedi che poi
sono il frutto dell'attività sul territorio dei singoli enti: 8.200 Comuni, di
cui la stragrande maggioranza, più della metà, ha meno di 3.000 abitanti, e 20
Regioni, con alcune di esse che hanno una consistenza non superiore a quella del
quartiere di una grande città, non sono più un apparato istituzionale che il
nostro Paese può reggere nel confronto, in materia di competitività, con la
spesa pubblica degli altri Paesi. Peraltro sono il frutto di una concezione
centralista dello Stato che, nel tempo, si è posizionato sul territorio per
svolgere le sue incombenze e le sue competenze. Adesso bisogna profondamente
rivedere la struttura delle autonomie territoriali per renderle più snelle, per
realizzare economie di scala, per andare incontro ai cittadini nel rendere
servizi efficaci ed efficienti.
Se noi utilizziamo queste due grandi opportunità, quella
dell'intervento strutturale sul debito pubblico, con una legge ordinaria, e
quella di una profonda revisione delle autonomie, attraverso una legge
costituzionale, che veramente renda molto più semplice l'apparato burocratico
sparso sul territorio, potremo creare quei margini di intervento per ridurre il
carico fiscale ai nostri cittadini e per dare alle imprese una serie di nuovi
incentivi alla produttività. Ma questo naturalmente incidendo anche con criteri
innovativi sugli incentivi, che non possono più essere quelli del passato ma
devono avere anche la capacità di intercettare quei settori economici che nel
tempo abbiamo ritenuto superati dal punto di vista della loro efficacia, come
l'agricoltura e l'artigianato, insieme a nuovi ed importanti settori economici,
purtroppo trascurati, come il turismo, che possono essere fonte di lavoro, di
occupazione e di rilancio produttivo, atteso che il modello industriale è in
ginocchio soprattutto per l'elevato costo del lavoro.
Oggi le nostre industrie chiudono, non solo per il
deficit dei loro bilanci, ma anche, pur essendo in attivo, perché
delocalizzano: vanno all'estero, dove il costo del lavoro è sicuramente
inferiore e quindi privano il nostro Paese di fonti di lavoro e di produttività
veramente rilevanti. È un processo al quale dobbiamo mettere uno stop assoluto.
È per questo che noi chiediamo al Governo che, nella sua di attività di dialogo
col Parlamento, recepisca questa insolita opportunità di un Documento di
economia e finanza che deve essere rivisto, che può attirare indicazioni da
questo dibattito, un po' come siamo stati autorizzati a fare di recente in sede
comunitaria dopo il Trattato di Lisbona.
Ma voglio anche dare un'altra indicazione. Il Governo, che
è politico, utilizzi il suo Parlamento e non lo mortifichi come è stato fatto
negli ultimi anni con un sistema di decreti che vanno, immodificati o
immodificabili, a fiducia, attraverso un meccanismo di monocameralismo
imperfetto. Faccia dei decreti settoriali ed eviti decreti omnibus. Le
Commissioni parlamentari ed il Parlamento sapranno dare il contributo e le
risposte adeguate. (Applausi dal Gruppo PdL).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Bocchino. Ne
ha facoltà.
BOCCHINO
(M5S). Signora Presidente, care colleghe e cari colleghi, signori
Ministri, condivido con voi alcune riflessioni sul Documento di economia e
finanza per quel che riguarda il settore "università e ricerca".
Premetto che istruzione, ricerca e innovazione sono da
sempre riconosciuti come i fattori trainanti per il progresso sociale ed
economico di un Paese, gli unici capaci di creare uno sviluppo sostenibile e
durevole. Purtroppo in Italia questo semplice paradigma non è conosciuto o è
volutamente ignorato. Perché succede questo? Vorrei attirare la vostra
attenzione su una semplice constatazione. I risultati degli investimenti in
università e ricerca non sono sempre immediatamente visibili, ma hanno un
ritorno nel medio e lungo periodo. Ciò ha reso tali interventi particolarmente
difficili da attuare da parte di una classe politica che è stata molto spesso
più attenta ai ritorni elettorali a breve scadenza piuttosto che a
programmazioni pluriennali. La politica, cari colleghi, non ha ancora capito
l'importanza strategica di questo settore.
I risultati di questo vero e proprio gap culturale
si riflettono sull'impietoso confronto con gli altri Paesi europei. Un recente
rapporto Eurostat pone infatti l'Italia nella parte bassa della graduatoria del
rapporto tra spesa in ricerca e sviluppo e PIL, attestandosi a livelli inferiori
anche di Paesi entrati di recente nell'Unione europea.
Il DEF presentato a questa Assemblea risulta
particolarmente insoddisfacente da questo punto di vista. Infatti, se scorriamo
gli interventi a supporto di università e ricerca, il Governo snocciola cifre su
cifre, come se fossero quelle di un successo. Arriviamo ad esempio alla sezione
dove si citano gli 1,6 miliardi del Fondo ordinario per gli enti di ricerca. Il
Governo si guarda bene dal dire che è stato operato quest'anno un taglio lineare
del 5 per cento sulle assegnazioni ordinarie degli enti (ultimo taglio di una
lunga serie che ha stretto ancor di più il cappio intorno al collo degli enti di
ricerca).
Altro esempio di queste "omissioni", per così dire, nel
Documento sono i 70 milioni di euro destinati ai progetti di ricerca e sviluppo
di interesse nazionale (il cosiddetto bando PRIN) e quelli per i progetti dei
giovani ricercatori (il bando FIRB); anche in questo caso il Governo si guarda
bene dal dire che queste importanti voci sono state oggetto di tagli
indiscriminati. Solo quattro anni fa gli stessi bandi hanno erogato più del
doppio (155 milioni di euro).
E che dire di altre amenità che si trovano nel DEF, come
il Fondo integrativo nazionale delle borse di studio? Quest'anno è pari a 55
milioni di euro, ma non si dice che nel 2009 era pari a 246 milioni. O che dire
del blocco del turnover che favorisce il precariato e la fuga dei
cervelli?
In questo Documento dunque, da un lato, si decantano le
lodi degli obiettivi di crescita degli investimenti, mentre, dall'altro, si
operano tagli ben nascosti agli elettori.
Il presidente Letta, solo ieri sera, nel corso di una nota
trasmissione televisiva, ha dichiarato che si dimetterà se dovrà operare tagli
su cultura, università e ricerca. Certo, non ha scritto lui questo DEF, ma
almeno lo legga bene, si informi e lo emendi, perché mi sa che le sue dimissioni
sono già scritte là dentro. (Applausi dal Gruppo M5S).
In questa Assemblea, care colleghe e cari colleghi, mi
auguro che tutti noi riusciamo ad essere coesi nella volontà di dare al Governo
qui presente, tramite le nostre mozioni e le nostre risoluzioni, una indicazione
chiara e precisa riguardo un cambiamento di rotta capace di orientare finalmente
il nostro Paese verso una vera e piena società basata sulla conoscenza.
(Applausi dal Gruppo M5S).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Rossi
Gianluca. Ne ha facoltà.
ROSSI Gianluca
(PD). Signora Presidente, signori rappresentanti del Governo, onorevoli
colleghi, la perdita di competitività e i ritardi di questi ultimi anni si
stanno riflettendo sulla crescita di inediti divari sociali e territoriali, che
acuiscono le contraddizioni irrisolte del nostro Paese nella crisi economica più
grave in tempo di pace della sua storia unitaria. Problematiche connesse agli
equilibri di finanza pubblica e all'utilizzo delle risorse politiche di sviluppo
dei sistemi territoriali e una strategia per la crescita fatta di investimenti
su capitale umano, innovazione e ricerca rappresentano gli assi su cui investire
per la stagione di riforme necessarie all'Italia.
In una recente statistica sulle dichiarazioni dei redditi
delle persone fisiche, relativa al 2011, emerge che il 5 per cento dei
contribuenti con i redditi più alti detiene il 22,9 per cento del reddito
complessivo, ossia una quota maggiore a quella detenuta dal 55 per cento dei
contribuenti con i redditi più bassi.
La politica di correzione dei saldi di finanza pubblica
adottata negli ultimi tre anni, inoltre, ha significato pesanti effetti sui
livelli di governo territoriale (in particolare per le Regioni) e
paradossalmente senza alcuna distinzione rispetto alla virtuosità delle stesse.
Le Regioni, infatti, concorrono alle manovre di rientro in maniera
sproporzionata rispetto al loro peso sulla spesa, con una serie di provvedimenti
di finanza pubblica che hanno un pesante impatto sui cittadini. Cito solo i
principali: riduzione delle risorse previste per i sistemi sanitari regionali;
inasprimento delle regole del Patto di stabilità interno; tagli e azzeramento di
trasferimento del bilancio dello Stato a funzioni invariate; azzeramento della
capacità di indebitamento senza distinzione.
Questi dati sono sufficienti ad evidenziare come le
politiche fiscali e redistributive di questi ultimi anni abbiano accentuato la
divaricazione della ricchezza fra i cittadini e provocato un ampliamento del
gap fra le diverse aree territoriali del Paese. Nel 2007 il PIL italiano
era infatti pari a 1.680 miliardi di euro; cinque anni dopo si è ridotto a
1.567: abbiamo perso quindi 113 miliardi, di cui 72 al Centro-Nord e 41 nel
Mezzogiorno.
In tale contesto il sistema produttivo si è indebolito a
tal punto che tra il 2007 e il 2011 gli occupati nel sistema industriale si sono
ridotti del 15,5 per cento nel Mezzogiorno e del 5,5 per cento nel Centro-Nord,
dove comunque si evidenziano dati di preoccupante arretramento con ridotta
competitività e drammatici riflessi sui livelli occupazionali, come testimoniato
dall'utilizzo degli ammortizzatori sociali. Tra il 2000 e il 2011 in Europa si
manifesta una tendenza alla convergenza del PIL pro capite: in linea di
massima i Paesi che nel 2000 presentavano i livelli più bassi sono quelli in cui
è cresciuto di più e viceversa.
Nel 2000 il PIL pro capite valutato in base al
potere d'acquisto (PPA) dell'Italia era il 18 per cento più alto di quello della
media dei Paesi UE a 27. La crescita economica sperimentata dal nostro Paese, la
più bassa dell'Unione, ha comportato che nel 2011 l'Italia si sia ritrovata al
di sopra della media dei Paesi UE a 27 di appena lo 0,4 per cento. Ciò
testimonia l'inefficacia delle politiche di sostegno allo sviluppo che non hanno
saputo garantire maggiore occupazione e nuova imprenditorialità, migliore
coesione sociale e modernizzazione dell'offerta dei servizi pubblici.
Tra i grandi sistemi dell'Eurozona l'Italia è il Paese con
le più rilevanti disuguaglianze territoriali. Se si confronta il reddito pro
capite delle tre Regioni più ricche e più povere dei grandi Paesi dell'area
dell'euro emerge che l'Italia ha il maggior numero di Regioni con meno di 20.000
euro pro capite: (sette rispetto alle sei della Spagna, quattro della
Francia e una sola della Germania), con i livelli di reddito del Mezzogiorno
inferiori addirittura a quelli della Grecia.
Fra i fattori, inoltre, che hanno determinato il ritardo
accumulato dal Mezzogiorno nei periodo di crisi che va dal 2007 al 2012 rientra
sicuramente il non adeguato utilizzo dei fondi comunitari. Al contrario di ciò
che è accaduto in altri Paesi con un marcato dualismo territoriale, in Italia la
convergenza tra Sud e Nord non si è mai realmente affermata, prova ne è il fatto
che nella prossima programmazione la stima della popolazione sottoposta
all'Obiettivo convergenza passerà in Italia dall'11 al 14 per cento del totale,
mentre altri Paesi vedranno calare drasticamente tale percentuale: la Germania
passerà dal 5,4 allo zero per cento e la Spagna dal 9,1 allo 0,9 per cento.
Sebbene il PIL resti un affidabile indice di benessere, è
bene ricordare che non tiene conto di aspetti importanti della vita delle
persone come la salute, la qualità dell'ambiente, le pari opportunità, i livelli
di istruzione e la speranza di vita, tutti fattori (valutati con l'indice dello
sviluppo umano, utilizzato dalle Nazioni Unite) che determinano pesanti
diseguaglianze tra aree del nostro Paese; tra questi c'è anche l'incapacità del
sistema educativo di accompagnare i processi di sviluppo attraverso la
formazione di un capitale umano qualificato, rendendo effettivamente virtuoso il
percorso scuola-formazione-lavoro. A fronte, infatti, di una spesa pubblica per
l'istruzione e la formazione nel Mezzogiorno pari al 6,7 per cento del PIL,
contro il 3,1 per cento del Centro-Nord, si riscontra un tasso di abbandono
scolastico del 21,2 per cento nel Sud e del non trascurabile 16 per cento del
Centro-Nord, con un'altissima incidenza del fenomeno Neet (not in education,
employment or training).
Tutto ciò ci consegna una responsabilità in più di fronte
alla nuova programmazione comunitaria 2014-2020. Andranno, infatti, approfondite
alcune questioni strategiche, a cominciare dal tema dei programmi regionali
plurifondo come strategia integrata di sviluppo del territorio, frutto di un
ripensamento delle logiche d'intervento settoriali sia del FESR che del FSE e
del maggior coordinamento con il FEASR. Da questo dipenderà il successo della
nuova programmazione, sia nell'ottica della semplificazione delle procedure
gestionali per ridurre gli oneri, sia in termini di efficacia delle politiche
territoriali, nel rispetto del rafforzamento della politica di coesione, come
previsto dal Trattato di Lisbona.
Gli impegni presi con il DEF, dunque, necessari per uscire
quanto prima dalla procedura di disavanzo eccessivo, devono tradursi,
diversamente dal passato, in quelle riforme strutturali del sistema italiano
necessarie a recuperare quei margini di manovra all'interno dei vincoli europei,
indispensabili per dare risposte alle difficili condizioni economiche e sociali
in cui versano imprese, famiglie e giovani generazioni. (Applausi dal Gruppo
PD).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Airola. Ne ha
facoltà.
AIROLA
(M5S). Signora Presidente, c'è una domanda che da decenni non ha
risposta: perché un Paese come l'Italia, che detiene probabilmente il più grande
patrimonio artistico e culturale del mondo, non possiede un piano strategico
generale per la sua tutela e per il suo sviluppo economico e turistico? Spagna,
Regno Unito, Germania, Francia, Olanda, Danimarca, Polonia, Paesi baltici,
praticamente tutti i Paesi europei, ne hanno uno e tra l'altro l'hanno stilato
negli anni di inizio della recente crisi economica 2007-2008. L'Italia no.
È inverosimile e inaccettabile che, mentre crollava per
l'incuria e la mala gestione decennale la Domus dei gladiatori a Pompei,
si decidessero altri tagli alla cultura. Ci domandiamo tutti noi come mai
settori come il teatro, la musica, il cinema, le arti visive, la danza, il
settore dell'industria creativa e culturale, che contano circa 1.400.000
impiegati, sopravvivano con difficoltà, con un Fondo unico per lo spettacolo che
è poco più della metà di quello che la Francia stanzia solo per il settore
cinematografico e audiovisivo, che è gestito spesso senza un criterio
costruttivo e meritocratico, senza alcun tipo di defiscalizzazione, o quasi, per
chi fa impresa nel settore.
Sembra quasi inutile dover giustificare con seri e
approfonditi studi - che peraltro sostengono le tesi qui esposte - quello che a
chiunque con un po' di buon senso è chiaro: non investire nel nostro patrimonio
culturale è un atto folle. Non investire in un settore che da solo potrebbe
consentire un incremento dai 3 ai 5 punti del PIL, e che attualmente (unendo il
comparto turistico e quello culturale) fornisce il modestissimo ritorno
economico di circa 70 miliardi di euro l'anno, significa non solo contribuire
alla lenta distruzione di un immenso patrimonio, nazionale e dell'intera
umanità, ma anche privare di una fondamentale risorsa economica la già
drammatica situazione finanziaria italiana.
La cultura non è solo impresa, lavoro e ricchezza: è anche
la componente fondamentale per la crescita, la realizzazione e il benessere di
un popolo; é la possibilità per i giovani di avere prospettive future migliori e
per l'intera società di evolversi ed esprimersi al meglio. Senza cultura non
siamo nulla, siamo senza identità, inermi di fronte alle avversità e senza la
possibilità di partecipare a qualsivoglia vita sociale e politica. Senza cultura
nessuno di noi oggi potrebbe adeguatamente adempiere ai doveri istituzionali, né
esercitare i propri diritti, compreso il grandissimo onore di rappresentare i
nostri concittadini ora in quest'Aula, compito che non deve diventare privilegio
di pochi. La cultura e l'istruzione permettono invece a tutti i cittadini di
svolgere questi importanti incarichi, come garantisce la nostra
Costituzione.
Chiediamo quindi che venga al più presto elaborato un
piano strategico di investimento e di gestione dell'intero comparto culturale e
turistico, organico e coerente con obiettivi a breve ma soprattutto a lungo
termine; che finalmente si cominci a provvedere ad un razionale inventario di
tutto il patrimonio artistico e culturale italiano, per pianificare modalità e
investimenti concreti a tutela dello stesso e in favore degli operatori del
settore.
Il formidabile potenziale creativo italiano, unito allo
straordinario patrimonio suddetto, favoriti da una rivoluzione tecnologica e
digitale che ha permesso l'abbassamento dei costi dell'impresa culturale,
possono rappresentare la via d'uscita dalla crisi economica, ma soprattutto
dalla crisi morale, che impoverisce le casse e le coscienze del Paese.
È ora di cambiare strada e realizzare il bene del Paese e
degli italiani. Questo cambiamento passa necessariamente dalla cultura.
Continuare con politiche di sussistenza e di tagli, senza un progetto e una
visione più ampia, con vergognose modalità politiche e amministrative
clientelari, che emergono ovunque, è un atto criminale... (Il microfono si
disattiva automaticamente). (Applausi dal Gruppo M5S).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Uras. Ne ha
facoltà.
URAS
(Misto-SEL). Signora Presidente, onorevoli colleghi, il Documento di
economia e finanza che abbiamo in discussione appartiene alle elaborazioni
politiche di linea economica della precedente legislatura e pertanto al
precedente Governo.
Presidenza del vice presidente CALDEROLI (ore
19,05)
(Segue URAS). L'approvazione proposta all'Assemblea
è una chiara affermazione che la consultazione elettorale e l'ampia ed
inequivocabile domanda di cambiamento, venuta dall'intera comunità nazionale
rischiano di non produrre alcun effetto, determinando ancora una volta una
frattura tra il corpo elettorale e il Governo del Paese.
Siamo di fronte, purtroppo, ad un atto confermativo e di
esplicita continuità con la precedente gestione dell'economia nazionale. Con
questo provvedimento siamo dentro la linea dell'austerità recessiva, tanto
criticata a parole quanto sostenuta nei fatti da questa maggioranza anomala PD,
PdL e Scelta Civica, e oggi tollerata anche dalla Lega. È una linea di politica
economica ormai datata, contestata e in parte contrastata da autorevoli
organismi dell'economia mondiale in quanto fallimentare rispetto anche agli
obiettivi intellettuali per i quali è stata pensata.
Per queste ed altre ragioni abbiamo inteso presentare una
risoluzione alternativa a quella di maggioranza come atto di chiara opposizione
a questo Governo; un'opposizione democratica e di merito, matura sul piano
civile e politico‑istituzionale. Non abbiamo la presunzione di gridare che siamo
gli unici oppositori, come se avessimo bisogno di convincerci di una verità
inesistente. Noi intendiamo fare opposizione vera senza sconti, nell'interesse
del Paese, delle nostre comunità territoriali, del nostro Mezzogiorno sfiancato
dalla crisi, dei lavoratori e degli onesti imprenditori che vivono il disagio
della disoccupazione e della prospettiva del fallimento, nonché delle tante
famiglie precipitate nella povertà.
Il DEF contro il quale ci esprimiamo, se poteva essere
prima comprensibile (in ogni caso non giustificabile per l'approccio
particolarmente aggressivo verso il mondo della produzione, del lavoro, tutto
orientato a fornire soprattutto garanzie ai creditori del nostro smisurato
debito pubblico, cresciuto in questi anni per precise responsabilità dei
Governi, in modo particolare di centro-destra), ora é in pieno contrasto con il
buonsenso ed è contro la necessità e l'urgenza, da tutti riconosciuta, di fare
politiche di sostegno allo sviluppo e all'occupazione e di intervenire a ridurre
in modo significativo e progressivo l'emergenza sociale, il dilagare della
povertà, il crollo della fiducia verso il superamento della crisi, l'abbandono
della speranza da parte di molti lavoratori e imprenditori, giovani e donne, in
cerca di occupazione, spesso di prima occupazione.
Per questo non accettiamo la tesi che l'approvazione del
DEF possa essere di tipo tecnico, in grado di garantire l'automatica conclusione
della procedura di infrazione per disavanzo eccessivo dell'Italia; ci pare
riduttivo e anche una forma di giustificazione debole rispetto all'esigenza di
intervenire sul DEF già in questa fase. La sua approvazione ha il significato
politico di assenso vero e incondizionato all'operato del precedente Governo,
operato freddo e impermeabile ai bisogni sociali e delle comunità locali, ai
bisogni di vita di tante categorie di lavoratori in difficoltà, alle necessità
di resistenza di innumerevoli imprese, soprattutto di micro e piccola
dimensione.
In relazione alle dichiarazioni programmatiche del
Presidente del Consiglio attendevamo un segnale vero di modifica del Documento,
a partire dalla rinuncia ai passaggi di autocelebrazione dell'attività svolta,
all'autoapprovazione dei cosiddetti progetti di riforma strutturale, ad iniziare
da quella del lavoro che oggi tutti voi, dichiarando pentimento dopo averla ieri
approvata a larghissima maggioranza, pare intendiate porre in discussione.
Nulla di tutto ciò è stato purtroppo fatto e, dopo
interminabili audizioni in Commissione speciale, la fine è identica all'inizio:
nessun emendamento, nessun atto verso un percorso di cambiamento, solo
continuità con il passato.
Eppure, sarebbe stato importante fare una valutazione
sulle conseguenze di tale operato, contenute comunque nei dati forniti da tutti
i principali organismi nazionali competenti in materia di economia e di bilancio
pubblico - dall'ISTAT alla Banca d'Italia, dalla Corte dei conti al CNEL - i
quali hanno tutti richiamato in modo preoccupato la grave situazione sociale ed
occupazionale del sistema produttivo nazionale.
Invece, tutto è rinviato alla cosiddetta Nota aggiuntiva
che il Governo dovrebbe elaborare. Dico «dovrebbe», perché le certezze, anche su
questo punto, sono veramente vaghe. Infatti, i contenuti appaiono decisamente
incerti, oggetto delle polemiche sulle priorità che sono state attivate in
questi giorni tra i principali partiti che costituiscono questa maggioranza
culturalmente e politicamente variopinta.
Noi - e non solo noi - andiamo invece sostenendo che un
radicale intervento di modifica del DEF debba intervenire soprattutto ad
iniziare dalla spesa, e non per cifre di poco peso. La stima è credibilmente
posizionata tra i 7, 8, 12, 15 miliardi, in relazione alle risorse da destinare
alla Cassa integrazione e mobilità anche in deroga, agli esodati, alle
ristrutturazioni edilizie eco-sostenibili, al rinnovo dei contratti precari
della pubblica amministrazione, ai contratti di servizio di importanti aziende
pubbliche e, soprattutto, per le mancate entrate (quelle che si prevedono in
caso di sospensione, ridefinizione e superamento di imposte certamente inique
come l'IMU sulla prima casa di lavoratori e pensionati) e l'aumento di imposte
indirette che gravano in modo prevalente sulle fasce di popolazione più deboli
in relazione all'incremento del peso dell'IVA.
Inutile attardarsi sull'analisi della situazione italiana:
essa è nota e l'avete sottolineata anche voi, così come i sostenitori di questo
DEF inaccettabile. Vale però la pena intervenire e dire la nostra opinione su
cosa sia assolutamente necessario cominciare a fare. In primo luogo, occorre
promuovere e sostenere la rapida approvazione di una legge efficace per
contrastare il conflitto di interessi; in secondo luogo, ripristinare e
rafforzare il controllo di legalità in tutto il ciclo economico, pubblico e
privato, in cui tracciabilità e prescrizione sulla regolarità dei procedimenti
siano assunti come punti di forza nella lotta alle mafie, abrogando leggi che
premiano comportamenti non virtuosi, quali condoni ed elusioni fiscali.
Allo stesso tempo, è necessario promuovere una legge sulla
rappresentanza sindacale; abolire l'articolo 8 del decreto-legge 13 agosto 2011,
n. 138, e ripristinare l'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori; modificare la
normativa sul lavoro di cui alla legge 28 giugno 2012, n. 92; innalzare
l'obbligo scolastico a 18 anni; contrastare la dispersione scolastica, specie
nel Mezzogiorno; varare politiche di diritto allo studio; incrementare,
nell'ambito del Piano nazionale della ricerca, l'indicazione di misure volte al
raggiungimento di obiettivi europei relativamente alla percentuale di PIL, che
dovrebbe raggiungere il 3 per cento entro il 2020, da investire nella ricerca e
nello sviluppo; ripubblicizzare il servizio idrico (anche in attuazione di un
referendum); riorganizzare i servizi pubblici locali per bacini di
utenza; progettare lo sviluppo di un vero programma di edilizia abitativa per
dare risposta al bisogno di casa, ma, allo stesso tempo, rilanciare questo
importante settore; rifinanziare il Fondo rotativo per le misure finalizzate
all'attuazione del Protocollo di Kyoto. Infine, vanno affrontate tante altre
questioni di questa natura.
Soprattutto, però, occorre riaffermare i valori contenuti
nell'articolo 5 della Costituzione sul protagonismo delle autonomie e delle
comunità locali, in contrasto con le tentazioni neo-centralistiche e autoritarie
che abbiamo sperimentato nella dimensione nazionale ed europea, soprattutto in
questi mesi, in ragione della strategia di contrasto alla crisi, strategia
chiaramente fallimentare, socialmente aggressiva, politicamente rischiosa, anche
per la tenuta della nostra democrazia; soprattutto occorre pensare allo sviluppo
locale come modalità più efficace per il rilancio dei valori del lavoro, quello
buono e stabile, in grado di produrre in modo sostenibile, socialmente ed
ecologicamente, i beni e i servizi utili alle comunità, e in relazione alle
vocazioni produttive dei luoghi. Bisogna promuovere politiche europee,
nazionali, regionali veramente inclusive, di contrasto alla marginalizzazione e
alla povertà, di sostegno alla creazione di sistemi e pratiche finalizzati a
favorire la cooperazione tra ambiti territoriali e Paesi diversi, a partire dal
rilancio delle politiche di libero scambio euro-mediterraneo. (Applausi dal
Gruppo Misto-SEL).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Scilipoti. Ne
ha facoltà.
*SCILIPOTI
(PdL). Signor Presidente, onorevoli senatrici, onorevoli senatori,
rappresentanti del Governo, ho chiesto di prendere la parola per contribuire ad
una serena valutazione dell'azione di governo dei cosiddetti tecnici sul
Documento di economia e finanza 2013.
Se le azioni a cui si fa riferimento nel documento dal
titolo «Un anno di riforme», tese a stimolare la competitività, a favorire
l'occupazione, a migliorare la sostenibilità delle finanze pubbliche, a
rafforzare la stabilità finanziaria avessero effettivamente sortito il loro
effetto, il Paese reale se ne sarebbe accorto.
L'esperienza del Governo di impegno nazionale, sostenuto
in Parlamento da un'ampia maggioranza delle forze politiche, non ha consentito
di superare la situazione di stallo in cui, per colpa della crisi finanziaria di
carattere internazionale, si era infilato il nostro Paese.
Il programma di interventi, realizzati in un tempo
relativamente breve, che ha toccato tutti i settori cruciali della vita
economica e sociale del Paese, non ha portato l'Italia fuori dall'emergenza
finanziaria. Non sono bastati 45 legge e decreti-legge convertiti dal
Parlamento, e 24 decreti delegati derivanti da legge delega adottati dal
Governo. Quest'azione, sostenuta da un'ampia maggioranza, lo ripeto, non ha
permesso il riequilibrio delle finanze pubbliche. La garantita e stabile
governabilità e la mano esperta e sicura dei tecnici non ci hanno ancora portato
fuori delle acque di difficoltà, cioè in acque sicure. Invece, a leggere il
documento sottoscritto dal senatore Monti, pare che nel 2012 l'Italia ha
riportato il disavanzo pubblico sostanzialmente in linea con le raccomandazioni
in sede europea, sotto la soglia del tre per cento del PIL.
Nel 2013, inoltre, l'Italia conseguirà il pareggio di
bilancio in termini strutturali, adempiendo all'impegno assunto a metà del 2011
dal Governo italiano dell'epoca (io non ho mai votato il pareggio di bilancio).
Ma è ormai evidente alle famiglie, alle piccole e medie imprese, ai
commercianti, agli artigiani, ai professionisti, che le azioni per ottenere il
riequilibrio delle finanze pubbliche, peraltro ancora non certo, hanno fatto
crescere il numero dei disoccupati, giovani e non, insieme con il debito
pubblico, oltre i 2.000 miliardi di euro. In altri termini, la misurazione del
PIL e la percentuale di indebitamento concesso non consentono di misurare la
complessa realtà economica e sociale del nostro Paese. Di questo limite si è
accorto anche l'ISTAT e, di concerto con il Consiglio nazionale dell'economia e
del lavoro, ha individuato un nuovo indice di valutazione, detto benessere equo
e sostenibile.
Ritenendo che non è possibile sostituire il PIL con un
indicatore singolo del benessere di una società, il gruppo di studio dell'ISTAT
ha ritenuto necessario selezionare, con il coinvolgimento di tutti i settori
della collettività e degli esperti di misurazione, l'insieme degli indicatori
ritenuti più rilevanti e rappresentativi del benessere di ogni specifica
collettività, poiché per valutare il progresso di una data società occorre
considerare anche parametri di carattere sociale ed ambientale.
L'obiettivo era quello di misurare il benessere equo e
sostenibile, analizzando livelli, tendenze temporali e distribuzione delle
diverse componenti del benessere equo e sostanziale, così da identificare punti
di forza e di debolezza, differenze di genere nonché particolari squilibri
territoriali o gruppi sociali avvantaggiati o svantaggiati, anche in una
prospettiva intergenerazionale.
Un giudizio non certo positivo del Governo d'impegno
nazionale, sostenuto da un'ampia maggioranza parlamentare, lo si ricava anche
osservando gli indici del cosiddetto «Benessere equo e sostenibile» presentati
dall'ISTAT nello scorso marzo del 2013. Si legge nella relazione: «Le famiglie
italiane ha tradizionalmente un'elevata propensione al risparmio e la proprietà
dell'abitazione, fanno inoltre ricorso all'indebitamento in misura contenuta e
mostrano una diseguaglianza della ricchezza che, nel confronto europeo, è meno
marcato di quella osservata in termini reddituali».
La crisi economica degli ultimi cinque anni sta mostrando
i limiti di questo modello, accentuando le disuguaglianze tra classi sociali, le
profonde differenze territoriali e riducendo ulteriormente la già scarsa
mobilità sociale. In questo arco di tempo alcuni segmenti di popolazione e certe
zone del Paese sono state particolarmente colpiti sia dalla riduzione dei posti
di lavoro, sia dalla diminuzione del potere d'acquisto che, tra il 2007 e il
2011, si è ridotto del 5 per cento.
Con il perdurare della crisi nel 2011 la situazione si è
deteriorata: lo conferma l'impennata degli indicatori di deprivazione materiale.
La grave deprivazione aumenta di 4,2 punti percentuali, passando dal 6,9 al 11,1
per cento, preceduta da un incremento, nel 2010, del rischio di povertà
(calcolato sul reddito 2010) nel Centro (dal 13,6 al 15,1 per cento) e nel
Mezzogiorno (dal 31 al 34,5 per cento) e cioè a dire da un aumento della
disuguaglianza del reddito.
Si legge ancora nella relazione: «Sfiducia nei partiti,
nel Parlamento, nei consigli regionali, provinciali e comunali, nel sistema
giudiziario. Una sfiducia trasversale che attraversa tutti i segmenti della
popolazione, tutte le zone del Paese, le diverse classi sociali.(...). A marzo
2012, il dato peggiore sul fronte della fiducia dei cittadini verso le
istituzioni riguarda i partiti politici: la fiducia media dei cittadini verso i
partiti politici, su una scala da 0 a 10, è pari ad appena 2,3». (Seguono il
Parlamento con il 3,6, le amministrazioni locali con il 4, la giustizia con il
4,4). «Le sole "istituzioni" verso le quali i cittadini esprimono fiducia sono i
Vigili del fuoco e le Forze dell'ordine che insieme raggiungono il 7,1, come
media tra i Vigili del fuoco (8,1) (...) e le Forze dell'ordine (6,5)».
In una tale situazione non sorprende che la partecipazione
politica sia bassa e in diminuzione. Nel 2009, in occasione delle ultime
elezioni europee, il tasso di partecipazione al voto è stato pari al 65,1 per
cento (era l'85,7 per cento nel 1979). Segue la relazione: «Va però notato come
tale partecipazione si esprima a diversi livelli: non necessariamente
l'interesse per la cosa pubblica si traduce in attività di sostegno alla
politica in senso stretto, ma si esercita anche con l'informarsi e lo scambiare
opinioni sui temi della Res Publica». (Nel 2012 rimane stabile al 67 per
cento la popolazione dì 14 anni e più che partecipa alla vita civile e politica,
cioè parla o si informa di politica almeno una volta alla settimana o partecipa
on line.) «A questo proposito, pur evidenziandosi un aumento (...) dal 12
al 17 per cento di coloro che si informano attraverso Internet soprattutto tra i
giovani, ancora una parte ampia della popolazione non partecipa in nessuna forma
alla politica e il parlare e l'informarsi di politica è in diminuzione. Nel
complesso, tuttavia, i cittadini sembrano essere lontani dalla politica. Le
donne soprattutto la vedono come una dimensione estranea ai propri interessi. Il
che non sorprende, visto che la presenza delle elette nelle assemblee
parlamentari e nei luoghi decisionali più importanti della sfera pubblica e
privata continua a permanere molto bassa, come del resto la presenza giovanile
in Parlamento».
Questi sono giudizi espressi non da una parte politica, ma
dagli esperti in valutazione economica e sociale dell'ISTAT. Anche questi ultimi
avvalorano il fallimento delle riforme del Governo Monti.
Approfitto dell'occasione per delineare il percorso di
riforme che sostengo da anni in Parlamento e che vorrei fosse preso in seria
considerazione dal nuovo Governo.
Per tornare a crescere è necessario investire, ma occorre
investire in riforme a costo zero. Esistono moltissime e importantissime riforme
che si possono fare senza aumentare di un solo euro il debito pubblico. Queste
riforme richiedono da un lato la netta separazione tra le banche commerciali e
le banche d'affari, dall'altro, un intervento per restituire allo Stato la Banca
d'Italia. Si tratta di una riforma importante che dovrebbe essere presa in seria
considerazione dal momento che un decreto-legge, recante misure urgenti per la
finanza pubblica, sul quale si votò la fiducia al Governo Amato, all'epoca
Presidente del Consiglio, il 29 luglio 1992, con 288 voti favorevoli, 236
contrari e 24 astenuti, intervenne sulla sovranità monetaria, vale a dire sulla
differenza tra il potere reale e il potere commerciale, su quella differenza di
denaro che una volta apparteneva al popolo e allo Stato italiano e che oggi è
dei banchieri.
È arrivato il momento che il Parlamento prenda in seria
considerazione queste due riforme e che all'interno di quest'Aula esse vengano
discusse per uscire dalla crisi e cercare di risolvere l'80 per cento dei
problemi reali di questo Paese. (Applausi del senatore Iurlaro).
Signor Presidente, chiedo di poter allegare il testo
integrale del mio intervento.
PRESIDENTE. La Presidenza l'autorizza in tal senso.
È iscritta a parlare la senatrice Lanzillotta. Ne ha
facoltà.
LANZILLOTTA
(SCpI). Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, colleghi,
la discussione del Documento di economia e finanza cade quest'anno in un momento
estremamente delicato in cui la crisi economica si associa ad una complessa
transizione: transizione politica e istituzionale; transizione della politica e
della missione stessa dell'Europa e del nostro ruolo all'interno dell'evoluzione
europea; transizione della strategia di politica economica e finanziaria.
Una fase si è conclusa, un'altra nuova, ma ancora
indefinita e incerta, se ne deve aprire.
Il DEF approvato dal Governo dimissionario rappresenta la
connessione tra queste due fasi, indica il traguardo raggiunto nel percorso di
risanamento, proietta gli effetti di stabilizzazione delle politiche realizzate
nell'ultimo biennio, ma non indica ancora (non avrebbe potuto farlo) le nuove
politiche necessarie ad affrontare la crisi sociale e i problemi strutturali
della nostra economia.
Si racconta, nel Documento di economia e finanza, della
gestione dell'emergenza finanziaria affrontata dal Governo Monti con risultati
che, nel corso di tutte le audizioni svolte dalle Commissioni riunite, sono
stati definiti impressionanti, perché impressionante è stato (e tale è stato
riconosciuto anche dalle istituzioni europee che stanno chiudendo la procedura
per deficit eccessivo) il risanamento strutturale dei conti pubblici: 40
miliardi di euro di riduzione strutturale della spesa a regime. E altrettanto
significativo è l'effetto che in termini di maggiore crescita avranno nella
proiezione di medio termine le riforme avviate, soprattutto quelle realizzate
nella prima fase del Governo Monti, prima cioè che nel Parlamento riemergessero
resistenze e ostilità che nella seconda fase hanno depotenziato la spinta al
cambiamento, facendo intravedere pericolosamente il riemergere di quelle
resistenze che per 15 anni hanno bloccato la modernizzazione italiana.
Abbiamo evitato che l'Italia fosse commissariata, abbiamo
riconquistato rispetto e credibilità internazionale e lo abbiamo fatto con i
sacrifici degli italiani; sacrifici che il DEF certifica termini di un aumento
della pressione fiscale reso ancor più gravoso perché più duro è stato l'impatto
del risanamento e della crisi globale sull'economia italiana, aggravata da un
pesante debito pubblico e dai problemi strutturali derivanti dalle mancate
riforme dell'ultimo quindicennio.
Ora la nostra responsabilità è quella di non rendere vani
questi sacrifici. La crisi interpretata per molti mesi dalla drammatica
divaricazione tra i tassi dei nostri titoli e quelli dei titoli tedeschi ha
messo in evidenza tutte le nostre fragilità: un mercato del lavoro inefficiente;
un sistema scolastico incapace di rispondere ai cambiamenti della struttura
economica e produttiva; un basso livello di innovazione; un alto deficit
infrastrutturale; un basso livello di occupazione femminile; monopoli pubblici e
privati nei servizi i cui alti costi e la cui bassa qualità condizionano la
competitività delle nostre imprese; una pubblica amministrazione ipertrofica e
inefficiente.
Tutti i nodi sono improvvisamente e drammaticamente venuti
al pettine e quando, calati i fumi della polemica politica, si riscriverà la
storia di questi mesi non solo si constaterà come in un brevissimo tempo si è
data una sterzata ai conti pubblici per rendere credibile quell'obiettivo di
pareggio strutturale che incautamente (e forse strumentalmente) il precedente
Governo aveva voluto anticipare al 2013 ma si riconoscerà che la stagione del
Governo Monti è stata tra le poche stagioni riformatrici conosciute dal 1992 ad
oggi. E, d'altra parte, è solo grazie a quanto è stato realizzato in questi mesi
che oggi l'Italia, avendo riconquistato un'affidabile stabilità finanziaria e
realizzato significative riforme, può aprire con l'Europa un confronto per
identificare margini di flessibilità che consentano di affrontare la crisi,
facendo ripartire gli investimenti pubblici.
Ora bisogna aprire la nuova fase: si deve guardare al
futuro, ma non lo si può fare dando al Paese nuove illusioni. Non si può
accreditare l'idea che tutti i problemi sono risolti e che l'emergenza è alle
nostre spalle. Non si può accreditare l'idea che la crescita possa ripartire
abbandonando il sentiero della responsabilità e delle riforme. Non si può
accreditare l'idea che la crescita possa ripartire con la spesa pubblica in
deficit.
Se, come ha detto il Presidente del Consiglio, si vuole
parlare al Paese il linguaggio della verità e non farlo ripiombare nella
stagione del populismo e della demagogia, bisogna farlo da subito, puntando alle
vere priorità, per rimettere in moto l'economia, senza rimettere in discussione
la stabilità dei conti.
Da questo punto di vista, nel breve periodo la priorità
numero uno è immettere liquidità nel sistema. In questo senso va l'intervento
della BCE, assai opportuno, a patto che la liquidità illimitata concessa alle
banche ora arrivi davvero all'economia reale.
È fondamentale il decreto-legge sui debiti della pubblica
amministrazione, provvedimento che va però assolutamente potenziato, signor
Ministro, signori rappresentanti del Governo. Altri Paesi, come ad esempio la
Spagna - che certo non sta meglio di noi - hanno fatto un'operazione di
pagamento integrale dei debiti della pubblica amministrazione. Nei confronti
dell'Italia vi è stata una chiara disponibilità dell'Unione europea, su cui
molto ha lavorato il Governo Monti, e che ieri è stata confermata in
un'intervista del commissario Tajani. Non si possono avere su questo punto freni
e resistenze burocratiche. Questo sarà il primo banco di prova del Governo circa
la sua capacità di orientare la macchina amministrativa sui propri obiettivi
strategici. Molte volte, negli ultimi anni, i Ministri dell'economia non sono
riusciti a farlo e questo ha determinato effetti destabilizzanti. Occorre
evitare che ciò si ripeta.
I margini per una riduzione del carico fiscale sono
ridotti e per questo gli interessi devono essere selettivi e mirati, capaci di
stimolare lavoro e consumi. Anche da questo punto di vista sarebbe sbagliato far
credere che le possibilità che l'Europa può consentire siano in grado di
permettere all'Italia di finanziare interventi di spesa o riduzioni di entrata
per decine di miliardi. Bisogna allora selezionare bene gli interventi, avendo
cura che vadano nel senso di sostenere, da una parte, l'attività di impresa - e
quindi l'occupazione - dall'altra, i consumi delle famiglie.
Per questo la riduzione del cuneo fiscale deve avere la
priorità. Ce lo hanno ripetuto OCSE, Fondo monetario internazionale ed altri
organismi nazionali ed internazionali, in tutti i modi.
La riduzione dell'IRAP sul monte salari rientra in questa
categoria di interventi, così come un intervento sull'IMU, che sia però limitato
ai redditi più bassi e agli immobili di maggior pregio. Un'eliminazione
generalizzata dell'IMU per tutte le categorie di contribuenti e per tutte le
tipologie di abitazione sarebbe, invece, un unicum nei sistemi fiscali
occidentali: risulterebbe profondamente iniqua e svuoterebbe del tutto il
pilastro della fiscalità locale. Non credo che si possa sacrificare tutto questo
ad accordi politici che prescindano dagli interessi generali e rispondano a
logiche diverse. Bisogna, appunto, parlare anche in questo caso il linguaggio
della verità.
Attendiamo, signor Ministro, la Nota di aggiornamento al
Documento di Economia e Finanza che lei ha annunciato, per capire quale sarà
l'orizzonte programmatico del Governo. Finora lei ha insistito sull'invarianza
dei saldi; un suo Vice Ministro ha già annunciato la richiesta di rinegoziare
gli impegni in Europa ed è stato subito, peraltro, seccamente redarguito dal
commissario Olli Rehn. Sarebbe consigliabile che su questioni così delicate il
Governo parlasse con una voce sola e, soprattutto, che non si creasse
un'eccessiva dissonanza tra Ministri cosiddetti tecnici e Vice Ministri
politici.
Ma ci aspettiamo anche, signor Ministro, che nella Nota di
aggiornamento venga rilanciata la prospettiva delle riforme, su cui nelle
dichiarazioni programmatiche il Governo ci è parso, forse, eccessivamente
timido.
Riforma del mercato del lavoro; liberalizzazioni; riforma
fiscale; radicale riduzione dei livelli amministrativi; trasformazione digitale
dei processi produttivi e di quelli amministrativi; riforma della giustizia;
lotta per la legalità e contro la corruzione. Sono questioni fondamentali, che
hanno una forte valenza economica, in termini di attrattività degli investimenti
e di creazione di un ambiente favorevole alle attività di impresa, di
valorizzazione dei nuovi settori strategici dell'economia digitale, della
cultura, del turismo e di superamento della contrapposizione tra rigore e
crescita. Tutti temi che, soprattutto nell'orizzonte così ampio tracciato dal
Presidente del Consiglio, devono ritornare centrali. Dobbiamo dire con chiarezza
al Paese che solo affrontando i problemi che hanno frenato l'economia italiana
quando il resto dell'Europa correva saremo in grado di agganciare la ripresa,
quando questa si manifesterà.
La vasta coalizione che sorregge il Governo a questo deve
servire, non a trovare l'intesa su soluzioni minimaliste ai grandi problemi del
Paese; tutto al contrario, come ci ha incitato a fare il presidente Napolitano,
deve servire a superare la sterilità e gli esiti minimalisti prodotti dalle
contrapposizioni, dai calcoli di convenienza e dai calcoli politici che per anni
hanno caratterizzato il confronto tra le forze politiche in Parlamento.
Oggi i partiti della coalizione hanno un'ultima
opportunità per dimostrare al Paese di essere capaci di dare risposte efficaci
ai problemi italiani e di ridare un futuro e una speranza alle giovani
generazioni. Solo continuando sulla via della serietà e delle riforme volte ad
aumentare la produttività e la competitività del sistema in tutti i suoi
comparti, potremo giocare un ruolo da protagonisti per spingere l'Europa verso
una sorta di new deal che coinvolga il nostro continente in un grande
piano di rinascita economica e sociale, che riesca a trasformare il grande
patrimonio europeo di storia, civiltà, cultura e creatività in un'economia di
nuovo competitiva su scala globale.
Sui punti che ho indicato il Gruppo Scelta Civica per
l'Italia chiederà che la risoluzione di maggioranza per l'approvazione del DEF
dia chiare indicazioni di indirizzo e di impegno di cui il Governo possa tener
conto nelle decisioni che saranno prese a breve e nella elaborazione della Nota
di aggiornamento che sarà presentata entro giugno. Su una linea che coniughi
stabilità, innovazione, riforme e impegno per un rafforzamento del ruolo
dell'Europa come protagonista dell'economia globale, Scelta Civica per l'Italia
sosterrà convintamente l'azione del Governo. (Applausi dai Gruppi SCpI
e PD).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare la senatrice Nugnes. Ne
ha facoltà.
NUGNES
(M5S). È facile comprendere come tutto il DEF sia incentrato su un
programma di sviluppo improbabile, peraltro demandato a una serie di
decreti-legge già approvati. I provvedimenti del vecchio Governo, che si spera
saranno totalmente rivisti dal nuovo, prevedono investimenti di miliardi di euro
per le grandi opere, tutti volti alle infrastrutture cosiddette strategiche,
quelle a noi note e da sempre rigettate perché inutili, costose ed estremamente
importanti: la TAV, gli hub del gas, i rigassificatori, le trivellazioni,
gli impianti a biogas, la valorizzazione termica dei rifiuti, la cosiddetta
manutenzione boschiva, che altro non è che disboscamento volto ad alimentare la
filiera del biogas ligneo-cellulosico, per di più inserito alla voce
"decarbonizzazione", forzatamente considerato materiale sostitutivo del
carbone.
Quali caratteristiche hanno in comune le opere di cui
sopra? Quella che di esse non sono stati resi pubblici i piani finanziari, e ciò
è abbastanza inquietante in un periodo di grande scarsità di fondi pubblici. In
generale, non sono note nemmeno le analisi costi-benefici comparative; i
finanziamenti non sono blindati al fine di garantirne il termine d'opera. La
normativa recente, che consente di realizzarle per lotti costruttivi invece che
per lotti funzionali, rende possibili cantieri di durata infinita (per di più
opere dal contenuto occupazionale modesto). Tra l'altro, è insita nei
provvedimenti la volontà di operare pericolose facilitazioni amministrative e
burocratiche (leggi DIA). Vi sono poi le previsioni in base alle quali nella
definizione del SIN il Governo potrebbe aggirare la volontà delle Regioni per
l'avvio delle opere, soprattutto energetiche; questo significa sbloccare la
costruzione dei rigassificatori e fare un po' di autostrade, svincolare la
realizzazione di centrali a biomasse e a turbogas dalla volontà dei Paesi, dare
il via alle trivellazioni su tutto il territorio a discapito di qualunque
pericolo strutturale paventato e del rischio possibile di inquinamento alle
falde acquifere. Dove le popolazioni protestano, le Regioni possibilmente
frenano e i Comuni si oppongono, il Governo procederà a concedere autorizzazioni
e a mandare sui territori l'Esercito, come già è successo in Campania e in Val
di Susa? E domani la Forza di gendarmeria europea (Eurogendfor)?
Si è deciso, tra l'altro, che lo Stato non pagherà più i
danni provocati da catastrofi naturali per case, aziende o qualsiasi altra
struttura danneggiata; i cittadini, abbandonati a se stessi, dovranno premunirsi
per tempo di una relativa polizza di assicurazione, soprattutto se in zone a
rischio: a che costi?
Per il resto, al di là di facili programmi di green
economy, il pacchetto crescita contiene misure insufficienti, marginali,
disorganiche e incerte nel settore della messa in sicurezza degli edifici, della
riqualificazione energetica e delle energie veramente rinnovabili. I fondi per
la detrazione del 55 per cento delle somme pagate per le riqualificazioni
energetiche sono destinati a finire già a giugno; il Quinto Conto Energia è al
capolinea.
Sicuramente, nella valutazione è mancata un'analisi
attenta dei sistemi di produzione che ne evidenziassero i costi diretti e
indiretti, come quelli dell'inquinamento e della salute, che invece sarebbero
determinanti nell'analisi al punto da rovesciarne il processo decisionale.
Siamo definitivamente entrati nell'era della rivoluzione
energetica per cui la diffusione della microproduzione di energia elettrica è
destinata a prendere il posto delle megacentrali termoelettriche (ossia siamo
alla democratizzazione dell'energia) supportate dalle smart grid, ossia
da una rete di informazioni che affianchi la rete di distribuzione per gestirle
in maniera intelligente, evitando sprechi energetici, sovraccarichi e cadute di
tensione.
È necessario uscire definitivamente, e senza alcun
compromesso o risarcimento, da tutte le grandi opere; intervenire nel
rafforzamento delle tratte dei pendolari, anziché obbligarli all'uso
dell'automobile privata; rafforzare, anziché tagliare, i collegamenti tra le
città della Nazione; rafforzare e sostituire i mezzi pubblici delle piccole e
grandi città: le nostre città sono al collasso.
È necessario infine innescare un circolo virtuoso che
riduca progressivamente i rifiuti prodotti, ponendo deterrenti alla produzione
di rifiuti, con la tariffa puntuale TIA...
PRESIDENTE. Concluda, senatrice.
NUGNES (M5S). ...e l'abolizione definitiva della
TARES, deterrenti ai prodotti non riciclabili, incentivando la ricerca di
prodotti a basso impatto e le reti di collegamento di produzione, per cui uno
scarto di produzione corrisponde alla materia prima di un'altra produzione, fino
a chiudere l'ultima discarica, smantellare l'ultimo inceneritore, l'insana idea
di bruciare il combustibile solido secondario (CSS) nei cementifici, ponendosi
il riciclo totale della materia e i rifiuti zero a zero combustione come
traguardo finale, non solo soluzione al problema dei rifiuti, ma effetto a
cascata, in settori sempre più ampi e sempre più rilevanti nella filiera
occupazionale. (Il microfono si disattiva automaticamente).
(Applausi dal Gruppo M5S).
PRESIDENTE.
Colleghi, proprio per il regolare svolgimento dei lavori, visto che la cosa più
antipatica che esista è togliere la parola ad una persona, faccio presente che
un minuto prima viene segnalato che il tempo a disposizione sta per terminare,
dopodiché in quel minuto bisogna concludere.
È iscritta a parlare la senatrice Bisinella. Ne ha
facoltà.
BISINELLA
(LN-Aut). Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor Ministro, signor
Sottosegretario (ai quali va il nostro in bocca al lupo per l'avvio della nuova
attività in un momento tanto difficile), ci troviamo oggi a discutere sul
Documento di economia e finanza che da sempre è uno dei provvedimenti più
importanti nel calendario dei lavori di un Governo. Quest'anno il Documento
arriva però all'attenzione di quest'Aula successivamente al termine perentorio
entro il quale andava presentato all'Unione europea, ovvero il 30 aprile. Ora,
data la complessità e l'importanza del provvedimento, chiaramente si richiede
un'analisi accurata del suo contenuto e uno studio approfondito, che però mal si
concilia con la particolare situazione politica italiana che abbiamo vissuto in
queste ultime settimana.
Il ritardo con cui oggi dibattiamo sul DEF e l'evidente
intricata situazione politica, davvero eccezionale, che finalmente ha portato
alla nascita di un Governo solo da una settimana, (un Governo di emergenza
nazionale, che noi della Lega Nord auspicavamo e richiedevamo da tempo e che
tutti i cittadini attendevano con ansia per vedere finalmente affrontare i
problemi gravi del Paese), non è però da addebitare a spaccature all'interno dei
grandi partiti che oggi finalmente appaiono superate, piuttosto che
all'opposizione di altri, denotando forse un'inclinazione da parte di alcuni -
verrebbe da dire - più alla protesta che alla proposta.
In ogni caso, ci accingiamo ad approvare in Aula questo
Documento attraverso una risoluzione che sarà presentata, che nelle premesse
dovrebbe tener conto di quanto anticipato dal nuovo ministro dell'economia
Saccomanni nell'audizione che ha tenuto in Parlamento lo scorso giovedì e che
impegni il Governo a presentare nel più breve tempo possibile una Nota di
aggiornamento al Documento stesso, in modo che in sede europea l'Italia possa
rappresentare, con documenti ufficiali, i propri orientamenti politici effettivi
e soprattutto il piano nazionale delle riforme che per noi è fondamentale, dato
che proprio il nuovo Presidente del Consiglio ha già incominciato a presentare
nei consessi europei, nel suo giro delle cancellerie, questi punti
programmatici.
Rimane ovviamente ferma, in ogni caso, la priorità che va
data alla chiusura della procedura per deficit eccessivo, che dovrebbe
avvenire - come tutti sappiamo - il prossimo 29 maggio e della cui importanza
siamo tutti consapevoli.
Il lavoro che però l'Italia ora è chiamata a fare, che
deve essere posto all'attenzione di tutti noi, è senz'altro quello che deve
essere rivolto alla crescita, certamente entro i confini del consolidamento e
del rispetto degli impegni di bilancio, ma la priorità e l'emergenza vera è
quella di far ripartire lo sviluppo. (Applausi della senatrice
Bellot).
La condizione economica del Paese, che così
dettagliatamente viene analizzata dal provvedimento, consiglierebbe di lavorare
di più, fomentando meno polemiche inutili. Tant'è che noi oggi qui, onorevoli
colleghi, assistiamo alla continua recessione di un Paese che ormai è sempre più
agonizzante.
Nel suo insieme, ad analizzare i dati del DEF, il quadro
della finanza pubblica appare sì migliorato nei suoi avanzi primari, ma rimane
il problema del debito. I dati sul PIL sono tristemente eloquenti (-2,4 per
cento nel 2012), con una produzione industriale che si è assestata, lo scorso
dicembre, a 1.389 miliardi di euro, in calo di quasi 24 miliardi di euro
rispetto allo stesso periodo del 2011. Non si può sorridere nemmeno se si guarda
ad indicatori come il rapporto deficit-PIL, laddove l'attuale valore
prospettato per il 2013, pari al 2,9 per cento, al di sotto - pare - della
celebre asticella del 3 per cento, ma sconta una sovrastima di oltre un punto
percentuale rispetto a quanto pronosticato dal Governo uscente non più tardi del
mese di ottobre scorso. Tra l'altro, i dati di questi ultimi giorni che vengono
elaborati dalla Commissione europea parlando di un deficit del 3,3 per
cento e di un debito in salita che arriva al 134,2 per cento nel 2014.
Non sono passati, in realtà, che pochi mesi da quando il
Governo Monti, all'interno della legge di stabilità, previde un andamento
dell'indebitamento netto per il 2013 nell'ordine dell'1,8 per cento, mentre
invece oggi scopriamo, analizzando i dati di questo Documento, ripeto, solo a
qualche mese di distanza, che in realtà il valore è ben maggiore. E questa non è
certo una casualità. Né si può cercare di giustificare questo trend
negativo con gli effetti dei più elevati pagamenti della pubblica
amministrazione autorizzati dal recente decreto n. 35, che peraltro noi della
Lega Nord auspicavamo e sollecitavamo da tempo. La causa principale di questa
sovrastima è da ricercarsi nel negativo andamento della crescita del Paese. Lo
scorso anno, infatti, il Governo uscente prospettò un PIL per il 2013 in calo di
soli 0,2 punti percentuali rispetto al 2012, che pure era stato un anno orribile
per la nostra economia. Oggi si scopre invece che la crisi arriverà a portare
tale valore a -1,3 per cento, ossia alla recessione economica, che non terminerà
nemmeno quest'anno. Si parla, infatti, di una contrazione del PIL dell'1,5 per
cento per il 2013 e di una crescita dello 0,5 per cento per il 2014.
Guardando poi anche i dati sulla disoccupazione, che a noi
stanno particolarmente a cuore, non si può non essere allarmati. Quei dati,
infatti, sono a dir poco preoccupanti, perché nelle nuove previsioni della
Commissione europea la disoccupazione raggiungerà l'11,8 per cento nel 2013 e
sfonderà la soglia del 12 per cento, arrivando al 12,2 per cento, nel 2014,
contro le stime che erano state fatte nel mese di febbraio, rispettivamente,
dell'11,6 per cento e del 12 per cento. Anche se poi è vero che Bruxelles
afferma che nel 2014 sarà finalmente attesa una stabilizzazione.
La perdita di competitività che abbiamo registrato in
Italia è da addebitarsi a dinamiche salariali non legate alla produttività. Noi
questo lo dicevamo da tempo e in sede di audizione presso le Commissioni
speciali in seduta congiunta lo hanno rilevato anche ISTAT e CNEL. Com'è stato
dunque possibile prospettare tassi di crescita, quando poi invece si evidenzia,
solo qualche mese dopo, che tale ripresa in realtà non esiste? Dobbiamo pensare
che forse l'eccessivo ottimismo di chi ci ha preceduto, di chi ha preceduto
questo Governo, che è senz'altro incolpevole, abbia portato a sopravalutazioni
del tutto infondate o non sostenute da verifiche empiriche? Forse si è trattato
di errori finalizzati alla campagna elettorale di qualcuno. (Applausi dal
Gruppo LN-Aut).
Dall'altro lato, però, abbiamo assistito nel 2012, e
particolarmente nell'ultimo triennio dell'anno concluso, ad un vero e proprio
crollo dell'economia italiana che, letteralmente, si è bloccata. Nessun mistero,
quindi: quello cui noi oggi assistiamo non è che la logica conseguenza di
politiche fiscali ed economiche che hanno fatto dell'aumento dell'imposizione
fiscale il proprio e unico faro.
Veniamo all'IMU, tema molto controverso in questi giorni.
Con il pagamento della seconda rata dell'IMU, infatti, l'economia italiana ha
visto crollare la domanda interna: i cittadini hanno dovuto sostenere una nuova
tassa, investendo le loro risorse non in attività o in beni, ma in una imposta
tanto gravosa da bloccare completamente l'economia italiana.
E ora che a dirlo non siamo più solamente noi, ma anche i
dati, quelli veri, quelli a consuntivo, che cosa ci viene prospettato? Di
rivedere l'IMU, di sospenderne magari l'applicazione per il mese di giugno, di
rimodularla, di rimodulare anche l'applicazione della TARES (che è una ennesima
gabella pianificata a fine 2011).
Noi riteniamo da sempre che l'IMU sia una tassa
estremamente ingiusta: non perché rappresenta una forma di tassazione
immobiliare, ma perché applicata indistintamente, in molte aree del Paese, sulla
base di un catasto che non è aggiornato rispetto ai valori di mercato reale.
Certamente, non sarà la Lega Nord ad impedire che due
imposte tanto recessive e gravose vengano riviste o, magari, soppresse. Ma
farebbe bene a qualcuno a ripensare ai giorni in cui gli esponenti della Lega
Nord, con vari interventi nelle aule parlamentari, già allora affermavano che
l'imposta sulle abitazioni era iniqua, o che la tassa sui rifiuti risultava
eccessiva. (Applausi dal Gruppo LN-Aut). Imposte che alimentavano, e
alimentano, una situazione di recessione economica gravando pesantemente sui
bilanci delle famiglie, delle imprese, delle attività produttive e degli
esercizi commerciali.
La Lega Nord per prima si era battuta per bloccare tali
imposizioni, perché venisse invece applicato un vero federalismo, perché si
adottasse una vera imposta municipale, il cui gettito - lo diciamo da sempre -
doveva e deve poter rimanere nei territori che lo producono, e non diventare una
gabella statale travestita. No del tutto inutilmente.
Oggi, però, scopriamo che, di fronte agli impietosi numeri
evidenziati dal DEF, l'attuale Governo decide saggiamente di ripensare a certe
scelte, inique quanto poco lungimiranti. Il tempo dell'austerità è giunto al
termine, e se chi oggi governa il Paese vuole veramente rilanciare la nostra
economia, le imprese e il lavoro, dovrà riconsiderare scelte del passato poco
avvedute. È davvero ora di cambiare registro.
La rimodulazione dell'IMU, di cui si parla in queste ore,
e la sospensione delle rata di giugno, ci preoccupano nella misura in cui
occorre trovare copertura e occorre dare garanzie ai Comuni di una compensazione
adeguata. Quali somme possono essere anticipate ai Comuni per sopperire al
mancato introito? Ai Comuni va restituito l'importo complessivo che avevano
preventivato di incassare a giugno, comprensivo cioè dell'aliquota propria
(ricordiamo che l'aliquota base è dello 0,4 per cento, però passibile di
incremento attraverso un'addizionale), oppure solo la cifra equivalente
all'incasso che avrebbero ottenuto con la sola aliquota base? Questa è una bella
differenza Nel primo caso, lo Stato dovrebbe anticipare una cifra stimata in
circa 2-3 miliardi di euro, mentre nel secondo caso una cifra di circa 1,4
miliardi, ma ai Comuni resterebbe un buco in bilancio da colmare. Per questo
siamo preoccupati.
Anche l'ipotesi, che circola, che i Comuni potrebbero
scaricare tale mancato introito su seconde case o negozi ci preoccupa. Per
questo, chiediamo che si proceda con buonsenso e attenzione.
Si parla anche dell'istituzione di un apposito fondo per
abbattere il debito pubblico, che potrebbe essere incrementato dal valore del
patrimonio immobiliare pubblico, cioè da parte degli immobili dello Stato e
altri valori mobiliari, come le concessioni.
In ogni caso, noi riteniamo che il nuovo Governo e i nuovi
Ministri vadano prima messi alla prova. Noi non abbiamo preclusioni a
priori, o posizioni preconcette su questo Governo.
Ci aspettiamo, però, questo sì, la dovuta attenzione per
quella parte del Paese, i territori del Nord, che sono ancora, nonostante tutto
e nonostante arranchino sempre di più, il traino dell'economia dell'intero
Paese, cuore, testa e motore economico-produttivo. Nord che con le sue imprese
deve essere tutelato. (Applausi dal Gruppo LN-Aut). Per questo noi
parliamo di macroregione, di macroaree omogenee produttive ed economiche. Per
questo diciamo che occorre trattenere le risorse sui territori che quelle
risorse producono, per rilanciare lì lo sviluppo.
Come si può uscire da una situazione di stagnazione
scorrendo questi dati? Occorrono politiche di competitività, di sviluppo, per
far ripartire la domanda. Lo diciamo da molto: servono misure che mitighino
l'impatto recessivo delle misure intraprese. E occorre - e vorremmo oggi
sottolineare anche questo ancora con più forza, con un nuovo Governo intento a
presentare i propri programmi nei più importanti consessi europei - che in
Europa si tenga sì conto del mantenimento della soglia del 3 per cento nel
rapporto defìcit-PIL, ma anche degli sforzi enormi che l'Italia ha
compiuto, che i cittadini italiani hanno compiuto finora, e che questo si faccia
presente in sede europea.
Le politiche di austerità intraprese sono state e sono
molto pesanti ma non ci può essere ora solo austerità. Perciò ci aspettiamo sia
avviata davvero una stagione di riforme che vadano nel senso dell'ammodernamento
della macchina e dell'apparato statale, verso una forma di governo federale, un
concreto federalismo, che porti una revisione della spesa pubblica in grado di
abbattere le inefficienze e la pressione fiscale eccessiva che è giunta ormai a
livelli insostenibili anche per il più coraggioso degli imprenditori. È questa
la sola speranza per l'efficientamento del sistema, la responsabilizzazione
nella gestione delle risorse pubbliche, la sburocratizzazione, contro sprechi e
sperperi, perché, non dimentichiamolo, è il peso eccessivo del pubblico che
grava sul privato a bloccare l'economia. E questo si attende il Paese.
Perciò ci aspettiamo, ad esempio, che il neoministro
Zanonato difenda e sappia rappresentare cittadini e imprese venete e del Nord
all'interno del Governo nazionale. Questo chiede, come oggi ieri, il Gruppo
della Lega Nord.
Questa è una situazione particolare. Se ne può uscire se
però la politica saprà fare la sua parte, se tutti faranno la loro parte e se su
questi temi si confronteranno seriamente, tutti i settori, senza logiche
particolaristiche o corporativismi, ma correttamente. Allora sì che se ne potrà
uscire. (Applausi dal Gruppo LN-Aut e dei senatori Compagnone e
Fucksia).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare la senatrice Pignedoli.
Ne ha facoltà.
PIGNEDOLI
(PD). Signor Presidente, onorevoli colleghi, rappresentanti del Governo,
dovendo intervenire su un documento prodotto nella fase di mezzo tra un Governo
uscente impossibilitato ad introdurre linee di indirizzo politico e un Governo
appena insediato, siamo consapevoli di avere in discussione oggi un documento
parziale, limitato alla fotografia del consuntivo: il Programma di stabilità,
l'azione di risanamento strutturale delle finanze pubbliche, obiettivo
conseguito per l'anno 2012 con la riduzione del disavanzo pubblico sotto la
soglia del 3 per cento, in linea con quanto previsto in sede europea e con il
previsto conseguimento del pareggio di bilancio in termini strutturali per il
2013.
L'Italia uscirà dalla procedura dideficit eccessivo
in cui era entrata nel 2009, risultato assolutamente non scontato, un dato
positivo.
Ma l'analisi sull'aggiustamento dei conti pubblici non può
essere solo aritmetica. È indispensabile ragionare su come si è arrivati a
questo risultato per il contenimento della spesa pubblica: lo abbiamo raggiunto
soprattutto con la modalità dei blocchi e dei tetti. Nessuna attività selettiva,
nessuna vera revisione della spesa pubblica; una spending review che si è
concretizzata troppe volte in un'accetta che ha colpito in modo lineare tutti,
in modo troppo indifferenziato; quasi mai un'analisi dei centri di spesa o
misurazioni dei livelli di efficienza dei servizi. Quell'obiettivo che doveva
avviare una rivoluzione nel sistema pubblico, premiando i virtuosi e
penalizzando sprechi e inefficienze.
Sì, pareggio di bilancio raggiunto, ma l'effetto di questa
logica, di questo taglio indiscriminato, assieme a una insostenibile pressione
fiscale, dentro una forte crisi economica internazionale, è stato che il
risultato è stato raggiunto ma a costo di pesanti sacrifici da parte di
cittadini e imprese.
Nonostante questi sacrifici, i tre fattori di crisi di
questo Paese sono rimasti inalterati o addirittura peggiorati negli indicatori,
e la situazione oggi si ripropone in tutta la sua drammaticità: troppa
disuguaglianza, troppo debito, troppo scarsa crescita.
In uno scenario di così grande preoccupazione, in mezzo a
tante criticità riportate dal Documento, vorrei concentrarmi sul tema della
crescita, cioè sulla speranza, sulle potenzialità. Lo ha detto bene il
presidente Letta: a volte «la nostra tendenza all'autocommiserazione è pari solo
all'ammirazione che l'Italia suscita all'estero». Di questo vorrei parlare e
vorrei che di più parlassimo: delle potenzialità, della fiducia che il mondo ha
nelle nostre produzioni.
Se la domanda interna è in progressivo calo, i dati
dell'export, in controtendenza, sono in crescita e tra tutti emerge il
dato confortante dell'agroalimentare. È in sorprendente aumento la domanda di
cibo italiano nei mercati esteri e non solo in quelli tradizionali all'interno
dell'Europa o degli Stati Uniti; c'è una ventata di curiosità e di interesse
crescente che arriva dai Paesi emergenti, dai mercati asiatici in particolare,
quelli che chiedono, in una crescita esponenziale, cibo italiano, stile
italiano.
Nel 2012 c'è stato un aumento del 7 per cento rispetto al
2011; già nei primi due mesi del 2013 si registra un ulteriore incremento del
6,5 per cento rispetto all'anno precedente; nel 2012 l'incidenza sul fatturato
totale ha sfiorato il 20 per cento. Su 9 miliardi di euro di valore di vino
italiano prodotto oltre il 50 per cento viene esportato. Fenomeni inaspettati,
come l'aumento di esportazione di birra nel Nord Europa, addirittura in
Germania. Esportiamo vino spumante italiano nella patria dello champagne,
in Francia; addirittura riso italiano in Cina: dati inaspettati fino a qualche
anno fa.
Tutto questo ci dice quanto il made in Italy sia un
brand (come si usa dire oggi) di grande attrattiva. «Sì, brand»,
la parola adatta, che non trova un'adeguata traduzione, intendendo con questa
non solo il prodotto in sé, ma anche l'insieme di valori, contenuti e saperi che
il nostro Paese ispira, ovvero nuovi valori di competitività, su cui il nostro
sistema imprenditoriale dell'agroalimentare deve misurarsi, e contenuti di
servizio sempre più mirati e personalizzati; ma anche valori in materiali su cui
il nostro Paese ha grande credito nel mondo. Parliamo di oltre 31 miliardi di
euro di fatturato dell'export dell'agroalimentare italiano nel 2012: mai
raggiunto un dato così alto.
Ma la notizia positiva è che ci sono grandissimi margini
per crescere. Un dato per tutti: 60 miliardi di euro sono stati stimati per il
fatturato del falso cibo italiano. Questo dato esprime il senso dell'urgenza di
una lotta senza quartiere all'illegalità, alla contraffazione, all'inganno
dell'italian sounding; ma ci dà anche la dimensione del reale spazio di
mercato esistente. Vi è una domanda di cibo italiano che oggi viene tradita nel
modo peggiore, uno spazio che noi non siamo in grado di occupare con una
risposta imprenditoriale di produzioni autentiche, sicure, garantite, di alta
qualità.
Sappiamo, da quanto dicono le nostre aziende vinicole,
della pasta e dell'olio, che gli ordini che arrivano dalla Corea, dal Giappone,
dalla Cina, dal Brasile sono molto superiori alle possibilità di offerta. Le
nostre imprese produttrici non riescono a rispondere perché non sufficientemente
strutturate in capacità produttive, in reti commerciali adeguate, in
organizzazioni e professionalità adeguate. Dunque, siamo al paradosso: da una
parte una potenzialità e una crescita esponenziale della domanda di cibo
italiano, dall'altra il nostro sistema imprenditoriale, che non è attrezzato per
rispondervi. L'organizzazione è insufficiente, la frammentazione è massima.
Ancor peggio: mentre ci sono fasce di mercato emergenti
alla ricerca di distintività culturali ed enogastronomiche, troppe aziende di
produttori non hanno marginalità sufficienti e si arrendono, chiudono per
mancato reddito o per mancato ricambio generazionale. Nel 2012 sono 16.791 le
aziende agricole che hanno chiuso.
Mentre poi tutto il mondo si sta mobilitando per la
questione alimentare, per l'allarme sull'insufficienza alimentare, il nostro
Paese, noto per le eccellenze alimentari e la preziosità dei propri prodotti,
continua a consumare suolo prezioso.
La contraddizione è così alta che solo un Paese nel suo
insieme può trovare la forza di invertire la rotta. Può farlo se ha la
consapevolezza vera del tesoro che possiede, se riesce a tradurre bellezza,
paesaggio, salubrità in opportunità economiche e in nuova occupazione in
agricoltura, in professionalità e specializzazioni.
Un Paese che crede nel proprio patrimonio e lo conosce
capisce che ora è il momento di un «progetto Paese» sull'agroalimentare nel
mondo, inverte la rotta e si attiva perché si fermi lo «shopping» degli
investitori stranieri dei marchi di qualità.
C'è bisogno di un progetto di «internazionalizzazione
dell'agroalimentare» italiano coraggioso e immediato. C'è bisogno di un piano
straordinario per l'export, che vada a dar sostegno alle reti di imprese
e alle nuove professionalità. C'è bisogno di un progetto di semplificazione
delle procedure amministrative e dei controlli. C'è bisogno di una
semplificazione della governance degli enti ministeriali
dell'agricoltura: troppa dispersione, troppe sovrapposizione di funzioni, poca
efficienza e poco trasparenza. (Richiami della Presidenza).
Signor Presidente, le chiedo solo un minuto per
concludere.
PRESIDENTE. Ha pochi secondi per concludere l'intervento,
senatrice, altrimenti la invito e la autorizzo a consegnare il testo del
discorso.
PIGNEDOLI (PD). Vi è un quarto punto, che sembra
non essere in tema con il settore agricolo: quello della sicurezza del
territorio. Io vengo da quell'Emilia devastata nel 2012 da eventi
inimmaginabili, come il terremoto, la siccità, le nevicate e il dissesto
idrogeologico.
Lo ha detto il presidente Letta e io colgo l'occasione per
riproporlo in questa sede. È stato chiesto lo stato d'emergenza. Noi crediamo e
contiamo sull'impegno che il Presidente si è assunto in quest'Aula. (Applausi
dal Gruppo PD. Congratulazioni).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Santangelo.
Ne ha facoltà.
SANTANGELO
(M5S). Signor Presidente, senatrici e senatori, è il mio primo intervento
e lo immaginavo esattamente in questa maniera. Lo immaginavo in un'Aula
semivuota, quasi come il deserto. (Applausi dal Gruppo M5S). Si è tanto
parlato del rispetto nei confronti delle istituzioni e dei ruoli. I banchi vuoti
giustificano il rispetto che tutti gli assenti nutrono proprio nei confronti del
ruolo ricoperto e delle stesse istituzioni.
Premesso ciò, il Piano nazionale di riforma (PNR)
evidenzia come si sia provveduto ad affrontare sia i problemi urgenti di breve
periodo causati dalla crisi sia le questioni strutturali dell'economia del
Paese. In questa prospettiva il Documento introduce, tra le principali misure da
adottare, la politica di sviluppo nazionale per l'imprenditoria a favore
dell'innovazione e dell'internazionalizzazione. Tale Piano ha messo in risalto
come l'Italia abbia un ruolo rilevante nel settore del turismo internazionale,
ma stenti a tenerne il passo della crescita del settore e tenda a perdere quota
di mercato nei confronti dei suoi tradizionali concorrenti europei. Il turismo,
comunque, rappresenta per il nostro Paese un settore rilevante con un peso
significativo nell'economia nazionale, generando maggiori opportunità di lavoro
rispetto ad altri settori industriali considerati prioritari.
È opinione condivisa fra gli operatori economici del
settore che il turismo abbia un potenziale di enorme rilievo dal punto di vista
culturale, politico ed economico, soprattutto a fronte della profonda crisi
economico-finanziaria. Lo sviluppo del settore rappresenta una preziosa
occasione che il Paese non può perdere, soprattutto alla luce della
significativa possibilità occupazionale specialmente nel Mezzogiorno.
Nel PNR si evidenzia che il Piano strategico contiene
un'analisi delle criticità turistiche italiane quali le difficoltà della
governance del settore, la frammentazione della promozione all'estero, il
nanismo delle imprese, i limiti nella capacità di costruire prodotti turistici
competitivi, l'insufficienza delle infrastrutture, l'inadeguatezza della
formazione del personale e le difficoltà ad attrarre investimenti
internazionali.
Di fronte a tali criticità il Piano strategico propone
alcune linee guida e individua un numero rilevante di azioni concrete che
dovrebbero rapidamente migliorare la competitività del settore.
Per quanto riguarda il profilo della governance del
settore, l'azione locale o regionale non è in grado di assicurare il necessario
impulso al settore turistico che il nuovo quadro internazionale richiede. È
necessario che la dimensione nazionale si integri sempre di più con quella
locale. Ai fini di un più efficace coordinamento, occorre affrontare il tema
centrale dei rapporti tra Stato-Regione in materia di turismo. A prescindere
dalle eventuali modifiche costituzionali, devono comunque essere messe in atto
azioni volte a favorire la creazione di una struttura amministrativa centrale in
grado di confrontarsi con i centri decisionali competenti in materia.
Necessitano misure concrete per incrementare il turismo di
qualità, responsabile e sostenibile, che rispetti l'ambiente e le
caratteristiche della comunità locale, e per ottimizzare la competitività
dell'offerta e la qualità del sistema turistico italiano. (Applausi dal
Gruppo M5S).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Bianco. Ne ha
facoltà.
BIANCO
(PD). Signor Presidente, onorevoli senatrici e senatori, rappresentanti
del Governo, intervengo su un settore specifico del DEF 2013, quello relativo
alla spesa sanitaria, che, pur nei suoi limiti, ritengo possa ben essere
rappresentativo del Documento nel suo complesso sia sotto il profilo tecnico,
perno centrale del ciclo di programmazione economico-finanziaria e di bilancio,
sia sotto quello più strettamente politico, «l'occasione per guardare al passato
ma soprattutto per immaginare il futuro delle politiche economiche e di bilancio
del Paese, in chiave europea». Sono queste le parole testuali
dell'incipit della presentazione del presidente Monti.
All'appuntamento con la stretta finanziaria sui bilanci
pubblici, diventata più stringente in Europa successivamente al Patto di
stabilità e crescita ed emergenziale nella seconda metà del 2011 per i fatti che
voi conoscete, la spesa sanitaria si è presentata con una dinamica di crescita
fortemente ridimensionata nell'arco temporale 2007-2012, registrando un tasso
medio di crescita dell'1,7 per cento, che è lontano da quel 6,4 medio che aveva
caratterizzato il periodo 2000-2006.
Sono stati e sono tuttora molteplici i determinanti di un
trend di crescita della spesa sanitaria, alcuni dei quali strutturali
all'evoluzione del sistema sanitario. Ne cito alcuni: l'ingresso di nuove
tecnologie e nuovi farmaci mediamente più costosi, che, almeno in una prima
fase, si aggiungono e non sostituiscono vecchie pratiche o vecchi farmaci;
l'invecchiamento della popolazione, che dilata la platea dei destinatari di
complessi servizi sanitari e sociosanitari long term.
Altri determinanti sono invece espressione di alcuni
problemi non risolti, o quanto meno di ambiguità. Sul piano istituzionale, penso
al riparto dei compiti e delle funzioni tra Stato e Regioni; ai ritardi
nell'innovazione organizzativa e gestionale; a una pluralità di modelli
aziendalistici in gran parte insufficienti a governare la complessità della
produzione di servizi caratterizzati da un'altissima densità di competenze
professionali e di valori etici e civili con pochi uguali nel mondo della
produzione.
A questo si aggiunge il peso, il gravame di sacche di
inappropriatezza tecnica, di inefficienza organizzativa e gestionale, di
vicinanze improprie tra ricerca del consenso politico e gestione amministrativa
e finanche del merito e della qualità professionale. Infine, isolati ma
nondimeno allarmanti, sono da registrare fenomeni corruttivi e di inquinamenti
malavitosi.
Va però respinta con forza una deriva che talora affiora
anche nel dibattito e nella comunicazione, secondo la quale il nostro Servizio
sanitario nazionale è un costo insopportabile, un carrozzone inefficiente e
inefficace: esso - in realtà - è, pur con tutti i sui limiti, una grande e
straordinaria opera tecnico‑professionale, civile e sociale che garantisce
ricerca e sviluppo, occupazione qualificata e soprattutto, secondo i principi di
universalismo ed equità, coesione sociale e identità civile al nostro Paese.
Nelle prossime settimane il Consiglio Ecofin dell'Unione
europea, a fine maggio, sancirà l'uscita del nostro Paese dalle procedure di
eccesso di deficit. I dati del DEF ci dicono che la nostra sanità ha
svolto, come si diceva qualche mese o anno fa, i suoi compiti a casa. La spesa
pubblica del settore relativa al 2012 è, in valore assoluto, di poco superiore a
quella del 2009; per il 2013 è indicata una crescita della spesa sul 2012 di
circa lo 0,2 per cento, mentre dal 2014 al 2017 è indicata una crescita con un
tasso medio dell'1,9, a fronte di una contestuale previsione di crescita del PIL
nominale più alta.
Questo differenziale porta ad una stima della spesa
sanitaria pubblica sul PIL in decrescita, raggiungendo nel 2017 il valore del
6,7 per cento, che rafforzerebbe la nostra posizione nell'Unione europea a 15
tra i Paesi a più bassa spesa, in termini percentuali sul PIL e assoluti
procapite. Hanno dunque prodotto risultati sui saldi contabili le pesanti
misure messe in atto dai Governi Berlusconi e Monti, che, in combinato disposto,
hanno determinato, nell'arco temporale 2010-2014, un definanziamento pubblico
del Servizio sanitario nazionale per cumulativi 25-30 miliardi di euro (questo
secondo diverse stime).
A fronte di ciò, condivido quanto ormai da più parti
autorevoli e terze viene detto: il Servizio sanitario nazionale non può
sopportare ulteriori politiche di definanziamento pubblico, salvo scontare
inaccettabili cadute dell'universalismo e dell'equità di accesso alle
prestazioni.
Al riguardo, ricordo quanto dichiarato dal presidente
Errani, che, nel rappresentare il pensiero unanime delle Regioni e delle
Province autonome, ha chiesto che il finanziamento dei servizi sanitari
regionali erogati nel 2012 resti tale anche per il 2013, evitando il taglio
netto di un miliardo e denunciando l'effetto devastante sulla tenuta dei sistemi
della previsione relativa al 2014 di ulteriori due miliardi di compartecipazione
dei cittadini ai costi delle prestazioni.
Sono saliti i ticket, è salita la pressione
fiscale, sono salite le aliquote regionali, soprattutto nelle Regioni sottoposte
ai piani di rientro, e le cifre sono molto vicine a quelle dell'IMU sulla prima
casa.
Vorrei concludere, signor Presidente, ricordando quanto,
pochi giorni fa, la direttrice generale dell'Organizzazione mondiale della
sanità europea, a conclusione di un meeting, ha detto sull'impatto in
Europa della crisi economica sulle politiche sanitarie. Così cito: «In tempi di
crisi, è forse ancora più importante proteggere il finanziamento dei sistemi
sanitari, dal momento che i bisogni di salute possono crescere rapidamente;
assicurare l'accesso ai servizi di salute è un aspetto cruciale di una più ampia
rete di sicurezza sociale (...) tagli inappropriati possono solo peggiorare i
sistemi sanitari. Che (...) devono fare di tutto per minimizzare gli sprechi e
perseguire l'appropriatezza». Ecco, signor Presidente, nell'affrontare l'agenda
delle riforme, anche a partire dalla Nota di aggiornamento del DEF, ma più
incisivamente nella legge di stabilità, dovremo ricordarci nelle nostre scelte
di questo, perché questa è l'Europa a cui guardiamo: l'Europa dell'equità, della
solidarietà, dell'universalismo dei diritti fondamentali del cittadino.
(Applausi dal Gruppo PD e della senatrice Bignami).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare la senatrice De Pietro.
Ne ha facoltà.
DE PIETRO
(M5S). Signor Presidente, senatrici, senatori, membri del Governo, con
riferimento agli impegni di cooperazione allo sviluppo contenuti nel Documento
di economia e finanza, il Movimento 5 Stelle ritiene necessaria una riforma
della normativa inerente appunto alla cooperazione allo sviluppo. Ciò alla luce
dei risultati, spesso insoddisfacenti, di parte degli interventi che si sono
succeduti negli ultimi decenni.
Spesso gli aiuti conferiti dai Paesi donatori e dagli
organismi internazionali preposti non solo non hanno conseguito un impatto
apprezzabile sullo sviluppo dei Paese beneficiari, ma hanno finito a volte per
finanziare indirettamente regimi corrotti e interessi personalistici. Molti
aiuti hanno comunque, e nonostante le dette inefficienze, esiti positivi.
Negli ultimi anni l'Italia ha attuato una politica di
diminuzione del livello di partecipazione finanziaria alla cooperazione. Il
Movimento 5 Stelle auspica, anche al fine di rilanciare il profilo
internazionale del Paese e la nostra presenza in aree strategiche, che siano
adottate azioni per un riallineamento graduale dell'Italia aglistandard
internazionali di finanziamento previsti per la cooperazione allo sviluppo,
focalizzando meglio i Paesi e le Regioni di intervento in cui la partecipazione
dell'Italia con le realtà locali è più apprezzata, incominciando nel contempo a
lavorare affinché si possano migliorare le metodologie di intervento e i
risultati.
Inoltre, data la necessità di risparmio delle scarse
risorse dello Stato e di una gestione improntata a principi di efficienza, si
ravvisa l'opportunità di ridurre il peso dei costi fissi di gestione del
Ministero degli affari esteri mediante un'attenta analisi e rivalutazione delle
spese, al fine di recuperare risorse da destinare all'attuazione delle varie
politiche, e in particolare alla cooperazione allo sviluppo.
Merita una considerazione particolare la cabina di regia
dell'Agenzia per il commercio estero. Al fine di garantire un'azione efficace
nel quadro della sua integrazione delle rappresentanze diplomatiche e degli
uffici all'estero, occorre chiarirne la composizione, il processo decisionale,
il raccordo amministrativo, in accordo con l'attività svolta dalle Regioni.
L'Agenzia dovrebbe essere organizzata e gestita in modo da poter fornire
concreto e incisivo sostegno alla internazionalizzazione delle imprese
italiane.
Inoltre, riteniamo impellente la rivalutazione
dell'opportunità di ogni singola missione militare all'estero, non solo dal
punto di vista della sostenibilità economica, argomento già di per sé
convincente, ma anche nel rispetto del dettame indicato dall'articolo 11 della
Costituzione.
Premesso che l'Italia partecipa con un numero
considerevole di uomini e mezzi alla missione ISAF (International Security
Assistance Force) a guida NATO, costituita a seguito della risoluzione n.
1386 del 2001 del Consiglio di Sicurezza dell'ONU, poi prorogata ed estesa dalla
risoluzione ONU n. 1510 del 2003, entrambe richiamate da ultimo dalla
risoluzione n. 2069 del 2012, si ritiene, nel quadro generale di risparmio e
riallocazione delle risorse, che un'anticipata uscita dei contingenti militari
italiani dalla missione in Afghanistan, già prefigurata per il 2014,
consentirebbe di destinare alla cooperazione allo sviluppo, soprattutto rurale,
in Afghanistan, l'equivalente delle risorse finanziarie non impiegate.
Inoltre, in una fase economica come quella attuale, uno
dei pochi strumenti a nostra disposizione per diminuire la pressione fiscale e
adottare quelle misure urgenti e necessarie per dare sollievo ai cittadini e
impulso all'economia, è ridurre la spesa pubblica corrente improduttiva,
eliminare gli sprechi e individuare tutti i possibili risparmi, senza tuttavia
ridurre la qualità dei servizi offerti ai cittadini.
I risparmi ottenuti in qualsiasi settore della pubblica
amministrazione, e quindi anche dal ritiro anticipato dei contingenti militari
italiani dalla missione in Afghanistan, potrebbero essere riallocati, oltre che
per il rafforzamento della cooperazione allo sviluppo in Afghanistan, anche per
ridare vitalità alle piccole e medie imprese italiane, spina dorsale e
caratteristica peculiare del nostro sistema produttivo, per alleggerire la
pressione fiscale sul lavoro, divenuta ormai insopportabile, così come per le
politiche sociali e la sanità.
Pertanto auspichiamo che, con le risorse risparmiate
dall'anticipato ritiro dei contingenti militari dall'Afghanistan, si possa ad
esempio istituire un fondo o adeguati strumenti per il sostegno delle piccole e
medie imprese, operanti nel nostro Paese, che versano in gravi condizioni
finanziarie a causa della perdurante crisi economica. (Applausi dal Gruppo
M5S).
PRESIDENTE.
Colleghi, per poter organizzare i nostri lavori, sottopongo alla vostra
attenzione la proposta di terminare con gli interventi in discussione generale
alle ore 21, per poi lasciare spazio agli interventi di fine seduta.
Se non si fanno osservazioni, possiamo allora stabilire
alle ore 21 il rinvio del seguito della discussione generale sul DEF alla seduta
di domani.
È iscritta a parlare la senatrice Gatti. Ne ha
facoltà.
GATTI
(PD). Signor Presidente, siamo nella specialissima condizione di aver
ricevuto il DEF da un Governo in prorogatio e di doverci esprimere
attraverso una risoluzione che impegna un Governo diverso da quello che ci aveva
inviato il DEF.
Dal punto di vista economico e finanziario il DEF 2013
persegue l'obiettivo di conservare, nel periodo di riferimento, il pareggio di
bilancio in termini strutturali, mentre, sotto il profilo delle riforme
strutturali, si limita ad elencare le iniziative necessarie per dare attuazione
alle riforme già approvate dal Parlamento e a fare il punto su quanto realizzato
nell'anno 2012.
Il Piano nazionale di riforme non prevede un'agenda di
interventi e di riforme ritenute necessarie per il futuro, ma si limita a
descrivere il consuntivo delle iniziative adottate dal passato Governo. La
prerogativa di formulare linee per il futuro, che presuppongono scelte di
indirizzo politico-legislativo o l'avvio di nuove politiche di vasto respiro, è
stata lasciata al nuovo Governo. Quest'ultimo ha ottenuto la fiducia al Senato
il 30 aprile e questo determina il ritardo nell'iter del provvedimento al
nostro esame.
Il nuovo ministro dell'economia e delle finanze
Saccomanni, nell'audizione del 2 maggio, ha invitato il Parlamento ad approvare
il documento che ci era stato presentato a saldi invariati e ha aggiunto: «Il
Governo si impegna a presentare una Nota aggiuntiva al DEF nei tempi compatibili
con la chiusura della procedura di disavanzo eccessivo, mediante la quale potrà
assumere a pieno titolo gli obiettivi strategici recentemente espressi dal
Presidente del Consiglio».
Sulla base dell'azione di risanamento strutturale delle
finanze pubbliche presentati dal DEF, il Consiglio Ecofin dell'Unione europea di
maggio deciderà - e lo auspico vivamente - l'uscita dell'Italia dalla procedura
di deficit eccessivo in cui era entrata nel 2009.
Tuttavia, come evidenziato dai dati del DEF,
l'aggiustamento dei conti pubblici, realizzato a tappe forzate nel breve volgere
di un anno e mezzo e in un contesto di forte crisi economica internazionale, è
avvenuto a costo di pesanti sacrifici da parte di cittadini e imprese. Ma non
solo. La contrazione dell'economia si è aggravata, con conseguente perdita di
numerosi posti di lavoro, e si sono ampliati il disagio sociale e il divario
territoriale tfa Nord e Sud del Paese. Insomma sono aumentate le disuguaglianze.
Secondo il CENSIS, fra i grandi sistemi dell'Eurozona,
l'Italia è il Paese con più rilevanti diseguaglianze territoriali. Se
analizziamo le dichiarazioni IRPEF, osserviamo che la Regione con il reddito
medio complessivo più elevato è la Lombardia (23.210 euro), mentre la Calabria
si attesta a 14.230 euro. A fronte di un reddito medio nazionale che si attesta
a 19.655 euro (lasciatemi dire una cosa già citata dal senatore Rossi), i
livelli di reddito del Mezzogiorno sono inferiori a quelli della Grecia (17.957
euro il Sud, 18.454 euro la Grecia).
A proposito di disuguaglianze mi sembra significativo che
il Centro-Nord, con 31.124 euro di PIL pro capite, sia vicino ai
valori dei Paesi più ricchi come la Germania, dove il PIL pro
capite è di 31.703 euro.
Signor Presidente, il problema è che nel 2011 si è
registrato un ulteriore allargamento del divario Nord-Sud rispetto al 2010.
Per questo mi sembra importante che il ministro Saccomanni
nell'audizione abbia affermato: «Il percorso che il nuovo Governo traccerà dovrà
essere più orientato alla crescita, coniugando le politiche europee di stabilità
con azioni decise per la ripresa dell'attività economica e
dell'occupazione».
Ed è sul binomio occupazione e sviluppo che vorrei
svolgere solo poche riflessioni, a partire proprio dai dati del DEF che ci è
stato consegnato, ma anche dal programma che il Presidente del Consiglio ci ha
presentato e su cui ha ricevuto la fiducia, in attesa di poter discutere la Nota
aggiuntiva.
La ripresa dell'occupazione passa innanzitutto per una
ripresa economica sostenuta e, come è stato sottolineato dal presidente Letta,
richiede un insieme articolato di interventi in grado di far ripartire la
domanda interna, di trovare soluzioni per una maggiore competitività del nostro
sistema economico e, per tale via, aumentare il livello di produttività totale
dei fattori.
È prima di tutto urgente la definizione di politiche
industriali, da troppi anni assenti nel nostro Paese. Occorre individuare i
settori strategici per la crescita del Paese e su di essi investire con
continuità. Si può così creare fiducia nelle imprese che operano in quei settori
e liberarle da quella incertezza che agisce da freno agli investimenti.
Il DEF 2013, per il periodo 2013-2017, prevede un
innalzamento del tasso di disoccupazione negli anni 2013 e 2014, rispettivamente
all'11,6 per cento e all'11,8 per cento, per poi progressivamente scendere in
ragione della prevista ripresa economica al 10,9 per cento nel 2017.
Questo significa che, se non cambia niente, l'uscita dalla
situazione di crisi economica avverrà senza il riassorbimento, in termini
percentuali, dei posti di lavoro persi a partire dal 2008. E se questo problema
coinvolge l'Europa intera, noi non dobbiamo dimenticare che il nostro tasso dì
disoccupazione è doppio rispetto a quello tedesco, e molto distante da quello
registrato in Gran Bretagna, Giappone o Stati Uniti e che il dato relativo al
tasso di attività della popolazione in età lavorativa ha lo stesso andamento
negativo. L'ISTAT ci dice, inoltre, che la ricerca di personale da parte delle
imprese diminuisce e la riduzione riguarda tutti i settori dell'economia.
Questa situazione non è accettabile, il nostro primo
obiettivo deve essere, quindi, generare lavoro, poi bisogna favorire l'ingresso
al lavoro soprattutto per i giovani e le donne, in particolare al Sud, bisogna
incentivarlo, utilizzando tutte le leve, compresa quella fiscale, con una
attenzione particolare però: dovremo trovare soluzioni innovative, usare anche
strumenti eccezionali, senza mai sfociare nella svalutazione del lavoro e delle
regole, che abbiamo già conosciuto e che svilisce il lavoro e il lavoratore.
Vorrei soltanto richiamare, Presidente, quanto detto dal
Presidente del Consiglio rispetto alle urgenze: «Senza crescita, anche gli
interventi di urgenza su cui siamo impegnati e che qui ribadisco -
rifinanziamento delle casse integrazioni in deroga, superamento del precariato
anche nella pubblica amministrazione, sarebbero insufficienti. In particolare,
con i lavoratori esodati la comunità nazionale ha rotto un patto e la soluzione
strutturale di questo tema è un impegno prioritario di questo Governo».
Penso che con i tempi adeguati all'urgenza, gli
approfondimenti necessari e la partecipazione coesa di tutti i livelli di
governo coinvolti, dare soluzione a queste emergenze sia un primo passo
essenziale. (Applausi dal Gruppo PD).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Orellana. Ne
ha facoltà.
ORELLANA
(M5S). Signor Presidente, onorevoli senatrici e senatori, signor
rappresentante del Governo, nel Documento di economia e finanza si affronta -
reputiamo in maniera marginale - il tema importante della necessaria crescita
nei mercati internazionali delle nostre piccole e medie imprese.
Com'è noto, l'Italia ha una struttura economica basata su
una vasta rete di piccole e medie imprese che, per la loro dimensione e
vocazione, fanno fatica a reggere la competizione internazionale e a mantenere
quote sia nel mercato nazionale che nei mercati internazionali. La necessità di
favorire uno sviluppo internazionale delle nostre piccole e medie imprese,
seppur espressa nel DEF, è quindi affrontata in maniera inefficiente e di fatto,
a nostro giudizio, inefficace.
Seppur positiva appare la previsione di una cabina di
regia sul fronte dell'export e dei rapporti con l'estero, a cui prendano
parte Regioni, Province e i principali enti ed associazioni di categoria, sotto
la guida dei Ministri dello sviluppo economico e degli affari esteri, non è però
chiara la modalità, creata dal Governo, del nuovo processo di pianificazione
condivisa delle attività promozionali tra Agenzia ex ICE, camere di commercio ed
altri enti coinvolti. Non è sicuro che tale sistema porterà maggiore efficienza,
viste le pregresse vicissitudini. Occorre definire in modo più chiaro i criteri
per valutare bene i costi ed i benefici di tale modalità.
Le informazioni in merito al modo in cui il Governo ha
riorganizzato l'Agenzia sono piuttosto generiche e non vengono indicate quali
siano state le buone pratiche riuscite e quelle non riuscite. Solo dalle
esperienze passate si può valutare dove migliorare, dove e come correggere le
procedure utilizzate. Questo sforzo sembra non sia stato fatto.
Il Governo ha inoltre previsto l'istituzione di consorzi
al fine di internazionalizzare le PMI. In questo ambito bisogna puntare ad una
maggiore semplificazione e comprensione dei meccanismi enunciati. L'accesso al
finanziamento, ad esempio, limitato solo ai consorzi composti da almeno cinque
piccole e medie imprese di tre differenti Regioni risulta, a nostro avviso,
troppo stringente. La caratteristica distribuzione industriale delle piccole e
medie imprese nei cosiddetti distretti industriali localizzati territorialmente
rende improbabile un consorzio tra piccole e medie imprese di ben tre distinte
Regioni. Riteniamo che questo vincolo vada allentato per favorire l'accesso ai
fondi.
È prevista, poi, l'istituzione di un fondo rotativo per la
concessione di finanziamenti agevolati per lo svolgimento dei programmi di
inserimento sui mercati esteri e di studi di fattibilità ed assistenza tecnica a
sostegno di una maggiore presenza internazionale delle imprese italiane. Non è
chiaro, però, in che cosa consista tale fondo, né quale sia la sua copertura
finanziaria.
Si prevede, ancora, l'istituzione di un unico punto
stabile di coordinamento, il Desk Italia, che fungerà da raccordo tra le
attività svolte dall'Agenzia ex ICE, da Invitalia e dalle camere di commercio,
ma non è chiaro quale sia l'effettivo coordinamento e l'interfaccia fra queste
istituzioni.
Il piano nazionale dell'export 2013-2015 ha lo
scopo di invertire la tendenza che ha visto calare la quota dell'export
mondiale riferito all'Italia dal 3,8 al 3,3 per cento. Questo è un chiaro
segnale di difficoltà a competere da parte del sistema Italia. Tale piano
identifica alcune azioni definite strategiche e fondamentali per raggiungere
l'obiettivo di potenziare l'export italiano ad oltre 600 miliardi entro
il 2015, ma non viene specificato quali saranno gli enti coinvolti. Su questo
fronte manca una strategia concreta di promozione e, soprattutto, di difesa dei
marchi italiani dalle contraffazioni.
Temiamo, in definitiva, che questi interventi, che
reputiamo disomogenei e disordinati, risulteranno inefficaci allo scopo di
rilanciare l'export italiano e di conseguire una dimensione
internazionale delle nostre piccole e medie imprese.
Ci premeva qui sottolineare le principali criticità che
vediamo nel DEF, mentre rimandiamo le nostre proposte alla risoluzione di
minoranza che presenteremo. (Applausi dal Gruppo M5S).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Stefano. Ne
ha facoltà.
STEFANO
(Misto-SEL). Signor Presidente, colleghi, signor rappresentante del
Governo, perseguendo nel solco della migliore tradizione, anche in questo DEF
2013 c'è assoluta sordità sui temi dell'agricoltura. Ed é su tale settore che
vorrei concentrarmi in questo mio breve intervento.
Nel DEF sono contenuti rarissimi riferimenti, peraltro
attraverso tabelle o passaggi frammentari, ma non esistono informazioni
organiche, né sul lavoro svolto fin qui - in verità assai poco - né sulle linee
di intervento per il futuro. Nelle centinaia e centinaia di pagine che
compongono ed accompagnano il Documento vi sono solo tre paginette - dico tre -
con la ripartizione annuale per l'Italia degli stanziamenti per il sostegno
comunitario allo sviluppo rurale, relativi al periodo 2007-2013, pari ad 8,2
miliardi di euro del Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale.
Si tratta di una disattenzione che lascia perplessi
pensando che questo DEF è frutto del lavoro di un Governo tecnico, evidentemente
tanto tecnico da non avere consapevolezza delle caratteristiche di anticiclicità
del settore primario; da non tener conto delle performance commerciali,
soprattutto in termini di export, delle nostre eccellenze; da non
accorgersi che gli indicatori di nati-mortalità delle imprese sono decisamente
migliori per le aziende agricole.
Non si tratta di un ritorno ai campi in fuga dalla crisi
delle città, ma più semplicemente di un segnale forte di quanto siano i fatti
(qualcuno direbbe il mercato) a riconoscere la strategicità del sistema
agroalimentare italiano, esempio tangibile dell'economia reale, motore
fondamentale per un duraturo e solido processo di sviluppo socio-economico
nazionale. Peraltro, tale sistema è sottoposto a numerose pressioni, come la
presenza di nuovi concorrenti agguerriti e capaci, l'apertura di mercati sempre
più ampi dalle enormi potenzialità di sviluppo, le diversificate esigenze di
consumo conseguenti ai nuovi assetti demografici e stili di vita, la capacità e
la fortuna di essere anticiclico in condizioni di crisi.
Ad esso, inoltre, vengono riconosciuti molteplici ruoli:
produzione di cibo, manutenzione del territorio, tutela del paesaggio, contrasto
ai cambiamenti climatici, bacino occupazionale, salvaguardia della cultura
reale, difesa della biodiversità. Si tratta di ruoli che, per certi versi, gli
sono affidati e sono tutti riconducibili alla sfera dei beni pubblici.
Ebbene, di fronte al ruolo affidato al settore
agroalimentare e ai beni pubblici prodotti, la politica nazionale è assente o
distratta, sbagliando - credo - anche il momento, perché in questa fase a
Bruxelles siamo nel pieno dello stato dei "triloghi" tra Commissione, Consiglio
e Parlamento europeo, da cui discenderanno importanti scelte per l'agricoltura
comunitaria fino al 2020: dalla distribuzione delle risorse fino agli strumenti
di utilizzo. Sono momenti negoziali in cui parte della credibilità di un Paese
deriva dalla volontà dello Stato membro di pensare a politiche nazionali per le
proprie agricolture. Allora, dov'è la credibilità dell'Italia se non presta
attenzione, con i propri strumenti, all'agricoltura? Con quale forza si può
andare avanti sui tavoli europei se non si fa nulla in casa propria?
Anche per questo, oltre ad esprimere le nostre perplessità
e la nostra contrarietà al DEF, abbiamo proposto, attraverso la nostra proposta
di risoluzione, che fossero inseriti un piano straordinario pluriennale per la
difesa del suolo e la bonifica del territorio quale vera e prioritaria opera
infrastrutturale in grado di mettere in sicurezza il nostro fragile territorio,
nonché di attivare migliaia di cantieri con evidenti ricadute economiche e
occupazionali, anche attraverso l'affidamento di lavori di manutenzione agli
stessi agricoltori.
Inoltre, abbiamo voluto prevedere anche l'avvio di un
piano occupazionale di ripopolamento delle campagne, nonché delle aree montane e
collinari abbandonate, che preveda una franchigia fiscale totale per i giovani
agricoltori che si insediano nelle aree demaniali in stato di abbandono,
peraltro con l'immediato sblocco del bando di affidamento, sia in affitto che in
comodato, delle aree pubbliche e demaniali ai giovani; che preveda incentivi per
la promozione della agricoltura sociale e faciliti l'accesso alle prestazioni
essenziali dei soggetti svantaggiati; che preveda, ancora, il dimezzamento della
burocrazia per le imprese agricole, attuando misure per la rapida
digitalizzazione della pubblica amministrazione, per il coordinamento delle
competenze nazionali e regionali e l'unificazione di tutti gli adempimenti nel
fascicolo aziendale.
Sono solo alcuni temi sui quali concentrare l'attenzione e
sui quali vorremmo che si verificasse finalmente un cambio di rotta rispetto al
passato, che passasse anche attraverso la restituzione immediata dell'IMU
versata in eccesso dalle imprese agricole. Al riguardo, il Governo aveva assunto
un impegno formale, a quota annunciata sovrabbondante rispetto alle previsioni,
di restituzione agli agricoltori di una tassa sul bene di produzione.
Credo che sarebbero misure e strumenti immediati cui
affidare, almeno in parte, un ruolo di ripartenza dell'economia del nostro
Paese. (Applausi dal Gruppo Misto-SEL).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Filippi. Ne
ha facoltà.
FILIPPI
(PD). Signor Presidente, onorevoli colleghi, rappresentanti del Governo,
concentrerò questo mio intervento essenzialmente sull'allegato infrastrutture,
l'undicesimo dalla sua istituzione. Un documento che, dal 2003, costituisce
parte integrante dell'atto di programmazione più generale di economia e di
finanza, come previsto dall'articolo 1 della legge obiettivo, come prevede
l'articolo 10 della legge di contabilità e finanza pubblica e come più
recentemente confermato anche dalla legge di coordinamento delle politiche
economiche degli Stati membri.
Ciò nonostante, la redazione e l'esame di questo
provvedimento da tempo si traducono sostanzialmente in un mero e formale
adempimento burocratico: una sorta, insomma, di report informatico sullo
stato di avanzamento dei lavori circa le grandi opere che nel corso degli anni
hanno avuto differenti livelli di approvazione, di finanziamento e di
realizzazione, e sulle quali non sempre è facile comprendere logica e raziocinio
in un quadro programmatorio che si vorrebbe invece ordinato e certo.
La spesa per investimenti, e segnatamente quella dedicata
alla programmazione degli interventi finalizzati alla dotazione infrastrutturale
del Paese, dovrebbe rappresentare il programma essenziale di sviluppo che un
Paese riesce a darsi e coerentemente a perseguire.
È chiaro che, nel contesto temporale dato, il Documento al
nostro esame risente in maniera evidente e direi inevitabile dell'impostazione
data dal Governo precedente piuttosto che da quello attualmente in carica. La
prima osservazione, allora, è quella di chiedere al nuovo Governo, e
segnatamente al Ministro competente, di affrontare con cura per il futuro, con
la giusta attenzione e il dovuto rigore, il compito che la legge prevede e gli
assegna.
Una seria pianificazione non è un esercizio astratto, un
libro dei sogni in cui ricomprendere tutte le più o meno legittime richieste che
dai diversi territori del Paese provengono in ragione di un presunto o reale
stato di deficit o arretratezza infrastrutturale; ma non è neppure
l'assenza di qualsivoglia programmazione delle priorità, come di fatto la legge
obiettivo ha deliberatamente costituito in questi dieci anni.
In passato infatti si è assolto, da parte dei Governi che
si sono succeduti, ad una funzione di sostanziale acritico accoglimento dello
stato dei bisogni provenienti dai territori, spesso con accordi di programma
Stato-Regioni svincolati da ogni logica di sostenibilità e di copertura
finanziaria, fino a far lievitare così il Piano delle infrastrutture
strategiche, come stimato dal 7° rapporto sull'attuazione della legge obiettivo,
ad un ammontare di circa 375 miliardi di euro per le 390 opere previste.
È giunto il momento di prendere atto della inadeguatezza
della legge obiettivo a corrispondere alle effettive necessità che il tema
infrastrutturale in questo decennio ha posto e a cui non è stata in grado di
assolvere in termini di selezione delle priorità, di celerità nelle procedure di
approvazione e di finanziamento e di certezza in termini di disponibilità
finanziarie.
I dati contenuti nel report dell'allegato
infrastrutture sono eloquenti: se infatti si passa dall'universo delle 390 opere
comprese nel PIS al valore delle 190 opere del perimetro CIPE, ovvero quelle
approvate almeno una volta da detto organismo, con progetto preliminare o
progetto definitivo e quadro finanziario allegato, il costo stimato si riduce a
142,5 miliardi di euro, pari solo al 38 per cento del costo dell'intero
programma, rispetto al quale le risorse disponibili ammontano ad appena 78,3
miliardi di euro, che consentono una copertura finanziaria pari al 55 per cento
del costo stimato. Ma le opere effettivamente realizzate e concluse nel decennio
più recenti studi affermano attestarsi ad appena il 4 per cento e valutano nuove
risorse per i prossimi anni in non più di quattro o cinque miliardi
effettivi.
Di fronte a questo quadro il Governo credo debba allora
mettere più seriamente mano ad una pianificazione degna di questo nome: ve n'è
bisogno, tanto più, nelle condizioni economiche che il Paese attraversa. Il che
significa fare chiarezza, una volta per tutte, sulle effettive disponibilità
finanziarie per i prossimi anni e su quelle realmente disponibili già adesso,
perché è solo in ragione di queste che sarà possibile dimensionare priorità e
tipologie realizzative.
In conclusione, e sommessamente, alcune indicazioni che
possono venire utili per il futuro che abbiamo di fronte.
Questo Governo ha un anno di tempo per preparare un serio
allegato infrastrutture dimensionato sulle risorse effettivamente disponibili:
non lo sprechi!
Circoscritto il perimetro delle risorse, definisca in
ragione delle priorità comunitarie - le infrastrutture ricomprese nell'ambito
della core network - quelle priorità necessarie che corrispondono per il
nostro Paese agli obiettivi a breve e medio termine per il suo urgente
ammodernamento infrastrutturale. Probabilmente si scoprirà che la stagione delle
grandi opere dovrà essere momentaneamente accantonata in attesa di periodi
economici migliori e che invece urge completare, con infrastrutture di raccordo
e di potenziamento, quelle che sono le nostre naturali porte d'accesso per le
merci e per i passeggeri, vale a dire i porti e gli aeroporti e il loro
collegamento con le principali arterie ferroviarie e autostradali.
Si scoprirà, forse, che probabilmente le opere e gli
interventi necessari al rilancio della logistica nel nostro Paese, fattore
determinante per la nostra economia, non solo non hanno bisogno di rilevanti
risorse per interventi faraonici, ma che spesso con poche centinaia di milioni
si potranno risolvere drammatici problemi di congestionamento, che in questi
anni hanno fatto perdere tempo (e quindi denaro), ma anche occasioni di sviluppo
importanti.
Probabilmente, se avremo il coraggio di perseguire questa
logica, scopriremo che si tratterà di opere che si ripagheranno da sole, grazie
al miglioramento delle condizioni e delle ricadute economiche che produrranno su
quei territori e che il solo non farle determina un costo ormai insopportabile
per le collettività.
Insomma, auguro a questo strano Governo e a questa più
strana maggioranza che lo sostiene, a cui non è data la possibilità di fallire
se vogliamo che la politica ripari ai danni prodotti in questi anni e recuperi
la credibilità necessaria, una sorta di rivoluzione copernicana in tema di
infrastrutture. Molto può essere fatto con poco, purché si faccia davvero e
purché si faccia presto. Abbiamo un anno appena, non per il varo di poche e
improbabili grandi opere, ma per un piano di tante piccole ma realistiche opere,
in grado di mettere in pochi anni le ali al Paese, dare lavoro a migliaia di
tecnici e operai e migliorare nei fatti le condizioni economiche delle nostre
realtà industriali e le condizioni di vita dei nostri centri urbani.
È solo dando fiducia alle potenzialità presenti sui
territori che possiamo vincere la difficile sfida che abbiamo di fronte: quella
di una crisi che sembra non darci respiro. Dobbiamo farlo soprattutto per la
passione e la tenacia che ogni giorno milioni di italiani mettono nell'attività
delle loro imprese, per far sì che l'Italia non sia una sciagurata condizione
geografica, ma il più bello e importante marchio di fabbrica che abbiamo tutti a
disposizione. (Applausi dai Gruppi PD e PdL).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Romani
Maurizio. Ne ha facoltà.
ROMANI Maurizio
(M5S). Signor Presidente, rappresentanti del Governo, colleghi senatori,
il Sistema sanitario nazionale, una delle riforme sociali che l'Europa e tutto
il mondo hanno sempre considerato come un modello di eccellenza, si sta
sfaldando.
I primati conquistati nella sconfitta della mortalità
infantile, nella speranza di vita delle donne e degli uomini, nella diffusione
capillare su tutto il territorio dei presidi medici, si stanno sempre più
deteriorando: non per la crisi economica e la mancanza di risorse, ma perché si
ritiene di combattere la crisi stessa tagliando sul sistema di protezione della
salute.
Una recentissima ricerca del CENSIS parla di oltre nove
milioni di persone che hanno dovuto rinunciare alle cure sanitarie per motivi
economici nell'ultimo anno: sono donne, anziani, famiglie con figli.
Nel suo rapporto 2012 sulla finanza pubblica, la Corte dei
conti afferma: «Anche nel 2011 la gestione della spesa sanitaria presenta
risultati migliori delle attese. (...) Per la prima volta da anni in flessione,
la spesa riduce la sua incidenza in termini di PIL, che passa dal 7,3 per cento
del 2010 al 7,1».
Se si fanno più consistenti anche nelle Regioni in piano
di rientro segnali di cambiamento verso una maggiore responsabilizzazione delle
gestioni, non mancano tuttavia segnali preoccupanti sul fronte della qualità
dell'assistenza. In altri termini, scende la percentuale sul PIL che già era tra
le più basse d'Europa, ma appare più verosimile ritenere che questo sia dovuto
ai tagli lineari delle risorse piuttosto che all'eliminazione degli sprechi.
Inoltre, dilagano truffe e malaffare: per queste voci, il danno erariale
calcolato ammonta a 333 milioni di euro. Il risultato è spaventoso e le
strutture pubbliche sono quelle più interessate dal malaffare.
Considerando con attenzione il bilancio di alcune Regioni
del Nord, solitamente ritenute virtuose, si rileva che in realtà non lo sono.
Spesso i fondi a disposizione della Regione sono incrementati con
l'incoming di turismo sanitario, attraverso il quale la Regione può
permettersi di dare ai propri cittadini forse qualcosa di più grazie a fondi
tolti ad altre Regioni.
Non si può ignorare come il processo di decentramento a
favore delle autonomie locali abbia evidenziato ed accentuato il divario
esistente tra le Regioni italiane in relazione al conseguimento degli obiettivi
di efficienza e di qualità delle prestazioni erogate a fronte della spesa
sostenuta.
Come se non bastasse, le recenti misure anticrisi hanno
reso il ricorso al privato conveniente nella diagnostica di base e nella
specialistica, mentre il taglio dei fondi (meno 93 per cento) ha reso virtuali i
servizi sociali e determinato un aumento della domanda impropria alla sanità.
Sembra si voglia suggerire che con la privatizzazione del sistema funzionerebbe
tutto a meraviglia, nascondendo sotto il tappeto le più recenti truffe del
privato ai danni del pubblico: dal San Raffaele di Milano al San Filippo Neri di
Roma, alla Fondazione Maugeri; da tutti i professionisti trovati nella totale
illegalità operativa sino alle varie truffe su farmaci e ricoveri. E mentre nei
Paesi in cui lo Stato sociale è difeso e rafforzato si soffrono meno le
conseguenze delle speculazioni finanziarie mondiali, in Italia si va in senso
contrario.
In questa situazione servono approcci nuovi. L'assistenza
sanitaria non è una merce del mercato, ma un bene comune. Il fine non è il
profitto, ma un utilizzo condiviso del bene che ne preserva nel tempo la
disponibilità. In effetti, la sanità, in quanto bene pubblico che sarebbe meglio
definire a gestione istituzionale, viene di fatto gestita da direttori generali
all'interno di un modello aziendalistico che consente loro di esercitarne un uso
privato. E quasi mai sono create le condizioni in cui i membri della comunità
possono svolgere al meglio la gestione comune del bene.
Per noi un bene comune è libero da valori. Il suo esito
può essere buono o cattivo, sostenibile oppure no. E per garantire sistemi
durevoli e stabili abbiamo bisogno di chiarezza, di buone capacità decisionali e
di strategie di gestione collaborativa.
La medicina deve tornare ad essere uno strumento di cura
delle persone e non di oggetti pazienti. La società potrà trarre solo beneficio
dalla consapevolezza profonda di cosa sia davvero la malattia, non solo per il
corpo, ma anche per lo spirito. (Applausi dal Gruppo M5S).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Santini. Ne
ha facoltà.
SANTINI
(PD). Signor Presidente, signori rappresentanti del Governo, è di tutta
evidenza la situazione di transizione in cui avviene questa discussione.
Il DEF presentato dal Governo precedente rappresenta una
sorta di bilancio conclusivo di interventi realizzati nel 2011 e nel 2012 per la
stabilizzazione dei conti pubblici e soprattutto per riportare il rapporto
deficit-PIL al di sotto del 3 per cento. Sotto questo profilo, va
riconosciuta l'importanza per il Paese del raggiungimento dell'obiettivo che
potrà permettere a brevissimo termine di uscire dalla procedura di infrazione
per deficit eccessivo.
Questo è sicuramente un risultato significativo, che va
assolutamente preservato, anche in considerazione dei gravi costi sociali per
poterlo raggiungere per le conseguenze che ha avuto sulla recessione
dell'economia, 1'aumento della disoccupazione, la caduta dei redditi, la diffusa
sofferenza delle famiglie e, delle imprese e le questioni previdenziali.
In questo senso, la risoluzione dovrà certificare la
validità del precorso di risanamento, soprattutto in funzione di aprire una fase
nuova nella politica economica del nostro Paese, da negoziare in modo attivo e
determinato con l'Unione europea, anche per le politiche di sviluppo da
realizzare in tutta Europa. Il superamento della procedura per deficit
eccessivo permetterà, con maggiori margini di flessibilità, di realizzare
interventi per la crescita e per il lavoro.
Sotto questo profilo dal DEF non riceviamo indicazioni
risolutive, anche perché è sostanzialmente assente il Piano nazionale delle
riforme. È necessario, quindi, colmare rapidamente questa lacuna da parte del
nuovo Governo, come peraltro già indicato dal discorso programmatico del
Presidente del Consiglio in occasione del voto di fiducia e dal Ministro
dell'economia nell'audizione presso la Commissione Speciale. Ciò è ancora più
necessario in considerazione delle previsioni che altri istituti stanno facendo
in questi giorni, le quali risultano più negative rispetto alla crescita del
PIL, soprattutto per l'aumento della disoccupazione nel 2013 e nel 2014.
L'ISTAT, per esempio, oggi rileva che nel 2014 la disoccupazione supererà il 12
per cento.
Il delicato equilibrio da preservare tra gli interventi
per la crescita e il controllo dei conti pubblici induce ad essere chiari
rispetto alle priorità, vista anche la limitazione delle risorse disponibili.
Esse vanno dedicate prioritariamente ad interventi che possano rispondere alla
grave emergenza sociale derivante dalla disoccupazione, provvedendo
immediatamente al rifinanziamento degli ammortizzatori sociali, ad un piano per
l'occupazione giovanile in collegamento con il programma europeo, alla proroga
dei contratti temporanei in scadenza nella pubblica amministrazione, ad una
soluzione del problema degli esodati.
Altri interventi devono essere destinati alla riduzione
del peso fiscale sugli investimenti delle imprese e sulle nuove assunzioni per
aumentare la produzione, i servizi ed i redditi disponibili. A questo risultato
deve concorrere anche una sollecita approvazione del decreto per il pagamento
dei debiti della pubblica amministrazione verso le imprese, semplificandone i
criteri e aumentandone l'incisività, sollecitando al tempo stesso una maggiore
fluidità del credito bancario, tanto più dopo l'abbattimento dei tassi da parte
delle BCE.
Necessario è anche l'allentamento del Patto di stabilità
interno per favorire gli investimenti dei Comuni in materia di sicurezza degli
edifici e di risanamento del territorio, che potranno contribuire al rilancio di
un settore volano come l'edilizia. Così come indispensabile è un riordino della
normativa sulla tassazione della casa e degli immobili.
Sul piano fiscale, partendo dalla rimodulazione dell'IMU,
vanno privilegiati gli interventi che, riducendo la pressione fiscale sui
redditi individuali e famigliari più bassi, possano determinare un maggiore
aumento relativo della domanda interna e, quindi, incidere maggiormente sulla
crescita.
In questo ambito appare decisivo non dare corso
all'aumento dell'IVA dal 1° luglio che, se realizzato, comporterebbe ulteriori
effetti negativi sui consumi, da tempo in gravissima sofferenza.
Infine, vanno indicati nel PNR due riforme importanti: la
prima deve consistere in interventi più incisivi ed organici di contrasto
all'evasione fiscale, che sappiano recuperare significative risorse da destinare
alla riduzione del peso fiscale sui contribuenti, dando rapida attuazione alla
delega fiscale già prevista, così come vanno perseguite con più efficacia le
diffuse aree di corruzione; la seconda riforma deve comportare il controllo
della spesa pubblica (o spending review), preservando la qualità dei
servizi pubblici (scuola, istruzione, innovazione, sanità). Tale obiettivo va
realizzato combattendo sprechi ed inefficienze ed attuando con decisione i costi
standard e le riforme istituzionali che riducano e accorpino con maggiore
efficacia i livelli amministrativi. (Applausi dal Gruppo PD).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare la senatrice Catalfo. Ne
ha facoltà.
CATALFO
(M5S). Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, colleghi,
secondo le rilevazioni ISTAT a marzo 2013 il tasso di disoccupazione in Italia
si attesta sull'11 per cento, in aumento di 1,1 punti percentuali rispetto ai 12
mesi precedenti.
La legge 28 giugno 2012, n. 92, cosiddetta legge Fornero,
appare insufficiente a risolvere i gravi problemi del mondo del lavoro italiano.
Essa, di fatto, si è risolta in una lieve revisione delle norme che regolano le
forme contrattuali cosiddette atipiche che sono state il principale veicolo
della diffusione del precariato e dello stravolgimento delle garanzie dei
lavoratori in tema di licenziamento.
È sotto gli occhi di tutti che le politiche volte
all'aumento della flessibilità del lavoro hanno portato a livelli salariali più
bassi e ad una minore sicurezza dell'impiego. L'Italia è diventata una Nazione
di cassintegrati, esodati, disoccupati, precari ed emigranti. Il commissario
europeo Andor, nel corso dell'incontro tenutosi a Dublino il 29 aprile ultimo
scorso, ha comunicato un dato preoccupante: il tasso di disoccupazione dei
giovani tra i 15 e i 24 anni in Italia è pari al 38,4 per cento.
È evidente quindi che i programmi fino ad oggi attuati per
favorire l'inserimento dei giovani nel mercato del lavoro italiano si sono
rivelati inefficaci ed inefficienti, non raggiungendo in alcun modo l'obiettivo
prefissato. Dal rapporto annuale 2012 dell'ISTAT, infatti, emerge che un numero
sempre crescente di giovani sceglie di abbandonare l'Italia, impoverendo in tal
modo ancor di più il nostro Paese delle risorse necessarie per la ripresa
economica.
In tal senso si rileva che l'attuazione di programmi quali
«The job of my life», frutto del protocollo d'intesa tra l'Italia e la Germania,
più che un'opportunità di crescita e di esperienza internazionale finisce per
diventare una strada obbligata per molti giovani italiani che non riescono a
trovare sbocchi occupazionali nel nostro Paese. L'Italia è, infatti, la seconda
Nazione europea per numero di emigrati dopo la Romania.
Per affrontare l'emergenza lavorativa si deve intervenire
su più fronti contemporaneamente e in modo coordinato. Va rivolta attenzione
alle imprese italiane al fine di agevolare l'assunzione, incrementando
soprattutto i programmi a sostegno delle piccole e medie imprese, che sono la
vera spina dorsale del sistema produttivo italiano.
Per la diffusione del contratto di apprendistato è
indispensabile un'azione incisiva e meno dispersiva. È necessario porre in
essere programmi a sostegno delle nuove iniziative imprenditoriali, che partano
dall'analisi delle esigenze e delle potenzialità specifiche del territorio.
Occorre ristabilire il ruolo primario dei centri pubblici
per l'impiego quali unici punti di riferimento del cittadino e delle imprese e
di tutte le politiche del lavoro. È indispensabile l'attuazione di un unico
programma per l'implementazione e il monitoraggio delle politiche attive.
Progetti quali SILLA, VESPRO, AMVA non sono collegati tra loro e talvolta si
sovrappongono, proponendo medesimi modelli con evidente inefficiente impiego di
risorse.
Nell'attuare tali interventi si pone più attenzione alla
diffusione informativa piuttosto che all'inserimento lavorativo del disoccupato
o dell'inoccupato. Il disoccupato non ha bisogno solo di informazioni, ma di
accompagnamento all'inserimento lavorativo, attraverso un reale e coordinato
incrocio della domanda e dell'offerta di lavoro.
La frammentazione dei servizi per l'impiego e dei
programmi di politica attiva (da ultimo assegnati anche ai patronati), la
mancanza di un unico osservatorio sul lavoro e sulle professioni emergenti, la
carenza di collegamento obbligatorio tra i centri per l'impiego pubblici, il
repertorio nazionale delle competenze certificate di ciascun cittadino e le
agenzie per il lavoro, l'assenza di un reale collegamento tra il sistema di
istruzione e formazione, da una parte, e le esigenze del mondo delle imprese,
dall'altra, sono tutti fattori che impediscono di fatto l'attivazione di un
sistema virtuoso. Il fenomeno del precariato si sta radicalizzando e, con
l'acutizzarsi della crisi economica, sta diventando un'autentica emergenza
sociale.
In questo contesto, il Movimento 5 Stelle si pone come
obiettivo l'istituzione del reddito di cittadinanza non come mero sussidio
sociale ai disoccupati e agli inoccupati, non quale panacea una tantum
dei mali del mercato del lavoro italiano, ma come tassello di un sistema
integrato di welfare, elemento di un programma più ampio, che pone il
cittadino al centro delle politiche attive del lavoro: politiche attive che
dovranno accompagnare i cittadini lungo tutto l'arco della vita, seguendone i
passi dal sistema di istruzione e formazione, fino all'inserimento nel mondo del
lavoro attraverso l'indispensabile azione dei servizi pubblici per l'impiego.
(Applausi dal Gruppo M5S e della senatrice Albano).
PRESIDENTE.
Annuncio che, al momento, sono pervenute alla Presidenza la proposta di
risoluzione n. 1, a prima firma del senatore Molinari ed altri, e la proposta di
risoluzione n. 2, a firma della senatrice De Petris ed altri.
Tali proposte saranno stampate e distribuite.
Come stabilito, rinvio il seguito della discussione del
documento in titolo ad altra seduta.
Su alcune dichiarazioni di un consigliere della Lega
Nord del Comune di Prato
BATTISTA
(M5S). Domando di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
BATTISTA (M5S). Signor Presidente, colleghi
senatori e colleghe senatrici, apprendo oggi che il consigliere comunale Emilio
Paradiso della Lega Nord di Prato ha scritto sulla sua pagina Facebook il
seguente post: «Il Bianco-fiore si è dovuta piegare ai finocchi, e il
nero di seppia la lasciano lì?». Ovviamente il «nero di seppia» è un esplicito
riferimento al ministro per l'integrazione Kyenge. Lo stesso Paradiso definisce
questo suo commento una zingarata, oltretutto senza scusarsi.
Ritengo gravemente offensive tali affermazioni. È lecito
chiedersi se, oltre a istituire una Commissione per i diritti umani, non sia
necessario fare un test di ammissione a chi voglia ricoprire un incarico
nelle istituzioni per porre fine alle parole "omofobia" e "razzismo".
(Applausi dai Gruppi M5S e PD e del senatore Carraro).
Sulla scomparsa di Agnese Borsellino
BERTOROTTA
(M5S). Domando di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
BERTOROTTA (M5S). Signor Presidente, il Senato
della Repubblica commemora oggi l'encomiabile figura di Agnese Borsellino,
scomparsa nella giornata di ieri, 5 maggio, all'età di 71 anni, dopo una lunga
malattia. (Il Presidente e l'Assemblea si levano in piedi).
Ricordare la vedova del magistrato Borsellino è un dovere,
oltre che civile, morale. Lo si deve a lei e all'uomo che ha tanto amato il
nostro Paese da perdere la vita. Donna di spessore umano, assetata di giustizia
e di verità, capace di dimostrare personalmente che il dolore può trovare un
senso solo quando gli occhi riescono a vedere chiare le cose.
Insieme ai figli, Agnese Borsellino ha sempre manifestato
una certa riservatezza. Si è limitata a presenziare a poche cerimonie pubbliche
in ricordo del marito. Tuttavia, ha sempre testimoniato il proprio impegno nella
lotta alla mafia e nella ricerca della verità sulla strage di via D'Amelio.
Agnese Borsellino ha mostrato grande rispetto per lo
Stato, quello stesso Stato che il marito aveva difeso e salvaguardato e, proprio
in occasione delle manifestazioni per il ventennale delle stragi, non potendo
partecipare a causa della sua malattia, non ha esitato a mandare un messaggio ai
giovani. Queste le sue parole: «Dopo alcuni momenti di sconforto ho continuato e
continuerò a credere e rispettare le istituzioni di questo Paese come mio marito
sino all'ultimo ci ha insegnato».
Anche durante la sua lunga malattia la vedova Borsellino
si è impegnata nella testimonianza e nell'impegno civile, mostrando tenacia e
coraggio nella lotta alla mafia. E proprio per sconfiggere la mafia non ha
esitato a svelare le preoccupazioni del marito, cercando di fornire elementi
utili ai giudici che ancora oggi stanno ricostruendo la verità su quei tragici
eventi.
Proprio noi che siamo le istituzioni abbiamo il dovere
morale di difendere lo Stato, di proteggerlo da forme di criminalità cruenta e
distruttiva. Abbiamo l'obbligo di restituire dignità a quei tanti morti che
hanno camminato la strada della giustizia. Siamo debitori loro e delle loro
famiglie.
Nel ricordare il contributo sociale che la vedova
Borsellino ci ha lasciato con la sua dignitosa e rispettosa esistenza, a nome
del Gruppo parlamentare Movimento 5 Stelle esprimo il cordoglio alla famiglia
per la scomparsa di una grande donna, moglie e madre quale è stata Agnese
Piraino Leto in Borsellino. (Applausi).
PRESIDENTE. La
Presidenza si associa alle sue parole di cordoglio.
BONFRISCO
(PdL). Domando di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
BONFRISCO (PdL). Signor Presidente, onorevoli
colleghi, colgo l'opportunità che ci viene data alla fine dei lavori dell'Aula
di oggi per associarmi al ricordo e all'apprezzamento del grande insegnamento
fornitoci dalla signora Borsellino, vedova di un grande servitore dello Stato e
uomo della giustizia, di quella giustizia giusta che invocava, come
paradossalmente spesso viene ricordato, e soprattutto impegnato in modo
costante, continuo e sprezzante di ogni pericolo. Egli ben sapeva infatti di
essere finito nella lista degli uomini da eliminare dopo Giovanni Falcone, sua
moglie e tutta la sua scorta.
Apprezzo moltissimo che, nonostante l'ora tarda, si sia
voluto ricordare questa sera la figura splendida di una donna che, con grande
sobrietà e senza mai perdere nemmeno per un minuto l'amore e il rispetto per le
istituzioni, ha onorato in modo straordinario la memoria del marito. Ed è
proprio alla memoria di quel marito e anche alla sua che ci inchiniamo noi tutti
del Popolo della Libertà. (Applausi).
SUSTA
(SCpI). Domando di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
SUSTA (SCpI). Signor Presidente, anch'io mi unisco
al cordoglio espresso dalle colleghe.
La battaglia che ha fatto Agnese Borsellino credo sia la
battaglia di tutti coloro che hanno a cuore la legalità nella sua dimensione più
grande, della lotta contro la mafia, ma anche nelle piccole questioni quotidiane
che riguardano tutte le persone. Deve essere assunto un impegno da parte di
tutti noi relativamente alle maggiori inquietudini che hanno sconvolto la vita
di questa donna negli ultimi vent'anni: mi riferisco all'intreccio tra politica
e affari, tra Stato e malavita.
Davanti alla sua bara dobbiamo prendere l'impegno affinché
la verità finalmente emerga (Applausi del senatore Buccarella),
eventualmente anche per scagionare coloro che oggi non possono che essere visti
come persone innocenti (vogliamo mantenere la presunzione di innocenza per
tutti), ma proprio per fugare quei dubbi che da vent'anni accompagnano il
rapporto tra Stato e criminalità organizzata, in particolare tra Stato e mafia.
Davanti a questa lezione, che segue quella di Paolo Borsellino, di Giovanni
Falcone e di tanti altri, dobbiamo assumere un preciso dovere.
(Applausi).
GHEDINI Rita
(PD). Domando di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
GHEDINI Rita (PD). Signor Presidente, intervengo
per aggiungere il ricordo del Partito Democratico a quello che i colleghi degli
altri Gruppi parlamentari hanno già voluto richiamare questa sera. Non voglio
aggiungere parole per non rendere questo ricordo stucchevole. Credo che la
testimonianza dell'esperienza di vita della signora Borsellino sia, di per sé,
il riferimento a cui tutti, in questo momento, pensiamo. Ritengo che questa
sera, in Senato, potremmo richiamare le parole che, saputo della morte della
signora Borsellino, il presidente Grasso ha già pronunciato, chiedendo di
impegnare il Senato e il Parlamento tutto nell'accertamento della verità a cui
Agnese Borsellino ha dedicato la sua vita e la sua testimonianza: è un interesse
non solo del Parlamento, ma dell'Italia tutta di cui il Parlamento si deve far
garante. (Applausi).
Mozioni, interpellanze e interrogazioni,
annunzio
PRESIDENTE. Le
mozioni, interpellanze e interrogazioni pervenute alla Presidenza saranno
pubblicate nell'allegato B al Resoconto della seduta odierna.
Ordine del giorno
per la seduta di martedì 7 maggio 2013
per la seduta di martedì 7 maggio 2013
PRESIDENTE. Il
Senato tornerà a riunirsi in seduta pubblica domani, martedì 7 maggio, alle ore
9,30, con il seguente ordine del giorno:
La seduta è tolta (ore 21,11).
Allegato A
DOCUMENTO
Documento di economia e finanza 2013 (Doc. LVII, n.
1)
PROPOSTE DI RISOLUZIONE
(6-00006) n. 1 (06 maggio 2013)
MOLINARI, CRIMI, AIROLA, ANITORI, BATTISTA, BENCINI, BERTOROTTA, BIGNAMI, BLUNDO, BOCCHINO, BOTTICI, BUCCARELLA, CAMPANELLA, CAPPELLETTI, CASALETTO, CASTALDI, CATALFO, CIAMPOLILLO, CIOFFI, COTTI, DE PIETRO, DE PIN, DONNO, ENDRIZZI, FATTORI, FUCKSIA, GAETTI, GAMBARO, GIARRUSSO, GIROTTO, LEZZI, LUCIDI, MANGILI, MARTON, MONTEVECCHI, MORONESE, MORRA, NUGNES, PAGLINI, PEPE, PETROCELLI, ROMANI
MAURIZIO, SCIBONA, SERRA, SIMEONI, TAVERNA, VACCIANO
Il Senato,
in occasione dell'esame del Documento
di economia e finanza 2013,
premesso che:
dall'esame del Quadro programmatico
aggiornato, il percorso di risanamento dei saldi di finanza pubblica, attuato
dal 2008 ad oggi, tramite l'adozione di pesanti manovre correttive sia dal
Governo Berlusconi ed, in particolare, dal novembre 2011, dal Governo Monti, al
fine di soddisfare gli impegni assunti con il Patto Euro Plus, il Six Pack e il
Fiscal Compact, garantisce il contenimento dell'indebitamento netto nel limite
massimo del 3,0 per cento nel 2012, al -2,9 nel 2013 e al -1,8 per cento nel
2014, il raggiungimento del pareggio di bilancio in termini strutturali nel
2013, nonché la riduzione del rapporto debito/PIL già a partire dal 2014, con
una accelerazione più accentuata dal 2015;
i saldi di finanza pubblica del
quadro programmatico sono pertanto in linea con le raccomandazioni della
Commissione europea, ma la politica di rigore eccessivo del Governo Monti
sull'economia italiana per il prossimo triennio ha avuto effetti devastanti
creando un peggioramento della fase recessiva e un trend di crescita a
ribasso del PIL a causa:
della riduzione del reddito
disponibile delle famiglie, già in atto dal 2008, e attestatasi a -4,1 per cento
nei primi tre trimestri del 2012 rispetto all'anno precedente, con una
contrazione dei consumi pari a -4,3 per cento, dovuta anche all'aumento del 3,3
per cento dei prezzi al consumo conseguente all'aumento dell'IVA e di altre
accise;
del conseguente crollo della
domanda interna che ha prodotto nel 2012 una caduta della produzione
industriale, soprattutto dei beni di consumo durevoli ed intermedi, indotta
anche dalla restrizione del credito nei confronti sia delle famiglie sia delle
imprese, soprattutto le piccole e medie imprese (nel DEF è previsto che le
principali componenti della domanda interna permarranno in forte contrazione
rispetto al 2012);
delle condizioni di accesso al credito da
parte degli operatori del settore produttivo che sono ancora difficili e più
costose rispetto alla Germania, infatti il Documento evidenzia che il
differenziale del costo medio del credito alle imprese italiane rispetto alle
tedesche è pari a +1,5 per cento a gennaio scorso;
del fatto che non risulta che ci sia stata
una maggiore offerta di credito a favore degli operatori economici da parte
delle banche, in seguito alle operazioni di rifinanziamento della Banca centrale
europea del 21 dicembre 2011 per 489 miliardi e del 29 febbraio 2012 per 530
miliardi, a cui hanno aderito anche gli istituti di credito italiani, e la prova
è data dal drammatico numero di imprese che dal 2012 hanno chiuso e chiudono
ogni giorno ovvero falliscono per mancanza di accesso al credito;
delle prospettive di crescita del PIL, le
quali sono state riviste al ribasso e permangono deboli con un trend di
crescita molto rallentato ed inferiore ad altri paesi dell'area Euro e
internazionali, e si attestano a -1,3 per cento nel 2013 rispetto a -0,2 per
cento previsto a settembre, +1,3 per cento nel 2014 - grazie agli effetti di
trascinamento del decreto-legge n. 35 del 2013, che stanzia risorse per il
pagamento dei debiti scaduti della Pubblica Amministrazione verso le imprese
fornitrici - e +1,5 per cento nel 2015;
del preoccupante andamento
dell'occupazione, che segnalerà una ripresa contenuta a partire dal 2014 ed un
tasso di disoccupazione sotto l'11 per cento nella fase finale del triennio.
Considerato il numero di lavoratori che hanno perso il lavoro, i posti di lavoro
a rischio nell'immediato futuro, l'esaurimento dei fondi per la Cassa
integrazione, il problema irrisolto degli esodati ed inoccupati, destinati a
crescere a causa della riforma Fornero sui requisiti di età per accedere al
trattamento pensionistico, il quadro sulle prospettive di lavoro in Italia
permangono drammatiche;
il Governo Monti evidenzia
l'impatto positivo delle misure strutturali adottate nel 2012 (liberalizzazioni
e semplificazioni, i due decreti sviluppo e la riforma del lavoro) sulla
crescita del PIL nel prossimo triennio, che dovrebbero indurre nel 2015 una
crescita aggiuntiva pari a +1,6 per cento; ma oggi, gli effetti benefici attesi
nel medio e lungo periodo non risolvono le istanze degli operatori economici,
che stentano a ripartire, e delle famiglie che versano in uno stato di profondo
e diffuso disagio sociale (come testimoniato dall'ISTAT, che rileva che il 65
per cento delle famiglie fatica ad affrontare le esigenze primarie di
sussistenza); non contribuiscono a risolvere la riduzione del potere d'acquisto
di salari e stipendi, non danno risposte concrete alle imprese, che ora, per non
chiudere necessitano di un immediato accesso al credito;
è evidente che le misure adottate -
tra l'altro per certi aspetti insufficienti e non condivisibili - sono state
assunte con forte ritardo rispetto al profilarsi di una grave crisi finanziaria
internazionale globale, il cui inizio risale al 2008;
appare evidente che la classe politica delle
due maggioranze di centro-destra e centro-sinistra, che si sono alternate al
Governo negli ultimi 16 anni, non ha avuto la capacità o la volontà politica di
provvedere al rinnovamento di un Paese, che è indietro di ben 10 anni rispetto
agli altri Stati, anche dell'area Euro, e non hanno attuato prima della crisi
economica mondiale politiche di razionalizzazione e riduzione della spesa
pubblica e snellimento della Pubblica Amministrazione, nonostante l'Italia
avesse già un cospicuo debito pubblico;
emerge l'inidoneità della classe dirigente
politica che, oggi, più che mai, si è coalizzata formando un Governo con
esponenti di entrambi gli schieramenti, che nella loro alternanza, pur
proclamando programmi differenziati, in venti anni non sono stati in grado di
dare risposte concrete ed immediate alle istanze delle nuove generazioni, sia in
materia di miglioramento ed accesso all'istruzione, sia sullo scollamento fra
formazione scolastica ed università ed il settore produttivo, sia sulle
problematiche dell'accesso dei giovani nel mondo del lavoro, caratterizzato
dallo sgradevole ricorso al sistema delle raccomandazioni, piuttosto che alla
meritocrazia, sia in materia di protezione dell' ambiente e della salute del
cittadino, sia in materia di protezione dei nuclei familiari;
nell'emergenza di una crisi economica e
finanziaria internazionale iniziata nel 2008 oltreoceano e acuitasi nel 2012, in
piena recessione e mancanza di liquidità sia da parte degli operatori economici
sia da parte del settore bancario, senza scrupoli, il Governo Monti, per
soddisfare le richieste di rispetto del Six Pack e del Fiscal Compact, non ha
esitato a ridurre gli squilibri dei saldi di finanza pubblica, prelevando
risorse finanziarie a carico dei cittadini delle fasce medie e più deboli, dei
pensionati, bloccando gli adeguamenti delle pensioni al costo della vita,
calpestando i diritti acquisiti dei lavoratori;
il Governo Monti, sostenuto dal Partito
Democratico e dal Popolo della Libertà, ha «fatto cassa» inasprendo il prelievo
fiscale a carico dei contribuenti «non evasori», ossia i lavoratori subordinati,
ratificando l'aumento progressivo dell'IVA, introdotto come clausola di
salvaguardia dei conti pubblici dal Governo Berlusconi con il decreto-legge n.
138 del 2011, anticipando il regime IMU, estendendola anche all'abitazione
principale, introducendo la Tares, che sarà più costosa della Tarsu e della
TIA;
nessun provvedimento è stato adottato per
compensare i continui aumenti del costo dei carburanti;
inoltre, l'inasprimento del Patto di stabilità
a carico degli enti locali ha congelato le economie locali per il blocco degli
investimenti e l'impossibilità di pagare le imprese fornitrici;
le ridotte disponibilità finanziarie dei
bilanci comunali hanno indotto i sindaci a ridurre l'offerta dei servizi ai
cittadini e alle famiglie, soprattutto quelli di tipo assistenziale e sociale,
che avrebbero in parte compensato le difficoltà in cui versano le famiglie meno
abbienti;
la pressione fiscale è aumentata nel 2012 al
44,0 per cento rispetto al 42,6 per cento del 2011;
di fatto, il riordino dei conti pubblici
voluto da una governance europea di stampo tedesco è stato realizzato a
carico delle classi sociali più deboli ed oggi, addirittura, sono gli stessi
vertici europei che sollecitano l'Italia ad adottare strumenti di sostegno e
rilancio dell'economia, dopo aver condizionato ed affievolito le potenzialità
del nostro settore produttivo;
gli interventi di sostegno all'economia devono
essere immediati e nell'ambito del descritto quadro congiunturale, non
risultando opportuno varare altre manovre economiche con effetti depressivi,
dove, al contrario, servono scelte coraggiose ed innovative;
i cittadini oggi sono rappresentati in
Parlamento dal Movimento 5 Stelle per dire «basta» ad una politica che distrugge
le speranze di vita e benessere di un Paese, una politica che non ha investito
sul futuro delle nuove generazioni, a cui lascia un debito che graverà sulle
scelte di investimento dell'Italia per vent'anni;
la classe politica attuale non soddisfa più le
aspettative di 8 milioni di italiani, che credono in una necessaria inversione
di marcia della società italiana, sposando una nuova politica che non abbia più
come metro di riferimento solo la logica del profitto e lo sfruttamento delle
risorse, ma anche la la prosperità ed il benessere della popolazione;
considerato altresì che:
l'appartenenza all'Unione europea non può
ridursi al solo obbligo del rispetto di una fallimentare politica del rigore,
che ha compromesso la crescita del nostro PIL, ma, in alternativa al fallimento
della politica di rigore, occorre porre in essere una diversa politica europea
attraverso l'attuazione di misure anticicliche che passi dalla rinegoziazione
del Trattato di Maastricht e del Fiscal Compact, al fine di rilanciare una
«nuova Europa», auspicando una maggiore democrazia nella governance
europea, che abbia come primario obiettivo il benessere dei cittadini europei,
da conseguire all'occorrenza anche prescindendo da un forzato percorso di
risanamento finanziario dei bilanci dei Paesi della zona Euro;
si ritiene necessario ridefinire il
ruolo della Banca centrale europea, che dovrebbe diventare prestatore di ultima
istanza per i debiti pubblici statali dei Paesi Area euro e dovrebbe avere come
obiettivo il perseguimento della piena occupazione, nonché finanziare
direttamente gli investimenti produttivi. La moneta unica europea, infatti, ha
permesso per anni una certa stabilità dell'Eurozona, nascondendo le evidenti
diversità economiche tra nazioni, a prezzo però di una rigidità pericolosa, che
non ha consentito di fronteggiare con elasticità la crisi economica mondiale,
agendo con naturali aggiustamenti di svalutazione/rivalutazione monetaria,
consentiti in passato, quando ogni paese aveva la propria valuta. I suddetti
aggiustamenti permettevano un rilancio delle economie in difficoltà, oggi
l'Unione europea deve fornire strumenti alternativi ai Paesi per uscire dalla
recessione;
è oggi necessario che i Paesi europei con
bilancio in attivo, come la Germania, si facciano carico del fondo di stabilità
europeo (MES) evitando di imporre condizionamenti agli Stati membri, che hanno
difficoltà di contribuzione nelle misure richieste. È il momento che i vertici
europei adottino riforme che contemplino l'istituzione di una Banca centrale
europea realmente garante dell'Euro zona;
infine, per quanto concerne il
Programma nazionale di riforma:
dall'esame del Documento per settore
economico, si rilevano criticità e mancanza di iniziative e proposte, che il
Movimento 5 Stelle ritiene invece utili per rilanciare l'economia e proiettarla
verso obiettivi più aderenti alle aspettative di chi ci ha voluto in Parlamento
per effettuare il cambiamento;
la valutazione delle nostre nuove
proposte è auspicabile anche in ragione del fatto che il Governo Letta, appena
insediato, intende rivedere il quadro programmatico, per inserire linee di
intervento per il rilancio dell'economia da sottoporre al Consiglio europeo e
alla Commissione europea, al fine di ottenere l'autorizzazione a derogare agli
stretti vincoli del Fiscal Compact;
tutto ciò premesso, impegna il
Governo:
1) per quanto riguarda il Programma di
stabilità:
ad impegnarsi presso le opportune sedi europee
per una rinegoziazione del Trattato di Maastricht e del Fiscal Compact al fine
di conseguire una «nuova alleanza» fra i popoli europei, che abbia come finalità
il benessere dei cittadini ed il rafforzamento della governance europea,
che deve valutare l'opportunità di rafforzare il ruolo della Banca centrale
europea, affinché sia prestatore di ultima istanza per i debiti pubblici
statali, possa finanziare direttamente gli investimenti produttivi e sia
autorizzata ad emettere Eurobond;
ad attuare una decisa
riqualificazione della spesa pubblica, eliminando gli sprechi ed individuando i
settori dove risparmiare senza tuttavia ridurre la qualità dei servizi offerti
ai cittadini;
ad adottare un'efficace riduzione dei costi
della politica, comprimendo i livelli di Governo adoperandosi, nei limiti delle
proprie competenze, affinchè si proceda all'abolizione costituzionale delle
province, dal riordino ed accorpamento delle società controllate dagli enti
pubblici, dal contenimento della proliferazione dei servizi «esternalizzati»,
dalla riduzione drastica delle consulenze e dalla ulteriore contrazione e alla
revisione dei compensi per i rappresentanti politici, nonché dall'abolizione dei
rimborsi elettorali ai partiti, oltre che dalla progressiva eliminazione del
ricorso agli arbitrati per quanto concerne le pubbliche amministrazioni;
in materia fiscale:
a) a rafforzare le misure di contrasto
all'evasione fiscale: in particolare va incrementata la collaborazione, ancora
insufficiente, con i comuni, prevedendo oltre le misure premiali, già previste
dalla disciplina vigente, una serie di sanzioni;
b) a rivedere la stessa
struttura centralizzata della riscossione demandata alla gestione di Equitalia:
in particolare accelerare il ritorno al sistema di riscossione territoriale in
cui, anche grazie alla conoscenza del territorio e delle singole specificità e
in un quadro di reale federalismo fiscale, si responsabilizza la copertura dei
costi da parte degli enti territoriali, che avranno cura di intervenire con
maggiore equità e adoperarsi in ambito internazionale per l'abrogazione dei
«paradisi fiscali»;
c) ad aumentare la tassazione sui
redditi di natura finanziaria, sulle transazioni finanziarie, sui derivati e sui
giochi, al fine di diminuire l'imposta di bollo sugli estratti conto e libretti,
abolire l'imposta municipale propria (IMU) sulla prima casa, abrogare
gradualmente l'IRAP ed evitare l'aumento dell'IVA;
- ad istituire un nuovo strumento
chiamato «politometro», finalizzato a garantire la pubblicità della situazione
reddituale e patrimoniale non solo dei componenti del Parlamento, ma di ogni
membro di assemblea elettiva o esecutiva degli enti pubblici o a partecipazione
pubblica di qualsiasi ordine territoriale;
2) Per quanto riguarda il Piano nazionale di
riforma:
nel settore bancario e finanziario, ad
adottare provvedimenti affinché il sistema nel suo complesso sia funzionale ad
un armonico sviluppo dell'economia e della società. La legislazione bancaria
dovrebbe seguire il modello del Glass-Steagal e Act, pur rispettando le
peculiarità del mercato bancario italiano, con una totale separazione tra banche
d'affari e banche commerciali ordinarie, vietando altresì gli incroci azionari
tra sistema bancario e sistema industriale. Conseguentemente introdurre un
sistema fiscale e di vigilanza, ad hoc, per gli intermediari finanziari
che investono nell'economia reale;
a riformare la disciplina della
selezione dei soggetti chiamati a ricoprire incarichi di vertice in qualsiasi
amministrazione od ente inserito nel conto economico consolidato della Pubblica
Amministrazione, nonché nelle aziende pubbliche (dalle cosiddette «grandi
aziende» di Stato fino alle partecipate ed in house di ogni livello,
nazionale, regionale e locale) per fare in modo che il management sia
scelto sulla base di criteri di trasparenza ed evidenza pubblica, utilizzando
una seria valutazione dei curricula accademici e professionali dei
candidati; da procedure selettive pubbliche; dal principio della netta
separazione tra politica e amministrazione; dal divieto di cumulo di incarichi,
dal parametro per gli emolumenti per i manager pubblici, rapportato allo
stipendio dei dipendenti e dall'introduzione del principio del collegamento tra
il compenso e i risultati ottenuti nonché dal divieto di cumulo con eventuali
trattamenti pensionistici; dalla sostituzione integrale della vigente legge
Frattini, al fine di predisporre una normativa che contrasti in modo efficiente
il fenomeno del conflitto d'interessi;
a risolvere gli annosi problemi delle Forze
dell'ordine, di polizia e di soccorso civile - mancanza di mezzi, di risorse,
blocco del turn over, blocchi stipendiali - destinando ad esse le risorse
rinvenienti dalla riduzione del finanziamento delle missioni all'estero.
Inoltre, introdurre l'uso di numeri identificativi sui caschi del personale di
ordine pubblico e sicurezza, al fine di salvaguardare tutti gli operatori della
pubblica sicurezza rispettosi della legge; sciogliere i corpi speciali dedicati
alla lotta alla criminalità organizzata per potenziare le competenze e
l'organico della Direzione investigativa antimafia, restituendole la dignità
originaria, consentendo un risparmio sui costi e la razionalizzazione delle
diverse indagini antimafia, che troppo spesso finiscono per scontrarsi sullo
stesso campo;
a procedere nel percorso di riduzione
dell'onerosità a carico dei cittadini e delle imprese connesse alla richiesta di
dati e documenti da parte delle Pubbliche Amministrazioni, disponendone
l'acquisizione attraverso l'utilizzo delle banche dati; per le imprese ridurre
gli oneri introducendo un criterio di proporzionalità tra l'onerosità degli
adempimenti e la loro dimensione; disporre l'entrata in vigore immediata di
tutte le nuove disposizioni del codice dell'amministrazione digitale;
a modificare il procedimento civile e penale
per garantire una ragionevole durata del processo, intervenendo soprattutto
sulla professionalizzazione manageriale dei presidenti dei tribunali, sulla
digitalizzazione del processo e sullo snellimento dei codici semplificandone la
procedura;
ad intensificare la lotta alla corruzione e
alla concussione, che coinvolge la Pubblica Amministrazione, attraverso un
inasprimento delle pene per i reati di falso in bilancio e frode fiscale, e
l'introduzione del reato di auto riciclaggio ed una rivalutazione della
normativa sulla prescrizione, che si ritiene essere troppo breve;
a contrastare le infiltrazioni della
criminalità organizzata negli appalti pubblici con l'introduzione, tra le cause
di risoluzione del contratto di appalto, anche delle sentenze di condanna
definitiva per gravi reati che riguardino i soggetti subappaltanti;
a destinare i risparmi effettuati con la
riforma dello strumento militare per migliorare la gestione corrente della
formazione del personale e della gestione dei mezzi, a fronte di una riduzione
di nuovi investimenti in sistemi d'arma e a valutare l'assegnazione delle
strutture militari in dismissione, localizzate in luoghi strategici delle città,
per nuove funzioni che consentano per le altre amministrazioni risparmi in
contratti di locazione;
ad abbandonare, in via definitiva, il
programma per la produzione e l'acquisto dei previsti cacciabombardieri Joint
Strike Fighter, parallelamente ad una riconversione delle industrie che operano
nella produzione degli stessi;
a rivalutare la necessità di ogni singola
missione militare all'estero non solo dal punto di vista economico ma anche e
soprattutto per rispettare il dettame costituzionale indicato dall'articolo
11;
a garantire per il prossimo triennio maggiori
ed adeguate risorse per investire nella scuola, nella università e nella
ricerca, rinunciando al piano dei tagli operati negli ultimi due anni, affinché
il nostro diventi un sistema di istruzione veramente innovativo e capace di
competere con le nuove tecnologie e con l'evoluzione progressiva dei sistemi di
produzione;
a reperire sufficienti risorse da destinare
con urgenza alla messa in sicurezza delle infrastrutture a rischio sismico ed
idrogeologico ed alla riqualificazione ed efficientamento energetico degli
edifici scolastici pubblici;
a realizzare un piano d'investimenti
pluriennale per i beni culturali, non limitandosi ad interventi straordinari
dettati solo dall'urgenza e dalla contingenza, ma attraverso una seria
programmazione che veda il coinvolgimento e la responsabilizzazione delle
regioni;
ad adottare politiche finalizzate al
rifinanziamento della sanità, puntando ad una diversa ripartizione delle voci di
spesa dedicate ai tre tipi di prevenzione sanitaria, passando da una prevenzione
secondaria che comprende il maggior capitolo di spesa del Servizio sanitario
nazionale ad un potenziamento della prevenzione primaria e della prevenzione
terziaria, ossia la presa in carico a livello locale e domiciliare da parte di
équipe multidisciplinari;
ad intervenire con misure più incisive per
contrastare la povertà, nell'ambito di una più ampia riforma del welfare,
con l'istituzione del «reddito di cittadinanza», affinché tutti coloro che hanno
perso il lavoro o che ne sono alla ricerca, possano comunque vivere con
dignità;
a porre maggiore attenzione alle misure nel
campo della disabilità, definendo iniziative in termini di benefici economici a
tutti i familiari che assistono un loro congiunto ammalato e/o disabile; infine
a prevedere, per quanto riguarda la «tutela delle donne», forme preventive di
tutela più adeguate, in un'ottica di prevenzione primaria;
ad avviare progetti di social housing
senza il consumo di altro territorio ma recuperando quello già costruito, che
potrebbero «liberare» oltre 100 miliardi di euro di disponibilità di credito da
parte delle banche;
a promuovere una vera conversione della
politica economica, puntando in modo netto sulla valorizzazione dell'economia
verde, attraverso un più adeguato finanziamento del Fondo Kyoto e l'avvio di
politiche incentivanti delle «buone pratiche» ambientali;
a prorogare e rendere strutturali le
detrazioni fiscali del 55 per cento per gli interventi di riqualificazione
energetica degli edifici, con l'obiettivo di dare impulso in modo «virtuoso» al
comparto edilizio, la cui funzione di traino per l'economia del paese non può
più essere legata alla devastazione del territorio;
a promuovere una politica di gestione del
territorio che anteponga la tutela del paesaggio e la difesa del suolo alle
scelte di tipo speculativo, impedendo nuovo consumo di suolo e avviando
programmi di riqualificazione urbana e di messa in sicurezza del territorio,
sismica e idrogeologica;
a rivalutare il piano delle opere pubbliche,
espungendone quelle più costose e più dannose per il territorio e per l'ambiente
- come la tratta Alta velocità ferroviaria Torino-Lione -, che dovrà superare
l'attuale impostazione priva di una visione strategica e affermare una nuova
visione che tenga conto delle vere priorità del Paese in tema di infrastrutture
di pubblica utilità: messa in sicurezza del territorio; riequilibrio modale del
trasporto di merci e persone, attualmente eccessivamente sbilanciato a favore
della gomma; sistemazione ed efficientamento delle reti idriche; valorizzazione
e riqualificazione dei centri urbani; avvio di infrastrutture e programmi per lo
sviluppo e la diffusione della mobilità sostenibile; potenziamento delle reti di
trasporto pubblico, urbano ed extraurbano;
a sviluppare una politica energetica che punti
chiaramente alla riduzione del consumo di combustibili fossili, al rispetto
degli accordi internazionali relativi al Protocollo di Kyoto, all'affrancamento
dalla dipendenza energetica dall'estero, alla sostenibilità economica evitando
incentivi economici a favore di lobbies, mirando alla riduzione
dell'inquinamento e dei conseguenti danni alla salute e all'ambiente;
ad affrontare le criticità preesistenti, in
particolare per quanto attiene le bonifiche dei siti di interesse nazionale
(SIN) a partire dalla straordinaria emergenza sanitaria ed ambientale dell'ILVA
di Taranto, per la quale è auspicabile un intervento immediato per garantire la
tutela della salute dei cittadini;
a velocizzare i pagamenti dei debiti dello
Stato con le imprese e i cittadini attraverso la cessione prosoluto verso
le banche, o meglio, attraverso la Cassa depositi e prestiti, la quale liquiderà
il dovuto alle imprese tramite gli sportelli di Poste italiane e comunque
attraverso la compensazione con altre tasse dovute o girabili ad altre aziende
(favorendo la rete impresa);
ad attuare con gli strumenti della politica
nazionale un'efficace lotta alla contraffazione nelle dogane e sul territorio,
in difesa dei consumatori e della produzione nazionale;
ad avviare una riforma del lavoro che, come
previsto dalle direttive europee, contempli quale prima tipologia di contratto
quella a tempo indeterminato e solo per esigenze organizzative quella a tempo
determinato;
a riformare la legge n. 92 del 2012, la
cosiddetta «riforma Fornero», prevedendo, in particolare, l'abrogazione delle
norme previdenziali come punto di partenza per un riordino dell'intero ambito al
fine di garantire il diritto alla pensione a tutti i lavoratori in un età
dignitosa, in particolare per chi svolge lavori usuranti;
a garantire la stabilizzazione del personale
precario non dirigenziale nella Pubblica Amministrazione come disposto dal comma
560 dell'articolo 1 della legge n. 296 del 2000;
ad incrementare il tasso di occupazione
femminile, anche attraverso la conciliazione tra tempi di vita e tempi di
lavoro;
a realizzare un piano d'interventi, non a
pioggia, che consenta al Mezzogiorno d'Italia di liberarsi, attuando una reale e
dura lotta alla criminalità organizzata, contrastando la «mala politica» per
attrarre investimenti stabili nel territorio e trasformare il Sud in motore per
il rilancio dell'Italia verso uno sviluppo eco-sostenibile: punto di snodo di
una nuova politica europea che riconsideri fra i suoi interessi d'intervento
anche i popoli del Sud del mediterraneo e del mondo;
in materia di agricoltura: a porre in
essere tutte le misure necessarie affinché l'agricoltura, nel rispetto
dell'ambiente e della salute umana, abbia l'obiettivo non solo di fare da traino
per l'economia del Paese ma anche di migliorare la qualità della vita. A tal
fine, si impegna il Governo:
a) ad individuare, in
considerazione della palese inefficacia della Politica agricola comune (PAC),
strade alternative per incrementare la produzione agricola italiana senza
intaccarne la qualità, salvaguardando i prodotti locali di specie autoctone,
riducendo al massimo il ricorso a tecniche che prevedano il ricorso a molecole
di sintesi e preservando il paesaggio nonché l'integrità e la fertilità del
suolo;
b) a riconsiderare la
politica della Grande distribuzione organizzata (GDO) in direzione del sostegno
dei piccoli produttori, valorizzando la filiera corta e la tutela del marchio
Made in Italy;
c) a disincentivare pratiche
insostenibili in agricoltura quali l'allevamento intensivo nell'industria
zootecnica e nell'acquacoltura, riducendo il consumo di carne e aumentando i
controlli sul pescato;
d) a procedere al riordino degli
enti che fanno capo al Ministero delle politiche agricole, alimentari e
forestali.
(6-00007) n. 2 (06 maggio 2013)
.
Il Senato,
esaminato il Documento di economia e
finanza 2013,
premesso che:
nell'introduzione al DEF 2013 il Governo Monti
afferma che è tenuto, per assolvere un obbligo di legge per il Paese e per
assicurare il rispetto delle scadenze del «semestre europe», a presentare il
Documento di economia e finanza, pur tra limiti oggettivi, come il prolungarsi
delle procedure per la formazione di un nuovo esecutivo: «Coerentemente con la
fase di prorogasti il Governo in carica non può formulare orientamenti
per il futuro che presuppongano scelte d'indirizzo politico-legislativo o
I'avvio di nuove politiche di vasto respiro che non siano già state condivise
dal Parlamento.»;
il DEF 2013 si limita a tracciare,
con enfasi e sottolineature eccessivamente positive, i traguardi raggiunti
dall'azione di governo fin qui svolta. Attraverso un'esposizione fin troppo
dettagliata e ripetitiva dei risultati raggiunti e dell'azione da dispiegare nel
triennio prossimo, ed indica come: «dal punto di vista economico-finanziario il
DEF 2013 assum(a) l'obiettivo di mantenere nel periodo di riferimento il
pareggio di bilancio in termini strutturali, come previsto dalle regole del
Patto di Stabilita di Crescita dell'Unione europea, modificate nel novembre
2011, e confermate dal Fiscal Compact, e come sancito dalla nostra Costituzione.
Sotto il profilo delle riforme strutturali esso fa il punto di quanto realizzato
nei mesi precedenti e, dove appropriato, elenca le iniziative ancora necessarie
per attuare Ie riforme già approvate dal Parlamento.»;
il DEF al nostro esame rappresenta una
fotografia dei risultati ottenuti negli ultimi 17 mesi dal Governo Monti, una
fotografia dei risultati negativi di politiche sbagliate;
pur considerando i limiti oggettivi
rappresentati dalla presentazione del presente DEF, esso rimane comunque un
passaggio ineludibile, seppur non definitivo, in quanto il nuovo Governo dovrà
aggiornarlo, integrandolo con il programma di Governo di stabilità e crescita
indicando gli obiettivi di politica economica;
il Governo attuale si è impegnato a presentare
al più presto una Nota di aggiornamento del DEF 2013; nel suo discorso alle
Camere il Premier Enrico Letta, ha dichiarato che il suo Governo agirà
con primi interventi per dare ossigeno alle famiglie, in particolare a quelle
meno abbienti, e alle imprese tramite la riduzione fiscale suI lavoro, il
superamento della tassazione sulla prima casa, l'alleggerimento dell'IVA, senza
tuttavia indicare con quali misure tali riduzioni di entrate e maggiori spese
saranno compensate;
occorre infatti, finanziare Ie misure urgenti
per il 2013 laciate scoperte dal Governo Monti che comportano una spesa di 7-8
miliardi (ne citiamo solo alcune: gli esodati, la cassa integrazione anche in
deroga, la proroga delle agevolazioni fiscali al 50 ed al 55 per cento per Ie
ristrutturazioni edilizie e per l'efficientamento energetico degli immobili, il
rinnovo dei contratti a termine di lavoratori e lavoratrici nei servizi pubblici
essenziali, i contratti di servizio di importanti aziende pubbliche, Ie missioni
internazionali), mentre servirebbero altri 8 miliardi all'anno per cancellare
l'IMU e l'aumento dell'IVA. In sostanza, ci vorrebbero circa 15 miliardi di
tagli nella seconda parte del 2013, vale a dire 30 su base annua. Non e
possibile pensare ad ulteriori ticket sulla sanità (dal 1º gennaio 2014,
è già previsto un aumento dei ticket per circa 2 miliardi di euro),
ulteriori tagli alla scuola pubblica e all'università, ulteriore
deindicizzazione delle pensioni più basse;
in ogni caso, il quadro complessivo delineato
sembra dovere rimanere immutato rispetto al DEF al nostro esame;
il programma del nuovo Governo non fa
riferimento con il dovuto impegno agli obiettivi assunti dalla strategia
definita dal documento «Europa 2020»: innalzamento al 75 per cento del tasso di
occupazione, aumento degli investimenti in ricerca e sviluppo ed innovazione al
3 per cento del PIL, riduzione delle emissioni di gas serra almeno del 20 per
cento rispetto al 1990, 20 per cento del fabbisogno di energia ricavato da fonti
rinnovabili, aumento del 20 per cento dell'efficienza energetica, riduzione
degli abbandoni scolastici al di sotto del 10 per cento, aumento al 40 per cento
dei 30-34enni con un'istruzione universitaria, drastica riduzione delle persone
a rischio o in situazione di povertà ed emarginazione;
sottolineato come:
l'analisi economica contenuta nel DEF
evidenzia un quadro di recessione globale, nell'ambito del quale la zona Euro
mostra particolari difficoltà e, in tale contesto, l'Italia risulta in
particolare sofferenza;
l'economia in recessione, la
società in frantumi, la politica bloccata: questa e l'Italia del 2013, dopo
cinque anni di crisi. Dopo 5 anni di Governi di Berlusconi e Monti il PIL del
nostro Paese, in termini reali e ai livelli di 10 anni fa. Il reddito medio
pro capite è sceso ai livelli dell'anno 2000. Ma il reddito «medio» è
un'illusione statistica, Ie disuguaglianze sono aumentate e tutto l'aumento del
reddito degli ultimi dieci anni e finito ad aumentare la ricchezza del 10 per
cento più ricco degli italiani che possiede il 46 per cento di tutta la
ricchezza del Paese. Nove italiani su dieci stanno ora peggio di 10 anni fa;
il peggioramento dell'economia si è
accompagnato a una crisi sociale senza precedenti;
il nostro Paese sta tragicamente vivendo una
vera e propria emergenza occupazionale, che si aggraverà nei prossimi mesi. Gli
ultimi rilevamenti dell'Istat ci hanno restituito ancora una volta un'immagine
drammatica: sono 2,8 milioni Ie lavoratrici e i lavoratori precari, la
disoccupazione è prossima ormai alla soglia inaudita del 12 per cento, con punte
che sfiorano il 40 per cento tra Ie donne e i più giovani, mentre i consumi
delle famiglie si stanno notevolmente riducendo (meno 7 per cento nel biennio
2012-2013);
oltre ai bassi salari sono state ridotte Ie
pensioni e aumentata l'età per andarci; ci sono 390.000 lavoratori «esodati» che
nel 2012 si sono trovati senza stipendio e senza pensione; i servizi di
welfare vengono ridimensionati dai tagli di spesa e diventano più
costosi;
aumenta la povertà che coinvolge oramai oltre
8 milioni di persone; più dell'11 per cento delle famiglie vivevano nel 2011 con
un reddito sotto la soglia di mille euro per una famiglia di due persone;
accanto alla povertà, scoppia l'emergenza
ambientale con le conseguenze disastrose del cambiamento climatico provocato
dalle nostre emissioni che porta a situazioni meteorologiche estreme, mentre un
uso dissennato del territorio ha contribuito alla rottura degli equilibri
ecologici;
i Governi Berlusconi e Monti non solo non
hanno previsto la dimensione della recessione, ma in gran parte l'hanno causata.
Nel quinquennio tra il 2008 e il 2012, per la prima volta dopo la Sconda Guerra
mondiale, c'è stata una riduzione del 4,4 per cento della variazione della media
del PIL pro capite rispetto al quinquennio precedente. Nel 2012, Ie
manovre di tasse e tagli, infatti, hanno prodotto una riduzione del PIL di un
punto percentuale. Lo certifica la stessa Banca d'Italia. La cura ha fatto molto
più male della malattia;
dopo i 145 miliardi recuperati con Ie due
manovre estive «anti-crisi» di Tremonti, il Governo dei «tecnici» ha tagliato la
spesa e tassato gli italiani per 63,2 miliardi (tra manovra «Salva Italia» e
«Spending review»). Le manovre hanno complessivamente causato una
riduzione del reddito del Paese di circa 16 miliardi. Rendendo così più
difficili da raggiungere gli obiettivi per raggiungere i quali erano stati
escogitati tagli e tasse;
la liberalizzazione del mercato del lavoro che
toglie diritti ai lavoratori senza ottenere un solo posta di lavoro in più, e
andata ad aggiungersi al taglio delle pensioni, all'aumento delle accise e
dell'IVA (tutte tasse indirette che colpiscono proporzionalmente in misura
maggiore i ceti popolari) e all'IMU sulla casa, peggiorando la grave situazione
nella quale i Governi Berlusconi e Monti ci hanno portato;
né il drastico prolungamento dell'età
pensionabile, né Ie cosiddette liberalizzazioni, né il tentativo di abolire
l'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, hanno nulla a che vedere con la
riduzione del debito pubblico Italiano. Anzi, il rapporto debito/prodotto
interno lordo è ancora cresciuto per via della recessione incalzante;
sono stati sacrifici - a senso unico a carico
dei ceti popolari - mentre il debito è notevolmente cresciuto (di dieci punti
negli ultimi due anni), la disoccupazione è aumentata, Ie tasse sono state
innalzate e calano i consumi. In definitiva, i problemi sono stati solo
rinviati, e il peggio potrebbe ancora arrivare. Si è, infatti, instaurata nel
nostro paese ed a livello europeo una spirale perversa di politiche di austerità
che incidono negativamente sulla crescita deprimendo il PIL, che a sua volta
diminuisce Ie entrate dello Stato e ne aumenta Ie spese per fare fronte alla
disoccupazione crescente;
il problema peggiorerà dopo il 2014 con
l'applicazione del cosiddetto «fiscal compact», il quale prevede una
riduzione del debito pubblico superiore al 60 per cento del PIL di un ventesimo
l'anno, per vent'anni. Una mannaia pesantissima, che per l'Italia potrebbe
significare un obbligo a tagli netti del debito per 40-50 miliardi l'anno, che
certo non si potranno attuare vendendo beni pubblici ogni anno per il valore di
15 miliardi;
rilevato come:
il Mezzogiorno contribuisce ad un quarto del
PIL nazionale: non ci può essere una adeguata ripresa della crescita economica
nel nostro Paese senza il contributo delle regioni meridionali. Eppure, secondo
l'ultimo rapporto Svimez, la crisi ha prodotto nel Meridione il doppio dei danni
sociali arrecati al resto del Paese, ed esiste il reale pericolo che il divario
tra il nord ed il sud da incolmato divenga incolmabile;
proprio nelle regioni del Sud si
sono concentrate Ie riduzioni più significative di posti di lavoro legate
soprattutto al fenomeno della desertificazione industriale. Nel Mezzogiorno una
persona su due è fuori dal mercato del lavoro regolare: in valori assoluti,
sette milioni di uomini e donne che convivono con lavori in nero o precari.
Soprattutto preoccupa quello che la Svimez ha definito «spreco generazionale
inaccettabile», cioè il dato che vede in crescita nelle regioni meridionali la
quota dei giovani Neet (not in education, employment or training) con
alto livello di istruzione;
la crisi spinge ulteriormente il processo di
compenetrazione in corso tra criminalità organizzata e economie locali,
diversamente il Sud potrebbe diventare la base di un'economia criminale tesa ad
estendersi alle regioni settentrionali. Anche per questa via il nodo del
Mezzogiorno, rischia di condizionare pesantemente lo sviluppo di tutto il
Paese;
per il Mezzogiorno occorre dunque abbandonare
Ie politiche assistenzialistiche del passato, la cui inefficacia è sotto gli
occhi di tutti, e porre al centro la valorizzazione delle risorse economiche,
umane e paesaggistiche locali per superare Ie arretratezze strutturali e creare
condizioni più favorevoli allo sviluppo delle tante forze vive presenti nel
tessuto sociale ed imprenditoriale del Mezzogiorno;
la crisi economica e sociale sta aggravando in
maniera insostenibile l'emergenza abitativa: oltre 430.000 famiglie in
difficoltà con il pagamento dei mutui; 65 mila sentenze di sfratto solo in un
anno, di cui circa l'85 per cento sono per morosità. Con l'attuale trend
di crescita, se ne prevedono 200 mila nei prossimi tre anni. Una situazione di
vero allarme sociale che riguarda tutto il Paese, anche se con situazioni di
vera e propria emergenza per Ie grandi aree urbane;
sono necessarie serie politiche abitative
pubbliche e risorse da destinare all'«housing sociale». A ciò aggiungiamo
il gravissimo sostanziale azzeramento del «Fondo nazionale per il sostegno
all'accesso aIle abitazioni in locazione», previsto dall'articolo 11, comma 1,
dell a legge n. 431 del 1998, il quale rappresentava uno strumento fondamentale
in mano agli enti locali per una politica delIa casa attenta alle esigenze delle
famiglie più bisognose;
pur essendo strategica per l'economia italiana
e Ia crescita del PIL, nessun intervento organico e di sistema viene proposto
per la cultura, i beni culturali e paesaggistici. Come certificato da Eurostat,
nel 2011 l'Italia ha continuato ad essere all'ultimo posto in Europa per
percentuale di spesa pubblica destinata alIa cultura (1,1 per cento a fronte del
2,2 per cento dell'Unione europea a 27) e al penultimo posto per percentuale di
spesa in istruzione (l'8,5 per cento a fronte dello 0,9 per cento dell'Unione
europea a 27);
una recente indagine svolta da Unioncamere e
Symbola ha dato una stima piuttosto precisa dell'importanza del comparto
culturale suI PIL italiano: il 5,4 per cento se si considera il sistema delle
industrie culturali e creative in senso stretto; il 15 per cento se invece si da
una definizione estensiva del sistema delle filiere culturali e creative;
considerato che:
il quadro delle misure delineato dal DEF non
contempla altre misure di rilievo rispetto alIa retrocessione dei debiti della
Pubblica Amministrazione;
l'impostazione del DEF e della
politica economica dello stesso Primo Ministro Letta parte dal presupposto che
il graduale miglioramento della situazione dei mercati finanziari non si è
ancora trasmesso all'economia reale. In realtà, Ie misure di contenimento delIa
spesa pubblica adottate nel 2011 e nel 2012 sembrano essere andate oltre Ie
previsioni iniziali: si è tagliato di più di quello che si era preventivato.
Queste stesse misure hanno concorso all'effetto demoltiplicatore del PIL, con
una caduta del PIL cumulata (2012-2013) del 3,7 per cento, unitamente ad una
caduta degli investimenti del 10,6 per cento;
le previsioni dell'OCSE confermano la
contrazione del PIL del 2013 (meno 1,5 per cento), mentre per il 2014 si stima
una maggiore crescita dello 0,5 per cento). Stime generose, che sottovalutano
l'effetto negativo delle misure di contenimento della spesa pubblica, unitamente
all'aumento delIa pressione fiscale. II FMI, mediamente più credibile dell'OCSE,
è molto meno ottimista;
l'indebitamento netto passa, secondo il DEF,
dal 3,9 per cento del 2011, al 2,9 per cento del 2013, in ragione della spesa
destinata al pagamento dei debiti della Pubblica Amministrazione. Infatti,
l'indebitamento del 2013 era previsto al 2,4 per cento. Per il 2014 si prevede
un indebitamento netto dell'1,8 per cento, sempre che le risorse dell'IMU
sperimentale non siano modificate. La puntualizzazione è rilevante per la
contabilità pubblica. Se fosse modificata la base imponibile dell'IMU, Ie minori
entrate dovrebbero essere compensate da una manovra correttiva aggiuntiva, così
come per l'aumento dell'IVA di un punto, già contabilizzato tra Ie entrate
fiscali. Modificare una di queste imposte, significa ampliare o meno la manovra
correttiva dello 0,7 per cento del PIL nel 2015, così come per il 2014;
secondo l'OCSE l'indebitamento per il 2013
raggiungerà il 3,3 per cento contro il 2,9 per cento previsto dal DEF, un
indebitamento che cresce anche nel 2014 al 3,8 per cento (il DEF prevede l'1,8
per cento): il che significherebbe restare nella procedura UE per deficit
eccessivo; secondo il Ministro Saccomanni il Rapporto Ocse non considera
l'impatto del decreto-legge sui pagamenti della Pubblica Amministrazione;
diversamente dall'indebitamento netto, il
rapporto debito/PIL continua a crescere, nonostante la spesa per interessi sia
sostanzialmente stabile in rapporto al PIL (5,6 per cento per il 2013 e 5,8 per
cento per il 2014). Le stime sono pari al 130,4 per cento del PIL per il 2013,
al 129 per cento per il 2014 (per l'Ocse il debito 2014 sarà pari al 134,2 per
cento) e al 125 per cento per il 2015. Un effetto del tutto ovvio: se il
denominatore diminuisce con la velocità di questi ultimi anni, il rapporto è
destinato a crescere, indipendentemente dalle misure di contenimento della spesa
pubblica adottate. Non si deve mai dimenticare che dal 2008 al 2013, il PIL
dell'Italia si è contratto di quasi 10 punti percentuali;
le stime economiche rese note il 3 maggio
scorso dalla Commissione europea prevedono che il deficit italiano per il
2013 si fermi al 2,9 per cento, e nel 2014 scende al 2,5 per cento. Nelle stime
della Commissione Ue si conferma come l'Italia stia sulla strada per chiudere la
procedura per disavanzo eccessivo. Ma comunque per l'Italia - secondo la
Commissione UE - «non ci sono segni di ripresa a breve» e il PIL «continua a
contrarsi», portandosi a -1,3per cento per il 2013 e 0,7 per cento nel 2014. Il
debito italiano sale a 131,4 per cento nel 2013 e a 132,2 per cento nel 2014; la
Commissione Ue rivede quindi al rialzo Ie stime di febbraio che lo davano al 128
per cento per il 2013 e 127 per cento nel 2014. Solo la Grecia ha un debito più
alto (175,2 per cento per il 2013). La fiducia di imprese e consumatori è ancora
negativa. E il PIL continua a contrarsi (-1,3 per cento per il 2013), «sulla
base di persistente incertezza e continua difficoltà di accesso al credito».
Anche la disoccupazione continua resta sotto il segno negativo: raggiungerà
quota 11,8 per cento nel 2013 e sfonderà la soglia del 12 per cento, arrivando
al 12,2 per cento nel 2014, contro rispettivamente l'11,6 per cento e il 12 per
cento stimati a febbraio. Ma è prevista una «stabilizzazione» il prossimo anno.
Secondo Ie stime della Commissione, «la ripresa dell'attività economica è troppo
lenta per ridurre la disoccupazione» che per il 2013 e il 2014 nell'eurozona
resta invariata rispetto alle vecchie stime, rispettivamente al 12,2 per cento e
12,1 per cento. «Senza riforme - avverte la Commissione UE - l'alta
disoccupazione potrebbe mettere a rischio la coesione sociale»;
uno dei comparti della spesa pubblica che più
di altri ha sofferto dei tagli della spesa pubblica è, indiscutibilmente, quello
del lavoro pubblico, dovuto al mancato rinnovo contrattuale e al blocco del
turn over. Complessivamente la spesa per lavoro dipendente della Pubblica
Amministrazione ha subito una contrazione del 5,4 per cento tra il 2011 e il
2014, che in termini di PIL significa passare dal 10,7 per cento del PIL del
2011 al 10 per cento del PIL del 2014;
relativamente alle spese, la costanza del
rapporto tra la spesa sociale e previdenziale con il PIL, nasconde una verità
pericolosa. Infatti, la costanza di rapporto della presente spesa rispetto al
PIL, quando il PIL diminuisce di quasi 4 punti percentuali, significa una
contrazione equivalente delle prestazioni. II problema della spesa sociale
rimane uno dei nodi della crisi, che deve essere valutato in termini di livello
adeguato e di efficacia;
il Governo prevede un andamento delle entrate
difficile da condividere. Le maggiori entrate sono interamente imputabili alla
crescita delle imposte indirette, ma dato l'andamento dei consumi e degli
investimenti è realmente difficile crederlo soprattutto se consideriamo
l'andamento dell'IVA nel 2012;
nell'esercizio contro fattuale sull'impatto
macroeconomico delle riforme, si stima una maggiore crescita dell'1,6 per cento
nel 2015, del 3,9 per cento nel 2020, mentre nel lungo periodo, l'effetto
macroeconomico sarebbe del 6,9 per cento. Sono soprattutto le
privatizzazioni-liberalizzazioni a fornire il maggior contributo nel lungo
periodo di 4,8 punti percentuali. La riforma del mercato del lavoro invece ha un
impatto significativamente più contenuto: nel lungo periodo è di 1,4, mentre per
il 2015 è dello 0,4 per cento. A dimostrazione che la riforma Fornero del
mercato del lavoro non era così indispensabile;
infatti, il problema del mercato del lavoro
non è l'offerta, ma la domanda contenuta e dequalificata delle imprese,
soprattutto se consideriamo il profilo formativo dei giovani; il Presidente
Letta ha parlato di riforma dei contratti a termine, evitando accuratamente di
sottolineare che la qualità dell'offerta dei giovani è troppo alta rispetto alla
domanda. Un problema che riflette la specializzazione produttiva delle imprese
italiane, che dal 1996 crescono meno di quelle medie europee perché producono
beni e servizi a bassissimo contenuto tecnico; la maggior parte dell'innovazione
è importata dall'estero. Il caso più eclatante è quello dei pannelli solari e
delle energie rinnovabili: su 100 pannelli installati nel nostro Paese, 98 sono
importati, 1 è costruito da una impresa straniera con stabilimento in Italia e l
è realizzato da un'impresa italiana;
la riduzione del costo del lavoro italiano,
già tra i più bassi a livello europeo e con gli orari di lavoro più lunghi non
potrà dare grandi risultati, anche considerando che il nostro Paese ha già perso
il 25 per cento della propria base produttiva. Il punto fondamentale è creare
nuove imprese per realizzare beni e servizi coerenti con il mercato
internazionale e con la formazione dei nostri studenti;
un importante contributo a questo proposito è
rappresentato dal Piano del Lavoro elaborato dalla Cgil che prevede interventi a
favore della domanda effettiva, sostenendo investimenti e redditi da lavoro,
consumi e beni collettivi;
premesso inoltre che:
la filosofia sotto stante al DEF 2013 e che ha
ispirato le politiche dei Governi Berlusconi e Monti, fa capo ad alcune premesse
teoriche che ispirano le politiche di austerità e che cominciano a mostrare
anche agli occhi di osservatori, non certo sospettabili di «progressismo», come
il FMI, tutti i loro limiti;
l'Europa ha risposto alla crescente
instabilità dei mercati finanziari imboccando la strada dell'austerità. A
partire dalla primavera 2010 sono stati così varati programmi di riequilibrio
dei conti pubblici ambiziosi, simultanei e concentrati in un lasso di tempo
relativamente breve. Nei Paesi periferici il riequilibrio dei conti pubblici è
avvenuto al prezzo di pesanti ricadute economiche e sociali (catastrofiche, nel
caso greco), ed è stato parzialmente vanificato dalla recessione indotta dalle
politiche di austerità;
la recente messa in dubbio dei dati alla base
delle tesi di Reinhart e Rogoff sul nesso tra stock del debito e mancata
crescita, appare tanto più rilevante in quanto esse costituivano una delle basi
teoriche più importanti su cui venivano sostenute in sede di Unione europea le
politiche di austerità in atto. Non si tratta peraltro del primo colpo teorico
all'edificio, dal momento che già mesi fa l'Fmi aveva messo in rilievo,
quantificandole, le rilevanti conseguenze negative che una diminuzione della
spesa pubblica di un paese ha sul PIL. Infatti, la sostenibilità del debito
pubblico dipende nei fatti da molti possibili fattori, e non da uno solo:
entrano in gioco i tassi di interesse, il tasso di crescita dell'economia, la
percentuale del debito detenuta da operatori esteri, il regime dei cambi, le
caratteristiche specifiche dell'economia, la disponibilità di asset con
valore di mercato, e così via;
è sostanzialmente l'analisi delle cause
profonde della crisi ad essere sbagliata. Essa viene fatta risalire alla «crisi
dei debiti sovrani», mentre i debiti sovrani sono peggiorati a seguito della
crisi e non viceversa. Nel biennio della grande recessione l'aumento del
rapporto tra debito pubblico e PIL è stato nei Paesi periferici solo leggermente
superiore alla media dell'eurozona. La sfiducia dei mercati finanziari è stata
innescata dai crescenti squilibri macroeconomici tra i sistemi produttivi più
forti (Germania in primis), molto competitivi e in forte avanzo
commerciale, e i Paesi periferici considerati - a causa di debolezze strutturali
che sono andate aggravandosi negli anni duemila - meno capaci in prospettiva di
onorare i propri debiti pubblici;
non si risolverà certo la crisi con le
politiche di «austerità espansiva» che l'hanno provocata. Pensare che il taglio
nei deficit pubblici possa essere compensato dall'aumento di altre componenti
della domanda aggregata è una pia illusione. Come mostrato in studi e
dall'esperienza pratica (vedi Grecia), il moltiplicatore fiscale in una fase di
recessione è positivo, e l'austerità porterà quindi ad un calo del PIL maggiore
del calo del debito rendendo impossibile raggiungere l'obiettivo della riduzione
del rapporto debito/PIL;
ma neanche le classiche politiche keynesiane
che erano tarate su uno Stato nazionale ancora in gran parte in possesso delle
principali leve della politica economica possono da sole rappresentare una via
d'uscita dalla crisi: occorre anche fare riferimento ai vincoli ed alle
opportunità indotti dalla crisi ambientale. Non ha molto più senso ragionare su
meri aggregati monetari, senza tenere conto che nessuna politica economica è più
praticabile senza una contestuale politica industriale che orienti e condizioni
l'oggetto delle produzioni e le modalità (individuali o collettive) del consumo
di molti beni e servizi. La grande sfida di oggi è pensare ad un New Deal
verde volto alla riconversione ecologica del sistema produttivo,
impegna il Governo:
A livello europeo
a) a proporre misure e provvedimenti
che delineano una vera unione politica del continente con un ruolo maggiore del
Parlamento europeo;
b) a modificare il trattato
sulla convergenza dei bilanci, il cosiddetto «Fiscal compact»,
concordando con i partner europei misure sostanziali a favore della crescita, e
prevedere una parziale europeizzazione del debito sovrano per la quota che
supera il 60 per cento del PIL, secondo le proposte avanzate da diversi
economisti anche italiani; chiedere - per lo meno - lo slittamento della
scadenza per il raggiungimento del pareggio di bilancio in termini strutturali e
per l'avvio della riduzione dello stock del debito e/o l'esclusione di
alcune spese per investimento dai saldi del Patto di stabilità; la riforma del
fiscal compact deve innanzitutto prevedere, come è stato oggi deciso in
favore della Spagna, la possibilità di un rientro più morbido e dilazionato nel
tempo del debito sovrano, in particolare appare irrealistico per l'Italia il
rientro dal 2015 di oltre 15 miliardi all'anno attraverso dismissioni
immobiliari;
c) a concordare con gli organismi
dell'Unione europea l'applicazione della golden rule che escluda dalle
regole di spesa, introdotte dal Patto di stabilità e crescita rivisto nel 2011,
gli investimenti degli enti territoriali nei seguenti campi:
riqualificazione delle
periferie attraverso piani di recupero;
interventi di salvaguardia
dell'assetto idrogeologico dei territori;
messa in sicurezza degli edifici
scolastici;
recupero, salvaguardia e sviluppo del
patrimonio artistico e ambientale;
interventi di risanamento delle reti di
distribuzione delle acque potabili;
potenziamento del trasporto pubblico
locale con particolare riguardo al pendolarismo ragionale e al trasporto su
ferro;
interventi di risparmio energetico
attraverso l'utilizzo delle energie rinnovabili.
d) ad utilizzare a livello
europeo una quota del gettito della tassa sulle transazioni finanziarie,
unitamente all'emissione di eurobond, per finanziare e promuovere
l'occupazione giovanile e la riconversione ecologica del sistema produttivo;
e) a ridefinire il ruolo
della BCE come prestatrice di ultima istanza;
f) a promuovere nell'ambito della
Difesa comune europea i Corpi civili di pace e la costituzione di un esercito
unico che permetta la riduzione delle Forze Armate nazionali con la conseguente
drastica riduzione delle spese militari italiane;
g) a promuovere insieme agli altri
partner continentali azioni concrete per promuovere uno sviluppo sostenibile,
maggiore competitività e coesione sociale, indicando in tutte le sedi europee la
chiara esigenza di un programma europeo:
1) che abbia chiare priorità
di investimenti nella economia reale e nel rilancio, in particolare nei paesi
dell'eurozona con bilance commerciali in forte attivo nei confronti degli altri
partner europei, del mercato interno tramite una politica di ridistribuzione dei
redditi che favorisca la domanda;
2) che avvii in Europa una
trasformazione sociale ed ecologica del modello di sviluppo a partire dal
settore energetico e da quello dei trasporti, con l'istituzione di una nuova
catena di creazione di valori nei mercati-pilota del futuro;
3) che promuova un'iniziativa europea per
combattere la disoccupazione giovanile;
Sul terreno nazionale
anche se non si ottenesse una dilazione degli
impegni per il rispetto del fiscal compact, ad intervenire comunque, in
considerazione della pesante crisi in cui è immerso il nostro Paese, con le
seguenti misure nazionali per uscire dalla recessione e promuovere un modello di
politica economica che faccia leva prioritariamente sullo sviluppo della domanda
interna e rilanci l'occupazione:
- una spesa pubblica aggiuntiva di 20-30
miliardi di euro (oltre ai già previsti 40 miliardi di rimborsi alle imprese)
per i prossimi due-tre anni, in particolare per promuovere un Piano
straordinario per il lavoro, con entrate da fonti che non riducono il reddito
del Paese;
- la redistribuzione del peso
fiscale dai redditi bassi alle rendite ed ai patrimoni che avrebbe un benefico
effetto espansivo;
- l'utilizzo dei fondi della CDP che
potrebbero finanziare un programma di «piccole opere» di investimenti degli enti
locali, restando fuori dal bilancio consolidato delle pp.aa. valido per il
calcolo dell'indebitamento netto;
- la revisione del Patto di stabilità
interno per consentire gli investimenti degli enti territoriali;
- il superamento, con l'introduzione di
nuovi parametri, dell'utilizzo di modelli e indicatori economici inadeguati
nella valutazione reale della congiuntura economico-sociale e di sostenibilità
ambientale del Paese;
- interventi sulle emergenze sociali quali
la proroga delle CIG e delle mobilità in deroga almeno fino alla fine del 2013,
garanzie reddituali per tutti gli esodati, il rinnovo dei contratti per i
precari della PA impiegati in servizi, il non passaggio dell'aliquota standard
dell'IVA dal 21 al 22 per cento, il rinnovo dei contratti di servizio con alcune
aziende pubbliche, la riorganizzazione della Tares, anche rinviando l'entrata in
esercizio del tributo e favorendo pratiche virtuose nella gestione dei
rifiuti;
- a sospendere l'entrata in vigore del DPR
concernente il regolamento recante la disciplina dell'utilizzo di combustibili
solidi secondari (CSS) in parziale sostituzione di combustibili fossili
tradizionali, nei cementifici e alla contestuale abrogazione del Decreto 14
febbraio 2013, n. 22;
- a favorire il raggiungimento degli
obiettivi della Strategia Europa 2020 sulla quota del 20 per cento di fonti
rinnovabili e sull'efficienza energetica attraverso:
la riduscussione della SEN;
la proroga, di almeno un anno, fino al 30
giugno 2014, delle detrazioni fiscali delle spese sostenute per interventi di
recupero del patrimonio edilizio (articolo 16-bis del TUIR introdotto
dall'articolo 4 del decreto legge 201 del 2011), nello specifico gli interventi
compresi nella lettera h) relativi alla realizzazione di opere
finalizzate al conseguimento di risparmi energetici con particolare riguardo
all'installazione di impianti basati sull'impiego delle fonti rinnovabili che
utilizzano componentistica made in UE nonché estensione delle detrazioni ai
detentori di partita iva, alle aziende artigiane e commerciali che utilizzano
comunque componentistica principale di provenienza UE;
prevedere un nuovo conto energia per
impianti residenziali di taglia domestica con utilizzo componentistica
principale UE, autoalimentato dai risparmi sui costi di dispacciamento, di non
programmabilità e di sbilanciamento, generati tramite la promozione
dell'utilizzo dei dispositivi di accumulo (grid parity). Un intervento
dell'Autorità per l'Energia Elettrica e il Gas in questa direzione consentirebbe
di utilizzare i risparmi di accumulo come risorsa per promuovere nuovi impianti
di piccola taglia. Si stima un risparmio complessico intorno a 100 milioni di
euro annui che consentirebbe l'installazione di oltre 300.000 impianti all'anno
di taglia residenziale (3kw);
modificare le regole che attualmente
limitano le SEU (sistemi efficienti di utenza) e le Reti Private, consentendo di
accedere ad esse anche a più impianti associati di produzione entro un limite di
distanza e potenza non punitivo (10 MW ed a valle di un nodo di trasformazione
BT/MT). In questo modo, senza alcuna incentivazione diretta, gli impianti più
efficienti potranno accedere a condizioni di vendita diretta che li renderanno
competitivi;
eliminare il rimborso del rischio
petrolifero previsto per le trivellazioni;
puntare sui terminali di importazione di
metano liquido per i rigassificatori;
prevedere per tutti gli enti della PA
l'obbligo di interventi per l'efficienza energetica da finanziare attraverso
fondi di garanzia finalizzati esclusivamente al risparmio energetico con rate di
ammortamento inferiori al risparmio raggiunto;
prevedere un cronoprogramma per la
dismissione di centrali ad olio combustibile e centrali a carbone partendo da
quelle più vecchie per risolvere l'over capacity;
incentivare la geotermia a ciclo
interamente chiuso e prevedere lo stesso quantitativo di conto energia ma
spostare il termine da 3 a 6 anni.
Attuare un Piano straordinario per
il lavoro che preveda misure per creare da subito centinaia di migliaia di posti
di lavoro veri, qualificati, utili. L'asse di un Piano per il lavoro, deve
consistere innanzitutto nella messa in sicurezza del nostro territorio e degli
edifici scolastici, la cura e la valorizzazione del paesaggio e dei beni
culturali, il rilancio di un'agricoltura multifunzionale, la riqualificazione
delle città, l'efficienza energetica degli immobili, l'innovazione tecnologica,
alla riforma e al rinnovamento della PA e del welfare, all'innovazione e alla
sostenibilità delle reti (trasporti, energia, digitalizzazione del Paese,
...).
Il Piano si dovrà articolare nei seguenti
interventi:
a) un piano straordinario pluriennale
per la difesa del suolo e la bonifica del territorio quale vera e prioritaria
opera infrastrutturale in: grado non solamente di mettere in sicurezza il nostro
fragile territorio, ma di attivare migliaia di cantieri con evidenti ricadute
importanti dal punto di vista economico e occupazionale, anche attraverso
l'affidamento dei lavori di manutenzione agli agricoltori. Solo nell'ultimo
triennio lo Stato ha stanziato circa un miliardo di euro per le emergenze
causate da eventi calamitosi di natura idrogeologica in tredici Regioni. Per la
prevenzione invece, sono stati stanziati solo 2 miliardi di euro in 10 anni,
laddove il fabbisogno necessario per la realizzazione degli interventi per la
sistemazione complessiva delle situazioni di dissesto su tutto il territorio
nazionale è stimato in circa 40 miliardi di euro. Considerando che la messa in
sicurezza del territorio comporta delle spese iniziali che saranno poi più che
ampiamente compensate dai benefici anche economici in termini di minori spese
post-calamità, il Governo dovrà negoziare con la UE una disposizione transitoria
(ad esempio di 5 anni) per mettere questi investimenti fuori dal Patto di
stabilità. In parallelo, lo stesso criterio deve essere seguito per il Patto di
stabilità interno nei confronti delle spese analoghe degli enti
territoriali;
b) l'avvio di un piano
occupazionale e di ripopolamento delle campagne, delle aree montane e collinari
abbandonate che preveda una franchigia fiscale totale per i giovani agricoltori
che si insediano nelle aree demaniali in stato di abbandono; immediato sblocco
del bando di affidamento, sia in affitto che in comodato, delle aree pubbliche e
demani ali ai giovani; incentivi per la promozione dell'agricoltura sociale
quale aspetto della multifunzionalità delle attività agricole, allo scopo di
facilitare l'accesso adeguato e uniforme alle prestazioni essenziali da
garantire ai soggetti svantaggiati, alle famiglie e alle comunità locali in
tutto il territorio nazionale e, in particolare, nelle zone rurali; aumento del
10 per cento, entro cinque anni, della copertura del fabbisogno alimentare
nazionale, anche con politiche di salvaguardia del suolo agricolo e delle
risorse naturali; interventi straordinari a sostegno delle fasce di popolazione
a rischio povertà per garantire che ciascuno in Italia abbia sempre cibo a
sufficienza; dimezzamento della burocrazia a carico delle imprese agricole
attuando misure per un rapido processo di digitalizzazione della PA, per il
coordinamento delle competenze nazionali e regionali e per l'unificazione di
tutti gli adempimenti nel fascicolo aziendale; creazione di un marchio «100 per
cento Italia» da promuovere e tutelare in tutto il mondo; incentivare filiere
agroalimentari gestite dagli agricoltori e sostenere una vera
internazionalizzazione che premi il lavoro, le imprese e il territorio italiani,
disincentivando tutte le forme di delocalizzazione;
c) un concorso straordinario (che
preveda anche l'accesso degli attuali precari) per l'assunzione di giovani nelle
pubbliche amministrazioni che erogano e gestiscono servizi;
d) la riunificazione e l'incremento dei
fondi per i crediti d'imposta per l'assunzione di giovani e donne, nonché il
rifinanziamento del Fondo per l'occupazione giovanile (tramite il
rifinanziamento del Fondo Kyoto) nella green economy scaduto il 26 aprile
2013;
e) la messa in opera di un piano
straordinario per l'occupazione giovanile con l'impiego o l'intervento pubblico
per produrre beni e servizi collettivi e pubblici;
f) la definizione di interventi
prioritari di politica industriale (tra i quali la proroga delle detrazioni
fiscali per l'efficientamento energetico degli edifici);
g) l'incentivazione della riduzione
dell'orario con i contratti di solidarietà;
h) la previsione di un reddito minimo
garantito per i soggetti disoccupati, precariamente occupati o in cerca di prima
occupazione;
oltre ai risparmi detti ed ai proventi
di alcune imposte (tasse ambientali, incrementi dei canoni di concessione, TTF,
...) ad ottenere altre risorse per il Piano per il lavoro da:
- il riordino e la riduzione dell'ammontare
delle agevolazioni e dei trasferimenti alle imprese a fronte della loro incerta
efficacia;
- l'utilizzo di una parte delle
risorse delle fondazioni bancarie, in particolare per quanto concerne il
welfare;
- l'utilizzo programmato dei Fondi
europei;
- l'utilizzo dei Fondi pensione attraverso
progetti per favorire la canalizzazione dei flussi di risparmio verso il
finanziamento degli investimenti di lungo periodo, garantendone i rendimenti
previdenziali;
- un nuovo ruolo per la Cassa Depositi e
Prestiti, sull'esempio francese, che deve consolidare la missione di utilizzare
le sue emissioni obbligazionarie di lungo e lunghissimo termine per attirare i
capitali, su investimenti strategici e di lungo periodo, modificando il ruolo
del Fondo strategico italiano. Si dovrà prevedere l'istituzione di una banca
d'investimento d'interesse pubblico, di una «banca verde», sull'esempio della
Green Investment Bank inglese;
- finanziamenti per circa 25-27 miliardi si
dovranno ottenere da una variante nazionale del programma cosiddetto «Bankoro»
illustrato da Alberto Quadrio Curzio: se Bankitalia trasferisse il proprio oro
(valore al 31 marzo 2013 pari a 98 miliardi di euro) ad un'entità controllata,
le riserve da rivalutazione auree sarebbero realizzate e quindi assoggettate ad
imposta (Ires, aliquota del 27,5 per cento). Il Mef potrebbe utilizzare tali
proventi fiscali per nazionalizzare la proprietà della Banca d'Italia, per
ricapitalizzare la CDP che potrebbe, a sua volta, contribuire a finanziare
adeguatamente le misure del Piano per il lavoro ed a creare anche un Fondo per
il credito alle PMI;
ridurre le spese con le seguenti
misure:
a) revisione delle priorità della legge
obiettivo (ossia le grandi opere pubbliche): investire le limitate risorse
pubbliche disponibili in opere infrastrutturali che siano realizzabili in tempi
certi e con modalità sostenibili, sia in termini di vincoli di bilancio, che,
soprattutto, dal punto di vista ambientale e sociale, procedendo innanzitutto a
riequilibrare le risorse di provenienza pubblica tra quelle destinate alla
costruzione di grandi opere e quelle devolute ad un programma di opere pubbliche
di piccole e medie dimensioni, con particolare riferimento ad interventi di
manutenzione in ambito stradale e ferroviario;
b) riduzione delle spese
militari a partire delle spese per sistemi d'arma (Fregate FREMM e F35); fine
della missione militare in Afghanistan;
c) chiusura dei Centri di
identificazione ed espulsione (CIE);
d) uso di software open source
per le pubbliche amministrazioni;
e) riduzione dei costi della politica
riducendo i livelli di governo (a partire dall'abolizione costituzionale delle
province, aggregazione dei piccoli comuni), le auto blu, decurtando le società
partecipate dallo Stato e dagli enti decentrati, riducendo il numero dei membri
dei relativi CdA e contenendo la proliferazione dei servizi «esternalizzati»,
riducendo drasticamente le consulenze, provvedendo altresì alla revisione dei
compensi per i rappresentanti politici, nonché riformando radicalmente le
attuali norme per i rimborsi elettorali ai partiti, nonché la progressiva
eliminazione del ricorso agli arbitrati per quanto concerne le pubbliche
amministrazioni, eccetera;
sul terreno fiscale:
a) a riprendere quanto prima la
discussione del disegno di legge sulla delega fiscale, interrottasi
prematuramente nel corso della scorsa legislatura, per arrivare alla
promulgazione di un nuovo Testo Unico che metta ordine nel confuso panorama
normativo, e che consentirebbe di migliorare il rapporto tra contribuente e
amministrazione fiscale, e, soprattutto, di operare scelte che vadano nella
direzione di una maggiore equità nella distribuzione del carico fiscale;
b) a rafforzare le misure di
contrasto all'evasione mediante il reinserimento del reato di falso in bilancio,
di disposizioni relative all'abuso del diritto tributario ed il ripristino di
una serie di efficaci norme di lotta all'evasione e all'elusione fiscale
abrogate nelle ultime legislature; introdurre l'obbligo di procedere annualmente
al controllo informatico dei codici fiscali sulla base dei saldi tra redditi
dichiarati e spese e investimenti reali e finanziari a qualsiasi titolo
effettuati, anche in relazione ad indici noti e trasparenti di «incoerenza» tra
indicatori di consumi, investimenti e risparmi rispetto ai redditi dichiarati,
anche a livello di nucleo familiare; impiegare ciò che si dovesse stabilmente
recuperare dalla lotta all'evasione fiscale per ridurre il carico fiscale
soprattutto in favore del lavoro dipendente e delle PMI, in modo alleggerire
l'imposizione diretta sul lavoro ed abbassare una pressione fiscale certamente
nemica della crescita di un tessuto produttivo tra i più trainanti del nostro
Paese;
c) a prevedere una sanatoria fiscale e
contributiva degli immigrati non in regola;
d) ad impedire che da provvedimenti
futuri derivi un aumento della pressione fiscale complessiva oltre il tetto, già
tristemente raggiunto a fine 2012, del 44 per cento del PIL;
e) a prevedere una redistribuzione del
carico fiscale dai redditi da lavoro, dal costo del lavoro per le imprese e
dalla prima casa alle rendite ed ai patrimoni mediante le seguenti misure:
- la riforma del catasto e il
superamento dell'arretratezza del sistema di attribuzione delle rendite
catastali;
- la rimodulazione dell'Imu
favorendo i proprietari della loro casa di abitazione meno abbienti e
compensando la relativa perdita di gettito fiscale introducendo una graduale
progressività aggiuntiva per la fascia dei cespiti immobiliari di valore
catastale superiore;
- la revisione della tassazione IMU sugli
immobili degli enti ecclesiastici e degli enti non commerciali, preservando
quelli strumentali alle attività di tipo istituzionale (es. culturale,
ambientale, ricreativa, sociale, assistenziale, di solidarietà, ecc.), e la
restituzione immediata dell'IMU versata in eccesso dalle imprese agricole, come
previsto dal decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, e non ancora attuato;
- l'aumento della progressività dell'imposta
sui redditi delle persone fisiche (IRPEF) prevedendo un'ulteriore aliquota per i
redditi complessivi lordi che superano i 100 mila euro annui;
- l'incremento delle detrazioni per lavoro
dipendente e carichi familiari e la quota di assegni familiari, compensando il
relativo onere anche con l'aumento dell'aliquota dell'imposta sostitutiva sui
proventi da attività finanziarie;
- l'alleggerimento graduale a favore delle
piccole e medie imprese del carico fiscale sui fattori di produzione consentendo
loro di dedurre dalla base imponibile IRAP la quota corrispondente al costo del
lavoro;
f) a provvedere ad una
revisione del sistema fiscale che finalmente adegui il nostro Paese agli
obiettivi di tutela ambientale che l'Europa ci chiede da tempo, spostando
progressivamente il carico fiscale dal lavoro e dalle imprese al consumo di
risorse energetiche e naturali (cosiddetto «riciclaggio del gettito»), con
l'obiettivo di promuovere crescita, competitività e occupazione, riducendo
l'impatto ambientale delle attività produttive, attraverso l'adozione di una
normativa in materia di fiscalità ambientale che favorisca pratiche virtuose di
gestione del territorio e di uso delle risorse naturali, e preservi e
salvaguardi l'equilibrio ambientale;
g) a stabilire per quei contribuenti
che realizzano un volume d'affari non superiore - per esempio - ad un milione di
euro, che il pagamento dell'Iva debba essere effettuato al momento della
effettiva riscossione del corrispettivo;
h) a calmierare il continuo
aumento del prezzo dei carburanti introducendo nel nostro ordinamento l'accisa
mobile, meccanismo già introdotto con la legge Finanziaria del 2008 ma rimasto
finora inapplicato, che sterilizza i perversi effetti moltiplicatori degli
aumenti del prezzo industriale dei carburanti sull'IVA, al fine di sostenere il
potere d'acquisto dei consumatori;
i) a prevedere maggiori oneri per
l'utilizzo di risorse pubbliche (concessioni);
j) a stabilire l'inclusione
nell'imponibile della Tassa sulle Transazioni Finanziarie di tutti i
derivati;
k) a sopprimere molte delle
agevolazioni fiscali generiche ed inutili alle imprese;
oltre al Piano del lavoro e
all'istituzione di un Fondo per l'erogazione del credito alle PMI, che dovranno
privilegiare le regioni ad obiettivo convergenza, a prevedere:
a) la messa a regime di forme di
credito d'imposta automatico sugli investimenti in ricerca, innovazione e
formazione, a favore delle imprese disposte ad investire nel Mezzogiorno;
b) lo sfruttamento del
potenziale che ha il Sud per la produzione di energie tramite fonti rinnovabili
attraverso il riconoscimento di significative tariffe incentivanti, come
attualmente previsto dal V conto energia, ma limitata ai parchi solari su
terreni delle pubbliche amministrazioni e sui tetti e le serre fotovoltaiche,
per evitare ulteriori speculazioni sui terreni agricoli;
c) l'estensione dell'incremento della
capacità di spesa dei Fondi comunitari delle Regioni obiettivo convergenza,
oggetto del DEF e del decreto legge sui pagamenti della PA, anche alle quote
statali e regionali; non ci si può, infatti, limitarsi ai 1800 milioni di
«nettizzazione» della quota di cofinanziamento europeo;
d) l'avvio di un'innovativa
riprogrammazione del Fondi strutturali europei, sulla scia di quanto inaugurato
dal precedente Ministro per la coesione territoriale non solo per accelerare la
capacità di spesa, ma anche per migliorarne la qualità e l'efficacia, con la
concentrazione su alcuni obiettivi prioritari che non dovrà comunque prescindere
dall'ammodernamento dell'intera rete infrastrutturale del Sud, presupposto
determinante per sfruttarne le potenzialità di piattaforma logistica e di
collocamento geo-strategico che ne fanno il crocevia naturale degli scambi
internazionali lungo le direttrici Nord-Sud e EstOvest;
e) un impegno straordinario per
sconfiggere la criminalità organizzata e tutti quei fenomeni di illegalità, dal
lavoro sommerso alla microcriminalità, che determinano un ambiente sfavorevole
agli investimenti ed allo sviluppo;
ad attuare, infine, nel corso della
legislatura, le seguenti indispensabili riforme:
a) promuovere e sostenere una rapida
approvazione di una legge efficace per contrastare i conflitti di interessi;
b) ripristinare e rafforzare
il controllo di legalità in tutto il ciclo economico pubblico e privato in cui
tracciabilità e prescrizione sulla regolarità dei procedimenti siano assunti
come punti di forza nella lotta alle mafie (norme più incisive in tema di
anticorruzione, riforma del codice degli appalti per contrastare l'infiltrazione
mafiosa, maggior trasparenza nel finanziamento della politica, reintroduzione
del reato di falso in bilancio), abrogando le leggi che premiano i comportamenti
non virtuosi, quali i condoni e l'elusione fiscale, nonché la legge cosiddetta
«ex-Cirielli» che, tra gli effetti negativi introdotti nel sistema, ha
anche accorciato i tempi di prescrizione per gravi reati, dimezzandoli per la
corruzione; limitare le condotte penalmente rilevanti ai fatti realmente gravi e
punire con adeguate sanzioni amministrative le condotte illecite che non creano
danni o allarme sociale; abrogare altresì l'articolo 10-bis del Testo
Unico sull'immigrazione (il cosiddetto «reato di clandestinità») e la legge
n. 49 del 2006 (legge Fini-Giovanardi sulle droghe) che prevedono una risposta
penale, ovvero il carcere, per questioni che, invece, richiedono una risposta
sociale; rinforzare gli strumenti di prevenzione, controllo, incentivare la
celerità dei processi, nonché le misure alternative alla detenzione; promuovere
concrete misure a tutela e sostegno delle vittime dei reati; procedere ad
interventi incisivi sulla struttura e i tempi del processo civile, rinforzando
inoltre gli strumenti di mediazione non obbligatoria e di risoluzione
stragiudiziale delle controversie;
c) promuovere una legge sulla
rappresentanza sindacale; abolire l'articolo 8 del decreto-legge 13 agosto 2011,
n. 138 e ripristinare l'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori; modificare la
riforma del lavoro di cui legge n. 92/2012; modificare la contrarieranno delle
pensioni Fornero; ripristinare la legge 17 ottobre 2007, n. 188, di contrasto al
fenomeno delle dimissioni in bianco;
d) innalzamento dell'obbligo scolastico
a 18 anni, contrasto alla dispersione scolastica specie nel Mezzogiorno;
politica del diritto allo studio; incrementare, nell'ambito del piano nazionale
della ricerca, l'indicazione di misure volte al raggiungimento degli obiettivi
europei relativamente alla percentuale di PIL, che dovrebbe raggiungere il 3 per
cento entro il 2020, da investire nella ricerca e nello sviluppo;
e) ripublicizzazione del servizio
idrico, riorganizzazione dei servizi pubblici locali per bacini di utenza;
f) adozione di ogni iniziativa utile
affinché venga assicurato che gli istituti di credito, che beneficiano della
garanzia di cui all'articolo 8 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201,
convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, provvedano
alla concessione del credito alle PMI ed alle famiglie, ingombrandone
l'attività; rafforzare il Fondo centrale di garanzia per consentire maggiori
finanziamenti alle PMI; stabilire limiti alla distribuzione dei dividendi e dei
bonus a manager ed amministratori; introdurre il divieto delle vendite
allo scoperto, regolamentare l'utilizzo dei derivati; adottare ogni iniziativa
utile alla netta separazione tra le banche d'affari (che si occupano di trading,
investimenti ad alto rischio, speculazioni, acquisizioni e scalate) e le banche
commerciali (che ovviamente pensavano ai depositi dei clienti, a concedere
prestiti e a far fruttare i depositi attraverso investimenti conservativi);
rivedere il quadro degli accordi cosiddetti di «Basilea 3» in materia di
requisiti patrimoni ali delle banche, distinguendo le banche d'affari, per le
quali il rafforzamento patrimoniale è necessario, dalle banche commerciali, che
potrebbero rinforzare il loro patrimonio più lentamente, concentrandosi invece
sul credito ai privati;
g) sviluppo di un vero programma di
edilizia abitativa che ponga al centro l'offerta di alloggi di edilizia
residenziale da destinare alle categorie sociali svantaggiate nell'accesso al
libero mercato degli alloggi in locazione; provvedere a un congruo
rifinanziamento della legge 431/1998 per il sostegno all'accesso alle abitazioni
in locazione per le fasce sociali più disagiate;
h) rifinanziamento dei Fondo rotativo
per il finanziamento delle misure finalizzate all'attuazione del Protocollo di
Kyoto;
i) rifinanziamento su base triennale
del Fondo per la non autosufficienza, incrementando le risorse ad esso
assegnate, attualmente del tutto inadeguate, ed incrementare le risorse
assegnate al Fondo per le politiche sociali, e più in generale, reintegrare i
tagli alle risorse per le politiche socioassistenziali e di sostegno alla
famiglia;
j) sostenere una rapida approvazione
del disegno di legge delega elaborato dalla Commissione Rodotà per la riforma
delle norme del codice civile relative ai beni comuni e pubblici;
l) sospendere l'attuazione della delega
per la riforma dello strumento militare per consentire al Parlamento di
ridiscuterne i termini in relazione alla definizione di un nuovo modello di
difesa;
m) sostenere l'approvazione della
riforma della legge sul Servizio Civile Nazionale per dare, ad almeno 50.000
giovani ogni anno, la possibilità di servire il Paese nel campo dell'assistenza,
nella tutela del patrimonio artistico, ambientale e culturale, della protezione
civile e della cooperazione;
n) rimettere al centro la cultura e i
beni culturali e paesaggistici per favorire la crescita sociale ed economica del
Paese. Gli interventi devono riguardare politiche efficaci ed efficienti di
tutela, promozione, fruizione e gestione sostenibile del patrimonio culturale
italiano; ma anche l'investimento nella produzione culturale e creativa
attraverso una progettazione strategica che coinvolga Stato, enti locali,
operatori del settore e imprese
Allegato B
Congedi e missioni
Sono in congedo i senatori: Bubbico, Ciampi, Guerra,
Malan, Pizzetti e Stucchi.
Gruppi parlamentari, variazioni nella
composizione
Con lettera in data 30 aprile 2013 il Presidente del
Gruppo Movimento 5 Stelle ha comunicato che il senatore Mastrangeli ha cessato
di far parte del Gruppo medesimo. Pertanto il senatore Mastrangeli è componente
del Gruppo Misto.
Gruppi parlamentari, Ufficio di Presidenza
Il Presidente del Gruppo parlamentare Grandi Autonomie e
Libertà ha comunicato che il Gruppo stesso ha deliberato i seguenti incarichi
per l'Ufficio di Presidenza:
Vicepresidente vicario: senatore Antonio Fabio
Scavone;
Vicepresidente: senatore Giovanni Emanuele Bilardi;
Segretario: senatore Giovanni Mauro;
Tesoriere: senatore Giuseppe Compagnone.
Disegni di legge, annunzio di presentazione
Ministro affari europei
(Governo Monti-I)
Delega al Governo per il recepimento delle direttive
europee e l'attuazione di altri atti dell'Unione europea - Legge di delegazione
europea 2013 (587)
(presentato in data 02/5/2013 ) ;
Ministro affari europei
(Governo Monti-I)
Disposizioni per l'adempimento degli obblighi derivanti
dall'appartenenza dell'Italia all'Unione europea - Legge europea 2013 (588)
(presentato in data 02/5/2013 ) ;
Ministro affari esteri
Ministro infrastrutture
Ministro lavoro
Presidente del Consiglio dei ministri
(Governo Monti-I)
Ratifica ed esecuzione della Convenzione
dell'Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL) n. 186 sul lavoro marittimo,
con Allegati, adottata a Ginevra il 23 febbraio 2006 nel corso della 94ma
sessione della Conferenza Generale dell'OIL, nonché norme di adeguamento interno
(589)
(presentato in data 02/5/2013 ) ;
Ministro affari esteri
Presidente del Consiglio dei ministri
(Governo Monti-I)
Ratifica ed esecuzione del Protocollo d'intesa tra il
Governo della Repubblica italiana e l'Organizzazione delle Nazioni Unite per
l'Educazione, la Scienza e la Cultura relativo al funzionamento in Italia, a
Perugia, dell'UNESCO Programme Office on Global Water Assessment, che ospita il
Segretariato del World Water Assessment Programme, fatto a Parigi il 12
settembre 2012 (590)
(presentato in data 02/5/2013 ) ;
senatrice Vicari Simona
Modifica all'articolo 60 del decreto del Presidente della
Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, in materia di sospensione dell'esecuzione
forzata (591)
(presentato in data 30/4/2013 ) ;
senatrice Vicari Simona
Delega al Governo in materia di interventi a favore di
donne ed altri soggetti vittime di violenza o abuso (592)
(presentato in data 30/4/2013 ) ;
senatrice Vicari Simona
Autorizzazione alla sepoltura delle salme dei Re d'Italia
Vittorio Emanuele III e Umberto II nel Pantheon in Roma (593)
(presentato in data 30/4/2013 ) ;
senatori Vicari Simona, Caliendo Giacomo
Modifica al testo unico delle imposte sui redditi, di cui
al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, in materia
di deducibilità e detraibilità delle spese relative al nucleo familiare
(594)
(presentato in data 30/4/2013 ) ;
senatori Cardiello Franco, Villari Riccardo, Mussolini
Alessandra, Fasano Enzo, Longo Eva, De Siano Domenico, D'Anna Vincenzo, Milo
Antonio, Compagna Luigi, Amoruso Francesco Maria, Gentile Antonio, Viceconte
Guido, Fazzone Claudio, Caliendo Giacomo, Aiello Piero, Razzi Antonio,
Chiavaroli Federica
Disposizioni in materia di soppressione dei tribunali per
i minorenni, nonché disposizioni in materia di istituzione di sezioni
specializzate per la famiglia e per i minori presso i tribunali e le corti
d'appello e di uffici specializzati delle procure della Repubblica presso i
tribunali (595)
(presentato in data 30/4/2013 ) ;
senatori Cardiello Franco, Villari Riccardo, Mussolini
Alessandra, Fasano Enzo, Longo Eva, De Siano Domenico, D'Anna Vincenzo, Milo
Antonio, Razzi Antonio, Compagna Luigi, Amoruso Francesco Maria, Gentile
Antonio, Viceconte Guido, Fazzone Claudio, Caliendo Giacomo, Chiavaroli
Federica, Floris Emilio, Aiello Piero, Mandelli Andrea, Esposito Giuseppe,
Minzolini Augusto
Modifica all'articolo 348 del codice penale in materia di
inasprimento della pena per l'esercizio abusivo della professione (596)
(presentato in data 30/4/2013 ) ;
senatori Cardiello Franco, Villari Riccardo, Mussolini
Alessandra, Fasano Enzo, Longo Eva, De Siano Domenico, D'Anna Vincenzo, Milo
Antonio, Razzi Antonio, Compagna Luigi, Amoruso Francesco Maria, Gentile
Antonio, Viceconte Guido, Fazzone Claudio, Caliendo Giacomo, Aiello Piero,
Esposito Giuseppe, Chiavaroli Federica
Disposizioni in materia di personale addetto ai centri di
prima accoglienza ed alle comunità per i minorenni (597)
(presentato in data 30/4/2013 ) ;
senatore Colucci Francesco
Modifiche al codice civile in materia di cognome dei figli
(598)
(presentato in data 02/5/2013 ) ;
senatore Colucci Francesco
Disposizioni concernenti la raccolta e l'utilizzo delle
cellule staminali da cordoni ombelicali a fini terapeutici e di ricerca
(599)
(presentato in data 02/5/2013 ) ;
senatore Stefano Dario
Norme in materia di valorizzazione delle aree agricole e
di contenimento del consumo del suolo (600)
(presentato in data 03/5/2013 ) ;
senatrice Bertuzzi Maria Teresa
Introduzione degli articoli 613-bis e 613-ter del codice
penale in materia di tortura (601)
(presentato in data 03/5/2013 ) ;
senatrice Pezzopane Stefania
Modifica al decreto-legge 9 febbraio 2012, n. 5,
convertito, con modificazioni, dalla legge 4 aprile 2012, n. 35, in materia di
riconversione del comparto bieticolo saccarifero (602)
(presentato in data 06/5/2013 ) ;
senatori Alberti Casellati Maria Elisabetta, D'Ambrosio
Lettieri Luigi, Cassano Massimo, Bruno Donato, Bonfrisco Anna Cinzia, Rizzotti
Maria, Esposito Giuseppe, Iurlaro Pietro, Dalla Tor Mario, Bernini Anna Maria,
Caliendo Giacomo, Liuzzi Pietro
Modifica all'articolo 49 del decreto legislativo 21
novembre 2007, n. 231, e successive modificazioni, in materia di innalzamento
del limite all'uso del contante (603)
(presentato in data 06/5/2013 ) .
Documenti, presentazione di relazioni
A nome della Commissione speciale per l'esame dei disegni di
legge di conversione di decreti-legge e di altri provvedimenti urgenti
presentati dal Governo, sono state presentate:
dalla senatrice Rita Ghedini, la relazione sul "Documento di
economia e finanza 2013" (Doc. LVII, n. 1-A);
dal senatore Molinari, la relazione di minoranza sul "Documento
di economia e finanza 2013" (Doc. LVII, n. 1-A/bis).
Governo, trasmissione di atti
Il Ministro della difesa, con lettera in data 10 aprile
2013, ha inviato, ai sensi dell'articolo 536, comma 1, del codice
dell'Ordinamento militare, di cui al decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66,
come modificato dalla legge 31 dicembre 2012, n. 244, il Documento programmatico
pluriennale per la Difesa per il triennio 2013-2015 (Atto n. 23).
Governo, nomina di Sottosegretari di Stato
Il Presidente del Consiglio dei ministri, in data 3 maggio
2013, ha inviato la seguente lettera:
"Onorevole Presidente,
informo la S.V. che il Presidente della Repubblica, con
proprio decreto in data odierna, adottato su mia proposta, sentito il Consiglio
dei Ministri, ha nominato i seguenti Sottosegretari di Stato:
alla Presidenza del Consiglio dei Ministri:
on. dott.ssa Maria Teresa AMICI;
on. Michaela BIANCOFIORE;
dott.ssa Sabrina DE CAMILLIS;
ing. Walter FERRAZZA;
on. avv. Giovanni LEGNINI;
sig. Gianfranco MICCICHE';
agli Affari esteri:
on. dott. Bruno ARCHI;
dott.ssa Marta DASSU';
sig. Mario GIRO;
on. dott. Lapo PISTELLI;
all'Interno:
on. dott. Gianpiero BOCCI;
sen. dott. Filippo BUBBICO;
dott. Domenico MANZIONE;
alla Giustizia:
on. avv. Giuseppe BERRETTA;
dott. Cosimo Maria FERRI;
alla Difesa:
on. dott. Gioacchino ALFANO;
sen. prof.ssa Roberta PINOTTI;
all'Economia e alle finanze:
on. Pier Paolo BARETTA;
on. dott. Luigi CASERO;
on. dott. Stefano FASSINA;
on. dott. Alberto GIORGETTI;
allo Sviluppo economico:
dott. Carlo CALENDA;
prof. Antonio CATRICALA';
prof. Claudio DE VINCENTI;
sen. dott. Simona VICARI;
alle Politiche agricole alimentari e forestali:
on. Giuseppe CASTIGLIONE;
dott. Maurizio MARTINA;
all'Ambiente e alla tutela del territorio e del mare:
sig. Marco Flavio CIRILLO;
alle Infrastrutture e ai trasporti:
dott. Erasmo DE ANGELIS;
dott. Vincenzo DE LUCA;
sig. Rocco GIRLANDA;
al Lavoro e alle politiche sociali:
on. dott. Carlo DELL'ARINGA;
sen. prof.ssa Maria Cecilia GUERRA;
on. dott.ssa Jole SANTELLI;
all'Istruzione, all'università e alla ricerca:
dott. Gianluca GALLETTI;
dott. Marco ROSSI-DORIA;
dott. Gabriele TOCCAFONDI;
ai Beni e alle attività culturali:
on. dott.ssa Ilaria Carla Maria BORLETTI DELL'ACQUA;
dott.ssa Simonetta GIORDANI;
alla Salute:
sig. Paolo FADDA;
F.to Enrico Letta".
Interrogazioni, apposizione di nuove firme
I senatori Micheloni e Granaiola hanno aggiunto la propria
firma all'interrogazione 3-00043 della senatrice Fabbri ed altri.
Il senatore Martini ha aggiunto la propria firma
all'interrogazione 3-00040 della senatrice Fedeli ed altri.
Interrogazioni
FRAVEZZI -
Al Ministro dello sviluppo economico - Premesso che:
il decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28, in attuazione
della direttiva 2009/28/CE sulla promozione dell'uso dell'energia da fonti
rinnovabili, all'articolo 15, istituisce un sistema di qualificazione degli
installatori di impianti che operano nel settore dell'energia da fonti
rinnovabili: fotovoltaico, a biomasse, solare termico, pompe di calore e
geotermia, che impedisce a larga parte degli stessi di potersi qualificare;
il richiamato art. 15 precisa che la qualifica
professionale necessaria è conseguita col possesso dei requisiti tecnico
professionali di cui, in alternativa, alle lettere a), b) o
c) del comma 1 dell'articolo 4 del decreto del Ministro dello sviluppo
economico 22 gennaio 2008, n. 37;
tale normativa esclude senza motivazione gli installatori
che hanno ottenuto i requisiti di cui alla lettera d) dell'art. 4 dello
stesso decreto ministeriale (prestazione lavorativa svolta, alle dirette
dipendenze di una impresa abilitata nel ramo di attività cui si riferisce la
prestazione dell'operaio installatore per un periodo non inferiore a 3 anni,
escluso quello computato ai fini dell'apprendistato e quello svolto come operaio
qualificato, in qualità di operaio installatore con qualifica di
specializzato);
considerato che:
la norma è lacunosa in quanto nulla dispone in merito alle
posizioni giuridiche dei suddetti responsabili tecnici (titolari o dipendenti),
qualificati in base all'art. 4, lettera d), del decreto ministeriale n.
37 del 2008, esistenti precedentemente e contemporaneamente all'entrata in
vigore del decreto legislativo n. 28 del 2011;
la disposizione, inoltre, non fa alcun riferimento
all'abilitazione che la normativa vigente riconosce in capo ai responsabili
tecnici, che abbiano lavorato per almeno 3 anni in qualità di operaio
specializzato, maturando un'esperienza professionale abitualmente non inferiore
a 10 anni di attività nel settore;
a quanto risulta all'interrogante l'effetto della
normativa sarebbe dunque l'implicito impedimento ai soggetti che hanno svolto
esclusivamente un'esperienza professionale, ai sensi dell'art. 4, lettera
d), del predetto decreto ministeriale, viene impedito, a far data dal 1°
agosto 2013, di continuare a svolgere la loro consueta attività di installazione
di pannelli solari o fotovoltaici, a biomasse, solari termici, pompe di calore e
geotermici, perché esclusi dal campo di applicazione dell'art. 15 del decreto
legislativo n. 28 del 2011;
la normativa appare in palese contrasto non soltanto con
altre normative vigenti, ma anche con il diritto comunitario, poiché tale
esclusione non solo non trova alcun fondamento nella direttiva 2009/28/CE ma si
pone in palese violazione del principio comunitario di libera concorrenza e di
quello costituzionale di uguaglianza sostanziale;
considerato altresì che:
per effetto della normativa ad un responsabile tecnico di
un'impresa (titolare o dipendente), che installa da anni impianti del settore
FER, attualmente qualificato in base al predetto criterio, verrebbe di diritto
impedito di proseguire l'attività svolta da prima dell'entrata in vigore dei
nuovi requisiti;
nell'attuale fase di crisi economica, si avrebbe il
paradossale ed immotivato risultato di negare ad oltre 80.000 imprese
attualmente in attività la possibilità di qualificarsi e di continuare ad
operare in uno dei pochi settori di mercato che mostra ancora potenzialità di
crescita, pur attraversando un momento di appannamento rispetto alle
performance degli ultimi anni,
si chiede di sapere:
se il Ministro in indirizzo intenda attivarsi al fine di
effettuare con urgenza una modifica legislativa che consenta ai responsabili
tecnici (titolari o dipendenti) già abilitati ai sensi dell'art. 4, lettera
d), del decreto ministeriale n. 37 del 2008, di poter continuare a
svolgere la loro attività anche successivamente al 1° agosto 2013, data di
entrata in vigore dei nuovi requisiti previsti dall'art. 15, del decreto
legislativo n. 28 del 2011;
se ritenga di prevedere per gli stessi, a far data dal 1°
agosto 2013, esclusivamente l'obbligo di frequenza al corso di aggiornamento
obbligatorio a norma dell'allegato 4 al decreto legislativo n. 28 del 2011,
punto 1, lettera f).
(3-00045)
Interrogazioni orali con carattere d'urgenza ai sensi
dell'articolo 151 del Regolamento
ORELLANA, CIOFFI, TAVERNA, ENDRIZZI, BOTTICI, SERRA, BENCINI, MOLINARI, PETROCELLI -
Al Ministro dell'interno - Premesso che:
sono convocati per i giorni di domenica 26 maggio e lunedì
27 maggio 2013 i comizi elettorali per lo svolgimento dell'elezione diretta del
sindaco e del Consiglio comunale di Alagna Lomellina (Pavia);
come risulta dall'albo pretorio del medesimo Comune, alla
competizione elettorale locale si sono presentate due liste, politicamente
riconducibili alla estrema destra denominate: «Movimento Fascismo e libertà» e
«Movimento Nazionalista e Socialista dei Lavoratori»;
a giudizio degli interroganti, al netto dei programmi
politici ed elettorali delle suddette liste, ascrivibili a tematiche di marcata
valenza territoriale ed amministrativa, le dizioni letterali si pongono
apertamente in contrasto con la disciplina costituzionale ed ordinaria;
considerato che:
la XII disposizione transitoria e finale della
Costituzione dispone che «È vietata la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma,
del disciolto partito fascista»;
con sentenza del 6 marzo 2013, n. 1354, la Quinta Sezione
del Consiglio di Stato ha affermato che «il diritto di associarsi in un partito
politico, sancito dall'art. 49 Costituzione, e quello di accesso alle cariche
elettive, ex art. 51 Costituzione, trovano un limite nel divieto di
riorganizzazione del disciolto partito fascista imposto dalla XII disposizione
transitoria e finale della Costituzione». Tenendo presente che: a) «detto
precetto costituzionale, fissando un'impossibilità giuridica assoluta e
incondizionata, impedisce che un movimento politico formatosi e operante in
violazione di tale divieto possa in qualsiasi forma partecipare alla vita
politica e condizionarne le libere e democratiche dinamiche»; b)
«l'attuazione di tale precetto, sul piano letterale come sul versante
teleologico, non può essere limitata alla repressione penale delle condotte
finalizzate alla ricostituzione di un'associazione vietata ma deve essere estesa
ad ogni atto o fatto che possa favorire la riorganizzazione del partito
fascista»;
premesso altresì che, a giudizio degli interroganti, sotto
il profilo dei possibili impatti pratico-operativi, gli artt. 30 e 33 del testo
unico delle leggi per la composizione e la elezione degli organi delle
Amministrazioni comunali di cui al decreto del Presidente della Repubblica 16
maggio 1960, n. 570, nel fissare i casi di esclusione e di correzione dei
contrassegni e delle liste elettorali, presuppongono implicitamente la
legittimazione costituzionale del movimento o partito politico alla stregua
della XII disposizione transitoria e finale della Costituzione, tenendo conto
che le disposizioni in parola si riferiscono a situazioni in astratto
assentibili sul piano della superiore normativa costituzionale, senza fungere da
garanzia per situazioni già vietate, in via preliminare e preventiva,
dall'ordinamento costituzionale; pertanto, l'impossibilità che il movimento o
l'associazione a cui si riferisce il simbolo o la lista partecipi alla vita
politica postula, in via implicita ma necessaria, il potere della Commissione
elettorale mandamentale di cui al citato testo unico di ricusare la lista o i
simboli attraverso i quali si persegue il fine non conforme alla Costituzione.
Non a caso, infatti, sono state dichiarate legittime la ricusazione del
contrassegno e l'esclusione della lista in ragione del richiamo del partito
fascista nel simbolo e nella dizione letterale,
si chiede di sapere:
se al Ministro in indirizzo risulti che le liste di cui in
premessa siano state ammesse e, in caso positivo, quali risultino essere state
le ragioni che hanno determinato, entro il giorno successivo a quello della
presentazione delle candidature, la mancata ricusazione delle liste
menzionate;
quali interventi urgenti il Ministro in indirizzo intenda
porre in essere, anche attraverso l'Ufficio territoriale del Governo, al fine di
impedire il perfezionamento del procedimento elettorale in itinere,
riferito alla eventuale elezione di candidati appartenenti a liste presentate, a
giudizio degli interroganti, in aperto contrasto con la Carta costituzionale e
con la normativa vigente, come ribadito dalla giurisprudenza del Consiglio di
Stato;
se non ritenga opportuno, ove dovesse risultare eletto un
candidato delle liste suddette, promuovere ogni congrua iniziativa di propria
competenza volta allo scioglimento del Consiglio comunale di Alagna Lomellina,
in forza di atti contrari alla Costituzione e per gravi e persistenti violazioni
di legge.
(3-00046)
D'AMBROSIO
LETTIERI - Al Presidente del Consiglio dei ministri e ai Ministri dello
sviluppo economico, dell'economia e delle finanze e per gli affari regionali e
le autonomie - Premesso che:
l'Ente autonomo Fiera del Levante - ente pubblico
economico avente rilievo internazionale - fondato nel 1929 dal Comune,
dall'Amministrazione provinciale e dalla Camera di commercio di Bari, che opera
principalmente al servizio del grande mercato centromeridionale, ma allarga il
suo campo operativo anche al Sud-Est europeo ed all'area mediterranea, potrebbe
e dovrebbe rappresentare un volano per l'economia dell'intera regione Puglia e
di tutto il Centro-Sud del Paese;
l'Ente autonomo Fiera del Levante, la cui sede è Bari, ha
come obiettivo, sancito nello statuto così come modificato dal Consiglio
generale del 12 dicembre 2011, la gestione del proprio quartiere fieristico al
fine di promuovere lo sviluppo economico della regione Puglia e più in generale
dell'intera Italia;
la promozione delle iniziative fieristiche, rinnovate e
specializzate di anno in anno, dovrebbe, quindi, nell'attività dell'Ente stesso,
avere un ruolo strategico sul piano economico e favorire la promozione
commerciale degli imprenditori in Italia e all'estero;
nelle more della piena attuazione della legge regionale 9
marzo 2009, n. 2, l'Ente autonomo Fiera del Levante organizza e gestisce eventi
fieristici e/o congressuali sia nel proprio quartiere che altrove;
premesso, inoltre, che, a quanto risulta
all'interrogante:
il bilancio per l'esercizio sociale 2011, approvato dal
consiglio di amministrazione dell'ente in data 30 luglio 2012, evidenzia una
perdita pari a 2.346.350 euro;
dall'analisi dei bilanci dell'ultimo triennio il Collegio
dei revisori dei conti ha rilevato che vi sono state perdite rispettivamente
pari a euro 4.116.232,51 per l'esercizio 2010, a euro 4.745.640,29 per
l'esercizio 2009 ed a euro 867.050,43 per l'esercizio 2008;
per dette perdite, a far data dal 2008, è stato disposto
il riporto a nuovo quale modalità di ripianamento dei disavanzi di gestione;
il Collegio dei revisori pro tempore, nella
relazione annuale al bilancio consuntivo 2011, ha, inoltre, rilevato che l'Ente
aveva licenziato il bilancio di previsione con il risultato a pareggio, ma che
le risultanze del bilancio consuntivo si erano rivelate non in linea con le
previsioni iniziali, chiudendo l'esercizio con una perdita pari ad euro
2.346.350;
i medesimi revisori, inoltre, per due esercizi
consecutivi, hanno altresì rilevato nelle proprie relazioni al bilancio, che i
risultati di gestione non consentivano di affermare che vi era continuità
aziendale, per cui necessitavano interventi urgenti e concreti orientati al
ripristino delle condizioni di bilancio utili per la continuità d'esercizio;
anche nelle relazioni della Società di revisione
incaricata di certificare gli ultimi due bilanci dell'Ente, posta la particolare
situazione economico finanziaria in cui l'ente versava, viene richiamata la
valutazione della continuità aziendale;
l'esame della situazione contabile provvisoria al 31
dicembre 2012 evidenzia un rilevante peggioramento delle risultanze contabili,
fatte salve eventuali variazioni di chiusura;
anche il bilancio di previsione 2013 non è stato
presentato nei termini previsti;
il Collegio dei revisori ha quindi maturato il
convincimento che sia venuta meno la sostenibilità del principio di continuità
dell'ente;
nel piano triennale 2012-2014 della Fiera del Levante è
evidenziato che la Fiera dovrà affrontare profondi cambiamenti e
discontinuità;
premesso, infine, che:
il comma 4 dell'articolo 1 del citato statuto prevede che
l'Ente non ha scopo di lucro nel rispetto del principio del pareggio di
bilancio; il comma 2 dell'articolo 5 dello statuto rimarca che l'Ente è tenuto
al pareggio d'esercizio;
l'esercizio finanziario dell'Ente, a norma dell'articolo
16 dello statuto, comincia il 1° gennaio e ha termine il 31 dicembre; il
Consiglio generale approva entro il 31 maggio il bilancio dell'esercizio
precedente ed entro il 15 dicembre il bilancio preventivo nonché la relazione
previsionale e programmatica;
le disposizioni statutarie, quindi, nell'ottica del
principio della continuità aziendale, richiederebbero, una serie di interventi
aventi natura strutturale in grado di assicurare la stessa continuità
aziendale;
la trasformazione dell'Ente Fiera in una prospettiva
diversa dalle precedenti impostazioni, espressione di una nuova visione sociale
e strutturale, non ha, ad avviso dei collegio dei revisori, prodotto i risultati
programmati sul piano economico e finanziario;
rilevato che:
lo scorso aprile, il presidente dell'Ente autonomo Fiera
del Levante, nominato con deliberazione del Consiglio regionale del 1° marzo
2011, si è dimesso dopo che il consiglio di amministrazione dell'ente medesimo
gli aveva revocato le deleghe in sede di riunione per l'approvazione dei
documenti contabili,
l'interrogante chiede di sapere:
se il Presidente del Consiglio dei ministri e i Ministri
in indirizzo siano a conoscenza di quanto riportato e in particolare: se risulti
l'esistenza di un piano di azione per l'Ente Fiera del Levante e se lo stesso
sia adeguato a garantire la continuità aziendale dell'Ente stesso; se risulti la
predisposizione del bilancio 2013; se risulti che la regione Puglia ha posto in
essere tutte le attività di vigilanza a norma della legge regionale n. 2 del
2009 e, in caso negativo, se risultino i motivi per i quali non ha accertato
eventuali violazioni in tema di organizzazione di manifestazioni non locali;
quale risulti essere l'attuale situazione debitoria dell'Ente autonomo Fiera del
Levante; se risulti che il Consiglio regionale intenda riunirsi per procedere
alla nomina del nuovo presidente dell'Ente autonomo Fiera del Levante, in quali
tempi e in base a quali criteri; se risultino irregolarità nella gestione
dell'Ente autonomo Fiera del Levante e, in caso affermativo, a carico di chi e
per quali fatti;
se ritengano, ove risultino accertate gravi irregolarità
gestionali, di doverne dare comunicazione alla sezione regionale della Corte dei
conti al fine di acquisirne le relative valutazioni di ordine
economico-finanziario;
se e quali iniziative intendano porre in essere con
urgenza al fine di concorrere al rilancio dell'Ente autonomo Fiera del Levante
e, in conseguenza, dell'economia e dello sviluppo delle aree di interesse
economico e finanziario.
(3-00047)
Interrogazioni con richiesta di risposta scritta
DE PIN - Al
Ministro della giustizia - Premesso che Luigi Preiti, padre di un bambino di
11 anni, è il responsabile della sparatoria avvenuta davanti a Palazzo Chigi il
28 aprile 2013, che ha provocato il ferimento di due carabinieri e di una
passante;
considerato che alcune reti televisive hanno realizzato
un'intervista al figlio, al momento, presumibilmente, in uno stato psicofisico
particolare, intervista a parere dell'interrogante inopportuna e che squalifica
un certo modo di fare giornalismo;
rilevato che esistono regole elementari della professione,
nonché obblighi deontologici e prescrizioni: in particolare si ricorda la Carta
di Treviso, che regola diritti e doveri dei professionisti dell'informazione nei
confronti dell'infanzia;
ritenuto che, a giudizio dell'interrogante:
l'undicenne, che al momento avrebbe bisogno di calore e
silenzio e non certamente di pubblicità, ha invece subito un grave sopruso alla
sua immagine, alla sua persona, alla sua intimità, per puro desiderio di
sensazionalismo, senza alcuna remora morale, senza alcun rispetto della
deontologia professionale;
sia necessario ritrovare sensibilità ed umanità per
consentire ad un ragazzo di 11 anni, pure lui vittima inconsapevole ed innocente
dell'agguato davanti a palazzo Chigi, di non subire danni aggiuntivi,
si chiede di sapere se il Ministro in indirizzo non
intenda assumere iniziative al fine di esprimere, nel modo in cui riterrà
opportuno, e comunque fermamente, contrarietà e condanna per il comportamento
descritto, a giudizio dell'interrogante avverso a qualsiasi sentimento umano di
considerazione ed empatia, nell'ottica di garantire il pieno rispetto della
disciplina sulla privacy, del Codice dei giornalisti e della Carta di
Treviso.
(4-00131)
BOTTICI - Al
Ministro del lavoro e delle politiche sociali - Premesso che, a giudizio
dell'interrogante::
la condizione lavorativa in cui versa il Paese è forse la
più tragica dal dopoguerra ad oggi;
la recente riforma pensionistica introdotta con il
decreto-legge n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 214
del 2011, cosiddetto decreto salva-Italia, varata dal Governo Monti, ha
proseguito nell'opera di disinteressamento nei confronti di alcune categorie di
lavoratori, cui appartengono però milioni di persone (professionisti, lavoratori
precari subordinati, dottori di ricerca, collaboratori a progetto, addetti alle
vendite porta a porta) per le quali, per il periodo o i periodi lavorativi nei
quali risultano assunte secondo queste tipologie di contratto, i contributi
previdenziali sono stati versati presso l'Istituto nazionale di previdenza
sociale (Inps) nella gestione separata istituita con legge n. 335 del 1995;
premesso altresì che:
il conseguimento del diritto all'accesso al trattamento
pensionistico è subordinato alla maturazione da parte del lavoratore di
un'anzianità contributiva minima, stabilita in trentacinque anni dalla legge n.
247 del 2007;
il lavoratore, che per tipologia di contratto lavorativo
risulti contribuente della gestione separata presso l'Inps, e che termini la
propria attività prima di aver maturato l'anzianità contributiva prescritta, non
potrà quindi accedere al trattamento pensionistico corrispondente ai contributi
previdenziali versati, che, definiti in questo caso "silenti", risulteranno dal
lavoratore versati a fondo perduto;
ciò è quanto avviene per tutti quei lavoratori che, per
esempio, dopo un periodo di lavoro precario o autonomo, riescono ad accedere ad
un impiego a tempo indeterminato, come per tutte quelle donne che scelgono di
interrompere un'attività lavorativa precaria per dedicarsi alla famiglia;
tali contributi silenti interessano oggi un'ampia fetta di
cittadini, in gran parte i più svantaggiati per condizioni economiche, i
precari, quelli di giovane età, quelli ignari del meccanismo della gestione
separata, che non percepiranno in futuro le pensioni che spetterebbero loro per
i periodi di lavoro trascorsi con contratti precari e atipici;
l'Ente previdenziale utilizza inoltre tali contributi
versati negli anni per la gestione separata, ma non percepibili dal lavoratore
che abbia mutato tipologia di impiego, per corrispondere i trattamenti ai
contribuenti della gestione ordinaria che hanno maturato i termini per accedere
al trattamento pensionistico;
rilevato che il direttore generale dell'Inps, dottor Mauro
Nori, ha recentemente dichiarato (28 gennaio 2013) in una intervista rilasciata
al quotidiano economico "Italia Oggi", che sono "diversi milioni" i lavoratori
interessati da questo problema, e che, se l'Inps dovesse restituire i contributi
silenti, "rischierebbe il default". Il quotidiano stima in circa 10
miliardi di euro la cifra oggetto di una tale ipotesi,
si chiede di sapere:
se il Ministro in indirizzo non ritenga necessario
adottare gli opportuni atti normativi, e quali, relativamente alla questione
descritta in premessa riguardante i cosiddetti contributi silenti, in modo tale
che i medesimi siano finalizzati a garantire il riconoscimento ai fini
previdenziali di ogni periodo di attività e di ogni tipologia di impiego per i
quali il lavoratore abbia versato i contributi;
quale risulti essere l'ammontare totale dei cosiddetti
contributi silenti, ovvero quei contributi previdenziali versati senza che gli
stessi abbiano dato luogo alla maturazione di un corrispondente trattamento
pensionistico, allo stato attuale e nella previsione dei prossimi anni.
(4-00132)
DE POLI - Al
Ministro della giustizia - Premesso che:
l'articolo 1, comma 2, della legge 14 settembre 2011, n.
148, stabilisce il riordino delle circoscrizioni giudiziarie e la revisione
della struttura giudiziaria, prevedendo la chiusura di oltre 600 uffici di
giudici di pace o, in alcuni casi, il loro accorpamento a quelli della
principale città più vicina;
il 10 agosto 2012, il Consiglio dei ministri ha dato via
libera definitivo ai decreti legislativi di revisione delle circoscrizioni
giudiziarie, prevedendo la soppressione di tutte le 220 sedi distaccate di
tribunale, tra cui anche quella di Adria (Rovigo), la riduzione e l'accorpamento
di 31 tribunali e disponendo la soppressione di 667 uffici di giudici di
pace;
la definizione delle sedi che dovrebbero essere
interessate dalla disposizione governativa non tiene in adeguata considerazione
alcuni importanti aspetti, quali il numero degli abitanti del bacino di utenza,
il carico di lavoro e l'estensione del territorio;
con riferimento alla sezione distaccata di Adria, si
evidenzia chiaramente come la decisione del Governo abbia determinato estrema
preoccupazione negli abitanti del territorio, tra gli amministratori locali e
tra la cittadinanza. La soppressione determinerebbe infatti grande disagio ai
cittadini della città e di tutte le città limitrofe che si trovano nell'area dei
comuni del delta del Po che dovrebbero recarsi così al presidio di giustizia più
vicino, anche solo per assolvere adempimenti, e ciò nonostante l'elevata
distanza dal tribunale più vicino, ovvero Rovigo, difficilmente raggiungibile a
causa della scarsità dei servizi di collegamento tra le due città;
organi di stampa locale ("Corriere del Veneto" del 19, 20
e 26 aprile 2013) riportano come i Comuni del delta, a causa dei numerosi tagli
ai bilanci, non riescono a trovare un'intesa economica per il mantenimento
dell'ufficio del giudice di pace di Adria;
la sede del tribunale di Rovigo soffre per la carenza di
giudici e non dispone di locali adeguati per svolgere la funzione di
amministrazione della giustizia, e nell'ipotesi di accorpamento delle sedi
distaccate si rischierebbe la paralisi giudiziaria,
si chiede di sapere se il Ministro in indirizzo non
ritenga opportuno disporre la proroga della soppressione della sezione staccata
di Adria, valutando altresì, qualora emergano le condizioni, la possibilità di
rivedere l'attuale provvedimento.
(4-00133)
SCILIPOTI, AIELLO, CARIDI, GENTILE - Al
Ministro delle infrastrutture e dei trasporti - Premesso che:
il progetto della "strada Mare-Monti" della Provincia di
Reggio Calabria ha l'obiettivo di rinaturalizzare e riqualificare i tratti in
dismissione dell'autostrada Salerno-Reggio Calabria, tra le città di Bagnara e
Scilla, attraverso il riutilizzo in parte delle due carreggiate esistenti;
i lavori diretti dall'Anas non riguardano semplicemente
l'ampliamento della A3 preesistente, ma la realizzazione di un'autostrada
moderna e sicura, integralmente distaccata da quella vecchia, sulla quale
incombe una proposta di demolizione a giudizio dell'interrogante inutile;
la dismissione del tratto autostradale non solo sarebbe un
inutile spreco, visto che l'opera è già stata realizzata, ma significherebbe
anche privare la Calabria di un collegamento essenziale tra mare e monti e
penalizzare pesantemente la viabilità interna tra i comuni coinvolti in quel
tratto,
si chiede di sapere se, alla luce dell'imminente tavolo di
confronto tecnico tra la Provincia di Reggio Calabria, la Prefettura e l'Anas
per discutere della realizzazione della strada di sicurezza "Mare-Monti", il
Ministro in indirizzo non ritenga di sospendere la demolizione del vecchio
tratto della A3 che collega le città di Bagnara e Scilla, in attesa di
verificare la fattibilità di tale progetto.
(4-00134)
PEPE - Al
Ministro della salute - Premesso che:
in data 31 marzo 2013, grazie alla trasmissione di Rai 3
"Presa diretta", l'intera Italia ha preso coscienza del gravissimo pericolo per
la salute pubblica rappresentato dall'inquinamento da policlorobifenili (Pcb),
sostanze simili alla diossina di cui la rivista internazionale "Lancet
Oncology", in data 14 marzo 2013, ha pubblicato la riclassificazione della IARC
(International agency for research on cancer), che li indica come cancerogeni
certi di classe I;
il Ministro della salute pro tempore, attraverso il
confronto con i medici dell'ambiente della Regione Campania, ha preso coscienza
e conoscenza che, in modo assolutamente differente da quanto riportato dalle
autorità sanitarie locali, nelle province di Napoli e Caserta si registra da
anni lo sversamento illegale, attraverso tir della camorra provenienti dal nord
e non tracciati, di una moltitudine di pericolosissimi veleni industriali: tra
gli altri risultano sversati nelle campagne quantitativi eccezionali di sostanze
tipo policlorobifenili, riscontrate in abnormi concentrazioni nei terreni della
Campania e in particolare a Giugliano, Acerra e Caivano sin dal 1992 (studi
Sogin), e di cui nel febbraio 2013 si è riscontrata la presenza 70 volte oltre
la media nei cavoli attualmente coltivati e diffusi nelle campagne di Caivano,
che sono stati sequestrati e analizzati dalla guardia forestale regionale;
la conseguenza è un gravissimo inquinamento delle matrici
organiche anche umane dei cittadini campani, e l'interrogante ha effettuato
analisi tossicologiche individuali che mostrano valori di diossine e
policlorobifenili superiori a quelli che, secondo quanto denunciato dalla
trasmissione "Presa diretta", risultano dalle analisi dei cittadini bresciani:
infatti a Brescia risultano sversati i residui di produzione non venduti
dall'azienda Caffaro, mentre in Campania, come dimostrato da numerose indagini
della magistratura (buone ultime quelle del processo cosiddetto "Carosello"
appena terminato presso la procura di Napoli), sono invece stati raccolti e
sversati tutti i Pcb prodotti e venduti in Italia dalla Caffaro, a seguito del
dimostrato comportamento criminale della malavita locale, riscontrato grazie
alle confessioni del pentito Vassallo;
l'interrogante non solo ha dovuto riscontrare nel proprio
sangue valori eccezionalmente alti di Pcb, ma è anche affetto da patologie
correlabili a tale inquinamento come cancro (linfoma non Hodgkin),
diabete e sindrome dismetabolica. I cittadini della Campania ormai sono, con
evidenza, colpiti più di quelli delle altre regioni da patologie quali diabete e
cancro, dunque palesemente correlabili ad un rarissimo inquinamento ambientale
con danno alla salute pubblica ancora in atto. Tali patologie non sono quindi, a
parere dell'interrogante, attribuibili ai soli stili di vita individuali, come
invece si è tentato di far credere;
sin dal 16 gennaio 2008 il tossicologo dottor Antonio
Marfella, in audizione presso la Commissione parlamentare d'inchiesta
sull'efficacia e l'efficienza del Servizio sanitario nazionale del Senato,
relazionava di tale eccezionale concentrazione di policlorobifenili e diossina,
riscontrata sia nel proprio sangue sia in quello dei pastori di Acerra della
famiglia Cannavacciuolo, ma sin dal 2008 la risposta dello Stato e della Regione
Campania è stata pressoché nulla, sia in termini di accertamento del danno reale
che di tutela della salute pubblica. Nella regione, a partire dal 2008, sono
state effettuate soltanto 86 analisi di diossina e Pcb, per una popolazione
esposta di circa 3 milioni di abitanti, a fronte del fatto che per i non più di
25.000 cittadini bresciani sono state effettuate non meno di 1.200 analisi
individuali. Inoltre nessun cittadino campano può disporre presso le locali
strutture sanitarie di analisi di diossina e PCB a carico dello Stato: è
possibile rivolgersi soltanto, a proprie spese, a centri prelievi per
l'esecuzione in laboratori certificati extra regionali, come ha dovuto
verificare di persona l'interrogante,
si chiede di sapere:
se al Ministro in indirizzo risulti l'esistenza in
Campania di strutture sanitarie accreditate, dove ai malati di cancro, la cui
patologia possa essere riferita a inquinamento da policlorobifenili, sia
possibile effettuare le necessarie analisi tossicologiche individuali;
se risulti che siano state approntate indagini
epidemiologiche e tossicologiche individuali, eventualmente concordate con gli
esperti dei medici per l'ambiente della Regione Campania, come il tossicologo
Antonio Marfella;
che cosa sia stato fatto per inibire la coltivazione di
campi inquinati da Pcb, come i terreni recentemente identificati a Caivano e
coltivati a cavolfiori, ma come da anni accertato nei comuni limitrofi di Acerra
e Giugliano;
se intenda attivarsi, d'intesa con i Ministri
dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e dell'interno, per
assicurare la tracciabilità satellitare dei tir che ogni giorno, da nord verso
sud, arrivano in Campania per sversare rifiuti tossici.
(4-00135)
STUCCHI - Ai
Ministri dello sviluppo economico e del lavoro e delle politiche sociali -
Premesso che:
l'azienda tedesca Novem Car interior design SpA è fra i
leader mondiali specializzati nella produzione di interni in legno per
automobili d'alta gamma;
l'amministratore delegato Kumpf ha presentato il 22
febbraio 2012 il piano di riorganizzazione dello stabilimento di Bagnatica
(Bergamo), a seguito dell'uscita dalla produzione di alcuni modelli di auto;
entro il corrente mese di maggio 2013 l'azienda procederà
al licenziamento di circa 100 dipendenti, quasi la metà degli attuali lavoratori
impiegati nella sede bergamasca;
le gravi conseguenze sull'occupazione, con le inevitabili
ripercussioni sociali sul territorio orobico, si aggiungono alla pesante
situazione di congiuntura economica negativa che ha fortemente colpito il
tessuto produttivo della provincia di Bergamo,
si chiede di sapere:
se i Ministri in indirizzo intendano convocare con urgenza
un tavolo istituzionale con il gruppo Novem e i rappresentanti dei lavoratori,
al fine di ogni utile soluzione che possa permettere ai dipendenti interessati
di ottenere garanzie circa il loro futuro occupazionale;
quali iniziative intendano intraprendere affinché la
proprietà Novem Car interior design SpA fornisca elementi utili per una corretta
valutazione del proseguimento dell'attività di produzione nel territorio
bergamasco, a seguito della presentazione del piano di ristrutturazione
aziendale;
quali iniziative intendano promuovere per fare fronte alla
crisi industriale e produttiva che da diversi anni investe pesantemente il
comparto manifatturiero lombardo coinvolgendo migliaia di lavoratori.
(4-00136)
STEFANO - Al
Ministro della giustizia - Premesso che:
la legge n. 148 del 2011, di conversione, con
modificazioni, del decreto-legge n. 138 del 2011, recante "Ulteriori misure
urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo", all'art. 1, commi
da 2 a 5, prevede la delega al Governo per l'adozione di uno o più decreti
legislativi finalizzati alla riorganizzazione della distribuzione sul territorio
degli uffici giudiziari con obiettivi di risparmi di spesa e di incremento di
efficienza e con l'osservanza - tra gli altri - dei seguenti principi e criteri
direttivi: "a) ridurre gli uffici giudiziari di primo grado, ferma la
necessità di garantire la permanenza del tribunale ordinario nei circondari di
comuni capoluogo di provincia alla data del 30 giugno 2011" e "d)
procedere alla soppressione ovvero alla riduzione delle sezioni distaccate di
tribunale, anche mediante accorpamento ai tribunali limitrofi";
il decreto legislativo n. 155 del 2012, in attuazione del
citato art. 1, comma 2, della legge n. 148 del 2011, ha stabilito che "sono
soppressi i tribunali ordinari, le sezioni distaccate e le procure della
Repubblica di cui alla tabella A allegata al presente decreto". In sostanza, il
provvedimento ha decretato la cancellazione (oltre che di 667 uffici dei giudici
di pace) di 31 tribunali (non coincidenti con capoluoghi di provincia) e di 220
sezioni distaccate;
nella citata tabella A è ricompresa anche la sezione di
tribunale che ha sede in Tricase, per la quale è stato previsto l'accorpamento
al tribunale di Lecce;
il citato decreto legislativo ha previsto in via esplicita
che le sezioni distaccate di tribunale destinate alla soppressione continueranno
ad operare sino al 13 settembre 2013. Ha previsto altresì (art. 8) la
possibilità di mantenere a disposizione del Ministero della giustizia per
ulteriori cinque anni le strutture di proprietà comunale adibite a servizio
degli uffici giudiziari soppressi, che siano state interessate da interventi
edilizi finanziati ai sensi dell'art. 19 della legge n. 119 del 1981;
premesso altresì che, a quanto risulta
all'interrogante:
il Comune di Tricase, con delibera del Consiglio comunale
n. 28 del 25 ottobre 2012, ha manifestato piena e totale disponibilità a
mantenere a disposizione dell'Amministrazione della giustizia le strutture del
tribunale di Tricase, accollandosi i relativi costi di gestione;
in data 21 febbraio 2013 il Presidente del tribunale di
Lecce ha adottato un provvedimento, prot. n. 307, in cui si asserirebbe che, ai
sensi dell'art. 9 del decreto legislativo n. 155 del 2012, le udienze fissate
dinanzi ad una delle sezioni distaccate tra il 13 settembre 2012 (data di
entrata in vigore del decreto legislativo) e la data di efficacia di cui
all'art. 11, comma 2 (12 mesi dall'entrata in vigore del medesimo decreto
legislativo) sarebbero state tenute presso le sezioni distaccate, mentre le
udienze fissate per una data successiva sarebbero state tenute presso la sede
centrale dell'ufficio;
tale disposizione comporterebbe che, per i processi già
incardinati o fissati presso la sezione distaccata per una data anteriore al 13
settembre 2013, le relative udienze, fino a tale data, dovranno essere tenute
presso la sezione distaccata, mentre quelle successive (dal 13 settembre 2013 in
poi) dovranno essere tenute presso la sede centrale; comporterebbe altresì che i
processi, che devono essere fissati presso la sezione distaccata per una prima
udienza futura anteriore al 13 settembre 2013, siano trattati presso la sede
centrale: ciò presuppone il coinvolgimento dell'ufficio di Procura e del giudice
dell'udienza preliminare; alla fissazione delle modalità applicative di tale
direttiva, anche per ciò che riguarda i rapporti con l'ufficio della Procura e
del giudice dell'udienza preliminare, dovrebbero provvedere i presidenti delle
due sezioni penali;
il giorno successivo (22 febbraio 2013), il Presidente del
tribunale di Lecce ha adottato un altro provvedimento, prot. n. 320/13, in cui
si asserirebbe che, al fine di dare graduale attuazione alle disposizioni di cui
al decreto legislativo 7 settembre 2012, n. 155, riguardante la soppressione
delle sezioni distaccate, la presidenza avrebbe ritenuto di operare, per il
momento, il trasferimento, presso la sede centrale dell'ufficio, della
trattazione dei procedimenti del settore civile della sezione di Campi Salentina
ai sensi dell'art. 48-quinquies, comma secondo, dell'ordinamento
giudiziario di cui al regio decreto n. 12 del 1941. Per quanto concerne la
sezione distaccata di Tricase - settore penale - il trasferimento della
trattazione dei relativi affari presso la sede centrale di Lecce, che pure si
sarebbe ritenuto di operare, sarebbe stato conseguenza, oltre che del disegno di
dare graduale attuazione alla normativa in materia di soppressione delle sezioni
distaccate, anche della valutazione conseguente all'assenza dall'ufficio -
prevista per un lungo periodo di tempo - del giudice togato, dottoressa Pia
Verderosa. Con il provvedimento con il quale sarebbero state stabilite le
modalità del trasferimento presso la sede centrale degli affari come sopra
indicati sarebbero state dettate, altresì, disposizioni riguardanti i
procedimenti futuri. Ciò sarebbe stato comunicato per gli effetti di cui al
comma 2 dell'art. 48-quinquies del citato ordinamento giudiziario;
gli atti richiamati sarebbero stati gravati di impugnativa
innanzi al TAR di Lecce da un folto gruppo di avvocati operanti sul territorio e
dallo stesso Ente comunale di Tricase, siccome ritenuti pregiudizievoli dei
rispettivi interessi diretti ed indiretti;
la stessa Amministrazione comunale di Tricase avrebbe
lamentato detta lesione, avendo adottato: lo specifico atto consiliare n. 28 del
25 ottobre 2012, dinanzi richiamato, con il quale ha deliberato piena e totale
disponibilità a mantenere a disposizione dell'Amministrazione della giustizia le
strutture del tribunale di Tricase, accollandosi i relativi costi di gestione;
lo specifico atto giuntale n. 85 del 5 aprile 2013, con il quale - vista la nota
del 4 aprile 2013, pervenuta dalla Presidenza del tribunale di Lecce, con la
quale, paventando la sussistenza di oggettive ragioni organizzative e funzionali
tali da rendere impossibile tale accorpamento, nella possibilità che il
Ministero della giustizia possa disporre in via eccezionale, ai sensi dell'art.
8 del decreto-legislativo n. 155 del 2012, che gli attuali immobili di proprietà
comunale continuino ad essere adibiti a servizio delle sezioni distaccate
soppresse anche dopo il 13 settembre 2013, invita il Comune a comunicare la sua
posizione rispetto all'impegno di assumere le relative spese di gestione e
manutenzione - ha deliberato con voti favorevoli ed unanimi di comunicare al
tribunale di Lecce la piena e totale disponibilità del Comune a mantenere a
disposizione dell'Amministrazione della giustizia l'immobile sede della sezione
distaccata del tribunale e, altresì, comunicare la piena e totale disponibilità
dello stesso Comune ad accollarsi i relativi costi di gestione e manutenzione.
Ciò a tutela, per legge - art. 13 del testo unico delle leggi sull'ordinamento
degli enti locali di cui al decreto legislativo n. 267 del 2000 -, degli
interessi della propria cittadinanza e del proprio territorio;
considerato che:
la programmata riforma della "geografia giudiziaria", che
entrerà in vigore il 13 settembre 2013 (fatti salvi i provvedimenti anticipatori
di cui innanzi), sta provocando un terremoto sul sistema giustizia e su tutti
gli operatori del diritto (dai dipendenti degli uffici, passando per gli
avvocati, fino a giungere agli stessi magistrati);
i numeri più eclatanti riguardano, oltre alle giornate di
sciopero già proclamate dall'OUA (Organismo unitario Avvocatura), le quattordici
(destinate ad aumentare notevolmente) ordinanze di rimessione alla Corte
costituzionale delle questioni di legittimità costituzionale delle disposizioni
innanzi richiamate. La discussione delle prime due questioni è stata anticipata
in questi giorni dalla Consulta al 2 luglio 2013;
da ogni parte si è evidenziato come la disciplina della
"geografia giudiziaria" non possa rientrare in una manovra che si prefigge la
stabilizzazione finanziaria ed il contenimento della spesa pubblica, che,
peraltro, pare non ottenere alcun risparmio dalla soppressione di sedi
giudiziarie (soprattutto se indiscriminata) e, al contrario, sembra generare
nuovi costi per traslochi, indennità per il trasferimento dei magistrati, nuova
edilizia giudiziaria, nonché incrementare disagi e costi per i cittadini;
per restare al caso di Lecce, è stato previsto che
l'avveramento del nuovo assetto giudiziario comporterà un aumento dell'800 per
cento per i soli costi relativi alle notifiche ed ai pignoramenti calcolati in
base alla distanza chilometrica (fonte: "Italia Oggi", 15 aprile 2013);
a conferma dell'oggettiva impossibilità, per il tribunale
di Lecce, di farsi carico, in una situazione già di collasso ed inadeguatezza
degli spazi in godimento, dell'accorpamento di altre sezioni distaccate, depone
il grido d'allarme lanciato dallo stesso Presidente del tribunale, il quale non
ha esitato a certificare detto stato di emergenza e ad attivare la procedura di
deroga ex art. 8 del decreto legislativo n. 155 del 2012;
tale situazione preoccupa anche le istituzioni
sovranazionali, posto che lo stesso Vice Presidente vicario del Parlamento
europeo, Gianni Pittella, ha denunciato in una nota come con l'accorpamento
delle sedi distaccate i Tribunali siano costretti a rinviare a lungo le cause
pendenti peggiorando la posizione dell'Italia, già "in cima alla lista nera
della giustizia negata in Europa" (Asca del 9 gennaio 2013);
considerato inoltre che:
il Ministero della giustizia ha, nei giorni scorsi,
emanato delle stringenti linee guida sulla dismissione degli immobili con il
fine dichiarato di procedere "nel più breve tempo possibile alla totale
dismissione delle strutture ove sono attualmente allocati tutti gli uffici
soppressi";
la soppressione delle sedi giudiziarie periferiche
(rispetto ai capoluoghi di provincia) si tradurrà, a parere dell'interrogante,
in un notevole depauperamento di quella che si potrebbe chiamare
"infrastrutturazione civile" della comunità regionale, determinando la
congestione e la paralisi delle strutture del centro maggiore e la
desertificazione delle cittadine intermedie, con un processo che va esattamente
nella direzione contraria a quella desiderabile e promessa dall'art. 5 della
Costituzione (si ricordi il ricorso per questione di legittimità costituzionale
promosso dalla Regione Friuli Venezia Giulia e pubblicato nella Gazzetta
Ufficialen. 3 del 16 gennaio 2013);
è evidente come la concentrazione nel solo capoluogo di
provincia porti inevitabilmente alla produzione di fenomeni di grave disagio per
i cittadini, con conseguente rischio anche eteroindotto di "denegata giustizia",
considerato che, secondo la giurisprudenza costituzionale, l'oggettiva
difficoltà di esercizio del diritto equivale a negazione del medesimo;
a tale proposito basti pensare - sempre in termini di
ricadute negative in relazione ai costi - a quanto sarà costretto a sborsare lo
Stato per i risarcimenti - già consistenti - a causa dell'irragionevole durata
dei processi,
si chiede di sapere:
se il Ministro in indirizzo, al fine di scongiurare i
paventati e a parere dell'interrogante quantomai verosimili rischi di paralisi
del sistema giustizia, intenda sospendere le già emanate Linee guida ed avviare
una pausa di riflessione, che ripari alla cancellazione di oltre mille sedi
giudiziarie, prevista a giudizio dell'interrogante in modo estemporaneo e poco
meditato, anche attraverso la proroga del termine di operatività delle sede
sopprimende;
se non intenda, nel frattempo, istituire un tavolo di
concertazione, rappresentativo di tutte le categorie coinvolte (Ministero,
magistrati, avvocati, personale dell'Amministrazione della giustizia,
Associazione nazionale comuni italiani, Unione delle province d'Italia,
Regioni), che, attesa la delicatezza della materia in questione, riesca, in
tempi rapidi, ad individuare ed eliminare le reali sacche di inefficienza e
sprechi sulla base di criteri oggettivi predeterminati, peraltro già individuati
dall'ordinamento giudiziario di cui al regio decreto n. 12 del 1941, così
evitando cancellazioni che all'interrogante appaiono insensate e
generalizzate.
(4-00137)
DE PIN - Ai
Ministri della giustizia e delle politiche agricole alimentari e forestali -
Premesso che il Rapporto sullo stato dei diritti umani negli istituti
penitenziari e nei centri di accoglienza e trattenimento per migranti in Italia,
approvato il 6 marzo 2012 dalla Commissione straordinaria per la tutela e la
promozione dei diritti umani del Senato, rivela lo stato di emergenza nelle
carceri italiane. Lo studio tratta la situazione delle carceri e le condizioni
dei detenuti in Italia, affrontando l'argomento dal punto di vista del rispetto
della dignità e dei diritti della persona;
premesso altresì che, a giudizio dell'interrogante, è
improcrastinabile attivare interventi finalizzati a migliorare la condizione dei
detenuti, soprattutto creando una prospettiva meno afflittiva per persone
soggette alla restrizione della libertà, anziché applicare misure esclusivamente
repressive;
rilevato che:
molti sono i problemi che affliggono gli istituti
penitenziari italiani, tra cui, per citarne alcuni, quelli che riguardano
l'assistenza sanitaria dei detenuti (passata di recente al Servizio sanitario
nazionale), la condizione di omosessuali e transessuali, le morti in
carcere;
nel 2008 il Consiglio dei diritti umani dell'Onu ha
sottoposto il nostro Paese alla Universal Periodical Review, la procedura di
revisione periodica riguardante i diritti umani: per l'Italia sono state emanate
ben novantadue raccomandazioni, e diverse riguardano lo stato delle carceri;
il nostro Paese è stato più volte condannato dalla Corte
europea dei diritti dell'uomo per la situazione carceraria e il sovraffollamento
(caso Scoppola nel 2006 e caso Sulejmanovic nel 2009);
ritenuto che:
le attività agricole e di tecnologia alimentare, quali
l'orticoltura biologica, la produzione in serra, l'allevamento di conigli, la
floricoltura, l'itticoltura, l'apicoltura, siano importanti per la
responsabilizzazione e la rieducazione dei detenuti: l'attività agricola,
infatti, si svolge all'aperto, offre l'opportunità di lavorare a contatto con
l'ambiente e di seguire i cicli biologici, assumendo una valenza educativa,
professionalizzante e di reinserimento sociale e lavorativo;
a giudizio dell'interrogante, sarebbe opportuno verificare
l'entità del patrimonio agricolo degli istituti penitenziari, al fine di
favorire attività agricole interne alle strutture, con il supporto di
professionisti eventualmente dipendenti dell'amministrazione penitenziaria, e di
creare cooperative sociali e colonie agricole, con l'eventuale apporto di
esperti esterni, avviando così anche un innovativo rapporto culturale tra
produzione agricola, uso della terra e legalità,
si chiede di sapere:
se i Ministri in indirizzo non ritengano opportuno
verificare l'entità del patrimonio agricolo degli istituti penitenziari, al fine
di utilizzarlo maggiormente quale strumento di responsabilizzazione,
rieducazione ed inclusione sociale dei detenuti;
se non si ritenga di rivalutare e potenziare il ruolo
sociale ed etico che può essere svolto dall'attività agricola nelle aziende,
nelle cooperative sociali o nelle colonie agricole, per favorire l'introduzione
di una prospettiva meno afflittiva per le persone soggette alla restrizione
della libertà.
(4-00138)
MUSSINI, AIROLA, ANITORI, BATTISTA, BENCINI, BERTOROTTA, BIGNAMI, BLUNDO, BOCCHINO, BOTTICI, BUCCARELLA, BULGARELLI, CAMPANELLA, CAPPELLETTI, CASALETTO, CASTALDI, CATALFO, CIAMPOLILLO, CIOFFI, COTTI, CRIMI, DE PIETRO, DE PIN, DONNO, ENDRIZZI, FATTORI, FUCKSIA, GAETTI, GAMBARO, GIARRUSSO, GIROTTO, LEZZI, LUCIDI, MANGILI, MARTELLI, MARTON, MOLINARI, MONTEVECCHI, MORONESE, MORRA, NUGNES, ORELLANA, PAGLINI, PEPE, PETROCELLI, PUGLIA, ROMANI
Maurizio, SANTANGELO, SCIBONA, SERRA, SIMEONI, TAVERNA, VACCIANO -
Al Ministro dell'interno - Premesso che:
ai sensi dell'articolo 13, comma 3, del decreto-legge 13
agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre
2011, n. 148, le cariche di Governo di cui all'articolo 1, comma 2, della
legge 20 luglio 2004, n. 215 (Presidente del Consiglio dei ministri, Ministri,
Vice Ministri, Sottosegretari di Stato e commissari straordinari del Governo)
sono incompatibili con qualsiasi altra carica pubblica elettiva di natura
monocratica relativa ad organi di governo di enti pubblici territoriali aventi,
alla data di indizione delle elezioni o della nomina, popolazione superiore a
5.000 abitanti;
l'art. 68 del testo unico delle leggi sull'ordinamento
degli enti locali di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (TUEL)
stabilisce che le cause di incompatibilità, sia che esistano al momento della
elezione sia che sopravvengano ad essa, importano la decadenza dalle predette
cariche. Il medesimo articolo 68, al comma 4, fissa il breve termine di dieci
giorni tra il momento in cui si concretizza la causa di incompatibilità e la
cessazione dalle funzioni dell'amministratore che in tale condizione si sia
venuto a trovare, quale strumento atto a rimuovere le cause di ineleggibilità
sopravvenute alle elezioni ovvero le cause di incompatibilità;
stante l'assenza della puntuale previsione di un
iter procedurale nell'articolo 13, comma 3, del citato decreto-legge 13
agosto 2011, n. 138, una nota redatta dall'Associazione nazionale comuni
d'Italia (ANCI) nel gennaio 2013 sulle problematiche della nuova previsione
relativa all'incompatibilità del sindaco ritiene applicabili altri articoli del
TUEL per garantire l'effettiva cessazione delle funzioni incompatibili. In
particolare essa conferma l'utilizzabilità del procedimento di contestazione
della causa di incompatibilità prevista dagli articoli 69 e 70 del TUEL
medesimo;
la procedura di contestazione delle cause di
incompatibilità - al cui esito consegue, mediante decadenza del soggetto
incompatibile, la cessazione dalle funzioni dell'amministratore - è regolata in
particolare dall'art. 69 del TUEL, il quale assegna il compito di contestare
tale condizione al consiglio di cui l'interessato fa parte e ne fissa le
modalità e i tempi. Ai sensi del comma 5 del medesimo articolo spetta allo
stesso consiglio, qualora l'amministratore non provveda a rimuovere la causa di
incompatibilità nei tempi previsti, dichiararlo decaduto con propria
deliberazione;
l'art. 70 del TUEL, peraltro, identifica come altri
possibili soggetti atti a promuovere la decadenza dalla carica sia il prefetto
(comma 2) sia qualsiasi cittadino elettore (comma 1);
considerato che:
i ministri Graziano Delrio e Flavio Zanonato,
rispettivamente sindaci di Reggio Emilia e Padova, si trovano nelle condizioni
di incompatibilità richiamate in seguito alla nomina a Ministro, accettata
prestando giuramento in data 28 aprile 2013;
il vice ministro Vincenzo De Luca, sindaco di Salerno, si
trova nelle condizioni di incompatibilità richiamate in seguito alla nomina a
Vice Ministro in data 2 maggio 2013;
non risulta agli interroganti che, ad oggi, i rispettivi
consigli comunali, cui il TUEL assegna il compito di contestare
l'incompatibilità, abbiano dato avvio alle procedure di contestazione, né che i
medesimi sindaci abbiano spontaneamente provveduto a rimuovere l'incompatibilità
mediante dimissioni volontarie;
pur in presenza di una normativa non perfettamente
formulata nella parte applicativa, appare evidente, a giudizio degli
interroganti, come l'evoluzione legislativa in materia indichi, con sempre
maggior chiarezza e rigore, la netta tendenza in direzione del divieto di cumulo
di cariche, ancor più che di retribuzioni, e ciò al fine di prevenire ogni
potenziale conflitto di interessi tra le cariche ricoperte. Agli interroganti
appare pertanto irragionevole, oltre che censurabile sotto il profilo della
opportunità, qualunque lettura della disposizione atta a rendere meno
stringente, per via interpretativa, la legislazione sopravvenuta nel 2011;
la necessità di una rigorosa lettura e applicazione del
principio di incompatibilità appare confermata dalla stessa previsione normativa
in base alla quale i rispettivi prefetti possono comunque autonomamente
promuovere la risoluzione delle cause di incompatibilità tramite azione per la
dichiarazione della decadenza dalla carica di sindaco e anche qualsiasi
cittadino elettore può promuovere la decadenza dalla carica davanti al tribunale
civile in prima istanza,
si chiede di sapere quali azioni il Ministro in indirizzo
intenda intraprendere al fine di garantire, anche tramite i suoi uffici
territoriali, il rispetto del principio di incompatibilità tra le cariche di
Governo e qualsiasi altra carica pubblica elettiva di natura monocratica
relativa ad organi di Governo di enti pubblici territoriali aventi, alla data di
indizione delle elezioni o della nomina, popolazione superiore a 5.000 abitanti,
assumendo altresì le opportune iniziative, per quanto di competenza, volte ad
assicurare che ciò avvenga nei tempi rapidi previsti dalla legge nell'interesse
del buon andamento degli enti locali e della efficienza dell'azione
amministrativa.
(4-00139)
Interrogazioni, da svolgere in Commissione
A norma dell'articolo 147 del Regolamento, la seguente
interrogazione sarà svolta presso la Commissione permanente:
10ª Commissione permanente(Industria, commercio,
turismo):
3-00045, del senatore Fravezzi, sulla normativa relativa
alla qualificazione degli installatori di impianti energetici da fonti
rinnovabili.
Avviso di rettifica
Nel Resoconto stenografico della 17a seduta
pubblica del 30 aprile 2013, a pagina 41, nell'intervento della senatrice
Bonfrisco, all'ultima riga del primo capoverso, sostituire la parola:
"imbrogliare" con la seguente: "imbrigliare".
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