Cass. civ. Sez. lavoro, Ord., (ud. 12/01/2023) 12-04-2023,
n. 9713
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MANNA Antonio - Presidente -
Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa - Consigliere -
Dott. ZULIANI Andrea - Consigliere -
Dott. BELLE' Roberto - rel. Consigliere -
Dott. FEDELE Ileana - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 28010-2020 proposto da:
OMISSIS e OMISSIS, elettivamente domiciliati in ROMA x
- ricorrenti e controricorrenti al ricorso incidentale-
contro
A.S.L. (Omissis), in persona del legale rappresentate pro
tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA SAN PANTALEO N. 3 presso lo
studio dell'avvocato NICOLETTA SERRANI, rappresentata e difesa dall'avvocato
VINCENZO SANTUCCI;
- controricorrente e ricorrente incidentale -
avverso la sentenza n. 364-2020 della CORTE D'APPELLO DI
L'AQUILA, pubblicata il 16/07/2020 R.G. n. 530-2019;
udita la relazione della causa svolta nell'udienza del
12/01/2023 dal Consigliere Dott. ROBERTO BELLE'.
Svolgimento del processo
1. la Corte d'Appello di L'Aquila, adita dall'Azienda
Sanitaria Locale (Omissis) e nel contraddittorio con OMISSIS e OMISSIS, medici
di medicina generale addetti al servizio di continuità assistenziale, ha
riformato parzialmente la sentenza del Tribunale di l'Aquila che aveva accolto
l'originario ricorso ed aveva condannato l'Azienda al pagamento nella misura
intera dei corrispettivi previsti dall'Accordo Integrativo Regionale per la
medicina generale in relazione alle voci indennità di rischio, indennità H12/24
e festività di particolare rilevanza;
2. la Corte territoriale ha ritenuto non spettante
l'indennità di rischio, la cui corresponsione era stata sospesa dalla Giunta
Regionale con delibera n. 398-2017, ed ha ritenuto affetta da nullità la clausola
dell'Accordo Integrativo che l'aveva riconosciuta, perchè in contrasto con le
previsioni dell'Accordo Nazionale che, nel determinare la struttura del
compenso dei medici convenzionati, consentiva l'intervento della contrattazione
regionale nei soli limiti dell'attuazione dell'art. 8, lettere b) c) ed e), che
riguardano compensi di carattere incentivante o legati a prestazioni aggiuntive
e condizionati, quindi, da presupposti non ricorrenti in relazione
all'indennità di rischio;
3. ha aggiunto che l'art. 14 dell'A.C.N. ha demandato agli
accordi regionali anche la definizione di "parametri di valutazione di
particolari e specifiche condizioni di disagio e difficoltà di espletamento
dell'attività convenzionale" ma su questa previsione non poteva essere
fondata l'asserita legittimità dell'AIR perchè il compenso aggiuntivo di Euro
4,00 per ora era stato previsto esclusivamente in relazione alla tipologia
dell'incarico e riconosciuto in modo automatico ed indifferenziato a tutti i
medici impegnati nella continuità assistenziale, la cui attività, quanto alla
gravosità ed ai rischi derivanti dall'esecuzione di prestazioni in orario
notturno e nei giorni prefestivi e festivi, presenta caratteristiche comuni a
tutto il territorio italiano, delle quali la contrattazione nazionale ha
evidentemente tenuto conto ai fini della determinazione del compenso
onnicomprensivo;
4. la Corte d'appello ha ritenuto, invece, fondata la
domanda del medico convenzionato quanto agli ulteriori compensi, il cui importo
era stato unilateralmente ridotto dall'amministrazione, ed ha rilevato, in
sintesi, che le esigenze di contenimento della spesa sanitaria, pur legittime,
non autorizzavano la modifica unilaterale degli impegni assunti in sede di
contrattazione collettiva, tanto più che l'intervento unilaterale aveva
riguardato il solo corrispettivo mentre era rimasta immutata, quanto ad impegno
qualitativo e quantitativo, la prestazione richiesta al medico convenzionato;
6. ha precisato che la Delib. G.R. Abruzzo n. 592 del 2008,
nel fissare alle ASL i tetti di spesa, aveva dettato le linee guida alle quali
le aziende avrebbero dovuto attenersi, specificando che la riduzione doveva
essere attuata attraverso la riapertura dei tavoli di concertazione e ciò in
attuazione di un principio generale quale è quello della vincolatività dei
contratti collettivi;
7. anche il decreto del Commissario ad acta n. 27 del 2011
aveva escluso che le ASL potessero unilateralmente modificare i contenuti
normativi ed economici degli AIR, tanto più che occorreva evitare che si
producessero di Spa rità di trattamento in ambito regionale per le medesime
prestazioni ed indennità;
8. per la cassazione della sentenza hanno proposto ricorso i
due medici sulla base di tre motivi;
9. l'Azienda Sanitaria Locale di (Omissis), oltre a
resistere con controricorso all'impugnazione principale, ha proposto ricorso
incidentale affidato a sette censure, poi illustrato da memoria, alle quali i
ricorrenti hanno replicato con controricorso.
Motivi della decisione
1. con il primo motivo del ricorso principale, formulato ai
sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 3, è denunciata la violazione e falsa
applicazione della L. n. 412 del 1991, art. 4, comma 9, come modificato dalla
L. n. 289 del 2002, art. 52, comma 27, del D.Lgs. n. 165 del 2001, artt. 40 e
45, del D.Lgs. n. 502 del 1992, art. 8, della L. n. 833 del 1978, art. 48;
la ricorrente principale sostiene, in sintesi, che la
nullità dell'accordo regionale è predicabile solo a fronte di un irriducibile
contrasto con le previsioni della contrattazione nazionale, contrasto non
ravvisabile nella fattispecie in quanto, pur nel rispetto del principio della
tendenziale uniformità del trattamento economico e normativo del personale para
subordinato, è stata consentita la previsione di compensi ulteriori in
considerazione delle peculiarità proprie del servizio del singolo ambito
regionale;
2. con il secondo motivo del ricorso principale è dedotta,
sempre ai sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione e falsa applicazione
degli artt. 8,14 e 72 dell'A.C.N. sottoscritto il 20 gennaio 2005 ed il
ricorrente addebita alla Corte distrettuale di avere erroneamente valorizzato
la previsione di onnicomprensività dell'importo orario contenuta nell'art. 72,
perchè con la stessa le parti collettive avevano solo inteso superare la
quadripartizione contenuta nel precedente Accordo del 2000, non già escludere
la possibilità di ulteriori compensi, anche se non legati a prestazioni
aggiuntive o al raggiungimento di obiettivi determinati;
richiama giurisprudenza di merito per sostenere che
l'indennità di rischio istituita dall'art. 13 dell'A.I.R. valorizza le
difficoltà e i disagi nell'espletamento dell'incarico nell'ambito del
territorio abruzzese e, pertanto, la sua previsione è espressione del potere
attribuito ai contraenti regionali dall'art. 14 dell'A.C.N.;
3. infine con il terzo motivo del ricorso principale è
denunciata, ex art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione degli artt. 1362 e 1344
c.c. nonchè degli artt. 115 e 416 c.p.c. e si sostiene che l'accordo regionale
è frutto di una valutazione operata, quanto alle condizioni di rischio e di
disagio, su tutte le sedi di continuità assistenziale operanti nel territorio
regionale, valutazione confermata dalle risultanze di causa, ed in particolare
dalla documentazione prodotta, nonchè, indirettamente, dallo stesso legislatore
regionale che con la L. n. 14 del 2018;
4. la ricorrente incidentale antepone alla formulazione
delle censure la ricostruzione del quadro normativo e, con il primo motivo,
formulato ai sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 3, denuncia l'erroneità della
sentenza per violazione e/o falsa applicazione della L. n. 311 del 2004, art.
1, commi 173, 176, 178 e 180, dell'art. 6 dell'intesa Stato-Regioni del 23
marzo 2005, della L. n. 266 del 2005, art. 1, commi 278 e 281, della L. n. 296
del 2006, art. 1, comma 796, lett. b), dell'art. 12 delle Disposizioni sulla
legge in generale, degli artt. 1339, 1418, 1419 e 1374 c.c.;
4.1. sostiene, in sintesi, che le delibere del D.G. dell'ASL
e quelle del Commissario ad acta hanno natura autoritativa ed inderogabile e
sono state adottate sulla base delle disposizioni richiamate in rubrica che
hanno imposto alle Regioni di perseguire l'obiettivo del contenimento della
complessiva spesa sanitaria e dell'equilibrio economico nel rispetto dei
livelli essenziali di assistenza;
4.2. deduce che la Regione Abruzzo, in quanto soggetta al
Piano di Rientro, non poteva erogare servizi sanitari ulteriori rispetto a
quelli previsti nei L.E.A., secondo i principi enunciati dalla Corte
Costituzionale (dec. n. 117 del 2018) e rileva che nella fattispecie di causa
erano in questione incentivi facoltativi e volontari, che esulavano dai L.E.A.
e che, come tali, non potevano essere erogati nella loro interezza;
5. con il secondo motivo la ricorrente incidentale denuncia,
sotto altro profilo e sempre ai sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione
e/o falsa applicazione della L. n. 311 del 2004, art. 1, commi 173, 176, 178 e
180, dell'art. 6 dell'intesa Stato-Regioni del 23 marzo 2005, della L. n. 266
del 2005, art. 1, commi 278 e 281, della L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 796,
lett. b) dell'art. 12 disp. gen.;
5.1. censura la sentenza nella parte in cui la Corte
territoriale ha tratto conferma della necessità di una modifica consensuale
dell'A.I.R. dai contenuti della Delib. di Giunta Regionale n. 592 del 2008 e
della successiva Delib. Commissariale n. 27 del 2011, ed evidenzia che in detti
atti si faceva riferimento alla sola riapertura dei tavoli di concertazione -
nella specie avvenuta - e non anche alla modifica dell'A.I.R.; la delibera
Commissariale, poi, faceva espressamente salvi i contenimenti di spesa
effettuati fino a quel momento dalle ASL e, dunque, anche di quelli adottati
con la Delib. n. 563 del 2009 (poi modificata, in recepimento della Delib. del
Commissario ad acta n. 24 del 2012, con la Delib. n. 150 del 2013);
5.2. rileva la contraddittorietà tra il riconoscimento del
carattere vincolante del tetto di spesa fissato dal Commissario ad acta e dalla
Regione e la conclusione secondo cui per la sua attuazione sarebbe stato
necessario il consenso dei sindacati;
6. la medesima rubrica è anteposta al terzo motivo del
ricorso incidentale, con il quale l'Azienda torna a sostenere che la rimodulazione
dei compensi poteva essere disposta unilateralmente a livello aziendale perchè
imposta dai provvedimenti regionali, non sindacabili, a loro volta emanati in
attuazione del piano di rientro dal deficit in materia di spese sanitarie;
7. con il quarto motivo, formulato sempre i sensi dell'art.
360 c.p.c., n. 3, la ricorrente incidentale addebita alla sentenza impugnata la
violazione dell'art. 1326 c.c. e deduce che la riduzione aveva interessato
prestazioni facoltative, non rientranti nei livelli essenziali di assistenza
(LEA), sicchè il medico convenzionato avrebbe potuto decidere di non accettare
le nuove condizioni, astenendosi dal rendere le prestazioni accessorie perchè
non adeguatamente compensate;
7.1. il diverso comportamento concludente tenuto doveva
essere valorizzato perchè sintomatico della conclusione di un nuovo accordo fra
le parti;
8. la quinta critica dell'impugnazione incidentale,
ricondotta al vizio di cui all'art. 360 c.p.c., n. 3, denuncia la violazione
e/o falsa applicazione delle disposizioni contenute nell'accodo collettivo
nazionale 23 marzo 2005 per la disciplina dei rapporti con i medici di medicina
generale ai sensi della L. n. 421 del 1992, art. 1 e del D.Lgs. n. 502 del
1992, art. 8 come modificato dal D.Lgs. n. 517 del 1993 ed in particolare
dell'art. 54, nonchè dell'art. 5 dell'Accordo Integrativo Regionale Abruzzo;
8.1. l'Azienda contesta la qualificazione dei compensi
previsti dall'Accordo e rileva che le voci reclamate si sostanziano in un
incentivo economico, privo di diretta corrispettività, riconosciuto per
prestazioni non obbligatorie che il medico convenzionato avrebbe anche potuto
non rendere una volta che l'Azienda aveva reso nota la riduzione dell'ammontare
del compenso;
9. con il sesto motivo è denunciata ex art. 360 c.p.c., n. 3
la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, artt. 40 e 40 bis
perchè la Corte d'Appello avrebbe dovuto ritenere nulle le clausole del
contratto decentrato comportanti oneri economici non più compatibili con gli
strumenti di programmazione economica ed in particolare con l'Accordo
sottoscritto il 6 marzo 2007 dalla Regione Abruzzo con il Governo;
3 dell'art. 360 c.p.c., addebita alla sentenza impugnata la
violazione e falsa applicazione della L. n. 2248 del 1865, allegato E, art. 5,
perchè non potevano essere disapplicati gli atti amministrativi con i quali la
Pubblica Amministrazione, intervenendo sulla base di quanto disposto dalla
Regione Abruzzo con D.G.R. n. 592 del 2008, aveva, in concreto, realizzato i ri
Spa rmi di spesa;
10.1. la ricorrente richiama giurisprudenza di questa Corte
(Cass. n. 2244/2015) per sostenere che il potere di disapplicazione può essere
esercitato unicamente nei giudizi tra privati e nei soli casi in cui l'atto non
costituisca il fondamento del diritto dedotto in giudizio bensì rappresenti un
mero antecedente logico, sì da integrare un pregiudiziale in senso tecnico;
11. entrambi i ricorsi, seppure ammissibili, sono infondati;
12. quanto al ricorso principale basterà richiamare, ex art.
118 disp. att. c.p.c., la motivazione della sentenza n. 29137 del 2022 con la
quale, in fattispecie esattamente sovrapponibile a quella oggetto di causa, è
stato enunciato il principio di diritto secondo cui: " in tema di rapporto
di lavoro dei medici di medicina generale e dei pediatri di libera scelta, il
D.L. 29 marzo 2004, n. 81, art. 2-nonies, convertito in L. 26 maggio 2004, n.
138, rimette agli accordi nazionali ivi previsti, anche attraverso il richiamo
alla L. 30 dicembre 1991, n. 412, art. 4, comma 9, e quindi al sistema comune
del pubblico impiego contrattualizzato ivi contenuto, la disciplina della
contrattazione di ambito regionale ed aziendale, sicchè la contrattazione
collettiva decentrata non può validamente disporre in senso contrastante
rispetto a quanto stabilito in ambito nazionale; è pertanto nulla la previsione
di cui all'art. 13 dell'Accordo Integrativo Regionale per la Regione Abruzzo
del 9.8.2006, con cui, a fronte di una disciplina dell'Accordo Collettivo
Nazionale 20.1.2005, che consente di valorizzare, anche a fini incentivanti,
specifiche condizioni di disagio e difficoltà di espletamento dell'attività, è
stato previsto in modo generalizzato un compenso aggiuntivo orario (indennità
di rischio) per tutti i medici di continuità assistenziale operanti sul
territorio regionale";
13. il Collegio intende dare continuità all'orientamento già
espresso, perchè il ricorso e la memoria depositata ex art. 380 bis 1 c.p.c.
non prospettano argomenti che possano indurre a rimeditare le conclusioni alle
quali la Corte è pervenuta sulla base di un percorso motivazionale qui
pienamente condiviso;
14. in particolare il ricorrente principale, nell'insistere
sulla generalizzata condizione di pericolosità di tutte le sedi di continuità
assistenziale del territorio abruzzese, oltre a sollecitare inammissibilmente
un giudizio di merito diverso da quello espresso dalla Corte territoriale, non
coglie pienamente la ratio decidendi della sentenza impugnata nella quale,
correttamente, si evidenzia che al livello regionale è stato consentito
dall'art. 14 dell'A.C.N. la "definizione di parametri di valutazione di
particolari e specifiche condizioni di disagio e difficoltà di espletamento
dell'attività convenzionale", definizione che difetta nella fattispecie
con la conseguenza che, in sua assenza, l'indennità si risolve in una non
consentita maggiorazione del compenso orario;
la contrattazione nazionale è chiara nel richiedere la
specificazione di particolari condizioni di disagio e difficoltà
nell'espletamento della prestazione ed è anche evidente che detta specifica
indicazione è funzionale alla verifica della compatibilità della maggiorazione
con il principio dell'uniformità del trattamento economico dei medici
convenzionati sancito dalla L. n. 833 del 1978, art. 48, sicchè la sua mancanza
determina la nullità della clausola, la cui validità non può essere predicata
sollecitando accertamenti di fatto sulle caratteristiche delle singole sedi,
una volta che queste non sono state indicate e valorizzate dall'accordo
regionale;
15. neppure può essere avallata la tesi, esposta nel ricorso
per cassazione, secondo cui la contrattazione regionale esprimerebbe
l'apprezzamento di merito per cui tutto il territorio abruzzese sarebbe
caratterizzato da condizioni idonee a giustificare quel rischio, per giunta in
modo diffusamente differenziato per tutti i medici di continuità assistenziale
della Regione, rispetto a ciò che accade nel resto del Paese;
16. si tratta infatti di assunto apodittico e tutt'altro che
notorio, oltre che smentito dalle valutazioni di fatto svolte dalla Corte
territoriale in ordine alla sostanziale uniformità di base delle attività in
questione su tutto il territorio nazionale, considerazioni rispetto alle quali
non assumono portata decisiva in senso contrario, anche in ipotesi ai sensi
dell'art. 360 c.p.c., n. 5 e per la loro genericità, le circostanze addotte sul
trovarsi gli ambulatori e le strutture in condizioni di seria pericolosità a
causa della particolare struttura oro-geografica del territorio, non potendosi
poi riferire ad un insindacabile scelta di "merito" ciò che attiene
ad un dato di fatto, se vi sia un'incoerenza rispetto all'effettiva realtà, la
quale palesemente non consente di affermare che le condizioni territoriali
dell'intera Regione fossero invariabilmente tali da giustificare una uniforme
valutazione del menzionato disagio e rischio;
17. non diversamente, è puramente affermato che la scelta di
attribuire quell'indennità fosse consequenziale alle condizioni delle sedi di
Guardia Medica, asserite come insicure e non dotate delle misure
prevenzionistiche necessarie, senza distinzione alcuna tra sede e sede e senza
che - come indirettamente ammette la stessa ricorrente, a pag. 12, penultimo
periodo, del ricorso ed a pag. 15, terzultimo, del ricorso - quelle condizioni
e giustificazioni fossero state esplicitate nell'accordo appunto come ragioni
del riconoscimento del beneficio economico;
18. parimenti infondato è il ricorso incidentale perchè la
sentenza impugnata ha deciso la controversia in conformità ai principi di
diritto enunciati da Cass. n. 11566/2021, Cass. n. 19327/2021, Cass. n.
22440/2021, Cass. n. 27782/2021 e da altre pronunce conformi (cfr. fra le tante
Cass. n. 30922, 28526, 27661 del 2022), che hanno respinto analoghi ricorsi
proposti dalle Aziende Sanitarie della Regione Abruzzo avverso le pronunce
della Corte d'Appello di L'Aquila con le quali, sulla base delle medesime
argomentazioni espresse nella pronuncia qui impugnata, era stata ritenuta
illegittima la riduzione unilaterale dei compensi previsti dalla
contrattazione, nazionale e integrativa regionale, seppure finalizzata al
rispetto dei tetti di spesa imposti dal Piano di rientro;
19. con le richiamate pronunce, alla cui motivazione si
rinvia ex art. 118 disp. att. c.p.c., si è affermato che:
a) il rapporto convenzionale con il Servizio Sanitario
Nazionale dei pediatri di libera scelta e dei medici di medicina generale è
disciplinato, quanto agli aspetti economici, dagli accordi collettivi nazionali
e integrativi ai quali devono conformarsi, a pena di nullità, i contratti
individuali;
b) la disciplina dettata dalla L. n. 833 del 1978, art. 48 e
dal D.Lgs. n. 502 del 1992, art. 8 non è derogata da quella speciale prevista
per il rientro da eccessivi disavanzi del sistema sanitario e pertanto le
esigenze di riduzione della spesa non legittimano la singola azienda sanitaria
a ridurre unilateralmente i compensi previsti dalla contrattazione nazionale e
da quella integrativa regionale;
c) le richiamate esigenze, sopravvenute alla valutazione di
compatibilità finanziaria dei costi della contrattazione, devono essere fatte
valere nel rispetto delle procedure di negoziazione collettiva e degli ambiti
di competenza dei diversi livelli di contrattazione;
d) l'atto unilaterale di riduzione del compenso non ha
natura autoritativa perchè il rapporto convenzionale si svolge su un piano di
parità ed i comportamenti delle parti vanno valutati secondo i principi propri
che regolano l'esercizio dell'autonomia privata;
20. all'enunciazione dei principi di diritto questa Corte è
pervenuta sviluppando argomentazioni che comportano il rigetto di tutti i
motivi di ricorso qui proposti dalla ASL ricorrente perchè, quanto alla
prevalenza degli atti discrezionali finalizzati ad assicurare l'attuazione del
Piano di rientro, sulla quale si incentrano le prime tre censure, si è
osservato che l'obbligo imposto alle Regioni dalle leggi n. 311/2004, n.
296/2006 e n. 191/2009 di modificare gli atti in precedenza adottati è stato
significativamente riferito a quelli normativi ed amministrativi inerenti la
programmazione sanitaria, fra i quali non possono essere ricompresi gli accordi
stipulati all'esito delle procedure di contrattazione regionale;
21. è stato precisato al riguardo che sia la L. n. 311 del
2004 che la L. n. 191 del 2009 contengono significative disposizioni dalle
quali si evince che il legislatore non ha inteso sminuire il ruolo assegnato
alla contrattazione collettiva, nazionale e decentrata, anche nel contesto
particolare delle Regioni interessate dalla situazione di disavanzo, perchè la
L. n. 311 del 2004, art. 1, al comma 178, ha ribadito il principio secondo cui
il rapporto fra il Servizio Sanitario nazionale ed i medici di medicina
generale "è disciplinato da apposite convenzioni conformi agli accordi
collettivi nazionali stipulati ai sensi della L. 30 dicembre 1991, n. 412, art.
4, comma 9, e successive modificazioni, con le organizzazioni sindacali di
categoria maggiormente rappresentative in campo nazionale" e la L. n. 191
del 2009, all'art. 2, commi 71 e 72, pur imponendo adempimenti finalizzati alla
riduzione della spesa complessiva del personale, anche a convenzione, ha
richiamato significativamente la contrattazione ed ha stabilito che l'obiettivo
del contenimento della spesa deve essere perseguito, non attraverso
l'intervento unilaterale sul trattamento retributivo, bensì per mezzo del
"ridimensionamento dei pertinenti fondi della contrattazione
integrativa";
22. sono stati poi ribaditi i principi affermati da questa
Corte in tema di impiego pubblico contrattualizzato, estensibili anche al
rapporto convenzionale in ragione di un sistema delle fonti modellato su quello
previsto dal D.Lgs. n. 165 del 2001 (cfr. Corte Cost. n. 157-2019 e Corte Cost.
n. 186-2016), secondo cui in siffatti rapporti occorre che sia assicurata la
necessaria conformazione del contratto individuale a quello collettivo, perchè
è la contrattazione che garantisce nell'impiego pubblico contrattualizzato la
parità di trattamento e nel rapporto convenzionale l'uniformità sull'intero
territorio nazionale di cui alla L. n. 833 del 1978, art. 48;
23. le considerazioni svolte sul punto comportano, quindi,
il rigetto anche del quarto motivo di ricorso perchè, una volta esclusa la
possibilità per la contrattazione individuale di modificare l'assetto stabilito
dalla contrattazione nazionale e da quella decentrata, secondo le rispettive
sfere di competenza, non può che essere privo di rilievo il comportamento
tenuto di fatto dalle parti del singolo rapporto, alle quali non è consentito
negoziare il contenuto delle rispettive obbligazioni;
24. per ragioni non dissimili si deve ritenere infondata
anche la quinta censura, giacchè il carattere volontario della prestazione e la
possibilità di non rendere la stessa, non possono certo essere invocati a
giustificazione dell'inadempimento dell'Azienda nè escludono il diritto a
ricevere il corrispettivo stabilito dalla contrattazione regionale per i
servizi resi nel rispetto delle condizioni contrattualmente previste;
25. il potere unilaterale di riduzione dei compensi non può
essere fondato sul D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 40, al quale rinvia la L. n.
289 del 2002, art. 52 e del quale è denunciata la violazione nel sesto motivo,
perchè in tutte le versioni succedutesi nel tempo è rimasto immutato il comma 4
della disposizione in parola secondo cui "le pubbliche amministrazioni
adempiono agli obblighi assunti con i contratti collettivi nazionali o
integrativi dalla data della sottoscrizione definitiva e ne assicurano
l'osservanza nelle forme previste dai rispettivi ordinamenti";
26. quanto, poi, alla contrattazione integrativa il
legislatore ne ha previsto la doverosa "disapplicazione" nelle sole
ipotesi di nullità delle clausole contrattuali, espressamente affermata in
relazione ai contratti che, al momento della sottoscrizione, risultino essere
in contrasto con i vincoli imposti dal contratto nazionale o comportino oneri
non previsti dagli strumenti di programmazione annuale e pluriennale di
ciascuna amministrazione (art. 40, comma 3, della versione originaria; art. 40,
comma 3 quinquies del testo modificato dal D.Lgs. n. 150 del 2009). La nullità
prevista dall'art. 40 è quindi solo quella genetica del contratto, che rende
inefficaci le clausole della contrattazione integrativa sin dal momento della
loro stipulazione;
26.1. il potere unilaterale di intervento sulle materie
riservate alla contrattazione integrativa è stato eccezionalmente attribuito al
datore di lavoro pubblico dal D.Lgs. n. 150 del 2009, ma solo alle condizioni
previste dai commi 3 bis e 3 ter del modificato art. 40, ossia in via
provvisoria e alla scadenza del termine fissato per la sessione negoziale in
sede decentrata, dopo che le parti, in caso di mancato accordo, abbiano
riassunto "le rispettive prerogative e libertà di iniziativa e
decisione";
26.2. detto potere unilaterale, lo si ripete eccezionale, è
stato pensato dal legislatore, a partire dal D.Lgs. n. 150 del 2009, al dichiarato
fine di assicurare la funzionalità dell'azione amministrativa, ma è stato
disciplinato in termini che non smentiscono il ruolo centrale attribuito alla
contrattazione nè consentono di ricondurre il potere stesso all'esercizio di
potestà autoritativa;
26.3. è poi assorbente rispetto ad ogni altra considerazione
il rilievo che l'intervento unilaterale resta circoscritto all'ambito della
contrattazione di competenza, sicchè lo stesso non può certo essere invocato
per incidere su istituti contrattuali la cui disciplina sia riservata ad un
altro livello di contrattazione;
27. infine, quanto all'asserita violazione della L. n. 2248
del 1865, allegato E, artt. 4 e 5, nei precedenti citati si è affermato, ed il
principio deve essere qui ribadito, che l'atto con il quale la ASL ha
unilateralmente ridotto il compenso non è espressione di un potere di
supremazia e partecipa della medesima natura privatistica del rapporto che si
instaura con il professionista convenzionato;
27.1. il rapporto di parasubordinazione con i medici di
medicina generale e con i pediatri di libera non è assimilabile a quello che si
instaura con le strutture accreditate, oggetto di disposizioni specifiche,
dettate dal D.Lgs. n. 502 del 1992, articoli da 8 quater a 8 sexies che, come
sottolineato dall'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (sentenza n. 3 del
2012), delineano un modello bifasico nel quale la determinazione delle tariffe
ha matrice autoritativa e vincolante;
27.2. al contrario nel rapporto convenzionale con i pediatri
di libera scelta e con i medici di medicina generale l'ente agisce su un piano
di parità sicchè l'atto con il quale lo stesso pretende di rideterminare il
compenso, in peius rispetto alle previsioni della contrattazione collettiva,
non è espressione di potestà pubblica e va equiparato a quello con il quale il
debitore, privato, rifiuta di adempiere, in toto o parzialmente, l'obbligazione
posta a suo carico;
27.3. d'altro canto la Corte territoriale correttamente ha
evidenziato che nella fattispecie non è stata posta in discussione la
legittimità della delibera n. 592-2008 e del decreto del commissario n.
27-2011, nella parte concernente la fissazione dei tetti di spesa, perchè
oggetto di contestazione sono solo le modalità con le quali la ASL ha ritenuto
di potere perseguire l'obiettivo fissato da quei provvedimenti e, quindi, gli
atti unilaterali dei quali è contestata la legittimità non rientrano fra quelli
contemplati dalla L. n. 2248 del 1865, artt. 4 e 5 dell'allegato E perchè non
sono espressione di potestà autoritativa;
28. in via conclusiva entrambi i ricorsi devono essere
rigettati, con conseguente integrale compensazione delle spese del giudizio di
cassazione, in ragione della soccombenza reciproca;
29. ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1
quater, come modificato dalla L. 24.12.12 n. 228, si deve dare atto, ai fini e
per gli effetti precisati da Cass. S.U. n. 4315 del 2020, della ricorrenza
delle condizioni processuali previste dalla legge per il raddoppio del
contributo unificato, se dovuto dai ricorrenti principali e dalla ricorrente
incidentale.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso principale ed il ricorso
incidentale. Compensa le spese del giudizio di legittimità.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater
dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte
dei ricorrenti principali e della ricorrente incidentale, dell'ulteriore
importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto, per il ricorso
principale e per quello incidentale a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se
dovuto.
Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 12 gennaio
2023.
Depositato in Cancelleria il 12 aprile 2023
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