Corte d'Appello 2023-“ di condannare il Comune alla immediata reintegra nella posizione dirigenziale revocata e al pagamento, anche a titolo di risarcimento del danno, di tutte le differenze retributive”
Corte d'Appello Roma Sez. lavoro, Sent., 22/03/2023
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DI APPELLO DI ROMA
- Sezione Lavoro e Previdenza -
composta dai Signori Magistrati
Dott. Guido ROSA - Presidente -
Dott.ssa Francesca DEL VILLANO ACETO - Consigliere -
Dott.ssa Bianca Maria SERAFINI - Consigliere est. -
all'udienza del 26 gennaio 2023 ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa civile in grado di appello iscritta al n. 4159 del Ruolo Generale Affari Contenziosi del 2019, vertente
TRA
x
- APPELLANTE -
E
ROMA CAPITALE ( già COMUNE DI ROMA), in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall'avv. Alessandro Rizzo, elettivamente domiciliata presso gli uffici dell'Avvocatura Capitolina in Roma, via del Tempio di Giove n. 21
- APPELLATA-
E
ANAC- AUTORITA' NAZIONALE ANTICORRUZIONE-, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato ed elettivamente domiciliata ex lege in Roma via dei Portoghesi n. 12
-APPELLATA-
Oggetto: appello avverso la sentenza n. 5580/2019 del Tribunale di Roma pubblicata in data 06/06/20219.
Svolgimento del processo - Motivi della decisione
Con sentenza n. 5580/2019 il Tribunale di Roma, in funzione di giudice del lavoro, ha rigettato il ricorso con cui M.R., chiamando in giudizio il Comune di Roma e l'Autorità Nazionale Anticorruzione, chiedeva di dichiararsi la nullità e/o invalidità e/o illegittimità dell'ordinanza n. 35 del 6 marzo 2017 con la quale la Sindaca di Roma aveva disposto l'annullamento dell'ordinanza sindacale n. 95/2016, nella parte in cui aveva conferito al ricorrente l'incarico di Direttore della Direzione Turismo del Dipartimento Turismo-Formazione Lavoro, confermandolo definitivamente nell'assegnazione al Corpo di Polizia Locale di Roma Capitale; di condannare il Comune alla immediata reintegra nella posizione dirigenziale revocata e al pagamento, anche a titolo di risarcimento del danno, di tutte le differenze retributive, con decorrenza dal 9 gennaio 2017 fino all'effettiva ripresa delle prestazioni presso la Direzione Turismo; in subordine al pagamento delle differenze per la durata triennale dell'incarico dirigenziale, e in ulteriore subordine al risarcimento del danno da perdita di chances, oltre al risarcimento delle convenute, in solido, al risarcimento del danno curriculare, all'immagine, non patrimoniale da demansionamento e da deprofessionalizzazione e danno esistenziale, da quantificarsi in via equitativa.
A sostegno delle sue richieste il ricorrente deduceva : i) di essere dipendente del Comune di Roma Capitale, con qualifica dirigenziale, dal 2010, di essere assegnatario di prestigiosi incarichi e di aver conseguito riconoscimenti di ordine morale; ii) di aver partecipato alla procedura per interpell o indetta con nota del 19 ottobre 2016 per il conferimento dell'incarico di Direttore della Direzione Turismo-Dipartimento Turismo, Formazione e Lavoro, e di aver avuto il conferimento dell'incarico con ordinanza sindacale n. 95 del 9 novembre 2016, con diritto ad una retribuzione superiore rispetto a quella percepita come dirigente della Polizia Municipale; iii) di essere stata l'ordinanza sospesa con Provv. del 9 gennaio 2017 in conseguenza della comunicazione di avvio del procedimento da parte dell'Autorità Nazionale Anticorruzione per asserito conflitto di interessi, per essere stata l'ordinanza n. 95/2016 controfirmata dal fratello, R.M., nella qualifica di Direttore del Dipartimento Organizzazione e Risorse Umane; iv) di essere il provvedimento di revoca del tutto illegittimo non avendo il fratello partecipato al procedimento istruttorio da cui era scaturito il conferimento dell'incarico, ed essendo la controfirma operazione meramente formale.
Si costituiva in giudizio Roma Capitale che eccepiva il difetto di giurisdizione del giudice ordinario e, nel merito, chiedeva il rigetto del ricorso.
Si costituiva anche l'Autorità Nazionale Anticorruzione che eccepiva preliminarmente l'inammissibilità del ricorso per carenza di legittimazione passiva e concludeva per il rigetto del ricorso.
Il Tribunale di Roma, con la sentenza impugnata, dichiarata la carenza di legittimazione passiva dell'Autorità Nazionale Anticorruzione e disattesa l'eccezione del difetto di giurisdizione del giudice ordinario, ha ritenuto infondata la domanda in base alle seguenti argomentazioni:
- la revoca dell'incarico dirigenziale, impugnata dal ricorrente, traeva fondamento dalla determinazione del Comune di Roma con la quale era stata ritenuta viziata l'ordinanza n. 95/2016 di conferimento dell'incarico in quanto espressione del conflitto di interessi in capo a R.M., fratello del ricorrente, e Direttore del Dipartimento Organizzazione e Risorse Umane di Roma Capitale, come segnalato dall'Autorità Nazionale Anticorruzione;
- l'art. 6 bis "conflitto di interessi" della L. n. 241 del 1990 stabilisce l'obbligo di astensione per i soggetti ivi indicati (responsabile del procedimento, titolari degli uffici competenti ad adottare pareri, valutazioni tecniche, atti endoprocedimentali e il provvedimento finale); l'art. 3 del D.R.P. n. 62 del 2013 (Regolamento recante codice di comportamento dei dipendenti pubblici, a norma dell'art. 54 del D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165) prescrive che il dipendente pubblico deve conformare la propria condotta ai principi di buon andamento ed imparzialità dell'azione amministrativa, agendo in posizione di indipendenza ed imparzialità, astenendosi in caso di conflitto di interessi; l'art. 7 disciplina espressamente l'obbligo di astensione del pubblico dipendente in caso di decisioni che possano coinvolgere interessi propri, ovvero di suoi parenti, affini entro il secondo grado, del coniuge o di conviventi, di persone con le quali abbia rapporti di frequentazione abituale, e in ogni altro caso in cui esistano ragioni di convenienza, prevedendo che sull'astensione decide il responsabile dell'ufficio di appartenenza;
- lo scopo di garantire la pubblica amministrazione da tutte le situazioni che possano minarne il corretto agire o anche la sola immagine di trasparenza, impone al pubblico dipendente di rappresentare alla pubblica amministrazione i potenziali conflitti di interesse;
- nel caso in esame, stante il rapporto di parentela, il fratello del ricorrente, titolare dell'ufficio istituzionalmente chiamato ad istruire gli atti della procedura di interpello per il conferimento dell'incarico dirigenziale in oggetto, avrebbe dovuto astenersi da qualsiasi attività relativa alla procedura in questione segnalando tale circostanza al superiore gerarchico, essendo irrilevante la conoscenza della stessa da parte della sindaca;
- la sottoscrizione dei provvedimenti di nomina dei dirigenti, pur facendo capo direttamente all'organo politico, non poteva prescindere dalla collaborazione, anche a fini istruttori, degli uffici amministrativi preposti alla raccolta della documentazione ed alla predisposizione degli atti da sottoporre alla valutazione finale della sindaca;
- l'interesse pubblico al corretto agire della pubblica amministrazione ha, quindi, determinato Roma Capitale a revocare l'incarico all'odierno ricorrente, assunto in violazione delle disposizioni di legge;
- in merito agli asseriti profili di risarcibilità conseguenti alla revoca, gli stessi dovevano ritenersi insussistenti per avere il ricorrente immediatamente continuato a svolgere incarichi dirigenziali, essendo stato riconfermato nell'incarico precedentemente svolto, e non potendo vantare il dirigente pubblico l'assegnazione ad uno specifico incarico, ma pretendere esclusivamente l'adozione di un incarico di natura dirigenziale.
Avverso la suddetta decisione ha proposto appello M.R., censurando la sentenza impugnata in base a plurimi motivi, di cui ha chiesto la riforma integrale con l'accoglimento delle domande formulate con il ricorso di primo grado.
Si sono costituiti in giudizio Roma Capitale ( già Comune di Roma), in persona della Sindaca, e l'Autorità Nazionale Anticorruzione, in persona del legale rappresentate p.t., resistendo al gravame e chiedendone il rigetto.
All'odierna udienza, all'esito degli adempimenti previsti dall'art. 427 c.p.c. e della produzione da parte del procuratore di Roma Capitale della sentenza penale di condanna di M.R. alla pena di anni 1 e mesi 4 di reclusione per il reato di cui all'art. 323 c.p., per i fatti oggetto del presente gravame, la causa è stata decisa come da dispositivo.
Rileva la Corte che i motivi di appello non sono fondati e le conclusioni cui è pervenuto il giudice di primo grado sono meritevoli di conferma anche nella presente fase di impugnazione.
Con il primo motivo di appello M.R. ha lamentato "la violazione e falsa applicazione degli artt. 24 e 97 della Costituzione, degli artt. 3 e 6 bis L. n. 241 del 1990, del D.P.R. n. 62 del 2013, violazione e falsa applicazione della deliberazione della giunta di Roma Capitale n. 429 del 13/12/2013 recante il codice di comportamento dei dipendenti di Roma Capitale, violazione e falsa applicazione dell'art. 34 dello Statuto di Roma Capitale, dell'art. 38 del Regolamento sull'ordinamento degli uffici e dei servizi di Roma Capitale, contraddittorietà, difetto di motivazione, sviamento, eccesso di potere, inesistenza dei presupposti, violazione degli artt. 1418 e 1425 e ss seguenti".
Sostanzialmente l'appellante ha censurato la sentenza di primo grado per avere ritenuto irrilevante la circostanza che la Sindaca di Roma fosse direttamente a conoscenza del rapporto di parentela tra i due Marra, e per aver ritenuto sussistente l'obbligo di astensione in presenza di un'attività meramente esecutiva delle disposizioni del Sindaco, senza margine di discrezionalità, quale quella della controfirma dell'atto; il conferimento all'appellante dell'incarico di Direttore della Direzione Turismo era stata assunta in via esclusiva dalla Sindaca per essere l'attività dell'ufficio delle Risorse Umane meramente esecutiva, come espressamente stabilito dalla legge (art. 50, comma 10, D.Lgs. n. 267 del 2000), dallo Statuto di Roma Capitale e dal Regolamento sull'ordinamento degli uffici e dei servizi (art. 38). Il richiamo nell'ordinanza sindacale n. 95/2016, di conferimento dell'incarico al ricorrente, all'"attività istruttoria svolta dalle competenti strutture", era riferito all'attribuzione delle fasce retributive alle singole posizioni dirigenziali, operazione antecedente rispetto all'in dizione dell'operazione di interpello e alla candidatura dell'appellante, con esclusione di ogni potenziale conflitto di interessi.
Il motivo non è fondato.
L'art. 6 bis L. n. 241 del 1990, inserito dall'art. 1 della L. n. 190 del 2012 con lo scopo di prevenire anche a livello "potenziale" condotte di natura corruttiva, intitolato " Conflitto di interessi", stabilisce che "il responsabile del procedimento e i titolari degli uffici competenti ad adottare i pareri, le valutazioni tecniche, gli atti endoprocedimentali e il provvedimento finale devono astenersi in caso di conflitto di interessi, segnalando ogni situazione di conflitto, anche potenziale".
L'art. 3 del D.P.R. n. 62 del 2013, "Regolamento recante codice di comportamento di dipendenti pubblici", a sua volta, prevede che il dipendente pubblico deve conformare la propria condotta ai principi di buon andamento ed imparzialità dell'azione amministrativa astenendosi in caso di conflitto di interessi, ed il successivo art. 7, rubricato "obbligo di astensione", stabilisce che " il dipendente si astiene dal partecipare all'adozione di decisioni o ad attività che possano coinvolgere interessi propri, ovvero di suoi parenti, affini entro il secondo grado, del coniuge o di conviventi, oppure di persone con le quali abbia rapporti di frequentazione abituale…il dipendente si astiene in ogni altro caso in cui esistano gravi ragioni di convenienza. Sull'astensione decide il responsabile dell'ufficio di appartenenza".
Dalla lettura combinata delle norme citate si evince che il pubblico dipendente che sia responsabile del procedimento, o titolare di ufficio competente ad adottare pareri, valutazioni tecniche, atti endoprocedimentali e il provvedimento finale, se versa in una situazione di conflitto di interessi per coinvolgere il procedimento interessi propri, del coniuge, di parenti, di affini entro il secondo grado, di conviventi, di persone con cui abbia frequentazione regolare, o esistano altre gravi ragioni di convenienza, ha l'obbligo di astenersi da ogni attività e di segnalare la situazione di conflitto, anche solo potenziale, al responsabile dell'ufficio di appartenenza. Stando al dettato normativo, quindi, il funzionario che versi in una situazione di conflitto di interessi ha un duplice dovere: quello della segnalazione del conflitto, anche solo potenziale, e il divieto di adottare l'atto.
Tale regola è espressione del principio generale di imparzialità di cui all'art. 97 Cost., che impone che " le scelte adottate dall'organo devono essere compiute nel rispetto della regola dell'equidistanza da tutti coloro che vengano a contatto con il potere pubblico (Cons. Stato, sez. cons. n. 667/2019); imparzialità che, al pari della legalità, è un canone fondamentale dell'attività amministrativa, che impone il divieto di sviare la cura dell'interesse pubblico per esigenze privatistiche
Osserva la Corte, condividendo la motivazione del giudice di prime cure, che il Direttore del Dipartimento Risorse Umane di Roma Capitale, fratello dell'odierno appellante, alla luce del compendio normativo richiamato, aveva l'obbligo di astenersi, e ancor prima di segnalare all'amministrazione l'ipotesi del conflitto di interessi, per coinvolgere il procedimento di interpello da lui avviato con la comunicazione del 19 ottobre 2016 prot. (...) a sua firma e di cui aveva curato l'istruttoria (con la raccolta delle domande dei soggetti interessati, la verifica dell'insussistenza cause di incompatibilità), gli interessi di un proprio parente.
L'omissione di tali attività ha quindi comportato l'adozione del provvedimento finale viziato, perché formato in violazione di norme di legge poste a garanzia dell'imparzialità e del buon andamento dell'amministrazione. L'ordinanza sindacale di conferimento all'odierno appellante dell'incarico di Direttore della Direzione Turismo nell'ambito del Dipartimento Turismo-Formazione Lavoro, era stata infatti non solo co-firmata da R.M., quale Direttore del Dipartimento Risorse Umane, ma costituiva il provvedimento conclusivo della procedura di interpello di cui il Marra, titolare dell'ufficio, aveva curato l'istruttoria propedeutica.
Rileva, inoltre, il Collegio che non coglie nel segno quanto affermato nell'atto di appello, per escludere la sussistenza di un obbligo di astensione, in merito alla mancata adozione, da parte della Sindaca e del Responsabile della Prevenzione della Corruzione e della Trasparenza, di atti volti ad estromettere M.R. dalla procedura d'interpello. L'assenza di ogni formale segnalazione da parte dell'interessato della potenziale situazione di un conflitto di interessi non ha consentito infatti all'amministrazione di prendere una posizione e di valutare preventivamente l'opportunità di impedire il suo coinvolgimento nella procedura in questione.
Con un secondo motivo parte appellante ha censurato la sentenza di primo grado per omesso esame del motivo con cui il ricorrente aveva contestato l'operato del datore di lavoro per non avere applicato il principio di conservazione degli atti giuridici, in presenza di una violazione puramente formale, e per omesso esame del motivo con cui era stato criticato l'operato del Comune di Roma Capitale per non avere riattivato il procedimento al fine di epurare l'ordinanza n. 96/2016 del vizio formale.
Il motivo è infondato.
Il Tribunale non ha affatto omesso di motivare in merito alla natura della violazione che ha comportato l'illegittimità dell'ordinanza sindacale n. 95/2016, avendo piuttosto ritenuto che la controfirma di R.M. nel caso di specie assumesse "anche un contenuto sostanziale", per aver predisposto la relativa istruttoria- dato indiscutibile emergente dallo stesso provvedimento-generando una situazione che aveva compromesso la credibilità e l'immagine dell'amministrazione pubblica
L'astensione dei pubblici funzionari in ipotesi di conflitto di interessi è, infatti, attuazione diretta dell'art. 97 della Costituzione la cui violazione non può essere considerata di natura formale, ledendo l'imparzialità amministrativa e l'immagine del potere pubblico e, diversamente da quanto sostenuto nell'atto di appello, con l'annullamento dell'ordinanza n. 95/2016 nella sola parte relativa al conferimento al Dott. M.R. dell'incarico di Direttore della Direzione Turismo del Dipartimento Turismo-Formazione -Lavoro, con la riassegnazione del Dirigente al Corpo di Polizia Locale di Roma Capitale, l'Amministrazione ha fatto corretta applicazione del principio di conservazione degli atti giuridici che consente appunto di evitare, per quanto possibile, che un atto concluso venga posto nel nulla. In base al principio dell'economia dei mezzi giuridici se l'amministrazione riscontra vizi nel modus procedendi, che non travolgono l'intero procedimento ma coinvolgono solo singole fasi, legittimamente può far ricorso alla regola cardine della conservazione degli atti validi e di conseguenza, può limitare l'esercizio dell'autotutela agli atti effettivamente incisi dalle accertate illegittimità e, quindi, circoscrivere la rinnovazione del procedimento alle sole fasi viziate e a quelle successive, conservando l'efficacia dei precedenti atti legittimi del procedimento ( Consiglio di Stato sez. IV, 26 luglio 2012, n. 4257).
Di tali principi l'Amministrazione ha fatto corretta applicazione dal momento che con l'ordinanza n. 35 del 6 marzo 2017 non è stato solo disposto l'annullamento in autotutela dell'ordinanza n. 96/2016, nella parte relativa al conferimento dell'incarico a M.R. di Direttore della Direzione Turismo del Dipartimento Turismo- Formazione Lavoro, ma è stata anche confermata la sua assegnazione quale Dirigente al Corpo di Polizia Locale di Roma Capitale, ultimando così la procedura di interpello avviata con la citata nota del 19 ottobre 2016.
Con un terzo motivo l'appellante ha censurato la sentenza impugnata per "violazione degli artt. 2,3 e 97 della Cost, violazione dell'art. 109 D.Lgs. n. 165 del 2001, dell'art. 22 del CCNL del personale dirigente del 10/04/96 e ss., violazione dei principi di tipicità e nominatività dei provvedimenti amministrativi, eccesso di potere, sviamento, difetto di motivazione, violazione degli artt. 1175 e 1375 c.c., violazione dei principi di correttezza e buona fede nei rapporti contrattuali, violazione degli artt. 2087 e 2103 c.c., violazione degli artt. 1418, 1427, 1428, 1429, 1431, 1439 e 1440 c.c.". L'appellante ha lamentato l'omesso esame da parte del Tribunale dei motivi con cui era stato criticata la violazione da parte dell'ordinanza sindacale n. 35/2017 delle disposizioni dettate in materia di revoca degli incarichi dirigenziali sia da norme di legge, art. 19 comma 1 ter T.U. del pubblico impiego, che di contrattazione collettiva (art. 22 del C.C.N.L. del personale dirigente).
L'art. 19 comma 1 ter T.U. del pubblico impiego, richiamando l'art. 21 comma 1, secondo periodo, prevede che gli incarichi dirigenziali possono essere revocati solo per mancato raggiungimento degli obiettivi, accertato attraverso il sistema della valutazione, o per inosservanza di direttive sempre che si versi in ipotesi di particolare gravità; l'art. 22 del C.C.N.L. del personale dirigente del 10.4.1996 prevede la revoca anticipata solo per ragioni organizzative e produttive o in seguito all'accertamento dei risultati negativi di gestione o di inosservanza delle direttive impartite ai sensi dell'art. 20 del D.Lgs. n. 29 del 1993. L'ordinanza della Sindaca del Comune di Roma, secondo la prospettazione dell'appellante, avrebbe disposto una revoca anticipata senza che ricorresse alcuna delle ipotesi previste dalle disposizioni richiamate.
Il Tribunale non ha motivato su tale rilievo dedotto in ricorso ma la censura è comunque infondata.
Le ipotesi considerate sia dalla norma del T.U. del pubblico impiego che da quella della contrattazione collettiva presuppongono una regolare assegnazione degli incarichi dirigenziali rispetto ai quali la revoca anticipata può conseguire, oltre che per ragioni organizzative, solo in base ad una valutazione negativa dell'attività svolta dal dirigente che non abbia conseguito gli obiettivi o in presenza di risultati negativi di gestione.
L'annullamento dell'ordinanza del Sindaco n. 95/2016 limitatamente al conferimento dell'incarico di Direttore della Direzione Turismo a M.R. risponde invece all'esigenza di conformare l'attività dell'amministrazione alla legge, nel rispetto dei principi sanciti dall'art. 97 della Costituzione, con l'eliminazione di un provvedimento adottato in violazione delle norme che impongono il dovere di astensione del pubblico dipendente in situazioni, anche solo potenziali, di conflitto di interessi.
Alla luce delle considerazioni sopra espresse, con le quali si condivide pienamente la sentenza impugnata per aver ritenuto legittima la revoca dell'incarico di Direttore conferito all'appellante, risulta infondato anche il quarto motivo di appello con cui l'appellante ha censurato la sentenza di primo grado per aver rigettato, sul presupposto della legittimità della revoca dell'ordinanza, le domande risarcitorie, del ricorrente.
Correttamente il Tribunale ha rilevato che M.R., con lo stesso provvedimento di annullamento dell'ordinanza n. 95/2016 è stato definitivamente assegnato al Corpo di Polizia Locale di Roma Capitale, venendo riconfermato nell'incarico precedentemente svolto prima dell'assegnazione di quello revocato, continuando pertanto a svolgere incaric hi di natura dirigenziali. La giurisprudenza di legittimità ha più volte affermato il principio secondo cui " Il sistema normativo del lavoro pubblico dirigenziale negli enti locali (trasfuso da ultimo nell'art. 109 del D.Lgs. n. 267 del 2000), nell'escludere la configurabilità di un diritto soggettivo a conservare in ogni caso determinate tipologie di incarico dirigenziale (ancorchè corrispondenti all'incarico assunto a seguito di concorso specificatamente indetto per determinati posti di lavoro e anteriormente alla cosiddetta "privatizzazione"), conferma peraltro il principio generale che, nel lavoro pubblico, alla qualifica dirigenziale corrisponde soltanto l'attitudine professionale all'assunzione di incarichi dirigenziali di qualunque tipo, e non consente perciò - anche in difetto dell'espressa previsione di cui all'art. 19 del D.Lgs. n. 165 del 2001 stabilita per le amministrazioni statali - di ritenere applicabile l'art. 2103 cod. civ., risultando la regola del rispetto di determinate specifiche professionalità acquisite non compatibile con lo statuto del dirigente pubblico locale, con la sola eccezione della dirigenza tecnica, la quale va tuttavia interpretata in senso stretto, ossia nel senso che il dirigente tecnico, il cui incarico è soggetto ai principi della temporaneità e della rotazione, deve comunque svolgere mansioni tecniche"(Cass. sez. Lav. 3451/2010, Cass. 22 dicembre 2004, n. 23760; Cass. 22 febbraio 2017, n. 4621; Cass. 20 luglio 2018, n. 19442).
In ogni caso, nella fattispecie in giudizio la revoca, tutt'altro dall'essere illegittima, è stata disposta dal datore di lavoro a salvaguardia dell'interesse pubblico del corretto agire della pubblica amministrazione, la cui credibilità ed imparzialità era stata compromessa dalla condotta del proprio funzionario, a cui aveva fatto seguito il clamore mediatico anche per le indagini penali avviate. Il comportamento legittimo del Comune di Roma Capitale non può pertanto ritenersi causa dei danni lamentati dall'originario ricorrente.
Con il quinto e sesto motivo parte appellante ha impugnato la sentenza di primo grado nella parte in cui ha omesso di ammettere i mezzi istruttori richiesti con il ricorso introduttivo del giudizio ( interrogatorio formale del sindaco di Roma Capitale, prova testimoniale) e per aver dichiarato la carenza di legittimazione passiva dell'Autorità Nazionale Anticorruzione, laddove aveva invece concorso alla revoca dell'incarico.
Entrambi i motivi sono infondati.
Le prove orali richieste dal ricorrente non sono rilevanti risultando le relative circostanze dai documenti prodotti, come ritenuto dallo stesso ricorrente nelle note autorizzate depositate in data 18.1.2019 nel giudizio di primo grado.
In merito alla carenza di legittimazione passiva dell'Autorità Nazionale Anticorruzione nel presente giudizio deve rilevarsi come il provvedimento di revoca dell'incarico dirigenziale è stato adottato da Roma Capitale, quale datore di lavoro di M.R., a seguito della deliberazione n. 1305 del 21.12.2016 dell'ANAC che non aveva però come destinatario l'odierno appellante, ma il di lui fratello. Deliberazione che non è dunque direttamente lesiva degli interessi del primo.
Tali i motivi della decisione alla stregua dei quali l'appello non è meritevole di accoglimento.
Le spese del grado, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
In considerazione del tenore della decisione sussistono le condizioni oggettive ai sensi dell'art. 13 comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002 per il versamento da parte dell'appellante dell'ulteriore versamento del contributo unificato, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta l'appello. Condanna la parte appellante al pagamento delle spese del grado in favore delle parti appellate, che si liquidano, per ciascuna, in complessivi Euro 3.407,00 oltre al rimborso spese forfettarie nella misura di legge, Iva e Cpa come per legge. Sussistono le condizioni oggettive richieste dall'art. 13 comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002 per il versamento da parte dell'appellante dell'ulteriore importo del contributo unificato, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 26 gennaio 2023.
Depositata in Cancelleria il 22 marzo 2023.
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