SENTENZA sul ricorso 26306-2006 proposto da: xxxxx xxxxxx in proprio e nella qualità di Amministratore Unico della xxxxx, elettivamente domiciliato in ROMA presso la CANCELLERIA DELLA CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall'avvocato DE NOTARISTEFANI DI VASTOGIRARDI ANTONIO giusta delega in calce al ricorso; -ricorrente – contro xxxxx xxxxx e xxxxx xxxxx, elettivamente domiciliati in ROMA, PIAZZA DEI CAPRETTARI 70, presso lo studio dell'avvocato GUARDASCIONE BRUNO, che li rappresenta e difende unitamente all'avvocato RIPA DI MEANA VITTORIO giusta delega a margine del controricorso; - controricorrenti - avverso la sentenza n. 1986/2005 della CORTE D'APPELLO di NAPOLI I SEZIONE CIVILE, emessa il 27/4/2005, depositata il 28/06/2005, R.G.N. 2591/2004; udita la relazione della causa svolta nella pubblicaudienza del 21/10/2010 dal Consigliere Dott. RAFFAELLA LANZILLO; udito l'Avvocato BRUNO GUARDASCIONE; udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. AURELIO GOLIA che ha concluso per il rigetto.
Svolgimento del processo
Con sentenza n. 1986, depositata il 28 giugno 2005, la Corte di appello di Napoli ha confermato la sentenza emessa in primo grado dal Tribunale di Napoli, la quale ha respinto la domanda proposta da xxxxx, in proprio e quale rappresentante legale della xxxxx, contro xxxxx, e la xxxxx rispettivamente autrice, direttore responsabile ed editrice del quotidiano xxxxx - per ottenere il risarcimento dei danni a seguito della pubblicazione sul medesimo quotidiano di due articoli, l'uno in data 4/5 aprile e l'altro il 6 aprile 1993, ritenuti diffamatori. Il xxxxx propone tre motivi di ricorso per cassazione, illustrati da memoria. Resistono gli intimati con controricorso.
Motivi della decisione
1.- Conviene richiamare preliminarmente i fatti che hanno dato origine alla controversia. Il 2 aprile 1993 il GIP presso il Tribunale di Napoli ha disposto la custodia cautelare in carcere del xxxxx direttore della xxxxx con l'accusa formulata dal commissario straordinario della USL 37, xxxxx di avere offerto a quest'ultimo la somma di Lire 500 milioni per indurlo a non proporre appello contro un lodo arbitrale che ha condannato la USL a pagare alla Casa di cura 5 miliardi e mezzo di lire, in rimborso di spese erogate agli assistiti. Il 4/5 aprile 1993 il quotidiano xxxxx, ha pubblicato un articolo a firma di xxxxx dal titolo "Cade nella rete ex manager USL", ove il xxxxx era indicato come uno dei due pentiti che avevano incastrato il funzionario. Il giorno successivo altro articolo dal titolo "La truffa dei posti letto" riprendeva la vicenda, dicendo fra l’altro che "per non fare appellare il manager xxxxx contro la sentenza il proprietario della clinica avrebbe offerto all'amministratore una mazzetta da 500 milioni, e che "quelli della clinica cercavano di farsi pagare i ricoveri convenzionati per un numero di posti letto maggiore" rispetto a quelli di cui disponevano. Nel settembre successivo il xxxxx è stato arrestato con l'imputazione di concussione ai danni del xxxxx ed il procedimento a carico di quest'ultimo è stato archiviato. Rimasta senza esito la domanda di rettifica degli articoli già pubblicati, il xxxxx in proprio e quale rappresentante della Casa di cura, ha chiesto il risarcimento dei danni per diffamazione e per mancata pubblicazione della rettifica, assumendo che, a seguito delle vicende di cui sopra, i funzionari della USL non hanno rinnovato la convenzione con la Clinica e questa ha visto ridotta la sua clientela, con rilevante calo del fatturato. La Corte di appello ha motivato il rigetto delle domande con il fatto che, essendovi un interesse pubblico alla narrazione della vicenda, la pubblicazione era giustificata dal diritto di cronaca; che l'articolista si è attenuta alla verità dei fatti, così come essi all'epoca si presentavano, e che non ha trasceso la forma civile dell'esposizione. Ha ritenuto giustificata anche la mancata rettifica, con la motivazione che i convenuti non erano obbligati a procedervi, poichè le pubblicazioni che si chiedeva di rettificare erano lecitamente avvenute.
2.- E' logicamente pregiudiziale l'esame del secondo e del terzo motivo, con cui il ricorrente denuncia violazione degli art. 2043 cod. civ. e 597 cod. pen., nonchè illogica e insufficiente motivazione, sul rilievo che - contrariamente a quanto ha ritenuto la sentenza impugnata l'autrice dell'articolo ha imputato alla Clinica un fatto falso, cioè il ricovero di pazienti oltre il numero dei letti disponibili ed il pagamento di rette di degenza relative a posti letto inesistenti, trascurando il fatto che le eccezioni sollevate dalla USL nel giudizio arbitrale concernevano posti letto effettivamente esistenti, ma non aventi diritto al rimborso perchè non convenzionati. Le pubblicazioni, pertanto, avevano imputato alla Casa di cura un comportamento disonesto e truffaldino, mentre la vertenza reale concerneva un mero illecito civile. Lamenta ancora che il titolo dell'articolo del 6 aprlle "La truffa dei posti letto", è espressione tendenziosa, suggestiva e non rispondente ai principi di continenza espositiva.
2.1.- I due motivi sono inammissibili. Essi attengono all'interpretazione del contenuto delle pubblicazioni ed alla valutazione della loro portata offensiva, questioni la cui delibazione è riservata alla discrezionalità della Corte di merito, la quale ha congruamente e logicamente motivato la sua decisione, tenendo conto dell'intero contenuto degli articoli, non solo delle frasi riportate nel ricorso. Ha ritenuto che da essi si potesse chiaramente desumere che la controversia non riguardava posti letto inesistenti, poichè l'articolo del 6 aprile specificava trattarsi del pagamento "delle rette di degenza contestate, in quanto eccedenti il limite del convenzionamento". Ha specificato che gli illeciti facevano capo solo all'allegra gestione della USL mai ha parlato di vendita di posti letto inesistenti o di mercato dei posti letto, ed ha prospettato l'ipotesi che le vicende processuali evolvessero verso una fattispecie di concussione anzichè di corruzione. Ha perciò concluso con valutazione congruamente e logicamente motivata che l'intitolazione (indubbiamente forte) del secondo articolo non poteva essere riferita a comportamenti del xxxxx e della xxxxx, ma solo a quelli del responsabile della USL. Nè il ricorrente ha posto in evidenza altre frasi contenute negli articoli, idonee a dimostrare l'illogicità e l'insufficienza della suddetta motivazione.
3. - Il primo motivo, deducendo violazione degli art. 8 legge 8 febbraio 1948 n. 47 sulla stampa e 2043 cod. civ., lamenta che la Corte di appello abbia assolto i convenuti anche dall'addebito di non avere pubblicato la rettifica delle precedenti notizie, dopa l'archiviazione del procedimento per corruzione a suo carico, e censura la motivazione della Corte secondo cui, essendo risultata lecita la pubblicazione, non vi era ragione di accogliere la domanda di rettifica. Afferma il ricorrente che la rettifica ha la funzione di consentire all'interessato una replica e costituisce oggetto di un diritto potestativo che spetta a chiunque si ritenga diffamato.
3.1.- Il motivo è fondato. L'art. 8 della legge n. 47/1948 sulla stampa - così come modificate dall'art. 42 legge 5 agosto 1981 n. 416 - impone al responsabile del periodico di pubblicare gratuitamente le rettifiche dei soggetti “ai quali siano stati attribuiti atti.... da essi ritenuti lesivi della lora dignità e contrari a verità, purchè ... le rettifiche non abbiano contenuto suscettibile di incriminazione penale", e sempre che siano contenute entro dati limiti di spazio. Si tratta di un diritto che la legge attribuisce all'interessato di vedere ristabilita la verità dei fatti qualora, tramite la stampa, gli siano stati attribuiti comportamenti, o lo si coinvolga in vicende pubbliche o personali, in termini difformi dalla realtà o che egli ritenga lesivi dell'onore, della reputazione od anche solo dell'identità personale. L'attuazione di un tale diritto non è rimessa alla discrezionale valutazione del direttore del mezzo, ma deve avere corso, tramite la pubblicazione della rettifica, tutti i casi in cui ne ricorrano i presupposti, con i soli limiti stabiliti dalla legge stessa (contenuto non penalmente illecito della rettifica; non eccedenza dai limiti di spazio di cui all'art. 8, 4° comma, legge n. 416 cit.) (cfr. Cass. civ. Sez. 3, 24 aprile 2008 n. 10690). Nella specie è indubbio lhe l'imputazione di corruzione sia oggettivamente lesiva della dignità della persona e che tale venga giustificatamente ritenuta dall'interessato. E' altresi indubbio che, all'esito delle indagini, l'addebito di concussione al xxxxx - riportato dal quotidiano xxxxx nell'aprile precedente - è risultato non rispondente al vero, pur se lecitamente pubblicato in precedenza, sulla base delle conoscenze acquisite a quella data. Ricorrevano quindi gli estremi previsti dalla legge per poter formulare la richiesta di rettifica, che il direttore del periodico era tenuto ad accogliere, salvo che avesse dimostrato il ricorrere di alcuna delle circostanze in presenza delle quali la legge autorizza a non dare corso alla domanda. La circostanza menzionata dalla sentenza impugnata, cioè la liceità della pubblicazione della notizia, è irrilevante, nei casi in cui le notizie pubblicate risultino successivamente non veritiere, come nel caso di specie. Vale a dire, allorchè la liceita si ricolleghi non alla verità oggettiva della notizia, ma a quanto di tale verità emerge alla data della pubblicazione (c. d. verità putativa), in forza della scriminante del diritto di cronaca, detta liceità non può considerarsi di ostacolo al diritto dell'interessato di ristabilire, tramite la rettifica, l'effettiva realtà delle cose che sia stata successivamente accertata. Al contrario, proprio il fatto che l'esercizio del diritto di cronaca può autorizzare la pubblicazione di vicende di cui non sia stata ancora accertata la completa corrispondenza al vero, impone di dare la più ampia possibilità di espressione al diritto di rettifica dell'interessato, affinchè l'interesse pubblico alla conoscenza immediata dei fatti non venga a sacrificare ingiustificatamente ed oltre misura l'interesse individuale a che siano pubblicate solo le notizie incontestabilmente accertate come vere. L'eccezione dei resistenti secondo cui il motivo di ricorso sarebbe irrilevante perchè inidoneo ad influire sul dispositivo della sentenza impugnata deve essere disattesa. Non si può a priori escludere, infatti, che la tempestiva pubblicazione della rettifica avrebbe potuto limitare i danni conseguenti all'iniziale pubblicazione, e gli odierni ricorrenti hanno dedotto il fatto fra le premesse idonee a giustificare la lora richiesta di risarcimento.
5.- In accoglimento del primo motivo di ricorso, la sentenza impugnata deve essere cassata, con rinvio della causa alla Corte di appello di Napoli, in diversa composizione, affinchè decida la controversia uniformandosi ai seguenti principi di diritto: “L'art. 8 della legge n. 47/1948 sulla stampa, così come modificato dall'art. 42 legge 5 agosto 1981 n. 416, attribuisce al soggetto il diritto di rettifica delle notizie pubblicate sui mezzi di informazione, in tutti i casi in cui si tratti di notizie non vere o che l'interessato ritenga lesive dei propri diritti all'onore, alla reputazione o all'identità personale. L'attuazione del diritto alla rettifica non è rimessa alla discrezionale valutazione del direttore del mezzo di informazione, ma deve avere corso in tutti i casi in cui nericorrano i presupposti, con i soli limiti stabiliti dalla legge stessa. "L'accertata liceità della pubblicazione della notizia di cui si chiede la rettifica trattandosi di notizia rispondente alle conoscenze acquisite fino a quel momento e ricorrendo gli estremi del diritto di cronaca - non fa venir meno l'obbligo di pubblicare la rettifica dell' interessato, qualora la relativa domanda sia diretta a far valere l'avvenuto accertamento dei fatti in termini diversi da quelli in precedenza pubblicati, dovendo la verità reale prevalere sulla verità putativa".
6. - Il giudice di rinvio deciderà anche sulle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte di cassazione accoglie il primo motivo di ricorso e rigetta gli altri motivi. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla Corte di appello di Napoli, in diversa composizione, la quale deciderà anche sulle spese del giudizio di cassazione.
Così deciso in Roma il 21 ottobre 2010