LA RESPONSABILITÀ DEL DATORE DI LAVORO PER INFORTUNI DEL DIPENDENTE IN CASO DI OUTSOURCING. IN PARTICOLARE IL DISTACCO.
PREMESSA. L’OUTSOURCING.
Com’è noto nel passaggio dall’impresa di tipo fordista a quella post fordista, determinato dalla crisi del modello fordista originario, l’impresa sceglie forme di decentramento produttivo che si risolvono nella verticalizzazione ovvero nella esternalizzazione delle fasi dei propri processi di produzione. Talvolta l’impresa post fordista tende ad esternalizzare molte delle attività che classicamente venivano garantite all’ interno delle mura del proprio stabilimento, talvolta tale attività di esternalizzazione arriva fino alla delocalizzazione fuori dal territorio nazionale, favorito in ciò da una aumentata facilità di relazioni connesse peraltro allo sviluppo della rete informatica. Con la crisi del modello fordista iniziarono a diffondersi nuovi modelli organizzativi, definiti appunto post-fordisti e si cominciò a configurare la cosiddetta impresa a rete caratterizzata da organizzazioni che, riducendo le proprie dimensioni, entravano in un fitto gioco di relazioni contrattuali di carattere commerciale, con soggetti terzi. Così, accanto alle relazioni gerarchiche, acquisirono rilevanza nell’organizzazione dell’imprese, una serie di rapporti negoziali con altri soggetti, cui vennero affidati singoli elementi del ciclo produttivo, dando vita ad una struttura integrata, non più in senso verticale, bensì orizzontale, basata sulla cooperazione tra più imprese. L’imprenditore, dunque, inizia a non configurarsi più come colui che organizza i fattori della produzione, il capitale e il lavoro, ma acquisisce un ruolo di general contractor, di coordinatore dell’opera di altre imprese, spesso non necessariamente di piccole dimensioni, caratterizzate da maggiore specializzazione tecnica e flessibilità organizzativa, legate da rapporti contrattuali di vario genere.
La Cass. Civile sez. lavoro 2 ottobre 2006 n. 21287 definiva l’outsourcing come “Il fenomeno che comprende tutte le possibili tecniche mediante le quali un’impresa dismette la gestione diretta di alcuni segmenti dell’attività produttiva e dei servizi estranei alle competenze base (c.d.core business). Ciò può fare sia appaltando a terzi l’espletamento del servizio, sia cedendo un ramo di azienda. La scelta tra le varie alternative è rimessa all’insindacabile valutazione dell’imprenditore, a norma dell’articolo 41 Cost.” In questo quadro il distacco è una prassi oggi assai diffusa in base alla quale le imprese ricorrono ad altre aziende per lo svolgimento della propria attività produttiva esternalizzando fasi della propria attività produttiva ad imprese terze che possono agire all’esterno oppure all’interno dell’azienda.
IN PARTICOLARE IL DISTACCO EX LEGE 30/2003 E D. LGS. 276/2003.
L’art. 30 del D.lgs. n. 276/2003 ha delineato la definizione legale di distacco, inizialmente di matrice giurisprudenziale, disponendo che esso si configura allorquando il datore di lavoro, al fine di soddisfare un proprio interesse, pone temporaneamente uno o più lavoratori a disposizione di un altro soggetto per l’esecuzione di una determinata attività lavorativa.
Dal provvedimento di distacco non deriva una novazione soggettiva del rapporto di lavoro in quanto il datore di lavoro è sempre il distaccante. I requisiti del distacco sono, dunque, la temporaneità e l’interesse del distaccante.
In merito al primo requisito, è intervenuta la circolare ministeriale n. 3/2004 la quale ha statuito che la temporaneità coincide con la non definitività, indipendentemente dalla durata del distacco, a condizione che il distacco sia rispondente agli interessi del distaccante.
Con tale previsione normativa, che “legittima le prassi di distacco all’interno dei gruppi di impresa, le quali corrispondono a una reale esigenza di imprenditorialità, volta a razionalizzare, equilibrandole, le forme di sviluppo per tutte le aziende che fanno parte del gruppo” , l’istituto fa il suo ingresso per la prima volta nel campo dei rapporti di lavoro privatistico. In precedenza, il distacco era stato disciplinato in stretta connessione con l’esigenza di evitare il ricorso a licenziamenti collettivi in sede di trattativa sindacale, prevedendo in particolare che “gli accordi sindacali, al fine di evitare le riduzioni di personale, possano regolare il comando o il distacco di uno o più lavoratori dall’impresa ad altra per una durata temporanea”. La nuova normativa fa salva espressamente tale disciplina.
QUALIFICAZIONE E REQUISITI DEL DISTACCO
La nuova disposizione prevede che “l’ipotesi del distacco si configura quando un datore di lavoro, per soddisfare un proprio interesse, pone temporaneamente uno o più lavoratori a disposizione di altro soggetto per l’esecuzione di una determinata attività lavorativa” .
Per la sussistenza dell’ipotesi del distacco, quindi, devono essere presenti i seguenti “requisiti essenziali”:
• La temporaneità che consiste nell’esclusione del carattere definitivo del rapporto di lavoro e presuppone che la durata del distacco sia funzionale al persistere dell’interesse del distaccante. La giurisprudenza ha precisato che il carattere della temporaneità non presuppone che la
durata del distacco sia predeterminata al momento in cui il datore emette il provvedimento. Non è, altresì, necessario che la durata sia circoscritta ad un periodo di tempo particolarmente ristretto, potendo, invero, protrarsi per tutto il tempo in cui sussiste l’interesse del datore distaccante. ( Cass.
Civ. 14458/2000; Cass. Civ. 1751/1989; Cass. Civ. 7328/1992; Cass. Civ. 2880/1998).
• L’interesse del distaccante.
Quanto a quest’ultimo requisito, qualsiasi interesse produttivo del distaccante legittima il ricorso al distacco del lavoratore, a condizione però che il suddetto interesse non si esaurisca nella mera somministrazione di lavoro altrui . L’interesse deve essere diretto, funzionale al soddisfacimento delle esigenze organizzative dell’impresa del distaccante ( Cass. Civ. 4851/1992) e concreto, avuto riguardo allo scopo per il quale il rapporto di lavoro è stato costituito (Cass. Civ.1325/1988). L’interesse, inoltre, deve protrarsi per tutto il periodo del distacco e non deve coincidere con la mera somministrazione di lavoro altrui. (Cass. 7328/1992).
Nella somministrazione di lavoro, infatti, il somministratore opera al solo fine di lucro, mentre nel distacco, il distaccante soddisfa un interesse produttivo diversamente qualificato, quale ad esempio l’interesse al buon andamento della società controllata e partecipata L’altro presupposto del distacco è rappresentato dall’interesse del distaccante, da appurarsi, di volta in volta, con riguardo all’attività svolta dal distaccante e in caso di società allo scopo sociale (Cass. Civ. 12224/1999).
Tale interesse, come precisato dal Ministero del lavoro, con circolare n. 28/2005, deve essere specifico, rilevante, concreto e persistente, accertato caso per caso, in base alla natura dell’attività espletata e non semplicemente in relazione all’oggetto sociale dell’impresa. Come precisato nel recente interpello n.1 del 2 febbraio 2011 è necessaria una puntuale individuazione delle finalità perseguite con il distacco – quindi temporalmente limitato – evitando l’utilizzo di “clausole di stile” ed evidenziando, anche nel caso di distacco del lavoratore verso un’impresa facente parte dello stesso gruppo, la sussistenza di uno specifico interesse dell’imprenditore distaccante. Ulteriore requisito dell’istituto è costituito dallo svolgimento di una determinata attività lavorativa; ciò significa che il lavoratore distaccato deve essere adibito ad attività specifiche e funzionali al soddisfacimento dell’interesse proprio del distaccante..Un ulteriore requisito, invero, è costituito dal consenso del lavoratore distaccato che viene richiesto, però, soltanto nell’ipotesi di mutamento delle mansioni .E’ necessario, inoltre, che il distacco sia determinato da motivi oggettivi riguardanti l’esercizio dell’impresa, qualora comporti il trasferimento ad una unità produttiva distante più di 50 chilometri da quella cui il lavoratore era adibito in presenza di comprovate esigenze tecniche, produttive, organizzative e sostitutive. In tali circostanze, tali ulteriori requisiti rappresentano ulteriori presupposti di legittimità del provvedimento di distacco.. Le istruzioni ministeriali, infine, prevedono anche la possibilità che il lavoratore esegua presso il distaccatario solo una parte della sua prestazione,continuando a svolgere la parte restante presso il datore di lavoro distaccante .
L’AZIONE DI REGRESSO IN CASO DI DISTACCO
E’ noto che, sulla base dei principi affermati dalla Corte di Cassazione, a Sezioni Unite, con la sentenza n. 3288 del 1997, l’interpretazione più corretta degli articoli 10 e 11 del T.U. È quella secondo la quale all’INAIL è attribuita l’azione di regresso nei confronti di tutti coloro i quali, nell’ambito del rapporto di lavoro o, più precisamente, nell’ambito del rischio tutelato, abbiano commesso fatti astrattamente configurabili come reati perseguibili d’ufficio dai quali sia derivato il danno. Questa interpretazione è “ del tutto coerente con i fini generali di prevenzione che presiedono alla disciplina, non sottraendo i diretti responsabili del danno all’integrità o alla salute del lavoratore, all’azione di rivalsa dell’Istituto che, almeno per certi aspetti, ha efficacia monitoria persino maggiore dell’eventuale azione spiegata dall’interessato o dai suoi aventi causa, ed anzi costituendo una ulteriore remora alla inosservanza delle norme poste a prevenzione degli infortuni”.
I suddetti principi, applicati alla ipotesi del distacco, comportano che l’INAIL, nei confronti del distaccatario, non può agire in rivalsa in base all’azione di diritto comune di cui all’art. 1916 cod. civ. Avvalendosi delle presunzioni di colpa di cui al codice civile, ma può esercitare esclusivamente l’azione di regresso di cui agli articoli 10 e 11 del TU. Esperibile, come noto, soltanto sul presupposto che il fatto costituisca reato perseguibile d’ufficio.
E’ indiscutibile, infatti, che il distaccatario sia da considerare, di norma, il soggetto responsabile della direzione e sorveglianza del lavoro e della sicurezza dei lavoratori distaccati e, pertanto, assimilabile ai soggetti elencati dal comma 3 dell’art. 10 del T.U.
Sulla base di quanto sopra esposto, si ritiene che sia il distaccante, in qualità di datore di lavoro, che il distaccatario siano destinatari dell’azione di regresso da parte dell’Istituto nei casi in cui abbiano violato le norme prevenzionali specificamente loro rivolte, rendendosi responsabili dell’evento professionale integrante una ipotesi di reato perseguibile d’ufficio.
L’Inail, nell’individuare il regime applicativo dell’azione di regresso nella peculiare fattispecie del distacco, fa propria una giurisprudenza secondo la quale tale azione può essere esercitata non solamente nei confronti del datore di lavoro, ma anche del lavoratore dipendente responsabile dell’infortunio (incaricato o meno della sorveglianza). Fa, inoltre, propria l’affermazione – già espressa dal Ministero del Lavoro – secondo la quale la posizione del datore di lavoro distaccatario sarebbe “assimilabile” a quella del soggetto incaricato della vigilanza e della sorveglianza del lavoratore distaccato. A tale qualificazione del distaccatario consegue la configurazione dello stesso come soggetto del cui operato il datore di lavoro distaccante deve rispondere a norma delle leggi civili. L’insieme di queste argomentazioni porta l’Istituto ad escludere una eventuale azione di surroga nei confronti del distaccatario e a ritenere, invece, possibile l’esercizio dell’azione di regresso sia verso il distaccante che verso il distaccatario medesimo (in presenza, ovviamente, di una accertata responsabilità penale di tali soggetti per un reato perseguibile d’ufficio).
La soluzione consente di contemperare la posizione e le esigenze del distaccante e del distaccatario, vista anche la possibilità – evidenziata nella circolare ministeriale 3/2004- di regolare tra le parti i rapporti economici relativi al distacco, ivi compresi quelli relativi ad eventuali profili di responsabilità risarcitoria verso il lavoratore infortunato e restitutoria nei confronti dell’Istituto.
LA GIURISPRUDENZA DELLA SUPREMA CORTE
La Suprema Corte si è pronunciata, in diverse occasioni, sulla sussistenza o meno della responsabilità del datore di lavoro per infortuni occorsi a dipendenti chiamati ad operare, sia pure temporaneamente, in ambienti di lavoro sottratti al suo potere direttivo e di controllo.
I principi di diritto cui la Suprema Corte si è ispirata nella definizione di dette controversie sono egregiamente riassunti nella sentenza Cass. Civ.45/2009 che sia pur concernente un caso di appalto, pure qui per la completezza dei suoi riferimenti di seguito si richiama :
1. La responsabilità conseguente alla violazione dell’art. 2087 c.c., ha natura contrattuale, perché il contenuto del contratto individuale di lavoro risulta integrato per legge (ai sensi dell’art. 1374 c.c.) dalla disposizione che impone l’obbligo di sicurezza (art. 2087 c.c.), che entra così a far parte del sinallagma contrattuale (ex plurimis Cass. 25 maggio 2006 n. 12445; Cass. 13 agosto 2008 n. 21590, Cass. 14 aprile 2008 n. 9817, Cass. 23 aprile 2008 n. 10529).
2. tale responsabilità può discendere da fatti commissivi o da comportamenti omissivi (ex plurimis Cass. 18 maggio 2006 n. 11664);
3. i comportamenti omissivi possono consistere nella mancata osservanza di norme specifiche di legge, oppure dettate dalla prudenza e dalla esperienza, in relazione alla particolarità del lavoro ed allo sviluppo tecnologico sia nella organizzazione del lavoro, sia nelle tecniche di prevenzione, secondo il dettato dell’art.2087 c.c., che costituisce norma di chiusura del sistema antinfortunistico, estensibile a situazioni ed ipotesi non ancora espressamente considerate dalle norme antinfortunistiche specifiche (ex plurimis Cass. 4 marzo 2005 n. 4 723; Cass. 8 febbraio 2005 n. 2444; Cass. 22 marzo 2002 n. 4129; Cass. 20 aprile 1998 n. 4012);
4. Tra le norme specifiche, fondamentali sono il D.P.R. 27 aprile 1955, n. 547, artt. 4 e 5; la prima norma impone ai datori di lavoro, ai dirigenti ed ai preposti di rendere edotti i lavoratori dipendenti dei rischi specifici esistenti nell’ambiente di lavoro; la seconda pone lo stesso obbligo a carico degli stessi soggetti nei confronti dei lavoratori autonomi che siano chiamati a prestare la loro opera, con esclusione dei rischi propri dell’attività professionale o del mestiere che il lavoratore autonomo è incaricato di prestare. Nel loro insieme, le due norme travalicano i limiti del binomio datore di lavoro-lavoratore dipendente e focalizzano l’attenzione sul responsabile, a vario titolo, del contesto lavorativo. Come già osservato da Cass. 22 marzo 2002 n. 4129, sussiste un rischio ambientale, che deve essere coperto da chi organizza il lavoro.
5. i comportamenti omissivi possono consistere o nel mancato apprestamento di misure organizzative e fisiche di sicurezza, o in mancata informazione circa i rischi della lavorazione;
6. in entrambi i casi, il danno può derivare non solo da comportamenti del datore di lavoro o di suoi dipendenti (art. 2049 c.c.), e comunque da fattori rientranti nel suo dominio diretto, ma anche da comportamenti di terzi;
7. i comportamenti di terzi possono comprendere sia atti criminosi (come nelle rapine, per le quali questa Corte ha ripetutamente affermato la responsabilità del datore (sia per stressanti turni di lavoro: Cass. 23 maggio 2003 n. 8230, sia per mancato apprestamento di misure di protezione (Cass. 20 aprile 1998 n. 4012; Cass. 15 giugno 1999 n. 5969; vedi anche Cass. 22 marzo 2002 n. 4129, in fattispecie di rapimento di lavoratore italiano all’estero), sia atti lavorativi connessi con l’attività del lavoratore infortunato, in contesti lavorativi complessi, di cui la esternalizzazione costituisce un aspetto;
8. in ogni caso l’obbligo di sicurezza si estende a tutto l’ambiente lavorativo nel quale è chiamato ad operare il dipendente (ex plurimis Cass. 7 marzo 2006 n. 4840);
9. le conseguenze in tema di riparto degli oneri probatori nella domanda di danno differenziale da infortunio sul lavoro che derivano dai surriportati principi, ed in particolare dalla natura contrattuale della responsabilità, è che esso si pone negli stessi termini che nell’art. 1218 c.c., sull’inadempimento delle obbligazioni (Cass. 21590/2008 cit., Cass. 8 maggio 2007 n. 10441, Cass. 24 febbraio 2006 n. 4184). La regola sovrana in tale materia, desumibile dall’art. 1218 c.c., è che il creditore che agisca per il risarcimento del danno deve provare tre elementi: la fonte (negoziale o legale) del suo diritto, il danno, e la sua riconducibilità al titolo dell’obbligazione; a tale scopo egli può limitarsi alla mera allegazione della circostanza dell’inadempimento della controparte, mentre è il debitore convenuto ad essere gravato dell’onere di provare il proprio adempimento, o che l’inadempimento è dovuto a causa a lui non imputabile (Cass. Sez. un. 30 ottobre 2001 n. 13533, cui si è conformata tutta la giurisprudenza delle sezioni civili di questa Corte successiva: ex plurimis Cass. 25 ottobre 2007 n. 22361, Cass. 19 aprile 2007 n. 9351, Cass. 26 gennaio 2007 n. 1743).
In termini egualmente incisivi la giurisprudenza penale della Corte così si è espressa:
• il subappaltante che deve eseguire, all’interno del cantiere predisposto dall’appaltatore, un’opera parziale e specialistica, ha l’onere di riscontrare ed accertare la sicurezza dei luoghi di lavoro (Cass. Pen. 20 aprile 2006, Clemente);
• l’esistenza di un contratto d’opera non vale a traslare il rischio connesso all’esecuzione dei lavori e l’obbligo di tutela della sicurezza (Cass. 19 agosto 1999, Gioia);
• il committente è tenuto a cooperare con l’appaltatore nell’apprestamento delle misure di prevenzione se si tratta di misure dirette a tutelare l’incolumità dei dipendenti del committente e di quelli dell’appaltatore (Cass. 1^ marzo 2006, Casaburo).
E inoltre:
• Cass. 22 marzo 2002 n. 4129 cit. ha confermato la sentenza di merito che aveva condannato una società italiana operante all’estero a pagare il danno conseguente al rapimento di un suo dipendente in (OMISSIS) da parte di locali insurgents, ribadendo il principio che l’art. 2087 c.c., impone l’ad
• Cass. 4 marzo 2005 n. 4723, in una fattispecie di conducente di autocisterna infortunatosi mentre stava provvedendo al carico dell’olio minerale nell’autobotte presso una raffineria, secondo modalità operative correnti presso l’impresa terza, ha cassato la sentenza di merito che aveva rigettato la domanda di danno differenziale nei confronti del datore di lavoro, affermando non ostativa la circostanza che l’infortunio si era verificato in ambiente esterno non sottoposto alla vigilanza e al controllo della società datrice di lavoro dell’infortunato;
ozione e il mantenimento non solo di misure di tipo igienico-sanitario o infortunistico, ma anche di misure atte a preservare i lavoratori dalla lesione di dette integrità nell’ambiente di lavoro in relazione ad attività anche non collegate direttamente allo stesso, come le aggressioni conseguenti all’attività criminosa di terzi.
• Cass. 21590/2008 cit. ha affermato la responsabilità del datore di lavoro in fattispecie di un lavoratore mandato dal proprio superiore gerarchico ad effettuare la manutenzione su macchinario di proprietà di società terza (al cui funzionamento il datore di lavoro aveva interesse), secondo le istruzioni del libero professionista consulente di questa diversa società;
• Cass. 7 novembre 2007 n. 23151 ha confermato la sentenza di merito che aveva dichiarato la responsabilità della impresa subappaltatrice dei lavori di copertura di un fabbricato, per l’infortunio subito dal proprio dipendente, a seguito, della caduta dal ponteggio approntato da dipendenti della società appaltante, su richiesta dello stesso lavoratore;
• Cass. 5 dicembre 2003 n. 18603 ha affermato la responsabilità di un’impresa produttrice di ascensori per l’infortunio di cui era rimasto vittima un suo dipendente incaricato del montaggio di un ascensore in una costruzione edile, causato dal fatto che l’impresa edile competente non aveva predisposto il blocco in calcestruzzo di fermo corsa inferiore. Più precisamente il lavoratore, nell’eseguire l’operazione di installazione non aveva operato all’interno della cabina, ma si era collocato a cavalcioni sulla struttura della stessa, salendo i vari livelli attraverso la pulsantiera.
L’infortunio si era verificato perché il lavoratore non si era accorto di avere superato l’ultimo piano, né della mancata realizzazione da parte dell’impresa edile del fermo meccanico di fine corsa, in presenza del quale l’evento lesivo non si sarebbe verificato.
La citata sentenza ha enunciato il seguente principio di diritto: “L’imprenditore, nei casi di esternalizzazione di alcune fasi del processo produttivo, ha l’obbligo di accertare i rischi per qualsiasi motivo conseguenti all’affidamento dei lavori commissionati a soggetti terzi, al fine di rendere edotti, alla stregua del D.P.R. 27 aprile 1955, n. 547, art. 4, lett. b), i propri dipendenti della sussistenza (o permanenza) di situazioni di pericolo e al fine altresì di munirli di dispositivi di sicurezza idonei a eliminare le situazioni di pericolo riscontrate, configurandosi, in caso contrario, una responsabilità dell’imprenditore per l’infortunio subito dal dipendente per la mancata conoscenza dei pericoli cui è stato esposto”.
Il Collegio, nel prendere atto di tale decisione, che costituisce precedente, deve osservare che essa applica l’obbligo di accertamento dei rischi altrui ivi enunciato a tutti i risvolti soggettivi, attivi e passivi, del fenomeno di esternalizzazione. La dottrina anglosassone che per prima ha studiato il fenomeno economico dell’outsourcing (come pure la dottrina italiana che ne ha tradotto la denominazione in esternalizzazione) lo intende come organizzazione dei fattori della produzione tra più soggetti giuridicamente distinti: l’imprenditore esternalizzante (outsourcee), anziché produrre il bene finale tutto all’interno della propria azienda in un processo verticale, affida a più soggetti parti della produzione o i servizi alla produzione, con vari strumenti giuridici, di vecchia data ma con più ampio e diverso impiego, che vanno dall’appalto, al contratto d’opera, all’acquisto di beni intermedi, etc., in ragione della rispettiva specializzazione professionale e per ridurre i costi produttivi. Nel caso esaminato da Cass. 18603/2003 si trattava non di esternalizzazione in senso soggettivo (in ipotesi il produttore di ascensori), perché è in genere il responsabile del contesto edilizio che commissiona l’installazione di un ascensore, e non viceversa; bensì, possiamo dire, di esternalizzazione in senso obiettivo, e cioè di un teatro lavorativo in cui sono presenti e interferiscono lavoratori dipendenti da più imprese, o con lavoratori autonomi, o comunque i cui rischi lavorativi interferiscono con l’opera o con il risultato dell’opera di altri soggetti. Rileva cioè il dato obiettivo della compresenza di più attori produttivi, che concorrono a configurare l’ambiente lavorativo nel quale il lavoratore dipendente viene inviato ad operare, e non il dato soggettivo dei rapporti giuridici tra i vari datori di lavoro. Conclusivamente, dai principi di diritto enunciati da questa Corte, sopra riportati, e dalle fattispecie cui la Corte ha applicato i principi stessi, si può esplicitare, in relazione alla fattispecie odierna, il seguente principio di diritto: “Ove lavoratori dipendenti da più imprese siano presenti sul medesimo teatro lavorativo, i cui rischi lavorativi interferiscano con l’opera o con il risultato dell’opera di altri soggetti (lavoratori dipendenti o autonomi), tali rischi concorrono a configurare l’ambiente di lavoro ai sensi degli D.P.R. 27 aprile 1955, n. 547, artt. 4 e 5 sicché ciascun datore di lavoro è obbligato, ai sensi dell’art. 2087c.c., ad informarsi dei rischi derivanti dall’opera o dal risultato dell’opera degli altri attori sul medesimo teatro lavorativo, e dare le conseguenti informazioni e istruzioni ai propri dipendenti”.
Tale principio costituisce pura applicazione alle odierne modalità organizzative e produttive complesse plurisoggettive della regola enunciata già nel 1955 dalle citate norme del D.P.R. 27 aprile 1955, n. 547,riprodotta e specificata da tutte le leggi successive, in particolare dal D.Lgs. 19 settembre 1994, n. 626, art.7, vigente al tempo dell’infortunio. Tale obbligo di informazione ai lavoratori dipendenti ne presuppone un altro: quello di informarsi dai terzi operatori dei rischi inerenti alle lavorazioni effettuate sul medesimo teatro che interferiscono con la presenza dei propri dipendenti. né l’applicazione di tale principio subisce attenuazioni per la notorietà dell’impresa presso la quale viene inviato a lavorare il dipendente, per una presunta maggiore osservanza delle norme di prevenzione infortuni. L’applicazione pratica alla fattispecie in esame, e cioè che fosse prevedibile il rischio derivante dalla tecnica delle iniezioni di azoto, costituisce un giudizio di fatto rimesso al giudice del merito, il quale lo ha motivato in modo non censurabile. Non sussiste la illogicità denunciata con il secondo motivo (perché dalla pericolosità di una tecnica esterna ed ignota all’impresa deduce un obbligo di accertamento preventivo delle modalità di espletamento dell’operazione con correlato obbligo di cautela) perché la sentenza impugnata individua l’inadempimento del datore di lavoro proprio nel non aver assunto dalla (OMISSIS) e dalla (OMISSIS) complete informazioni sulla sicurezza delle operazioni di travaso. Costituisce fatto notorio la estrema pericolosità delle operazioni inerenti al riempimento e alla vuotatura di cisterne e di autocisterne, attestato dai frequenti gravissimi infortuni, spesso mortali, appartenenti alla informazione generale ed alla casistica giudiziaria anche interna a questa Corte (Cass. 4 marzo 2005 n. 4723 cit.), da questa rilevabile (Cass. 9 settembre 2008 n. 22880).
Poiché la sentenza impugnata si è attenuta ai principi sopra enunciati, ed ha accertato con motivazione esente da vizi che il B. non ha assolto il proprio obbligo di sicurezza, il ricorso va respinto.”
Il titolare della società di autotrasporto, prima di inviare il proprio dipendente in un contesto lavorativo sottratto alla propria sfera di controllo, avrebbe dovuto acquisire dalla società petrolifera e da quella incaricata delle operazioni di travaso opportune informazioni sui rischi delle operazioni di travaso ai quali il proprio dipendente era esposto considerara peraltro la notoria estrema pericolosità di dette operazioni di travaso in relazione alle quali numerosi sono i gravissimi infortuni spesso mortali verificatisi. Conseguentemente, avrebbe dovuto informare debitamente il dipendente dei rischi oggettivi connessi alle operazioni di riempimento e vuotatura di cisterne ed autocisterne secondo le modalità stabilite dai terzi, nonché adottare le opportune precauzioni. L’omissione ha, pertanto, esplicato efficacia causale nella determinazione del sinistro,
pertanto, si configura la responsabilità del datore di lavoro distaccante per il sinistro occorso al proprio dipendente. L’obbligo informativo nei riguardi del lavoratore presuppone l’adempimento, da parte del datore di un altro dovere, quello di interpellare i terzi operatori in merito ai rischi relativi alle lavorazioni effettuate sul medesimo luogo di lavoro. L’obbligo di accertamento dei rischi altrui va applicato a tutti gli aspetti soggettivi, attivi e passivi del fenomeno di esternalizzazione. Al fine di accertare la responsabilità del datore di lavoro distaccante la Corte si sofferma prioritariamente sull’art. 4 lett. B e sull’art. 5 del D.P.R. 547/1955, la cui disciplina è stata abrogata e trasfusa negli artt. 36 e 71 del t.u. n. 81/2008 che dispongono il primo in merito agli obblighi di formazione informazione del lavoratore ed il secondo in merito alle attrezzature che il datore di lavoro deve mettere a disposizione dei lavoratori attrezzature conformi ai requisiti di sicurezza, adeguate ai lavori da svolgere nel rispetto delle disposizioni di recepimento delle direttive comunitarie.
La Corte ha, altresì, precisato che la responsabilità del datore non viene meno in presenza di un comportamento negligente del lavoratore che le norme antinfortunistiche tutelano anche da incidenti che possono essere provocati dalla sua negligenza, imprudenza ed imperizia.
Secondo giurisprudenza costante, la responsabilità del datore di lavoro può essere esclusa solo in presenza di una condotta del lavoratore che abbia i caratteri dell’abnormità, dell’inopinabilità, dell’eccezionalità e dell’esorbitanza con riferimento al procedimento lavorativo e alle direttive impartite, in modo da porsi come causa esclusiva dell’evento dannoso. (Cass. Civ.
7127/2007; Cass. Civ.19559/2006; Cass. Civ. 5493/2006; Cass. Civ. n. 7328/2004; Cass. Civ.
4075/2004). E’ pertanto indispensabile una rigorosa dimostrazione, da parte del datore di lavoro, dell’indipendenza della condotta del lavoratore dalla sfera di organizzazione e dalle finalità del lavoro nonché l’estraneità del rischio affrontato rispetto alle modalità e alle esigenze del lavoro da svolgersi.(Cass.16253/2004).
Quando la condotta del lavoratore non presenti le suddette caratteristiche potrà rilevare come concausa dell’infortunio e pertanto la responsabilità del datore verrà proporzionalmente ridotta.
CASSAZIONE SEZIONE LAVORO 11 GENNAIO 2010 N. 215
Nella fattispecie oggetto della decisione 215/2010, l’Inail, avendo indennizzato un lavoratore colpito dal braccio oscillante di una escavatrice, ha successivamente esercitato l’azione di rivalsa nei riguardi dei responsabili del sinistro, compreso il datore di lavoro del prestatore che aveva movimentato la gru ed operava presso il cantiere in posizione di distacco. La domanda è stata accolta con sentenza che è stata impugnata in Cassazione. La Cassazione ha rigettato il ricorso, esaminando l’applicabilità dell’art. 2049c.c.al caso del dipendente che opera in posizione di distacco presso l’organizzazione imprenditoriale altrui. Con questa decisione non recentissima secondo il Supremo Collegio, la disposizione di cui all’art. 2049 c.c. Risulta richiamabile anche in caso di distacco del dipendente presso altra organizzazione aziendale dove si determina una peculiare scissione tra la titolarità del rapporto di lavoro, che compete al soggetto distaccante,ed il destinatario della prestazione che è l’imprenditore distaccatario. L’articolo 2049 del codice civile statuisce che i padroni ed i committenti sono responsabili per i danni arrecati dal fatto illecito dei loro domestici e commessi nell’esercizio delle incombenze a cui sono adibiti. Secondo consolidata giurisprudenza nel caso del distacco i poteri direttivi di controllo e disciplinari competono al distaccatario e pertanto la norma ex art. 2049 appare di difficile applicabilità. Nel caso dell’articolo 2049 infatti l’attività lavorativa si svolge nella sfera del preponente. La Corte supera il potenziale ostacolo nella decisione di che trattasi richiamando il principio del rischio d’impresa, quale criterio obiettivo di allocazione dei rischi,che trova applicazione anche quando il dipendente operi in posizione di distacco. Ciò è possibile in considerazione di uno dei requisiti legali del distacco rappresentato dall’interesse del distaccante. Tale interesse alla dislocazione del dipendente presso un’organizzazione aziendale esterna, consente di inquadrare il distacco come atto organizzativo dell’impresa che lo effettua. Se, pertanto, alla base del distacco sussiste uno specifico interesse organizzativo del datore di lavoro, che consente di qualificare la vicenda in termini di legittima estrinsecazione del potere datoriale di conformazione della prestazione di lavoro, è indubbio che anche tale vicenda è riconducibile alla sfera del rischio di impresa dell’imprenditore – datore di lavoro, nel senso che ne delinea la sfera di interessi e contestualmente la responsabilità. L’Inail ha pertanto azione di regresso nei confronti del datore di lavoro distaccante per l’infortunio provocato dal lavoratore distaccato presso l’impresa distaccataria.
Riportiamo di seguito il testo della sentenza.
“Con sentenza in data 25.10.2005 – 14.2.2006 la Corte di appello di Venezia, in accoglimento dell’appello incidentale proposto dall’INAIL avverso la sentenza del Tribunale di Venezia – sezione stralcio del 4.3.2003, condannava in solido G.R., S.R., la N. sas e la M.E Costruzioni spa al pagamento in favore dell’INAIL della complessiva somma di Euro 226.990,20 oltre accessori di legge, a titolo di rivalsa per le somme erogate a D. R.M. Per l’infortunio sul lavoro da quest’ultimo sofferto in data (OMISSIS), dichiarando cessata la materia del contendere fra le altre parti.
Osservava in sintesi la corte territoriale che gli esiti dell’istruttoria dimostravano la responsabilità del G. (dipendente della società M. distaccato presso la società N.S., capogruppo della N.) nella causazione dell’infortunio sofferto dal D.R., per non aver usato la necessaria diligenza e cautela nel movimentare la pesante gru – escavatrice che aveva travolto l’infortunato; del S., in quanto, al momento dell’incidente, responsabile del cantiere e dei lavori;
della N., per aver omesso, nella qualità di datore di lavoro del D.R., la predisposizione delle necessarie misure di sicurezze connesse all’uso della macchina escavatrice; della società M., datrice di lavoro del G., conducente della gru, per aver omesso il preventivo accertamento dell’esistenza nel cantiere dei prescritti presidi infortunistici, assenti nel pontone, per operare la gru senza la presenza di una idonea barriera di protezione e senza la predisposizione di segnalazioni acustiche o manuali a mezzo di lavoratori incaricati. Secondo il Supremo Collegio, la disposizione di cui all’art. 2049 c.c. Risulta richiamabile anche in caso di distacco del dipendente presso altra organizzazione aziendale che determina una peculiare scissione tra la titolarità del rapporto di lavoro, che compete al soggetto distaccante, ed il destinatario della prestazione che è l’imprenditore distaccatario.
Riportiamo di seguito il testo della sentenza 215/2010.
Per la cassazione della sentenza propone ricorso la M.E Costruzioni spa con un unico motivo.
Avverso la stessa sentenza ha proposto distinto ricorso anche S. R., affidandolo a due motivi.
Resistono con controricorso l’INAIL e L’A. - LE ASSICURAZIONI D’I. Spa, la quale ultima ha anche proposto ricorso incidentale.
1. Con un unico motivo la M.E Costruzioni spa (di seguito la società M.) lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., violazione dell’art. 2087 c.c. Osservando che la corte territoriale aveva erroneamente omesso di considerare che gli obblighi di tutela previsti dalla norma non risultano riferibili, nel caso di distacco, al datore di lavoro distaccante, per non avere quest’ultimo il potere di interferire nell’altrui organizzazione aziendale, e tanto meno nell’assegnazione delle mansioni e nella direzione dei lavoratori impiegati e che, comunque, il lavoratore infortunato era dipendente della società N., e non della M..
2 (Omissis)
3. Con l’unico motivo del ricorso incidentale, infine, L’A. Denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 violazione dell’art. 2087 c.c. Rilevando che il principio affermato nella sentenza impugnata, per cui il datore di lavoro distaccante resta obbligato per l’obbligo di sicurezza ex art. 2087 c.c., risultava inapplicabile nella fattispecie, non potendo lo stesso essere considerato responsabile per la sicurezza non del dipendente distaccato, ma dei terzi (quale risultava il D.R., in quanto dipendente della N.).
4.(Omissis)
5. Il ricorso proposto dalla società M. è infondato.
Il dispositivo della sentenza impugnata, operate le opportune integrazioni della motivazione che appresso si svolgeranno, risulta, infatti, del tutto conforme al diritto.
Sebbene, infatti, nella pronuncia della corte veneta si faccia sol incidentalmente riferimento alla previsione dell’art. 2049 c.c., non vi è dubbio che tale previsione costituisca di per sé ragione sufficiente per l’accoglimento della domanda proposta nei confronti della società ricorrente.
Basta,al riguardo, richiamare il principio, affermato da tempo nella giurisprudenza di questa Suprema Corte, per cui la norma in questione, al pari di quella prevista dall’art. 1228 c.c., individua nel nostro ordinamento una ipotesi di responsabilità oggettiva, indipendente, cioè, dalla colpa del soggetto responsabile, sicché il dolo o la colpa vanno valutati con riferimento al sol fatto dell’ausiliario, e non al comportamento del debitore.
Si tratta di una forma di responsabilità per la quale la dottrina e la giurisprudenza parlano da tempo di una presunzione assoluta di colpa e la cui giustificazione viene essenzialmente rinvenuta nella teoria del rischio di impresa, come principio generale, parallelo alla colpa, di imputazione della responsabilità: espressione, in altri termini, di un criterio obiettivo di allocazione dei rischi, per il quale i danni cagionati dal dipendente sono posti a carico dell’impresa, come componente dei costi di questa (v. da ultimo Cass. n. 6033/2008; in precedenza ad es. Cass. n. 1343/1972; Cass. n. 2734/1994; Cass. n. 9100/1995).
Tale principio risulta adeguatamente richiamabile, ad avviso di questa Corte, anche nel caso di distacco del dipendente presso altra organizzazione aziendale, tenuto conto dei requisiti individuati dalla giurisprudenza (ancor prima della codificazione dell’istituto ad opera del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 30) a giustificazione di questa peculiare forma di dissociazione fra la titolarità del rapporto di lavoro (che permane il capo al soggetto distaccante) e il destinatario della relativa prestazione (che diviene l’imprenditore distaccatario), che è vicenda che ricorre con frequenza non solo nell’ambito dei fenomeni di collegamento societario, ma pure nelle molteplici vicende di esternalizzazione dell’attività, produttiva e di collaborazione e cooperazione fra imprese del tutto distinte. In particolare, del requisito, del tutto imprescindibile per la legittimità della fattispecie (e che, per implicare un accertamento di fatto, risulta insindacabile in cassazione, se correttamente motivato), della esistenza di uno specifico interesse del datore di lavoro alla destinazione del dipendente presso un organizzazione aziendale esterna, il quale consenta di qualificare il distacco come atto organizzativo dell’impresa che lo dispone, così determinando una mera modifica delle modalità di esecuzione della prestazione lavorativa, in una col carattere essenzialmente temporaneo, anche se non meramente transitorio, della destinazione presso soggetti terzi (cfr. ad es. Cass. n. 9694/2009; Cass. n. 16165/2004; Cass. n. 7743/2000).
Se, pertanto, alla base del distacco è riscontrabile uno specifico interesse organizzativo del datore di lavoro, che qualifica la vicenda in termini di legittima estrinsecazione del potere di conformazione della prestazione di lavoro, non appare dubitabile che pure tale vicenda è riconducibile alla sfera del rischio di impresa dell’imprenditore – datore di lavoro, nel senso che ne riflette la sfera di interessi, ma, al tempo stesso, ne individua i relativi ambiti di responsabilità, con il doveroso contrappesi del rischio per i danni cagionati dai dipendenti nei confronti dei terzi.
né vale osservare che, inserendosi la prestazione di lavoro del dipendente distaccato nell’organizzazione aziendale del terzo, spetta a quest’ultimo l’esercizio dei poteri funzionali alla realizzazione del corretto ed utile adempimento, giacchè quel che rileva, ai fini della responsabilità per i danni cagionati dal fatto illecito del dipendente, è che il distacco del dipendente non spezza il collegamento fra l’interesse organizzativo del datore di lavoro distaccante e l’esecuzione della prestazione presso un soggetto terzo, con conseguente permanenza del criterio obiettivo di allocazione dei rischi connesso alla responsabilità di impresa, per come previsto dall’art. 2049 c.c.. Non senza osservare, ad ulteriore dimostrazione della latitudine che riveste la responsabilità dei padroni e dei committenti ex art 2049 c.c., che la giurisprudenza di questa Corte nemmeno richiede un diretto collegamento dell’illecito con le mansioni svolte dal dipendente, apparendo sufficiente, per tal fine, un rapporto di occasionalità necessaria, nel senso che l’incombenza disimpegnata abbia determinato una situazione tale da agevolare o rendere possibile il fatto illecito e l’evento dannoso, anche se il dipendente abbia operato oltre i limiti delle sue incombenze, purchè sempre nell’ambito dell’incarico affidatogli, così da non configurare una condotta del tutto estranea al rapporto di lavoro (Cass. n. 6033/2008; Cass. n. 1516/2007; Cass. n. 19167/2005).
Ciò premesso, va rilevato che il giudice di merito ha accertato (in punto di interesse al distacco) che la società M. era interessata alla verifica, ad opera di un proprio dipendente, del buon funzionamento della macchina escavatrice (che dal giorno seguente sarebbe stata utilizzata in altro cantiere dalla società stessa per conto dell’ENEL e (in punto di responsabilità del dipendente distaccato) che il G., con condotta gravemente negligente, aveva eseguito la manovra, causa dell’incidente, senza preventivamente accertarsi dell’ubicazione del D.R. E pur essendo consapevole che il pesante mezzo non consentiva la perfetta visibilità di tutta la zona, che, peraltro, risultava sprovvista di recinzione e non era pre – segnalata acusticamente o da altro operatore.E tale accertamento risulta senz’altro idoneo a giustificare la ritenuta responsabilità della società ricorrente, alla luce del principio già evidenziato che, in caso di distacco del dipendente presso altra organizzazione aziendale, il datore di lavoro distaccante, in capo al quale permane la titolarità del rapporto di lavoro, è tenuto a rispondere, ai sensi dell’art. 2049 c.c., dei fatti illeciti commessi dal dipendente distaccato, per presupporre il distacco uno specifico interesse del datore di lavoro all’esecuzione della prestazione presso il terzo con conseguente permanenza della responsabilità, in virtù del principio del rischio d’impresa, per i fatti illeciti derivanti dallo svolgimento della prestazione stessa.
Mette conto, peraltro, rilevare che, secondo la più recente giurisprudenza di questa Corte in tema di tutela antinfortunistica nelle esternalizzazioni delle fasi del processo produttivo, ove lavoratori dipendenti da più imprese siano presenti sul medesimo teatro lavorativo, i cui rischi interferiscono con l’opera o col risultato dell’opera di altri soggetti (lavoratori dipendenti o autonomi), tali rischi concorrono a configurare l’ambiente di lavoro ai sensi del D.P.R. n. 547 del 1955, artt. 4 e 5 sicché ciascun datore di lavoro è obbligato ex art. 2087 c.c. Ad informarsi sui rischi derivanti dall’opera o dal risultato dell’opera degli altri attori sul medesimo teatro lavorativo e a dare le conseguenti istruzioni ed informazioni ai propri dipendenti, atteso che tale obbligo – non derogabile nemmeno in presenza della notorietà dell’impresa presso la quale vengono inviali i lavoratori medesimi – si pone in sintonia con la normativa vigente in tema di organizzazione del lavoro nelle realtà produttive complesse (v. Cass. n. 45/2009).
Con la conseguenza che, anche sotto tal aspetto, la società ricorrente non potrebbe andare esente da responsabilità, avendo omesso di porre in essere (per come accertato dai giudici di merito) le verifiche indispensabili ad accertare l’esistenza di un ambiente lavorativo “sicuro”, idoneo, cioè, a non costituire causa di danno sia per i propri dipendenti che in tal contesto operavano sia per quelli che con i primi venivano in contatto (data l’assenza nel pontone ove operava la gru delle prescritte misure antinfortunistiche).
Non è possibile argomentare in senso contrario che la prestazione del lavoratore si inserisce nell’ambito dell’organizzazione del terzo al quale pertanto compete l’esercizio dei poteri direttivi ai fini di un corretto adempimento. L’osservazione, secondo la Suprema Corte non è determinate atteso che il distacco del dipendente non spezza il collegamento fra l’interesse organizzativo del datore di lavoro distaccante e l’esecuzione della prestazione presso un soggetto terzo, con conseguente sussistenza del criterio obiettivo di allocazione dei rischi connesso alla responsabilità di impresa, come previsto dall’art. 2049 cc.
Resta inteso che, la responsabilità del distaccante non esclude la concorrente responsabilità dell’imprenditore nel cui contesto lavorativo l’infortunio si è verificato e quella del direttore dei lavori.
Il datore distaccante, in qualità di coobligato in solido che abbia corrisposto il risarcimento del danno al danneggiato ha, altresì, azione di rivalsa nel riguardi del dipendente responsabile al fine di recuperare l’intera somma pagata. ( Cass. 24802/2008; Cass. Civ. n. 17763/2005). Si tratta dell’applicazione dei principi delle obbligazioni solidali, per cui, quando l’obbligazione è sorta nell’interesse esclusivo di un coobbligato solidale, il peso dell’intero debito grava sul debitore interessato. Il datore che ha pagato per il fatto del dipendente non ha alcun interesse ed ha pagato in virtù di un criterio legale di imputazione della responsabilità, rappresentato dall’art. 2049 c.c..
Per tale ragione, nel caso in cui il datore paghi ha diritto di rivalsa verso il dipendente per l’intero, diritto che non ha evidentemente ragion d’essere nel caso in cui il dipendente abbia pagato quanto dovuto al danneggiato.
In merito poi al rapporto con altri coobligati, ai sensi dell’art. 2055 c.c., se il fatto è imputabile a più persone, tutte sono obbligate al risarcimento del danno. In tali ipotesi l’azione di regresso del coobligato che ha risarcito il danno può essere esercitata nei riguardi degli altri, nei limiti determinati dalla gravità della rispettiva colpa.
E’ da escludersi il regresso tra responsabili per fatto altrui, come nel caso dell’art. 2049 c.c., venendo meno il requisito della rispettiva colpa nella determinazione dell’evento dannoso.
Alla luce di quanto esposto, secondo l’orientamento più recente della giurisprudenza di legittimità, in caso di distacco del dipendente presso altra organizzazione aziendale, il datore di lavoro distaccante, in capo al quale permane la titolarità del rapporto di lavoro, è tenuto a rispondere, ai sensi dell’art. 2049 cc, dei fatti illeciti commessi dal dipendente distaccato. Il distacco, sorretto da uno specifico interesse del datore di lavoro all’esecuzione della prestazione presso il terzo, non esclude, in virtù del principio del rischio d’impresa, la responsabilità del datore per i fatti illeciti derivanti dallo svolgimento della prestazione stessa. ( Cass. 215/2010).
Tale conclusione è, peraltro, conforme a quanto la Cassazione ha previsto in merito alla responsabilità del datore di lavoro nel processo di esternalizzazione nella già esaminata sentenza n.
45/2009, nell’ambito della quale la Suprema Corte ha stabilito che nel caso in cui più lavoratori dipendenti di da imprese diverse operino nello stesso ambiente di lavoro, ciascun datore di lavoro è tenuto a accertare preventivamente i rischi del teatro lavorativo al fine di fornire le adeguate informazioni ai propri lavoratori
Sebbene, infatti, nella pronuncia della corte veneta si faccia sol incidentalmente riferimento alla previsione dell’art. 2049 c.c., non vi è dubbio che tale previsione costituisca di per sé ragione sufficiente per l’accoglimento della domanda proposta nei confronti della società ricorrente.
Basta,al riguardo, richiamare il principio, affermato da tempo nella giurisprudenza di questa Suprema Corte, per cui la norma in questione, al pari di quella prevista dall’art. 1228 c.c., individua nel nostro ordinamento una ipotesi di responsabilità oggettiva, indipendente, cioè, dalla colpa del soggetto responsabile, sicché il dolo o la colpa vanno valutati con riferimento al sol fatto dell’ausiliario, e non al comportamento del debitore.
Si tratta di una forma di responsabilità per la quale la dottrina e la giurisprudenza parlano da tempo di una presunzione assoluta di colpa e la cui giustificazione viene essenzialmente rinvenuta nella teoria del rischio di impresa, come principio generale, parallelo alla colpa, di imputazione della responsabilità: espressione, in altri termini, di un criterio obiettivo di allocazione dei rischi, per il quale i danni cagionati dal dipendente sono posti a carico dell’impresa, come componente dei costi di questa (v. da ultimo Cass. n. 6033/2008; in precedenza ad es. Cass. n. 1343/1972; Cass. n.
2734/1994; Cass. n. 9100/1995).
Tale principio risulta adeguatamente richiamabile, ad avviso di questa Corte, anche nel caso di distacco del dipendente presso altra organizzazione aziendale, tenuto conto dei requisiti individuati dalla giurisprudenza (ancor prima della codificazione dell’istituto ad opera del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 30) a giustificazione di questa peculiare forma di dissociazione fra la titolarità del rapporto di lavoro (che permane il capo al soggetto distaccante) e il destinatario della relativa prestazione (che diviene l’imprenditore distaccatario), che è vicenda che ricorre con frequenza non solo nell’ambito dei fenomeni di collegamento societario, ma pure nelle molteplici vicende di esternalizzazione dell’attività, produttiva e di collaborazione e cooperazione fra imprese del tutto distinte.
In particolare, del requisito, del tutto imprescindibile per la legittimità della fattispecie (e che, per implicare un accertamento di fatto, risulta insindacabile in cassazione, se correttamente motivato), della esistenza di uno specifico interesse del datore di lavoro alla destinazione del dipendente presso un organizzazione aziendale esterna, il quale consenta di qualificare il distacco come atto organizzativo dell’impresa che lo dispone, così determinando una mera modifica delle modalità di esecuzione della prestazione lavorativa, in una col carattere essenzialmente temporaneo, anche se non meramente transitorio, della destinazione presso soggetti terzi (cfr. ad es. Cass. n. 9694/2009; Cass. n.16165/2004; Cass. n. 7743/2000).
Se, pertanto, alla base del distacco è riscontrabile uno specifico interesse organizzativo del datore di lavoro, che qualifica la vicenda in termini di legittima estrinsecazione del potere di conformazione della prestazione di lavoro, non appare dubitabile che pure tale vicenda è riconducibile alla sfera del rischio di impresa dell’imprenditore – datore di lavoro, nel senso che ne riflette la sfera di interessi, ma, al tempo stesso, ne individua i relativi ambiti di responsabilità, con il doveroso contrappesi del rischio per i danni cagionati dai dipendenti nei confronti dei terzi.
né vale osservare che, inserendosi la prestazione di lavoro del dipendente distaccato nell’organizzazione aziendale del terzo, spetta a quest’ultimo l’esercizio dei poteri funzionali alla realizzazione del corretto ed utile adempimento, giacchè quel che rileva, ai fini della responsabilità per i danni cagionati dal fatto illecito del dipendente, è che il distacco del dipendente non spezza il collegamento fra l’interesse organizzativo del datore di lavoro distaccante e l’esecuzione della prestazione presso un soggetto terzo, con conseguente permanenza del criterio obiettivo di allocazione dei rischi connesso alla responsabilità di impresa, per come previsto dall’art. 2049 c.c.. Non senza osservare, ad ulteriore dimostrazione della latitudine che riveste la responsabilità dei padroni e dei committenti ex art 2049 c.c., che la giurisprudenza di questa Corte nemmeno richiede un diretto collegamento dell’illecito con le mansioni svolte dal dipendente, apparendo sufficiente, per tal fine, un rapporto di occasionalità necessaria, nel senso che l’incombenza disimpegnata abbia determinato una situazione tale da agevolare o rendere possibile il fatto illecito e l’evento dannoso, anche se il dipendente abbia operato oltre i limiti delle sue incombenze, purchè sempre nell’ambito dell’incarico affidatogli, così da non configurare una condotta del tutto estranea al rapporto di lavoro (Cass. n. 6033/2008; Cass. n.1516/2007; Cass. n. 19167/2005).
Ciò premesso, va rilevato che il giudice di merito ha accertato (in punto di interesse al distacco) che la società M. era interessata alla verifica, ad opera di un proprio dipendente, del buon funzionamento della macchina escavatrice (che dal giorno seguente sarebbe stata utilizzata in altro cantiere dalla società stessa per conto dell’ENEL e (in punto di responsabilità del dipendente distaccato) che il G., con condotta gravemente negligente, aveva eseguito la manovra, causa dell’incidente, senza preventivamente accertarsi dell’ubicazione del D.R. E pur essendo consapevole che il pesante mezzo non consentiva la perfetta visibilità di tutta la zona, che, peraltro, risultava sprovvista di recinzione e non era pre – segnalata acusticamente o da altro operatore.
E tale accertamento risulta senz’altro idoneo a giustificare la ritenuta responsabilità della società ricorrente, alla luce del principio già evidenziato che, in caso di distacco del dipendente presso altra organizzazione aziendale, il datore di lavoro distaccante, in capo al quale permane la titolarità del rapporto di lavoro, è tenuto a rispondere, ai sensi dell’art. 2049 c.c., dei fatti illeciti commessi dal dipendente distaccato, per presupporre il distacco uno specifico interesse del datore di lavoro all’esecuzione della prestazione presso il terzo con conseguente permanenza della responsabilità, in virtù del principio del rischio d’impresa, per i fatti illeciti derivanti dallo svolgimento della prestazione stessa. Mette conto, peraltro, rilevare che, secondo la più recente giurisprudenza di questa Corte in tema di tutela antinfortunistica nelle esternalizzazioni delle fasi del processo produttivo, ove lavoratori dipendenti da più imprese siano presenti sul medesimo teatro lavorativo, i cui rischi interferiscono con l’opera o col risultato dell’opera di altri soggetti (lavoratori dipendenti o autonomi), tali rischi concorrono a configurare l’ambiente di lavoro ai sensi del D.P.R. n. 547 del
1955, artt. 4 e 5 sicché ciascun datore di lavoro è obbligato ex art. 2087 c.c. Ad informarsi sui rischi derivanti dall’opera o dal risultato dell’opera degli altri attori sul medesimo teatro lavorativo e a dare le conseguenti istruzioni ed informazioni ai propri dipendenti, atteso che tale obbligo – non derogabile nemmeno in presenza della notorietà dell’impresa presso la quale vengono inviali i lavoratori medesimi – si pone in sintonia con la normativa vigente in tema di organizzazione del lavoro nelle realtà produttive complesse (v.Cass. n. 45/2009).
Con la conseguenza che, anche sotto tal aspetto, la società ricorrente non potrebbe andare esente da responsabilità, avendo omesso di porre in essere (per come accertato dai giudici di merito) le verifiche indispensabili ad accertare l’esistenza di un ambiente lavorativo “sicuro”, idoneo, cioè, a non costituire causa di danno sia per i propri dipendenti che in tal contesto operavano sia per quelli che con i primi venivano in contatto (data l’assenza nel pontone ove operava la gru delle prescritte misure antinfortunistiche).”
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