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mercoledì 16 marzo 2011

Lavoratori esposti all'amianto - Rivalutazione del periodo contributivo ex lege 257/92

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE DI BRINDISI
SEZIONE LAVORO

Il Tribunale di Brindisi, in composizione monocratica, in persona della dott.ssa Maria Cristina Mattei, in funzione di giudice del lavoro, ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa discussa all'udienza dell' Il.1.20 Il, promossa da:
F.S., rappresentato e difeso, con mandato a margine del ricorso, dall' avv. Labate F.
Ricorrente
CONTRO
INPS, in persona del Presidente pro-tempore, rappresentato e difeso, giusta procura per Notar F. Lupo da Roma, dall' avv. Sgarrella
Resistente
Oggetto: Rivalutazione del periodo contributivo ex lege n. 257/92 P.Q.M.
definitivamente pronunciando sul ricorso proposto con atto depositato il 12.10.2005, così provvede:
Dichiara il diritto del ricorrente alla maggiorazione contributiva per esposizione ad amianto per il periodo lavorativo compreso tra il 29.9.1975 ed il 31.12.1992, ai sensi della legge n. 257/92, art. 13, comma 8 e, per l'effetto, condanna l' Inps ad adottare i provvedimenti conseguenti aggiornando la posizione contributiva del ricorrente ai sensi di legge.
Condanna l' Inps al pagamento delle spese di giudizio, liquidate in € 1.200,00, di cui € 650,00 per onorario, con distrazione, oltre IVA, CAP, e rimborso forfettario come per legge.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso depositato il 12.10.2005, il ricorrente di cui in epigrafe - premesso di aver lavorato, per oltre dieci anni, presso la Centrale Termoelettrica Edipower (precedentemente Enel), con sede in Brindisi, alla via Einstein, n. 5 - allegava di avere svolto le mansioni riportate nel curriculum lavorativo allegato in atti, all'interno dei reparti nello stesso indicati.
Sosteneva che l'attività lavorativa svolta presso la centrale termoelettrica aveva comportato l'esposizione qualificata ad amianto in misura superiore ai limiti previsti dalla legge, precisando che, con provvedimento del 19.9.2001, l'Inail aveva rilasciato attestato di esposizione ad amianto per il periodo compreso tra il 2.1.1976 ed il 31.12.1981, durante il quale aveva svolto mansioni di meccanico - tubista all'interno del reparto di manutenzione meccanica.
Concludeva chiedendo il riconoscimento dei benefici di cui all'art. 13 comma 8 della legge n. 257/1992 e la conseguente condanna dell'Inps a compiere l'aggiornamento della propria posizione contributiva, con vittoria di spese e competenze di giudizio, con distrazione.
Con memoria, si costituiva in giudizio l'Inps che, in via preliminare, eccepiva il difetto di legittimazione passiva e la decadenza dall'azione giudiziaria per mancato rispetto, da parte del ricorrente, del termine (15 giugno 2005) di cui agli artt. 1 e 3 del Decreto Ministeriale 27.10.2004 (di attuazione dell'art. 47 del D.l. n. 269/03, convertito con modifiche dalla legge 24.11.2003 n. 326). Nel merito, contestava gli assunti del ricorrente e concludeva chiedendo il rigetto del ricorso, con vittoria di spese e competenze di lite.
La causa veniva istruita in via documentale ed orale e, all' odierna udienza, previa discussione orale, veniva decisa sulle conclusioni delle parti in atti come da sentenza contestuale.
MOTIVI DELLA DECISIONE
In via preliminare, in ordine alla legittimazione passiva nel presente giudizio, avendo riguardo alle conclusioni rassegnate in ricorso, con il quale parte ricorrente ha chiesto non il rilascio di attestazione della esposizione qualificata ad amianto per un periodo ultradecennale (nel qual caso, secondo orientamento pacifico e costante della Cassazione, il soggetto legittimato passivo sarebbe stato l'Inail), bensì il riconoscimento dei benefici previdenziali di cui alla legge n. 257/1992 e la conseguente condanna dell'Inps al ricalcolo del trattamento pensionistico previsto in favore dei lavoratori che abbiano subito una esposizione ultradecennale ad amianto nell'arco della attività lavorativa (in tal senso si vedano, ex multis, Cassazione civile, sezione lavoro, n. 8859 del 28.6.2001, Cassazione civile, sezione lavoro, n. 8937 del 19.6.2002, Cassazione civile, sezione lavoro, n. 893712002 e Cassazione civile, sezione lavoro, n. 1225612003), deve ritenersi che la legittimazione passiva spetti esclusivamente all'Inps.
Da tanto consegue il rigetto dell'eccezione sollevata dall'Inps.
Quanto poi all'eccezione di decadenza sollevata dall'Inps, la stessa risulta infondata.
Ed invero, in via preliminare, giova precisare che un mese dopo la conversione in legge del D.L. 30.9.2003 n. 269 (L. 24.11.2003 n. 326) è intervenuto l'art. 3, comma 132, L. 24.12.2003 n. 350, che ha ristabilito per i lavoratori che avevano già maturato - alla data del 2.10.2003 - il diritto al conseguimento dei benefici previdenziali relativi all'amianto, le disposizioni previgenti alla medesima data del 2.10.2003.
Analoga disciplina si applica anche a coloro "che hanno avanzato domanda di riconoscimento all' INAIL o che ottengono sentenze favorevoli per cause avviate entro la stessa data".
Ciò posto, deve darsi atto che il ricorrente - alla data del 2.10.2003 - aveva già maturato il diritto al conseguimento dei benefici previdenziali relativi all'amianto, avendo presentato domanda all' Inail per il rilascio di attestazione della esposizione qualificata ad amianto in data certamente anteriore al 19.9.2001, e cioè all'epoca cui risale il provvedimento di accoglimento dell' istanza da parte dell' ente previdenziale, limitatamente al periodo compreso tra il 2.1.1976 ed il 31.12.1981, durante il quale il ricorrente aveva svolto mansioni di meccanico - tubista all'interno del reparto di manutenzione meccanica (si veda documento allegato sub 3 del fascicolo del ricorrente).
Venendo al merito, il ricorso è fondato e va accolto.
Preliminarmente deve precisarsi che la presente fattispecie trova la sua disciplina nell' art. 13 comma 8 della legge n. 257/92, senza che possano trovare applicazione gli sviluppi della successiva legislazione di settore.
E' utile in tal senso precisare che l'art. 47 del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269 (convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326), ha introdotto una disciplina fortemente innovativa del beneficio di cui all'art. 13, comma 8, del d.lgs. 257/1992, quanto all'oggetto della prestazione previdenziale (il coefficiente di rivalutazione dei contributi diminuisce da 1,5 a 1,25; la rivalutazione incide sulla misura della pensione, ma non più sui requisiti per conseguirla); quanto al regime di incompatibilità con altre provvidenze analoghe; quanto ai requisiti per ottenere il beneficio (periodo non inferiore a 10 anni -non più ultradecennale- di esposizione all'amianto in concentrazione media annuale non inferiore a 100 fibre/litro come valore medio su otto ore al giorno); quanto al procedimento amministrativo (si contempla una domanda da presentare entro un termine di decadenza all'Inail, Istituto al quale è conferita la funzione di accertare e certificare la sussistenza e la durata dell'esposizione, come già era stato disposto dall'art. 18, comma 8, della legge 31 luglio 2002, n. 179).
Il legislatore è nuovamente intervenuto poco tempo dopo, disponendo, con l'art. 3, comma 132, legge 24 dicembre 2003, n. 350, che in favore dei lavoratori che abbiano già maturato, alla data del 2 ottobre 2003, il diritto al conseguimento dei benefici previdenziali di cui all'art. 13, comma 8, legge 257/92 e successive modificazioni, sono fatte salve le disposizioni previgenti alla medesima data del 2 ottobre 2003. La disposizione di cui al primo periodo si applica anche a coloro che hanno avanzato domanda di riconoscimento all'Inail o che ottengano sentenze favorevoli per cause avviate entro la stessa data.
La Suprema Corte (cfr. in tal senso ex plurimis Casso n. 21862/04) ha interpretato il dato normativo risultante dalle disposizioni suddette ritenendo che per "maturazione" del diritto al beneficio deve intendersi la maturazione del diritto a pensione alla data del 2 ottobre 2003 e che, tra coloro che non hanno ancora maturato il diritto a pensione, la salvezza concerne esclusivamente gli assicurati che, alla data indicata, abbiano avviato un procedimento amministrativo o giudiziario per l'accertamento del diritto alla rivalutazione contributiva, purchè, per questi ultimi, il giudizio non sia stato definito con sentenza di rigetto.
Le ragioni dell'opzione interpretativa della Suprema Corte poggiano fondamentalmente sulle seguenti considerazioni: per un verso, la rivalutazione contributiva non rappresenta una prestazione previdenziale autonoma, ma determina i contenuti del diritto alla pensione, cosicchè, per "maturazione del diritto" non può che intendersi il perfezionamento del diritto al trattamento pensionistico anche sulla base del beneficio di cui all'art. 13, comma 8, d.lgs. 257/1992 (per questa parte, perciò, la disposizione si limita a confermare quanto già disposto dall'art. 47, comma 6-bis d.lgs. 26912003, lasciando peraltro immutate le altre ipotesi di salvezza ivi contemplate); per altro verso, nel regime precedente, non era prevista una domanda amministrativa per far accertare il diritto alla rivalutazione dei contributi previdenziali per effetto di esposizione all'amianto e deve perciò ritenersi che il legislatore abbia espresso l'intento, ricostruito secondo un'interpretazione orientata dal principio costituzionale di ragionevolezza, di escludere l'applicazione della nuova disciplina "anche" per coloro che comunque avessero già avviato una procedura amministrativa per l'accertamento dell'esposizione all'amianto (non solo mediante domande rivolte all'lnail, ma anche, e soprattutto, all'Inps quale parte del rapporto previdenziale).
Alla stregua dello stesso criterio interpretativo, deve ritenersi che all'apertura di un procedimento amministrativo -proprio perchè non previsto come obbligatorio nel regime previgente- sia stata equiparata l'apertura di un procedimento giudiziale, con l'avvertenza che l'esito sfavorevole del giudizio avrebbe consentito soltanto di giovarsi della nuova disciplina nella parte in cui "estende" il beneficio (vedi comma 6-ter dell'art. 47 e tenuto conto altresì che la salvezza della precedente normativa è stata disposta esclusivamente in "favore" dei lavoratori), considerata l'impossibilità di attribuire rilevanza conservativa all'accidente di una sentenza favorevole, poi travolta nei gradi successivi del giudizio e l'opportunità di applicare la normativa precedente ai procedimenti di accertamento dei requisiti già terminati o ancora in corso, non soltanto al fine di rispettare le situazioni soggettive di aspettativa, ma anche di conservare la validità degli accertamenti -spesso lunghi e complessi- già espletati sulla base delle norme precedentemente in vigore.
Ciò posto, alla luce delle disposizioni normative illustrate e dei principi sanciti dalla Cassazione, deve ritenersi che la nuova disciplina non risulti applicabile alla presente fattispecie, in quanto il ricorrente ha provato di avere presentato istanza amministrativa all' Inail per ottenere il rilascio di attestazione della esposizione ultradecennale ad amianto in data anteriore al 19.9.2001.
Procedendo a valutare la fondatezza nel merito del ricorso, in via preliminare ed in diritto, giova evidenziare che, in adesione ai principi di diritto ripetutamente enunciati dalla Suprema Corte fin dalla sentenza 3 aprile 2001, n. 4913 (e, successivamente, tra tante, 27 febbraio 2002, n. 2926,15 maggio 2002, n. 7084, Il luglio 2002, n. 10114, 12 luglio 2002, n. 10185, 23 gennaio 2003, n. 997; 29 ottobre 2003, n. 16256; 13 febbraio 2004, n. 2849), chi scrive ritiene che l' attribuibilità della maggiorazione contributiva (sia prima che dopo le innovazioni normative di cui si è detto) presuppone che l' interessato abbia subito, nel corso dell'attività lavorativa, un' esposizione all'amianto superiore in intensità ai valori limite indicati nella legislazione prevenzionale di cui al d.lgs. n. 277/91 e successive modifiche.
In particolare, l'attribuzione dell' eccezionale beneficio della rivalutazione contributiva di cui all'art. 13, comma 8, della legge 27 marzo 1992, n. 257, nel testo risultante dalle modifiche apportate dall'art. 1, comma 1, decreto legge 5 giugno 1993, n. 169, e dalla successiva legge di conversione 4 agosto 1993. n. 271, presuppone l' adibizione ultradecennale del lavoratore a mansioni comportanti, per il lavoratore medesimo, un effettivo e personale rischio morbigeno, tale da costituire un pericolo concreto per la salute a causa della presenza, nei luoghi di lavoro, di una concentrazione di fibre di amianto superiore ai valori limite indicati nella legislazione di prevenzione di cui al decreto legislativo 15 agosto 1991, n. 277, e successive modifiche.
L'accertamento della esistenza di una esposizione significativa nei sensi sopra precisati deve essere compiuto dal giudice avendo riguardo alla singola collocazione lavorativa, verificando cioè -nel rispetto del criterio di ripartizione dell'onere probatorio ex art. 2697 c.c. (o, se del caso, avvalendosi dei poteri di ufficio ad esso riconosciuti nel rito del lavoro) - se colui che ha fatto richiesta del beneficio di cui all'art. 13, comma 8, dopo aver indicato e provato la specifica lavorazione praticata, abbia anche dimostrato che l'ambiente nella quale la stessa si svolgeva presentava una concentrazione di polveri di amianto superiore ai valori limite indicati (attraverso il rinvio al D. Lgs. n. 277 del 1991) nell'art. 3 della legge n. 257 del 1992. Il lavoratore, inoltre, sempre nell'ottica della necessaria personalizzazione del rischio, dovrà dimostrare la sussistenza dell'ulteriore requisito prescritto dalla legge, vale a dire di essere stato esposto a quel rischio "qualificato" per un periodo non inferiore a dieci anni; con l'avvertenza che, nel periodo in questione, dovranno essere computate le pause "fisiologiche" di attività (riposi, ferie, festività) che rientrano nella normale evoluzione del rapporto di lavoro (cfr. ex plurimis Cassazione Civile Sent. n. 997 del 23-01-2003).
Tale orientamento è stato recentemente ribadito dalla Suprema Corte, la quale (si veda Cassazione Civile, Sez. Lav., 26 febbraio 2009, n. 4650), ha affermato che "il disposto della L. n. 257 del 1992 art 13, comma 8, deve essere interpretato nel senso che il beneficio pensionistico ivi previsto spetta unicamente ai lavoratori che, in relazione alle lavorazioni cui sono stati addetti e alle condizioni dei relativi ambienti di lavoro, abbiano subito per più di dieci anni (periodo in cui vanno valutate anche le pause fisiologiche, quali riposi, ferie e festività) un'esposizione a polveri d'amianto superiore ai limiti previsti dal D.Lgs. 15 agosto 1991, n. 277, artt. 24 e 31.", aggiungendo che "in tema di benefici previdenziali in favore dei lavoratori esposti all'amianto, ai fini del riconoscimento della maggiorazione del periodo contributivo ai sensi dell'art. 13, comma 8, l. 27 marzo 1992 n. 257, applicabile "ratione temporis", occorre verificare se vi sia stato il superamento della concentrazione media della soglia di esposizione all'amianto di 0,1 fibre per centimetro cubo, quale valore medio giornaliero su otto ore al giorno, avuto riguardo ad ogni anno utile compreso nel periodo contributivo ultradecennale in accertamento e non, invece, in relazione a tutto il periodo globale di rivalutazione, dovendosi ritenere il parametro annuale (esplicitamente considerato dalle disposizioni successive che hanno ridisciplinato la materia) quale ragionevole riferimento tecnico per determinare il valore medio e tenuto conto, in ogni caso, che il beneficio è riconosciuto per periodi di lavoro correlati all'anno."
Tale linea interpretativa si collega all'esigenza di individuare una soglia di esposizione a rischio che valga a dare concretezza alla nozione di esposizione all'amianto presa in considerazione dalla L. n. 257 del 1992, art. 13, comma 8, (nel testo di cui al D.L. n. 169 del 1993, art. 1, convertito nella L. n. 271 del 1993), nozione che non contiene, nella mera formulazione letterale della norma, quegli elementi di delimitazione del rischio quali invece sono rappresentati, nella previsione del comma 6, dal particolare tipo di lavorazione (svolgimento del lavoro nelle cave o nelle miniere di amianto) e, in quella del comma 7, dalla verificazione di una malattia professionale correlata all'esposizione stessa. L'opzione ermeneutica della Corte si correla con l'orientamento della Corte costituzionale, la quale con le sentenze n. 5/2000 (avente specificamente ad oggetto la questione della sufficiente determinazione della norma) e n. 434 del 2002, valutabili congiuntamente, ha rilevato che la norma in questione ha una portata delimitata dalla previsione del periodo temporale minimo di esposizione a rischio e c:o-":::::"":::'{ dalla riferibilità a limiti quantitativi inerenti alle potenzialità morbigene dell'amianto contenuti nel D.Lgs. n. 277 del 1991 e successive modifiche.
E' stato anche precisato che, del riferimento complessivo al D. Lgs. n. 277 del 1991, artt. 24 e 31 è rilevante in concreto il dato emergente dall'art. 24, il quale indica al comma 3, o meglio indicava (visto che tutto il capo 31\ del D.Lgs. n. 277 del 1991, comprendente sia l'art. 24 che l'art. 31, è stato abrogato dal D.Lgs. 25 luglio 2006, n. 257, art. 5, che ha dato attuazione alla direttiva comunitaria 2003/18/CE del 27 marzo 2003, inserendo la novellata disciplina della protezione dei lavoratori contro i rischi connessi all'esposizione all'amianto nel D.Lgs. n. 626 del 1994 )- il valore di 0,1 fibre di amianto per centimetro cubo, in rapporto ad un periodo di riferimento di otto ore, quale soglia il cui superamento implica, in sostanza, la valutazione della relativa posizione di lavoro come esposta ad un rischio qualificato, richiedente l'adozione di apposite misure di prevenzione e monitoraggio. L'art. 31 indicava invece - nel testo comprensivo delle modifiche L. n. 257 del 1992, ex art 3 - i valori medi limite di esposizione all'amianto nella misura di 0,2 fibre per centimetro cubo, salvo il superiore limite di 0,6 fibre per centimetro cubo in caso di esposizione a sole fibre di crisolito (Cass. n. 1625612003 e 1611912005,40012007 e numerose altre sentenze successive). Peraltro, il D. Lgs. n. 626 del 1994, art. 59 decies introdotto dal D. Lgs. n. 257 del 2006, art. 2 (in attuazione, come si è già ricordato, della direttiva comunitaria 2003/18/CE), ha ormai fissato nel valore di 0,1 fibre per centimetro cubo il limite massimo di esposizione all'amianto.
La stessa soglia è stata recepita, con utilizzazione di una diversa unità di misura, dal D.L. n. 269 del 2003, art. 47 (il cui testo è stato ampiamente modificato e integrato dalla Legge di Conversione n. 326 del 2003 e la cui portata è stata ulteriormente precisata dalla L. n. 350 del 2003, art. 3, comma 132) che, oltre a modificare la misura e la portata del beneficio contributivo accordato (è stato ridotto il coefficiente di maggiorazione da 1,5 a 1,25 e limitata la sua incidenza alla determinazione della misura delle prestazioni pensionistiche, con esclusione della sua rilevanza ai fini del diritto all'accesso alle prestazioni stesse), ha precisato la fattispecie costitutiva nel senso che è richiesta, per l'acquisizione del detto beneficio previdenziale, l'esposizione all'amianto in concentrazione media annua non inferiore a 100 fibre/litro, come valore medio su otto ore al giorno, concentrazione che corrisponde a quella di 0,1 fibre per centimetro cubo espressa, con diversa unità di misura, dalla L. n. 277 del 1991, artt. 24.
Venendo alla presente controversia, deve in primis rilevarsi che consta in atti curriculum lavorativo del ricorrente da cui risulta che il F., a partire dal 29.9.1975, ha lavorato presso la Centrale Edipower - prima Enel Nord di Brindisi, svolgendo:
- dal 29.9.1975 al 1.1.1976, mansioni di operaio;
- dal 2.1.1976 al 1.1.1982, mansioni di meccanico qualificato di squadra e di saldatore
tubista, nel reparto di Manutenzione meccanica;
- dal 2.2.1982 al 2.5.1991, mansioni di addetto alla demineralizzazione e al trattamento di acque, all'interno del reparto Esercizio.
È poi provato che il ricorrente ha ottenuto il rilascio di attestazione della esposizione qualificata ad amianto da parte dell'Inail in data 19.9.2001, limitatamente al periodo compreso tra il 2.1.1976 ed il 31.12.1981 (si veda documento allegato sub 3 del fascicolo del ricorrente).
Quanto alla prova della esposizione qualificata ad amianto per il restante periodo di attività lavorativa nello stabilimento Enel Nord di Brindisi, essa deve ritenersi dato acquisito alla luce delle dichiarazioni rese dal teste escusso in giudizio, del C.d. Protocollo Guerrini e della relazione peritale prodotta in atti dalla parte ricorrente.
In ordine alle risultanze della prova testimoniale va evidenziato che il teste escusso, sig. F.L. - che ha lavorato nella centrale Enel Nord fino al 31.3.2004, con mansioni di assistente tecnico esperto della manutenzione - ha confermato che il F. ha svolto, presso la Centrale Enel Nord di Brindisi, mansioni di saldatore carpentiere dal 1975 al 1982 e di addetto al trattamento delle acque - reparto esercizio fino al giorno di cessazione di attività lavorativa da parte del Fuso e cioè il 31.3.2004.
Il teste ha inoltre dichiarato che il ricorrente ha svolto, sempre presso la Centrale Termoelettrica di Brindisi/Nord, le stesse mansioni svolte da altri lavoratori (quali P., R. S. A., S., D.G., M., C. e M.), che hanno già ottenuto il riconoscimento del diritto ai benefici di cui alla legge n. 257/1992 con sentenze pronunciate in altri giudizi instaurati presso il Tribunale di Bari, il Tribunale di Brindisi ed il Tribunale di Lecce (si vedano sentenze in atti).
Ha confermato le circostanze dedotte in ricorso in ordine alla suddivisione della centrale in reparti non separati gli uni dagli altri e quindi costituenti unico ambiente lavorativo, nel quale si verificava una notevole dispersione di polveri di amianto, che venivano inalate da tutti i dipendenti stante la assenza di mezzi di protezione individuali e collettivi.
Ha confermato che il F., dal 1975 e fino al 2004 (anno fino al quale il F. ha lavorato), ha svolto le mansioni indicate nel Curriculum esibito ed in atti.
Le dichiarazioni del teste trovano conferma ed integrazione nel curriculum lavorativo rilasciato dalla Edipower, nel quale si dà atto che il F., dal 29.9.1975 al 2.5.1991, ha svolto mansioni di operaio, manutentore meccanico e saldatore tubista, addetto al reparto Esercizio.
Ulteriore conferma della esposizione qualificata del ricorrente ad amianto è poi fornita dalla lettura della consulenza tecnica d'ufficio depositata nella Cancelleria del Tribunale di Brindisi il 15.12.09, a firma dell'ing. Emilio Scazzeri (allegato 5 del fascicolo del ricorrente), elaborata in relazione al giudizio incardinato presso la Sezione Lavoro del Tribunale di Brindisi, da dipendenti (Tundo, Greco, Piepoli, Sportelli, Rocco e Martino) che hanno lavorato presso la Centrale Enel Nord svolgendo mansioni analoghe a quelle svolte dal Ferretti, nei reparti e nel periodo indicati in ricorso (tanto risulta dalle dichiarazioni del teste Fuso e dalla lettura della relazione peritale in atti).
Sul punto, giova rilevare che la giurisprudenza, con pacifico orientamento, ha affermato che, al fine dell' accertamento di una esposizione qualificata ad amianto, "è indispensabile il ricorso da parte del giudice alla consulenza tecnica, pur senza escludersi la possibilità di trarre elementi di valutazione da quella già espletata in altra causa promossa da lavoratori della medesima azienda, nel qual caso peraltro - e, ove non emerga la necessità di una consulenza ad hoc - non è sufficiente ai fini dell' osservanza dell'obbligo di motivazione il mero richiamo alle conclusioni del ctu, imponendosi invece lo specifico esame delle contrarie deduzioni delle parti" (ex multis, si veda Cassazione, Sezione Lavoro, sentenza n. 2970 del 20.8.1991).
Orbene, va dato atto che la consulenza depositata dal ricorrente risulta fondata su una attenta analisi dei fatti e delle circostanze, essendo immune da vizi logici e giuridici, conseguentemente meritando di essere pienamente condivisa.
Né l'Inps, d'altra parte, ne ha contestato le risultanze o il deposito in giudizio.
Trattasi quindi di elaborato peritale che involge l'indagine sulla sussistenza del rischio amianto nella medesima azienda ed esamina, in particolare, il medesimo ambiente di lavoro del ricorrente e mansioni analoghe a quelle da quest'ultimo svolte, con una totale coincidenza quindi dei fatti posti a fondamento della domanda.
Va detto che il consulente ha preso in considerazione mansioni analoghe a quelle svolte dal ricorrente ed il medesimo ambiente lavorativo, effettuando un complesso lavoro di verifica ambientale sia sulle tecniche sia sui sistemi di produzione in uso nella centrale, evidenziando, in primis, la sussistenza di un generico rischio amianto atteso che è stato accertato che, per anni, tale materiale è stato impiegato nel ciclo di produzione della centrale. Il consulente ha poi individuato le macchine e le attrezzature contenenti amianto, verificando la qualità dei mezzi di protezione utilizzati. Ha concluso ritenendo che nell'ambiente lavorativo nel quale ha prestato la propria attività il ricorrente vi era una elevata dispersione di fibre di amianto. Compiuta tale ricostruzione di carattere generale il consulente ha poi esaminato lo specifico tipo di lavorazione cui è stato addetto anche l'odierno ricorrente e ha accertato che essa, considerata l'ubicazione nonché le caratteristiche dell'ambiente lavorativo, comportava una esposizione qualificata ad amianto in misura superiore ai limiti prevenzionali fissati dalla legge n. 277/1991. In particolare il consulente ha concluso che i sig. T., G.,P., S., R. e M. sono stati esposti all' amianto presente nell' ambiente di lavoro in concentrazione media giornaliera superiore al limite fissato dal d. 19s. 277/1991, come valore medio calcolato su otto ore al giorno.
Orbene, le conclusioni cui è giunto il ctu devono ritenersi automaticamente applicabili alla presente fattispecie, atteso che da un attento esame dell' elaborato risulta che il consulente ha preso in considerazione mansioni identiche a quelle svolte dal ricorrente.
Da ultimo, la prova della sussistenza del requisito della esposizione qualificata deve trarsi nella specie dalla lettura dell'atto di indirizzo del Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale (c.d. Atto di indirizzo Guerrini, allegato al fascicolo del ricorrente al momento di presentazione del ricorso) che contiene le linee di indirizzo per il riconoscimento dei benefici previdenziali dovuti all'esposizione all'amianto, e riconosce espressamente che vi è stata esposizione qualificata all'amianto per quanti abbiano svolto l'attività di operatori addetti alla manutenzione di strutture, impianti e macchine, di operatore sala macchine, oltre al carico, scarico, movimentazione e taglio dei manufatti contenenti amianto e quindi, in ultima analisi, di attività analoghe a quelle svolte dal ricorrente presso la Centrale Termoelettrica (per come emerse dalla lettura del CV, della relazione peritale in atti e delle dichiarazioni rese dal teste Fuso).
Alla luce di tutte le suesposte considerazioni non può revocarsi in dubbio che il ricorrente, dalla data di assunzione e cioè dal 29.9.1975, sia stato esposto al rischio amianto in misura superiore ai limiti di legge.
Quanto invece al periodo in relazione al quale può ritenersi sussistere prova ragionevolmente certa della esposizione qualificata, ai sensi e per gli effetti di cui all' art. 13 della legge n. 257/92, fermo restando che il teste F. ha confermato lo svolgimento delle mansioni indicate in ricorso, da parte del ricorrente, anche oltre il 1991 (data ultima indicata nel CV in atti) e almeno fino al 2004, esso va limitato al 31.12.1992.
Sul punto deve precisarsi che, stante la carenza di indicazioni in tal senso nell'elaborato peritale depositato in atti, fonte del convincimento si trae dalla lettura di diverse sentenze depositate dal ricorrente e relative a giudizi instaurati da suoi colleghi di lavoro nei confronti dell' Inps al fine di ottenere il riconoscimento dei benefici di cui alla legge n. 257/1992.
In particolare, la sentenza emessa dal Tribunale di Brindisi, n. 68712010, evidenzia che, nella consulenza tecnica redatta dal Dr. De Filippis (non depositata dell'odierno giudizio) nel procedimento n. 399912006, incardinato presso il Tribunale di Lecce da un collega di lavoro del ricorrente, il ctu ha evidenziato che non si può escludere una esposizione pari a 1000 fibre per litro di aria in considerazione della struttura dell' ambiente di lavoro, caratterizzato, fino al 1992, da un elevato utilizzo nelle strutture e negli impianti di materiali in amianto in matrice friabile e non, tutti sottoposti ad una intensa e rapida usura. Ha poi evidenziato che, successivamente al 1992, è iniziata la dismissione dell' amianto dai materiali e dal ciclo di produzione.
Pertanto, va riconosciuto il diritto del ricorrente all' applicazione dei benefici di cui alla legge n. 257/92 stante l'esposizione a rischio qualificato per un periodo superiore a dieci anni nell' arco temporale compreso tra il 29.9.1975 ed il 31.12.1992.
Il ricorso va dunque accolto con conseguente condanna dell' Inps ad adottare i provvedimenti necessari alla rivalutazione del periodo contributivo in relazione al periodo innanzi detto.
Le spese di giudizio seguono la soccombenza e vanno liquidate come da dispositivo.
Brindisi, li 11.1.2011

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