N. 102 SENTENZA 21 marzo - 17 maggio 2018
Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
Reati e pene - Deturpamento e imbrattamento di beni immobili o mezzi
di trasporto pubblici o privati fuori dei casi di cui all'art. 635
cod. pen. - Trattamento sanzionatorio.
- Codice penale art. 639, primo e secondo comma.
-
(GU n.21 del 23-5-2018 )
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente:Giorgio LATTANZI;
Giudici :Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI,
Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de
PRETIS, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio
PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANO',
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 639, primo e
secondo comma, del codice penale, promossi dai Tribunali ordinari di
Milano e di Aosta, con ordinanze del 26 aprile 2016 e del 1° febbraio
2017, iscritte rispettivamente al n. 120 del registro ordinanze 2016
e al n. 85 del registro ordinanze 2017 e pubblicate nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 25, prima serie speciale, dell'anno
2016, e n. 24, prima serie speciale, dell'anno 2017.
Visti l'atto di costituzione di Trenitalia spa, nonche' gli atti
di intervento del Comune di Milano e del Presidente del Consiglio dei
ministri;
udito nell'udienza pubblica del 20 marzo e nella camera di
consiglio del 21 marzo 2018 il Giudice relatore Franco Modugno;
uditi gli avvocati Giulio Enea Vigevani per Trenitalia spa, Maria
Rosa Sala per il Comune di Milano e l'avvocato dello Stato Gabriella
Palmieri per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1.- Con ordinanza del 26 aprile 2016 (r.o. n. 120 del 2016), il
Tribunale ordinario di Milano ha sollevato, in riferimento all'art. 3
della Costituzione, questione di legittimita' costituzionale
dell'art. 639, secondo comma, del codice penale, nella parte in cui
prevede che per il deturpamento o l'imbrattamento di beni immobili o
di mezzi di trasporto pubblici o privati si applica - anche quando il
fatto non e' commesso con violenza alla persona o con minaccia, ne'
in occasione di manifestazioni che si svolgono in luogo pubblico o
aperto al pubblico o del delitto previsto dall'art. 331 cod. pen. -
la pena della reclusione da uno a sei mesi o della multa da euro
trecento a euro mille, anziche' la sanzione pecuniaria civile da euro
cento a euro ottomila.
1.1.- Il giudice a quo riferisce di essere investito del processo
penale nei confronti di una persona imputata: a) del delitto di
deturpamento e imbrattamento continuato di cose altrui (artt. 81 e
639, secondo comma, cod. pen.), per aver apposto, con vernice non
biodegradabile, una scritta su nove immobili siti in varie zone della
citta' di Milano; b) del delitto di danneggiamento aggravato
continuato (artt. 81 e 635, commi primo e secondo, numero 3, in
relazione all'art. 625, numero 7, cod. pen.), per aver deteriorato
tre vetture ferroviarie apponendovi una scritta parimente indelebile,
con l'aggravante di aver commesso il fatto su beni esposti per
necessita' e consuetudine alla pubblica fede e destinati, comunque
sia, a pubblico servizio o a pubblica utilita'.
Il rimettente rileva che la responsabilita' dell'imputato per i
fatti ascrittigli deve ritenersi provata, all'esito dell'istruzione
dibattimentale. Da questa sarebbe, peraltro, anche emerso che i fatti
sono stati commessi senza violenza alla persona o minaccia, fuori da
manifestazioni pubbliche e senza dar luogo a interruzione di servizi
pubblici o di pubblica necessita'.
Cio' premesso, il giudice a quo reputa che il fatto oggetto del
secondo capo di imputazione, relativo all'apposizione della scritta
sulle vetture ferroviarie, debba essere riqualificato anch'esso come
imbrattamento di cose altrui, punibile ai sensi dell'art. 639,
secondo comma, cod. pen. Pertanto, con riguardo a tutti i fatti per
cui si procede, il Tribunale rimettente sarebbe chiamato a irrogare
le sanzioni penali previste dalla disposizione censurata.
Non potrebbe essere, infatti, recepita la tesi del difensore
dell'imputato, secondo la quale la parziale abrogazione del reato di
cui all'art. 635 cod. pen., operata dal decreto legislativo 15
gennaio 2016, n. 7 (Disposizioni in materia di abrogazione di reati e
introduzione di illeciti con sanzioni pecuniarie civili, a norma
dell'articolo 2, comma 3, della legge 28 aprile 2014, n. 67), avrebbe
determinato l'abrogazione tacita della figura criminosa prevista
dall'art. 639 cod. pen., in quanto speciale rispetto alla prima. A
prescindere dal rilievo che tra le due disposizioni intercorrerebbe
un rapporto, non di specialita', ma di sussidiarieta' espressa, non
sussisterebbero, comunque sia, i presupposti del ventilato fenomeno
di abrogazione tacita, ossia l'incompatibilita' tra le nuove
disposizioni e le precedenti o l'introduzione di una nuova legge che
regoli l'intiera materia disciplinata dalla legge anteriore.
Di qui, dunque, la rilevanza della questione.
Quanto, poi, alla non manifesta infondatezza, il rimettente
osserva come l'art. 2, comma 1, lettera l), del d.lgs. n. 7 del 2016,
sostituendo l'art. 635 cod. pen., abbia operato una parziale
depenalizzazione della fattispecie criminosa, finitima e piu' grave,
del danneggiamento. A seguito della novella, la condotta di chi
distrugge, disperde, deteriora o rende, in tutto o in parte,
inservibili cose mobili o immobili altrui manterrebbe - secondo il
rimettente - rilievo penale nei soli casi in cui il fatto sia
commesso «con violenza alla persona o con minaccia ovvero in
occasione di manifestazioni che si svolgono in luogo pubblico o
aperto al pubblico o del delitto previsto dall'articolo 331».
Fuori da tali ipotesi, le condotte di danneggiamento resterebbero
soggette a una semplice sanzione pecuniaria civile. Infatti, l'art. 3
del d.lgs. n. 7 del 2016 stabilisce che «[i] fatti previsti
dall'articolo seguente, se dolosi, obbligano, oltre che alle
restituzioni e al risarcimento del danno secondo le leggi civili,
anche al pagamento della sanzione pecuniaria civile ivi stabilita». A
propria volta, l'art. 4, comma 1, lettera c), del medesimo decreto
legislativo sottopone alla sanzione pecuniaria civile da euro cento a
euro ottomila «chi distrugge, disperde, deteriora o rende, in tutto o
in parte, inservibili cose mobili o immobili altrui, al di fuori dei
casi di cui agli articoli 635, 635-bis, 635-ter, 635-quater e
635-quinquies del codice penale».
Di contro, il censurato art. 639, secondo comma, cod. pen. -
rimasto invariato - continua a punire indistintamente chi deturpa o
imbratta beni immobili o mezzi di trasporto, pubblici o privati, con
la pena della reclusione da uno a sei mesi o della multa da euro
trecento a euro mille.
Ad avviso del giudice a quo, un simile assetto sanzionatorio si
porrebbe in contrasto con l'art. 3 Cost.
Come attesta la clausola di riserva con cui l'art. 639 cod. pen.
esordisce («fuori dei casi preveduti dall'articolo 635»), il reato di
deturpamento e imbrattamento ha carattere sussidiario rispetto a
quello di danneggiamento, punendo una forma di offesa meno intensa
del medesimo bene giuridico. Il danneggiamento, infatti, richiede -
secondo le indicazioni della giurisprudenza di legittimita' - che
l'agente abbia diminuito in modo apprezzabile il valore della cosa
altrui, o ne abbia impedito l'uso, mentre il deturpamento o
imbrattamento si configura in presenza di una alterazione temporanea
o superficiale della cosa, il cui aspetto originario e', comunque
sia, facilmente reintegrabile.
Per effetto della riforma operata dal d.lgs. n. 7 del 2016, si
sarebbe quindi prodotto un risultato palesemente irragionevole,
quanto ai fatti commessi senza violenza alla persona o minaccia,
fuori da manifestazioni pubbliche e senza determinare un'interruzione
di servizio pubblico o di pubblica necessita'. Chi realizza la forma
di offesa piu' intensa dell'interesse protetto - il danneggiamento -
soggiace alla sanzione pecuniaria civile da euro cento a euro
ottomila; chi realizza quella meno intensa - il deturpamento o
l'imbrattamento - e' invece punito con la reclusione da uno a sei
mesi o con la multa da euro trecento a euro mille, e dunque in modo
piu' severo.
L'intervento attuabile, in sede di sindacato di legittimita'
costituzionale, onde ripristinare la razionalita' del sistema,
sarebbe quello di sottoporre il deturpamento e l'imbrattamento di
beni immobili o di mezzi di trasporto, pubblici o privati, alla
sanzione pecuniaria civile attualmente prevista per i fatti di
danneggiamento non costituenti reato. Rimarrebbe, poi, compito del
giudice far emergere il diverso disvalore delle condotte in sede di
commisurazione in concreto della sanzione tra il minimo e il massimo
edittale. Tale soluzione, se pure non conforme all'assetto delineato
originariamente dal legislatore - caratterizzato da risposte
sanzionatorie "scaglionate" per i fatti in questione - consentirebbe,
comunque sia, di rimuovere l'attuale, arbitraria sperequazione
sanzionatoria, senza implicare una libera rimodulazione della
sanzione per la violazione meno grave, non consentita alla Corte
costituzionale, in quanto invasiva della discrezionalita'
legislativa. La Corte potrebbe, infatti, «intervenire secondo lo
schema delle "rime obbligate"», utilizzando come tertium
comparationis la previsione dell'art. 4, comma 1, lettera c), del
d.lgs. n. 7 del 2016.
1.2.- Si e' costituita Trenitalia spa, parte civile nel giudizio
a quo, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o, in
subordine, infondata.
Secondo la parte costituita, la mancata depenalizzazione del
reato di deturpamento e imbrattamento di cose altrui sarebbe frutto,
non di mera dimenticanza, ma di consapevole scelta legislativa:
scelta che si sottrarrebbe al sindacato della Corte costituzionale,
costituendo esercizio non manifestamente irragionevole o arbitrario
dell'ampia discrezionalita' spettante al legislatore nella
determinazione del trattamento sanzionatorio degli illeciti.
Il d.lgs. n. 7 del 2016 si e' limitato, infatti, a depenalizzare
il solo danneggiamento semplice, contemplato dal previgente art. 635,
primo comma, cod. pen. Resta invece punito con la reclusione da sei
mesi a tre anni non soltanto il danneggiamento attuato con le
modalita' cui fa riferimento il giudice rimettente, ma anche il
danneggiamento delle cose indicate dal secondo comma del novellato
art. 635 cod. pen., tra cui - per effetto del richiamo all'art. 625,
primo comma, numero 7), cod. pen. - le cose esposte per necessita',
consuetudine o destinazione alla pubblica fede, o destinate a
servizio pubblico o a pubblica utilita', come, ad esempio, il
materiale ferroviario oggetto dei fatti per cui si procede nel
giudizio a quo.
Sarebbe, pertanto, ben comprensibile la mancata depenalizzazione
della fattispecie del deturpamento o imbrattamento di cose altrui, e
in particolare di beni immobili o mezzi di trasporto: fattispecie
che, se pure produttiva di una lesione meno intensa «a livello
puramente materiale» di quella recata dalle condotte represse
dall'art. 635 cod. pen., inciderebbe pero' su una pluralita' di beni
giuridici, facenti capo «non solo al singolo ma all'intera
comunita'», quali l'igiene e il decoro urbano. Il vigente testo
dell'art. 639 cod. pen. e' frutto, infatti, della riscrittura operata
dall'art. 3 della legge 15 luglio 2009, n. 94 (Disposizioni in
materia di sicurezza pubblica), con lo specifico intento di inasprire
il trattamento sanzionatorio nei confronti di atti vandalici assai
diffusi e idonei a determinare «gravi forme di degrado urbano», tra i
quali assume un ruolo di primo piano proprio la pratica cosiddetta
del «writing».
La questione sarebbe inammissibile - secondo Trenitalia - anche
in ragione del carattere «altamente "creativo"» dell'intervento
richiesto dal giudice a quo. Il rimettente non lamenta, infatti, che
fattispecie omogenee siano trattate in modo diverso, ma che condotte
meno gravi siano punite piu' severamente di condotte piu' gravi. In
questa cornice, la Corte costituzionale non avrebbe punti di
riferimento per ridefinire il «compasso edittale» della fattispecie
prevista dalla norma censurata, la quale, in base alla stessa
prospettiva del rimettente, sarebbe meritevole di una sanzione
inferiore - e non gia' eguale - a quella del danneggiamento semplice.
1.3.- E' intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri,
rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato,
chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata.
Secondo la difesa dell'interveniente, la previsione di una
sanzione piu' severa per le condotte di deturpamento e imbrattamento,
nonostante la loro minore offensivita' rispetto a quelle di
danneggiamento, sarebbe giustificata dall'esigenza di contrastare
fenomeni di illegalita' diffusa che aggravano il degrado dei centri
urbani. Si tratterebbe, dunque, di una scelta di politica criminale
non manifestamente irragionevole e, come tale, non censurabile per
violazione dell'art. 3 Cost.
1.4.- E' intervenuto anche il Comune di Milano, il quale ritiene
la questione manifestamente infondata, in quanto basata su una
analisi parziale, e percio' inesatta, del quadro normativo di
riferimento. Nel denunciare la violazione dell'art. 3 Cost., il
rimettente avrebbe tenuto conto, infatti, unicamente della previsione
del primo comma dell'art. 635 cod. pen., come sostituito dal d.lgs.
n. 7 del 2016, trascurando completamente quella del secondo comma,
che punisce tuttora con la reclusione da sei mesi a tre anni chi -
anche in assenza di violenza alla persona o minaccia e delle altre
condizioni indicate nel primo comma - danneggia una serie di beni,
tra i quali gli immobili pubblici o destinati a uso pubblico o
all'esercizio di un culto, le cose di interesse storico o artistico
ovunque ubicate, gli immobili compresi nel perimetro dei centri
storici, gli immobili i cui lavori di costruzione, ristrutturazione,
recupero o risanamento sono in corso o risultano ultimati, e le altre
cose indicate nel numero 7) del primo comma dell'art. 625 cod. pen.
La sperequazione denunciata dal giudice a quo si rivelerebbe,
pertanto, insussistente. Le condotte che determinano un'offesa piu'
grave (danneggiamento dei beni ora indicati) risultano, infatti,
sanzionate con pena piu' severa rispetto a quelle che causano un
minore nocumento (deturpamento o imbrattamento di beni immobili o di
mezzi di trasporto, pubblici o privati, nonche' di cose di interesse
storico o artistico, puniti dall'art. 639, secondo comma, cod. pen.,
rispettivamente, con la reclusione da uno a sei mesi o la multa da
euro trecento a euro mille, e con la reclusione da tre mesi a un anno
e la multa da euro mille a euro tremila).
1.5.- Trenitalia spa ha depositato una memoria, insistendo nelle
conclusioni gia' formulate.
Nell'atto difensivo, si pone in particolare l'accento sulla
disomogeneita' delle fattispecie poste a raffronto dal rimettente, in
quanto rispondenti «a finalita' di prevenzione diverse». Gia' prima
del d.lgs. n. 7 del 2016 i due illeciti erano, del resto, strutturati
in modo differenziato: il danneggiamento di immobili altrui era,
infatti, punibile a querela, mentre il deturpamento e l'imbrattamento
di essi erano perseguibili d'ufficio; tanto l'art. 635, quanto l'art.
639 cod. pen. contemplavano, inoltre, fattispecie "semplici" e
ipotesi di condotta piu' gravi, per le quali era comminata una pena
piu' severa: queste ultime non erano, tuttavia, speculari, ma
congegnate in modo diverso per ciascun illecito.
In ogni caso, poi, la questione poggerebbe su un presupposto
interpretativo errato, non avendo il rimettente affatto considerato
la previsione del secondo comma del vigente art. 635 cod. pen., a
mente della quale - indipendentemente dalle modalita' della condotta
- conserva rilevanza penale il danneggiamento di tutto un complesso
di cose altrui. L'errata ricostruzione del quadro normativo
renderebbe incongrua la pronuncia richiesta alla Corte, rispetto alla
stessa prospettazione del giudice a quo. L'ipotetico accoglimento
della questione comporterebbe, infatti, la depenalizzazione di tutte
le condotte di deturpamento e imbrattamento "semplice", anche se
relative alle cose indicate dal secondo comma dell'art. 635 cod.
pen.: esito, questo, irragionevole proprio nell'ottica
dell'equiparazione sanzionatoria propugnata dal rimettente.
1.6.- Anche il Presidente del Consiglio dei ministri ha
depositato una memoria, insistendo affinche' la questione sia
dichiarata non fondata.
L'Avvocatura generale dello Stato rimarca, del pari, la non
comparabilita' delle due fattispecie in discussione, a fronte
dell'eterogeneita' degli interessi da esse rispettivamente protetti:
la salvaguardia dell'estetica e della nettezza delle cose altrui,
nell'ipotesi del deturpamento e dell'imbrattamento; il generico
interesse all'inviolabilita' del patrimonio, nel caso del
danneggiamento.
2.- Con ordinanza del 1° febbraio 2017 (r.o. n. 85 del 2017), il
Tribunale ordinario di Aosta ha sollevato, in riferimento all'art. 3
Cost., questione di legittimita' costituzionale dell'art. 639, primo
comma, cod. pen., nella parte in cui stabilisce che chiunque, fuori
dai casi previsti dall'art. 635 del medesimo codice, deturpa o
imbratta cose mobili altrui, e' punito, a querela della persona
offesa, con la multa fino a euro 103, anziche' con la sanzione
pecuniaria civile da euro cento a euro ottomila.
2.1.- Il giudice a quo riferisce di essere investito, quale
giudice di appello, del processo penale nei confronti di due persone,
imputate dei reati di ingiuria e di deturpamento e imbrattamento di
cose altrui, per avere, in concorso tra loro, imbrattato una
autovettura e offeso l'onore e il decoro del suo proprietario, con
atti a carattere dispregiativo. Secondo l'ipotesi accusatoria, gli
imputati avrebbero sputato ripetutamente sul parabrezza
dell'autovettura della persona offesa, lasciando evidenti segni di
saliva lungo il vetro, appeso al tergicristallo del lunotto
posteriore un assorbente igienico usato e imbrattato di sostanza
rossa - presumibilmente sangue - le maniglie delle portiere anteriori
e il vetro della portiera anteriore destra. Fatti, questi, commessi
il 27 settembre 2009.
Con sentenza del 29 aprile 2016, il Giudice di pace di Aosta
aveva assolto gli imputati dal delitto di ingiuria, non essendo il
fatto piu' previsto come reato a seguito della depenalizzazione di
tale figura criminosa disposta dal d.lgs. n. 7 del 2016, mentre li
aveva condannati alla pena di euro 103 di multa ciascuno - oltre al
pagamento di una provvisionale in favore della persona offesa,
costituitasi parte civile - in relazione al reato di cui all'art.
639, primo comma, cod. pen.
Avverso la sentenza avevano proposto appello gli imputati,
lamentando che il primo giudice avesse pronunciato condanna per un
delitto perseguibile a querela - quale quello previsto dalla norma
censurata - pur in difetto di tale condizione di procedibilita', che
avesse erroneamente valutato le prove assunte e che avesse liquidato
una provvisionale di importo eccessivo.
Cio' premesso, il rimettente osserva come la questione debba
ritenersi rilevante, giacche', ove la disposizione denunciata non
fosse dichiarata illegittima nei termini richiesti, esso giudice a
quo «potrebbe essere tenuto a confermare la sentenza di primo grado»,
proprio in relazione al reato della cui legittimita' costituzionale
egli dubita.
Quanto, poi, alla non manifesta infondatezza, il rimettente
rileva come, prima delle modifiche introdotte dal d.lgs. n. 7 del
2016, la tutela della proprieta', sotto il particolare aspetto della
salvaguardia dell'integrita' delle cose rispetto alle aggressioni
provenienti da terzi, fosse affidata intieramente allo «strumento
penale». In particolare, tale tutela era demandata alle previsioni
punitive degli artt. 635 e 639 cod. pen., le quali, anche a mezzo di
un «nutrito corredo di circostanze aggravanti», delineavano una
progressione della risposta sanzionatoria correlata alla crescente
gravita' delle offese.
Questo quadro e' stato profondamente innovato dal d.lgs. n. 7 del
2016, il cui art. 2, comma 1, lettera l), sostituendo l'art. 635 cod.
pen., ha circoscritto la rilevanza penale della condotta di chi
distrugge, disperde, deteriora o rende, in tutto o in parte,
inservibili cose mobili o immobili altrui ai soli casi in cui il
fatto sia commesso con determinate modalita' di azione (primo comma
del nuovo art. 635 cod. pen.) o su determinati beni (secondo comma
dello stesso art. 635 cod. pen.). In ogni altra ipotesi, le condotte
di danneggiamento soggiacciono, in forza degli artt. 3 e 4, comma 1,
lettera c), del d.lgs. n. 7 del 2016, alla sanzione pecuniaria civile
da euro cento a euro ottomila.
Per converso, l'art. 639 cod. pen. - non inciso dalla novella -
continua a punire, al primo comma, con la multa fino a euro 103 chi,
fuori dei casi previsti dall'art. 635 cod. pen., deturpa o imbratta
cose mobili altrui, mentre al secondo commina tuttora una pena piu'
severa (reclusione da uno a sei mesi o multa da euro trecento a euro
mille) per chi deturpa o imbratta beni immobili o mezzi di trasporto
pubblici o privati.
Ad avviso del giudice a quo, in un simile contesto, la perdurante
rilevanza penale delle condotte indicate nel primo comma dell'art.
639 cod. pen. risulterebbe incompatibile con l'art. 3 Cost.
Alla luce della clausola di riserva presente nella norma
censurata e delle indicazioni della giurisprudenza di legittimita',
il reato di deturpamento e imbrattamento di cose altrui si connota,
infatti, come sussidiario rispetto a quello di danneggiamento,
punendo aggressioni di minore intensita' al medesimo bene giuridico.
Sarebbe, percio', manifestamente irragionevole che le condotte di
deturpamento e imbrattamento continuino a costituire reato, quando
invece quelle di danneggiamento - che recano un'offesa piu' grave al
patrimonio - integrano un semplice illecito civile, punito con
sanzioni di carattere pecuniario e, dunque, in modo piu' lieve.
La norma censurata dovrebbe essere ritenuta, dunque,
costituzionalmente illegittima nella parte in cui punisce il
deturpamento o l'imbrattamento di cose mobili altrui con la multa
fino a euro 103, anziche' con la sanzione pecuniaria civile da euro
cento a euro ottomila, prevista dall'art. 4, comma 1, lettera c), del
d.lgs. n. 7 del 2016 per i fatti di danneggiamento non costituenti
reato ai sensi degli artt. 635, 635-bis, 635-ter, 635-quater e
635-quinquies cod. pen.
2.2.- E' intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri,
rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato,
chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o infondata.
Ad avviso dell'interveniente, la questione sarebbe inammissibile
per difetto di adeguata motivazione sulla rilevanza. Nell'ordinanza
di rimessione, lo stesso giudice a quo ha, infatti, riferito che gli
imputati avevano denunciato, come motivo di appello, il difetto di
querela: doglianza sulla quale il Tribunale rimettente nulla ha
osservato, malgrado il suo carattere assorbente. Discutendosi,
infatti, di reato procedibile a querela della persona offesa, ove
questa fosse effettivamente mancata, sarebbe divenuto operante
l'obbligo di immediata declaratoria della connessa causa di non
punibilita', ai sensi dell'art. 129, comma 1, cod. proc. pen.:
obbligo che - secondo quanto chiarito dalla giurisprudenza di
legittimita' - impedirebbe la proposizione di una questione di
legittimita' costituzionale, ancorche' finalizzata a conseguire un
epilogo assolutorio piu' vantaggioso.
Nel merito, la questione risulterebbe, comunque sia, infondata.
Alla Corte e', infatti, precluso il sindacato sulla scelta delle
sanzioni da parte del legislatore, trattandosi di scelta basata su
apprezzamenti discrezionali correlati alle specifiche caratteristiche
degli illeciti considerati e sulla ponderazione complessiva degli
interessi coinvolti, salvo il caso in cui la norma sottoposta a
scrutinio contrasti in modo manifesto con il canone della
ragionevolezza, comportando ingiustificabili sperequazioni di
trattamento fra fattispecie omogenee: ipotesi non ravvisabile nella
specie.
Le due fattispecie poste a raffronto dal giudice a quo non
sarebbero, in effetti, «perfettamente omogenee», essendo connotate -
come osserva lo stesso rimettente - da una «progressiva
offensivita'». L'art. 635 cod. pen., quale disposizione principale,
reprime infatti «condotte violente o plateali» che incidono sulla
cosa altrui, diminuendone il valore in modo apprezzabile o
impedendone l'uso; mentre l'art. 639 cod. pen., quale disposizione
sussidiaria, preserva il bene giuridico da offese di minore
intensita', come l'alterazione temporanea o superficiale della cosa.
Cio' posto, la scelta del legislatore di prevedere un trattamento
sanzionatorio piu' severo per i fatti di deturpamento e imbrattamento
di cose mobili sarebbe ragionevole, trattandosi di condotte
«caratterizzate da iattanza e spregio [...], che suscitano un
giudizio di grave riprovazione ed un corrispondente allarme sociale».
La disposizione censurata costituirebbe, quindi, frutto di una
legittima opzione di politica criminale, volta a inasprire la
risposta repressiva nei confronti di fenomeni di illegalita' diffusa
e di atti di vandalismo motivati da mero capriccio.
Considerato in diritto
1.- Il Tribunale ordinario di Milano dubita della legittimita'
costituzionale dell'art. 639, secondo comma, del codice penale, nella
parte in cui prevede che per il deturpamento o l'imbrattamento di
beni immobili o di mezzi di trasporto pubblici o privati si applica -
anche quando il fatto non e' commesso con violenza alla persona o con
minaccia, ne' in occasione di manifestazioni che si svolgono in luogo
pubblico o aperto al pubblico o del delitto previsto dall'art. 331
cod. pen. - la pena della reclusione da uno a sei mesi o della multa
da euro trecento a euro mille, anziche' la sanzione pecuniaria civile
da euro cento a euro ottomila.
Ad avviso del rimettente, la norma censurata violerebbe l'art. 3
della Costituzione, sottoponendo le condotte considerate a una
sanzione piu' severa di quella prevista dall'art. 4, comma 1, lettera
c), del decreto legislativo 15 gennaio 2016, n. 7 (Disposizioni in
materia di abrogazione di reati e introduzione di illeciti con
sanzioni pecuniarie civili, a norma dell'articolo 2, comma 3, della
legge 28 aprile 2014, n. 67) nei confronti di chi - sempre in assenza
di violenza alla persona o minaccia e al di fuori di manifestazioni
pubbliche o della commissione del delitto di cui all'art. 331 cod.
pen. - distrugge, disperde, deteriora o rende, in tutto o in parte,
inservibili cose mobili o immobili altrui: condotte, queste, che
pregiudicano in modo maggiormente significativo il medesimo bene
giuridico, con conseguente manifesta irragionevolezza della
sperequazione sanzionatoria denunciata.
2.- Il Tribunale ordinario di Aosta solleva, a sua volta,
questione di legittimita' costituzionale dell'art. 639, primo comma,
cod. pen., nella parte in cui prevede che chiunque, fuori dai casi
previsti dall'art. 635 del medesimo codice, deturpa o imbratta cose
mobili altrui e' punito, a querela della persona offesa, con la multa
fino a euro 103, anziche' con la sanzione pecuniaria civile da euro
cento a euro ottomila.
Il giudice a quo denuncia, del pari, la violazione dell'art. 3
Cost., reputando manifestamente irragionevole che le condotte dianzi
indicate siano trattate in modo deteriore rispetto a condotte che
recano un'offesa piu' intensa allo stesso bene giuridico, quali
quelle di chi - fuori dalle ipotesi previste dagli artt. 635,
635-bis, 635-ter, 635-quater e 635-quinquies cod. pen. - distrugge,
disperde, deteriora o rende, in tutto o in parte, inservibili cose
mobili o immobili altrui: fatti, questi ultimi, che l'art. 4, comma
1, lettera c), del d.lgs. n. 7 del 2016 assoggetta a una mera
sanzione pecuniaria civile.
3.- Le due ordinanze di rimessione sollevano questioni
strutturalmente analoghe, relative al regime sanzionatorio dei fatti
di deturpamento e imbrattamento di cose altrui delineato da due
distinti commi del medesimo articolo del codice penale. I relativi
giudizi vanno quindi riuniti per essere definiti con un'unica
decisione.
4.- Cio' posto, la questione sollevata dal Tribunale ordinario di
Milano e' inammissibile.
4.1.- Il Tribunale ambrosiano lamenta, nella sostanza, che la
fattispecie del deturpamento e imbrattamento di beni immobili e di
mezzi di trasporto, pubblici o privati, prevista dal (primo periodo
del) secondo comma dell'art. 639 cod. pen. (quale risultante per
effetto delle modifiche operate dall'art. 3, comma 3, lettera b,
della legge 15 luglio 2009, n. 94, recante «Disposizioni in materia
di sicurezza pubblica»), non abbia formato oggetto di un intervento
di parziale depenalizzazione - o, per meglio dire, di parziale
degradazione in "illecito punitivo civile" - omologo a quello attuato
dal d.lgs. n. 7 del 2016 sulla fattispecie, finitima e piu' grave,
del danneggiamento (art. 635 cod. pen.).
L'intervento cui fa riferimento il rimettente si colloca
nell'ambito del complesso di misure intese a deflazionare il sistema
penale, adottate in attuazione delle deleghe legislative conferite
dalla legge 28 aprile 2014, n. 67 (Deleghe al Governo in materia di
pene detentive non carcerarie e di riforma del sistema sanzionatorio.
Disposizioni in materia di sospensione del procedimento con messa
alla prova e nei confronti degli irreperibili). Per il conseguimento
dell'obiettivo si e' fatto ricorso, nell'occasione, a due distinti
strumenti. Il primo e' quello - tradizionale - della
depenalizzazione, cioe' della trasformazione di un insieme di reati
in illeciti amministrativi: operazione compiuta, in specie, con il
decreto legislativo 15 gennaio 2016, n. 8 (Disposizioni in materia di
depenalizzazione, a norma dell'articolo 2, comma 2, della legge 28
aprile 2014, n. 67). Il secondo strumento - del tutto innovativo - e'
invece quello dell'abrogazione di alcuni reati, con contemporanea
sottoposizione dei corrispondenti fatti a sanzioni pecuniarie civili
a carattere punitivo, che si aggiungono all'obbligo delle
restituzioni e del risarcimento del danno secondo le leggi civili.
Tra le figure criminose interessate (peraltro, in modo parziale)
da questo secondo intervento - operato dal d.lgs. n. 7 del 2016 -
figura anche il delitto di danneggiamento, previsto dall'art. 635
cod. pen.
Il giudice a quo muove, a tal riguardo, dall'assunto che l'art.
2, comma 1, lettera l), del d.lgs. n. 7 del 2016, riscrivendo la
norma incriminatrice ora citata, avrebbe limitato la rilevanza penale
del danneggiamento di cose mobili o immobili altrui ai soli casi in
cui il fatto sia commesso con violenza alla persona o con minaccia,
ovvero in occasione di manifestazioni che si svolgono in luogo
pubblico o aperto al pubblico, o del delitto previsto dall'art. 331
cod. pen. In assenza di tali condizioni, le condotte di
danneggiamento resterebbero soggette - secondo il rimettente - a una
semplice sanzione pecuniaria civile. Cio', in virtu' di quanto
disposto dall'art. 4, comma 1, lettera c), del medesimo decreto
legislativo, secondo il quale soggiace alla sanzione pecuniaria
civile da euro cento a euro ottomila chi - con dolo (art. 3, comma 1,
del d.lgs. n. 7 del 2016) - «distrugge, disperde, deteriora o rende,
in tutto o in parte, inservibili cose mobili o immobili altrui, al di
fuori dei casi di cui agli articoli 635, 635-bis, 635-ter, 635-quater
e 635-quinquies del codice penale».
Sulla base di tale premessa, il giudice a quo reputa quindi
palesemente irragionevole che l'art. 639, secondo comma, cod. pen. -
lasciato immutato dalla novella - continui a configurare come
delitto, punito con la reclusione da uno a sei mesi o con la multa da
euro trecento a euro mille, il deturpamento o imbrattamento di beni
immobili o di mezzi di trasporto, pubblici o privati, ancorche'
realizzato senza violenza alla persona o minaccia e in assenza delle
altre condizioni precedentemente indicate.
Alla luce della clausola di riserva che figura nell'incipit
dell'art. 639 cod. pen. («fuori dei casi preveduti dall'articolo
635»), la fattispecie del deturpamento e imbrattamento si
connoterebbe, infatti, come sussidiaria rispetto a quella del
danneggiamento, collocandosi in uno stadio anteriore lungo la linea
di progressione dell'offesa del medesimo bene giuridico. Secondo un
consolidato indirizzo della giurisprudenza di legittimita', il reato
di danneggiamento si distingue, in effetti, da quello di deturpamento
o imbrattamento perche', mentre il primo produce una modificazione
della cosa altrui, che ne diminuisce in modo apprezzabile il valore o
ne impedisce anche parzialmente l'uso, rendendo cosi' necessario un
intervento ripristinatorio dell'essenza e della funzionalita' della
cosa stessa, il secondo determina solo un'alterazione temporanea e
superficiale della res, il cui aspetto originario, quale che sia la
spesa da affrontare, resta, comunque sia, facilmente reintegrabile
(ex plurimis, tra le ultime, Corte di cassazione, sezione seconda
penale, sentenza 3 febbraio-3 marzo 2016, n. 8826; sezione quinta
penale, sentenza 21 maggio-19 settembre 2014, n. 38574). Sarebbe, di
conseguenza, apertamente contrario al canone della ragionevolezza che
le condotte di deturpamento e imbrattamento restino represse con
sanzioni penali, quando i corrispondenti fatti di danneggiamento -
latori di un'offesa piu' grave - vengono sanzionati solo sul piano
civile.
Di qui la richiesta, rivolta a questa Corte, di una pronuncia
sostitutiva, che surroghi le sanzioni penali previste dalla norma
censurata - quante volte si discuta di fatto commesso senza violenza
alla persona o minaccia e in difetto delle altre condizioni a queste
assimilate - con la sanzione pecuniaria civile prevista per il
danneggiamento non costituente reato.
4.2.- L'assunto "di partenza" del rimettente - riguardo
all'attuale perimetro di rilevanza penale del danneggiamento - si
rivela, tuttavia, inesatto, in quanto frutto di una lettura
incompleta del nuovo testo dell'art. 635 cod. pen.
In ossequio alle indicazioni della legge di delegazione (art. 2,
comma 3, lettera a, numero 5, della legge n. 67 del 2014), il d.lgs.
n. 7 del 2016 ha, infatti, espunto dal novero dei fatti penalmente
significativi solo quelli che integravano il vecchio delitto di
danneggiamento semplice, previsto dal primo comma del previgente art.
635 cod. pen., trasformando correlativamente le pregresse ipotesi di
danneggiamento aggravato, delineate dal secondo comma, in fattispecie
autonome di reato.
In questo contesto, il danneggiamento continua, quindi, a
costituire illecito penale - punito con pena piu' severa di quella
prevista dalla norma censurata (reclusione da sei mesi a tre anni) -
non solo se commesso con le modalita' di azione alle quali fa
riferimento il rimettente (primo comma del nuovo art. 635 cod. pen.,
corrispondente ai numeri 1 e 2 del secondo comma della norma
anteriore), ma anche, e comunque sia, se avente ad oggetto tutta una
serie di beni, analiticamente elencati (secondo comma del nuovo art.
635 cod. pen., corrispondente ai numeri 3, 4, 5 e 5-bis del secondo
comma della norma sostituita).
Agli odierni fini, viene in particolare rilievo la previsione del
numero 1) del secondo comma del vigente art. 635 cod. pen., che
assoggetta alla pena dianzi indicata chi - indipendentemente dalle
condizioni previste dal primo comma - distrugge, disperde, deteriora
o rende, in tutto o in parte, inservibili «edifici pubblici o
destinati a uso pubblico o all'esercizio di un culto o cose di
interesse storico o artistico ovunque siano ubicate o immobili
compresi nel perimetro dei centri storici, ovvero immobili i cui
lavori di costruzione, di ristrutturazione, di recupero o di
risanamento sono in corso o risultano ultimati o altre delle cose
indicate nel numero 7) dell'articolo 625».
Il richiamato numero 7) dell'art. 625 cod. pen. prevede, a sua
volta, una circostanza aggravante speciale del delitto di furto ove
il fatto sia commesso (oltre che «su cose esistenti in uffici o
stabilimenti pubblici, o sottoposte a sequestro o a pignoramento») su
cose «esposte per necessita' o per consuetudine o per destinazione
alla pubblica fede, o destinate a pubblico servizio o a pubblica
utilita', difesa o reverenza». Secondo l'orientamento
giurisprudenziale predominante, tale disposizione deve ritenersi
riferibile - anche per quanto attiene al genus delle cose «esposte
per necessita' o per consuetudine o per destinazione alla pubblica
fede» - non soltanto ai beni mobili, ma anche ai beni immobili. Ai
fini dell'applicazione della norma, infatti, deve aversi riguardo
alla qualita', alla destinazione e alla condizione delle cose, e non
anche alla natura (mobiliare od immobiliare) delle stesse, che rileva
unicamente al fine della realizzazione del delitto di furto
(ovviamente ipotizzabile soltanto per i beni mobili), ma non anche in
rapporto al danneggiamento (per tutte, tra le molte, Corte di
cassazione, sezione seconda penale, sentenza 17 novembre-1° dicembre
2016, n. 51294; sezione seconda penale, sentenza 12 maggio-5 giugno
2009, n. 23550; sezione seconda penale, sentenza 20 novembre 2003-27
gennaio 2004, n. 2889).
Vi e', dunque, in conclusione, un'ampia gamma di ipotesi nelle
quali il danneggiamento di beni immobili o di mezzi di trasporto
pubblici o privati - vale a dire dei beni il cui deturpamento o
imbrattamento e' penalmente represso dal denunciato art. 639, secondo
comma, cod. pen. - continua a costituire illecito penale (piu'
severamente punito), anche se realizzato senza violenza alla persona
o minaccia o condizioni consimili.
4.3.- A fronte di cio', il petitum del rimettente viene a
risultare, quindi, incoerente con il postulato fondante il dubbio di
legittimita' costituzionale, giusto il quale sarebbe manifestamente
irragionevole prevedere sanzioni penali per il deturpamento e
l'imbrattamento di cose altrui in situazioni nelle quali il
danneggiamento delle medesime cose e' soggetto a una mera sanzione
pecuniaria civile. In questa prospettiva, infatti, l'invocata
declaratoria di illegittimita' costituzionale dovrebbe essere
limitata ai casi in cui il deturpamento o l'imbrattamento di immobili
o di mezzi di trasporto avvenga, non solo in assenza delle modalita'
di azione indicate nel primo comma del nuovo art. 635 cod. pen., ma
altresi' su beni diversi da quelli elencati dal secondo comma.
La rilevanza nel giudizio a quo di una simile questione resta,
peraltro, tutta da dimostrare.
Di certo, la questione non sarebbe rilevante in rapporto ai fatti
oggetto del secondo dei due capi di imputazione che il rimettente
riferisce essere contestati all'imputato: vale a dire, con riguardo
all'imbrattamento mediante vernice di tre vetture ferroviarie che si
trovavano collocate in stazioni, scali ferroviari o depositi. Tali
vetture sono, infatti, beni destinati a pubblico servizio o a
pubblica utilita', e per di piu' esposti per necessita' e
consuetudine alla pubblica fede. Di conseguenza, il loro
danneggiamento conserva senz'altro rilievo penale.
Con riguardo ai fatti oggetto del primo capo di imputazione -
l'imbrattamento di nove immobili ubicati in varie zone del Comune di
Milano - occorrerebbe appurare, affinche' la questione possa
ritenersi rilevante, che i beni imbrattati non ricadano in alcuna tra
le numerose categorie di immobili il cui danneggiamento resta
anch'esso tuttora sanzionato penalmente dall'art. 635, secondo comma,
numero 1), cod. pen.: in particolare, che si tratti di immobili non
compresi nel perimetro dei centri storici, non pubblici o destinati
ad uso pubblico o all'esercizio di un culto, ne' oggetto di lavori di
costruzione, ristrutturazione, recupero o risanamento in corso o
ultimati, e neppure di immobili esposti alla pubblica fede (almeno
quanto alle parti imbrattate). Tali circostanze non emergono,
peraltro, dall'ordinanza di rimessione, la quale non reca indicazioni
di sorta al riguardo (anzi, rispetto all'immobile di proprieta' del
Comune di Milano, risulta il contrario, discutendosi di edificio
pubblico).
4.4.- La questione va dichiarata, dunque, inammissibile per
erronea e incompleta ricostruzione del quadro normativo di
riferimento da parte del giudice rimettente, alla quale si connette
l'inadeguatezza della motivazione sulla rilevanza.
Le ulteriori eccezioni di inammissibilita' formulate dalla parte
costituita Trenitalia spa - relative all'asserita insindacabilita',
da parte di questa Corte, della scelta sanzionatoria operata nel
frangente dal legislatore, in quanto non manifestamente irragionevole
(eccezione che attiene, peraltro, piu' propriamente al merito della
questione), nonche' al carattere, in assunto, "creativo"
dell'intervento richiesto dal giudice a quo - restano assorbite.
5.- Una ragione di inammissibilita' similare e' riscontrabile
anche in rapporto alla questione sollevata dal Tribunale ordinario di
Aosta, che investe la previsione punitiva del primo comma dell'art.
639 cod. pen., relativa al deturpamento o imbrattamento di beni
mobili (per il quale e' prevista la multa fino a 103 euro).
5.1.- Nell'illustrare la nuova configurazione assunta dal delitto
del danneggiamento a seguito del d.lgs. n. 7 del 2016, il giudice a
quo ha, in verita', correttamente richiamato tanto la previsione del
primo comma, quanto quella del secondo comma del novellato art. 635
cod. pen. E, pero', non ne ha tratto le dovute conseguenze al momento
di formulare la propria richiesta.
In questo caso, l'incoerenza "per eccesso" del petitum rispetto
al postulato che fonda la doglianza (per cui sarebbe manifestamente
irragionevole che il deturpamento e l'imbrattamento costituiscano
reato, quando invece il danneggiamento soggiace solo a una sanzione
civile) risulta persino piu' marcata. Il rimettente ha, infatti,
chiesto a questa Corte di trasformare sic et simpliciter il reato di
cui all'art. 639, primo comma, cod. pen. in "illecito punitivo
civile", senza alcun riferimento limitativo ne' alle modalita' della
condotta, ne' all'oggetto materiale della stessa: laddove, per
converso, appare evidente - per quanto in precedenza osservato - che,
in base a quella premessa, la pronuncia sostitutiva dovrebbe essere
circoscritta ai soli fatti di deturpamento o imbrattamento commessi
con modalita' o su cose diverse da quelle indicate nei primi due
commi dell'art. 635 cod. pen.
Neppure il Tribunale ordinario di Aosta ha, d'altro canto,
offerto gli elementi per verificare se la ipotetica declaratoria di
illegittimita' costituzionale, "ritagliata" in termini logicamente
coerenti con il suo postulato fondante, risulti effettivamente
rilevante nel processo principale. Il giudice a quo non precisa, in
specie, se il fatto di imbrattamento per cui si procede sia stato
commesso senza violenza alla persona o minaccia o condizioni
assimilate, ne' - soprattutto - se il bene imbrattato esuli dalla
platea di quelli enumerati dal secondo comma dell'art. 635 cod. pen.
Nel giudizio principale si discute, in effetti,
dell'imbrattamento di un'autovettura e tra le ipotesi nelle quali il
danneggiamento conserva rilevanza penale rientra, come gia'
ricordato, quella del danneggiamento commesso su cose esposte, per
necessita', per consuetudine o per destinazione, alla pubblica fede
(art. 635, secondo comma, numero 1, in riferimento all'art. 625,
primo comma, numero 7, cod. pen.). Secondo un consolidato indirizzo
della giurisprudenza di legittimita', le autovetture debbono
considerarsi cose esposte alla pubblica fede allorche' siano
parcheggiate sulla pubblica via, o anche in luogo privato, ma aperto
al pubblico o, comunque sia, facilmente accessibile da chiunque (ex
plurimis, Corte di cassazione, sezione quinta penale, sentenza 6
dicembre 2016-8 maggio 2017, n. 22194; sezione quarta penale,
sentenza 7-29 dicembre 2016, n. 55227). Cio', in linea con la ratio
legis, consistente nella volonta' di reprimere con maggior rigore la
lesione dell'affidamento che il proprietario o possessore si trova
costretto a riporre nel rispetto da parte dei consociati delle cose
lasciate costantemente, o per un certo tempo, senza custodia (Corte
di cassazione, sezione seconda penale, 3 febbraio-3 marzo 2016, n.
8826; sezione seconda penale, 9 dicembre 2008-9 gennaio 2009, n.
561). Dunque, il danneggiamento di autovetture parcheggiate nei modi
dianzi indicati costituisce tuttora reato (in questo senso, Corte di
cassazione, sezione settima penale, ordinanza 14 novembre 2017-25
gennaio 2018, n. 3592).
Ne deriva che, nel caso di specie, la questione - correttamente
circoscritta - risulterebbe rilevante solo qualora, all'atto
dell'imbrattamento, l'autovettura della persona offesa non fosse
parcheggiata nella pubblica via, ovvero in luogo privato aperto al
pubblico o, comunque sia, agevolmente accessibile: circostanza che,
peraltro, non consta dall'ordinanza di rimessione, la quale non
fornisce alcuna indicazione riguardo al luogo in cui l'autovettura
imbrattata si trovava al momento del fatto.
5.2.- In confronto alla questione in esame, l'insufficienza della
motivazione sulla rilevanza sussiste, peraltro, anche sotto un
ulteriore e distinto profilo.
L'autovettura e', infatti, un bene riconducibile, per sua natura,
al genus dei «mezzi di trasporto pubblici o privati», il cui
deturpamento o imbrattamento e' punito (unitamente a quello dei beni
immobili), non gia' dal censurato primo comma dell'art. 639 cod.
pen., ma (e in modo piu' rigoroso) dal primo periodo del secondo
comma dello stesso articolo. Tale previsione punitiva - gia' vigente
alla data di commissione del fatto per cui si procede nel giudizio a
quo (27 settembre 2009), essendo stata introdotta dalla legge n. 94
del 2009 (entrata in vigore l'8 agosto 2009) - prevale evidentemente,
in parte qua, in quanto maggiormente specifica, su quella del primo
comma, riferita alla generalita' dei beni mobili.
Il Tribunale rimettente - chiamato a occuparsi della vicenda
quale giudice di appello avverso una sentenza del giudice di pace che
aveva condannato gli imputati per il reato di cui al primo comma
dell'art. 639 cod. pen. - non ha, tuttavia, indicato le ragioni per
quali non abbia ritenuto di dover riqualificare giuridicamente il
fatto, inquadrandolo sotto una previsione punitiva diversa da quella
censurata e primo visu piu' pertinente: operazione la cui ovvia
conseguenza sarebbe quella di rendere irrilevante (sotto il profilo
dell'aberratio ictus) la questione sottoposta all'esame di questa
Corte.
5.3.- Anche la questione sollevata dal Tribunale ordinario di
Aosta va dichiarata, dunque, inammissibile.
L'ulteriore eccezione di inammissibilita' formulata dal
Presidente del Consiglio dei ministri - legata all'omessa motivazione
del giudice a quo in ordine al motivo di appello degli imputati
inteso a denunciare il difetto di querela - rimane assorbita.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
1) dichiara inammissibile la questione di legittimita'
costituzionale dell'art. 639, secondo comma, del codice penale,
sollevata, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, dal
Tribunale ordinario di Milano con l'ordinanza indicata in epigrafe;
2) dichiara inammissibile la questione di legittimita'
costituzionale dell'art. 639, primo comma, cod. pen., sollevata, in
riferimento all'art. 3 Cost., dal Tribunale ordinario di Aosta con
l'ordinanza indicata in epigrafe.
Cosi' deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 21 marzo 2018.
F.to:
Giorgio LATTANZI, Presidente
Franco MODUGNO, Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 17 maggio 2018.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: Roberto MILANA
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