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giovedì 24 maggio 2018

N. 102 SENTENZA 21 marzo - 17 maggio 2018 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. Reati e pene - Deturpamento e imbrattamento di beni immobili o mezzi di trasporto pubblici o privati fuori dei casi di cui all'art. 635 cod. pen. - Trattamento sanzionatorio. - Codice penale art. 639, primo e secondo comma. - (GU n.21 del 23-5-2018 )



N. 102 SENTENZA 21 marzo - 17 maggio 2018
Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.

Reati e pene - Deturpamento e imbrattamento di beni immobili o  mezzi
  di trasporto pubblici o privati fuori dei casi di cui all'art.  635
  cod. pen. - Trattamento sanzionatorio.
- Codice penale art. 639, primo e secondo comma.

(GU n.21 del 23-5-2018 )
 

                       LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:
Presidente:Giorgio LATTANZI;
Giudici  :Aldo  CAROSI,  Marta  CARTABIA,  Mario   Rosario   MORELLI,
  Giancarlo CORAGGIO,  Giuliano  AMATO,  Silvana  SCIARRA,  Daria  de
  PRETIS,   Franco   MODUGNO,   Augusto   Antonio   BARBERA,   Giulio
  PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANO',
     
    ha pronunciato la seguente

                              SENTENZA

    nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 639, primo e
secondo comma, del codice penale, promossi dai Tribunali ordinari  di
Milano e di Aosta, con ordinanze del 26 aprile 2016 e del 1° febbraio
2017, iscritte rispettivamente al n. 120 del registro ordinanze  2016
e al n. 85 del registro ordinanze 2017 e  pubblicate  nella  Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 25,  prima  serie  speciale,  dell'anno
2016, e n. 24, prima serie speciale, dell'anno 2017.
    Visti l'atto di costituzione di Trenitalia spa, nonche' gli  atti
di intervento del Comune di Milano e del Presidente del Consiglio dei
ministri;
    udito nell'udienza pubblica  del  20  marzo  e  nella  camera  di
consiglio del 21 marzo 2018 il Giudice relatore Franco Modugno;
    uditi gli avvocati Giulio Enea Vigevani per Trenitalia spa, Maria
Rosa Sala per il Comune di Milano e l'avvocato dello Stato  Gabriella
Palmieri per il Presidente del Consiglio dei ministri.

                          Ritenuto in fatto

    1.- Con ordinanza del 26 aprile 2016 (r.o. n. 120 del  2016),  il
Tribunale ordinario di Milano ha sollevato, in riferimento all'art. 3
della  Costituzione,   questione   di   legittimita'   costituzionale
dell'art. 639, secondo comma, del codice penale, nella parte  in  cui
prevede che per il deturpamento o l'imbrattamento di beni immobili  o
di mezzi di trasporto pubblici o privati si applica - anche quando il
fatto non e' commesso con violenza alla persona o con  minaccia,  ne'
in occasione di manifestazioni che si svolgono in  luogo  pubblico  o
aperto al pubblico o del delitto previsto dall'art. 331 cod.  pen.  -
la pena della reclusione da uno a sei mesi  o  della  multa  da  euro
trecento a euro mille, anziche' la sanzione pecuniaria civile da euro
cento a euro ottomila.
    1.1.- Il giudice a quo riferisce di essere investito del processo
penale nei confronti di una  persona  imputata:  a)  del  delitto  di
deturpamento e imbrattamento continuato di cose altrui  (artt.  81  e
639, secondo comma, cod. pen.), per aver  apposto,  con  vernice  non
biodegradabile, una scritta su nove immobili siti in varie zone della
citta'  di  Milano;  b)  del  delitto  di  danneggiamento   aggravato
continuato (artt. 81 e 635, commi  primo  e  secondo,  numero  3,  in
relazione all'art. 625, numero 7, cod. pen.),  per  aver  deteriorato
tre vetture ferroviarie apponendovi una scritta parimente indelebile,
con l'aggravante di aver  commesso  il  fatto  su  beni  esposti  per
necessita' e consuetudine alla pubblica fede  e  destinati,  comunque
sia, a pubblico servizio o a pubblica utilita'.
    Il rimettente rileva che la responsabilita' dell'imputato  per  i
fatti ascrittigli deve ritenersi provata,  all'esito  dell'istruzione
dibattimentale. Da questa sarebbe, peraltro, anche emerso che i fatti
sono stati commessi senza violenza alla persona o minaccia, fuori  da
manifestazioni pubbliche e senza dar luogo a interruzione di  servizi
pubblici o di pubblica necessita'.
    Cio' premesso, il giudice a quo reputa che il fatto  oggetto  del
secondo capo di imputazione, relativo all'apposizione  della  scritta
sulle vetture ferroviarie, debba essere riqualificato anch'esso  come
imbrattamento di  cose  altrui,  punibile  ai  sensi  dell'art.  639,
secondo comma, cod. pen. Pertanto, con riguardo a tutti i  fatti  per
cui si procede, il Tribunale rimettente sarebbe chiamato  a  irrogare
le sanzioni penali previste dalla disposizione censurata.
    Non potrebbe essere, infatti,  recepita  la  tesi  del  difensore
dell'imputato, secondo la quale la parziale abrogazione del reato  di
cui all'art. 635  cod.  pen.,  operata  dal  decreto  legislativo  15
gennaio 2016, n. 7 (Disposizioni in materia di abrogazione di reati e
introduzione di illeciti con  sanzioni  pecuniarie  civili,  a  norma
dell'articolo 2, comma 3, della legge 28 aprile 2014, n. 67), avrebbe
determinato l'abrogazione  tacita  della  figura  criminosa  prevista
dall'art. 639 cod. pen., in quanto speciale rispetto  alla  prima.  A
prescindere dal rilievo che tra le due  disposizioni  intercorrerebbe
un rapporto, non di specialita', ma di sussidiarieta'  espressa,  non
sussisterebbero, comunque sia, i presupposti del  ventilato  fenomeno
di  abrogazione  tacita,  ossia  l'incompatibilita'  tra   le   nuove
disposizioni e le precedenti o l'introduzione di una nuova legge  che
regoli l'intiera materia disciplinata dalla legge anteriore.
    Di qui, dunque, la rilevanza della questione.
    Quanto, poi,  alla  non  manifesta  infondatezza,  il  rimettente
osserva come l'art. 2, comma 1, lettera l), del d.lgs. n. 7 del 2016,
sostituendo  l'art.  635  cod.  pen.,  abbia  operato  una   parziale
depenalizzazione della fattispecie criminosa, finitima e piu'  grave,
del danneggiamento. A seguito  della  novella,  la  condotta  di  chi
distrugge,  disperde,  deteriora  o  rende,  in  tutto  o  in  parte,
inservibili cose mobili o immobili altrui manterrebbe  -  secondo  il
rimettente - rilievo penale  nei  soli  casi  in  cui  il  fatto  sia
commesso  «con  violenza  alla  persona  o  con  minaccia  ovvero  in
occasione di manifestazioni che  si  svolgono  in  luogo  pubblico  o
aperto al pubblico o del delitto previsto dall'articolo 331».
    Fuori da tali ipotesi, le condotte di danneggiamento resterebbero
soggette a una semplice sanzione pecuniaria civile. Infatti, l'art. 3
del  d.lgs.  n.  7  del  2016  stabilisce  che  «[i]  fatti  previsti
dall'articolo  seguente,  se  dolosi,  obbligano,  oltre   che   alle
restituzioni e al risarcimento del danno  secondo  le  leggi  civili,
anche al pagamento della sanzione pecuniaria civile ivi stabilita». A
propria volta, l'art. 4, comma 1, lettera c),  del  medesimo  decreto
legislativo sottopone alla sanzione pecuniaria civile da euro cento a
euro ottomila «chi distrugge, disperde, deteriora o rende, in tutto o
in parte, inservibili cose mobili o immobili altrui, al di fuori  dei
casi di  cui  agli  articoli  635,  635-bis,  635-ter,  635-quater  e
635-quinquies del codice penale».
    Di contro, il censurato art. 639,  secondo  comma,  cod.  pen.  -
rimasto invariato - continua a punire indistintamente chi  deturpa  o
imbratta beni immobili o mezzi di trasporto, pubblici o privati,  con
la pena della reclusione da uno a sei mesi  o  della  multa  da  euro
trecento a euro mille.
    Ad avviso del giudice a quo, un simile assetto  sanzionatorio  si
porrebbe in contrasto con l'art. 3 Cost.
    Come attesta la clausola di riserva con cui l'art. 639 cod.  pen.
esordisce («fuori dei casi preveduti dall'articolo 635»), il reato di
deturpamento e imbrattamento  ha  carattere  sussidiario  rispetto  a
quello di danneggiamento, punendo una forma di  offesa  meno  intensa
del medesimo bene giuridico. Il danneggiamento, infatti,  richiede  -
secondo le indicazioni della giurisprudenza  di  legittimita'  -  che
l'agente abbia diminuito in modo apprezzabile il  valore  della  cosa
altrui,  o  ne  abbia  impedito  l'uso,  mentre  il  deturpamento   o
imbrattamento si configura in presenza di una alterazione  temporanea
o superficiale della cosa, il cui  aspetto  originario  e',  comunque
sia, facilmente reintegrabile.
    Per effetto della riforma operata dal d.lgs. n. 7  del  2016,  si
sarebbe  quindi  prodotto  un  risultato  palesemente  irragionevole,
quanto ai fatti commessi senza  violenza  alla  persona  o  minaccia,
fuori da manifestazioni pubbliche e senza determinare un'interruzione
di servizio pubblico o di pubblica necessita'. Chi realizza la  forma
di offesa piu' intensa dell'interesse protetto - il danneggiamento  -
soggiace alla  sanzione  pecuniaria  civile  da  euro  cento  a  euro
ottomila; chi realizza  quella  meno  intensa  -  il  deturpamento  o
l'imbrattamento - e' invece punito con la reclusione  da  uno  a  sei
mesi o con la multa da euro trecento a euro mille, e dunque  in  modo
piu' severo.
    L'intervento attuabile, in  sede  di  sindacato  di  legittimita'
costituzionale,  onde  ripristinare  la  razionalita'  del   sistema,
sarebbe quello di sottoporre il  deturpamento  e  l'imbrattamento  di
beni immobili o di mezzi  di  trasporto,  pubblici  o  privati,  alla
sanzione pecuniaria  civile  attualmente  prevista  per  i  fatti  di
danneggiamento non costituenti reato. Rimarrebbe,  poi,  compito  del
giudice far emergere il diverso disvalore delle condotte in  sede  di
commisurazione in concreto della sanzione tra il minimo e il  massimo
edittale. Tale soluzione, se pure non conforme all'assetto  delineato
originariamente  dal  legislatore  -   caratterizzato   da   risposte
sanzionatorie "scaglionate" per i fatti in questione - consentirebbe,
comunque  sia,  di  rimuovere  l'attuale,  arbitraria   sperequazione
sanzionatoria,  senza  implicare  una  libera   rimodulazione   della
sanzione per la violazione meno  grave,  non  consentita  alla  Corte
costituzionale,   in   quanto   invasiva    della    discrezionalita'
legislativa. La Corte  potrebbe,  infatti,  «intervenire  secondo  lo
schema   delle   "rime   obbligate"»,   utilizzando   come    tertium
comparationis la previsione dell'art. 4, comma  1,  lettera  c),  del
d.lgs. n. 7 del 2016.
    1.2.- Si e' costituita Trenitalia spa, parte civile nel  giudizio
a quo, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o,  in
subordine, infondata.
    Secondo la parte  costituita,  la  mancata  depenalizzazione  del
reato di deturpamento e imbrattamento di cose altrui sarebbe  frutto,
non di mera  dimenticanza,  ma  di  consapevole  scelta  legislativa:
scelta che si sottrarrebbe al sindacato della  Corte  costituzionale,
costituendo esercizio non manifestamente irragionevole  o  arbitrario
dell'ampia   discrezionalita'   spettante   al   legislatore    nella
determinazione del trattamento sanzionatorio degli illeciti.
    Il d.lgs. n. 7 del 2016 si e' limitato, infatti, a  depenalizzare
il solo danneggiamento semplice, contemplato dal previgente art. 635,
primo comma, cod. pen. Resta invece punito con la reclusione  da  sei
mesi a tre  anni  non  soltanto  il  danneggiamento  attuato  con  le
modalita' cui fa riferimento  il  giudice  rimettente,  ma  anche  il
danneggiamento delle cose indicate dal secondo  comma  del  novellato
art. 635 cod. pen., tra cui - per effetto del richiamo all'art.  625,
primo comma, numero 7), cod. pen. - le cose esposte  per  necessita',
consuetudine  o  destinazione  alla  pubblica  fede,  o  destinate  a
servizio pubblico  o  a  pubblica  utilita',  come,  ad  esempio,  il
materiale ferroviario oggetto  dei  fatti  per  cui  si  procede  nel
giudizio a quo.
    Sarebbe, pertanto, ben comprensibile la mancata  depenalizzazione
della fattispecie del deturpamento o imbrattamento di cose altrui,  e
in particolare di beni immobili o  mezzi  di  trasporto:  fattispecie
che, se pure produttiva  di  una  lesione  meno  intensa  «a  livello
puramente  materiale»  di  quella  recata  dalle  condotte   represse
dall'art. 635 cod. pen., inciderebbe pero' su una pluralita' di  beni
giuridici,  facenti  capo  «non  solo  al   singolo   ma   all'intera
comunita'», quali l'igiene e  il  decoro  urbano.  Il  vigente  testo
dell'art. 639 cod. pen. e' frutto, infatti, della riscrittura operata
dall'art. 3 della legge  15  luglio  2009,  n.  94  (Disposizioni  in
materia di sicurezza pubblica), con lo specifico intento di inasprire
il trattamento sanzionatorio nei confronti di  atti  vandalici  assai
diffusi e idonei a determinare «gravi forme di degrado urbano», tra i
quali assume un ruolo di primo piano proprio  la  pratica  cosiddetta
del «writing».
    La questione sarebbe inammissibile - secondo Trenitalia  -  anche
in  ragione  del  carattere  «altamente  "creativo"»  dell'intervento
richiesto dal giudice a quo. Il rimettente non lamenta, infatti,  che
fattispecie omogenee siano trattate in modo diverso, ma che  condotte
meno gravi siano punite piu' severamente di condotte piu'  gravi.  In
questa  cornice,  la  Corte  costituzionale  non  avrebbe  punti   di
riferimento per ridefinire il «compasso edittale»  della  fattispecie
prevista dalla  norma  censurata,  la  quale,  in  base  alla  stessa
prospettiva  del  rimettente,  sarebbe  meritevole  di  una  sanzione
inferiore - e non gia' eguale - a quella del danneggiamento semplice.
    1.3.- E' intervenuto il Presidente del  Consiglio  dei  ministri,
rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura   generale   dello   Stato,
chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata.
    Secondo  la  difesa  dell'interveniente,  la  previsione  di  una
sanzione piu' severa per le condotte di deturpamento e imbrattamento,
nonostante  la  loro  minore  offensivita'  rispetto  a   quelle   di
danneggiamento, sarebbe  giustificata  dall'esigenza  di  contrastare
fenomeni di illegalita' diffusa che aggravano il degrado  dei  centri
urbani. Si tratterebbe, dunque, di una scelta di  politica  criminale
non manifestamente irragionevole e, come tale,  non  censurabile  per
violazione dell'art. 3 Cost.
    1.4.- E' intervenuto anche il Comune di Milano, il quale  ritiene
la questione  manifestamente  infondata,  in  quanto  basata  su  una
analisi  parziale,  e  percio'  inesatta,  del  quadro  normativo  di
riferimento. Nel denunciare  la  violazione  dell'art.  3  Cost.,  il
rimettente avrebbe tenuto conto, infatti, unicamente della previsione
del primo comma dell'art. 635 cod. pen., come sostituito  dal  d.lgs.
n. 7 del 2016, trascurando completamente quella  del  secondo  comma,
che punisce tuttora con la reclusione da sei mesi a tre  anni  chi  -
anche in assenza di violenza alla persona o minaccia  e  delle  altre
condizioni indicate nel primo comma - danneggia una  serie  di  beni,
tra i quali gli immobili  pubblici  o  destinati  a  uso  pubblico  o
all'esercizio di un culto, le cose di interesse storico  o  artistico
ovunque ubicate, gli  immobili  compresi  nel  perimetro  dei  centri
storici, gli immobili i cui lavori di costruzione,  ristrutturazione,
recupero o risanamento sono in corso o risultano ultimati, e le altre
cose indicate nel numero 7) del primo comma dell'art. 625 cod. pen.
    La sperequazione denunciata dal giudice  a  quo  si  rivelerebbe,
pertanto, insussistente. Le condotte che determinano  un'offesa  piu'
grave (danneggiamento dei  beni  ora  indicati)  risultano,  infatti,
sanzionate con pena piu' severa rispetto  a  quelle  che  causano  un
minore nocumento (deturpamento o imbrattamento di beni immobili o  di
mezzi di trasporto, pubblici o privati, nonche' di cose di  interesse
storico o artistico, puniti dall'art. 639, secondo comma, cod.  pen.,
rispettivamente, con la reclusione da uno a sei mesi o  la  multa  da
euro trecento a euro mille, e con la reclusione da tre mesi a un anno
e la multa da euro mille a euro tremila).
    1.5.- Trenitalia spa ha depositato una memoria, insistendo  nelle
conclusioni gia' formulate.
    Nell'atto difensivo,  si  pone  in  particolare  l'accento  sulla
disomogeneita' delle fattispecie poste a raffronto dal rimettente, in
quanto rispondenti «a finalita' di prevenzione diverse».  Gia'  prima
del d.lgs. n. 7 del 2016 i due illeciti erano, del resto, strutturati
in modo differenziato: il  danneggiamento  di  immobili  altrui  era,
infatti, punibile a querela, mentre il deturpamento e l'imbrattamento
di essi erano perseguibili d'ufficio; tanto l'art. 635, quanto l'art.
639  cod.  pen.  contemplavano,  inoltre,  fattispecie  "semplici"  e
ipotesi di condotta piu' gravi, per le quali era comminata  una  pena
piu'  severa:  queste  ultime  non  erano,  tuttavia,  speculari,  ma
congegnate in modo diverso per ciascun illecito.
    In ogni caso, poi, la  questione  poggerebbe  su  un  presupposto
interpretativo errato, non avendo il rimettente  affatto  considerato
la previsione del secondo comma del vigente art.  635  cod.  pen.,  a
mente della quale - indipendentemente dalle modalita' della  condotta
- conserva rilevanza penale il danneggiamento di tutto  un  complesso
di  cose  altrui.  L'errata  ricostruzione   del   quadro   normativo
renderebbe incongrua la pronuncia richiesta alla Corte, rispetto alla
stessa prospettazione del giudice  a  quo.  L'ipotetico  accoglimento
della questione comporterebbe, infatti, la depenalizzazione di  tutte
le condotte di deturpamento  e  imbrattamento  "semplice",  anche  se
relative alle cose indicate dal  secondo  comma  dell'art.  635  cod.
pen.:    esito,    questo,    irragionevole    proprio    nell'ottica
dell'equiparazione sanzionatoria propugnata dal rimettente.
    1.6.-  Anche  il  Presidente  del  Consiglio  dei   ministri   ha
depositato  una  memoria,  insistendo  affinche'  la  questione   sia
dichiarata non fondata.
    L'Avvocatura generale dello  Stato  rimarca,  del  pari,  la  non
comparabilita'  delle  due  fattispecie  in  discussione,  a   fronte
dell'eterogeneita' degli interessi da esse rispettivamente  protetti:
la salvaguardia dell'estetica e della  nettezza  delle  cose  altrui,
nell'ipotesi  del  deturpamento  e  dell'imbrattamento;  il  generico
interesse   all'inviolabilita'   del   patrimonio,   nel   caso   del
danneggiamento.
    2.- Con ordinanza del 1° febbraio 2017 (r.o. n. 85 del 2017),  il
Tribunale ordinario di Aosta ha sollevato, in riferimento all'art.  3
Cost., questione di legittimita' costituzionale dell'art. 639,  primo
comma, cod. pen., nella parte in cui stabilisce che  chiunque,  fuori
dai casi previsti  dall'art.  635  del  medesimo  codice,  deturpa  o
imbratta cose mobili altrui,  e'  punito,  a  querela  della  persona
offesa, con la multa fino  a  euro  103,  anziche'  con  la  sanzione
pecuniaria civile da euro cento a euro ottomila.
    2.1.- Il giudice a  quo  riferisce  di  essere  investito,  quale
giudice di appello, del processo penale nei confronti di due persone,
imputate dei reati di ingiuria e di deturpamento e  imbrattamento  di
cose  altrui,  per  avere,  in  concorso  tra  loro,  imbrattato  una
autovettura e offeso l'onore e il decoro del  suo  proprietario,  con
atti a carattere dispregiativo. Secondo  l'ipotesi  accusatoria,  gli
imputati   avrebbero    sputato    ripetutamente    sul    parabrezza
dell'autovettura della persona offesa, lasciando  evidenti  segni  di
saliva  lungo  il  vetro,  appeso  al  tergicristallo   del   lunotto
posteriore un assorbente igienico  usato  e  imbrattato  di  sostanza
rossa - presumibilmente sangue - le maniglie delle portiere anteriori
e il vetro della portiera anteriore destra. Fatti,  questi,  commessi
il 27 settembre 2009.
    Con sentenza del 29 aprile 2016, il  Giudice  di  pace  di  Aosta
aveva assolto gli imputati dal delitto di ingiuria,  non  essendo  il
fatto piu' previsto come reato a seguito  della  depenalizzazione  di
tale figura criminosa disposta dal d.lgs. n. 7 del  2016,  mentre  li
aveva condannati alla pena di euro 103 di multa ciascuno -  oltre  al
pagamento di  una  provvisionale  in  favore  della  persona  offesa,
costituitasi parte civile - in relazione al  reato  di  cui  all'art.
639, primo comma, cod. pen.
    Avverso  la  sentenza  avevano  proposto  appello  gli  imputati,
lamentando che il primo giudice avesse pronunciato  condanna  per  un
delitto perseguibile a querela - quale quello  previsto  dalla  norma
censurata - pur in difetto di tale condizione di procedibilita',  che
avesse erroneamente valutato le prove assunte e che avesse  liquidato
una provvisionale di importo eccessivo.
    Cio' premesso, il rimettente  osserva  come  la  questione  debba
ritenersi rilevante, giacche', ove  la  disposizione  denunciata  non
fosse dichiarata illegittima nei termini richiesti,  esso  giudice  a
quo «potrebbe essere tenuto a confermare la sentenza di primo grado»,
proprio in relazione al reato della cui  legittimita'  costituzionale
egli dubita.
    Quanto, poi,  alla  non  manifesta  infondatezza,  il  rimettente
rileva come, prima delle modifiche introdotte dal  d.lgs.  n.  7  del
2016, la tutela della proprieta', sotto il particolare aspetto  della
salvaguardia dell'integrita' delle  cose  rispetto  alle  aggressioni
provenienti da terzi, fosse  affidata  intieramente  allo  «strumento
penale». In particolare, tale tutela era  demandata  alle  previsioni
punitive degli artt. 635 e 639 cod. pen., le quali, anche a mezzo  di
un «nutrito  corredo  di  circostanze  aggravanti»,  delineavano  una
progressione della risposta sanzionatoria  correlata  alla  crescente
gravita' delle offese.
    Questo quadro e' stato profondamente innovato dal d.lgs. n. 7 del
2016, il cui art. 2, comma 1, lettera l), sostituendo l'art. 635 cod.
pen., ha circoscritto la  rilevanza  penale  della  condotta  di  chi
distrugge,  disperde,  deteriora  o  rende,  in  tutto  o  in  parte,
inservibili cose mobili o immobili altrui ai  soli  casi  in  cui  il
fatto sia commesso con determinate modalita' di azione  (primo  comma
del nuovo art. 635 cod. pen.) o su determinati  beni  (secondo  comma
dello stesso art. 635 cod. pen.). In ogni altra ipotesi, le  condotte
di danneggiamento soggiacciono, in forza degli artt. 3 e 4, comma  1,
lettera c), del d.lgs. n. 7 del 2016, alla sanzione pecuniaria civile
da euro cento a euro ottomila.
    Per converso, l'art. 639 cod. pen. - non inciso dalla  novella  -
continua a punire, al primo comma, con la multa fino a euro 103  chi,
fuori dei casi previsti dall'art. 635 cod. pen., deturpa  o  imbratta
cose mobili altrui, mentre al secondo commina tuttora una  pena  piu'
severa (reclusione da uno a sei mesi o multa da euro trecento a  euro
mille) per chi deturpa o imbratta beni immobili o mezzi di  trasporto
pubblici o privati.
    Ad avviso del giudice a quo, in un simile contesto, la perdurante
rilevanza penale delle condotte indicate nel  primo  comma  dell'art.
639 cod. pen. risulterebbe incompatibile con l'art. 3 Cost.
    Alla  luce  della  clausola  di  riserva  presente  nella   norma
censurata e delle indicazioni della giurisprudenza  di  legittimita',
il reato di deturpamento e imbrattamento di cose altrui  si  connota,
infatti,  come  sussidiario  rispetto  a  quello  di  danneggiamento,
punendo aggressioni di minore intensita' al medesimo bene  giuridico.
Sarebbe, percio', manifestamente irragionevole  che  le  condotte  di
deturpamento e imbrattamento continuino a  costituire  reato,  quando
invece quelle di danneggiamento - che recano un'offesa piu' grave  al
patrimonio -  integrano  un  semplice  illecito  civile,  punito  con
sanzioni di carattere pecuniario e, dunque, in modo piu' lieve.
    La   norma   censurata   dovrebbe   essere   ritenuta,    dunque,
costituzionalmente  illegittima  nella  parte  in  cui   punisce   il
deturpamento o l'imbrattamento di cose mobili  altrui  con  la  multa
fino a euro 103, anziche' con la sanzione pecuniaria civile  da  euro
cento a euro ottomila, prevista dall'art. 4, comma 1, lettera c), del
d.lgs. n. 7 del 2016 per i fatti di  danneggiamento  non  costituenti
reato ai sensi  degli  artt.  635,  635-bis,  635-ter,  635-quater  e
635-quinquies cod. pen.
    2.2.- E' intervenuto il Presidente del  Consiglio  dei  ministri,
rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura   generale   dello   Stato,
chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o infondata.
    Ad avviso dell'interveniente, la questione sarebbe  inammissibile
per difetto di adeguata motivazione sulla  rilevanza.  Nell'ordinanza
di rimessione, lo stesso giudice a quo ha, infatti, riferito che  gli
imputati avevano denunciato, come motivo di appello,  il  difetto  di
querela: doglianza sulla  quale  il  Tribunale  rimettente  nulla  ha
osservato,  malgrado  il  suo  carattere  assorbente.   Discutendosi,
infatti, di reato procedibile a querela  della  persona  offesa,  ove
questa  fosse  effettivamente  mancata,  sarebbe  divenuto   operante
l'obbligo di immediata  declaratoria  della  connessa  causa  di  non
punibilita', ai sensi  dell'art.  129,  comma  1,  cod.  proc.  pen.:
obbligo  che  -  secondo  quanto  chiarito  dalla  giurisprudenza  di
legittimita' -  impedirebbe  la  proposizione  di  una  questione  di
legittimita' costituzionale, ancorche' finalizzata  a  conseguire  un
epilogo assolutorio piu' vantaggioso.
    Nel merito, la questione risulterebbe, comunque sia, infondata.
    Alla Corte e', infatti, precluso il sindacato sulla scelta  delle
sanzioni da parte del legislatore, trattandosi di  scelta  basata  su
apprezzamenti discrezionali correlati alle specifiche caratteristiche
degli illeciti considerati e  sulla  ponderazione  complessiva  degli
interessi coinvolti, salvo il caso  in  cui  la  norma  sottoposta  a
scrutinio  contrasti  in  modo  manifesto   con   il   canone   della
ragionevolezza,   comportando   ingiustificabili   sperequazioni   di
trattamento fra fattispecie omogenee: ipotesi non  ravvisabile  nella
specie.
    Le due fattispecie poste  a  raffronto  dal  giudice  a  quo  non
sarebbero, in effetti, «perfettamente omogenee», essendo connotate  -
come  osserva  lo   stesso   rimettente   -   da   una   «progressiva
offensivita'». L'art. 635 cod. pen., quale  disposizione  principale,
reprime infatti «condotte violente o  plateali»  che  incidono  sulla
cosa  altrui,  diminuendone  il  valore  in   modo   apprezzabile   o
impedendone l'uso; mentre l'art. 639 cod.  pen.,  quale  disposizione
sussidiaria,  preserva  il  bene  giuridico  da  offese   di   minore
intensita', come l'alterazione temporanea o superficiale della cosa.
    Cio' posto, la scelta del legislatore di prevedere un trattamento
sanzionatorio piu' severo per i fatti di deturpamento e imbrattamento
di  cose  mobili  sarebbe  ragionevole,   trattandosi   di   condotte
«caratterizzate  da  iattanza  e  spregio  [...],  che  suscitano  un
giudizio di grave riprovazione ed un corrispondente allarme sociale».
La  disposizione  censurata  costituirebbe,  quindi,  frutto  di  una
legittima  opzione  di  politica  criminale,  volta  a  inasprire  la
risposta repressiva nei confronti di fenomeni di illegalita'  diffusa
e di atti di vandalismo motivati da mero capriccio.

                       Considerato in diritto

    1.- Il Tribunale ordinario di Milano  dubita  della  legittimita'
costituzionale dell'art. 639, secondo comma, del codice penale, nella
parte in cui prevede che per il  deturpamento  o  l'imbrattamento  di
beni immobili o di mezzi di trasporto pubblici o privati si applica -
anche quando il fatto non e' commesso con violenza alla persona o con
minaccia, ne' in occasione di manifestazioni che si svolgono in luogo
pubblico o aperto al pubblico o del delitto  previsto  dall'art.  331
cod. pen. - la pena della reclusione da uno a sei mesi o della  multa
da euro trecento a euro mille, anziche' la sanzione pecuniaria civile
da euro cento a euro ottomila.
    Ad avviso del rimettente, la norma censurata violerebbe l'art.  3
della  Costituzione,  sottoponendo  le  condotte  considerate  a  una
sanzione piu' severa di quella prevista dall'art. 4, comma 1, lettera
c), del decreto legislativo 15 gennaio 2016, n.  7  (Disposizioni  in
materia di abrogazione  di  reati  e  introduzione  di  illeciti  con
sanzioni pecuniarie civili, a norma dell'articolo 2, comma  3,  della
legge 28 aprile 2014, n. 67) nei confronti di chi - sempre in assenza
di violenza alla persona o minaccia e al di fuori  di  manifestazioni
pubbliche o della commissione del delitto di cui  all'art.  331  cod.
pen. - distrugge, disperde, deteriora o rende, in tutto o  in  parte,
inservibili cose mobili o  immobili  altrui:  condotte,  queste,  che
pregiudicano in modo  maggiormente  significativo  il  medesimo  bene
giuridico,   con   conseguente   manifesta   irragionevolezza   della
sperequazione sanzionatoria denunciata.
    2.- Il  Tribunale  ordinario  di  Aosta  solleva,  a  sua  volta,
questione di legittimita' costituzionale dell'art. 639, primo  comma,
cod. pen., nella parte in cui prevede che chiunque,  fuori  dai  casi
previsti dall'art. 635 del medesimo codice, deturpa o  imbratta  cose
mobili altrui e' punito, a querela della persona offesa, con la multa
fino a euro 103, anziche' con la sanzione pecuniaria civile  da  euro
cento a euro ottomila.
    Il giudice a quo denuncia, del pari, la  violazione  dell'art.  3
Cost., reputando manifestamente irragionevole che le condotte  dianzi
indicate siano trattate in modo deteriore  rispetto  a  condotte  che
recano un'offesa piu'  intensa  allo  stesso  bene  giuridico,  quali
quelle di chi  -  fuori  dalle  ipotesi  previste  dagli  artt.  635,
635-bis, 635-ter, 635-quater e 635-quinquies cod. pen.  -  distrugge,
disperde, deteriora o rende, in tutto o in  parte,  inservibili  cose
mobili o immobili altrui: fatti, questi ultimi, che l'art.  4,  comma
1, lettera c), del d.lgs.  n.  7  del  2016  assoggetta  a  una  mera
sanzione pecuniaria civile.
    3.-  Le  due  ordinanze   di   rimessione   sollevano   questioni
strutturalmente analoghe, relative al regime sanzionatorio dei  fatti
di deturpamento e imbrattamento  di  cose  altrui  delineato  da  due
distinti commi del medesimo articolo del codice  penale.  I  relativi
giudizi  vanno  quindi  riuniti  per  essere  definiti  con  un'unica
decisione.
    4.- Cio' posto, la questione sollevata dal Tribunale ordinario di
Milano e' inammissibile.
    4.1.- Il Tribunale ambrosiano lamenta,  nella  sostanza,  che  la
fattispecie del deturpamento e imbrattamento di beni  immobili  e  di
mezzi di trasporto, pubblici o privati, prevista dal  (primo  periodo
del) secondo comma dell'art. 639  cod.  pen.  (quale  risultante  per
effetto delle modifiche operate dall'art.  3,  comma  3,  lettera  b,
della legge 15 luglio 2009, n. 94, recante «Disposizioni  in  materia
di sicurezza pubblica»), non abbia formato oggetto di  un  intervento
di parziale depenalizzazione  -  o,  per  meglio  dire,  di  parziale
degradazione in "illecito punitivo civile" - omologo a quello attuato
dal d.lgs. n. 7 del 2016 sulla fattispecie, finitima  e  piu'  grave,
del danneggiamento (art. 635 cod. pen.).
    L'intervento  cui  fa  riferimento  il  rimettente   si   colloca
nell'ambito del complesso di misure intese a deflazionare il  sistema
penale, adottate in attuazione delle  deleghe  legislative  conferite
dalla legge 28 aprile 2014, n. 67 (Deleghe al Governo in  materia  di
pene detentive non carcerarie e di riforma del sistema sanzionatorio.
Disposizioni in materia di sospensione  del  procedimento  con  messa
alla prova e nei confronti degli irreperibili). Per il  conseguimento
dell'obiettivo si e' fatto ricorso, nell'occasione,  a  due  distinti
strumenti.   Il   primo   e'   quello   -   tradizionale   -    della
depenalizzazione, cioe' della trasformazione di un insieme  di  reati
in illeciti amministrativi: operazione compiuta, in  specie,  con  il
decreto legislativo 15 gennaio 2016, n. 8 (Disposizioni in materia di
depenalizzazione, a norma dell'articolo 2, comma 2,  della  legge  28
aprile 2014, n. 67). Il secondo strumento - del tutto innovativo - e'
invece quello dell'abrogazione di  alcuni  reati,  con  contemporanea
sottoposizione dei corrispondenti fatti a sanzioni pecuniarie  civili
a  carattere  punitivo,   che   si   aggiungono   all'obbligo   delle
restituzioni e del risarcimento del danno secondo le leggi civili.
    Tra le figure criminose interessate (peraltro, in modo  parziale)
da questo secondo intervento - operato dal d.lgs. n.  7  del  2016  -
figura anche il delitto di  danneggiamento,  previsto  dall'art.  635
cod. pen.
    Il giudice a quo muove, a tal riguardo, dall'assunto  che  l'art.
2, comma 1, lettera l), del d.lgs. n.  7  del  2016,  riscrivendo  la
norma incriminatrice ora citata, avrebbe limitato la rilevanza penale
del danneggiamento di cose mobili o immobili altrui ai soli  casi  in
cui il fatto sia commesso con violenza alla persona o  con  minaccia,
ovvero in occasione  di  manifestazioni  che  si  svolgono  in  luogo
pubblico o aperto al pubblico, o del delitto previsto  dall'art.  331
cod.  pen.  In  assenza  di   tali   condizioni,   le   condotte   di
danneggiamento resterebbero soggette - secondo il rimettente - a  una
semplice sanzione  pecuniaria  civile.  Cio',  in  virtu'  di  quanto
disposto dall'art. 4, comma  1,  lettera  c),  del  medesimo  decreto
legislativo, secondo  il  quale  soggiace  alla  sanzione  pecuniaria
civile da euro cento a euro ottomila chi - con dolo (art. 3, comma 1,
del d.lgs. n. 7 del 2016) - «distrugge, disperde, deteriora o  rende,
in tutto o in parte, inservibili cose mobili o immobili altrui, al di
fuori dei casi di cui agli articoli 635, 635-bis, 635-ter, 635-quater
e 635-quinquies del codice penale».
    Sulla base di tale premessa,  il  giudice  a  quo  reputa  quindi
palesemente irragionevole che l'art. 639, secondo comma, cod. pen.  -
lasciato  immutato  dalla  novella  -  continui  a  configurare  come
delitto, punito con la reclusione da uno a sei mesi o con la multa da
euro trecento a euro mille, il deturpamento o imbrattamento  di  beni
immobili o di mezzi  di  trasporto,  pubblici  o  privati,  ancorche'
realizzato senza violenza alla persona o minaccia e in assenza  delle
altre condizioni precedentemente indicate.
    Alla luce della  clausola  di  riserva  che  figura  nell'incipit
dell'art. 639 cod. pen.  («fuori  dei  casi  preveduti  dall'articolo
635»),  la  fattispecie   del   deturpamento   e   imbrattamento   si
connoterebbe,  infatti,  come  sussidiaria  rispetto  a  quella   del
danneggiamento, collocandosi in uno stadio anteriore lungo  la  linea
di progressione dell'offesa del medesimo bene giuridico.  Secondo  un
consolidato indirizzo della giurisprudenza di legittimita', il  reato
di danneggiamento si distingue, in effetti, da quello di deturpamento
o imbrattamento perche', mentre il primo  produce  una  modificazione
della cosa altrui, che ne diminuisce in modo apprezzabile il valore o
ne impedisce anche parzialmente l'uso, rendendo cosi'  necessario  un
intervento ripristinatorio dell'essenza e della  funzionalita'  della
cosa stessa, il secondo determina solo  un'alterazione  temporanea  e
superficiale della res, il cui aspetto originario, quale che  sia  la
spesa da affrontare, resta, comunque  sia,  facilmente  reintegrabile
(ex plurimis, tra le ultime, Corte  di  cassazione,  sezione  seconda
penale, sentenza 3 febbraio-3 marzo 2016,  n.  8826;  sezione  quinta
penale, sentenza 21 maggio-19 settembre 2014, n. 38574). Sarebbe,  di
conseguenza, apertamente contrario al canone della ragionevolezza che
le condotte di deturpamento  e  imbrattamento  restino  represse  con
sanzioni penali, quando i corrispondenti fatti  di  danneggiamento  -
latori di un'offesa piu' grave - vengono sanzionati  solo  sul  piano
civile.
    Di qui la richiesta, rivolta a questa  Corte,  di  una  pronuncia
sostitutiva, che surroghi le sanzioni  penali  previste  dalla  norma
censurata - quante volte si discuta di fatto commesso senza  violenza
alla persona o minaccia e in difetto delle altre condizioni a  queste
assimilate - con  la  sanzione  pecuniaria  civile  prevista  per  il
danneggiamento non costituente reato.
    4.2.-  L'assunto  "di  partenza"  del   rimettente   -   riguardo
all'attuale perimetro di rilevanza penale  del  danneggiamento  -  si
rivela,  tuttavia,  inesatto,  in  quanto  frutto  di   una   lettura
incompleta del nuovo testo dell'art. 635 cod. pen.
    In ossequio alle indicazioni della legge di delegazione (art.  2,
comma 3, lettera a, numero 5, della legge n. 67 del 2014), il  d.lgs.
n. 7 del 2016 ha, infatti, espunto dal novero  dei  fatti  penalmente
significativi solo quelli  che  integravano  il  vecchio  delitto  di
danneggiamento semplice, previsto dal primo comma del previgente art.
635 cod. pen., trasformando correlativamente le pregresse ipotesi  di
danneggiamento aggravato, delineate dal secondo comma, in fattispecie
autonome di reato.
    In  questo  contesto,  il  danneggiamento  continua,  quindi,   a
costituire illecito penale - punito con pena piu'  severa  di  quella
prevista dalla norma censurata (reclusione da sei mesi a tre anni)  -
non solo se commesso  con  le  modalita'  di  azione  alle  quali  fa
riferimento il rimettente (primo comma del nuovo art. 635 cod.  pen.,
corrispondente ai  numeri  1  e  2  del  secondo  comma  della  norma
anteriore), ma anche, e comunque sia, se avente ad oggetto tutta  una
serie di beni, analiticamente elencati (secondo comma del nuovo  art.
635 cod. pen., corrispondente ai numeri 3, 4, 5 e 5-bis  del  secondo
comma della norma sostituita).
    Agli odierni fini, viene in particolare rilievo la previsione del
numero 1) del secondo comma del  vigente  art.  635  cod.  pen.,  che
assoggetta alla pena dianzi indicata chi  -  indipendentemente  dalle
condizioni previste dal primo comma - distrugge, disperde,  deteriora
o rende, in  tutto  o  in  parte,  inservibili  «edifici  pubblici  o
destinati a uso pubblico o  all'esercizio  di  un  culto  o  cose  di
interesse storico  o  artistico  ovunque  siano  ubicate  o  immobili
compresi nel perimetro dei centri  storici,  ovvero  immobili  i  cui
lavori  di  costruzione,  di  ristrutturazione,  di  recupero  o   di
risanamento sono in corso o risultano ultimati  o  altre  delle  cose
indicate nel numero 7) dell'articolo 625».
    Il richiamato numero 7) dell'art. 625 cod. pen.  prevede,  a  sua
volta, una circostanza aggravante speciale del delitto di  furto  ove
il fatto sia commesso (oltre che  «su  cose  esistenti  in  uffici  o
stabilimenti pubblici, o sottoposte a sequestro o a pignoramento») su
cose «esposte per necessita' o per consuetudine  o  per  destinazione
alla pubblica fede, o destinate a  pubblico  servizio  o  a  pubblica
utilita',    difesa    o    reverenza».    Secondo     l'orientamento
giurisprudenziale  predominante,  tale  disposizione  deve  ritenersi
riferibile - anche per quanto attiene al genus  delle  cose  «esposte
per necessita' o per consuetudine o per  destinazione  alla  pubblica
fede» - non soltanto ai beni mobili, ma anche ai  beni  immobili.  Ai
fini dell'applicazione della norma,  infatti,  deve  aversi  riguardo
alla qualita', alla destinazione e alla condizione delle cose, e  non
anche alla natura (mobiliare od immobiliare) delle stesse, che rileva
unicamente  al  fine  della  realizzazione  del  delitto   di   furto
(ovviamente ipotizzabile soltanto per i beni mobili), ma non anche in
rapporto al  danneggiamento  (per  tutte,  tra  le  molte,  Corte  di
cassazione, sezione seconda penale, sentenza 17 novembre-1°  dicembre
2016, n. 51294; sezione seconda penale, sentenza 12  maggio-5  giugno
2009, n. 23550; sezione seconda penale, sentenza 20 novembre  2003-27
gennaio 2004, n. 2889).
    Vi e', dunque, in conclusione, un'ampia gamma  di  ipotesi  nelle
quali il danneggiamento di beni immobili  o  di  mezzi  di  trasporto
pubblici o privati - vale a dire  dei  beni  il  cui  deturpamento  o
imbrattamento e' penalmente represso dal denunciato art. 639, secondo
comma, cod. pen.  -  continua  a  costituire  illecito  penale  (piu'
severamente punito), anche se realizzato senza violenza alla  persona
o minaccia o condizioni consimili.
    4.3.- A fronte  di  cio',  il  petitum  del  rimettente  viene  a
risultare, quindi, incoerente con il postulato fondante il dubbio  di
legittimita' costituzionale, giusto il quale  sarebbe  manifestamente
irragionevole  prevedere  sanzioni  penali  per  il  deturpamento   e
l'imbrattamento  di  cose  altrui  in  situazioni  nelle   quali   il
danneggiamento delle medesime cose e' soggetto a  una  mera  sanzione
pecuniaria  civile.  In  questa  prospettiva,   infatti,   l'invocata
declaratoria  di  illegittimita'   costituzionale   dovrebbe   essere
limitata ai casi in cui il deturpamento o l'imbrattamento di immobili
o di mezzi di trasporto avvenga, non solo in assenza delle  modalita'
di azione indicate nel primo comma del nuovo art. 635 cod.  pen.,  ma
altresi' su beni diversi da quelli elencati dal secondo comma.
    La rilevanza nel giudizio a quo di una  simile  questione  resta,
peraltro, tutta da dimostrare.
    Di certo, la questione non sarebbe rilevante in rapporto ai fatti
oggetto del secondo dei due capi di  imputazione  che  il  rimettente
riferisce essere contestati all'imputato: vale a dire,  con  riguardo
all'imbrattamento mediante vernice di tre vetture ferroviarie che  si
trovavano collocate in stazioni, scali ferroviari  o  depositi.  Tali
vetture sono,  infatti,  beni  destinati  a  pubblico  servizio  o  a
pubblica  utilita',  e  per  di  piu'  esposti   per   necessita'   e
consuetudine  alla   pubblica   fede.   Di   conseguenza,   il   loro
danneggiamento conserva senz'altro rilievo penale.
    Con riguardo ai fatti oggetto del primo  capo  di  imputazione  -
l'imbrattamento di nove immobili ubicati in varie zone del Comune  di
Milano  -  occorrerebbe  appurare,  affinche'  la   questione   possa
ritenersi rilevante, che i beni imbrattati non ricadano in alcuna tra
le  numerose  categorie  di  immobili  il  cui  danneggiamento  resta
anch'esso tuttora sanzionato penalmente dall'art. 635, secondo comma,
numero 1), cod. pen.: in particolare, che si tratti di  immobili  non
compresi nel perimetro dei centri storici, non pubblici  o  destinati
ad uso pubblico o all'esercizio di un culto, ne' oggetto di lavori di
costruzione, ristrutturazione, recupero  o  risanamento  in  corso  o
ultimati, e neppure di immobili esposti alla  pubblica  fede  (almeno
quanto  alle  parti  imbrattate).  Tali  circostanze  non   emergono,
peraltro, dall'ordinanza di rimessione, la quale non reca indicazioni
di sorta al riguardo (anzi, rispetto all'immobile di  proprieta'  del
Comune di Milano, risulta  il  contrario,  discutendosi  di  edificio
pubblico).
    4.4.- La  questione  va  dichiarata,  dunque,  inammissibile  per
erronea  e  incompleta  ricostruzione   del   quadro   normativo   di
riferimento da parte del giudice rimettente, alla quale  si  connette
l'inadeguatezza della motivazione sulla rilevanza.
    Le ulteriori eccezioni di inammissibilita' formulate dalla  parte
costituita Trenitalia spa - relative  all'asserita  insindacabilita',
da parte di questa Corte,  della  scelta  sanzionatoria  operata  nel
frangente dal legislatore, in quanto non manifestamente irragionevole
(eccezione che attiene, peraltro, piu' propriamente al  merito  della
questione),   nonche'   al   carattere,   in   assunto,    "creativo"
dell'intervento richiesto dal giudice a quo - restano assorbite.
    5.- Una ragione di  inammissibilita'  similare  e'  riscontrabile
anche in rapporto alla questione sollevata dal Tribunale ordinario di
Aosta, che investe la previsione punitiva del primo  comma  dell'art.
639 cod. pen., relativa  al  deturpamento  o  imbrattamento  di  beni
mobili (per il quale e' prevista la multa fino a 103 euro).
    5.1.- Nell'illustrare la nuova configurazione assunta dal delitto
del danneggiamento a seguito del d.lgs. n. 7 del 2016, il  giudice  a
quo ha, in verita', correttamente richiamato tanto la previsione  del
primo comma, quanto quella del secondo comma del novellato  art.  635
cod. pen. E, pero', non ne ha tratto le dovute conseguenze al momento
di formulare la propria richiesta.
    In questo caso, l'incoerenza "per eccesso" del  petitum  rispetto
al postulato che fonda la doglianza (per cui  sarebbe  manifestamente
irragionevole che il  deturpamento  e  l'imbrattamento  costituiscano
reato, quando invece il danneggiamento soggiace solo a  una  sanzione
civile) risulta persino piu'  marcata.  Il  rimettente  ha,  infatti,
chiesto a questa Corte di trasformare sic et simpliciter il reato  di
cui all'art. 639,  primo  comma,  cod.  pen.  in  "illecito  punitivo
civile", senza alcun riferimento limitativo ne' alle modalita'  della
condotta,  ne'  all'oggetto  materiale  della  stessa:  laddove,  per
converso, appare evidente - per quanto in precedenza osservato - che,
in base a quella premessa, la pronuncia sostitutiva  dovrebbe  essere
circoscritta ai soli fatti di deturpamento o  imbrattamento  commessi
con modalita' o su cose diverse da  quelle  indicate  nei  primi  due
commi dell'art. 635 cod. pen.
    Neppure il  Tribunale  ordinario  di  Aosta  ha,  d'altro  canto,
offerto gli elementi per verificare se la ipotetica  declaratoria  di
illegittimita' costituzionale, "ritagliata"  in  termini  logicamente
coerenti  con  il  suo  postulato  fondante,  risulti  effettivamente
rilevante nel processo principale. Il giudice a quo non  precisa,  in
specie, se il fatto di imbrattamento per cui  si  procede  sia  stato
commesso  senza  violenza  alla  persona  o  minaccia  o   condizioni
assimilate, ne' - soprattutto - se il  bene  imbrattato  esuli  dalla
platea di quelli enumerati dal secondo comma dell'art. 635 cod. pen.
    Nel    giudizio    principale    si    discute,    in    effetti,
dell'imbrattamento di un'autovettura e tra le ipotesi nelle quali  il
danneggiamento  conserva  rilevanza   penale   rientra,   come   gia'
ricordato, quella del danneggiamento commesso su  cose  esposte,  per
necessita', per consuetudine o per destinazione, alla  pubblica  fede
(art. 635, secondo comma, numero  1,  in  riferimento  all'art.  625,
primo comma, numero 7, cod. pen.). Secondo un  consolidato  indirizzo
della  giurisprudenza  di  legittimita',   le   autovetture   debbono
considerarsi  cose  esposte  alla  pubblica  fede   allorche'   siano
parcheggiate sulla pubblica via, o anche in luogo privato, ma  aperto
al pubblico o, comunque sia, facilmente accessibile da  chiunque  (ex
plurimis, Corte di cassazione,  sezione  quinta  penale,  sentenza  6
dicembre  2016-8  maggio  2017,  n.  22194;  sezione  quarta  penale,
sentenza 7-29 dicembre 2016, n. 55227). Cio', in linea con  la  ratio
legis, consistente nella volonta' di reprimere con maggior rigore  la
lesione dell'affidamento che il proprietario o  possessore  si  trova
costretto a riporre nel rispetto da parte dei consociati  delle  cose
lasciate costantemente, o per un certo tempo, senza  custodia  (Corte
di cassazione, sezione seconda penale, 3 febbraio-3  marzo  2016,  n.
8826; sezione seconda penale, 9  dicembre  2008-9  gennaio  2009,  n.
561). Dunque, il danneggiamento di autovetture parcheggiate nei  modi
dianzi indicati costituisce tuttora reato (in questo senso, Corte  di
cassazione, sezione settima penale,  ordinanza  14  novembre  2017-25
gennaio 2018, n. 3592).
    Ne deriva che, nel caso di specie, la questione  -  correttamente
circoscritta  -  risulterebbe  rilevante   solo   qualora,   all'atto
dell'imbrattamento, l'autovettura  della  persona  offesa  non  fosse
parcheggiata nella pubblica via, ovvero in luogo  privato  aperto  al
pubblico o, comunque sia, agevolmente accessibile:  circostanza  che,
peraltro, non consta  dall'ordinanza  di  rimessione,  la  quale  non
fornisce alcuna indicazione riguardo al luogo  in  cui  l'autovettura
imbrattata si trovava al momento del fatto.
    5.2.- In confronto alla questione in esame, l'insufficienza della
motivazione  sulla  rilevanza  sussiste,  peraltro,  anche  sotto  un
ulteriore e distinto profilo.
    L'autovettura e', infatti, un bene riconducibile, per sua natura,
al genus  dei  «mezzi  di  trasporto  pubblici  o  privati»,  il  cui
deturpamento o imbrattamento e' punito (unitamente a quello dei  beni
immobili), non gia' dal censurato  primo  comma  dell'art.  639  cod.
pen., ma (e in modo piu' rigoroso)  dal  primo  periodo  del  secondo
comma dello stesso articolo. Tale previsione punitiva - gia'  vigente
alla data di commissione del fatto per cui si procede nel giudizio  a
quo (27 settembre 2009), essendo stata introdotta dalla legge  n.  94
del 2009 (entrata in vigore l'8 agosto 2009) - prevale evidentemente,
in parte qua, in quanto maggiormente specifica, su quella  del  primo
comma, riferita alla generalita' dei beni mobili.
    Il Tribunale rimettente -  chiamato  a  occuparsi  della  vicenda
quale giudice di appello avverso una sentenza del giudice di pace che
aveva condannato gli imputati per il reato  di  cui  al  primo  comma
dell'art. 639 cod. pen. - non ha, tuttavia, indicato le  ragioni  per
quali non abbia ritenuto di  dover  riqualificare  giuridicamente  il
fatto, inquadrandolo sotto una previsione punitiva diversa da  quella
censurata e primo visu  piu'  pertinente:  operazione  la  cui  ovvia
conseguenza sarebbe quella di rendere irrilevante (sotto  il  profilo
dell'aberratio ictus) la questione  sottoposta  all'esame  di  questa
Corte.
    5.3.- Anche la questione sollevata  dal  Tribunale  ordinario  di
Aosta va dichiarata, dunque, inammissibile.
    L'ulteriore   eccezione   di   inammissibilita'   formulata   dal
Presidente del Consiglio dei ministri - legata all'omessa motivazione
del giudice a quo in ordine  al  motivo  di  appello  degli  imputati
inteso a denunciare il difetto di querela - rimane assorbita.
     

                          per questi motivi
                       LA CORTE COSTITUZIONALE

    riuniti i giudizi,
    1)  dichiara   inammissibile   la   questione   di   legittimita'
costituzionale dell'art.  639,  secondo  comma,  del  codice  penale,
sollevata,  in  riferimento  all'art.  3  della   Costituzione,   dal
Tribunale ordinario di Milano con l'ordinanza indicata in epigrafe;
    2)  dichiara   inammissibile   la   questione   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 639, primo comma, cod. pen.,  sollevata,  in
riferimento all'art. 3 Cost., dal Tribunale ordinario  di  Aosta  con
l'ordinanza indicata in epigrafe.
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 21 marzo 2018.

                                F.to:
                    Giorgio LATTANZI, Presidente
                      Franco MODUGNO, Redattore
                     Roberto MILANA, Cancelliere

    Depositata in Cancelleria il 17 maggio 2018.

                   Il Direttore della Cancelleria
                        F.to: Roberto MILANA


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