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venerdì 24 agosto 2018

TAR 2018: ‘per l’accertamento e la declaratoria della esclusiva responsabilità del Ministero della Difesa, ai sensi dell’art. 2087 c.c. e/o del combinato disposto degli artt. 2049 e 1176 c.c., nella causazione della patologia -OMISSIS-), nonché delle conseguenti malattie fisiche e psichiche e di ogni altro pregiudizio accertato nel ricorrente;’ Pubblicato il 16/07/2018 N. 07925/2018 REG.PROV.COLL. N. 10156/2011 REG.RIC.




TAR 2018: ‘per l’accertamento e la declaratoria della esclusiva responsabilità del Ministero della Difesa, ai sensi dell’art. 2087 c.c. e/o del combinato disposto degli artt. 2049 e 1176 c.c., nella causazione della patologia -OMISSIS-), nonché delle conseguenti malattie fisiche e psichiche e di ogni altro pregiudizio accertato nel ricorrente;’




Pubblicato il 16/07/2018

N. 07925/2018 REG.PROV.COLL.

N. 10156/2011 REG.RIC.

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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Prima Bis)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 10156 del 2011, proposto da
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato Emanuela De Rossi, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Stefano Oberto, 69;

contro

Ministero della Difesa, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui Uffici è domiciliato ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per l’accertamento e la declaratoria

della esclusiva responsabilità del Ministero della Difesa, ai sensi dell’art. 2087 c.c. e/o del combinato disposto degli artt. 2049 e 1176 c.c., nella causazione della patologia -OMISSIS-), nonché delle conseguenti malattie fisiche e psichiche e di ogni altro pregiudizio accertato nel ricorrente;

nonché per la condanna

del Ministero resistente all’integrale rifusione in favore del ricorrente di tutti i danni non patrimoniali, diretti e riflessi allo stesso, patiti e patendi, prevedibili ed imprevedibili, nessuno escluso ed eccettuato, ivi compresa qualsiasi voce di danno comunque connessa e consequenziale alla patologia contratta dal sig-OMISSIS-, che si quantificano in € 459.851,10 per ciò che attiene il danno biologico oppure nella diversa misura maggiore o minore che sarà ritenuta di giustizia o di equità, al quale importo andranno sommate tutte le altre voci di danno che si chiede vengano quantificate secondo criteri di giustizia e/o di equità;

nonché per la rivalutazione monetaria ed interessi legali sulle somme eventualmente liquidate;

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero della Difesa;

Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 11 luglio 2018 la dott.ssa Rosa Perna e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

1. L’odierno ricorrente – carabiniere in congedo dal 1995 – con il ricorso in epigrafe, notificato il 23 novembre 2011 e depositato il successivo 5 dicembre, esponeva quanto segue.

1.1 Durante la vigenza del rapporto lavorativo, in particolare tra gli anni 1956 e 1974, veniva sottoposto a vaccinazioni obbligatorie effettuate, nella maggior parte dei casi, su gruppi di militari e caratterizzate dalla sostituzione dell’ago delle siringhe e dalla riutilizzazione della parte in vetro senza preventiva sterilizzazione.

1.2 Dopo essersi sottoposto ad alcuni esami medici tra il 2000 e il 2001, apprendeva di essere affetto da virus -OMISSIS- e tra il 2006 e il 2008, sulla scorta dei risultati degli studi scientifici internazionali, veniva a conoscenza della correlazione tra -OMISSIS- ed utilizzo delle siringhe di vetro.

L’aggravamento della situazione patologica del ricorrente – sfociata nella -OMISSIS-– aveva ripercussioni significative sulle condizioni personali e familiari dello stesso.

1.3 Con il ricorso in epigrafe il ricorrente chiedeva, quindi, l’accertamento e la declaratoria – ai sensi dell’art. 2087 c.c. e/o del combinato disposto degli artt. 2049 e 1176 c.c. – della responsabilità esclusiva del Ministero della Difesa, in qualità di datore di lavoro, nella causazione della patologia -OMISSIS-), nonché delle conseguenti malattie fisiche e psichiche presumibilmente derivanti dalla stessa. Chiedeva, altresì, la condanna dell’Amministrazione intimata al risarcimento dei danni non patrimoniali asseritamente sofferti, nonché la rivalutazione monetaria e gli interessi legali sulle somme eventualmente liquidate.

Il Ministero della Difesa, in qualità di datore di lavoro, avrebbe colposamente omesso di vigilare sulla corretta esecuzione delle vaccinazioni effettuate sui militari (dipendenti del Ministero), violando in tal modo l’art. 2087 c.c., oltre i principi costituzionali di cui all’art. 41 Cost. e all’art. 2 Cost. che garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, con particolare riferimento all’art. 32 Cost., che garantisce la salute come diritto fondamentale di ogni cittadino.

Il ricorrente chiedeva inoltre, in via istruttoria, l’ammissione di prova testimoniale e l’espletamento di CTU medico-legale.

2. Si costituiva in giudizio con atto meramente formale il Ministero della Difesa.

3. Con memoria depositata in data 12 ottobre 2016, il ricorrente insisteva nella richiesta di ammissione delle istanze istruttorie formulate e ribadiva le censure svolte nell’atto introduttivo del giudizio.

4. Con ordinanza collegiale n. 664 del 16 gennaio 2017, la Sezione poneva a carico dell’Amministrazione resistente incombenti istruttori, che venivano adempiuti nelle date 31 gennaio – 1° febbraio 2017, con il deposito di documenti e di memoria tesa al rigetto del ricorso nel merito, stante l’infondatezza del gravame o, in subordine, la prescrizione del diritto risarcitorio.

5. Con memoria depositata in data 25 maggio 2017, il ricorrente ribadiva le proprie posizioni.

6. Con ordinanza collegiale n. 8908 del 24 luglio 2017 la Sezione disponeva, quindi, adempimenti istruttori a carico dell’Istituto Superiore di Sanità e del Policlinico Militare del Celio.

In data 2 novembre 2017 l’Istituto Superiore di Sanità depositava una relazione tecnica predisposta dal Dipartimento di Malattie Infettive dello stesso ente, evidenziante la difficoltà di reperire documenti relativi alle procedure di vaccinazione vigenti in quegli anni e l’impossibilità, in assenza di una disamina della storia clinica del ricorrente, di stabilire una relazione causale tra le vaccinazioni cui era stato sottoposto e la condizione patologica denunciata.

7. In vista della pubblica udienza del 24 gennaio 2018, le parti depositavano memorie e repliche, insistendo nelle rispettive conclusioni.

8. Con ordinanza collegiale n. 2690 del 9 marzo 2018 la Sezione disponeva una verificazione volta ad accertare la sussistenza o meno del nesso causale tra la patologia del ricorrente e i vaccini sullo stesso effettuati. La relazione dell’organo verificatore, depositata in data 18 aprile 2018, rilevava l’impossibilità di stabilire in termini probabilistici l’esistenza del predetto nesso di causalità.

9. Con memoria depositata il 7 giugno 2018 l’odierno esponente contestava le conclusioni formulate dalla Commissione di verificazione e ribadiva le proprie conclusioni e richieste.

Con memoria di replica del 20 giugno 2018 il Ministero della Difesa, dopo aver evidenziato l’infondatezza delle doglianze articolate da parte ricorrente avverso la relazione di verificazione, insisteva per il rigetto del ricorso.

10. Alla pubblica udienza dell’11 luglio 2018 la causa era trattenuta in decisione.

DIRITTO

1. In via pregiudiziale, il Collegio ritiene di non dar seguito alle richieste istruttorie avanzate dalla parte ricorrente perché non utili alla definizione del presente giudizio, stante l’avvenuto espletamento della fase istruttoria del presente giudizio.

Ritiene, altresì, di poter prescindere dall’esame dell’eccezione di prescrizione del diritto risarcitorio sollevata dall’Amministrazione resistente, attesa l’infondatezza del ricorso nel merito.

2. Il ricorrente, a fronte della dedotta responsabilità dell’odierna intimata, asseritamente riconducibile al rapporto di pubblico impiego – non privatizzato ai sensi del D.lgs. n. 165/2001 –con la medesima intrattenuto, e della conseguente giurisdizione esclusiva del Giudice amministrativo sulla controversia all’esame, agisce nei confronti del Ministero della Difesa in base al disposto dell'art. 2087 c.c.

3. Il ricorso è infondato e va respinto, per le ragioni di seguito indicate.

3.1 In via preliminare, osserva il Collegio che, secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, la responsabilità del datore di lavoro ex art. 2087 c.c. – derivante dal mancato adempimento dell'obbligo di adottare le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale del lavoratore – non configura un’ipotesi di responsabilità oggettiva, ma ha natura contrattuale (Cons. Stato, Sez. IV, 24 maggio 2018, n. 3104; Cass. civ., Sez. Lav., 15 giugno 2017, n. 14865; Cass. civ., Sez. Lav., 27 febbraio 2015, n. 3989).

Sul piano processuale, la natura contrattuale della responsabilità in esame determina l’inversione dell’onere della prova di cui all’art. 1218 c.c.: è pertanto sufficiente che il lavoratore alleghi una situazione di fatto qualificabile in termini d'inadempimento (o inesatto adempimento) e provi il rapporto di causalità tra l'inadempimento e il danno subito, gravando, poi, sul datore di lavoro, debitore di sicurezza, l'onere di fornire la prova negativa dell'assenza di colpa, dimostrando la dipendenza del danno da causa a lui non imputabile e di aver adempiuto interamente all'obbligo di sicurezza, apprestando tutte le misure per evitare il danno (Tar Lombardia – Milano, Sez. III, 6 febbraio 2018, n. 333; Tar Lazio – Roma, Sez. II, 2 marzo 2015, n. 3421; Cons. Stato, Sez. IV, 4 febbraio 2013, n. 641; Cass. civ., Sez. Lav., 27 febbraio 2015, n. 3989; Cass. civ., Sez. Lav., 29 gennaio 2013, n. 2038).

In sostanza, ai sensi dell'art. 1218 c.c., la colpevolezza è presunta, ma trattasi di una presunzione non assoluta bensì relativa, poiché superabile dalla prova contraria fornita dall'Amministrazione.

Tuttavia, solo una volta che il danneggiato abbia dimostrato che il danno asserito è causalmente riconducibile alla condotta del datore di lavoro, sorge per quest’ultimo l'onere di provare che l'inadempimento, fonte del pregiudizio lamentato dal ricorrente, è stato determinato da causa a lui non imputabile (Cass. civ., Sez. III, 26 luglio 2017, n. 18392).

3.2 L’Amministrazione resistente ha eccepito l’infondatezza del ricorso sotto molteplici aspetti e, innanzi tutto, per mancata prova del nesso di causalità tra la patologia del ricorrente e i vaccini effettuatigli.

Orbene, come correttamente rilevato dalla difesa erariale, la sussistenza del nesso causale nel caso di specie risulta genericamente asserita, ma non comprovata, dal ricorrente. E, invero, il fatto di cui si postula l’idoneità causale alla determinazione della contrazione della patologia è individuato nella somministrazione di vaccini con siringhe non sterilizzate, risultando totalmente assente qualsivoglia riferimento al fatto che gli strumenti in parola fossero intrisi di materiale ematico infetto. Oltre a non essere stata fornita una prova diretta in ordine a questo aspetto, non è stata fornita prova neppure di altri fatti dai quali poter risalire, presuntivamente, a quel profilo del fatto rimasto ignoto.

La mancanza di tale prova non può, del resto, essere sopperita dall’utilizzo di un criterio di spiegazione causale che si limiti ad affermare genericamente la probabilità o il rischio che da talune attività derivi il contagio di patologie come quella di cui trattasi.

3.3 Secondo un orientamento interpretativo consolidato, ai sensi degli artt. 40 e 41 c.p., un evento è da considerarsi causa di un altro se, ferme restando le altre condizioni, il primo non si sarebbe verificato in assenza del secondo; ma l'applicazione di tale principio, temperato dalla regolarità casuale, ai fini della ricostruzione del nesso eziologico, va calibrato secondo la peculiarità delle singole fattispecie normative di responsabilità civile, dove muta la regola probatoria, per cui mentre nel processo penale vige la regola della prova “oltre il ragionevole dubbio”, nel processo civile vige la regola della preponderanza dell'evidenza o del “più probabile che non” (Cass. civ., Sez. VI, 24 maggio 2017, n. 13096; Cass. civ., Sez. III, 28 luglio 2015, n. 15857; Cass. civ., Sez. III, 23 settembre 2013, n. 21715; Cass. civ., Sez. III, 18 giugno 2012, n. 9927; Cass. civ., Sez. Un., 11 gennaio 2008, n. 581).

La giurisprudenza ha ancor più dettagliatamente chiarito che lo standard di c.d. “certezza probabilistica” della materia civile non può essere ancorato esclusivamente alla determinazione quantitativa - statistica delle frequenze di classi di eventi (c.d. probabilità quantitativa o pascaliana), che potrebbe anche mancare o essere inconferente, ma va verificato riconducendone il grado di fondatezza all'ambito degli elementi di conferma (e nel contempo di esclusione di altri possibili alternativi) disponibili in relazione al caso concreto (c.d. probabilità logica o baconiana) (Cass. civ., Sez. Lav., 2 agosto 2017, n. 19270; Cass. civ., Sez. Lav., 3 gennaio 2017, n. 47; Cass. civ., Sez. III, 15 maggio 2012, n. 7554; Cass. civ., Sez. III, 5 maggio 2009, n.10285).

Il nesso di causalità tra evento lesivo e danno, pertanto, può essere riconosciuto anche in base ad un serio e ragionevole criterio di probabilità scientifica, che però deve essere “qualificata” da ulteriori elementi idonei a tradurre in certezze giuridiche le conclusioni astratte svolte in termini probabilistici (Cass. civ., Sez. III, 11 novembre 2005, n. 22894; Cass. civ., Sez. III, 5 giugno 2007, n. 13082).

In altri termini, il nesso causale può essere ritenuto sussistente non solo quando il danno possa ritenersi conseguenza inevitabile della condotta, ma anche quando ne sia conseguenza altamente probabile e verosimile, non già una mera possibilità astratta (Cass. civ., Sez. III, 30 ottobre 2009, n. 23059).

3.4 Nel caso di specie, l’organo verificatore ha escluso la sussistenza del nesso di causalità, innanzitutto, sulla base del tempo trascorso – superiore a 30 anni – tra le vaccinazioni con siringhe di vetro e l’insorgenza della cirrosi epatica. Difatti, i predetti vaccini sono stati effettuati al ricorrente dal 1956 al 1974, mentre la cirrosi epatica gli è stata diagnosticata a partire dal 2008, quindi 34 anni dopo.

Occorre, peraltro, rilevare come il momento della diagnosi non corrisponda necessariamente con il momento di inizio del processo patologico.

Inoltre, sulla base della letteratura richiamata in sede di verificazione, il 20/30% dei soggetti con danno epatico cronico sviluppa cirrosi dopo 10-30 anni dall’infezione acuta. Da ciò il difensore di parte ricorrente deriva la conseguenza che il 70/80% dei soggetti svilupperebbe la cirrosi prima o dopo tale arco temporale, per concludere che, contrariamente a quanto sostenuto dalla commissione verificatrice, la cirrosi epatica potrebbe manifestarsi anche dopo un notevole lasso di tempo dal contagio, tempo che potrebbe essere superiore a 30 anni, come nel caso di specie.

Le doglianze di parte ricorrente volte a contestare le conclusioni contenute nella relazione dell'organo verificatore non meritano, tuttavia, adesione risultando basate su mere ipotesi non confermate da dati probatori e pertanto, alla luce della richiamata giurisprudenza, da disattendere.

3.5 L’organo verificatore ha altresì escluso la sussistenza del nesso causale sulla base dell’esistenza di altre possibili cause di contagio.

Il virus -OMISSIS- (-OMISSIS-) si trasmette principalmente per via parenterale, quindi per via ematica (utilizzo della stessa siringa tra tossicodipendenti, interventi chirurgici, uso nel passato di siringhe di vetro, utilizzo di oggetti per la cura personale – come rasoi, spazzolini da denti o attrezzature per la manicure o pedicure – contaminati con sangue infetto, utilizzo di materiali non sterilizzati per effettuare trattamenti estetici – come piercing e tatuaggi), e meno frequentemente per via sessuale e per via verticale (da madre a figlio).

Il ricorrente è stato sottoposto a due interventi chirurgici, uno – appendicectomia – nel 1951 e l’altro – tonsillectomia – nel 1964.

Al fine di accertare la possibilità o meno di contagio sarebbe necessario verificare se, in occasione dei predetti interventi, siano stati utilizzati strumenti non sterilizzati oppure se il ricorrente sia stato sottoposto ad emotrasfusioni. Quest’ultimo, tuttavia, nega di avere a disposizione la documentazione sanitaria relativa agli interventi in parola.

Ne deriva che non è possibile identificare la fonte dell’infezione, ossia se la stessa sia stata contratta in occasione delle vaccinazioni piuttosto che degli interventi chirurgici.

La storia clinica del ricorrente, pertanto, è caratterizzata dalla presenza di potenziali cause di contagio, ulteriori rispetto a quella dallo stesso dedotta a fondamento della domanda avanzata nel presente giudizio.

Non è possibile escludere, altresì, che il ricorrente abbia utilizzato strumenti personali taglienti (ad esempio rasoi o forbici), intrisi di materiale ematico infetto.

3.6 Se è vero, come la giurisprudenza ha avuto modo di chiarire, che in presenza di più possibili e diverse concause di un medesimo fatto, nessuna delle quali appaia né del tutto inverosimile, né risulti con evidenza avere avuto efficacia esclusiva rispetto all'evento, è compito del giudice valutare quale di esse appaia “più probabile che non” rispetto alle altre nella determinazione dell'evento, e non già negare l'esistenza della prova del nesso causale, per il solo fatto che il danno sia teoricamente ascrivibile a varie alternative ipotesi (Cass. civ., Sez. III, 20 febbraio 2018, n. 4024; Cass. civ., Sez. III, 21 luglio 2011, n. 15991), è altresì vero che se, al termine dell'istruttoria, non risulti provato il nesso tra condotta ed evento, per essere la causa del danno lamentato dal ricorrente rimasta assolutamente incerta, la domanda deve essere rigettata (Cass. civ., Sez. III, 31 gennaio 2018, n. 2371; Cass. civ., Sez. III, 26 luglio 2017, n. 18392; Cass. civ., Sez. III, 14 novembre 2017, n. 26824; Cass. civ., Sez. III, 14 novembre 2017, n. 26825).

3.7 Nel caso di specie, la valutazione delle risultanze istruttorie induce a ritenere che non risultano positivamente acquisiti elementi sufficienti ad affermare che la condizione patologica sofferta dal ricorrente sia, sulla base di un principio di probabilità qualificata, eziologicamente riconducibile ai vaccini effettuatigli durante la vigenza del rapporto lavorativo.

In altri termini, in assenza di qualsivoglia prova in ordine alla sussistenza di un collegamento tra il contagio e le vaccinazioni subite con siringhe di vetro, non è possibile identificare la causa dell’avvenuta infezione; diversamente opinando, si giungerebbe all’errata conclusione di ritenere provato il nesso causale solo sulla base della potenziale idoneità dell’utilizzo di siringhe non sterilizzate alla causazione della patologia epatica di cui trattasi, con conseguente violazione del disposto normativo di cui all’art. 2087 c.c., che configura una responsabilità contrattuale ancorata a criteri probabilistici e non solo possibilistici (Cass. civ., Sez. Lav., 29 gennaio 2013, n. 2038).

4. Per le considerazioni svolte la domanda di accertamento della responsabilità dell’Amministrazione resistente nella causazione della patologia epatica sofferta dal ricorrente risulta infondata.

L’infondatezza della predetta domanda di accertamento determina, altresì, il rigetto della domanda risarcitoria spiegata dal ricorrente.

5. Sussistono tuttavia giusti motivi per disporre la compensazione delle spese tra le parti in ragione della natura della controversia.

6. Le spese di verificazione, da porsi a carico della parte ricorrente, sono liquidate complessivamente in euro 500,00 (=cinquecento/00), come da precedenti della Sezione relativi alla fase cautelare dei giudizi.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Bis), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, così provvede:

- respinge il ricorso sia quanto alla domanda di accertamento sia quanto alla domanda di condanna;

- compensa le spese;

- pone a carico della parte ricorrente le spese di verificazione, che liquida in euro 500,00 (=cinquecento/00).

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’art. 22, comma 8, D.lg.s. 196/2003, manda alla Segreteria di procedere, in qualsiasi ipotesi di diffusione del presente provvedimento, all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi dato idoneo a rivelare lo stato di salute delle parti o di persone comunque ivi citate.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 11 luglio 2018 con l'intervento dei magistrati:

Concetta Anastasi, Presidente

Rosa Perna, Consigliere, Estensore

Roberto Vitanza, Primo Referendario
L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE
Rosa Perna
Concetta Anastasi

IL SEGRETARIO


In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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