TAR 2018: ‘per
l’accertamento e la declaratoria della esclusiva responsabilità
del Ministero della Difesa, ai sensi dell’art. 2087 c.c. e/o del
combinato disposto degli artt. 2049 e 1176 c.c., nella causazione
della patologia -OMISSIS-), nonché delle conseguenti malattie
fisiche e psichiche e di ogni altro pregiudizio accertato nel
ricorrente;’
Pubblicato il
16/07/2018
N. 07925/2018
REG.PROV.COLL.
N. 10156/2011
REG.RIC.
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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO
ITALIANO
Il Tribunale
Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Prima Bis)
ha pronunciato la
presente
SENTENZA
sul ricorso numero
di registro generale 10156 del 2011, proposto da
-OMISSIS-,
rappresentato e difeso dall'avvocato Emanuela De Rossi, con domicilio
eletto presso il suo studio in Roma, via Stefano Oberto, 69;
contro
Ministero della
Difesa, in persona del legale rappresentante pro tempore,
rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Generale dello
Stato, presso i cui Uffici è domiciliato ex lege in Roma, via dei
Portoghesi, 12;
per l’accertamento
e la declaratoria
della esclusiva
responsabilità del Ministero della Difesa, ai sensi dell’art. 2087
c.c. e/o del combinato disposto degli artt. 2049 e 1176 c.c., nella
causazione della patologia -OMISSIS-), nonché delle conseguenti
malattie fisiche e psichiche e di ogni altro pregiudizio accertato
nel ricorrente;
nonché per la
condanna
del Ministero
resistente all’integrale rifusione in favore del ricorrente di
tutti i danni non patrimoniali, diretti e riflessi allo stesso,
patiti e patendi, prevedibili ed imprevedibili, nessuno escluso ed
eccettuato, ivi compresa qualsiasi voce di danno comunque connessa e
consequenziale alla patologia contratta dal sig-OMISSIS-, che si
quantificano in € 459.851,10 per ciò che attiene il danno
biologico oppure nella diversa misura maggiore o minore che sarà
ritenuta di giustizia o di equità, al quale importo andranno sommate
tutte le altre voci di danno che si chiede vengano quantificate
secondo criteri di giustizia e/o di equità;
nonché per la
rivalutazione monetaria ed interessi legali sulle somme eventualmente
liquidate;
Visti il ricorso e i
relativi allegati;
Visto l'atto di
costituzione in giudizio del Ministero della Difesa;
Viste le memorie
prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti tutti gli atti
della causa;
Relatore
nell'udienza pubblica del giorno 11 luglio 2018 la dott.ssa Rosa
Perna e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e
considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. L’odierno
ricorrente – carabiniere in congedo dal 1995 – con il ricorso in
epigrafe, notificato il 23 novembre 2011 e depositato il successivo 5
dicembre, esponeva quanto segue.
1.1 Durante la
vigenza del rapporto lavorativo, in particolare tra gli anni 1956 e
1974, veniva sottoposto a vaccinazioni obbligatorie effettuate, nella
maggior parte dei casi, su gruppi di militari e caratterizzate dalla
sostituzione dell’ago delle siringhe e dalla riutilizzazione della
parte in vetro senza preventiva sterilizzazione.
1.2 Dopo essersi
sottoposto ad alcuni esami medici tra il 2000 e il 2001, apprendeva
di essere affetto da virus -OMISSIS- e tra il 2006 e il 2008, sulla
scorta dei risultati degli studi scientifici internazionali, veniva a
conoscenza della correlazione tra -OMISSIS- ed utilizzo delle
siringhe di vetro.
L’aggravamento
della situazione patologica del ricorrente – sfociata nella
-OMISSIS-– aveva ripercussioni significative sulle condizioni
personali e familiari dello stesso.
1.3 Con il ricorso
in epigrafe il ricorrente chiedeva, quindi, l’accertamento e la
declaratoria – ai sensi dell’art. 2087 c.c. e/o del combinato
disposto degli artt. 2049 e 1176 c.c. – della responsabilità
esclusiva del Ministero della Difesa, in qualità di datore di
lavoro, nella causazione della patologia -OMISSIS-), nonché delle
conseguenti malattie fisiche e psichiche presumibilmente derivanti
dalla stessa. Chiedeva, altresì, la condanna dell’Amministrazione
intimata al risarcimento dei danni non patrimoniali asseritamente
sofferti, nonché la rivalutazione monetaria e gli interessi legali
sulle somme eventualmente liquidate.
Il Ministero della
Difesa, in qualità di datore di lavoro, avrebbe colposamente omesso
di vigilare sulla corretta esecuzione delle vaccinazioni effettuate
sui militari (dipendenti del Ministero), violando in tal modo l’art.
2087 c.c., oltre i principi costituzionali di cui all’art. 41 Cost.
e all’art. 2 Cost. che garantisce i diritti inviolabili dell’uomo,
con particolare riferimento all’art. 32 Cost., che garantisce la
salute come diritto fondamentale di ogni cittadino.
Il ricorrente
chiedeva inoltre, in via istruttoria, l’ammissione di prova
testimoniale e l’espletamento di CTU medico-legale.
2. Si costituiva in
giudizio con atto meramente formale il Ministero della Difesa.
3. Con memoria
depositata in data 12 ottobre 2016, il ricorrente insisteva nella
richiesta di ammissione delle istanze istruttorie formulate e
ribadiva le censure svolte nell’atto introduttivo del giudizio.
4. Con ordinanza
collegiale n. 664 del 16 gennaio 2017, la Sezione poneva a carico
dell’Amministrazione resistente incombenti istruttori, che venivano
adempiuti nelle date 31 gennaio – 1° febbraio 2017, con il
deposito di documenti e di memoria tesa al rigetto del ricorso nel
merito, stante l’infondatezza del gravame o, in subordine, la
prescrizione del diritto risarcitorio.
5. Con memoria
depositata in data 25 maggio 2017, il ricorrente ribadiva le proprie
posizioni.
6. Con ordinanza
collegiale n. 8908 del 24 luglio 2017 la Sezione disponeva, quindi,
adempimenti istruttori a carico dell’Istituto Superiore di Sanità
e del Policlinico Militare del Celio.
In data 2 novembre
2017 l’Istituto Superiore di Sanità depositava una relazione
tecnica predisposta dal Dipartimento di Malattie Infettive dello
stesso ente, evidenziante la difficoltà di reperire documenti
relativi alle procedure di vaccinazione vigenti in quegli anni e
l’impossibilità, in assenza di una disamina della storia clinica
del ricorrente, di stabilire una relazione causale tra le
vaccinazioni cui era stato sottoposto e la condizione patologica
denunciata.
7. In vista della
pubblica udienza del 24 gennaio 2018, le parti depositavano memorie e
repliche, insistendo nelle rispettive conclusioni.
8. Con ordinanza
collegiale n. 2690 del 9 marzo 2018 la Sezione disponeva una
verificazione volta ad accertare la sussistenza o meno del nesso
causale tra la patologia del ricorrente e i vaccini sullo stesso
effettuati. La relazione dell’organo verificatore, depositata in
data 18 aprile 2018, rilevava l’impossibilità di stabilire in
termini probabilistici l’esistenza del predetto nesso di causalità.
9. Con memoria
depositata il 7 giugno 2018 l’odierno esponente contestava le
conclusioni formulate dalla Commissione di verificazione e ribadiva
le proprie conclusioni e richieste.
Con memoria di
replica del 20 giugno 2018 il Ministero della Difesa, dopo aver
evidenziato l’infondatezza delle doglianze articolate da parte
ricorrente avverso la relazione di verificazione, insisteva per il
rigetto del ricorso.
10. Alla pubblica
udienza dell’11 luglio 2018 la causa era trattenuta in decisione.
DIRITTO
1. In via
pregiudiziale, il Collegio ritiene di non dar seguito alle richieste
istruttorie avanzate dalla parte ricorrente perché non utili alla
definizione del presente giudizio, stante l’avvenuto espletamento
della fase istruttoria del presente giudizio.
Ritiene, altresì,
di poter prescindere dall’esame dell’eccezione di prescrizione
del diritto risarcitorio sollevata dall’Amministrazione resistente,
attesa l’infondatezza del ricorso nel merito.
2. Il ricorrente, a
fronte della dedotta responsabilità dell’odierna intimata,
asseritamente riconducibile al rapporto di pubblico impiego – non
privatizzato ai sensi del D.lgs. n. 165/2001 –con la medesima
intrattenuto, e della conseguente giurisdizione esclusiva del Giudice
amministrativo sulla controversia all’esame, agisce nei confronti
del Ministero della Difesa in base al disposto dell'art. 2087 c.c.
3. Il ricorso è
infondato e va respinto, per le ragioni di seguito indicate.
3.1 In via
preliminare, osserva il Collegio che, secondo un consolidato
orientamento giurisprudenziale, la responsabilità del datore di
lavoro ex art. 2087 c.c. – derivante dal mancato adempimento
dell'obbligo di adottare le misure che, secondo la particolarità del
lavoro, l'esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare
l'integrità fisica e la personalità morale del lavoratore – non
configura un’ipotesi di responsabilità oggettiva, ma ha natura
contrattuale (Cons. Stato, Sez. IV, 24 maggio 2018, n. 3104; Cass.
civ., Sez. Lav., 15 giugno 2017, n. 14865; Cass. civ., Sez. Lav., 27
febbraio 2015, n. 3989).
Sul piano
processuale, la natura contrattuale della responsabilità in esame
determina l’inversione dell’onere della prova di cui all’art.
1218 c.c.: è pertanto sufficiente che il lavoratore alleghi una
situazione di fatto qualificabile in termini d'inadempimento (o
inesatto adempimento) e provi il rapporto di causalità tra
l'inadempimento e il danno subito, gravando, poi, sul datore di
lavoro, debitore di sicurezza, l'onere di fornire la prova negativa
dell'assenza di colpa, dimostrando la dipendenza del danno da causa a
lui non imputabile e di aver adempiuto interamente all'obbligo di
sicurezza, apprestando tutte le misure per evitare il danno (Tar
Lombardia – Milano, Sez. III, 6 febbraio 2018, n. 333; Tar Lazio –
Roma, Sez. II, 2 marzo 2015, n. 3421; Cons. Stato, Sez. IV, 4
febbraio 2013, n. 641; Cass. civ., Sez. Lav., 27 febbraio 2015, n.
3989; Cass. civ., Sez. Lav., 29 gennaio 2013, n. 2038).
In sostanza, ai
sensi dell'art. 1218 c.c., la colpevolezza è presunta, ma trattasi
di una presunzione non assoluta bensì relativa, poiché superabile
dalla prova contraria fornita dall'Amministrazione.
Tuttavia, solo una
volta che il danneggiato abbia dimostrato che il danno asserito è
causalmente riconducibile alla condotta del datore di lavoro, sorge
per quest’ultimo l'onere di provare che l'inadempimento, fonte del
pregiudizio lamentato dal ricorrente, è stato determinato da causa a
lui non imputabile (Cass. civ., Sez. III, 26 luglio 2017, n. 18392).
3.2
L’Amministrazione resistente ha eccepito l’infondatezza del
ricorso sotto molteplici aspetti e, innanzi tutto, per mancata prova
del nesso di causalità tra la patologia del ricorrente e i vaccini
effettuatigli.
Orbene, come
correttamente rilevato dalla difesa erariale, la sussistenza del
nesso causale nel caso di specie risulta genericamente asserita, ma
non comprovata, dal ricorrente. E, invero, il fatto di cui si postula
l’idoneità causale alla determinazione della contrazione della
patologia è individuato nella somministrazione di vaccini con
siringhe non sterilizzate, risultando totalmente assente qualsivoglia
riferimento al fatto che gli strumenti in parola fossero intrisi di
materiale ematico infetto. Oltre a non essere stata fornita una prova
diretta in ordine a questo aspetto, non è stata fornita prova
neppure di altri fatti dai quali poter risalire, presuntivamente, a
quel profilo del fatto rimasto ignoto.
La mancanza di tale
prova non può, del resto, essere sopperita dall’utilizzo di un
criterio di spiegazione causale che si limiti ad affermare
genericamente la probabilità o il rischio che da talune attività
derivi il contagio di patologie come quella di cui trattasi.
3.3 Secondo un
orientamento interpretativo consolidato, ai sensi degli artt. 40 e 41
c.p., un evento è da considerarsi causa di un altro se, ferme
restando le altre condizioni, il primo non si sarebbe verificato in
assenza del secondo; ma l'applicazione di tale principio, temperato
dalla regolarità casuale, ai fini della ricostruzione del nesso
eziologico, va calibrato secondo la peculiarità delle singole
fattispecie normative di responsabilità civile, dove muta la regola
probatoria, per cui mentre nel processo penale vige la regola della
prova “oltre il ragionevole dubbio”, nel processo civile vige la
regola della preponderanza dell'evidenza o del “più probabile che
non” (Cass. civ., Sez. VI, 24 maggio 2017, n. 13096; Cass. civ.,
Sez. III, 28 luglio 2015, n. 15857; Cass. civ., Sez. III, 23
settembre 2013, n. 21715; Cass. civ., Sez. III, 18 giugno 2012, n.
9927; Cass. civ., Sez. Un., 11 gennaio 2008, n. 581).
La giurisprudenza ha
ancor più dettagliatamente chiarito che lo standard di c.d.
“certezza probabilistica” della materia civile non può essere
ancorato esclusivamente alla determinazione quantitativa - statistica
delle frequenze di classi di eventi (c.d. probabilità quantitativa o
pascaliana), che potrebbe anche mancare o essere inconferente, ma va
verificato riconducendone il grado di fondatezza all'ambito degli
elementi di conferma (e nel contempo di esclusione di altri possibili
alternativi) disponibili in relazione al caso concreto (c.d.
probabilità logica o baconiana) (Cass. civ., Sez. Lav., 2 agosto
2017, n. 19270; Cass. civ., Sez. Lav., 3 gennaio 2017, n. 47; Cass.
civ., Sez. III, 15 maggio 2012, n. 7554; Cass. civ., Sez. III, 5
maggio 2009, n.10285).
Il nesso di
causalità tra evento lesivo e danno, pertanto, può essere
riconosciuto anche in base ad un serio e ragionevole criterio di
probabilità scientifica, che però deve essere “qualificata” da
ulteriori elementi idonei a tradurre in certezze giuridiche le
conclusioni astratte svolte in termini probabilistici (Cass. civ.,
Sez. III, 11 novembre 2005, n. 22894; Cass. civ., Sez. III, 5 giugno
2007, n. 13082).
In altri termini, il
nesso causale può essere ritenuto sussistente non solo quando il
danno possa ritenersi conseguenza inevitabile della condotta, ma
anche quando ne sia conseguenza altamente probabile e verosimile, non
già una mera possibilità astratta (Cass. civ., Sez. III, 30 ottobre
2009, n. 23059).
3.4 Nel caso di
specie, l’organo verificatore ha escluso la sussistenza del nesso
di causalità, innanzitutto, sulla base del tempo trascorso –
superiore a 30 anni – tra le vaccinazioni con siringhe di vetro e
l’insorgenza della cirrosi epatica. Difatti, i predetti vaccini
sono stati effettuati al ricorrente dal 1956 al 1974, mentre la
cirrosi epatica gli è stata diagnosticata a partire dal 2008, quindi
34 anni dopo.
Occorre, peraltro,
rilevare come il momento della diagnosi non corrisponda
necessariamente con il momento di inizio del processo patologico.
Inoltre, sulla base
della letteratura richiamata in sede di verificazione, il 20/30% dei
soggetti con danno epatico cronico sviluppa cirrosi dopo 10-30 anni
dall’infezione acuta. Da ciò il difensore di parte ricorrente
deriva la conseguenza che il 70/80% dei soggetti svilupperebbe la
cirrosi prima o dopo tale arco temporale, per concludere che,
contrariamente a quanto sostenuto dalla commissione verificatrice, la
cirrosi epatica potrebbe manifestarsi anche dopo un notevole lasso di
tempo dal contagio, tempo che potrebbe essere superiore a 30 anni,
come nel caso di specie.
Le doglianze di
parte ricorrente volte a contestare le conclusioni contenute nella
relazione dell'organo verificatore non meritano, tuttavia, adesione
risultando basate su mere ipotesi non confermate da dati probatori e
pertanto, alla luce della richiamata giurisprudenza, da disattendere.
3.5 L’organo
verificatore ha altresì escluso la sussistenza del nesso causale
sulla base dell’esistenza di altre possibili cause di contagio.
Il virus -OMISSIS-
(-OMISSIS-) si trasmette principalmente per via parenterale, quindi
per via ematica (utilizzo della stessa siringa tra tossicodipendenti,
interventi chirurgici, uso nel passato di siringhe di vetro, utilizzo
di oggetti per la cura personale – come rasoi, spazzolini da denti
o attrezzature per la manicure o pedicure – contaminati con sangue
infetto, utilizzo di materiali non sterilizzati per effettuare
trattamenti estetici – come piercing e tatuaggi), e meno
frequentemente per via sessuale e per via verticale (da madre a
figlio).
Il ricorrente è
stato sottoposto a due interventi chirurgici, uno – appendicectomia
– nel 1951 e l’altro – tonsillectomia – nel 1964.
Al fine di accertare
la possibilità o meno di contagio sarebbe necessario verificare se,
in occasione dei predetti interventi, siano stati utilizzati
strumenti non sterilizzati oppure se il ricorrente sia stato
sottoposto ad emotrasfusioni. Quest’ultimo, tuttavia, nega di avere
a disposizione la documentazione sanitaria relativa agli interventi
in parola.
Ne deriva che non è
possibile identificare la fonte dell’infezione, ossia se la stessa
sia stata contratta in occasione delle vaccinazioni piuttosto che
degli interventi chirurgici.
La storia clinica
del ricorrente, pertanto, è caratterizzata dalla presenza di
potenziali cause di contagio, ulteriori rispetto a quella dallo
stesso dedotta a fondamento della domanda avanzata nel presente
giudizio.
Non è possibile
escludere, altresì, che il ricorrente abbia utilizzato strumenti
personali taglienti (ad esempio rasoi o forbici), intrisi di
materiale ematico infetto.
3.6 Se è vero, come
la giurisprudenza ha avuto modo di chiarire, che in presenza di più
possibili e diverse concause di un medesimo fatto, nessuna delle
quali appaia né del tutto inverosimile, né risulti con evidenza
avere avuto efficacia esclusiva rispetto all'evento, è compito del
giudice valutare quale di esse appaia “più probabile che non”
rispetto alle altre nella determinazione dell'evento, e non già
negare l'esistenza della prova del nesso causale, per il solo fatto
che il danno sia teoricamente ascrivibile a varie alternative ipotesi
(Cass. civ., Sez. III, 20 febbraio 2018, n. 4024; Cass. civ., Sez.
III, 21 luglio 2011, n. 15991), è altresì vero che se, al termine
dell'istruttoria, non risulti provato il nesso tra condotta ed
evento, per essere la causa del danno lamentato dal ricorrente
rimasta assolutamente incerta, la domanda deve essere rigettata
(Cass. civ., Sez. III, 31 gennaio 2018, n. 2371; Cass. civ., Sez.
III, 26 luglio 2017, n. 18392; Cass. civ., Sez. III, 14 novembre
2017, n. 26824; Cass. civ., Sez. III, 14 novembre 2017, n. 26825).
3.7 Nel caso di
specie, la valutazione delle risultanze istruttorie induce a ritenere
che non risultano positivamente acquisiti elementi sufficienti ad
affermare che la condizione patologica sofferta dal ricorrente sia,
sulla base di un principio di probabilità qualificata,
eziologicamente riconducibile ai vaccini effettuatigli durante la
vigenza del rapporto lavorativo.
In altri termini, in
assenza di qualsivoglia prova in ordine alla sussistenza di un
collegamento tra il contagio e le vaccinazioni subite con siringhe di
vetro, non è possibile identificare la causa dell’avvenuta
infezione; diversamente opinando, si giungerebbe all’errata
conclusione di ritenere provato il nesso causale solo sulla base
della potenziale idoneità dell’utilizzo di siringhe non
sterilizzate alla causazione della patologia epatica di cui trattasi,
con conseguente violazione del disposto normativo di cui all’art.
2087 c.c., che configura una responsabilità contrattuale ancorata a
criteri probabilistici e non solo possibilistici (Cass. civ., Sez.
Lav., 29 gennaio 2013, n. 2038).
4. Per le
considerazioni svolte la domanda di accertamento della responsabilità
dell’Amministrazione resistente nella causazione della patologia
epatica sofferta dal ricorrente risulta infondata.
L’infondatezza
della predetta domanda di accertamento determina, altresì, il
rigetto della domanda risarcitoria spiegata dal ricorrente.
5. Sussistono
tuttavia giusti motivi per disporre la compensazione delle spese tra
le parti in ragione della natura della controversia.
6. Le spese di
verificazione, da porsi a carico della parte ricorrente, sono
liquidate complessivamente in euro 500,00 (=cinquecento/00), come da
precedenti della Sezione relativi alla fase cautelare dei giudizi.
P.Q.M.
Il Tribunale
Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Bis),
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto,
così provvede:
- respinge il
ricorso sia quanto alla domanda di accertamento sia quanto alla
domanda di condanna;
- compensa le spese;
- pone a carico
della parte ricorrente le spese di verificazione, che liquida in euro
500,00 (=cinquecento/00).
Ordina che la
presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Ritenuto che
sussistano i presupposti di cui all’art. 22, comma 8, D.lg.s.
196/2003, manda alla Segreteria di procedere, in qualsiasi ipotesi di
diffusione del presente provvedimento, all'oscuramento delle
generalità nonché di qualsiasi dato idoneo a rivelare lo stato di
salute delle parti o di persone comunque ivi citate.
Così deciso in Roma
nella camera di consiglio del giorno 11 luglio 2018 con l'intervento
dei magistrati:
Concetta Anastasi,
Presidente
Rosa Perna,
Consigliere, Estensore
Roberto Vitanza,
Primo Referendario
L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE
Rosa Perna
Concetta Anastasi
IL SEGRETARIO
In caso di
diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi
dei soggetti interessati nei termini indicati.
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