N. 9 ORDINANZA 16 - 31 gennaio 2020
Giudizio sull'ammissibilita' di ricorso per conflitto di attribuzione
tra poteri dello Stato.
Referendum - Referendum abrogativo su leggi costituzionalmente
necessarie (in particolare, su leggi elettorali) - Eventuale
difetto del carattere di auto-applicativita' della normativa "di
risulta" - Sospensione de iure dell'entrata in vigore
dell'abrogazione referendaria, fino all'adozione di misure
attuative che ne rendano gli effetti interamente operativi - Omessa
previsione da parte del legislatore - Ricorso per conflitto di
attribuzione tra poteri dello Stato promosso, nei confronti della
Camera dei deputati e del Senato della Repubblica, da cinque
Consigli regionali (della Basilicata, del Friuli-Venezia Giulia,
della Lombardia, della Sardegna e del Veneto) facenti parte degli
otto promotori di richiesta referendaria sul sistema di elezione
del Parlamento nazionale - Denunciata mancanza di ragionevole e
proporzionato bilanciamento tra il principio della costante
operativita' degli organi costituzionali e di rilievo
costituzionale e il diritto-potere al referendum, quale corollario
del principio di sovranita' popolare - Inammissibilita' del
ricorso.
- Legge 25 maggio 1970, n. 352, art. 37, terzo comma, secondo
periodo.
- Costituzione, art. 75.
(GU n.6 del 5-2-2020 )
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente:Marta CARTABIA;
Giudici :Aldo CAROSI, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO,
Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolo' ZANON,
Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI,
Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANO', Luca ANTONINI, Stefano
PETITTI,
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato
sorto in relazione all'art. 37, terzo comma, secondo periodo, della
legge 25 maggio 1970, n. 352 (Norme sui referendum previsti dalla
Costituzione e sulla iniziativa legislativa del popolo), in ragione
della mancata adozione di una legislazione che imponga, nell'ipotesi
di referendum abrogativo su leggi costituzionalmente necessarie e, in
particolare, sulle leggi elettorali di organi costituzionali e di
rilievo costituzionale, la sospensione degli effetti del referendum
stesso, allorche' - attesa la natura non autoapplicativa della
normativa di risulta - sia necessario adottare una disciplina
attuativa del risultato del referendum idonea ad assicurare la
costante operativita' degli organi costituzionali e di rilievo
costituzionale, e finche' tale disciplina non sia approvata, promosso
dai Consigli regionali delle Regioni Basilicata, Friuli-Venezia
Giulia, Lombardia, Sardegna e Veneto, con ricorso depositato in
cancelleria il 7 gennaio 2020 e iscritto al n. 1 del registro
conflitti tra poteri dello Stato 2020, fase di ammissibilita'.
Udito nella camera di consiglio del 15 gennaio 2020 il Giudice
relatore Daria de Pretis;
deliberato nella camera di consiglio del 16 gennaio 2020.
Ritenuto che i Consigli regionali delle Regioni Basilicata,
Friuli-Venezia Giulia, Lombardia, Sardegna e Veneto hanno promosso
ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato
affinche' la Corte costituzionale dichiari che non spettava alla
Camera dei deputati e al Senato della Repubblica, quali titolari
della funzione legislativa, il «potere di omettere l'adozione di una
legislazione che imponga, nell'ipotesi di referendum abrogativo su
leggi costituzionalmente necessarie, e, in particolare, su leggi
elettorali di organi costituzionali e di rilievo costituzionale, la
sospensione degli effetti del referendum stesso, allorche' - attesa
la natura non autoapplicativa della relativa normativa di risulta -
sia necessario adottare una disciplina attuativa del medesimo, idonea
ad assicurare la costante operativita' degli organi costituzionali e
di rilievo costituzionale, e finche' tale disciplina non sia
approvata», e, per l'effetto, annulli l'art. 37, terzo comma, secondo
periodo, della legge 25 maggio 1970, n. 352 (Norme sui referendum
previsti dalla Costituzione e sulla iniziativa legislativa del
popolo), «nella parte in cui non prevede la sospensione de jure degli
effetti del referendum approvato, condizionata all'adozione delle
misure applicative sufficienti ad assicurare la piena operativita'
della legge costituzionalmente necessaria, e, segnatamente, della
legge elettorale per gli organi costituzionali e di rilievo
costituzionale»;
che i ricorrenti premettono di aver depositato, il 30 settembre
2019, presso la cancelleria della Corte di cassazione, la richiesta
di referendum abrogativo sottoscritta dai delegati dei Consigli
regionali dell'Abruzzo, della Basilicata, del Friuli-Venezia Giulia,
della Liguria, della Lombardia, del Piemonte, della Sardegna e del
Veneto, concernente alcune disposizioni del d.P.R. 30 marzo 1957, n.
361 (Approvazione del testo unico delle leggi recanti norme per la
elezione della Camera dei deputati), del decreto legislativo 20
dicembre 1993, n. 533 (Testo unico delle leggi recanti norme per
l'elezione del Senato della Repubblica), della legge 27 maggio 2019,
n. 51 (Disposizioni per assicurare l'applicabilita' delle leggi
elettorali indipendentemente dal numero dei parlamentari) e della
legge 3 novembre 2017, n. 165 (Modifiche al sistema di elezione della
Camera dei deputati e del Senato della Repubblica. Delega al Governo
per la determinazione dei collegi elettorali uninominali e
plurinominali);
che, con ordinanza del 16 ottobre 2019, l'Ufficio centrale per il
referendum, costituito presso la Corte di cassazione, ha invitato i
delegati dei Consigli regionali a integrare la formulazione del
quesito e ha proposto, al fine di identificare l'oggetto del
referendum, la denominazione «Abolizione del metodo proporzionale
nell'attribuzione dei seggi in collegi plurinominali nel sistema
elettorale della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica»,
assegnando, altresi', termine sino all'8 novembre 2019 per
l'anzidetta integrazione e per eventuali osservazioni scritte;
che, con ordinanza depositata il 20 novembre 2019, l'Ufficio
centrale ha dichiarato legittima la richiesta di referendum e, il 26
novembre 2019, i delegati dei Consigli regionali hanno ricevuto dalla
Corte costituzionale la comunicazione della fissazione della camera
di consiglio per la discussione sull'ammissibilita' del referendum
per il giorno 15 gennaio 2020;
che, quanto ai presupposti soggettivi del conflitto, i ricorrenti
affermano la loro legittimazione, ai sensi dell'art. 37, primo comma,
della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul
funzionamento della Corte costituzionale), richiamando, a sostegno,
la sentenza n. 69 del 1978 e, soprattutto, l'ordinanza n. 82 del 2016
della Corte costituzionale;
che non rileverebbe la differenza tra il numero dei Consigli
regionali che hanno richiesto il referendum (otto) e il numero di
quelli che hanno proposto l'odierno conflitto (cinque), dal momento
che l'art. 75 Cost. indica in cinque Consigli regionali il centro di
imputazione del potere di iniziativa referendaria;
che i Consigli ricorrenti si sarebbero attenuti alle indicazioni
contenute nell'ordinanza n. 82 del 2016, quanto alla necessita' di
adottare un'apposita delibera di promozione del conflitto,
aggiungendo a quest'ultima, in qualche caso, una delibera adesiva
della Giunta regionale o anche un atto del Presidente della Giunta;
che, quanto ai presupposti oggettivi del conflitto, i ricorrenti
precisano che il requisito della «residualita'», quale condizione di
ammissibilita' dei conflitti interorganici riguardanti atti di natura
legislativa, non avrebbe un carattere «assoluto», poiche' un
conflitto di questo tipo sarebbe da ritenere ammissibile «se incide
sulla materia costituzionale e determina situazioni non piu'
reversibili ne' sanabili anche a seguito della perdita di efficacia
della norma» (in proposito sono richiamate le sentenze n. 229 del
2018 e n. 161 del 1995 e l'ordinanza n. 480 del 1995);
che, dunque, l'esigenza di un'immediata ed efficace tutela del
sistema costituzionale delle competenze legittimerebbe il ricorso
allo strumento del conflitto interorganico in luogo dell'incidente di
costituzionalita';
che l'eventuale giudizio incidentale di legittimita'
costituzionale potrebbe essere avviato solo mediante
un'autorimessione della relativa questione da parte della Corte nel
corso del giudizio di ammissibilita' del referendum;
che, in tal caso, pero', la necessita' di rispettare i termini
processuali renderebbe «virtualmente impossibile il rispetto delle -
altrettanto - inderogabili scadenze temporali, sulle quali e'
calibrato il procedimento referendario»;
che, in particolare, l'autopromovimento della questione di
legittimita' costituzionale non consentirebbe di rispettare il
termine del 20 gennaio, previsto dall'art. 33, primo comma, della
legge n. 352 del 1970 per la «deliberazione» in merito
all'ammissibilita' del referendum, come pure gli altri termini
previsti dallo stesso art. 33 e dall'art. 34, pregiudicando, in
maniera definitiva, la possibilita' di apprestare adeguata garanzia
alle prerogative spettanti ai Consigli regionali ricorrenti, quali
intestatari del potere di iniziativa ex art. 75 Cost.;
che questi ultimi vanterebbero, quindi, «un interesse attuale e
concreto alla reintegrazione del proprio ambito competenziale»,
asseritamente leso dall'art. 37, terzo comma, secondo periodo, della
legge n. 352 del 1970, e siffatta reintegrazione - sempre secondo i
ricorrenti - potrebbe essere assicurata solo mediante il promovimento
di un conflitto tra poteri;
che, nel merito, e' richiamata la giurisprudenza costituzionale
secondo cui, nell'ipotesi di referendum abrogativi attinenti a leggi
costituzionalmente necessarie e, in particolare, a leggi elettorali,
gli organi costituzionali o di rilevanza costituzionale «non possono
essere esposti alla eventualita', anche soltanto teorica, di paralisi
di funzionamento» (sentenza n. 29 del 1987), con la conseguenza che
questi referendum devono riguardare solo parti delle leggi anzidette,
in modo che residui «una normativa complessivamente idonea a
garantire il rinnovo, in ogni momento, dell'organo costituzionale
elettivo» (e' richiamata, tra le altre, la sentenza n. 15 del 2008);
che dalla disamina di questa giurisprudenza i ricorrenti deducono
che «il principio della "costante operativita'" degli organi
costituzionali e di rilievo costituzionale dispiega una pregnante
portata assiologica, ostando all'ammissibilita' di referendum
abrogativi su leggi elettorali, tutte le volte che il relativo
quesito non assicuri una normativa di risulta "autoapplicativa"»;
che proprio la considerazione che l'eventuale difetto di
«autosufficienza» della normativa di risulta possa determinare «il
sacrificio integrale del contrapposto interesse dei promotori e dei
cittadini, rispettivamente, a dare impulso all'iniziativa
referendaria e a pronunciarsi mediante l'esercizio del suffragio»,
renderebbe ineludibile - secondo i ricorrenti - «ricondurre il
bilanciamento tra i principi costituzionali menzionati [...] entro
canoni di "ragionevolezza" e "proporzionalita'"»;
che, in proposito, la difesa dei Consigli regionali riconosce che
i criteri di ammissibilita' dei referendum enucleati dalla Corte
costituzionale «condizionano e precedono, logicamente, il perimetro
dell'interesse tutelato (vale a dire, il diritto-potere al
referendum)»;
che, tuttavia, «trattandosi di parametri ricavati, per via
ermeneutica, da "esigenze supreme" dell'ordinamento
giuridico-costituzionale», sarebbe necessario «interrogarsi sul
"peso" che, nella valutazione operata, si sarebbe dovuto - e si
dovrebbe - attribuire proprio a quell'interesse, quale corollario del
principio di sovranita' popolare»;
che questa Corte non potrebbe accordare «preferenza assoluta,
esclusiva e assorbente» al principio di «costante operativita'» degli
organi costituzionali e di rilievo costituzionale, il quale, per
questo verso, diverrebbe «tiranno» nei confronti di altre situazioni
giuridiche costituzionalmente riconosciute e tutelate, e dovrebbe,
piuttosto, bilanciare la tutela di siffatto principio con altri di
pari rango, tra cui quello di sovranita' popolare, cui si riconnette
l'interesse allo svolgimento del referendum;
che, sempre secondo la difesa dei Consigli regionali, la
giurisprudenza costituzionale sarebbe «approdata, attraverso la
valorizzazione del canone di proporzionalita', quale riflesso del
piu' generale principio di ragionevolezza, alla dottrina del "vincolo
del minor sacrificio possibile", come regola di sindacato (e censura)
sull'utilizzo della discrezionalita' legislativa»;
che, tuttavia, di questa dottrina non vi sarebbe traccia nella
giurisprudenza relativa all'ammissibilita' dei referendum abrogativi
su leggi elettorali, sebbene il vincolo rappresentato
dall'«autosufficienza» della normativa di risulta comporti - sempre
secondo i ricorrenti - «una limitazione estrema a carico del
diritto-potere al referendum, sancito dall'art. 75 Cost.»;
che, nel caso delle leggi costituzionalmente necessarie, il
legislatore, asseritamente interessato a scongiurare l'abrogazione
referendaria, potrebbe costruire la struttura dell'atto normativo in
modo tale da impedire, di fatto, un intervento manipolativo che
garantisca la sopravvivenza di una normativa di risulta
«autosufficiente»;
che, pertanto, la possibilita' di esercitare i «diritti di
democrazia diretta» sarebbe rimessa alla «totale disponibilita' del
"controinteressato" all'iniziativa referendaria, il Legislatore»,
«grazie ad un'applicazione "opportunistica" dell'usbergo del
principio di "costante operativita'" degli organi costituzionali e di
rilievo costituzionale»;
che l'esigenza di tener conto della dottrina del «vincolo del
minor sacrificio possibile», che costituirebbe «la premessa
"metodologica" indispensabile» per bilanciare il principio della
«costante operativita'» con quello di sovranita' popolare, si
tradurrebbe in concreto nella necessita' di una «modulazione degli
effetti temporali dell'abrogazione referendaria»;
che, in particolare, secondo i ricorrenti il «punto di equilibrio
normativo» dovrebbe essere individuato nella «previsione della
sospensione dell'entrata in vigore dell'abrogazione referendaria,
sino all'adozione, ad opera del Legislatore, delle misure
applicative, che ne rendano gli effetti interamente operativi»;
che la sospensione degli effetti dell'abrogazione referendaria
non rappresenterebbe «una fattispecie meramente ipotetica, tra le
possibili soluzioni di bilanciamento tra principi costituzionali in
gioco» (e' richiamato, sul punto, quanto previsto dall'art. 37, terzo
comma, secondo periodo, della legge n. 352 del 1970 e quanto
eccezionalmente disposto dall'art. 2 della legge 7 agosto 1987, n.
332, recante «Deroghe alla legge 25 maggio 1970, n. 352, in materia
di referendum»);
che nella medesima prospettiva si inquadrerebbe anche quanto
stabilito dall'art. 10 della legge 4 agosto 1993, n. 276 (Norme per
l'elezione del Senato della Repubblica) e dall'art. 10 della legge 4
agosto 1993, n. 277 (Nuove norme per l'elezione della Camera dei
deputati), disposizioni, queste, con le quali era stata introdotta
una disciplina transitoria che subordinava la produzione dell'effetto
abrogativo della pregressa disciplina elettorale all'entrata in
vigore di quella di attuazione della nuova;
che gli eventuali inconvenienti applicativi derivanti
dall'introduzione di una nuova disciplina sarebbero stati risolti,
dunque, «attraverso la scelta, propria della discrezionalita'
legislativa, di utilizzare l'istituto della condizione sospensiva
dell'operativita' della novella, in modo tale da bilanciare
l'interesse e/o valore riconducibile all'esercizio della funzione
legislativa stessa con quello della "continuita'" degli organi
costituzionali e/o di rilievo costituzionale»;
che da quanto detto i ricorrenti deducono l'assenza nella legge
n. 352 del 1970 di «un dispositivo che, nella logica del
bilanciamento - ragionevole e proporzionato - tra interessi e/o
valori costituzionali confliggenti, contempli la sospensione degli
effetti dell'abrogazione, sino all'adozione della disciplina
necessaria al fine di garantire l'"autosufficienza" della normativa
di risulta, si' da attenuare l'entita' del sacrificio (attualmente
integrale) a carico del principio della sovranita' popolare a
vantaggio di quello della "costante operativita'" degli organi
costituzionali e di rilievo costituzionale, permettendo, comunque, al
corpo elettorale di esprimersi e manifestare la propria (eventuale)
volonta' abrogatrice»;
che, muovendo da queste considerazioni, la disciplina recata
dall'art. 37, terzo comma, secondo periodo, della legge n. 352 del
1970 costituirebbe «una soluzione irragionevole - e, percio',
costituzionalmente illegittima -, nella misura in cui, nella sua
attuale formulazione, non [sarebbe] in grado di far fronte - per il
caso di approvazione di un referendum abrogativo da cui scaturisca
una normativa non "autoapplicativa" - al rischio di una lesione
integrale del bene giuridico della "continuita' funzionale" delle
istituzioni coinvolte, a meno di non rinunziare, completamente, alla
tutela del principio di sovranita' popolare»;
che, in occasione del giudizio di ammissibilita' del referendum
deciso con la sentenza n. 13 del 2012, l'allora Comitato promotore
eccepi' l'incostituzionalita' dell'art. 37, terzo comma, secondo
periodo, della legge n. 352 del 1970, chiedendo alla Corte, previa
rimessione davanti a se' della questione, di dichiarare
l'illegittimita' di tale disposizione nella parte in cui non
stabilisce «che il Capo dello Stato possa reiterare, sino
all'intervento delle Camere, il differimento di 60 giorni
dell'entrata in vigore del referendum stesso»;
che l'eccezione fu, pero', respinta in quanto manifestamente
infondata, poiche' il suo eventuale accoglimento, oltre a rimettere
alla mera volonta' dei parlamentari la determinazione del momento di
produzione dell'effetto abrogativo del referendum, avrebbe
comportato, in caso di inerzia del legislatore e di ripetute
reiterazioni, «una grave incertezza che esporrebbe organi
costituzionali a una paralisi di funzionamento anche solo teorica e
temporanea»;
che per questa ragione, con l'odierno ricorso per conflitto, i
cinque Consigli regionali sollecitano «un intervento additivo, che
estenda la previsione della sospensione, di cui all'art. 37, comma 3,
secondo periodo, l. 25 maggio 1970, n. 352, rendendola automatica, e
a tempo indeterminato, per il caso in cui la normativa di risulta non
sia "autoapplicativa", sino all'adozione, da parte del Legislatore,
delle misure attuative sufficienti ad assicurare la piena
operativita' della legge costituzionalmente necessaria, e,
segnatamente, della legge elettorale stessa»;
che, peraltro, non mancherebbero nella giurisprudenza
costituzionale analoghe pronunce manipolative e additive in sede di
conflitto intersoggettivo (e' richiamata la sentenza n. 127 del
1995);
che non avrebbero fondamento le possibili obiezioni secondo le
quali l'intervento additivo richiesto alla Corte rischierebbe - in
caso di persistente inerzia del legislatore - di pregiudicare il bene
della vita che si vuole perseguire mediante il referendum e sarebbe,
altresi', dubbia l'esistenza stessa di un obbligo, a carico del
Parlamento, di intervenire nel senso richiesto dai promotori;
che, piuttosto, l'eventuale omissione del legislatore
integrerebbe «una fattispecie indiretta di violazione del limite
[...] per il quale la disciplina abrogata per via popolare e' da
reputarsi superata e non piu' "ripristinabile"»;
che il legislatore, «per non trasgredire il divieto di ripristino
(di cui il mantenimento in vigore costituirebbe, palesemente, una
variante "in frode" al divieto stesso)», sarebbe obbligato a
introdurre le misure attuative dell'esito referendario o ad adottare
una nuova disciplina sostanzialmente diversa da quella abrogata;
che, di conseguenza, la mera inerzia esporrebbe il legislatore
alla censura della responsabilita' politica, ma costituirebbe anche
un comportamento «antigiuridico, in quanto commesso in spregio dei
principi costituzionali in tema di "seguito" referendario»;
che non mancherebbero gli strumenti diretti a stimolare
l'intervento del legislatore, ben potendo i promotori del referendum
proporre un conflitto interorganico avverso l'omissione legislativa,
essendo legittimati ad agire in ragione del mancato esaurimento del
procedimento referendario a seguito della sospensione dell'effetto
abrogativo;
che, inoltre, il Presidente della Repubblica potrebbe esercitare
il suo potere di messaggio e di esternazione o addirittura sciogliere
le Camere, saldandosi, in questo caso, la responsabilita' giuridica
da inadempimento con la verifica della responsabilita' politica;
che, infine, al ricorso sono allegate le delibere dei cinque
Consigli regionali, con le quali e' stato deciso il promovimento
dell'odierno conflitto, e un'istanza con la quale la difesa dei
ricorrenti chiede che quest'ultimo sia deciso prima della
deliberazione sull'ammissibilita' della richiesta di referendum
abrogativo, «eventualmente, se ritenuto opportuno, rinviando la
camera di consiglio fissata per il 15 gennaio 2020, e/o prevedendo la
discussione di entrambi i giudizi anche nello stesso giorno»;
che l'istanza di anticipata fissazione e' motivata in ragione: 1)
del «carattere di pregiudizialita' sostanziale», che la decisione del
presente conflitto avrebbe rispetto a quella sull'ammissibilita' del
quesito referendario; 2) dei «ritardi legati all'esigenza di
coordinare i Consigli regionali ricorrenti (anche in considerazione
dei limitatissimi precedenti in punto di procedura per l'introduzione
del ricorso medesimo [...]), e alla sovrapposizione della relativa
deliberazione con le sessioni di bilancio regionali di fine 2019»,
che la presentazione del ricorso avrebbe scontato.
Considerato che i Consigli regionali delle Regioni Basilicata,
Friuli-Venezia Giulia, Lombardia, Sardegna e Veneto hanno promosso
ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato
affinche' la Corte costituzionale dichiari che non spettava alla
Camera dei deputati e al Senato della Repubblica, quali titolari
della funzione legislativa, il «potere di omettere l'adozione di una
legislazione che imponga, nell'ipotesi di referendum abrogativo su
leggi costituzionalmente necessarie, e, in particolare, su leggi
elettorali di organi costituzionali e di rilievo costituzionale, la
sospensione degli effetti del referendum stesso, allorche' - attesa
la natura non autoapplicativa della relativa normativa di risulta -
sia necessario adottare una disciplina attuativa del medesimo, idonea
ad assicurare la costante operativita' degli organi costituzionali e
di rilievo costituzionale, e finche' tale disciplina non sia
approvata», e, per l'effetto, annulli l'art. 37, terzo comma, secondo
periodo, della legge 25 maggio 1970, n. 352 (Norme sui referendum
previsti dalla Costituzione e sulla iniziativa legislativa del
popolo), «nella parte in cui non prevede la sospensione de jure degli
effetti del referendum approvato, condizionata all'adozione delle
misure applicative sufficienti ad assicurare la piena operativita'
della legge costituzionalmente necessaria, e, segnatamente, della
legge elettorale per gli organi costituzionali e di rilievo
costituzionale»;
che, in questa fase del giudizio, la Corte e' chiamata a
deliberare, in camera di consiglio e senza contraddittorio, sulla
sussistenza dei requisiti soggettivo e oggettivo prescritti dall'art.
37, primo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla
costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), ossia a
decidere se il conflitto insorga tra organi competenti a dichiarare
definitivamente la volonta' del potere cui appartengono e per la
delimitazione della sfera di attribuzioni delineata per i vari poteri
da norme costituzionali;
che, sotto il profilo soggettivo, deve essere riconosciuta la
legittimazione ad agire ai cinque Consigli regionali;
che, al riguardo, questa Corte ha precisato che, «essendo
conferita dall'art. 75 Cost. la facolta' di richiedere i referendum
ad almeno cinque Consigli regionali, la legittimazione al conflitto
tra poteri deve ritenersi attribuita a non meno di cinque Consigli
tra quelli che si sono attivati», «in quanto configurati come
autonomo centro di imputazione dell'attribuzione costituzionale di
cui all'art. 75, [...], non essendo possibile scindere la titolarita'
del potere dalla legittimazione al ricorso» (ordinanza n. 82 del
2016);
che, nell'odierno giudizio per conflitto, i cinque Consigli
regionali ricorrenti sono tra i promotori dell'anzidetto referendum
abrogativo;
che al ricorso per conflitto sono allegate le delibere dei cinque
Consigli regionali con cui e' stato deciso il promovimento dello
stesso;
che deve essere, altresi', riconosciuta la legittimazione a
resistere del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati,
venendo in contestazione il contenuto di un atto legislativo (art.
37, terzo comma, secondo periodo, della legge n. 352 del 1970);
che, con riferimento ai presupposti oggettivi, i ricorrenti non
indicano uno o piu' parametri asseritamente violati, se non
genericamente l'art. 75 Cost., limitandosi a lamentare una lesione
della loro sfera di attribuzioni determinata dalla previsione
dell'art. 37, terzo comma, secondo periodo, della legge n. 352 del
1970, sull'assunto che questa Corte ritenga che la normativa di
risulta del referendum da essi promosso non sia autoapplicativa;
che - anche a voler prescindere dal carattere meramente ipotetico
del conflitto - risulta evidente che nel caso di specie non ricorrono
le condizioni alle quali e' subordinata l'ammissibilita' del
conflitto avente ad oggetto norme recate da una legge o da un atto
con forza di legge;
che, infatti, in merito all'idoneita' di una legge a determinare
conflitto di attribuzione, la giurisprudenza di questa Corte ha
ammesso, in linea di principio, la configurabilita' del conflitto di
attribuzione in relazione ad una norma recata da una legge o da un
atto avente forza di legge tutte le volte in cui da essa «possano
derivare lesioni dirette all'ordine costituzionale delle competenze»
(ordinanza n. 343 del 2003), ad eccezione dei casi in cui esiste un
giudizio nel quale tale norma debba trovare applicazione e quindi
possa essere sollevata la questione incidentale sulla legge (tra le
piu' recenti, sentenze n. 229 del 2018, n. 284 del 2005 e n. 221 del
2002; ordinanze n. 273 del 2017, n. 17 e n. 16 del 2013, n. 14 e n. 1
del 2009, n. 38 del 2008, n. 296 e n. 69 del 2006);
che, pertanto, «nella generalita' dei casi va esclusa
l'esperibilita' del ricorso per conflitto tra poteri, tutte le volte
che l'atto legislativo - al quale sia in ipotesi imputata una lesione
di attribuzioni costituzionali - puo' pacificamente trovare
applicazione in un giudizio, nel corso del quale la relativa
questione di legittimita' costituzionale puo' essere eccepita, e
sollevata» (sentenza n. 229 del 2018);
che, cio' nondimeno, questa Corte ha riconosciuto ammissibile il
ricorso per conflitto su atto legislativo anche nell'ipotesi in cui
lo stesso soggetto direttamente interessato non sia nella condizione
di poter rilevare la lesione delle attribuzioni costituzionali sotto
forma di eccezione di legittimita' costituzionale nel giudizio in via
incidentale (sentenze n. 229 del 2018 e n. 457 del 1999; ordinanza n.
38 del 2001);
che, tuttavia, nel caso oggetto del presente giudizio non solo
sussiste l'astratta possibilita' per i ricorrenti di attivare il
rimedio della proposizione della questione di legittimita'
costituzionale sulla norma oggetto del conflitto, ma tale
possibilita' i medesimi ricorrenti hanno concretamente esercitato,
sollevando, nella veste di promotori, l'eccezione di
incostituzionalita' della stessa norma nel giudizio di ammissibilita'
del referendum abrogativo (registro referendum n. 172);
che, pertanto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara inammissibile il ricorso per conflitto di attribuzione
tra poteri dello Stato, promosso dai Consigli regionali delle Regioni
Basilicata, Friuli-Venezia Giulia, Lombardia, Sardegna e Veneto, con
il ricorso indicato in epigrafe.
Cosi' deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 16 gennaio 2020.
F.to:
Marta CARTABIA, Presidente
Daria de PRETIS, Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 31 gennaio 2020.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: Roberto MILANA
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