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mercoledì 1 luglio 2020

N. 132 ORDINANZA 9 - 26 giugno 2020 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. Reati e pene - Diffamazione aggravata, commessa a mezzo stampa e consistente nell'attribuzione di un fatto determinato - Trattamento sanzionatorio - Pena detentiva (congiunta o alternativa a pena pecuniaria) - Denunciata irragionevolezza, violazione del diritto di espressione, anche come enunciato dalla CEDU e interpretato dalla Corte EDU, nonche' del principio di offensivita' e della funzione di prevenzione generale e speciale della pena - Necessita' di nuovo bilanciamento tra liberta' di manifestazione del pensiero e tutela della reputazione individuale, in particolare con riferimento all'attivita' giornalistica - Intervento riservato alla discrezionalita' del legislatore - Rinvio della decisione all'udienza del 22 giugno 2021, con conseguente sospensione dei giudizi a quibus. - Legge 8 febbraio 1948, n. 47, art. 13; codice penale, art. 595, terzo comma. - Costituzione, artt. 3, 21, 25, 27 e 117, primo comma; Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, art. 10. (GU n.27 del 1-7-2020 )

N. 132 ORDINANZA 9 - 26 giugno 2020

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.

Reati e pene - Diffamazione aggravata,  commessa  a  mezzo  stampa  e
  consistente nell'attribuzione di un fatto determinato - Trattamento
  sanzionatorio - Pena detentiva  (congiunta  o  alternativa  a  pena
  pecuniaria) - Denunciata irragionevolezza, violazione  del  diritto
  di espressione, anche come  enunciato  dalla  CEDU  e  interpretato
  dalla Corte EDU, nonche' del  principio  di  offensivita'  e  della
  funzione di prevenzione generale e speciale della pena - Necessita'
  di nuovo bilanciamento tra liberta' di manifestazione del  pensiero
  e  tutela  della  reputazione  individuale,  in   particolare   con
  riferimento all'attivita' giornalistica - Intervento riservato alla
  discrezionalita'  del  legislatore   -   Rinvio   della   decisione
  all'udienza del 22 giugno 2021,  con  conseguente  sospensione  dei
  giudizi a quibus.
- Legge 8 febbraio 1948, n. 47, art. 13;  codice  penale,  art.  595,
  terzo comma.
- Costituzione, artt. 3, 21, 25, 27 e 117, primo  comma;  Convenzione
  per  la  salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo  e  delle   liberta'
  fondamentali, art. 10.
(GU n.27 del 1-7-2020 )
 

                       LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:
Presidente:Marta CARTABIA;
Giudici :Aldo CAROSI,  Mario  Rosario  MORELLI,  Giancarlo  CORAGGIO,
  Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de  PRETIS,  Nicolo'  ZANON,
  Franco  MODUGNO,  Augusto  Antonio  BARBERA,  Giulio   PROSPERETTI,
  Giovanni  AMOROSO,  Francesco  VIGANO',  Luca   ANTONINI,   Stefano
  PETITTI,
     
    ha pronunciato la seguente

                              ORDINANZA

    nei giudizi di legittimita'  costituzionale  dell'art.  13  della
legge 8 febbraio 1948, n. 47 (Disposizioni sulla stampa), e dell'art.
595, terzo comma, del codice penale, promossi dal Tribunale ordinario
di Salerno, sezione seconda penale, con ordinanza del 9 aprile 2019 e
dal Tribunale ordinario di Bari, sezione prima penale, con  ordinanza
del 16 aprile 2019, iscritte, rispettivamente, ai numeri  140  e  149
del registro ordinanze 2019 e  pubblicate  nella  Gazzetta  Ufficiale
della Repubblica numeri 38 e  40,  prima  serie  speciale,  dell'anno
2019.
    Visti l'atto di costituzione  di  P.  N.,  nonche'  gli  atti  di
intervento del Consiglio nazionale dell'ordine dei giornalisti (CNOG)
e del Presidente del Consiglio dei ministri;
    uditi il  Giudice  relatore  Francesco  Vigano'  e  gli  avvocati
Francesco Paolo Chioccarelli per P.  N.,  Giuseppe  Vitiello  per  il
Consiglio nazionale dell'ordine dei giornalisti (CNOG) e gli avvocati
dello Stato Maurizio Greco e Salvatore Faraci per il  Presidente  del
Consiglio dei ministri, nell'udienza  pubblica  del  9  giugno  2020,
svolta, ai sensi del decreto della  Presidente  della  Corte  del  20
aprile 2020, punto 1), lettere a) e d), in collegamento da remoto, su
richiesta  degli  avvocati   Giuseppe   Vitiello,   Francesco   Paolo
Chioccarelli,   Maurizio   Greco   e   Salvatore   Faraci   pervenute
rispettivamente in data 13, 25 e 29 maggio 2020;
    deliberato nella camera di consiglio del 9 giugno 2020.
     

                          Ritenuto in fatto

    1.- Con ordinanza del 9 aprile 2019, iscritta al n. 140 del  r.o.
2019, il Tribunale ordinario di Salerno, sezione seconda  penale,  ha
sollevato, in riferimento agli artt. 3,  21,  25,  27  e  117,  primo
comma, della Costituzione,  quest'ultimo  in  relazione  all'art.  10
della Convenzione europea dei diritti dell'uomo (CEDU), questioni  di
legittimita' costituzionale dell'art. 595, terzo  comma,  del  codice
penale  e  dell'art.  13  della  legge  8  febbraio   1948,   n.   47
(Disposizioni sulla stampa) «per le ragioni di cui in motivazione».
    1.1.- Il giudice a quo riferisce di essere  chiamato  a  decidere
sulla responsabilita' penale  di  P.  N.,  imputato  del  delitto  di
diffamazione a mezzo stampa, e di A. S., imputato in quanto direttore
responsabile per omesso controllo, per aver attribuito  alle  persone
offese un fatto determinato (l'affiliazione a un  sodalizio  mafioso)
non  corrispondente  al  vero  alla  luce  degli  atti  di   indagine
dell'autorita'  giudiziaria.  Poiche',  secondo  il  rimettente,   la
condotta diffamatoria risulta  sussumibile  tanto  nella  fattispecie
generale di cui all'art. 595,  terzo  comma,  cod.  pen.,  quanto  in
quella di cui all'art. 13 della legge n. 47 del 1948, il giudizio  di
merito non potrebbe essere definito indipendentemente dalla soluzione
delle prospettate questioni di legittimita' costituzionale.
    Quanto  alla  non  manifesta  infondatezza  delle  questioni,  il
rimettente  ravvisa  anzitutto  il  contrasto  tra  le   disposizioni
censurate e l'art. 117, primo comma, Cost., in relazione all'art.  10
CEDU.
    Rilevato che la liberta' di espressione e' tutelata sia dall'art.
10 CEDU, sia dall'art. 21  Cost.,  sicche'  la  giurisprudenza  della
Corte europea dei  diritti  dell'uomo  formatasi  sulla  disposizione
convenzionale andrebbe utilizzata come «strumento  di  ampliamento  e
adeguamento del diritto interno»,  il  giudice  a  quo  osserva  che,
secondo il consolidato orientamento  della  Corte  EDU,  risulterebbe
contraria all'art. 10 CEDU, in quanto eccessiva e sproporzionata,  la
previsione anche solo in astratto della pena detentiva per i  delitti
di diffamazione a mezzo stampa, salvo che in circostanze  eccezionali
ove si determini una grave lesione  di  altri  diritti  fondamentali,
come ad esempio in caso di discorsi di odio  o  di  istigazione  alla
violenza (sono citate le sentenze  della  Corte  EDU  7  marzo  2019,
Sallusti contro Italia; 24 settembre 2013, Belpietro  contro  Italia;
17 dicembre 2004, Cumpănă e Mazăre contro Romania).
    Non sussisterebbero ostacoli al recepimento di  tale  consolidata
giurisprudenza della Corte EDU, in assenza, nell'ordinamento interno,
di valori o principi costituzionali suscettibili di  prevalere  sulla
liberta' di espressione, tutelata tanto  dall'art.  10  CEDU,  quanto
dall'art. 21 Cost.
    Ne'     sarebbe     possibile     adottare     un'interpretazione
convenzionalmente orientata delle norme censurate, ritenendo soggette
a pena detentiva «esclusivamente le  condotte  diffamatorie  a  mezzo
stampa  che  rivestano   i   caratteri   dell'eccezionalita'».   Tale
interpretazione si porrebbe infatti in contrasto con  i  principi  di
tassativita' e determinatezza della fattispecie penale, corollari del
principio di legalita' di cui all'art. 25 Cost., che impedirebbero al
giudice  di  integrare  la  norma  incriminatrice  con  il  requisito
dell'eccezionalita', «i cui precisi  contorni  e  confini,  peraltro,
dovrebbero   pur   sempre   essere   determinati   puntualmente   dal
legislatore, cui spetta in via esclusiva il potere di  legiferare  in
materia penale».
    Non  potrebbe,  infine,  essere  seguito   l'orientamento   della
giurisprudenza di legittimita', che ha ritenuto la  disciplina  della
diffamazione a mezzo stampa conforme all'art. 10  CEDU,  sul  rilievo
dell'eccezionalita' delle circostanze in  cui  i  giudici  di  merito
avevano irrogato la pena  detentiva,  poiche'  le  valutazioni  della
Corte di cassazione sono state disattese dalla Corte EDU nelle citate
pronunce Sallusti e Belpietro.
    Le disposizioni censurate risulterebbero altresi' contrarie  agli
artt. 3 e 21 Cost., in quanto la previsione di una pena detentiva per
i reati  di  diffamazione  a  mezzo  stampa  sarebbe  «manifestamente
irragionevole e totalmente sproporzionata rispetto alla  liberta'  di
manifestazione di pensiero, anche nella forma del diritto di  cronaca
giornalistica,  fondamentale  diritto  costituzionalmente   garantito
dall'art. 21 Cost., la cui tutela, in assenza di  contrari  interessi
giuridici interni prevalenti,  non  puo'  che  essere  favorevolmente
estesa nelle forme stabilite dalla giurisprudenza  della  Corte  Edu,
eliminando  cosi',  salvi  i  "casi  eccezionali",  anche   la   mera
comminazione di qualunque pena detentiva».
    Secondo il rimettente, poi, la comminatoria di una pena detentiva
per le condotte  di  diffamazione  a  mezzo  stampa  si  porrebbe  in
contrasto con il principio di offensivita', ricavabile  dall'art.  25
Cost., «in quanto  totalmente  sproporzionata,  irragionevole  e  non
necessaria  rispetto  al  bene   giuridico   tutelato   dalle   norme
incriminatrici in questione, ovvero  il  rispetto  della  reputazione
personale».
    Le  norme  censurate  vanificherebbero,   infine,   la   funzione
rieducativa della pena di cui all'art. 27, terzo comma, Cost., attesa
la «inidoneita' della minacciata sanzione detentiva  a  garantire  il
pieno rispetto della funzione generalpreventiva  e  specialpreventiva
della  pena  stessa».  Cio'  in  quanto   detta   sanzione,   essendo
sproporzionata  al  metro  della  giurisprudenza  della  Corte   EDU,
risulterebbe  in  concreto  inapplicabile  e,  quindi,   inidonea   a
orientare la condotta sia della generalita' dei consociati,  sia  del
singolo giornalista.
    1.2.- E' intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, chiedendo che  le  questioni  di  legittimita'  costituzionale
sollevate  dal  Tribunale  ordinario  di  Salerno  siano   dichiarate
inammissibili o infondate.
    L'ordinanza di rimessione  sarebbe  anzitutto  insufficientemente
motivata in punto di rilevanza delle  questioni.  Il  giudice  a  quo
avrebbe omesso di precisare se le affermazioni  diffamatorie  oggetto
di imputazione fossero frutto di una distorta  valutazione  di  fatti
reali o costituissero una notizia pacificamente falsa; profilo questo
rilevante per la valutazione della conformita' delle norme  censurate
agli artt. 117, primo comma, Cost. e 10 CEDU, in quanto,  secondo  la
giurisprudenza della Corte EDU, l'inflizione della pena detentiva per
il delitto di diffamazione a  mezzo  stampa  non  contrasterebbe  con
l'art. 10 CEDU in caso di propalazione di una  notizia  pacificamente
falsa.
    Il  Presidente  del  Consiglio   dei   ministri   eccepisce   poi
l'oscurita'  del  petitum  dell'ordinanza  di  rimessione,  che   non
consentirebbe di comprendere se il rimettente aspiri a  ottenere  una
pronuncia  ablativa  delle  disposizioni  censurate,  una   pronuncia
manipolativa in punto di pena ovvero una pronuncia additiva in ordine
alla delimitazione delle condotte incriminate.
    L'Avvocatura  generale  dello   Stato   evidenzia   inoltre   che
l'accoglimento del petitum - comunque inteso -  non  eliminerebbe  in
toto  i  censurati  profili  di  illegittimita'  costituzionale   del
trattamento sanzionatorio previsto per il reato di  diffamazione,  in
quanto l'art. 595 cod. pen. prevede comunque, anche  in  relazione  a
ipotesi diverse dalla diffamazione a mezzo stampa, la possibilita' di
irrogare la pena detentiva in  via  alternativa  rispetto  alla  pena
pecuniaria.
    L'interveniente eccepisce infine l'omessa adozione, da parte  del
giudice   a   quo,   di   un'interpretazione   costituzionalmente   e
convenzionalmente orientata delle norme censurate, in presenza di  un
diritto vivente indirizzato nel senso della legittimita'  della  pena
detentiva nelle ipotesi di diffamazione a mezzo stampa caratterizzate
dagli elementi di eccezionalita' delineati dalla giurisprudenza della
Corte EDU, in particolare nelle sentenze 16 aprile  2009,  Egeland  e
Hanseid  contro  Norvegia  e  22  aprile  2010,   Fatullayev   contro
Azerbaijan.
    1.3.- Si e' costituita in giudizio  la  parte  P.  N.,  chiedendo
l'accoglimento  delle  questioni   di   legittimita'   costituzionale
sollevate dal Tribunale ordinario di Salerno.
    La parte privata richiama le pronunce della Corte EDU gia' citate
dal rimettente (Belpietro contro Italia e  Sallusti  contro  Italia),
nonche' la sentenza Ricci contro  Italia  dell'8  ottobre  2013,  per
dedurne che la previsione della  pena  detentiva  in  relazione  alle
condotte di diffamazione  a  mezzo  stampa  sarebbe  compatibile  con
l'art.  10  CEDU  solo  in  presenza  di   circostanze   eccezionali,
riconducibili a gravi  lesioni  di  diritti  fondamentali  (quali  la
diffusione di discorsi d'odio o l'istigazione alla violenza), che non
risulterebbero  integrate  dalla  diffamazione  realizzata   mediante
attribuzione di un fatto determinato.
    Alla luce di tale giurisprudenza, l'art. 595, terzo  comma,  cod.
pen. potrebbe essere interpretato in  maniera  conforme  all'art.  10
CEDU,  nel  senso  che  la  pena  detentiva,  ivi  prevista  in   via
alternativa alla pena pecuniaria, sia irrogabile solo in presenza  di
una condotta di diffamazione a mezzo stampa connotata  dal  ricorrere
di circostanze eccezionali.
    Siffatta interpretazione non potrebbe invece  essere  prospettata
in relazione all'art. 13 della legge n. 47 del  1948,  poiche'  detta
disposizione commina la  pena  detentiva  in  via  congiunta  (e  non
alternativa)  alla  pena  pecuniaria  per   tutte   le   ipotesi   di
diffamazione a mezzo stampa consistente nell'attribuzione di un fatto
determinato, a prescindere dalla gravita' della singola condotta.
    Ne' potrebbe opinarsi diversamente, in base al rilievo che l'art.
13 della legge n. 47 del 1948 configura non  un'autonoma  ipotesi  di
reato, ma una circostanza aggravante  del  delitto  di  diffamazione,
come tale bilanciabile ex art. 69 cod. pen. con eventuali circostanze
attenuanti, con conseguente possibilita' che il  giudice  pervenga  a
escludere l'applicazione della pena detentiva. Da un  lato,  infatti,
qualora la circostanza aggravante di cui all'art. 13 della  legge  n.
47 del 1948 operi da sola ovvero in concorso  con  altre  circostanze
aggravanti, il giudice dovrebbe comunque applicare la pena  detentiva
congiuntamente alla pena pecuniaria;  dall'altro  lato,  in  caso  di
concorso   tra   circostanze   eterogenee,   sarebbe   rimesso   alla
discrezionalita' del giudice l'eventuale  giudizio  di  prevalenza  o
equivalenza delle circostanze attenuanti rispetto  all'aggravante  in
parola.
    1.4.-  Con  atto  depositato  l'8  ottobre  2019,  il   Consiglio
nazionale  dell'ordine  dei  giornalisti  (CNOG)  e'  intervenuto  in
giudizio ad adiuvandum, ai sensi dell'art. 4 delle Norme  integrative
per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, chiedendo alla Corte
di dichiarare ammissibile l'intervento e di accogliere  le  questioni
di legittimita' costituzionale sollevate dal rimettente.
    L'interveniente illustra  diffusamente  la  giurisprudenza  della
Corte EDU relativa ai requisiti di compatibilita' con l'art. 10  CEDU
della punizione delle condotte di diffamazione a mezzo stampa e della
previsione della pena detentiva, deducendone  la  contrarieta'  della
disciplina censurata dal rimettente alla garanzia convenzionale della
liberta' di espressione.
    Il CNOG evidenzia poi  che  un  filone  della  giurisprudenza  di
legittimita' (sono richiamate Corte  di  cassazione,  sezione  quinta
penale, sentenze 13 marzo 2014, n. 12203  e  19  settembre  2019,  n.
38721), in adesione ai principi espressi dalla Corte EDU,  riterrebbe
che, in relazione alle  condotte  di  diffamazione  a  mezzo  stampa,
l'irrogazione della pena detentiva sia giustificata solo in  presenza
di gravi lesioni dei diritti  fondamentali,  quali  quelle  derivanti
dalla  propalazione  di  discorsi  di  odio  o  di  istigazione  alla
violenza.
    1.5.- Con ordinanza n. 37 del 2020, questa  Corte  ha  dichiarato
ammissibile l'intervento in giudizio del CNOG, sul  rilievo  che,  ai
sensi che l'art. 4, comma 7, delle Norme integrative  per  i  giudizi
davanti   alla   Corte   costituzionale   e   secondo   la   costante
giurisprudenza della Corte, nei giudizi in  via  incidentale  possono
intervenire i titolari di un interesse qualificato, inerente in  modo
diretto e immediato al rapporto dedotto  in  giudizio;  interesse  da
ritenersi  in  specie  sussistente,  in  relazione  alla   competenza
disciplinare attribuita al CNOG dall'art. 20,  primo  comma,  lettera
d), dalla legge 3 febbraio 1963, n. 69 (Ordinamento della professione
di giornalista).
    1.6.- Con atto depositato telematicamente il 3 marzo 2020,  oltre
il termine di cui all'art. 4-ter, comma 1,  delle  Norme  integrative
per i giudizi  davanti  alla  Corte  costituzionale,  la  Federazione
nazionale della stampa  italiana  (FNSI)  ha  presentato  un'opinione
scritta in qualita' di amicus curiae.
    1.7.- Il 31 marzo 2020, il Presidente del Consiglio dei  ministri
ha depositato memoria illustrativa, insistendo per la declaratoria di
inammissibilita' o  di  manifesta  infondatezza  delle  questioni  di
legittimita' costituzionale  sollevate  dal  Tribunale  ordinario  di
Salerno. Riproposte le argomentazioni gia'  sviluppate  nell'atto  di
intervento, l'interveniente soggiunge che le fattispecie di cui  agli
artt. 595, terzo comma, cod. pen. e 13 della legge  n.  47  del  1948
configurano aggravanti speciali del reato di diffamazione, come  tali
bilanciabili con eventuali circostanze attenuanti, sicche' il giudice
potrebbe scegliere se applicare la pena detentiva o quella pecuniaria
in funzione della  maggiore  o  minore  gravita'  della  condotta  di
diffamazione a mezzo stampa, con conseguente piena conformita'  della
normativa censurata alla giurisprudenza della Corte EDU  in  tema  di
liberta' di espressione.
    Con specifico riferimento al caso oggetto  del  giudizio  a  quo,
inoltre, l'attribuzione alla persona offesa di una condotta illecita,
poi  rivelatasi  inveritiera,  determinerebbe   una   lesione   della
presunzione di non colpevolezza, tutelata  dagli  artt.  27,  secondo
comma, Cost. e 6, paragrafo 2,  CEDU,  cosi'  concretando  una  delle
circostanze eccezionali che, secondo la  giurisprudenza  della  Corte
EDU, giustificano l'applicazione della pena detentiva al  giornalista
colpevole di diffamazione.
    1.8.- Rispettivamente in data 19 maggio, 29 maggio  e  31  maggio
2020, in tutti i casi oltre il termine di cui all'art.  4-ter,  comma
1,  delle  Norme  integrative  per  i  giudizi  davanti  alla   Corte
costituzionale, sono pervenute  alla  cancelleria  della  Corte,  via
posta  elettronica  certificata,  altrettante  opinioni  scritte  del
Sindacato cronisti romani  presso  l'Associazione  stampa  romana  in
qualita' di amicus curiae.
    1.9.- Il 26 maggio 2020 la  parte  P.  N.  ha  depositato,  fuori
termine, memoria integrativa.
    2.- Con ordinanza del 16 aprile 2019, iscritta al n. 149 del r.o.
2019, il Tribunale  ordinario  di  Bari,  sezione  prima  penale,  ha
sollevato, in  riferimento  all'art.  117,  primo  comma,  Cost.,  in
relazione all'art. 10 CEDU, questione di legittimita'  costituzionale
dell'art. 13 della legge n. 47 del 1948, «nella parte in cui sanziona
il delitto di diffamazione  aggravata,  commessa  a  mezzo  stampa  e
consistente nell'attribuzione di un fatto determinato,  con  la  pena
cumulativa della reclusione da uno a  sei  anni  e  della  multa  non
inferiore a 256 [recte: 258] euro, invece che in via alternativa».
    2.1.-   Il   rimettente   espone   di   dover   giudicare   della
responsabilita' di G. D.T., imputato del delitto di  cui  agli  artt.
595 cod. pen. e 13 della legge n. 47 del 1948, per avere, in qualita'
di direttore di  un  quotidiano,  offeso  la  reputazione  di  F.  C.
mediante la pubblicazione di un articolo privo di firma, nel quale si
attribuiva alla persona offesa la  cessione  di  stupefacente  a  una
terza persona,  malgrado  l'avvenuto  proscioglimento  di  F.  C.  in
relazione a tale fatto.
    In punto di rilevanza, il giudice a quo espone che, ai sensi  del
combinato disposto degli artt. 595 cod. pen. e 13 della legge  n.  47
del 1948, il  delitto  di  cui  G.  D.T.  e'  imputato  (diffamazione
realizzata  con  la  pubblicazione  dell'articolo  in   questione   e
consistente  nell'attribuzione  di  un  fatto  determinato)   risulta
punibile con la pena della reclusione da uno a sei anni, prevista  in
via cumulativa e non alternativa rispetto alla multa di 258 euro.
    Non sussisterebbero poi ragioni per prosciogliere  l'imputato  il
quale,  pur  tratto  in  giudizio   nella   qualita'   di   direttore
responsabile  del   quotidiano,   sarebbe   chiamato   a   rispondere
direttamente  della  condotta  diffamatoria  realizzata  mediante  la
pubblicazione dell'articolo privo di firma. Del resto,  la  questione
rimarrebbe  rilevante  anche  ove,  all'esito  del  dibattimento,  si
dovesse ritenere sussistente la responsabilita' di G. D.T.  sotto  il
solo profilo dell'omesso controllo sulla pubblicazione  di  contenuti
diffamatori, ai sensi dell'art. 57 cod. pen., atteso  che,  anche  in
tale ipotesi, sarebbe comunque applicabile  la  pena  detentiva,  pur
ridotta di un terzo nel quantum.
    Quanto alla non manifesta infondatezza,  il  rimettente  richiama
ampi stralci delle sentenze della Corte EDU Belpietro contro  Italia,
Sallusti  contro  Italia  e  Ricci  contro  Italia,   relative   alla
compatibilita' con  l'art.  10  CEDU  del  trattamento  sanzionatorio
previsto   nell'ordinamento   italiano,   in   particolare   per   la
diffamazione a mezzo stampa.
    Da tale consolidata giurisprudenza si trarrebbe che la previsione
per  tale  delitto  di  una  pena  detentiva,  pur  suscettibile   di
sospensione  condizionale  o  di  commutazione  in  pena  pecuniaria,
risulterebbe incompatibile con  l'art.  10  CEDU,  poiche'  idonea  a
scoraggiare l'esercizio della liberta' di manifestazione del pensiero
e della liberta' d'informazione, in tutti i casi in cui non ricorrano
circostanze eccezionali, quali la propalazione di discorsi di odio  o
di istigazione alla violenza.
    Ne'  sarebbe  praticabile  un'interpretazione  costituzionalmente
orientata della norma censurata, che considerasse irrogabile la  pena
detentiva in relazione alle sole condotte diffamatorie  concretantisi
in incitazione all'odio, alla discriminazione o  alla  violenza:  una
simile opzione ermeneutica, «creativa e arbitraria, slegata dal  dato
letterale, ed esorbitante  rispetto  alla  funzione  giurisdizionale»
risulterebbe infatti contraria al principio  di  legalita'  e  lesiva
degli artt. 25 e 101 Cost.
    Nemmeno sarebbe possibile  applicare,  in  luogo  delle  sanzioni
previste dall'art. 13 della legge n. 47 del 1948, quelle  contemplate
dall'art. 595, secondo e terzo comma, cod.  pen.,  che  prevedono  la
pena detentiva in via alternativa e non congiunta rispetto alla  pena
pecuniaria, essendo la  fattispecie  della  diffamazione  commessa  a
mezzo stampa e contestualmente consistente  nell'attribuzione  di  un
fatto  determinato  inequivocabilmente   disciplinata   dalla   prima
disposizione.
    Ne', ancora, sarebbe dirimente che la circostanza  aggravante  di
cui al predetto  art.  13  sia  bilanciabile  con  altre  circostanze
attenuanti,  perche'  cio'  non  escluderebbe  l'effetto  dissuasivo,
rispetto all'attivita' giornalistica, della previsione, in  astratto,
di una pena detentiva congiunta a quella pecuniaria.
    Il rimettente precisa infine che  la  questione  di  legittimita'
costituzionale sollevata mira a  una  pronuncia  che  renda  la  pena
detentiva applicabile  in  via  alternativa  e  non  piu'  cumulativa
rispetto alla pena pecuniaria. Una simile pronuncia «consentirebbe al
giudice di verificare in concreto la  sussistenza  delle  circostanze
eccezionali in cui la gravita' della condotta e  dell'offesa  che  ne
deriva giustifica l'irrogazione  di  una  pena  detentiva,  lasciando
cosi' un  adeguato  spazio  discrezionale  utile  per  conformare  la
decisione giurisdizionale nazionale ai principi dell'ordinamento CEDU
in materia». Si tratterebbe, a parere  del  giudice  a  quo,  di  una
soluzione non costituzionalmente obbligata, ma adottabile da parte di
questa Corte, sulla falsariga di quanto gia' avvenuto nella  sentenza
n. 40 del 2019, in presenza  di  un  preciso  punto  di  riferimento,
offerto dall'art. 595 cod. pen.,  che  prevede  l'applicazione  della
pena detentiva in alternativa alla pena pecuniaria nei casi di cui ai
commi secondo e terzo.
    2.1.- E' intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, chiedendo che la  questione  sia  dichiarata  inammissibile  o
infondata, sulla base delle argomentazioni gia' svolte  nell'atto  di
intervento depositato nel giudizio iscritto al n. 140 del r.o. 2019.
    2.2.-  Il  22  ottobre  2019,  il  CNOG  ha  depositato  atto  di
intervento ad  adiuvandum,  di  tenore  analogo  a  quello  dell'atto
presentato nel giudizio iscritto al n. 140 del r.o. 2019.
    2.3.- Il 31 marzo 2020 il Presidente del Consiglio  dei  ministri
ha depositato memoria  illustrativa,  insistendo  per  l'accoglimento
delle  conclusioni  gia'  rassegnate  nell'atto   di   intervento   e
richiamando integralmente  le  argomentazioni  svolte  nella  memoria
illustrativa depositata nel giudizio iscritto  al  n.  140  del  r.o.
2019.
    2.4.- Il 19, 29 e 31 maggio 2020, e dunque oltre  il  termine  di
cui all'art. 4-ter, comma 1, delle Norme integrative  per  i  giudizi
davanti alla  Corte  costituzionale,  il  Sindacato  cronisti  romani
presso  l'Associazione  stampa  romana  ha   depositato   via   posta
elettronica certificata le stesse opinioni  scritte  in  qualita'  di
amicus curiae depositate nel giudizio iscritto al  n.  140  del  r.o.
2019.
     

                       Considerato in diritto

    1.- Con l'ordinanza iscritta al n. 140 del r.o. 2019 il Tribunale
ordinario di  Salerno,  sezione  seconda  penale,  ha  sollevato,  in
riferimento agli artt. 3, 21,  25,  27  e  117,  primo  comma,  della
Costituzione, quest'ultimo in relazione all'art. 10 della Convenzione
europea dei  diritti  dell'uomo  (CEDU),  questioni  di  legittimita'
costituzionale dell'art.  595,  terzo  comma,  del  codice  penale  e
dell'art. 13 della legge 8 febbraio 1948, n. 47  (Disposizioni  sulla
stampa) «per le ragioni di cui  in  motivazione».  Dalla  motivazione
emerge che il rimettente si duole in sostanza  della  previsione,  da
parte delle due disposizioni censurate, della pena della reclusione -
in via alternativa o cumulativa rispetto alla multa - a carico di chi
sia ritenuto  responsabile  del  delitto  di  diffamazione  aggravata
dall'uso del mezzo della stampa consistente nell'attribuzione  di  un
fatto determinato.
    2.- Con l'ordinanza iscritta al n. 149 del r.o. 2019 il Tribunale
ordinario di Bari, sezione prima penale, ha sollevato, in riferimento
all'art. 117, primo comma, Cost.,  in  relazione  all'art.  10  CEDU,
questione di legittimita' costituzionale dell'art. 13 della legge  n.
47 del 1948, in combinato disposto con l'art. 595 cod.  pen.,  «nella
parte in cui sanziona il delitto di diffamazione aggravata,  commessa
a  mezzo  stampa  e  consistente  nell'attribuzione   di   un   fatto
determinato, con la pena cumulativa della reclusione  da  uno  a  sei
anni e della multa non inferiore a 256 [recte: 258] euro, invece  che
in via alternativa».
    3.- Le due ordinanze  sollevano  questioni  analoghe  e  meritano
pertanto di essere riunite ai fini della decisione.
    4.-  L'intervento  del  Consiglio   nazionale   dell'ordine   dei
giornalisti (CNOG), gia' dichiarato ammissibile da questa  Corte,  in
relazione alla causa iscritta al n. 140 del r.o. 2019, con  ordinanza
n. 37 del 2020, deve ritenersi ammissibile anche  in  relazione  alla
causa iscritta al n. 149 del r.o. 2019, come da  ordinanza  letta  in
udienza e riportata in calce alla presente pronuncia.
    5.- Entrambi i giudici rimettenti lamentano la  previsione  della
pena della reclusione per il delitto di diffamazione commessa a mezzo
della stampa e consistente nell'attribuzione di un fatto determinato,
ritenendo che tale previsione si ponga in contrasto con  l'art.  117,
primo comma,  Cost.,  in  relazione  all'art.  10  CEDU,  cosi'  come
interpretato dalla costante giurisprudenza della  Corte  europea  dei
diritti dell'uomo.
    Secondo l'ordinanza iscritta  al  n.  140  del  r.o.  2019,  tale
previsione sarebbe altresi' incompatibile:
    -  con  gli  artt.  3  e  21  Cost.,  in  ragione  del  carattere
«manifestamente irragionevole e  totalmente  sproporzionat[o]»  della
previsione  della  pena  detentiva  rispetto   all'importanza   della
liberta' di manifestazione del pensiero, salvi i casi eccezionali  in
cui la stessa Corte EDU riconosce legittima tale pena;
    - con il principio di necessaria offensivita' del  reato  di  cui
all'art. 25 Cost.,  dal  momento  che  tale  previsione  risulterebbe
«totalmente sproporzionata, irragionevole e non  necessaria  rispetto
al bene giuridico tutelato dalle norme incriminatrici  in  questione,
ovvero il rispetto della reputazione personale»; nonche'
    - con il principio della necessaria  funzione  rieducativa  della
pena di cui all'art. 27, terzo comma, Cost., «attesa  la  inidoneita'
della minacciata sanzione detentiva a  garantire  il  pieno  rispetto
della  funzione  generalpreventiva  e  specialpreventiva  della  pena
stessa».
    L'ordinanza iscritta al n. 149 del r.o. 2019 incentra le  proprie
censure unicamente sul trattamento sanzionatorio  previsto  dall'art.
13 della legge n. 47 del 1948, che prevede in via cumulativa la  pena
della reclusione da uno a sei anni e quella della multa non inferiore
a 258 euro (e  non  superiore  a  50.000  euro,  giusta  il  disposto
dell'art. 24 cod. pen.) per il caso  di  «diffamazione  commessa  col
mezzo  della  stampa,  consistente  nell'attribuzione  di  un   fatto
determinato».
    L'ordinanza iscritta al n. 140 del r.o. 2019  estende  invece  le
questioni anche all'art. 595, terzo comma, cod. pen., che prevede  in
via alternativa la pena della reclusione da sei mesi  a  tre  anni  o
della multa non inferiore a 516 euro (e dunque, ancora, non superiore
a 50.000 euro) per il caso di diffamazione recata, tra  l'altro,  con
il mezzo della stampa.
    6.- La motivazione di entrambe le ordinanze e' imperniata su ampi
richiami alla giurisprudenza della Corte EDU in materia  di  liberta'
di espressione, tutelata dall'art.  10  CEDU  e  ritenuta  di  regola
violata  laddove  vengano  applicate  pene  detentive  a  giornalisti
condannati per diffamazione.
    6.1.-  Tale  giurisprudenza  risale,  in  effetti,  almeno   alla
sentenza della grande camera  17  dicembre  2004,  Cumpănă  e  Mazăre
contro Romania, nella quale la Corte EDU ha esaminato il  ricorso  di
due giornalisti, condannati per diffamazione in quanto autori  di  un
articolo nel quale accusavano un giudice di essere coinvolto in fatti
di  corruzione.  La  Corte  EDU  ha  riconosciuto   la   legittimita'
dell'affermazione   di   responsabilita'   penale   degli   imputati,
osservando che le gravi accuse rivolte alla  vittima  fornissero  una
visione distorta dei fatti e  fossero  prive  di  adeguati  riscontri
fattuali  (paragrafo  103);  ma   ha   al   contempo   ritenuto   che
l'imposizione nei loro  confronti  di  una  pena  di  sette  mesi  di
reclusione non  sospesa,  ancorche'  in  concreto  non  eseguita  per
effetto di un provvedimento di grazia presidenziale, costituisse  una
interferenza sproporzionata -  e  pertanto  «non  necessaria  in  una
societa' democratica» ai sensi dell'art. 10, paragrafo 2, CEDU -  con
il loro diritto alla liberta' di espressione, tutelata dal  paragrafo
1 del medesimo art. 10 CEDU.
    Nella pronuncia indicata, la Corte EDU ha ricordato in  proposito
(paragrafo 93) il proprio insegnamento secondo cui la  stampa  svolge
l'essenziale ruolo di «cane da guardia» della democrazia (sentenza 27
marzo 1996, Goodwin contro Regno Unito, paragrafo 39), rilevando  che
«se e' vero che gli Stati parte hanno la facolta', o  addirittura  il
dovere, in forza dei loro obblighi positivi  di  tutela  dell'art.  8
CEDU, di disciplinare l'esercizio della liberta'  di  espressione  in
modo da assicurare per legge  un'adeguata  tutela  della  reputazione
delle  persone,  non  devono  pero'  farlo   in   una   maniera   che
indebitamente dissuada i media dallo svolgimento del  loro  ruolo  di
segnalare all'opinione pubblica casi apparenti o  supposti  di  abuso
dei pubblici poteri» (paragrafo 113). Il timore di sanzioni detentive
produce,  secondo  la  Corte  di  Strasburgo,  un  evidente   effetto
dissuasivo («chilling effect») rispetto all'esercizio della  liberta'
di espressione dei giornalisti -  in  particolare  nello  svolgimento
della loro attivita' di inchiesta e di  pubblicazione  dei  risultati
delle  loro  indagini  -  tale  da  riverberarsi  sul   giudizio   di
proporzionalita',  e  dunque  di   legittimita'   alla   luce   della
Convenzione, di tali sanzioni (paragrafo 114).
    Pur sottolineando come la scelta delle sanzioni sia in  principio
riservata ai tribunali  nazionali,  la  Corte  EDU  ha  concluso  che
«l'imposizione di una pena detentiva per un reato a mezzo  stampa  e'
compatibile con la liberta' di espressione dei giornalisti, garantita
dall'art. 10 della Convenzione, soltanto in circostanze  eccezionali,
segnatamente quando altri diritti fondamentali siano stati seriamente
offesi, come ad esempio nel caso di  diffusione  di  discorsi  d'odio
(hate speech)  o  di  istigazione  alla  violenza»  (paragrafo  115):
circostanze certamente non sussistenti nel caso allora esaminato.
    6.2.- I principi espressi dalla sentenza Cumpănă sono  stati  poi
costantemente ribaditi  dalla  Corte  EDU  nella  propria  successiva
giurisprudenza (ex multis, sentenza 6 dicembre 2007,  Katrami  contro
Grecia), anche in due sentenze pronunciate nei confronti dell'Italia,
cui i giudici rimettenti  fanno  puntuale  riferimento  (sentenze  24
settembre 2013, Belpietro  contro  Italia;  7  marzo  2019,  Sallusti
contro Italia).  In  tali  ultime  pronunce  -  rispetto  alle  quali
risultano ancora pendenti i rispettivi procedimenti  di  supervisione
sull'esecuzione delle sentenze avanti al Comitato  dei  ministri  del
Consiglio d'Europa - la Corte EDU da un lato  ha  ritenuto  legittima
l'affermazione di responsabilita' penale in  capo  ai  ricorrenti  da
parte dei giudici italiani, stante la non veridicita' e  la  gravita'
degli addebiti rivolti alle persone offese, in assenza  dei  doverosi
controlli  da   parte   del   giornalista   (ovvero   del   direttore
responsabile);  ma,  dall'altro  lato,  ha  ritenuto   sproporzionata
l'inflizione nei loro confronti  di  una  pena  detentiva,  ancorche'
condizionalmente sospesa ovvero cancellata  da  un  provvedimento  di
grazia del Presidente della Repubblica.
    6.3.- D'altra parte, numerosi documenti degli organi politici del
Consiglio d'Europa raccomandano agli Stati membri di rinunciare  alle
sanzioni detentive per il delitto  di  diffamazione,  allo  scopo  di
tutelare  piu'  efficacemente  la   liberta'   di   espressione   dei
giornalisti e, correlativamente, il diritto dei  cittadini  a  essere
informati.
    In particolare, il Comitato  dei  ministri  ha  adottato,  il  12
febbraio  2004,  una  Dichiarazione  sulla  liberta'  dei   dibattiti
politici  nei  media,  nella  quale  ha  tra  l'altro  affermato  che
risarcimenti e sanzioni pecuniarie per la diffamazione a mezzo stampa
devono essere proporzionati  alla  violazione  dei  diritti  e  della
reputazione delle persone offese e tenere in considerazione eventuali
condotte  riparatorie  intervenute,  e  che  la  pena  detentiva  non
dovrebbe essere applicata, salvo in casi di grave violazione di altri
diritti  fondamentali,  che  la  rendano  strettamente  necessaria  e
proporzionata.
    Con  la  risoluzione  4  ottobre  2007,  n.   1577,   l'Assemblea
parlamentare del Consiglio d'Europa ha riaffermato il ruolo  centrale
dell'informazione, pietra angolare di una democrazia, con particolare
riferimento  alla  funzione  propulsiva  rispetto  a   dibattiti   di
interesse pubblico. Essa  ha,  in  particolare,  esortato  gli  Stati
contraenti ad abolire la pena  detentiva  per  la  diffamazione  e  a
garantire che non sia fatto un uso distorto dei  procedimenti  penali
per  diffamazione.   Nel   contempo,   e'   stata   raccomandata   la
criminalizzazione  delle  condotte  di  incitamento  alla   violenza,
all'odio o alla discriminazione.
    Nella risoluzione 24 gennaio 2013, n.  1920,  sullo  stato  della
liberta' dei media in Europa, l'Assemblea parlamentare del  Consiglio
d'Europa ha nuovamente stigmatizzato l'uso distorto dei  procedimenti
penali  per  fatti  di  diffamazione.   Con   specifico   riferimento
all'Italia, alla luce della condanna di un  giornalista  a  una  pena
detentiva confermata dalla Corte di cassazione - condanna che ha  poi
dato origine alla sentenza della Corte EDU  Sallusti  contro  Italia,
poc'anzi  menzionata  -  la  medesima  assemblea  ha  richiesto  alla
Commissione  europea  per  la  democrazia   attraverso   il   diritto
(Commissione di Venezia) di predisporre un parere  sulla  conformita'
della normativa italiana all'art. 10 CEDU. Il relativo  parere  della
Commissione di Venezia (n. 715 del 6-7 dicembre 2013) ha concluso nel
senso che la vigente legislazione italiana non sarebbe pienamente  in
linea con gli standard del Consiglio d'Europa in materia di  liberta'
di espressione, individuando la problematica di maggior rilievo nella
previsione della pena detentiva  in  relazione  alla  diffamazione  a
mezzo stampa.
    7.- Alla luce di quanto precede, appare necessaria e urgente  una
complessiva    rimeditazione    del    bilanciamento,     attualmente
cristallizzato nella normativa oggetto  delle  odierne  censure,  tra
liberta' di manifestazione del pensiero e  tutela  della  reputazione
individuale,   in   particolare   con    riferimento    all'attivita'
giornalistica.
    7.1.- La liberta' di manifestazione del  pensiero  costituisce  -
prima ancora che un  diritto  proclamato  dalla  CEDU  -  un  diritto
fondamentale riconosciuto come «coessenziale al  regime  di  liberta'
garantito dalla Costituzione» (sentenza  n.  11  del  1968),  «pietra
angolare dell'ordine democratico» (sentenza n. 84 del 1969), «cardine
di democrazia nell'ordinamento generale» (sentenza n. 126 del 1985 e,
di recente, sentenza n. 206 del 2019). Ne' e' senza significato  che,
nella prima sentenza della sua storia, la Corte costituzionale  -  in
risposta a ben trenta ordinanze sollevate da giudici comuni  -  abbia
dichiarato l'illegittimita' costituzionale  di  una  disposizione  di
legge proprio in ragione  del  suo  contrasto  con  l'art.  21  Cost.
(sentenza n. 1 del 1956).
    Nell'ambito di questo  diritto,  la  liberta'  di  stampa  assume
un'importanza peculiare, in ragione  del  suo  ruolo  essenziale  nel
funzionamento del sistema democratico (sentenza n. 1 del  1981),  nel
quale  al  diritto  del  giornalista  di  informare  corrisponde   un
correlativo "diritto  all'informazione"  dei  cittadini:  un  diritto
quest'ultimo «qualificato in riferimento ai principi  fondanti  della
forma di Stato delineata dalla Costituzione, i quali esigono  che  la
nostra democrazia sia basata su una libera opinione pubblica e sia in
grado di svilupparsi attraverso la pari  concorrenza  di  tutti  alla
formazione della volonta' generale», e «caratterizzato dal pluralismo
delle fonti cui attingere conoscenze e notizie [...] in modo tale che
il cittadino possa essere messo in  condizione  di  compiere  le  sue
valutazioni avendo presenti punti di vista differenti e  orientamenti
culturali contrastanti (sentenza n. 112 del  1993,  richiamata  dalla
sentenza n. 155 del 2002)» (sentenza n. 206 del 2019).
    Non v'e' dubbio pertanto che l'attivita' giornalistica meriti  di
essere «salvaguardata contro ogni minaccia o coartazione,  diretta  o
indiretta» (sentenza n. 172 del 1972) che  possa  indebolire  la  sua
vitale funzione nel sistema democratico, ponendo indebiti ostacoli al
legittimo svolgimento del suo ruolo di informare i  consociati  e  di
contribuire  alla  formazione  degli  orientamenti   della   pubblica
opinione, anche attraverso la critica aspra e polemica delle condotte
di chi detenga posizioni di potere.
    7.2.- Per altro verso, il legittimo  esercizio,  da  parte  della
stampa e  degli  altri  media,  della  liberta'  di  informare  e  di
contribuire alla  formazione  della  pubblica  opinione  richiede  di
essere bilanciato con altri interessi e diritti, parimenti  di  rango
costituzionale, che ne segnano i possibili limiti, tanto  nell'ottica
costituzionale quanto in quella convenzionale.
    Fra tali limiti si colloca, in posizione eminente, la reputazione
della persona, che costituisce al tempo stesso un diritto inviolabile
ai sensi dell'art. 2 Cost. (sentenze n. 37 del 2019, n. 379 del 1996,
n. 86 del 1974 e n. 38 del 1973)  e  una  componente  essenziale  del
diritto alla vita privata di cui all'art. 8 CEDU  (ex  multis,  Corte
EDU, sentenza 6 novembre 2018, Vicent del Campo contro  Spagna),  che
lo Stato ha  il  preciso  obbligo  di  tutelare  anche  nei  rapporti
interprivati (in questo senso la menzionata  sentenza  Cumpănă  della
Corte  EDU,  paragrafo  91),  oltre  che  un  diritto   espressamente
riconosciuto  dall'art.  17  del  Patto  internazionale  relativo  ai
diritti civili e politici. Un diritto, altresi',  connesso  a  doppio
filo con la stessa dignita' della persona (sentenza n. 265  del  2014
e,  nella  giurisprudenza  di  legittimita',  ex  plurimis  Corte  di
cassazione, sezione quinta  penale,  sentenza  28  ottobre  2010,  n.
4938), e suscettibile di essere leso dalla diffusione di addebiti non
veritieri o di rilievo esclusivamente privato.
    7.3.- Il punto di equilibrio tra la liberta' di "informare" e  di
"formare" la pubblica opinione svolto dalla stampa e dai media, da un
lato, e la tutela della reputazione individuale, dall'altro, non puo'
pero' essere pensato come fisso  e  immutabile,  essendo  soggetto  a
necessari assestamenti, tanto piu' alla luce della rapida  evoluzione
della tecnologia e dei  mezzi  di  comunicazione  verificatasi  negli
ultimi decenni.
    Il bilanciamento sotteso alle norme del codice penale e in quelle
della vigente legge sulla stampa - e in particolare negli  artt.  595
cod. pen. e 13 della legge n. 47 del 1948, in questa sede censurati -
si impernia sulla previsione, in via  rispettivamente  alternativa  e
cumulativa, di pene detentive e  pecuniarie  laddove  il  giornalista
offenda la reputazione altrui, travalicando i  limiti  del  legittimo
esercizio del diritto di cronaca o di  critica  di  cui  all'art.  21
Cost.; limiti a loro volta ricostruiti dalla giurisprudenza civile (a
partire dalla fondamentale Corte di cassazione, sezione prima civile,
sentenza 18 ottobre 1984, n. 5259) e  penale  (ex  multis,  Corte  di
cassazione, sezione quinta penale, sentenza  12  settembre  2007,  n.
34432) sulla base dei criteri  tradizionali  dell'interesse  pubblico
alla conoscenza della notizia, della verita'  di  essa  (ovvero,  nel
caso di erroneo convincimento del giornalista relativa  alla  verita'
della notizia, nell'assenza di colpa nel  controllo  delle  fonti)  e
della cosiddetta continenza formale.
    Un simile bilanciamento e' divenuto ormai inadeguato, anche  alla
luce  della  copiosa  giurisprudenza   della   Corte   EDU   poc'anzi
rammentata,  che  al  di  fuori  di  ipotesi  eccezionali   considera
sproporzionata l'applicazione di pene detentive, ancorche' sospese  o
in concreto non eseguite, nei confronti di  giornalisti  che  abbiano
pur illegittimamente offeso la reputazione altrui. E cio' in funzione
dell'esigenza  di  non  dissuadere,  per  effetto  del  timore  della
sanzione privativa  della  liberta'  personale,  la  generalita'  dei
giornalisti dall'esercitare la propria cruciale funzione di controllo
sull'operato dei pubblici poteri.
    Cio' esige  una  rimodulazione  del  bilanciamento  sotteso  alla
disciplina in questa sede censurata, in modo da coniugare le esigenze
di garanzia della liberta' giornalistica, nel  senso  ora  precisato,
con le  altrettanto  pressanti  ragioni  di  tutela  effettiva  della
reputazione individuale delle vittime di eventuali  abusi  di  quella
liberta' da parte dei giornalisti; vittime che sono  oggi  esposte  a
rischi ancora maggiori che nel passato. Basti pensare, in  proposito,
agli effetti di rapidissima e duratura amplificazione degli  addebiti
diffamatori determinata dai social networks e dai motori  di  ricerca
in internet, il cui carattere lesivo per la vittima - in  termini  di
sofferenza psicologica e di concreti  pregiudizi  alla  propria  vita
privata, familiare, sociale, professionale, politica - e per tutte le
persone a essa affettivamente legate risulta  grandemente  potenziato
rispetto a quanto accadeva anche solo in un recente passato.
    8.- Un simile, delicato bilanciamento spetta in  primo  luogo  al
legislatore, sul quale  incombe  la  responsabilita'  di  individuare
complessive strategie sanzionatorie in grado, da un lato, di  evitare
ogni  indebita   intimidazione   dell'attivita'   giornalistica;   e,
dall'altro,  di  assicurare  un'adeguata  tutela  della   reputazione
individuale contro illegittime - e talvolta maliziose  -  aggressioni
poste in essere nell'esercizio di  tale  attivita'.  Il  legislatore,
d'altronde, e' meglio in grado di disegnare un equilibrato sistema di
tutela dei diritti in gioco, che contempli non solo il ricorso -  nei
limiti della proporzionalita'  rispetto  alla  gravita'  oggettiva  e
soggettiva dell'illecito - a sanzioni penali non detentive nonche'  a
rimedi civilistici  e  in  generale  riparatori  adeguati  (come,  in
primis, l'obbligo di  rettifica),  ma  anche  a  efficaci  misure  di
carattere  disciplinare,  rispondendo  allo  stesso  interesse  degli
ordini giornalistici pretendere,  da  parte  dei  propri  membri,  il
rigoroso  rispetto  degli  standard   etici   che   ne   garantiscono
l'autorevolezza e il prestigio, quali essenziali attori  del  sistema
democratico. In questo quadro, il  legislatore  potra'  eventualmente
sanzionare con la pena detentiva le condotte che,  tenuto  conto  del
contesto nazionale, assumano connotati di  eccezionale  gravita'  dal
punto di vista oggettivo e soggettivo,  fra  le  quali  si  iscrivono
segnatamente quelle in cui la diffamazione implichi  una  istigazione
alla violenza ovvero convogli messaggi d'odio.
    Il «compito naturale» di questa Corte e' quello di verificare  ex
post, su sollecitazione dei giudici comuni, la  compatibilita'  delle
scelte compiute dal legislatore con la Costituzione (ordinanza n. 207
del 2018) e, mediatamente, con gli strumenti  internazionali  al  cui
rispetto l'ordinamento si  e'  vincolato,  sulla  base  dei  principi
elaborati dalla giurisprudenza di questa Corte. Un compito  al  quale
anche in questa  occasione  questa  Corte  non  puo'  e  non  intende
sottrarsi, ma che - rispetto alle possibilita' di intervento  di  cui
dispone il legislatore - sconta necessariamente la limitatezza  degli
orizzonti del devolutum e dei rimedi a sua disposizione, che  segnano
il confine dei suoi poteri decisori; con il connesso rischio che, per
effetto della stessa pronuncia di illegittimita'  costituzionale,  si
creino lacune di tutela effettiva per  i  controinteressi  in  gioco,
seppur essi stessi di  centrale  rilievo  nell'ottica  costituzionale
(per analoghe preoccupazioni, si veda ancora l'ordinanza n.  207  del
2018).
    Considerato allora che vari  progetti  di  legge  in  materia  di
revisione della disciplina della diffamazione a  mezzo  della  stampa
risultano allo stato in corso di esame  avanti  alle  Camere,  questa
Corte ritiene opportuno,  in  uno  spirito  di  leale  collaborazione
istituzionale e nel rispetto dei limiti delle  proprie  attribuzioni,
rinviare  la  decisione  delle  questioni  ora  sottopostele  a   una
successiva udienza, in modo da consentire al legislatore di approvare
nel  frattempo  una  nuova  disciplina  in  linea  con   i   principi
costituzionali e convenzionali sopra illustrati.
    Rimarranno nel frattempo sospesi anche i giudizi a quibus.  Negli
altri giudizi, spettera' ai giudici valutare se  eventuali  questioni
di legittimita' costituzionale delle disposizioni in esame analoghe a
quelle  in  questa  sede   prospettate   debbano   parimenti   essere
considerate rilevanti e non manifestamente infondate  alla  luce  dei
principi sopra enunciati, cosi' da evitare, nelle more  del  giudizio
di costituzionalita',  l'applicazione  delle  disposizioni  censurate
(sentenza n. 242 del 2019 e ordinanza n. 207 del 2018).
     

                          per questi motivi
                       LA CORTE COSTITUZIONALE

    riuniti i giudizi,
    rinvia all'udienza pubblica del 22  giugno  2021  la  trattazione
delle  questioni  di  legittimita'   costituzionale   sollevate   dal
Tribunale  ordinario  di  Salerno,  sezione  seconda  penale,  e  dal
Tribunale ordinario di Bari, sezione prima penale, con  le  ordinanze
indicate in epigrafe.
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 9 giugno 2020.

                                F.to:
                     Marta CARTABIA, Presidente
                    Francesco VIGANO', Redattore
                    Filomena PERRONE, Cancelliere

    Depositata in Cancelleria il 26 giugno 2020.

                           Il Cancelliere
                       F.to: Filomena PERRONE

                                                            Allegato:
                        Ordinanza letta all'udienza del 9 giugno 2020

                              ORDINANZA

    Ritenuto che, con ordinanza del 16 aprile 2019 (r.o. n.  149  del
2019) il Tribunale  ordinario  di  Bari,  sezione  prima  penale,  ha
sollevato - con riferimento all'art.  117,  primo  comma,  Cost.,  in
relazione all'art. 10 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo
(CEDU) - questione di legittimita' costituzionale dell'art. 13  della
legge  8  febbraio  1948,  n.  47  (Disposizioni  sulla  stampa),  in
combinato disposto con l'art. 595, terzo comma,  del  codice  penale,
nella parte in cui punisce il delitto di diffamazione a mezzo  stampa
consistente nell'attribuzione di un fatto  determinato  con  la  pena
della reclusione  da  uno  a  sei  anni,  in  via  cumulativa  e  non
alternativa rispetto alla multa non inferiore a 258 euro;
    che il 22 ottobre 2019 il  Consiglio  nazionale  dell'ordine  dei
giornalisti  (CNOG),  in  qualita'  di  «titolare  di  un   interesse
giuridico   particolarmente    qualificato,    idoneo    a    fondare
l'ammissibilita' del suo intervento nel giudizio costituzionale»,  ha
depositato, nei termini, atto  di  intervento  ad  adiuvandum,  senza
peraltro chiedere di essere autorizzato a prendere visione  e  trarre
copia degli atti processuali.
    Considerato che un identico  atto  di  intervento  del  Consiglio
nazionale dell'ordine dei  giornalisti  (CNOG)  e'  stato  dichiarato
ammissibile da questa Corte con ordinanza n. 37 del 2020, pronunciata
nel giudizio r.o. n. 140 del 2019,  avente  a  oggetto  questioni  di
legittimita' costituzionale dell'art. 13 della legge 8 febbraio 1948,
n. 47 (Disposizioni sulla stampa) e dell'art. 595, terzo  comma,  del
codice penale e chiamato  per  la  discussione  all'odierna  udienza,
congiuntamente al presente giudizio;
    che, in detta ordinanza, la Corte  ha  ritenuto  sussistente,  in
capo al CNOG, un interesse qualificato legittimante  l'intervento  in
giudizio, in relazione alla  competenza  disciplinare  attribuita  al
Consiglio medesimo dall'art. 20, primo comma, lettera d), dalla legge
3 febbraio 1963, n. 69 (Ordinamento della professione di giornalista)
ed esercitabile, ai sensi dell'art. 39 della medesima legge, in  caso
di condanna penale, ove sussistano le condizioni di cui al successivo
art. 48, primo comma;
    che le argomentazioni svolte da questa Corte  nella  gia'  citata
ordinanza n. 37 del 2020 - da intendersi qui integralmente richiamate
- valgono anche in relazione all'intervento  spiegato  dal  CNOG  nel
presente giudizio;
    che,    contrariamente    all'avviso    espresso    in    udienza
dall'Avvocatura dello  Stato,  l'ammissibilita'  dell'intervento  del
terzo non puo' ritenersi condizionata alla circostanza che  la  parte
del giudizio a quo si sia costituita anche nel giudizio  avanti  alla
Corte  costituzionale,  dal  momento  che   l'interesse   qualificato
all'intervento  sussiste  indipendentemente  dalle  scelte  difensive
assunte dalla parte del giudizio a quo;
    che, dunque, l'intervento deve essere dichiarato ammissibile.

                          per questi motivi
                       la corte costituzionale

    dichiara  ammissibile  l'intervento   del   Consiglio   nazionale
dell'ordine dei giornalisti (CNOG).

                  F.to: Marta Cartabia, Presidente 

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