N. 132 ORDINANZA 9 - 26 giugno 2020
Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
Reati e pene - Diffamazione aggravata, commessa a mezzo stampa e
consistente nell'attribuzione di un fatto determinato - Trattamento
sanzionatorio - Pena detentiva (congiunta o alternativa a pena
pecuniaria) - Denunciata irragionevolezza, violazione del diritto
di espressione, anche come enunciato dalla CEDU e interpretato
dalla Corte EDU, nonche' del principio di offensivita' e della
funzione di prevenzione generale e speciale della pena - Necessita'
di nuovo bilanciamento tra liberta' di manifestazione del pensiero
e tutela della reputazione individuale, in particolare con
riferimento all'attivita' giornalistica - Intervento riservato alla
discrezionalita' del legislatore - Rinvio della decisione
all'udienza del 22 giugno 2021, con conseguente sospensione dei
giudizi a quibus.
- Legge 8 febbraio 1948, n. 47, art. 13; codice penale, art. 595,
terzo comma.
- Costituzione, artt. 3, 21, 25, 27 e 117, primo comma; Convenzione
per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta'
fondamentali, art. 10.
(GU n.27 del 1-7-2020 )
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente:Marta CARTABIA;
Giudici :Aldo CAROSI, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO,
Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolo' ZANON,
Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI,
Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANO', Luca ANTONINI, Stefano
PETITTI,
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 13 della
legge 8 febbraio 1948, n. 47 (Disposizioni sulla stampa), e dell'art.
595, terzo comma, del codice penale, promossi dal Tribunale ordinario
di Salerno, sezione seconda penale, con ordinanza del 9 aprile 2019 e
dal Tribunale ordinario di Bari, sezione prima penale, con ordinanza
del 16 aprile 2019, iscritte, rispettivamente, ai numeri 140 e 149
del registro ordinanze 2019 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale
della Repubblica numeri 38 e 40, prima serie speciale, dell'anno
2019.
Visti l'atto di costituzione di P. N., nonche' gli atti di
intervento del Consiglio nazionale dell'ordine dei giornalisti (CNOG)
e del Presidente del Consiglio dei ministri;
uditi il Giudice relatore Francesco Vigano' e gli avvocati
Francesco Paolo Chioccarelli per P. N., Giuseppe Vitiello per il
Consiglio nazionale dell'ordine dei giornalisti (CNOG) e gli avvocati
dello Stato Maurizio Greco e Salvatore Faraci per il Presidente del
Consiglio dei ministri, nell'udienza pubblica del 9 giugno 2020,
svolta, ai sensi del decreto della Presidente della Corte del 20
aprile 2020, punto 1), lettere a) e d), in collegamento da remoto, su
richiesta degli avvocati Giuseppe Vitiello, Francesco Paolo
Chioccarelli, Maurizio Greco e Salvatore Faraci pervenute
rispettivamente in data 13, 25 e 29 maggio 2020;
deliberato nella camera di consiglio del 9 giugno 2020.
Ritenuto in fatto
1.- Con ordinanza del 9 aprile 2019, iscritta al n. 140 del r.o.
2019, il Tribunale ordinario di Salerno, sezione seconda penale, ha
sollevato, in riferimento agli artt. 3, 21, 25, 27 e 117, primo
comma, della Costituzione, quest'ultimo in relazione all'art. 10
della Convenzione europea dei diritti dell'uomo (CEDU), questioni di
legittimita' costituzionale dell'art. 595, terzo comma, del codice
penale e dell'art. 13 della legge 8 febbraio 1948, n. 47
(Disposizioni sulla stampa) «per le ragioni di cui in motivazione».
1.1.- Il giudice a quo riferisce di essere chiamato a decidere
sulla responsabilita' penale di P. N., imputato del delitto di
diffamazione a mezzo stampa, e di A. S., imputato in quanto direttore
responsabile per omesso controllo, per aver attribuito alle persone
offese un fatto determinato (l'affiliazione a un sodalizio mafioso)
non corrispondente al vero alla luce degli atti di indagine
dell'autorita' giudiziaria. Poiche', secondo il rimettente, la
condotta diffamatoria risulta sussumibile tanto nella fattispecie
generale di cui all'art. 595, terzo comma, cod. pen., quanto in
quella di cui all'art. 13 della legge n. 47 del 1948, il giudizio di
merito non potrebbe essere definito indipendentemente dalla soluzione
delle prospettate questioni di legittimita' costituzionale.
Quanto alla non manifesta infondatezza delle questioni, il
rimettente ravvisa anzitutto il contrasto tra le disposizioni
censurate e l'art. 117, primo comma, Cost., in relazione all'art. 10
CEDU.
Rilevato che la liberta' di espressione e' tutelata sia dall'art.
10 CEDU, sia dall'art. 21 Cost., sicche' la giurisprudenza della
Corte europea dei diritti dell'uomo formatasi sulla disposizione
convenzionale andrebbe utilizzata come «strumento di ampliamento e
adeguamento del diritto interno», il giudice a quo osserva che,
secondo il consolidato orientamento della Corte EDU, risulterebbe
contraria all'art. 10 CEDU, in quanto eccessiva e sproporzionata, la
previsione anche solo in astratto della pena detentiva per i delitti
di diffamazione a mezzo stampa, salvo che in circostanze eccezionali
ove si determini una grave lesione di altri diritti fondamentali,
come ad esempio in caso di discorsi di odio o di istigazione alla
violenza (sono citate le sentenze della Corte EDU 7 marzo 2019,
Sallusti contro Italia; 24 settembre 2013, Belpietro contro Italia;
17 dicembre 2004, Cumpănă e Mazăre contro Romania).
Non sussisterebbero ostacoli al recepimento di tale consolidata
giurisprudenza della Corte EDU, in assenza, nell'ordinamento interno,
di valori o principi costituzionali suscettibili di prevalere sulla
liberta' di espressione, tutelata tanto dall'art. 10 CEDU, quanto
dall'art. 21 Cost.
Ne' sarebbe possibile adottare un'interpretazione
convenzionalmente orientata delle norme censurate, ritenendo soggette
a pena detentiva «esclusivamente le condotte diffamatorie a mezzo
stampa che rivestano i caratteri dell'eccezionalita'». Tale
interpretazione si porrebbe infatti in contrasto con i principi di
tassativita' e determinatezza della fattispecie penale, corollari del
principio di legalita' di cui all'art. 25 Cost., che impedirebbero al
giudice di integrare la norma incriminatrice con il requisito
dell'eccezionalita', «i cui precisi contorni e confini, peraltro,
dovrebbero pur sempre essere determinati puntualmente dal
legislatore, cui spetta in via esclusiva il potere di legiferare in
materia penale».
Non potrebbe, infine, essere seguito l'orientamento della
giurisprudenza di legittimita', che ha ritenuto la disciplina della
diffamazione a mezzo stampa conforme all'art. 10 CEDU, sul rilievo
dell'eccezionalita' delle circostanze in cui i giudici di merito
avevano irrogato la pena detentiva, poiche' le valutazioni della
Corte di cassazione sono state disattese dalla Corte EDU nelle citate
pronunce Sallusti e Belpietro.
Le disposizioni censurate risulterebbero altresi' contrarie agli
artt. 3 e 21 Cost., in quanto la previsione di una pena detentiva per
i reati di diffamazione a mezzo stampa sarebbe «manifestamente
irragionevole e totalmente sproporzionata rispetto alla liberta' di
manifestazione di pensiero, anche nella forma del diritto di cronaca
giornalistica, fondamentale diritto costituzionalmente garantito
dall'art. 21 Cost., la cui tutela, in assenza di contrari interessi
giuridici interni prevalenti, non puo' che essere favorevolmente
estesa nelle forme stabilite dalla giurisprudenza della Corte Edu,
eliminando cosi', salvi i "casi eccezionali", anche la mera
comminazione di qualunque pena detentiva».
Secondo il rimettente, poi, la comminatoria di una pena detentiva
per le condotte di diffamazione a mezzo stampa si porrebbe in
contrasto con il principio di offensivita', ricavabile dall'art. 25
Cost., «in quanto totalmente sproporzionata, irragionevole e non
necessaria rispetto al bene giuridico tutelato dalle norme
incriminatrici in questione, ovvero il rispetto della reputazione
personale».
Le norme censurate vanificherebbero, infine, la funzione
rieducativa della pena di cui all'art. 27, terzo comma, Cost., attesa
la «inidoneita' della minacciata sanzione detentiva a garantire il
pieno rispetto della funzione generalpreventiva e specialpreventiva
della pena stessa». Cio' in quanto detta sanzione, essendo
sproporzionata al metro della giurisprudenza della Corte EDU,
risulterebbe in concreto inapplicabile e, quindi, inidonea a
orientare la condotta sia della generalita' dei consociati, sia del
singolo giornalista.
1.2.- E' intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei
ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello
Stato, chiedendo che le questioni di legittimita' costituzionale
sollevate dal Tribunale ordinario di Salerno siano dichiarate
inammissibili o infondate.
L'ordinanza di rimessione sarebbe anzitutto insufficientemente
motivata in punto di rilevanza delle questioni. Il giudice a quo
avrebbe omesso di precisare se le affermazioni diffamatorie oggetto
di imputazione fossero frutto di una distorta valutazione di fatti
reali o costituissero una notizia pacificamente falsa; profilo questo
rilevante per la valutazione della conformita' delle norme censurate
agli artt. 117, primo comma, Cost. e 10 CEDU, in quanto, secondo la
giurisprudenza della Corte EDU, l'inflizione della pena detentiva per
il delitto di diffamazione a mezzo stampa non contrasterebbe con
l'art. 10 CEDU in caso di propalazione di una notizia pacificamente
falsa.
Il Presidente del Consiglio dei ministri eccepisce poi
l'oscurita' del petitum dell'ordinanza di rimessione, che non
consentirebbe di comprendere se il rimettente aspiri a ottenere una
pronuncia ablativa delle disposizioni censurate, una pronuncia
manipolativa in punto di pena ovvero una pronuncia additiva in ordine
alla delimitazione delle condotte incriminate.
L'Avvocatura generale dello Stato evidenzia inoltre che
l'accoglimento del petitum - comunque inteso - non eliminerebbe in
toto i censurati profili di illegittimita' costituzionale del
trattamento sanzionatorio previsto per il reato di diffamazione, in
quanto l'art. 595 cod. pen. prevede comunque, anche in relazione a
ipotesi diverse dalla diffamazione a mezzo stampa, la possibilita' di
irrogare la pena detentiva in via alternativa rispetto alla pena
pecuniaria.
L'interveniente eccepisce infine l'omessa adozione, da parte del
giudice a quo, di un'interpretazione costituzionalmente e
convenzionalmente orientata delle norme censurate, in presenza di un
diritto vivente indirizzato nel senso della legittimita' della pena
detentiva nelle ipotesi di diffamazione a mezzo stampa caratterizzate
dagli elementi di eccezionalita' delineati dalla giurisprudenza della
Corte EDU, in particolare nelle sentenze 16 aprile 2009, Egeland e
Hanseid contro Norvegia e 22 aprile 2010, Fatullayev contro
Azerbaijan.
1.3.- Si e' costituita in giudizio la parte P. N., chiedendo
l'accoglimento delle questioni di legittimita' costituzionale
sollevate dal Tribunale ordinario di Salerno.
La parte privata richiama le pronunce della Corte EDU gia' citate
dal rimettente (Belpietro contro Italia e Sallusti contro Italia),
nonche' la sentenza Ricci contro Italia dell'8 ottobre 2013, per
dedurne che la previsione della pena detentiva in relazione alle
condotte di diffamazione a mezzo stampa sarebbe compatibile con
l'art. 10 CEDU solo in presenza di circostanze eccezionali,
riconducibili a gravi lesioni di diritti fondamentali (quali la
diffusione di discorsi d'odio o l'istigazione alla violenza), che non
risulterebbero integrate dalla diffamazione realizzata mediante
attribuzione di un fatto determinato.
Alla luce di tale giurisprudenza, l'art. 595, terzo comma, cod.
pen. potrebbe essere interpretato in maniera conforme all'art. 10
CEDU, nel senso che la pena detentiva, ivi prevista in via
alternativa alla pena pecuniaria, sia irrogabile solo in presenza di
una condotta di diffamazione a mezzo stampa connotata dal ricorrere
di circostanze eccezionali.
Siffatta interpretazione non potrebbe invece essere prospettata
in relazione all'art. 13 della legge n. 47 del 1948, poiche' detta
disposizione commina la pena detentiva in via congiunta (e non
alternativa) alla pena pecuniaria per tutte le ipotesi di
diffamazione a mezzo stampa consistente nell'attribuzione di un fatto
determinato, a prescindere dalla gravita' della singola condotta.
Ne' potrebbe opinarsi diversamente, in base al rilievo che l'art.
13 della legge n. 47 del 1948 configura non un'autonoma ipotesi di
reato, ma una circostanza aggravante del delitto di diffamazione,
come tale bilanciabile ex art. 69 cod. pen. con eventuali circostanze
attenuanti, con conseguente possibilita' che il giudice pervenga a
escludere l'applicazione della pena detentiva. Da un lato, infatti,
qualora la circostanza aggravante di cui all'art. 13 della legge n.
47 del 1948 operi da sola ovvero in concorso con altre circostanze
aggravanti, il giudice dovrebbe comunque applicare la pena detentiva
congiuntamente alla pena pecuniaria; dall'altro lato, in caso di
concorso tra circostanze eterogenee, sarebbe rimesso alla
discrezionalita' del giudice l'eventuale giudizio di prevalenza o
equivalenza delle circostanze attenuanti rispetto all'aggravante in
parola.
1.4.- Con atto depositato l'8 ottobre 2019, il Consiglio
nazionale dell'ordine dei giornalisti (CNOG) e' intervenuto in
giudizio ad adiuvandum, ai sensi dell'art. 4 delle Norme integrative
per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, chiedendo alla Corte
di dichiarare ammissibile l'intervento e di accogliere le questioni
di legittimita' costituzionale sollevate dal rimettente.
L'interveniente illustra diffusamente la giurisprudenza della
Corte EDU relativa ai requisiti di compatibilita' con l'art. 10 CEDU
della punizione delle condotte di diffamazione a mezzo stampa e della
previsione della pena detentiva, deducendone la contrarieta' della
disciplina censurata dal rimettente alla garanzia convenzionale della
liberta' di espressione.
Il CNOG evidenzia poi che un filone della giurisprudenza di
legittimita' (sono richiamate Corte di cassazione, sezione quinta
penale, sentenze 13 marzo 2014, n. 12203 e 19 settembre 2019, n.
38721), in adesione ai principi espressi dalla Corte EDU, riterrebbe
che, in relazione alle condotte di diffamazione a mezzo stampa,
l'irrogazione della pena detentiva sia giustificata solo in presenza
di gravi lesioni dei diritti fondamentali, quali quelle derivanti
dalla propalazione di discorsi di odio o di istigazione alla
violenza.
1.5.- Con ordinanza n. 37 del 2020, questa Corte ha dichiarato
ammissibile l'intervento in giudizio del CNOG, sul rilievo che, ai
sensi che l'art. 4, comma 7, delle Norme integrative per i giudizi
davanti alla Corte costituzionale e secondo la costante
giurisprudenza della Corte, nei giudizi in via incidentale possono
intervenire i titolari di un interesse qualificato, inerente in modo
diretto e immediato al rapporto dedotto in giudizio; interesse da
ritenersi in specie sussistente, in relazione alla competenza
disciplinare attribuita al CNOG dall'art. 20, primo comma, lettera
d), dalla legge 3 febbraio 1963, n. 69 (Ordinamento della professione
di giornalista).
1.6.- Con atto depositato telematicamente il 3 marzo 2020, oltre
il termine di cui all'art. 4-ter, comma 1, delle Norme integrative
per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, la Federazione
nazionale della stampa italiana (FNSI) ha presentato un'opinione
scritta in qualita' di amicus curiae.
1.7.- Il 31 marzo 2020, il Presidente del Consiglio dei ministri
ha depositato memoria illustrativa, insistendo per la declaratoria di
inammissibilita' o di manifesta infondatezza delle questioni di
legittimita' costituzionale sollevate dal Tribunale ordinario di
Salerno. Riproposte le argomentazioni gia' sviluppate nell'atto di
intervento, l'interveniente soggiunge che le fattispecie di cui agli
artt. 595, terzo comma, cod. pen. e 13 della legge n. 47 del 1948
configurano aggravanti speciali del reato di diffamazione, come tali
bilanciabili con eventuali circostanze attenuanti, sicche' il giudice
potrebbe scegliere se applicare la pena detentiva o quella pecuniaria
in funzione della maggiore o minore gravita' della condotta di
diffamazione a mezzo stampa, con conseguente piena conformita' della
normativa censurata alla giurisprudenza della Corte EDU in tema di
liberta' di espressione.
Con specifico riferimento al caso oggetto del giudizio a quo,
inoltre, l'attribuzione alla persona offesa di una condotta illecita,
poi rivelatasi inveritiera, determinerebbe una lesione della
presunzione di non colpevolezza, tutelata dagli artt. 27, secondo
comma, Cost. e 6, paragrafo 2, CEDU, cosi' concretando una delle
circostanze eccezionali che, secondo la giurisprudenza della Corte
EDU, giustificano l'applicazione della pena detentiva al giornalista
colpevole di diffamazione.
1.8.- Rispettivamente in data 19 maggio, 29 maggio e 31 maggio
2020, in tutti i casi oltre il termine di cui all'art. 4-ter, comma
1, delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte
costituzionale, sono pervenute alla cancelleria della Corte, via
posta elettronica certificata, altrettante opinioni scritte del
Sindacato cronisti romani presso l'Associazione stampa romana in
qualita' di amicus curiae.
1.9.- Il 26 maggio 2020 la parte P. N. ha depositato, fuori
termine, memoria integrativa.
2.- Con ordinanza del 16 aprile 2019, iscritta al n. 149 del r.o.
2019, il Tribunale ordinario di Bari, sezione prima penale, ha
sollevato, in riferimento all'art. 117, primo comma, Cost., in
relazione all'art. 10 CEDU, questione di legittimita' costituzionale
dell'art. 13 della legge n. 47 del 1948, «nella parte in cui sanziona
il delitto di diffamazione aggravata, commessa a mezzo stampa e
consistente nell'attribuzione di un fatto determinato, con la pena
cumulativa della reclusione da uno a sei anni e della multa non
inferiore a 256 [recte: 258] euro, invece che in via alternativa».
2.1.- Il rimettente espone di dover giudicare della
responsabilita' di G. D.T., imputato del delitto di cui agli artt.
595 cod. pen. e 13 della legge n. 47 del 1948, per avere, in qualita'
di direttore di un quotidiano, offeso la reputazione di F. C.
mediante la pubblicazione di un articolo privo di firma, nel quale si
attribuiva alla persona offesa la cessione di stupefacente a una
terza persona, malgrado l'avvenuto proscioglimento di F. C. in
relazione a tale fatto.
In punto di rilevanza, il giudice a quo espone che, ai sensi del
combinato disposto degli artt. 595 cod. pen. e 13 della legge n. 47
del 1948, il delitto di cui G. D.T. e' imputato (diffamazione
realizzata con la pubblicazione dell'articolo in questione e
consistente nell'attribuzione di un fatto determinato) risulta
punibile con la pena della reclusione da uno a sei anni, prevista in
via cumulativa e non alternativa rispetto alla multa di 258 euro.
Non sussisterebbero poi ragioni per prosciogliere l'imputato il
quale, pur tratto in giudizio nella qualita' di direttore
responsabile del quotidiano, sarebbe chiamato a rispondere
direttamente della condotta diffamatoria realizzata mediante la
pubblicazione dell'articolo privo di firma. Del resto, la questione
rimarrebbe rilevante anche ove, all'esito del dibattimento, si
dovesse ritenere sussistente la responsabilita' di G. D.T. sotto il
solo profilo dell'omesso controllo sulla pubblicazione di contenuti
diffamatori, ai sensi dell'art. 57 cod. pen., atteso che, anche in
tale ipotesi, sarebbe comunque applicabile la pena detentiva, pur
ridotta di un terzo nel quantum.
Quanto alla non manifesta infondatezza, il rimettente richiama
ampi stralci delle sentenze della Corte EDU Belpietro contro Italia,
Sallusti contro Italia e Ricci contro Italia, relative alla
compatibilita' con l'art. 10 CEDU del trattamento sanzionatorio
previsto nell'ordinamento italiano, in particolare per la
diffamazione a mezzo stampa.
Da tale consolidata giurisprudenza si trarrebbe che la previsione
per tale delitto di una pena detentiva, pur suscettibile di
sospensione condizionale o di commutazione in pena pecuniaria,
risulterebbe incompatibile con l'art. 10 CEDU, poiche' idonea a
scoraggiare l'esercizio della liberta' di manifestazione del pensiero
e della liberta' d'informazione, in tutti i casi in cui non ricorrano
circostanze eccezionali, quali la propalazione di discorsi di odio o
di istigazione alla violenza.
Ne' sarebbe praticabile un'interpretazione costituzionalmente
orientata della norma censurata, che considerasse irrogabile la pena
detentiva in relazione alle sole condotte diffamatorie concretantisi
in incitazione all'odio, alla discriminazione o alla violenza: una
simile opzione ermeneutica, «creativa e arbitraria, slegata dal dato
letterale, ed esorbitante rispetto alla funzione giurisdizionale»
risulterebbe infatti contraria al principio di legalita' e lesiva
degli artt. 25 e 101 Cost.
Nemmeno sarebbe possibile applicare, in luogo delle sanzioni
previste dall'art. 13 della legge n. 47 del 1948, quelle contemplate
dall'art. 595, secondo e terzo comma, cod. pen., che prevedono la
pena detentiva in via alternativa e non congiunta rispetto alla pena
pecuniaria, essendo la fattispecie della diffamazione commessa a
mezzo stampa e contestualmente consistente nell'attribuzione di un
fatto determinato inequivocabilmente disciplinata dalla prima
disposizione.
Ne', ancora, sarebbe dirimente che la circostanza aggravante di
cui al predetto art. 13 sia bilanciabile con altre circostanze
attenuanti, perche' cio' non escluderebbe l'effetto dissuasivo,
rispetto all'attivita' giornalistica, della previsione, in astratto,
di una pena detentiva congiunta a quella pecuniaria.
Il rimettente precisa infine che la questione di legittimita'
costituzionale sollevata mira a una pronuncia che renda la pena
detentiva applicabile in via alternativa e non piu' cumulativa
rispetto alla pena pecuniaria. Una simile pronuncia «consentirebbe al
giudice di verificare in concreto la sussistenza delle circostanze
eccezionali in cui la gravita' della condotta e dell'offesa che ne
deriva giustifica l'irrogazione di una pena detentiva, lasciando
cosi' un adeguato spazio discrezionale utile per conformare la
decisione giurisdizionale nazionale ai principi dell'ordinamento CEDU
in materia». Si tratterebbe, a parere del giudice a quo, di una
soluzione non costituzionalmente obbligata, ma adottabile da parte di
questa Corte, sulla falsariga di quanto gia' avvenuto nella sentenza
n. 40 del 2019, in presenza di un preciso punto di riferimento,
offerto dall'art. 595 cod. pen., che prevede l'applicazione della
pena detentiva in alternativa alla pena pecuniaria nei casi di cui ai
commi secondo e terzo.
2.1.- E' intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei
ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello
Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o
infondata, sulla base delle argomentazioni gia' svolte nell'atto di
intervento depositato nel giudizio iscritto al n. 140 del r.o. 2019.
2.2.- Il 22 ottobre 2019, il CNOG ha depositato atto di
intervento ad adiuvandum, di tenore analogo a quello dell'atto
presentato nel giudizio iscritto al n. 140 del r.o. 2019.
2.3.- Il 31 marzo 2020 il Presidente del Consiglio dei ministri
ha depositato memoria illustrativa, insistendo per l'accoglimento
delle conclusioni gia' rassegnate nell'atto di intervento e
richiamando integralmente le argomentazioni svolte nella memoria
illustrativa depositata nel giudizio iscritto al n. 140 del r.o.
2019.
2.4.- Il 19, 29 e 31 maggio 2020, e dunque oltre il termine di
cui all'art. 4-ter, comma 1, delle Norme integrative per i giudizi
davanti alla Corte costituzionale, il Sindacato cronisti romani
presso l'Associazione stampa romana ha depositato via posta
elettronica certificata le stesse opinioni scritte in qualita' di
amicus curiae depositate nel giudizio iscritto al n. 140 del r.o.
2019.
Considerato in diritto
1.- Con l'ordinanza iscritta al n. 140 del r.o. 2019 il Tribunale
ordinario di Salerno, sezione seconda penale, ha sollevato, in
riferimento agli artt. 3, 21, 25, 27 e 117, primo comma, della
Costituzione, quest'ultimo in relazione all'art. 10 della Convenzione
europea dei diritti dell'uomo (CEDU), questioni di legittimita'
costituzionale dell'art. 595, terzo comma, del codice penale e
dell'art. 13 della legge 8 febbraio 1948, n. 47 (Disposizioni sulla
stampa) «per le ragioni di cui in motivazione». Dalla motivazione
emerge che il rimettente si duole in sostanza della previsione, da
parte delle due disposizioni censurate, della pena della reclusione -
in via alternativa o cumulativa rispetto alla multa - a carico di chi
sia ritenuto responsabile del delitto di diffamazione aggravata
dall'uso del mezzo della stampa consistente nell'attribuzione di un
fatto determinato.
2.- Con l'ordinanza iscritta al n. 149 del r.o. 2019 il Tribunale
ordinario di Bari, sezione prima penale, ha sollevato, in riferimento
all'art. 117, primo comma, Cost., in relazione all'art. 10 CEDU,
questione di legittimita' costituzionale dell'art. 13 della legge n.
47 del 1948, in combinato disposto con l'art. 595 cod. pen., «nella
parte in cui sanziona il delitto di diffamazione aggravata, commessa
a mezzo stampa e consistente nell'attribuzione di un fatto
determinato, con la pena cumulativa della reclusione da uno a sei
anni e della multa non inferiore a 256 [recte: 258] euro, invece che
in via alternativa».
3.- Le due ordinanze sollevano questioni analoghe e meritano
pertanto di essere riunite ai fini della decisione.
4.- L'intervento del Consiglio nazionale dell'ordine dei
giornalisti (CNOG), gia' dichiarato ammissibile da questa Corte, in
relazione alla causa iscritta al n. 140 del r.o. 2019, con ordinanza
n. 37 del 2020, deve ritenersi ammissibile anche in relazione alla
causa iscritta al n. 149 del r.o. 2019, come da ordinanza letta in
udienza e riportata in calce alla presente pronuncia.
5.- Entrambi i giudici rimettenti lamentano la previsione della
pena della reclusione per il delitto di diffamazione commessa a mezzo
della stampa e consistente nell'attribuzione di un fatto determinato,
ritenendo che tale previsione si ponga in contrasto con l'art. 117,
primo comma, Cost., in relazione all'art. 10 CEDU, cosi' come
interpretato dalla costante giurisprudenza della Corte europea dei
diritti dell'uomo.
Secondo l'ordinanza iscritta al n. 140 del r.o. 2019, tale
previsione sarebbe altresi' incompatibile:
- con gli artt. 3 e 21 Cost., in ragione del carattere
«manifestamente irragionevole e totalmente sproporzionat[o]» della
previsione della pena detentiva rispetto all'importanza della
liberta' di manifestazione del pensiero, salvi i casi eccezionali in
cui la stessa Corte EDU riconosce legittima tale pena;
- con il principio di necessaria offensivita' del reato di cui
all'art. 25 Cost., dal momento che tale previsione risulterebbe
«totalmente sproporzionata, irragionevole e non necessaria rispetto
al bene giuridico tutelato dalle norme incriminatrici in questione,
ovvero il rispetto della reputazione personale»; nonche'
- con il principio della necessaria funzione rieducativa della
pena di cui all'art. 27, terzo comma, Cost., «attesa la inidoneita'
della minacciata sanzione detentiva a garantire il pieno rispetto
della funzione generalpreventiva e specialpreventiva della pena
stessa».
L'ordinanza iscritta al n. 149 del r.o. 2019 incentra le proprie
censure unicamente sul trattamento sanzionatorio previsto dall'art.
13 della legge n. 47 del 1948, che prevede in via cumulativa la pena
della reclusione da uno a sei anni e quella della multa non inferiore
a 258 euro (e non superiore a 50.000 euro, giusta il disposto
dell'art. 24 cod. pen.) per il caso di «diffamazione commessa col
mezzo della stampa, consistente nell'attribuzione di un fatto
determinato».
L'ordinanza iscritta al n. 140 del r.o. 2019 estende invece le
questioni anche all'art. 595, terzo comma, cod. pen., che prevede in
via alternativa la pena della reclusione da sei mesi a tre anni o
della multa non inferiore a 516 euro (e dunque, ancora, non superiore
a 50.000 euro) per il caso di diffamazione recata, tra l'altro, con
il mezzo della stampa.
6.- La motivazione di entrambe le ordinanze e' imperniata su ampi
richiami alla giurisprudenza della Corte EDU in materia di liberta'
di espressione, tutelata dall'art. 10 CEDU e ritenuta di regola
violata laddove vengano applicate pene detentive a giornalisti
condannati per diffamazione.
6.1.- Tale giurisprudenza risale, in effetti, almeno alla
sentenza della grande camera 17 dicembre 2004, Cumpănă e Mazăre
contro Romania, nella quale la Corte EDU ha esaminato il ricorso di
due giornalisti, condannati per diffamazione in quanto autori di un
articolo nel quale accusavano un giudice di essere coinvolto in fatti
di corruzione. La Corte EDU ha riconosciuto la legittimita'
dell'affermazione di responsabilita' penale degli imputati,
osservando che le gravi accuse rivolte alla vittima fornissero una
visione distorta dei fatti e fossero prive di adeguati riscontri
fattuali (paragrafo 103); ma ha al contempo ritenuto che
l'imposizione nei loro confronti di una pena di sette mesi di
reclusione non sospesa, ancorche' in concreto non eseguita per
effetto di un provvedimento di grazia presidenziale, costituisse una
interferenza sproporzionata - e pertanto «non necessaria in una
societa' democratica» ai sensi dell'art. 10, paragrafo 2, CEDU - con
il loro diritto alla liberta' di espressione, tutelata dal paragrafo
1 del medesimo art. 10 CEDU.
Nella pronuncia indicata, la Corte EDU ha ricordato in proposito
(paragrafo 93) il proprio insegnamento secondo cui la stampa svolge
l'essenziale ruolo di «cane da guardia» della democrazia (sentenza 27
marzo 1996, Goodwin contro Regno Unito, paragrafo 39), rilevando che
«se e' vero che gli Stati parte hanno la facolta', o addirittura il
dovere, in forza dei loro obblighi positivi di tutela dell'art. 8
CEDU, di disciplinare l'esercizio della liberta' di espressione in
modo da assicurare per legge un'adeguata tutela della reputazione
delle persone, non devono pero' farlo in una maniera che
indebitamente dissuada i media dallo svolgimento del loro ruolo di
segnalare all'opinione pubblica casi apparenti o supposti di abuso
dei pubblici poteri» (paragrafo 113). Il timore di sanzioni detentive
produce, secondo la Corte di Strasburgo, un evidente effetto
dissuasivo («chilling effect») rispetto all'esercizio della liberta'
di espressione dei giornalisti - in particolare nello svolgimento
della loro attivita' di inchiesta e di pubblicazione dei risultati
delle loro indagini - tale da riverberarsi sul giudizio di
proporzionalita', e dunque di legittimita' alla luce della
Convenzione, di tali sanzioni (paragrafo 114).
Pur sottolineando come la scelta delle sanzioni sia in principio
riservata ai tribunali nazionali, la Corte EDU ha concluso che
«l'imposizione di una pena detentiva per un reato a mezzo stampa e'
compatibile con la liberta' di espressione dei giornalisti, garantita
dall'art. 10 della Convenzione, soltanto in circostanze eccezionali,
segnatamente quando altri diritti fondamentali siano stati seriamente
offesi, come ad esempio nel caso di diffusione di discorsi d'odio
(hate speech) o di istigazione alla violenza» (paragrafo 115):
circostanze certamente non sussistenti nel caso allora esaminato.
6.2.- I principi espressi dalla sentenza Cumpănă sono stati poi
costantemente ribaditi dalla Corte EDU nella propria successiva
giurisprudenza (ex multis, sentenza 6 dicembre 2007, Katrami contro
Grecia), anche in due sentenze pronunciate nei confronti dell'Italia,
cui i giudici rimettenti fanno puntuale riferimento (sentenze 24
settembre 2013, Belpietro contro Italia; 7 marzo 2019, Sallusti
contro Italia). In tali ultime pronunce - rispetto alle quali
risultano ancora pendenti i rispettivi procedimenti di supervisione
sull'esecuzione delle sentenze avanti al Comitato dei ministri del
Consiglio d'Europa - la Corte EDU da un lato ha ritenuto legittima
l'affermazione di responsabilita' penale in capo ai ricorrenti da
parte dei giudici italiani, stante la non veridicita' e la gravita'
degli addebiti rivolti alle persone offese, in assenza dei doverosi
controlli da parte del giornalista (ovvero del direttore
responsabile); ma, dall'altro lato, ha ritenuto sproporzionata
l'inflizione nei loro confronti di una pena detentiva, ancorche'
condizionalmente sospesa ovvero cancellata da un provvedimento di
grazia del Presidente della Repubblica.
6.3.- D'altra parte, numerosi documenti degli organi politici del
Consiglio d'Europa raccomandano agli Stati membri di rinunciare alle
sanzioni detentive per il delitto di diffamazione, allo scopo di
tutelare piu' efficacemente la liberta' di espressione dei
giornalisti e, correlativamente, il diritto dei cittadini a essere
informati.
In particolare, il Comitato dei ministri ha adottato, il 12
febbraio 2004, una Dichiarazione sulla liberta' dei dibattiti
politici nei media, nella quale ha tra l'altro affermato che
risarcimenti e sanzioni pecuniarie per la diffamazione a mezzo stampa
devono essere proporzionati alla violazione dei diritti e della
reputazione delle persone offese e tenere in considerazione eventuali
condotte riparatorie intervenute, e che la pena detentiva non
dovrebbe essere applicata, salvo in casi di grave violazione di altri
diritti fondamentali, che la rendano strettamente necessaria e
proporzionata.
Con la risoluzione 4 ottobre 2007, n. 1577, l'Assemblea
parlamentare del Consiglio d'Europa ha riaffermato il ruolo centrale
dell'informazione, pietra angolare di una democrazia, con particolare
riferimento alla funzione propulsiva rispetto a dibattiti di
interesse pubblico. Essa ha, in particolare, esortato gli Stati
contraenti ad abolire la pena detentiva per la diffamazione e a
garantire che non sia fatto un uso distorto dei procedimenti penali
per diffamazione. Nel contempo, e' stata raccomandata la
criminalizzazione delle condotte di incitamento alla violenza,
all'odio o alla discriminazione.
Nella risoluzione 24 gennaio 2013, n. 1920, sullo stato della
liberta' dei media in Europa, l'Assemblea parlamentare del Consiglio
d'Europa ha nuovamente stigmatizzato l'uso distorto dei procedimenti
penali per fatti di diffamazione. Con specifico riferimento
all'Italia, alla luce della condanna di un giornalista a una pena
detentiva confermata dalla Corte di cassazione - condanna che ha poi
dato origine alla sentenza della Corte EDU Sallusti contro Italia,
poc'anzi menzionata - la medesima assemblea ha richiesto alla
Commissione europea per la democrazia attraverso il diritto
(Commissione di Venezia) di predisporre un parere sulla conformita'
della normativa italiana all'art. 10 CEDU. Il relativo parere della
Commissione di Venezia (n. 715 del 6-7 dicembre 2013) ha concluso nel
senso che la vigente legislazione italiana non sarebbe pienamente in
linea con gli standard del Consiglio d'Europa in materia di liberta'
di espressione, individuando la problematica di maggior rilievo nella
previsione della pena detentiva in relazione alla diffamazione a
mezzo stampa.
7.- Alla luce di quanto precede, appare necessaria e urgente una
complessiva rimeditazione del bilanciamento, attualmente
cristallizzato nella normativa oggetto delle odierne censure, tra
liberta' di manifestazione del pensiero e tutela della reputazione
individuale, in particolare con riferimento all'attivita'
giornalistica.
7.1.- La liberta' di manifestazione del pensiero costituisce -
prima ancora che un diritto proclamato dalla CEDU - un diritto
fondamentale riconosciuto come «coessenziale al regime di liberta'
garantito dalla Costituzione» (sentenza n. 11 del 1968), «pietra
angolare dell'ordine democratico» (sentenza n. 84 del 1969), «cardine
di democrazia nell'ordinamento generale» (sentenza n. 126 del 1985 e,
di recente, sentenza n. 206 del 2019). Ne' e' senza significato che,
nella prima sentenza della sua storia, la Corte costituzionale - in
risposta a ben trenta ordinanze sollevate da giudici comuni - abbia
dichiarato l'illegittimita' costituzionale di una disposizione di
legge proprio in ragione del suo contrasto con l'art. 21 Cost.
(sentenza n. 1 del 1956).
Nell'ambito di questo diritto, la liberta' di stampa assume
un'importanza peculiare, in ragione del suo ruolo essenziale nel
funzionamento del sistema democratico (sentenza n. 1 del 1981), nel
quale al diritto del giornalista di informare corrisponde un
correlativo "diritto all'informazione" dei cittadini: un diritto
quest'ultimo «qualificato in riferimento ai principi fondanti della
forma di Stato delineata dalla Costituzione, i quali esigono che la
nostra democrazia sia basata su una libera opinione pubblica e sia in
grado di svilupparsi attraverso la pari concorrenza di tutti alla
formazione della volonta' generale», e «caratterizzato dal pluralismo
delle fonti cui attingere conoscenze e notizie [...] in modo tale che
il cittadino possa essere messo in condizione di compiere le sue
valutazioni avendo presenti punti di vista differenti e orientamenti
culturali contrastanti (sentenza n. 112 del 1993, richiamata dalla
sentenza n. 155 del 2002)» (sentenza n. 206 del 2019).
Non v'e' dubbio pertanto che l'attivita' giornalistica meriti di
essere «salvaguardata contro ogni minaccia o coartazione, diretta o
indiretta» (sentenza n. 172 del 1972) che possa indebolire la sua
vitale funzione nel sistema democratico, ponendo indebiti ostacoli al
legittimo svolgimento del suo ruolo di informare i consociati e di
contribuire alla formazione degli orientamenti della pubblica
opinione, anche attraverso la critica aspra e polemica delle condotte
di chi detenga posizioni di potere.
7.2.- Per altro verso, il legittimo esercizio, da parte della
stampa e degli altri media, della liberta' di informare e di
contribuire alla formazione della pubblica opinione richiede di
essere bilanciato con altri interessi e diritti, parimenti di rango
costituzionale, che ne segnano i possibili limiti, tanto nell'ottica
costituzionale quanto in quella convenzionale.
Fra tali limiti si colloca, in posizione eminente, la reputazione
della persona, che costituisce al tempo stesso un diritto inviolabile
ai sensi dell'art. 2 Cost. (sentenze n. 37 del 2019, n. 379 del 1996,
n. 86 del 1974 e n. 38 del 1973) e una componente essenziale del
diritto alla vita privata di cui all'art. 8 CEDU (ex multis, Corte
EDU, sentenza 6 novembre 2018, Vicent del Campo contro Spagna), che
lo Stato ha il preciso obbligo di tutelare anche nei rapporti
interprivati (in questo senso la menzionata sentenza Cumpănă della
Corte EDU, paragrafo 91), oltre che un diritto espressamente
riconosciuto dall'art. 17 del Patto internazionale relativo ai
diritti civili e politici. Un diritto, altresi', connesso a doppio
filo con la stessa dignita' della persona (sentenza n. 265 del 2014
e, nella giurisprudenza di legittimita', ex plurimis Corte di
cassazione, sezione quinta penale, sentenza 28 ottobre 2010, n.
4938), e suscettibile di essere leso dalla diffusione di addebiti non
veritieri o di rilievo esclusivamente privato.
7.3.- Il punto di equilibrio tra la liberta' di "informare" e di
"formare" la pubblica opinione svolto dalla stampa e dai media, da un
lato, e la tutela della reputazione individuale, dall'altro, non puo'
pero' essere pensato come fisso e immutabile, essendo soggetto a
necessari assestamenti, tanto piu' alla luce della rapida evoluzione
della tecnologia e dei mezzi di comunicazione verificatasi negli
ultimi decenni.
Il bilanciamento sotteso alle norme del codice penale e in quelle
della vigente legge sulla stampa - e in particolare negli artt. 595
cod. pen. e 13 della legge n. 47 del 1948, in questa sede censurati -
si impernia sulla previsione, in via rispettivamente alternativa e
cumulativa, di pene detentive e pecuniarie laddove il giornalista
offenda la reputazione altrui, travalicando i limiti del legittimo
esercizio del diritto di cronaca o di critica di cui all'art. 21
Cost.; limiti a loro volta ricostruiti dalla giurisprudenza civile (a
partire dalla fondamentale Corte di cassazione, sezione prima civile,
sentenza 18 ottobre 1984, n. 5259) e penale (ex multis, Corte di
cassazione, sezione quinta penale, sentenza 12 settembre 2007, n.
34432) sulla base dei criteri tradizionali dell'interesse pubblico
alla conoscenza della notizia, della verita' di essa (ovvero, nel
caso di erroneo convincimento del giornalista relativa alla verita'
della notizia, nell'assenza di colpa nel controllo delle fonti) e
della cosiddetta continenza formale.
Un simile bilanciamento e' divenuto ormai inadeguato, anche alla
luce della copiosa giurisprudenza della Corte EDU poc'anzi
rammentata, che al di fuori di ipotesi eccezionali considera
sproporzionata l'applicazione di pene detentive, ancorche' sospese o
in concreto non eseguite, nei confronti di giornalisti che abbiano
pur illegittimamente offeso la reputazione altrui. E cio' in funzione
dell'esigenza di non dissuadere, per effetto del timore della
sanzione privativa della liberta' personale, la generalita' dei
giornalisti dall'esercitare la propria cruciale funzione di controllo
sull'operato dei pubblici poteri.
Cio' esige una rimodulazione del bilanciamento sotteso alla
disciplina in questa sede censurata, in modo da coniugare le esigenze
di garanzia della liberta' giornalistica, nel senso ora precisato,
con le altrettanto pressanti ragioni di tutela effettiva della
reputazione individuale delle vittime di eventuali abusi di quella
liberta' da parte dei giornalisti; vittime che sono oggi esposte a
rischi ancora maggiori che nel passato. Basti pensare, in proposito,
agli effetti di rapidissima e duratura amplificazione degli addebiti
diffamatori determinata dai social networks e dai motori di ricerca
in internet, il cui carattere lesivo per la vittima - in termini di
sofferenza psicologica e di concreti pregiudizi alla propria vita
privata, familiare, sociale, professionale, politica - e per tutte le
persone a essa affettivamente legate risulta grandemente potenziato
rispetto a quanto accadeva anche solo in un recente passato.
8.- Un simile, delicato bilanciamento spetta in primo luogo al
legislatore, sul quale incombe la responsabilita' di individuare
complessive strategie sanzionatorie in grado, da un lato, di evitare
ogni indebita intimidazione dell'attivita' giornalistica; e,
dall'altro, di assicurare un'adeguata tutela della reputazione
individuale contro illegittime - e talvolta maliziose - aggressioni
poste in essere nell'esercizio di tale attivita'. Il legislatore,
d'altronde, e' meglio in grado di disegnare un equilibrato sistema di
tutela dei diritti in gioco, che contempli non solo il ricorso - nei
limiti della proporzionalita' rispetto alla gravita' oggettiva e
soggettiva dell'illecito - a sanzioni penali non detentive nonche' a
rimedi civilistici e in generale riparatori adeguati (come, in
primis, l'obbligo di rettifica), ma anche a efficaci misure di
carattere disciplinare, rispondendo allo stesso interesse degli
ordini giornalistici pretendere, da parte dei propri membri, il
rigoroso rispetto degli standard etici che ne garantiscono
l'autorevolezza e il prestigio, quali essenziali attori del sistema
democratico. In questo quadro, il legislatore potra' eventualmente
sanzionare con la pena detentiva le condotte che, tenuto conto del
contesto nazionale, assumano connotati di eccezionale gravita' dal
punto di vista oggettivo e soggettivo, fra le quali si iscrivono
segnatamente quelle in cui la diffamazione implichi una istigazione
alla violenza ovvero convogli messaggi d'odio.
Il «compito naturale» di questa Corte e' quello di verificare ex
post, su sollecitazione dei giudici comuni, la compatibilita' delle
scelte compiute dal legislatore con la Costituzione (ordinanza n. 207
del 2018) e, mediatamente, con gli strumenti internazionali al cui
rispetto l'ordinamento si e' vincolato, sulla base dei principi
elaborati dalla giurisprudenza di questa Corte. Un compito al quale
anche in questa occasione questa Corte non puo' e non intende
sottrarsi, ma che - rispetto alle possibilita' di intervento di cui
dispone il legislatore - sconta necessariamente la limitatezza degli
orizzonti del devolutum e dei rimedi a sua disposizione, che segnano
il confine dei suoi poteri decisori; con il connesso rischio che, per
effetto della stessa pronuncia di illegittimita' costituzionale, si
creino lacune di tutela effettiva per i controinteressi in gioco,
seppur essi stessi di centrale rilievo nell'ottica costituzionale
(per analoghe preoccupazioni, si veda ancora l'ordinanza n. 207 del
2018).
Considerato allora che vari progetti di legge in materia di
revisione della disciplina della diffamazione a mezzo della stampa
risultano allo stato in corso di esame avanti alle Camere, questa
Corte ritiene opportuno, in uno spirito di leale collaborazione
istituzionale e nel rispetto dei limiti delle proprie attribuzioni,
rinviare la decisione delle questioni ora sottopostele a una
successiva udienza, in modo da consentire al legislatore di approvare
nel frattempo una nuova disciplina in linea con i principi
costituzionali e convenzionali sopra illustrati.
Rimarranno nel frattempo sospesi anche i giudizi a quibus. Negli
altri giudizi, spettera' ai giudici valutare se eventuali questioni
di legittimita' costituzionale delle disposizioni in esame analoghe a
quelle in questa sede prospettate debbano parimenti essere
considerate rilevanti e non manifestamente infondate alla luce dei
principi sopra enunciati, cosi' da evitare, nelle more del giudizio
di costituzionalita', l'applicazione delle disposizioni censurate
(sentenza n. 242 del 2019 e ordinanza n. 207 del 2018).
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
rinvia all'udienza pubblica del 22 giugno 2021 la trattazione
delle questioni di legittimita' costituzionale sollevate dal
Tribunale ordinario di Salerno, sezione seconda penale, e dal
Tribunale ordinario di Bari, sezione prima penale, con le ordinanze
indicate in epigrafe.
Cosi' deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 9 giugno 2020.
F.to:
Marta CARTABIA, Presidente
Francesco VIGANO', Redattore
Filomena PERRONE, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 26 giugno 2020.
Il Cancelliere
F.to: Filomena PERRONE
Allegato:
Ordinanza letta all'udienza del 9 giugno 2020
ORDINANZA
Ritenuto che, con ordinanza del 16 aprile 2019 (r.o. n. 149 del
2019) il Tribunale ordinario di Bari, sezione prima penale, ha
sollevato - con riferimento all'art. 117, primo comma, Cost., in
relazione all'art. 10 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo
(CEDU) - questione di legittimita' costituzionale dell'art. 13 della
legge 8 febbraio 1948, n. 47 (Disposizioni sulla stampa), in
combinato disposto con l'art. 595, terzo comma, del codice penale,
nella parte in cui punisce il delitto di diffamazione a mezzo stampa
consistente nell'attribuzione di un fatto determinato con la pena
della reclusione da uno a sei anni, in via cumulativa e non
alternativa rispetto alla multa non inferiore a 258 euro;
che il 22 ottobre 2019 il Consiglio nazionale dell'ordine dei
giornalisti (CNOG), in qualita' di «titolare di un interesse
giuridico particolarmente qualificato, idoneo a fondare
l'ammissibilita' del suo intervento nel giudizio costituzionale», ha
depositato, nei termini, atto di intervento ad adiuvandum, senza
peraltro chiedere di essere autorizzato a prendere visione e trarre
copia degli atti processuali.
Considerato che un identico atto di intervento del Consiglio
nazionale dell'ordine dei giornalisti (CNOG) e' stato dichiarato
ammissibile da questa Corte con ordinanza n. 37 del 2020, pronunciata
nel giudizio r.o. n. 140 del 2019, avente a oggetto questioni di
legittimita' costituzionale dell'art. 13 della legge 8 febbraio 1948,
n. 47 (Disposizioni sulla stampa) e dell'art. 595, terzo comma, del
codice penale e chiamato per la discussione all'odierna udienza,
congiuntamente al presente giudizio;
che, in detta ordinanza, la Corte ha ritenuto sussistente, in
capo al CNOG, un interesse qualificato legittimante l'intervento in
giudizio, in relazione alla competenza disciplinare attribuita al
Consiglio medesimo dall'art. 20, primo comma, lettera d), dalla legge
3 febbraio 1963, n. 69 (Ordinamento della professione di giornalista)
ed esercitabile, ai sensi dell'art. 39 della medesima legge, in caso
di condanna penale, ove sussistano le condizioni di cui al successivo
art. 48, primo comma;
che le argomentazioni svolte da questa Corte nella gia' citata
ordinanza n. 37 del 2020 - da intendersi qui integralmente richiamate
- valgono anche in relazione all'intervento spiegato dal CNOG nel
presente giudizio;
che, contrariamente all'avviso espresso in udienza
dall'Avvocatura dello Stato, l'ammissibilita' dell'intervento del
terzo non puo' ritenersi condizionata alla circostanza che la parte
del giudizio a quo si sia costituita anche nel giudizio avanti alla
Corte costituzionale, dal momento che l'interesse qualificato
all'intervento sussiste indipendentemente dalle scelte difensive
assunte dalla parte del giudizio a quo;
che, dunque, l'intervento deve essere dichiarato ammissibile.
per questi motivi
la corte costituzionale
dichiara ammissibile l'intervento del Consiglio nazionale
dell'ordine dei giornalisti (CNOG).
F.to: Marta Cartabia, Presidente
Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
Reati e pene - Diffamazione aggravata, commessa a mezzo stampa e
consistente nell'attribuzione di un fatto determinato - Trattamento
sanzionatorio - Pena detentiva (congiunta o alternativa a pena
pecuniaria) - Denunciata irragionevolezza, violazione del diritto
di espressione, anche come enunciato dalla CEDU e interpretato
dalla Corte EDU, nonche' del principio di offensivita' e della
funzione di prevenzione generale e speciale della pena - Necessita'
di nuovo bilanciamento tra liberta' di manifestazione del pensiero
e tutela della reputazione individuale, in particolare con
riferimento all'attivita' giornalistica - Intervento riservato alla
discrezionalita' del legislatore - Rinvio della decisione
all'udienza del 22 giugno 2021, con conseguente sospensione dei
giudizi a quibus.
- Legge 8 febbraio 1948, n. 47, art. 13; codice penale, art. 595,
terzo comma.
- Costituzione, artt. 3, 21, 25, 27 e 117, primo comma; Convenzione
per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta'
fondamentali, art. 10.
(GU n.27 del 1-7-2020 )
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente:Marta CARTABIA;
Giudici :Aldo CAROSI, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO,
Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolo' ZANON,
Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI,
Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANO', Luca ANTONINI, Stefano
PETITTI,
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 13 della
legge 8 febbraio 1948, n. 47 (Disposizioni sulla stampa), e dell'art.
595, terzo comma, del codice penale, promossi dal Tribunale ordinario
di Salerno, sezione seconda penale, con ordinanza del 9 aprile 2019 e
dal Tribunale ordinario di Bari, sezione prima penale, con ordinanza
del 16 aprile 2019, iscritte, rispettivamente, ai numeri 140 e 149
del registro ordinanze 2019 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale
della Repubblica numeri 38 e 40, prima serie speciale, dell'anno
2019.
Visti l'atto di costituzione di P. N., nonche' gli atti di
intervento del Consiglio nazionale dell'ordine dei giornalisti (CNOG)
e del Presidente del Consiglio dei ministri;
uditi il Giudice relatore Francesco Vigano' e gli avvocati
Francesco Paolo Chioccarelli per P. N., Giuseppe Vitiello per il
Consiglio nazionale dell'ordine dei giornalisti (CNOG) e gli avvocati
dello Stato Maurizio Greco e Salvatore Faraci per il Presidente del
Consiglio dei ministri, nell'udienza pubblica del 9 giugno 2020,
svolta, ai sensi del decreto della Presidente della Corte del 20
aprile 2020, punto 1), lettere a) e d), in collegamento da remoto, su
richiesta degli avvocati Giuseppe Vitiello, Francesco Paolo
Chioccarelli, Maurizio Greco e Salvatore Faraci pervenute
rispettivamente in data 13, 25 e 29 maggio 2020;
deliberato nella camera di consiglio del 9 giugno 2020.
Ritenuto in fatto
1.- Con ordinanza del 9 aprile 2019, iscritta al n. 140 del r.o.
2019, il Tribunale ordinario di Salerno, sezione seconda penale, ha
sollevato, in riferimento agli artt. 3, 21, 25, 27 e 117, primo
comma, della Costituzione, quest'ultimo in relazione all'art. 10
della Convenzione europea dei diritti dell'uomo (CEDU), questioni di
legittimita' costituzionale dell'art. 595, terzo comma, del codice
penale e dell'art. 13 della legge 8 febbraio 1948, n. 47
(Disposizioni sulla stampa) «per le ragioni di cui in motivazione».
1.1.- Il giudice a quo riferisce di essere chiamato a decidere
sulla responsabilita' penale di P. N., imputato del delitto di
diffamazione a mezzo stampa, e di A. S., imputato in quanto direttore
responsabile per omesso controllo, per aver attribuito alle persone
offese un fatto determinato (l'affiliazione a un sodalizio mafioso)
non corrispondente al vero alla luce degli atti di indagine
dell'autorita' giudiziaria. Poiche', secondo il rimettente, la
condotta diffamatoria risulta sussumibile tanto nella fattispecie
generale di cui all'art. 595, terzo comma, cod. pen., quanto in
quella di cui all'art. 13 della legge n. 47 del 1948, il giudizio di
merito non potrebbe essere definito indipendentemente dalla soluzione
delle prospettate questioni di legittimita' costituzionale.
Quanto alla non manifesta infondatezza delle questioni, il
rimettente ravvisa anzitutto il contrasto tra le disposizioni
censurate e l'art. 117, primo comma, Cost., in relazione all'art. 10
CEDU.
Rilevato che la liberta' di espressione e' tutelata sia dall'art.
10 CEDU, sia dall'art. 21 Cost., sicche' la giurisprudenza della
Corte europea dei diritti dell'uomo formatasi sulla disposizione
convenzionale andrebbe utilizzata come «strumento di ampliamento e
adeguamento del diritto interno», il giudice a quo osserva che,
secondo il consolidato orientamento della Corte EDU, risulterebbe
contraria all'art. 10 CEDU, in quanto eccessiva e sproporzionata, la
previsione anche solo in astratto della pena detentiva per i delitti
di diffamazione a mezzo stampa, salvo che in circostanze eccezionali
ove si determini una grave lesione di altri diritti fondamentali,
come ad esempio in caso di discorsi di odio o di istigazione alla
violenza (sono citate le sentenze della Corte EDU 7 marzo 2019,
Sallusti contro Italia; 24 settembre 2013, Belpietro contro Italia;
17 dicembre 2004, Cumpănă e Mazăre contro Romania).
Non sussisterebbero ostacoli al recepimento di tale consolidata
giurisprudenza della Corte EDU, in assenza, nell'ordinamento interno,
di valori o principi costituzionali suscettibili di prevalere sulla
liberta' di espressione, tutelata tanto dall'art. 10 CEDU, quanto
dall'art. 21 Cost.
Ne' sarebbe possibile adottare un'interpretazione
convenzionalmente orientata delle norme censurate, ritenendo soggette
a pena detentiva «esclusivamente le condotte diffamatorie a mezzo
stampa che rivestano i caratteri dell'eccezionalita'». Tale
interpretazione si porrebbe infatti in contrasto con i principi di
tassativita' e determinatezza della fattispecie penale, corollari del
principio di legalita' di cui all'art. 25 Cost., che impedirebbero al
giudice di integrare la norma incriminatrice con il requisito
dell'eccezionalita', «i cui precisi contorni e confini, peraltro,
dovrebbero pur sempre essere determinati puntualmente dal
legislatore, cui spetta in via esclusiva il potere di legiferare in
materia penale».
Non potrebbe, infine, essere seguito l'orientamento della
giurisprudenza di legittimita', che ha ritenuto la disciplina della
diffamazione a mezzo stampa conforme all'art. 10 CEDU, sul rilievo
dell'eccezionalita' delle circostanze in cui i giudici di merito
avevano irrogato la pena detentiva, poiche' le valutazioni della
Corte di cassazione sono state disattese dalla Corte EDU nelle citate
pronunce Sallusti e Belpietro.
Le disposizioni censurate risulterebbero altresi' contrarie agli
artt. 3 e 21 Cost., in quanto la previsione di una pena detentiva per
i reati di diffamazione a mezzo stampa sarebbe «manifestamente
irragionevole e totalmente sproporzionata rispetto alla liberta' di
manifestazione di pensiero, anche nella forma del diritto di cronaca
giornalistica, fondamentale diritto costituzionalmente garantito
dall'art. 21 Cost., la cui tutela, in assenza di contrari interessi
giuridici interni prevalenti, non puo' che essere favorevolmente
estesa nelle forme stabilite dalla giurisprudenza della Corte Edu,
eliminando cosi', salvi i "casi eccezionali", anche la mera
comminazione di qualunque pena detentiva».
Secondo il rimettente, poi, la comminatoria di una pena detentiva
per le condotte di diffamazione a mezzo stampa si porrebbe in
contrasto con il principio di offensivita', ricavabile dall'art. 25
Cost., «in quanto totalmente sproporzionata, irragionevole e non
necessaria rispetto al bene giuridico tutelato dalle norme
incriminatrici in questione, ovvero il rispetto della reputazione
personale».
Le norme censurate vanificherebbero, infine, la funzione
rieducativa della pena di cui all'art. 27, terzo comma, Cost., attesa
la «inidoneita' della minacciata sanzione detentiva a garantire il
pieno rispetto della funzione generalpreventiva e specialpreventiva
della pena stessa». Cio' in quanto detta sanzione, essendo
sproporzionata al metro della giurisprudenza della Corte EDU,
risulterebbe in concreto inapplicabile e, quindi, inidonea a
orientare la condotta sia della generalita' dei consociati, sia del
singolo giornalista.
1.2.- E' intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei
ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello
Stato, chiedendo che le questioni di legittimita' costituzionale
sollevate dal Tribunale ordinario di Salerno siano dichiarate
inammissibili o infondate.
L'ordinanza di rimessione sarebbe anzitutto insufficientemente
motivata in punto di rilevanza delle questioni. Il giudice a quo
avrebbe omesso di precisare se le affermazioni diffamatorie oggetto
di imputazione fossero frutto di una distorta valutazione di fatti
reali o costituissero una notizia pacificamente falsa; profilo questo
rilevante per la valutazione della conformita' delle norme censurate
agli artt. 117, primo comma, Cost. e 10 CEDU, in quanto, secondo la
giurisprudenza della Corte EDU, l'inflizione della pena detentiva per
il delitto di diffamazione a mezzo stampa non contrasterebbe con
l'art. 10 CEDU in caso di propalazione di una notizia pacificamente
falsa.
Il Presidente del Consiglio dei ministri eccepisce poi
l'oscurita' del petitum dell'ordinanza di rimessione, che non
consentirebbe di comprendere se il rimettente aspiri a ottenere una
pronuncia ablativa delle disposizioni censurate, una pronuncia
manipolativa in punto di pena ovvero una pronuncia additiva in ordine
alla delimitazione delle condotte incriminate.
L'Avvocatura generale dello Stato evidenzia inoltre che
l'accoglimento del petitum - comunque inteso - non eliminerebbe in
toto i censurati profili di illegittimita' costituzionale del
trattamento sanzionatorio previsto per il reato di diffamazione, in
quanto l'art. 595 cod. pen. prevede comunque, anche in relazione a
ipotesi diverse dalla diffamazione a mezzo stampa, la possibilita' di
irrogare la pena detentiva in via alternativa rispetto alla pena
pecuniaria.
L'interveniente eccepisce infine l'omessa adozione, da parte del
giudice a quo, di un'interpretazione costituzionalmente e
convenzionalmente orientata delle norme censurate, in presenza di un
diritto vivente indirizzato nel senso della legittimita' della pena
detentiva nelle ipotesi di diffamazione a mezzo stampa caratterizzate
dagli elementi di eccezionalita' delineati dalla giurisprudenza della
Corte EDU, in particolare nelle sentenze 16 aprile 2009, Egeland e
Hanseid contro Norvegia e 22 aprile 2010, Fatullayev contro
Azerbaijan.
1.3.- Si e' costituita in giudizio la parte P. N., chiedendo
l'accoglimento delle questioni di legittimita' costituzionale
sollevate dal Tribunale ordinario di Salerno.
La parte privata richiama le pronunce della Corte EDU gia' citate
dal rimettente (Belpietro contro Italia e Sallusti contro Italia),
nonche' la sentenza Ricci contro Italia dell'8 ottobre 2013, per
dedurne che la previsione della pena detentiva in relazione alle
condotte di diffamazione a mezzo stampa sarebbe compatibile con
l'art. 10 CEDU solo in presenza di circostanze eccezionali,
riconducibili a gravi lesioni di diritti fondamentali (quali la
diffusione di discorsi d'odio o l'istigazione alla violenza), che non
risulterebbero integrate dalla diffamazione realizzata mediante
attribuzione di un fatto determinato.
Alla luce di tale giurisprudenza, l'art. 595, terzo comma, cod.
pen. potrebbe essere interpretato in maniera conforme all'art. 10
CEDU, nel senso che la pena detentiva, ivi prevista in via
alternativa alla pena pecuniaria, sia irrogabile solo in presenza di
una condotta di diffamazione a mezzo stampa connotata dal ricorrere
di circostanze eccezionali.
Siffatta interpretazione non potrebbe invece essere prospettata
in relazione all'art. 13 della legge n. 47 del 1948, poiche' detta
disposizione commina la pena detentiva in via congiunta (e non
alternativa) alla pena pecuniaria per tutte le ipotesi di
diffamazione a mezzo stampa consistente nell'attribuzione di un fatto
determinato, a prescindere dalla gravita' della singola condotta.
Ne' potrebbe opinarsi diversamente, in base al rilievo che l'art.
13 della legge n. 47 del 1948 configura non un'autonoma ipotesi di
reato, ma una circostanza aggravante del delitto di diffamazione,
come tale bilanciabile ex art. 69 cod. pen. con eventuali circostanze
attenuanti, con conseguente possibilita' che il giudice pervenga a
escludere l'applicazione della pena detentiva. Da un lato, infatti,
qualora la circostanza aggravante di cui all'art. 13 della legge n.
47 del 1948 operi da sola ovvero in concorso con altre circostanze
aggravanti, il giudice dovrebbe comunque applicare la pena detentiva
congiuntamente alla pena pecuniaria; dall'altro lato, in caso di
concorso tra circostanze eterogenee, sarebbe rimesso alla
discrezionalita' del giudice l'eventuale giudizio di prevalenza o
equivalenza delle circostanze attenuanti rispetto all'aggravante in
parola.
1.4.- Con atto depositato l'8 ottobre 2019, il Consiglio
nazionale dell'ordine dei giornalisti (CNOG) e' intervenuto in
giudizio ad adiuvandum, ai sensi dell'art. 4 delle Norme integrative
per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, chiedendo alla Corte
di dichiarare ammissibile l'intervento e di accogliere le questioni
di legittimita' costituzionale sollevate dal rimettente.
L'interveniente illustra diffusamente la giurisprudenza della
Corte EDU relativa ai requisiti di compatibilita' con l'art. 10 CEDU
della punizione delle condotte di diffamazione a mezzo stampa e della
previsione della pena detentiva, deducendone la contrarieta' della
disciplina censurata dal rimettente alla garanzia convenzionale della
liberta' di espressione.
Il CNOG evidenzia poi che un filone della giurisprudenza di
legittimita' (sono richiamate Corte di cassazione, sezione quinta
penale, sentenze 13 marzo 2014, n. 12203 e 19 settembre 2019, n.
38721), in adesione ai principi espressi dalla Corte EDU, riterrebbe
che, in relazione alle condotte di diffamazione a mezzo stampa,
l'irrogazione della pena detentiva sia giustificata solo in presenza
di gravi lesioni dei diritti fondamentali, quali quelle derivanti
dalla propalazione di discorsi di odio o di istigazione alla
violenza.
1.5.- Con ordinanza n. 37 del 2020, questa Corte ha dichiarato
ammissibile l'intervento in giudizio del CNOG, sul rilievo che, ai
sensi che l'art. 4, comma 7, delle Norme integrative per i giudizi
davanti alla Corte costituzionale e secondo la costante
giurisprudenza della Corte, nei giudizi in via incidentale possono
intervenire i titolari di un interesse qualificato, inerente in modo
diretto e immediato al rapporto dedotto in giudizio; interesse da
ritenersi in specie sussistente, in relazione alla competenza
disciplinare attribuita al CNOG dall'art. 20, primo comma, lettera
d), dalla legge 3 febbraio 1963, n. 69 (Ordinamento della professione
di giornalista).
1.6.- Con atto depositato telematicamente il 3 marzo 2020, oltre
il termine di cui all'art. 4-ter, comma 1, delle Norme integrative
per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, la Federazione
nazionale della stampa italiana (FNSI) ha presentato un'opinione
scritta in qualita' di amicus curiae.
1.7.- Il 31 marzo 2020, il Presidente del Consiglio dei ministri
ha depositato memoria illustrativa, insistendo per la declaratoria di
inammissibilita' o di manifesta infondatezza delle questioni di
legittimita' costituzionale sollevate dal Tribunale ordinario di
Salerno. Riproposte le argomentazioni gia' sviluppate nell'atto di
intervento, l'interveniente soggiunge che le fattispecie di cui agli
artt. 595, terzo comma, cod. pen. e 13 della legge n. 47 del 1948
configurano aggravanti speciali del reato di diffamazione, come tali
bilanciabili con eventuali circostanze attenuanti, sicche' il giudice
potrebbe scegliere se applicare la pena detentiva o quella pecuniaria
in funzione della maggiore o minore gravita' della condotta di
diffamazione a mezzo stampa, con conseguente piena conformita' della
normativa censurata alla giurisprudenza della Corte EDU in tema di
liberta' di espressione.
Con specifico riferimento al caso oggetto del giudizio a quo,
inoltre, l'attribuzione alla persona offesa di una condotta illecita,
poi rivelatasi inveritiera, determinerebbe una lesione della
presunzione di non colpevolezza, tutelata dagli artt. 27, secondo
comma, Cost. e 6, paragrafo 2, CEDU, cosi' concretando una delle
circostanze eccezionali che, secondo la giurisprudenza della Corte
EDU, giustificano l'applicazione della pena detentiva al giornalista
colpevole di diffamazione.
1.8.- Rispettivamente in data 19 maggio, 29 maggio e 31 maggio
2020, in tutti i casi oltre il termine di cui all'art. 4-ter, comma
1, delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte
costituzionale, sono pervenute alla cancelleria della Corte, via
posta elettronica certificata, altrettante opinioni scritte del
Sindacato cronisti romani presso l'Associazione stampa romana in
qualita' di amicus curiae.
1.9.- Il 26 maggio 2020 la parte P. N. ha depositato, fuori
termine, memoria integrativa.
2.- Con ordinanza del 16 aprile 2019, iscritta al n. 149 del r.o.
2019, il Tribunale ordinario di Bari, sezione prima penale, ha
sollevato, in riferimento all'art. 117, primo comma, Cost., in
relazione all'art. 10 CEDU, questione di legittimita' costituzionale
dell'art. 13 della legge n. 47 del 1948, «nella parte in cui sanziona
il delitto di diffamazione aggravata, commessa a mezzo stampa e
consistente nell'attribuzione di un fatto determinato, con la pena
cumulativa della reclusione da uno a sei anni e della multa non
inferiore a 256 [recte: 258] euro, invece che in via alternativa».
2.1.- Il rimettente espone di dover giudicare della
responsabilita' di G. D.T., imputato del delitto di cui agli artt.
595 cod. pen. e 13 della legge n. 47 del 1948, per avere, in qualita'
di direttore di un quotidiano, offeso la reputazione di F. C.
mediante la pubblicazione di un articolo privo di firma, nel quale si
attribuiva alla persona offesa la cessione di stupefacente a una
terza persona, malgrado l'avvenuto proscioglimento di F. C. in
relazione a tale fatto.
In punto di rilevanza, il giudice a quo espone che, ai sensi del
combinato disposto degli artt. 595 cod. pen. e 13 della legge n. 47
del 1948, il delitto di cui G. D.T. e' imputato (diffamazione
realizzata con la pubblicazione dell'articolo in questione e
consistente nell'attribuzione di un fatto determinato) risulta
punibile con la pena della reclusione da uno a sei anni, prevista in
via cumulativa e non alternativa rispetto alla multa di 258 euro.
Non sussisterebbero poi ragioni per prosciogliere l'imputato il
quale, pur tratto in giudizio nella qualita' di direttore
responsabile del quotidiano, sarebbe chiamato a rispondere
direttamente della condotta diffamatoria realizzata mediante la
pubblicazione dell'articolo privo di firma. Del resto, la questione
rimarrebbe rilevante anche ove, all'esito del dibattimento, si
dovesse ritenere sussistente la responsabilita' di G. D.T. sotto il
solo profilo dell'omesso controllo sulla pubblicazione di contenuti
diffamatori, ai sensi dell'art. 57 cod. pen., atteso che, anche in
tale ipotesi, sarebbe comunque applicabile la pena detentiva, pur
ridotta di un terzo nel quantum.
Quanto alla non manifesta infondatezza, il rimettente richiama
ampi stralci delle sentenze della Corte EDU Belpietro contro Italia,
Sallusti contro Italia e Ricci contro Italia, relative alla
compatibilita' con l'art. 10 CEDU del trattamento sanzionatorio
previsto nell'ordinamento italiano, in particolare per la
diffamazione a mezzo stampa.
Da tale consolidata giurisprudenza si trarrebbe che la previsione
per tale delitto di una pena detentiva, pur suscettibile di
sospensione condizionale o di commutazione in pena pecuniaria,
risulterebbe incompatibile con l'art. 10 CEDU, poiche' idonea a
scoraggiare l'esercizio della liberta' di manifestazione del pensiero
e della liberta' d'informazione, in tutti i casi in cui non ricorrano
circostanze eccezionali, quali la propalazione di discorsi di odio o
di istigazione alla violenza.
Ne' sarebbe praticabile un'interpretazione costituzionalmente
orientata della norma censurata, che considerasse irrogabile la pena
detentiva in relazione alle sole condotte diffamatorie concretantisi
in incitazione all'odio, alla discriminazione o alla violenza: una
simile opzione ermeneutica, «creativa e arbitraria, slegata dal dato
letterale, ed esorbitante rispetto alla funzione giurisdizionale»
risulterebbe infatti contraria al principio di legalita' e lesiva
degli artt. 25 e 101 Cost.
Nemmeno sarebbe possibile applicare, in luogo delle sanzioni
previste dall'art. 13 della legge n. 47 del 1948, quelle contemplate
dall'art. 595, secondo e terzo comma, cod. pen., che prevedono la
pena detentiva in via alternativa e non congiunta rispetto alla pena
pecuniaria, essendo la fattispecie della diffamazione commessa a
mezzo stampa e contestualmente consistente nell'attribuzione di un
fatto determinato inequivocabilmente disciplinata dalla prima
disposizione.
Ne', ancora, sarebbe dirimente che la circostanza aggravante di
cui al predetto art. 13 sia bilanciabile con altre circostanze
attenuanti, perche' cio' non escluderebbe l'effetto dissuasivo,
rispetto all'attivita' giornalistica, della previsione, in astratto,
di una pena detentiva congiunta a quella pecuniaria.
Il rimettente precisa infine che la questione di legittimita'
costituzionale sollevata mira a una pronuncia che renda la pena
detentiva applicabile in via alternativa e non piu' cumulativa
rispetto alla pena pecuniaria. Una simile pronuncia «consentirebbe al
giudice di verificare in concreto la sussistenza delle circostanze
eccezionali in cui la gravita' della condotta e dell'offesa che ne
deriva giustifica l'irrogazione di una pena detentiva, lasciando
cosi' un adeguato spazio discrezionale utile per conformare la
decisione giurisdizionale nazionale ai principi dell'ordinamento CEDU
in materia». Si tratterebbe, a parere del giudice a quo, di una
soluzione non costituzionalmente obbligata, ma adottabile da parte di
questa Corte, sulla falsariga di quanto gia' avvenuto nella sentenza
n. 40 del 2019, in presenza di un preciso punto di riferimento,
offerto dall'art. 595 cod. pen., che prevede l'applicazione della
pena detentiva in alternativa alla pena pecuniaria nei casi di cui ai
commi secondo e terzo.
2.1.- E' intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei
ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello
Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o
infondata, sulla base delle argomentazioni gia' svolte nell'atto di
intervento depositato nel giudizio iscritto al n. 140 del r.o. 2019.
2.2.- Il 22 ottobre 2019, il CNOG ha depositato atto di
intervento ad adiuvandum, di tenore analogo a quello dell'atto
presentato nel giudizio iscritto al n. 140 del r.o. 2019.
2.3.- Il 31 marzo 2020 il Presidente del Consiglio dei ministri
ha depositato memoria illustrativa, insistendo per l'accoglimento
delle conclusioni gia' rassegnate nell'atto di intervento e
richiamando integralmente le argomentazioni svolte nella memoria
illustrativa depositata nel giudizio iscritto al n. 140 del r.o.
2019.
2.4.- Il 19, 29 e 31 maggio 2020, e dunque oltre il termine di
cui all'art. 4-ter, comma 1, delle Norme integrative per i giudizi
davanti alla Corte costituzionale, il Sindacato cronisti romani
presso l'Associazione stampa romana ha depositato via posta
elettronica certificata le stesse opinioni scritte in qualita' di
amicus curiae depositate nel giudizio iscritto al n. 140 del r.o.
2019.
Considerato in diritto
1.- Con l'ordinanza iscritta al n. 140 del r.o. 2019 il Tribunale
ordinario di Salerno, sezione seconda penale, ha sollevato, in
riferimento agli artt. 3, 21, 25, 27 e 117, primo comma, della
Costituzione, quest'ultimo in relazione all'art. 10 della Convenzione
europea dei diritti dell'uomo (CEDU), questioni di legittimita'
costituzionale dell'art. 595, terzo comma, del codice penale e
dell'art. 13 della legge 8 febbraio 1948, n. 47 (Disposizioni sulla
stampa) «per le ragioni di cui in motivazione». Dalla motivazione
emerge che il rimettente si duole in sostanza della previsione, da
parte delle due disposizioni censurate, della pena della reclusione -
in via alternativa o cumulativa rispetto alla multa - a carico di chi
sia ritenuto responsabile del delitto di diffamazione aggravata
dall'uso del mezzo della stampa consistente nell'attribuzione di un
fatto determinato.
2.- Con l'ordinanza iscritta al n. 149 del r.o. 2019 il Tribunale
ordinario di Bari, sezione prima penale, ha sollevato, in riferimento
all'art. 117, primo comma, Cost., in relazione all'art. 10 CEDU,
questione di legittimita' costituzionale dell'art. 13 della legge n.
47 del 1948, in combinato disposto con l'art. 595 cod. pen., «nella
parte in cui sanziona il delitto di diffamazione aggravata, commessa
a mezzo stampa e consistente nell'attribuzione di un fatto
determinato, con la pena cumulativa della reclusione da uno a sei
anni e della multa non inferiore a 256 [recte: 258] euro, invece che
in via alternativa».
3.- Le due ordinanze sollevano questioni analoghe e meritano
pertanto di essere riunite ai fini della decisione.
4.- L'intervento del Consiglio nazionale dell'ordine dei
giornalisti (CNOG), gia' dichiarato ammissibile da questa Corte, in
relazione alla causa iscritta al n. 140 del r.o. 2019, con ordinanza
n. 37 del 2020, deve ritenersi ammissibile anche in relazione alla
causa iscritta al n. 149 del r.o. 2019, come da ordinanza letta in
udienza e riportata in calce alla presente pronuncia.
5.- Entrambi i giudici rimettenti lamentano la previsione della
pena della reclusione per il delitto di diffamazione commessa a mezzo
della stampa e consistente nell'attribuzione di un fatto determinato,
ritenendo che tale previsione si ponga in contrasto con l'art. 117,
primo comma, Cost., in relazione all'art. 10 CEDU, cosi' come
interpretato dalla costante giurisprudenza della Corte europea dei
diritti dell'uomo.
Secondo l'ordinanza iscritta al n. 140 del r.o. 2019, tale
previsione sarebbe altresi' incompatibile:
- con gli artt. 3 e 21 Cost., in ragione del carattere
«manifestamente irragionevole e totalmente sproporzionat[o]» della
previsione della pena detentiva rispetto all'importanza della
liberta' di manifestazione del pensiero, salvi i casi eccezionali in
cui la stessa Corte EDU riconosce legittima tale pena;
- con il principio di necessaria offensivita' del reato di cui
all'art. 25 Cost., dal momento che tale previsione risulterebbe
«totalmente sproporzionata, irragionevole e non necessaria rispetto
al bene giuridico tutelato dalle norme incriminatrici in questione,
ovvero il rispetto della reputazione personale»; nonche'
- con il principio della necessaria funzione rieducativa della
pena di cui all'art. 27, terzo comma, Cost., «attesa la inidoneita'
della minacciata sanzione detentiva a garantire il pieno rispetto
della funzione generalpreventiva e specialpreventiva della pena
stessa».
L'ordinanza iscritta al n. 149 del r.o. 2019 incentra le proprie
censure unicamente sul trattamento sanzionatorio previsto dall'art.
13 della legge n. 47 del 1948, che prevede in via cumulativa la pena
della reclusione da uno a sei anni e quella della multa non inferiore
a 258 euro (e non superiore a 50.000 euro, giusta il disposto
dell'art. 24 cod. pen.) per il caso di «diffamazione commessa col
mezzo della stampa, consistente nell'attribuzione di un fatto
determinato».
L'ordinanza iscritta al n. 140 del r.o. 2019 estende invece le
questioni anche all'art. 595, terzo comma, cod. pen., che prevede in
via alternativa la pena della reclusione da sei mesi a tre anni o
della multa non inferiore a 516 euro (e dunque, ancora, non superiore
a 50.000 euro) per il caso di diffamazione recata, tra l'altro, con
il mezzo della stampa.
6.- La motivazione di entrambe le ordinanze e' imperniata su ampi
richiami alla giurisprudenza della Corte EDU in materia di liberta'
di espressione, tutelata dall'art. 10 CEDU e ritenuta di regola
violata laddove vengano applicate pene detentive a giornalisti
condannati per diffamazione.
6.1.- Tale giurisprudenza risale, in effetti, almeno alla
sentenza della grande camera 17 dicembre 2004, Cumpănă e Mazăre
contro Romania, nella quale la Corte EDU ha esaminato il ricorso di
due giornalisti, condannati per diffamazione in quanto autori di un
articolo nel quale accusavano un giudice di essere coinvolto in fatti
di corruzione. La Corte EDU ha riconosciuto la legittimita'
dell'affermazione di responsabilita' penale degli imputati,
osservando che le gravi accuse rivolte alla vittima fornissero una
visione distorta dei fatti e fossero prive di adeguati riscontri
fattuali (paragrafo 103); ma ha al contempo ritenuto che
l'imposizione nei loro confronti di una pena di sette mesi di
reclusione non sospesa, ancorche' in concreto non eseguita per
effetto di un provvedimento di grazia presidenziale, costituisse una
interferenza sproporzionata - e pertanto «non necessaria in una
societa' democratica» ai sensi dell'art. 10, paragrafo 2, CEDU - con
il loro diritto alla liberta' di espressione, tutelata dal paragrafo
1 del medesimo art. 10 CEDU.
Nella pronuncia indicata, la Corte EDU ha ricordato in proposito
(paragrafo 93) il proprio insegnamento secondo cui la stampa svolge
l'essenziale ruolo di «cane da guardia» della democrazia (sentenza 27
marzo 1996, Goodwin contro Regno Unito, paragrafo 39), rilevando che
«se e' vero che gli Stati parte hanno la facolta', o addirittura il
dovere, in forza dei loro obblighi positivi di tutela dell'art. 8
CEDU, di disciplinare l'esercizio della liberta' di espressione in
modo da assicurare per legge un'adeguata tutela della reputazione
delle persone, non devono pero' farlo in una maniera che
indebitamente dissuada i media dallo svolgimento del loro ruolo di
segnalare all'opinione pubblica casi apparenti o supposti di abuso
dei pubblici poteri» (paragrafo 113). Il timore di sanzioni detentive
produce, secondo la Corte di Strasburgo, un evidente effetto
dissuasivo («chilling effect») rispetto all'esercizio della liberta'
di espressione dei giornalisti - in particolare nello svolgimento
della loro attivita' di inchiesta e di pubblicazione dei risultati
delle loro indagini - tale da riverberarsi sul giudizio di
proporzionalita', e dunque di legittimita' alla luce della
Convenzione, di tali sanzioni (paragrafo 114).
Pur sottolineando come la scelta delle sanzioni sia in principio
riservata ai tribunali nazionali, la Corte EDU ha concluso che
«l'imposizione di una pena detentiva per un reato a mezzo stampa e'
compatibile con la liberta' di espressione dei giornalisti, garantita
dall'art. 10 della Convenzione, soltanto in circostanze eccezionali,
segnatamente quando altri diritti fondamentali siano stati seriamente
offesi, come ad esempio nel caso di diffusione di discorsi d'odio
(hate speech) o di istigazione alla violenza» (paragrafo 115):
circostanze certamente non sussistenti nel caso allora esaminato.
6.2.- I principi espressi dalla sentenza Cumpănă sono stati poi
costantemente ribaditi dalla Corte EDU nella propria successiva
giurisprudenza (ex multis, sentenza 6 dicembre 2007, Katrami contro
Grecia), anche in due sentenze pronunciate nei confronti dell'Italia,
cui i giudici rimettenti fanno puntuale riferimento (sentenze 24
settembre 2013, Belpietro contro Italia; 7 marzo 2019, Sallusti
contro Italia). In tali ultime pronunce - rispetto alle quali
risultano ancora pendenti i rispettivi procedimenti di supervisione
sull'esecuzione delle sentenze avanti al Comitato dei ministri del
Consiglio d'Europa - la Corte EDU da un lato ha ritenuto legittima
l'affermazione di responsabilita' penale in capo ai ricorrenti da
parte dei giudici italiani, stante la non veridicita' e la gravita'
degli addebiti rivolti alle persone offese, in assenza dei doverosi
controlli da parte del giornalista (ovvero del direttore
responsabile); ma, dall'altro lato, ha ritenuto sproporzionata
l'inflizione nei loro confronti di una pena detentiva, ancorche'
condizionalmente sospesa ovvero cancellata da un provvedimento di
grazia del Presidente della Repubblica.
6.3.- D'altra parte, numerosi documenti degli organi politici del
Consiglio d'Europa raccomandano agli Stati membri di rinunciare alle
sanzioni detentive per il delitto di diffamazione, allo scopo di
tutelare piu' efficacemente la liberta' di espressione dei
giornalisti e, correlativamente, il diritto dei cittadini a essere
informati.
In particolare, il Comitato dei ministri ha adottato, il 12
febbraio 2004, una Dichiarazione sulla liberta' dei dibattiti
politici nei media, nella quale ha tra l'altro affermato che
risarcimenti e sanzioni pecuniarie per la diffamazione a mezzo stampa
devono essere proporzionati alla violazione dei diritti e della
reputazione delle persone offese e tenere in considerazione eventuali
condotte riparatorie intervenute, e che la pena detentiva non
dovrebbe essere applicata, salvo in casi di grave violazione di altri
diritti fondamentali, che la rendano strettamente necessaria e
proporzionata.
Con la risoluzione 4 ottobre 2007, n. 1577, l'Assemblea
parlamentare del Consiglio d'Europa ha riaffermato il ruolo centrale
dell'informazione, pietra angolare di una democrazia, con particolare
riferimento alla funzione propulsiva rispetto a dibattiti di
interesse pubblico. Essa ha, in particolare, esortato gli Stati
contraenti ad abolire la pena detentiva per la diffamazione e a
garantire che non sia fatto un uso distorto dei procedimenti penali
per diffamazione. Nel contempo, e' stata raccomandata la
criminalizzazione delle condotte di incitamento alla violenza,
all'odio o alla discriminazione.
Nella risoluzione 24 gennaio 2013, n. 1920, sullo stato della
liberta' dei media in Europa, l'Assemblea parlamentare del Consiglio
d'Europa ha nuovamente stigmatizzato l'uso distorto dei procedimenti
penali per fatti di diffamazione. Con specifico riferimento
all'Italia, alla luce della condanna di un giornalista a una pena
detentiva confermata dalla Corte di cassazione - condanna che ha poi
dato origine alla sentenza della Corte EDU Sallusti contro Italia,
poc'anzi menzionata - la medesima assemblea ha richiesto alla
Commissione europea per la democrazia attraverso il diritto
(Commissione di Venezia) di predisporre un parere sulla conformita'
della normativa italiana all'art. 10 CEDU. Il relativo parere della
Commissione di Venezia (n. 715 del 6-7 dicembre 2013) ha concluso nel
senso che la vigente legislazione italiana non sarebbe pienamente in
linea con gli standard del Consiglio d'Europa in materia di liberta'
di espressione, individuando la problematica di maggior rilievo nella
previsione della pena detentiva in relazione alla diffamazione a
mezzo stampa.
7.- Alla luce di quanto precede, appare necessaria e urgente una
complessiva rimeditazione del bilanciamento, attualmente
cristallizzato nella normativa oggetto delle odierne censure, tra
liberta' di manifestazione del pensiero e tutela della reputazione
individuale, in particolare con riferimento all'attivita'
giornalistica.
7.1.- La liberta' di manifestazione del pensiero costituisce -
prima ancora che un diritto proclamato dalla CEDU - un diritto
fondamentale riconosciuto come «coessenziale al regime di liberta'
garantito dalla Costituzione» (sentenza n. 11 del 1968), «pietra
angolare dell'ordine democratico» (sentenza n. 84 del 1969), «cardine
di democrazia nell'ordinamento generale» (sentenza n. 126 del 1985 e,
di recente, sentenza n. 206 del 2019). Ne' e' senza significato che,
nella prima sentenza della sua storia, la Corte costituzionale - in
risposta a ben trenta ordinanze sollevate da giudici comuni - abbia
dichiarato l'illegittimita' costituzionale di una disposizione di
legge proprio in ragione del suo contrasto con l'art. 21 Cost.
(sentenza n. 1 del 1956).
Nell'ambito di questo diritto, la liberta' di stampa assume
un'importanza peculiare, in ragione del suo ruolo essenziale nel
funzionamento del sistema democratico (sentenza n. 1 del 1981), nel
quale al diritto del giornalista di informare corrisponde un
correlativo "diritto all'informazione" dei cittadini: un diritto
quest'ultimo «qualificato in riferimento ai principi fondanti della
forma di Stato delineata dalla Costituzione, i quali esigono che la
nostra democrazia sia basata su una libera opinione pubblica e sia in
grado di svilupparsi attraverso la pari concorrenza di tutti alla
formazione della volonta' generale», e «caratterizzato dal pluralismo
delle fonti cui attingere conoscenze e notizie [...] in modo tale che
il cittadino possa essere messo in condizione di compiere le sue
valutazioni avendo presenti punti di vista differenti e orientamenti
culturali contrastanti (sentenza n. 112 del 1993, richiamata dalla
sentenza n. 155 del 2002)» (sentenza n. 206 del 2019).
Non v'e' dubbio pertanto che l'attivita' giornalistica meriti di
essere «salvaguardata contro ogni minaccia o coartazione, diretta o
indiretta» (sentenza n. 172 del 1972) che possa indebolire la sua
vitale funzione nel sistema democratico, ponendo indebiti ostacoli al
legittimo svolgimento del suo ruolo di informare i consociati e di
contribuire alla formazione degli orientamenti della pubblica
opinione, anche attraverso la critica aspra e polemica delle condotte
di chi detenga posizioni di potere.
7.2.- Per altro verso, il legittimo esercizio, da parte della
stampa e degli altri media, della liberta' di informare e di
contribuire alla formazione della pubblica opinione richiede di
essere bilanciato con altri interessi e diritti, parimenti di rango
costituzionale, che ne segnano i possibili limiti, tanto nell'ottica
costituzionale quanto in quella convenzionale.
Fra tali limiti si colloca, in posizione eminente, la reputazione
della persona, che costituisce al tempo stesso un diritto inviolabile
ai sensi dell'art. 2 Cost. (sentenze n. 37 del 2019, n. 379 del 1996,
n. 86 del 1974 e n. 38 del 1973) e una componente essenziale del
diritto alla vita privata di cui all'art. 8 CEDU (ex multis, Corte
EDU, sentenza 6 novembre 2018, Vicent del Campo contro Spagna), che
lo Stato ha il preciso obbligo di tutelare anche nei rapporti
interprivati (in questo senso la menzionata sentenza Cumpănă della
Corte EDU, paragrafo 91), oltre che un diritto espressamente
riconosciuto dall'art. 17 del Patto internazionale relativo ai
diritti civili e politici. Un diritto, altresi', connesso a doppio
filo con la stessa dignita' della persona (sentenza n. 265 del 2014
e, nella giurisprudenza di legittimita', ex plurimis Corte di
cassazione, sezione quinta penale, sentenza 28 ottobre 2010, n.
4938), e suscettibile di essere leso dalla diffusione di addebiti non
veritieri o di rilievo esclusivamente privato.
7.3.- Il punto di equilibrio tra la liberta' di "informare" e di
"formare" la pubblica opinione svolto dalla stampa e dai media, da un
lato, e la tutela della reputazione individuale, dall'altro, non puo'
pero' essere pensato come fisso e immutabile, essendo soggetto a
necessari assestamenti, tanto piu' alla luce della rapida evoluzione
della tecnologia e dei mezzi di comunicazione verificatasi negli
ultimi decenni.
Il bilanciamento sotteso alle norme del codice penale e in quelle
della vigente legge sulla stampa - e in particolare negli artt. 595
cod. pen. e 13 della legge n. 47 del 1948, in questa sede censurati -
si impernia sulla previsione, in via rispettivamente alternativa e
cumulativa, di pene detentive e pecuniarie laddove il giornalista
offenda la reputazione altrui, travalicando i limiti del legittimo
esercizio del diritto di cronaca o di critica di cui all'art. 21
Cost.; limiti a loro volta ricostruiti dalla giurisprudenza civile (a
partire dalla fondamentale Corte di cassazione, sezione prima civile,
sentenza 18 ottobre 1984, n. 5259) e penale (ex multis, Corte di
cassazione, sezione quinta penale, sentenza 12 settembre 2007, n.
34432) sulla base dei criteri tradizionali dell'interesse pubblico
alla conoscenza della notizia, della verita' di essa (ovvero, nel
caso di erroneo convincimento del giornalista relativa alla verita'
della notizia, nell'assenza di colpa nel controllo delle fonti) e
della cosiddetta continenza formale.
Un simile bilanciamento e' divenuto ormai inadeguato, anche alla
luce della copiosa giurisprudenza della Corte EDU poc'anzi
rammentata, che al di fuori di ipotesi eccezionali considera
sproporzionata l'applicazione di pene detentive, ancorche' sospese o
in concreto non eseguite, nei confronti di giornalisti che abbiano
pur illegittimamente offeso la reputazione altrui. E cio' in funzione
dell'esigenza di non dissuadere, per effetto del timore della
sanzione privativa della liberta' personale, la generalita' dei
giornalisti dall'esercitare la propria cruciale funzione di controllo
sull'operato dei pubblici poteri.
Cio' esige una rimodulazione del bilanciamento sotteso alla
disciplina in questa sede censurata, in modo da coniugare le esigenze
di garanzia della liberta' giornalistica, nel senso ora precisato,
con le altrettanto pressanti ragioni di tutela effettiva della
reputazione individuale delle vittime di eventuali abusi di quella
liberta' da parte dei giornalisti; vittime che sono oggi esposte a
rischi ancora maggiori che nel passato. Basti pensare, in proposito,
agli effetti di rapidissima e duratura amplificazione degli addebiti
diffamatori determinata dai social networks e dai motori di ricerca
in internet, il cui carattere lesivo per la vittima - in termini di
sofferenza psicologica e di concreti pregiudizi alla propria vita
privata, familiare, sociale, professionale, politica - e per tutte le
persone a essa affettivamente legate risulta grandemente potenziato
rispetto a quanto accadeva anche solo in un recente passato.
8.- Un simile, delicato bilanciamento spetta in primo luogo al
legislatore, sul quale incombe la responsabilita' di individuare
complessive strategie sanzionatorie in grado, da un lato, di evitare
ogni indebita intimidazione dell'attivita' giornalistica; e,
dall'altro, di assicurare un'adeguata tutela della reputazione
individuale contro illegittime - e talvolta maliziose - aggressioni
poste in essere nell'esercizio di tale attivita'. Il legislatore,
d'altronde, e' meglio in grado di disegnare un equilibrato sistema di
tutela dei diritti in gioco, che contempli non solo il ricorso - nei
limiti della proporzionalita' rispetto alla gravita' oggettiva e
soggettiva dell'illecito - a sanzioni penali non detentive nonche' a
rimedi civilistici e in generale riparatori adeguati (come, in
primis, l'obbligo di rettifica), ma anche a efficaci misure di
carattere disciplinare, rispondendo allo stesso interesse degli
ordini giornalistici pretendere, da parte dei propri membri, il
rigoroso rispetto degli standard etici che ne garantiscono
l'autorevolezza e il prestigio, quali essenziali attori del sistema
democratico. In questo quadro, il legislatore potra' eventualmente
sanzionare con la pena detentiva le condotte che, tenuto conto del
contesto nazionale, assumano connotati di eccezionale gravita' dal
punto di vista oggettivo e soggettivo, fra le quali si iscrivono
segnatamente quelle in cui la diffamazione implichi una istigazione
alla violenza ovvero convogli messaggi d'odio.
Il «compito naturale» di questa Corte e' quello di verificare ex
post, su sollecitazione dei giudici comuni, la compatibilita' delle
scelte compiute dal legislatore con la Costituzione (ordinanza n. 207
del 2018) e, mediatamente, con gli strumenti internazionali al cui
rispetto l'ordinamento si e' vincolato, sulla base dei principi
elaborati dalla giurisprudenza di questa Corte. Un compito al quale
anche in questa occasione questa Corte non puo' e non intende
sottrarsi, ma che - rispetto alle possibilita' di intervento di cui
dispone il legislatore - sconta necessariamente la limitatezza degli
orizzonti del devolutum e dei rimedi a sua disposizione, che segnano
il confine dei suoi poteri decisori; con il connesso rischio che, per
effetto della stessa pronuncia di illegittimita' costituzionale, si
creino lacune di tutela effettiva per i controinteressi in gioco,
seppur essi stessi di centrale rilievo nell'ottica costituzionale
(per analoghe preoccupazioni, si veda ancora l'ordinanza n. 207 del
2018).
Considerato allora che vari progetti di legge in materia di
revisione della disciplina della diffamazione a mezzo della stampa
risultano allo stato in corso di esame avanti alle Camere, questa
Corte ritiene opportuno, in uno spirito di leale collaborazione
istituzionale e nel rispetto dei limiti delle proprie attribuzioni,
rinviare la decisione delle questioni ora sottopostele a una
successiva udienza, in modo da consentire al legislatore di approvare
nel frattempo una nuova disciplina in linea con i principi
costituzionali e convenzionali sopra illustrati.
Rimarranno nel frattempo sospesi anche i giudizi a quibus. Negli
altri giudizi, spettera' ai giudici valutare se eventuali questioni
di legittimita' costituzionale delle disposizioni in esame analoghe a
quelle in questa sede prospettate debbano parimenti essere
considerate rilevanti e non manifestamente infondate alla luce dei
principi sopra enunciati, cosi' da evitare, nelle more del giudizio
di costituzionalita', l'applicazione delle disposizioni censurate
(sentenza n. 242 del 2019 e ordinanza n. 207 del 2018).
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
rinvia all'udienza pubblica del 22 giugno 2021 la trattazione
delle questioni di legittimita' costituzionale sollevate dal
Tribunale ordinario di Salerno, sezione seconda penale, e dal
Tribunale ordinario di Bari, sezione prima penale, con le ordinanze
indicate in epigrafe.
Cosi' deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 9 giugno 2020.
F.to:
Marta CARTABIA, Presidente
Francesco VIGANO', Redattore
Filomena PERRONE, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 26 giugno 2020.
Il Cancelliere
F.to: Filomena PERRONE
Allegato:
Ordinanza letta all'udienza del 9 giugno 2020
ORDINANZA
Ritenuto che, con ordinanza del 16 aprile 2019 (r.o. n. 149 del
2019) il Tribunale ordinario di Bari, sezione prima penale, ha
sollevato - con riferimento all'art. 117, primo comma, Cost., in
relazione all'art. 10 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo
(CEDU) - questione di legittimita' costituzionale dell'art. 13 della
legge 8 febbraio 1948, n. 47 (Disposizioni sulla stampa), in
combinato disposto con l'art. 595, terzo comma, del codice penale,
nella parte in cui punisce il delitto di diffamazione a mezzo stampa
consistente nell'attribuzione di un fatto determinato con la pena
della reclusione da uno a sei anni, in via cumulativa e non
alternativa rispetto alla multa non inferiore a 258 euro;
che il 22 ottobre 2019 il Consiglio nazionale dell'ordine dei
giornalisti (CNOG), in qualita' di «titolare di un interesse
giuridico particolarmente qualificato, idoneo a fondare
l'ammissibilita' del suo intervento nel giudizio costituzionale», ha
depositato, nei termini, atto di intervento ad adiuvandum, senza
peraltro chiedere di essere autorizzato a prendere visione e trarre
copia degli atti processuali.
Considerato che un identico atto di intervento del Consiglio
nazionale dell'ordine dei giornalisti (CNOG) e' stato dichiarato
ammissibile da questa Corte con ordinanza n. 37 del 2020, pronunciata
nel giudizio r.o. n. 140 del 2019, avente a oggetto questioni di
legittimita' costituzionale dell'art. 13 della legge 8 febbraio 1948,
n. 47 (Disposizioni sulla stampa) e dell'art. 595, terzo comma, del
codice penale e chiamato per la discussione all'odierna udienza,
congiuntamente al presente giudizio;
che, in detta ordinanza, la Corte ha ritenuto sussistente, in
capo al CNOG, un interesse qualificato legittimante l'intervento in
giudizio, in relazione alla competenza disciplinare attribuita al
Consiglio medesimo dall'art. 20, primo comma, lettera d), dalla legge
3 febbraio 1963, n. 69 (Ordinamento della professione di giornalista)
ed esercitabile, ai sensi dell'art. 39 della medesima legge, in caso
di condanna penale, ove sussistano le condizioni di cui al successivo
art. 48, primo comma;
che le argomentazioni svolte da questa Corte nella gia' citata
ordinanza n. 37 del 2020 - da intendersi qui integralmente richiamate
- valgono anche in relazione all'intervento spiegato dal CNOG nel
presente giudizio;
che, contrariamente all'avviso espresso in udienza
dall'Avvocatura dello Stato, l'ammissibilita' dell'intervento del
terzo non puo' ritenersi condizionata alla circostanza che la parte
del giudizio a quo si sia costituita anche nel giudizio avanti alla
Corte costituzionale, dal momento che l'interesse qualificato
all'intervento sussiste indipendentemente dalle scelte difensive
assunte dalla parte del giudizio a quo;
che, dunque, l'intervento deve essere dichiarato ammissibile.
per questi motivi
la corte costituzionale
dichiara ammissibile l'intervento del Consiglio nazionale
dell'ordine dei giornalisti (CNOG).
F.to: Marta Cartabia, Presidente
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