Tribunale Velletri- A seguito dell'entrata in vigore dei
D.Lgs. n. 22 del 2015 e D.Lgs. n. 23 del 2015 (c.d. Jobs Act), il 7 marzo 2015,
a tutti i lavoratori neo-assunti a tempo indeterminato dal 7.03.2015, si
applica, in caso di licenziamento nullo o illegittimo, il cd "contratto a
tutele crescenti".
Tribunale Velletri Sez. lavoro, Sent., 21-02-2023
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL TRIBUNALE ORDINARIO di VELLETRI
-sezione lavoro 1 grado-
Il Tribunale in composizione monocratica in persona della
dott.ssa Raffaella Falcione, quale Giudice del lavoro, all'udienza del
21/02/2023 ha pronunciato mediante pubblica lettura del dispositivo e
dell'esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione la
seguente
SENTENZA AI SENSI DELL'ART.429 C.P.C.
nella causa civile di primo grado iscritta al n. 4809/2020
R.G.A.L. del Tribunale di Velletri e vertente
TRA
OMISSIS
Ricorrente
Rappresentata e difesa dall'Avv.to OMISSIS
E
OMISSISin persona del legale rappresentante pro tempore,
Resistente
Rappresentata e difesa dall'Avv.to OMISSIS
OGGETTO: Licenziamento.
Svolgimento del processo - Motivi della decisione
Con ricorso proposto ai sensi dell'art. 1, commi 47 e ss.,
L. n. 92 del 2012, OMISSIS conviene in giudizio la società OMISSIS, che
gestisce i supermercati a marchio T. di N., L. e OMISSIS(da cui veniva assunta
in data 1.02.2019 con le mansioni di cassiera), impugnando il licenziamento
intimatole con lettera del 2.09.2020, in quanto asseritamente nullo e/o
illegittimo e/o inefficace, per essere viziato sotto plurimi profili, in
particolare in quanto discriminatorio/ritorsivo, oltre che comminato in assenza
della giusta causa. Sostiene, infatti, che, sin dalla data di instaurazione del
rapporto di lavoro, veniva sottoposta a turni di lavoro massacranti e
discriminatori diversi da quelli assegnati agli altri colleghi, ed inoltre che
il responsabile del supermercato di OMISSIS, OMISSIS, l'aveva demansionata
assegnandole i compiti di magazziniera e scaffalista, per cui si vedeva
costretta ad avanzare legittime dimostranze per il tramite del proprio avvocato
di fiducia (da ultimo anche per averla messa in turno nella giornata di
Ferragosto 2020, ricadente di Sabato e la domenica successiva senza mancata
previa concertazione). Le dimostranze, tuttavia, non sortivano alcun effetto,
ed anzi sfociavano nelle contestazioni disciplinari dell'11.08.2020 e del
18-21.08.2020 rispettivamente sanzionate con la sospensione dal lavoro e con il
licenziamento. Sulla base di tale premessa fattuale conclude per l'annullamento
del licenziamento con le conseguenze, in tesi, di cui all'art. 18 della L. n.
300 del 1970 in ragione della natura dei vizi di cui sostiene essere affetto il
recesso della società datrice di lavoro.
La OMISSISsi costituisce in giudizio ed eccepisce, in via
preliminare, l'inammissibilità del ricorso, sia perché avrebbe dovuto essere
presentato ai sensi dell'art. 414 c.p.c. considerato che la lavoratrice è stata
assunta in data 1.02.2019, come risulta per tabulas dalla documentazione in
atti, sia per l'insussistenza dei requisiti per applicare l'art. 18 Stat. Lav..
Nel merito ne chiede il rigetto per la sua infondatezza in fatto e in diritto,
negando, per un verso, che la lavoratrice sia mai stata vittima di
atteggiamenti discriminatori o ritorsivi e, per l'altro, sostenendo la
sussistenza della giusta causa del recesso ex art. 2119 c.c. e, quindi, la
correttezza del proprio comportamento.
Il Rito
A seguito dell'entrata in vigore dei D.Lgs. n. 22 del 2015 e
D.Lgs. n. 23 del 2015 (c.d. Jobs Act), il 7 marzo 2015, a tutti i lavoratori
neo-assunti a tempo indeterminato dal 7.03.2015, si applica, in caso di
licenziamento nullo o illegittimo, il cd "contratto a tutele
crescenti".
L'art. 1, comma 1, del D.Lgs. n. 23 del 2015, prevede,
infatti, testualmente che: "1. Per i lavoratori che rivestono la qualifica
di operai, impiegati o quadri, assunti con contratto di lavoro subordinato a
tempo indeterminato a decorrere dalla data di entrata in vigore del presente
decreto, il regime di tutela nel caso di licenziamento illegittimo è
disciplinato dalle disposizioni di cui al presente decreto".
Il legislatore del 2015, inoltre, pur non avendo né abrogato
né modificato l'art. 18 dello Statuto dei Lavoratori, prevede, espressamente,
all'art. 11, che le disposizioni dell'articolo 1, commi da 48 a 68, della L. n.
92 del 2012 (che, com'è noto, hanno introdotto il cd rito Fornero), non si
applicano ai "licenziamenti di cui al presente decreto", a cui torna
ad applicarsi il rito ordinario disciplinato dagli artt. 414 e ss. c.p.c..
In sintesi, il lavoratore licenziato dopo il 12.07.2012 che
chiede l'applicazione della tutela reale di cui all'art. 18 non può rinunziare
al procedimento obbligatorio introdotto dalla L. n. 92 del 2012 in virtù del
principio di indisponibilità del rito; il lavoratore assunto dopo il 7.03.2015,
invece, può ottenere solo le forme di tutela previste dal contratto a tutele
crescenti (tra cui anche la reintegrazione nei casi di licenziamenti discriminatori/ritorsivi
ovvero intimati verbalmente che prevedono la reintegrazione) e deve agire in
giudizio nelle forme ordinarie.
In virtù della previsione dell'art. 11 cit., dunque, il
ricorso introduttivo del presente giudizio andava proposto nelle forme di cui
all'art. 414 c.p.c.. Purtuttavia, questo giudicante, in ragione delle
considerazioni e dei richiami normativi di cui gli artt. 426 e 427 c.p.c. (che
prevedono meccanismi diretti ad assicurare il semplice mutamento di rito tutte
le volte in cui una causa relativa ad uno dei rapporti previsti dall'art. 409
c.p.c. sia promossa nelle forme ordinarie, ovvero una causa promossa secondo il
rito del lavoro riguardi un rapporto diverso da quelli di cui all'art. 409) e
in conformità con la giurisprudenza di questo Tribunale, che ritiene prevalenti
le esigenze di garanzia della tutela dei diritti e l'economia processuale, ha
disposto il mutamento del rito e la prosecuzione del giudizio con le forme
ordinarie, ai sensi dell'art. 414 e segg. c.p.c.. Applicando in via analogia
l'art. 4, comma 3, del D.Lgs. n. 150 del 2011, a mente del quale: "quando
la controversia rientra tra quelle per le quali il presente decreto prevede
l'applicazione del rito del lavoro, il giudice fissa l'udienza di cui
all'articolo 420 del codice di procedura civile e il termine perentorio entro
il quale le parti devono provvedere all'eventuale integrazione degli atti introduttivi
mediante deposito di memorie e documenti in cancelleria", veniva fissata
l'udienza di cui all'art. 420 c.p.c., concedendo alle parti un termine
perentorio entro cui provvedere alla eventuale integrazione degli atti
introduttivi del giudizio (si richiama integralmente l'ordinanza del
19.02.2021).
I mezzi istruttori
La causa veniva istruita con la prova documentale e per
testi chiesta dai procuratori delle parti (con i soli testimoni indicati in
ricorso, posto che la difesa della società chiedeva, e solo subordinatamente
all'ammissione della prova orale di parte attrice, di essere ammessa alla prova
diretta e/o contraria con gli stessi testimoni indicati dalla controparte).
Il difensore della ricorrente chiedeva, altresì,
l'acquisizione di un CD audio contenente la registrazione di n. 4 conversazioni
intercorse tra OMISSIS e le signore S.V. (in data 6.07.2020); OMISSIS (in data
25.03.2020 e in data 9.09.2020); C.G. (in data 25.05.2020).
Il procuratore della società resistente si opponeva,
reiterando peraltro l'opposizione nel corso del giudizio.
Osserva il giudicante che l'art. 13 delle Specifiche
Tecniche PCT D.M. n. 44 del 2011 individua i formati dei documenti informatici
di cui è ammesso il deposito telematico in particolare: .pdf .rtf .txt .jpg
.gif .tiff .xml. Il comma 2, individua altri formati utilizzabili, come il
.zip, il .rar ed il .arj precisando, tuttavia, che: "è consentito
l'utilizzo dei seguenti formati compressi, purché contenenti file nei formati
previsi al comma precedente".
Ne consegue che l'unica modalità per poter depositare file
audio (non ricompresi nel suddetto elenco) è riprodurli su un supporto CD, DVD
e/o PEN DRIVE USB, chiedendo al giudicante l'autorizzazione al deposito,
trattandosi di deposito non telematico. Ed infatti l'art. 16 bis co. 9 del D.L.
n. 179 del 2012 prevede che "Il giudice può ordinare il deposito di copia
cartacea di singoli atti e documenti per ragioni specifiche...".
Per tali ragioni, precisato che la difesa della ricorrente
nel ricorso introduttivo del giudizio ha tempestivamente chiesto
l'autorizzazione al deposito del CD audio indicato al n. 21 dell'indice dei
documenti, reiterando l'istanza di ammissione a verbale della prima udienza di
comparizione del 16.03.2021, questo giudicante non ammetteva il file audio
depositato in uno con il ricorso in formato zip, ed ammetteva la produzione del
CD (con onere a carico del procuratore della ricorrente di duplicazione del
supporto così da metterlo a disposizione della controparte).
Quanto all'ammissibilità di detto mezzo istruttorio, va
precisato che la S.C. di Cassazione (da ultimo n. 31204/2021) ha affermato che,
nell'ambito dei rapporti di lavoro, la registrazione di conversazioni tra un
dipendente e i suoi colleghi presenti, all'insaputa dei conversanti, configura
una grave violazione del diritto alla riservatezza a meno che la registrazione
della conversazione (a cui colui che registra deve assistere personalmente) sia
finalizzata a precostituirsi un mezzo di prova contro il datore di lavoro in
una causa futura o imminente, costituendo essa l'esercizio del diritto di
difesa, così da bilanciare le contrapposte istanze della riservatezza da una
parte e della tutela giurisdizionale del diritto di difesa dall'altra.
Ed infatti, l'art. 24 del D.Lgs. n. 196 del 2003 permette di
prescindere dal consenso dell'interessato quando il trattamento dei dati, pur
non riguardanti una parte del giudizio in cui la produzione venga eseguita, sia
necessario per far valere o difendere un diritto, a condizione che essi siano
pertinenti alla tesi difensiva e non eccedenti le sue finalità, trattati
esclusivamente per tali finalità e per il periodo strettamente necessario al
loro perseguimento (Cass. n. 21612/2013). In tali casi la registrazione non
necessita del consenso dei presenti in ragione dell'imprescindibile necessità
di operare un equilibrato bilanciamento tra le contrapposte istanze della
riservatezza da una parte e della tutela giurisdizionale del diritto dall'altra
e, pertanto, di contemperare la norma sul consenso al trattamento dei dati con
le formalità previste dal codice di procedura civile per la tutela dei diritti
in giudizio (Cass. n. 11322/2018). In sintesi i Supremi giudici affermano che
"il diritto di difesa non è limitato alla pura e semplice sede processuale,
estendendosi a tutte quelle attività dirette ad acquisire prove in essa
utilizzabili, ancor prima che la controversia sia stata formalmente instaurata
mediante citazione o ricorso. Non a caso nel codice di procedura penale il
diritto di difesa costituzionalmente garantito dall'art. 24 Cost. sussiste
anche in capo a chi non abbia ancora assunto la qualità di parte in un
procedimento ... Dunque, neppure tale addebito può integrare illecito
disciplinare, rispondendo la condotta in discorso alle necessità conseguenti al
legittimo esercizio d'un diritto e, quindi, essendo coperta dall'efficacia
scriminante dell'art. 51 c.p., di portata generale nell'ordinamento non già
limitata al mero ambito penalistico" (Cass. n. 27424/2014).
Il giudice, pertanto, deve valutare rigorosamente il
requisito della pertinenza, all'interno di una scrupolosa contestualizzazione
della vicenda.
Sotto il profilo dell'efficacia probatoria dei documenti
informatici (inclusi gli SMS) l'art. 2712 c.c. novellato dall'art. 23 quater
CAD dispone che: "Le riproduzioni fotografiche, informatiche o
cinematografiche, le registrazioni fonografiche e, in genere, ogni altra
rappresentazione meccanica di fatti e di cose formano piena prova dei fatti e
delle cose rappresentate, se colui contro il quale sono prodotte non ne
disconosce la conformità ai fatti o alle cose medesime". Il
disconoscimento delle riproduzioni meccaniche di cui all'art. 2712 c.c., deve
essere chiaro, circostanziato ed esplicito (dovendo concretizzarsi
nell'allegazione di elementi attestanti la non corrispondenza tra realtà
fattuale e realtà riprodotta).
All'udienza odierna dopo la discussione, previa concessione
di termine per note, la causa veniva decisa sulle conclusioni rassegnate dei
procuratori delle parti degli scritti difensivi e a verbale, con la lettura
della sentenza con motivazione contestuale ai sensi dell'art. 429 c.p.c..
Il merito
Così riassunti i fatti di causa, e fatte tali dovute
premesse e precisazioni, è utile rilevare che, secondo la definizione enucleata
dalla giurisprudenza della S.C. di Cassazione formatasi nel tempo (cfr. ad es.
sent. n. 6575/2016 n. 17329/2012), il licenziamento ritorsivo è quello intimato
come ingiusta e arbitraria reazione a un comportamento legittimo del
lavoratore, e attribuisce al licenziamento il connotato della
"ingiustificata vendetta". La sua nullità trova fondamento nel
combinato disposto degli artt. 1418 e 1345 c.c., in quanto si tratta di motivo
illecito determinante e, quindi, nullo. La tutela la stessa prevista per il
licenziamento discriminatorio, a prescindere dal requisito dimensionale del
datore di lavoro, ossia la reintegrazione del lavoratore nel posto
precedentemente occupato in azienda.
Sotto il profilo della distribuzione degli oneri probatori è
bene rammentare che la sussistenza della giusta causa del licenziamento grava,
ai sensi dell'art. 5 L. n. 604 del 1966, sul datore di lavoro, mentre invece la
prova del carattere ritorsivo del licenziamento grava sul lavoratore, ex art.
2697 c.c., ben potendo, tuttavia, il giudice di merito valorizzare, a tal fine,
tutto il complesso degli elementi acquisiti al giudizio, compresi quelli già
considerati per escludere in concreto il giustificato motivo oggettivo e/o la
giusta causa, nel caso in cui questi elementi da soli, o posti in correlazione
con altri, secondo la valutazione unitaria e globale dell'"id quod
pletumque accidit", consentano di ritenere raggiunta, anche in via
presuntiva, la prova del carattere ritorsivo del recesso (cfr. da ultimo Cass.
sent. n. 23583/2019).
Ne consegue che lo scrutinio demandato a questo giudicante
nel presente giudizio ha come primo step quello di accertare la sussistenza
della giusta causa del recesso della OMISSIS.
Ebbene, dalla piana lettura della lettera di licenziamento
del 2.09.2020 -in cui sono espressamente richiamate le contestazioni
disciplinari del 18 e del 21 agosto 2020-, risulta che la società datrice di
lavoro si è determinata ad intimare il licenziamento a OMISSIS per l'assenza
ingiustificata dal lavoro nella giornata del 15.08.2020 oltre che per ulteriori
condotte, di cui si dirà di qui a breve, che la società definisce come un vero
e proprio sciopero bianco avendo reiteratamente assunto e mantenuto un
comportamento oltraggioso e potenzialmente dannoso nei confronti dell'azienda.
Dagli atti risulta, infatti, che la lavoratrice il
18.08.2020 e il 21.08.2020 è stata destinataria di due contestazioni
disciplinari, ex art. 7 L. n. 300 del 1970, di cui: la prima per assenza
ingiustificata il giorno 15.08.2020; la seconda per avere, durante il turno di
lavoro del 17.08.2020, esortato i colleghi a contattare il proprio avvocato nel
caso di mancata corrispondenza tra il loro inquadramento contrattuale e le
mansioni loro assegnate, e più in generale per scarso rendimento, scortesia nei
confronti della clientela, carenza di diligenza nell'esecuzione delle mansioni,
il tutto a danno della società; condotte sanzionate con la massima sanzione
espulsiva.
Con riferimento al primo addebito (assenza ingiustificata il
giorno di Ferragosto 2020 - contestazione disciplinare del 18.08.2020) la S.
non nega la circostanza, purtuttavia sostiene che, per il tramite del proprio
avvocato di fiducia, con PEC del 13 agosto, aveva preannunciato la sua
indisponibilità a lavorare nella predetta giornata festiva, in quanto non preceduta
da concertazione, anche perché ricadeva di sabato per cui avrebbe dovuto
lavorare per due giorni festivi consecutivi.
La società sostiene, invece, che, ai sensi dell'art. 132 del
C.C.N.L. applicato ai propri dipendenti, il 15 agosto e sì considerato un
giorno festivo, purtuttavia, se ricompreso nel turno assegnato al lavoratore,
questi non può sottrarsi alla prestazione senza giustificato motivo. Nel caso
di specie (come peraltro risulta anche dalla PEC del 14.08.2020 inviata
all'avvocato della S.), i turni di lavoro erano stati regolarmente comunicati
alla lavoratrice il sabato precedente, con l'ulteriore conseguenza che è del
tutto legittimo, e niente affatto minaccioso, quanto si afferma nella stessa
missiva, ossia che, qualora la ricorrente non si fosse presentata al lavoro,
sarebbe stata costretta ad avviare un procedimento disciplinare nei suoi
confronti.
Osserva al riguardo la scrivente che, come affermato dalla
S.C. Corte di Cassazione (da ultimo n. 18887/2019), nessun dipendente può
essere obbligato a lavorare in un giorno festivo legato a ricorrenze civili o
religiose, per cui anche se nel contratto collettivo applicato al rapporto di
lavoro è prevista la possibilità che il dipendente presti servizio in un giorno
di festa, non rappresenta mai un obbligo per quest'ultimo. Di conseguenza le
clausole del C.C.N.L. che prevedono l'obbligo di svolgere il lavoro in tali
periodi -per le particolari caratteristiche del settore- sono nulle, e la
rinuncia a tale diritto richiede il consenso del lavoratore, in quanto:
"in nessun caso una norma di un contratto collettivo può comportare il
venir meno di un diritto già acquisito dal singolo lavoratore (come il diritto
di astenersi dal lavoro nelle festività infrasettimanali), non trattandosi di
diritto disponibile per le organizzazioni sindacali" (Cass. n. 9176/1997;
n. 16592/2015).
In difetto di un consenso del lavoratore a prestare la
propria attività nelle festività infrasettimanali questi non potrà essere
considerato assente ingiustificato, ed il provvedimento del datore di lavoro
deve ritenersi nullo, quindi improduttivo di effetti, ed integrante un
inadempimento parziale del contratto di lavoro (Cass. n. 26920/2008 e n.
1809/2002).
Invero la società OMISSISnella memoria di costituzione in
giudizio dell'1.02.2021, sostiene di avere acquisito un consenso preventivo da
parte dei propri dipendenti all'atto della sottoscrizione dei contratti
individuali di assunzione e, a sostegno dell'allegazione, produce n. 4
contratti di lavoro sottoscritti da: S.V., L.G., I.S. e D.R., in cui le
lavoratrici manifestano espressamente la propria disponibilità al lavoro
festivo, purché richiesto con almeno due giorni di preavviso. La società
purtuttavia non produceva il contratto sottoscritto dall'odierna ricorrente
affermando di averne smarrito la copia in proprio possesso.
Il contratto di lavoro a tempo determinato sottoscritto da
OMISSIS in data 1.02.2019 veniva, quindi, prodotto in allegato alla memoria
integrativa depositata dal procuratore della società il 9.03.2021, a seguito
del mutamento del rito (doc 10). All'udienza del 16.03.2021 la ricorrente si
riservava di disconoscere le firme apposte in calce al predetto documento al
che il procuratore della OMISSISdichiarava (sorprendentemente) di non volersene
avvalere, con la conseguenza che, in questa sede, non può riconoscersi al
documento alcun valore probatorio. Conseguentemente deve escludersi che la
ricorrente abbia manifestato già all'atto dell'assunzione la propria
disponibilità al lavoro festivo infrasettimanale.
Ma anche a voler optare per la validità della clausola
pattizia di Settore che, come eccezione alla regola legale, preveda che
l'attività lavorativa possa essere svolta anche nei giorni festivi
infrasettimanali, subordinando, quindi, la fruizione della festività alle
esigenze aziendali, è comunque onere del datore di lavoro provare tali
esigenze.
Nel caso che ci occupa la società non ha provato, ed invero
neanche allegato, la sussistenza di particolari esigenze organizzative per le
quali la S. avrebbe dovuto necessariamente lavorare sia sabato 15 agosto sia
domenica 16 agosto, limitandosi a sostenere, genericamente, che se il giorno
festivo è ricompreso nel turno assegnato al lavoratore, questi non può
sottrarsi alla prestazione senza giustificato motivo. Né ulteriori elementi
conoscitivi possono trarsi dalla PEC del 14.08.2020, inviata dalla Z.
all'avvocato della ricorrente, laddove si afferma unicamente che la signora S.
doveva considerarsi in turno il giorno successivo come tutti i suoi colleghi,
ovvero dalle dichiarazioni rese dai testimoni esaminati nel corso del giudizio,
ed invero la società non ha neanche provato che effettivamente tutti i
dipendenti del supermercato di OMISSIS hanno lavorato il 15.08.2020.
Ed infatti S.V., OMISSIS, O.S. e S.D. non sono stati in
grado di riferire alcuna circostanza utile al riguardo, e OMISSIS, che in
qualità di gestore del T.A.C. avrebbe dovuto essere a conoscenza delle
specifiche e peculiari esigenze organizzative aziendali, si è limitato a
riferire che i dipendenti del supermercato hanno lavorato sia il 15 che il 16
agosto del 2020.
Con riferimento agli ulteriori addebiti (avere interrogato i
colleghi circa l'inquadramento contrattuale e l'attività svolta esortandoli a
conferire mandato al proprio avvocato, operato con scarsissimo rendimento, ecc.
di cui alla contestazione disciplinare del 21.08.2020), è stato possibile
accertare quanto segue.
OMISSIS ha riferito che il 30 giugno 2020 faceva notare alla
ricorrente che il suo mobile cassa era in disordine per cui la invitava a
riordinarlo secondo i tempi necessari. Ha negato di avere rimproverato la S.
per problemi relativi alla sistemazione degli scaffali, anche perché ha
confermato l'assunto di parte resistente secondo cui di detta attività si
occupavano e si occupano gli scaffalisti. Ha negato di avere detto alla
lavoratrice che se lo status delle cose non le era gradito poteva andarsene
anche perché, a suo dire, fino a quel momento non c'erano stati particolari
problemi. Ha riferito che da metà giugno, dopo la chiusura delle scuole, la
clientela raddoppia per cui è vero che tutti dipendenti rimodulano il proprio
orario di lavoro pur sempre nel rispetto delle 40 ore settimanale e dei riposi,
come risulta dai fogli presenza. Ha dichiarato che l'assenza della S. il 15
agosto ha causato disagio allo svolgimento dell'attività del supermercato. Ha
negato di aver detto ai dipendenti di non parlare con la ricorrente, benché
avesse saputo che sponsorizzava il suo avvocato durante l'orario di lavoro così
destabilizzando l'ambiente di lavoro, ma di essersi limitato a dire che non
erano obbligati ad ascoltarla e comunque a non intrattenersi con lei per parlare
di fatti personali.
S.V., figlia di OMISSIS, ha riferito di avere lavorato con
la ricorrente presso l'esercizio di OMISSIS per circa 6 mesi e che la S.
lavorava per 40 ore settimanali distribuite su 6 giorni a settimana con riposo
variabile e, nei mesi da febbraio a giugno, osservando 2 rientri pomeridiani a
settimana, sempre nel rispetto del tetto delle 40 ore, precisando di essere a
conoscenza degli orari di lavoro osservati dalla ricorrente in quanto, su
disposizione del padre, talvolta si occupava di stampare i turni di lavoro dei
dipendenti. Ha riferito che la ricorrente, come tutti, lavorava solo due
domeniche al mese. In relazione ai fatti accaduti il 30 giugno del 2020 ha
riferito che non era presente in magazzino ma di avere appreso dal collega S.O.
che il padre aveva rimproverato la ricorrente contestandole che nell'ultimo
periodo lavorava con lentezza per cui aveva avuto un calo lavorativo. Ha
riferito di non sapere se il rimprovero riguardava la sistemazione degli
scaffali. Ha negato che l'O. le abbia mai riferito che il padre aveva detto
alla ricorrente che se non gradiva le condizioni di lavoro poteva andarsene. Ha
negato che la ricorrente svolgesse le mansioni di magazziniera/scaffalista,
precisando che solo nelle ore di minor afflusso della clientela anche i
cassieri hanno il compito di sistemare tutto ciò che è intorno alla cassa. Ha
negato che la ricorrente venisse addetta al banco del pane e alla gastronomia
neanche in caso di assenza degli addetti a tali attività. Ha riferito, infine,
che nell'ultimo periodo la ricorrente durante l'orario di lavoro alla cassa era
solita parlare con i colleghi pubblicizzando il proprio avvocato e chiedendo
loro di unirsi alla sua causa.
O.S., teste de relato esaminato ai sensi dell'art. 257
c.p.c., ha confermato di avere assistito alla discussione del 30 giugno tra la
ricorrente e OMISSIS avente ad oggetto i tempi di lavoro della S. ed ha
confermato di avere riferito l'accaduto a V.S.. Ha infine dichiarato di non
ricordare che OMISSIS avesse contestato alla ricorrente la lentezza nello
svolgimento di specifiche attività lavorative.
OMISSIS, dipendente della resistente presso il T.A.C. come
cassiera, ha riferito di non avere lavorato per tutto il periodo in questione
insieme alla ricorrente, purtuttavia ha dichiarato che, per quanto a sua
conoscenza, la S. non lavorava più di 40 ore settimanali distribuite su 6
giorni a settimana con 2 rientri pomeridiani sempre nel rispetto del limite
delle 40 ore; che lavorava 2 domeniche al mese, alternate; che, come tutti, riposava
10 minuti ogni 4 ore. Ha riferito che non era al lavoro il pomeriggio del 30
giugno e di avere appreso dai colleghi che la ricorrente era stata ripresa dal
responsabile per la lentezza e che, forse, aveva esagerato nella reazione In
quanto non presente al fatto ha chiarito di non conoscere l'esatto contenuto
della conversazione intercorsa tra OMISSIS e la ricorrente né di sapere a cosa
si riferisce lo S. parlando di lentezza. Ha dichiarato, ancora, che la
sistemazione degli scaffali è un'attività demandata a dei ragazzi e che lei
stessa e le altre cassiere al più sistemano la merce esposta per la vendita in
cassa. Ha negato, per quanto a sua conoscenza, che la ricorrente venisse
addetta al banco del pane e alla gastronomia. Ha riferito, infine, di non
ricordare se il 17 agosto la ricorrente, dopo essersi lamentata con i colleghi
delle condizioni di lavoro, aveva smesso le mansioni.
S.D., referente del supermercato, ha riferito che, essendo
stato informato di un alterco intercorso tra la ricorrente e P.S., ha
telefonato alla S. al fine di comprendere quanto era accaduto e ricomporre il
litigio. Ha riferito ancora di non conoscere il motivo del litigio e che,
avendo comunque constatato che l'armonia era venuta meno, nel mese di luglio
telefonava nuovamente alla ricorrente invitandola a prendere dei giorni di
ferie così da consentirgli di trovarle un'altra sistemazione, motivo per cui le
chiedeva di trasmettergli via WhatsApp il suo curriculum.
In sintesi dal compendio del testimoniale, ed in particolare
dalle dichiarazioni rese dal gestore del supermercato, può dirsi che:
- Fino al 30 giugno del 2020 la ricorrente non era mai stata
ammonita per negligenza, specificamente per lentezza nello svolgimento della
prestazione lavorativa, e in quella occasione il motivo del rimprovero mossole
da OMISSIS ha riguardato unicamente il disordine con cui teneva il mobile-cassa
dove stava lavorando, e non la lentezza nello svolgimento delle mansioni di
cassiera;
- Non è emersa alcuna circostanza di fatto da cui desumere che
la ricorrente in quella, o in altre occasioni, ha avuto nei confronti del
titolare del supermercato atteggiamenti di insubordinazione ovvero irriguardosi
o irrisori. La sola teste M. afferma di avere appreso da non meglio precisati
colleghi che forse aveva esagerato nella reazione. Nulla è stato in grado di
riferire O.S. che sembra, invece, esser estato l'unico presente.
- La ricorrente, né il 30 giugno né in altre occasioni, è
stata redarguita per essere stata scortese con i clienti e/o i colleghi;
- OMISSIS pur avendo appreso da alcuni dipendenti che la S.
destabilizzava l'ambiente di lavoro "sponsorizzando il proprio
avvocato", non è stato in grado di riferire se ciò sia accaduto proprio il
17 agosto, e ha precisato che si è limitato ad invitare i dipendenti a non
ascoltare i discorsi della ricorrente durante l'orario di lavoro, né di parlare
delle sue questioni personali;
- Né OMISSIS né nessuno dei testimoni ha riferito concreti
elementi di fatto da cui desumere che la società, a causa dell'assenza della
ricorrente il giorno 15 agosto (che asseritamente avrebbe arrecato disagio allo
svolgimento dell'attività del supermercato) o a causa dei comportamenti tenuti
dalla stessa prima o dopo di tale data (che asseritamente avrebbero turbato il
sereno svolgimento dell'attività aziendale) ha subito danni ovvero conseguenze
anche solo potenzialmente dannose;
- Nessuno dei testimoni ha riferito concreti elementi di
fatto da cui desumere la volontà della lavoratrice di danneggiare la società
datrice di lavoro.
Se così è, non può che concludersi che la società OMISSISnon
ha fatto fronte all'onere probatorio di cui era gravata, in particolare non può
dirsi provato che OMISSIS si sia resa responsabile dei fatti contestati con le
lettere di addebito del 18 e del 21 agosto 2020. Ne deriva, in virtù degli
elementi di fatto raccolti, valutati alla luce delle considerazioni innanzi
espresse, che la società datrice di lavoro non ha provato la giusta causa di
recesso definita dall'art. 2119 c.c. come quella "che non consente la
prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto", in quanto grave negazione
degli elementi essenziali del rapporto di lavoro, in particolare di quello
fiduciario, da valutarsi in ragione della portata oggettiva e soggettiva dei
fatti commessi dal lavoratore, delle circostanze nelle quali sono stati
commessi e dell'intensità dell'elemento intenzionale. Né ha provato che si è
resa responsabile di condotte punite dalle norme del C.C.N.L. del Settore con
la massima sanzione espulsiva.
Ciò detto, non può sottacersi che dall'esame dei documenti
prodotti in atti dalle parti emerge una realtà lavorativa più complessa, che
induce a ritenere che, per motivi non del tutto chiariti nel corso del
giudizio, i rapporti tra la ricorrente e la società datrice di lavoro erano
tesi da qualche tempo, in quanto la S. sosteneva di subire un trattamento
differente, in peius, rispetto a quello riservato agli altri dipendenti.
Ed infatti, benché i testimoni esaminati in corso di causa
abbiano negato che la ricorrente osservasse un orario di lavoro stressogeno o
comunque più gravoso rispetto a quello osservato dagli altri dipendenti del
supermercato, sia che venisse adibita in modo continuativo a mansioni inferiori
rispetto a quelle di cassiera per le quali era stata assunta (scaffalista e
addetta al banco gastronomia), è indubbio che la S., quanto meno nell'ultimo
periodo del rapporto di lavoro alle dipendenze della OMISSIS, si lamentava
delle condizioni di lavoro a cui era sottoposta.
Ne sono prova le PEC del 24 e 30 luglio e dell'8 agosto 2020
inviate alla società dall'avvocato di fiducia della lavoratrice, in cui si
rivendica la mancata retribuzione degli straordinari e della 14ma mensilità, la
mancata concessione dei riposi obbligatori, e quindi l'esistenza di condizioni
di lavoro faticose e stressanti per le quali la ricorrente era stata costretta
a ricorrere a cure mediche. La lavoratrice sostiene, infatti, che osservava
sistematicamente un orario settimanale di 49,50 ore -con tutte le domeniche
lavorative- superiore al limite massimo delle 48 ore previsto dal C.C.N.L. del
Settore senza che vi fossero particolari necessità aziendali.
OMISSIS, peraltro, ha riferito nel corso della testimonianza
che l'orario di lavoro osservato in concreto dalla ricorrente nel tetto massimo
delle 40 ore settimanali sarebbe provato da fogli presenza che, tuttavia, la
società resistente non ha prodotto in atti.
Ed ancora, dalle registrazioni delle conversazioni acquisite
agli atti del processo di cui si è detto, risulta che:
(conversazione del 6.07.2020 tra la ricorrente e S.V.
riconosciuta da quest'ultima all'udienza del 15.11.2022) "io eseguo ... ho
provato a chiedere ma gli rodeva il c...;... sai come è papà, sai che va a
smanie continue, se tu hai intenzione di rimanere......, gli passerà la smania,
fai due settimane così con orari di mer.., hai pure il giorno di riposo, se
vuoi risolvere non gli parlare, non dirgli niente, se tu ti impunti lui si
impunta, anche a OMISSIS ha fatto fare orari di mer... perchè gli ha chiesto di
rimanere dopo le cinque, lui gli ha detto di no e gli ha fatto fare tutti orari
spezzati, lo ignori completamente se poi viene OMISSIS e poi viene papà lo
ignori completamente neanche a dargli soddisfazione, poi lunedì gli dici io la
settimana punitiva a lavoro me la sono fatta..... e vedi che ti dice però
aspetta a parlarci mo, io lo sto proprio ignorando...fai passa qualche giorno e
poi ved ... per me ..., ultimamente lui è così io evito, lascia perde fallo
morì così, io non mi voglio impiccià solo per avergli detto perché ma vaff....
'fallo sbollì";
(Conversazione del 9.09.2020 tra la ricorrente e OMISSIS)
"tutta la situazione è stata pesante...gli spezzati lo ha fatto apposta,
quello si sa, guarda R....va beh però il Ferragosto anche OMISSIS ha lavorato
tutti e due (ferragosto e domenica) però nell'insieme ci sono state queste
cose...no lui ci è rimasto male quando sei andata in malattia, lui l'ha presa
come un affronto e da là ha chiuso .. lui l'ha presa come una cosa...lui non è
mai stato un santo...io gli ho detto mi hai levato tutte le amichette mie...lui
si è fatto una risata...sono rimasta un po' così, un po' spiazzata, l'altra
volta mi ha detto che non è stata una cosa giusta neanche con i colleghi, io
gli ho detto che i colleghi hanno continuato a lavorare normale, no disagio con
i colleghi no, meglio che te ne sei andata perchè non potevi continuare a
lavorare con questa situazione del ca....io che ci lavoro e ci sto mentalmente
serena con questi turni è un po' pesante, ma io non ci sarei stata come hai
fatto te, io me ne sarei andata prima, si tu ci hai avuto un'altra
condizione..".
Si tratta, quindi, di colloqui del tutto pertinenti con i
fatti di causa, in quanto la ricorrente intendeva rappresentare alle colleghe i
motivi per i quali si contrapponeva a OMISSIS, in particolare l'atteggiamento
da questi tenuto nei suoi confronti nel corso del rapporto di lavoro, chiedendo
conferma di essere stata vittima di un trattamento differente, da lei percepito
come discriminatorio, il che esclude, a giudizio della scrivente, che le
registrazioni in questione abbiano riguardato un momento di normale
relazionalità tra colleghe, come invece sostenuto dal difensore della società,
essendo indubbio che la S. aveva necessità di poter documentare il contenuto di
detti colloqui al fine di tutelare i propri diritti.
L'accertata insussistenza della giusta causa, in uno con
l'esistenza di una situazione di conflitto tra le parti presumibile dagli
elementi innanzi indicati, costituiscono a parere di questo giudicante elementi
che globalmente e unitariamente valutati secondo l'"id quod pletumque
accidit", consentano di ritenere raggiunta, anche in via presuntiva, la
prova del carattere ritorsivo del recesso della OMISSIS.
La società, infatti, dopo l'intervento del legale di fiducia
della ricorrente nel luglio del 2020, e dopo il rifiuto della S. di lavorare il
15 agosto le ha elevato due contestazioni disciplinari risultate infondate e
quindi l'ha licenziata.
Si è, dunque, in presenza di un licenziamento nullo ai sensi
degli artt. 1418, 1345 e 1324 c.c., che non sarebbe stato intimato in assenza
della motivazione ritorsiva, essendo stata raggiunta la prova di un rapporto di
causalità tra le situazioni idonee a creare acredine e l'intento di
rappresaglia.
Il ricorso è quindi fondato e merita di essere accolto.
Va, pertanto, riconosciuta alla ricorrente la tutela
prevista dall'art. 2 co. 2 del D.Lgs. n. 23 del 2015 a norma del quale deve
disporsi la reintegrazione di OMISSIS nel posto di lavoro precedentemente
occupato, con condanna della società datrice di lavoro a corrispondere in suo
favore un'indennità risarcitoria commisurata all'ultima retribuzione utile per
il calcolo del TFR (Euro 1.618,75) corrispondente al periodo dal giorno del
licenziamento alla reintegra, oltre accessori di legge, nonché a regolarizzare
la sua posizione contributiva per il periodo di illegittima estromissione
dall'azienda.
Le spese processuali seguono la soccombenza ai sensi
dell'art. 91 c.p.c. e vengono liquidate come in dispositivo tenuto conto delle
tariffe di cui al D.M. n. 55 del 2014 ultimo aggiornamento, con distrazione in
favore del procuratore della ricorrente che se ne dichiara antistatario ex art.
93 c.p.c..
P.Q.M.
Il Giudice, definitivamente pronunciando, disattesa ogni
diversa istanza, eccezione o deduzione
1. Accerta e dichiara la nullità, ai sensi degli artt. 1418
e 1345 c.c., del licenziamento intimato dalla OMISSISa OMISSIS con lettera del
2.09.2020, in quanto ritorsivo.
2. Per l'effetto ordina alla OMISSIS, in persona del
l.r.p.t., di reintegrare OMISSIS nel posto di lavoro precedentemente occupato,
e la condanna a corrispondere in favore della medesima S. un'indennità
risarcitoria commisurata all'ultima retribuzione utile per il calcolo del TFR
(Euro 1.618,75 lordi) corrispondente al periodo dal giorno del licenziamento
alla reintegra, oltre accessori di legge, nonché a regolarizzare la sua
posizione contributiva per il periodo di illegittima estromissione dall'azienda.
3. Condanna la OMISSIS, in persona del l.r.p.t., a
rimborsare alla ricorrente le spese processuali liquidate in complessivi Euro
6.500,00 oltre IVA CPA e spese generali come per legge, da distrarre in favore
del procuratore antistatario.
Così deciso in Velletri, il 21 febbraio 2023.
Depositata in Cancelleria il 21 febbraio 2023.
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